Psicologia della Comunicazione PDF

Summary

This document introduces the concept of communication and explores various approaches to studying it, including mathematical, semiotic, and pragmatic perspectives. It discusses important concepts such as intentionality, context, and the different types of communicative acts, using examples. It also considers the role of linguistics, semiotics, sociology, and psychology in the study of communication.

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Cosa significa ‘’comunicare’’? La comunicazione è lo strumento che consente agli individui di scambiarsi contenuti cognitivi ed emotivi, sia quando condividono lo stesso luogo e/o lo stesso tempo in cui avviene lo scambio comunicazionale, sia quando non li condividono. Gli scambi comunicazionali per...

Cosa significa ‘’comunicare’’? La comunicazione è lo strumento che consente agli individui di scambiarsi contenuti cognitivi ed emotivi, sia quando condividono lo stesso luogo e/o lo stesso tempo in cui avviene lo scambio comunicazionale, sia quando non li condividono. Gli scambi comunicazionali permettono alle persone il trasferimento di informazioni relative a stati presenti, ma anche a stati passati, garantendo in tal modo continuità all’accrescimento della conoscenza; tali scambi, inoltre, consentono agli interlocutori di prevedere e di progettare stati futuri. La comunicazione avviene dunque in un ambiente sociale e ne costituisce il naturale complemento. È in questo senso che acquista un ruolo centrale la descrizione del carattere relazionale di tale attività, che da un lato accomuna l’uomo alle altre specie viventi (dato che anche queste ultime utilizzano sistemi di comunicazione a volte complessi), e al tempo stesso lo differenzia, dal momento che utilizza un sistema di comunicazione caratterizzato da una modalità specifica come il linguaggio umano. Nella comunicazione avviene una condivisione tra i partecipanti dello stesso sistema di suoni significativi, stesso sistema di segni e significati e stesso insieme di regole e convenzioni. DISTINZIONE TRA COMUNICAZIONE E COMPORTAMENTO -Capitolo 1 Il comportamento è qualsiasi azione motoria di un individuo, percebibile in qualche maniera da un altro. Ogni comunicazione è un comportamento, in quanto si esprime attraverso azioni manifeste, ma, non tutti i comportamenti, pero sono comunicazione. La definizione di COMUNICAZIONE è: ‘’scambio interattivo osservabile fra due o più partecipanti, dotato di intenzionalità reciproca e di un certo livello di consapevolezza, in grado di far condividere un significato sulla base di sistemi simbolici e convenzionali di significazione e di segnalazione secondo la cornice culturale di riferimento’’ (Anolli, 2017). La comunicazione è stata analizzata sotto differenti aspetti e con diversi approcci. Innanzi tutto, essa è stata oggetto di studio da parte della linguistica sia sotto il profilo della «costruzione» dei mezzi attraverso i quali i contenuti nella comunicazione vengono veicolati, come parole, frasi e testi, sia sotto il profilo della determinazione delle regole che governano la produzione e la comprensione di tali mezzi. Un’importanza particolare va assegnata alla semiotica, ovvero alla disciplina che si occupa delle modalità con cui viene costruito il significato e di come i soggetti della comunicazione attribuiscono un senso ai contenuti della comunicazione stessa. Altri contributi si devono riconoscere alla sociologia e alla psicologia. Alla prima va il merito di aver posto all’attenzione degli studiosi il ruolo della comunicazione nella determinazione dell’azione sociale, e di aver messo in evidenza le modalità con cui interagiscono le strutture del comportamento linguistico e le strutture sociali. Alla seconda, invece, si attribuisce la funzione di comprendere e spiegare i processi cognitivi sottostanti all’attività comunicazionale, e il ruolo della comunicazione come elemento fondante nelle dinamiche interpersonali e nella manifestazione del Sé. I CONCETTI BASE DELLA COMUNICAZIONE Esistono tre settori per lo studio della comunicazione umana: - Sintassi: lo studio delle relazioni formali tra segni - Semantica: lo studio del significato dei segni - Pragmatica: lo studio dell’uso dei significati 1. APPROCIO MATEMATICO Il modello più famoso, e che ha dato origine ai primi tentativi di formalizzazione del complesso processo comunicazionale, è quello proposto da Shannon e Weaver, secondo loro, la comunicazione può essere descritta come un sistema in cui una sorgente di informazioni invia a un destinatario un messaggio. Il messaggio passa attraverso una serie di processi per arrivare al destinatario, partendo dalla fonte che crea e trasmette il messaggio (codifica), che viene codificato e tramutato in segnale attraverso un canale che istruttura e veicola il segnale, il messaggio viene ricevuto e interpretato da una persona o strumento (decodifica). Il destinatario riceve il messaggio. Poi ci può essere, secondo Shannon e Weaver, anche il rumore che è una forza che può interferire con la corretta trasmissione del segnale, può essere esterno o interno (esempio: ci può essere un malfunzionamento). Esempio: la struttura di una comunicazione telefonica, sia essa effettuata con apparati fissi o mobili, può essere ben rappresentata dal modello di Shannon e Weaver. I LIMITI DEL MODELLO Vediamo due tipi di modelli: - Modello lineare one-way, creato principalmente per spiegare i sistemi di comunicazione come radio telegrafo o telefono. Feedback: non appartiene al modello originale e non viene ideato per spiegare la comunicazione faccia a faccia. - Modello contenitore, dove il messaggio è contenuto nelle parole, la comunicazione avviene quando il messaggio è stato inviato e ricevuto. Nel modello contenitore non si tien conto dell’intenzionalità dei mssaggi e del contesto. 2. APPROCCIO SEMIOTICO La semiotica è la scienza che studia la vita dei segni nel quadro della vita sociale, analizza come i significati vengono creati, comunicati e interpretati attraverso vari sistemi di segni, che possono includere il linguaggio, le immagini, i gesti, i suoni e altri mezzi di comunicazione. La comunicazione è possibile tramite un processo di significazione: la capacità di generare significati (rapporto fra la realtà da comunicare e i codici e sistemi con cui si comunica) Segno o simbolo: qualcosa che sta per qualcos’altro. IL TRIANGOLO SEMIOTICO Nel contesto di questo approccio dobbiamo ricordarci il triangolo semiotico, che ci dice in che relazione sono segno e significato. Tre sono gli elementi costitutivi del significato e la loro relazione viene rappresentata nell’ormai classico triangolo semiotico che evidenzia i nessi esistenti tra un «simbolo» (o segno), ovvero i sistemi segnici utilizzati negli «scambi» comunicativi, la «referenza», cioè l’idea corrispondente al simbolo, e infine il «referente», cioè la realtà rappresentata dal simbolo [Ogden e Richards 1923]. Il modello rende conto del fatto che il significato di un simbolo (o segno) è dato dalla cooperazione di tre agenti: il simbolo (o segno), come può essere ad esempio la parola «tavolo»; il referente, ovverosia l’elemento reale che è rappresentato dal simbolo, ad esempio l’oggetto della comunicazione «tavolo»; e infine la referenza, ovvero il concetto o rappresentazione mentale di ciò che viene comunicato, e cioè il concetto di «tavolo». È importante sottolineare che il simbolo non ha un rapporto diretto con l’oggetto concreto, cioè con il referente, ma solo con il concetto, cioè con la referenza. Il significato, però, non esiste di per se, ma viene costruito nella relazione interpersonale, se e in quanto vi è intenzione comunicativa da parte dei partecipanti alla relazione comunicativa. L’emittente, infatti, quando dà inizio al processo comunicazionale, manifesta l’intezzione comunicativa al ricevente, che a sua volta interpreta il messaggio ricevuto attribuendogli intenzione comunicativa. In questo modo la comunicazione risulta governata dal gioco di reciprocità intenzionale in cui un parlante esprime un’intenzione che viene interpretata dal ricevente. Intenzionalità L’emittente manifesta l’intenzione di comunicare al ricevente e il significato viene costruito nella relazione interpersonale. L’intenzionalità è la proprietà di un’azione compiuta in modo deliberato, volontario e di proposito per raggiungere un certo scopo. Ci sono due livelli di intenzionalità: - Intenzionalità informativa che è la volontà di comunicare un certo contenuto al destinatario (A trasmette a B qualcosa che non sa) - Intenzionalità volontaria o comunicativa: la volontà di coinvolgere il destinatario a condividere un contenuto (A vuole rendere consapevole B di qualcosa di cui prima non era consapevole) E’ necessario sempre un contesto, a seconda del contesto uno stesso messaggio può assumere significati diversi, nel processo di interpretazione, chi comunica usa le informazione fornite dal contesto per ridurre le ambiguità. Le informazioni provenienti dal contesto alimentano nell’individuo i processi inferenziali, che gli consentono di integrare quelle informazioni con le conoscenze di cui già dispone. Così, ad esempio, se in uno scambio comunicativo che ha per oggetto gli esiti scolastici dei figli un individuo esprime la seguente affermazione: «Carlo anche quest’anno ce l’ha fatta!», si assume che il destinatario del messaggio sia in grado di capire che il successo scolastico è stato raggiunto anche l’anno precedente. Quindi, è l’abilità di dedurre informazioni non esplicite nel messaggio, collegare le informazioni tra loro con le informazioni già possedute e dedotte dal contesto. INDIZI CONTESTUALI: LA DEISSI Sono elementi di un messaggio che consentono un riferimento diretto alla situazione del discorso nello spazio e nel tempo. Possono essere spaziali (di, la, su) ecc. VEDIAMO ADESSO DUE TIPI DI IMPLICATURA DIVERSI: Indizi contestuali: LA PRESUPPOSIZIONE La presupposizione è un’informazione implicata alla base di un enunciato, condivisa dagli interlocutori e data per scontato. ENUNCIATO: ‘’piove anch oggi’’ PRESUPPOSIZIONE: ‘’pioveva anch ieri, piove sempre, non se ne può più di questa pioggia’’. Indizi contestuali: IMPLICATURA CONVERSAZIONALE Cosa viene detto vs cosa viene inteso E’ l’impegno reciproco ad integrare il significato letterale del messaggio con conoscenze già possedute. Le implicature conversazionali sono negoziate e dipendono dal contesto. ENUNCIATO: ‘’Enrico è un mostro’’ IMPLICATURE: ‘’Enrico è una persona spregevole’’/ ‘’Enrico è bravo a fare qualsiasi cosa’’. Il significato dipende dal contesto. 3. APPROCCIO PRAGMATICO Studia l’uso dei significati e come il contesto influenza l’interpretazione del significato nel linguaggio. Si concentra sull’uso pratico del linguaggio come azione. La comunicazione è un azione e si sofferma sull’importanza della relazione tra segni e chi li interpreta e i processi impliciti nella comunicazione. La teoria degli atti linguistici di Austin ‘’Dire qualcosa equivale a fare qualcosa’’ austin fu il primo a dire che comunicare equivale ad agire. Un enunciato non descrive solo un contenuto, ma serve a compiere delle vere e proprie azioni in ambito comunicativo. Esistono 3 tipi di atti linguistici: - Atti locutori (atti di dire qualcosa, ciò che è un parlante dice, azioni che si compiono per il solo fatto di parlare) - Atti illocutori (atti nel dire qualcosa, intenzioni comunicative del parlante) - Atti prelocutori (atti con il dire qualcosa, gli effetti che la comunicazione produce sull’interlocutore) Ogni atto ha una forza e può essere modulato, sul piano pragmatico, con più o meno forza. Per gli atti locutori, ciò che si dice può essere rinforzato con il tono. Per gli atti illocutori, ciò che si fa nel dire può essere modulato con la scelta delle parole, per gli atti prelocutori, ci può essere un diverso effetto sull’interlocutore (a seconda del contesto, delle credenze, dello stato d’animo di entrambi, delle motivazioni, ecc.) Le massime conversazionali di Grice Grice ci spiega il Principio di cooperazione, che è un accordo di base tra i partecipanti per dare il proprio contributo allo scambio comunicativo, stabilisce le regole implicite che guidano la comunicazione efficace, sottolineando l’importanza della cooperazione reciproca. Si articola in quattro regole o massime conversazionali: quantità, qualità, relazione e modo. 1. Massime di quantità Da informazione necessarie per comprendere il messaggio, da un contributo tanto informativo quanto richiesto, il messaggio deve soddisfare la richiesta di informazioni in modo adeguato agli scopi della conversazione. Non deve fornire poche o troppe informazioni rispetto al necessario. Esempio: vedere una scatola di cereali con l’etichetta ‘’0% escrementi di topo’’ 2. Massima della qualità Il contenuto del messaggio deve essere attendibile, non dire ciò che credi falso, non dire ciò per cui non hai prove adeguate. Esempio: mentire sulle proprie abilità in un curriculum o dare indicazioni stradali scorrette. 3. Massima della relazione Il messaggio deve essere pertinente e deve essere relativo all’argomento della comunicazione. Esempio: rispondere intenzionalmente in maniera evasiva a una domanda d’esame su cui non si è preparati. 4. Massima di modo La comunicazione deve essere chiara e non ambigua, evita espressioni oscure, evita ambiguità, si breve, si ordinato nell’esposizione. Esempio: usare espressioni fuorvianti per non far comprendere il significato della conversazione a chi è presente in quel momento (bambini o estranei). L’interazione comunicativa, come la conversazione, inoltre, deve rispettare anche le regole che permettono la gestione dell’avvicendamento dei turni (turn taking). Le strategie sottostanti all’avvicendamento dei turni si rendono necessarie per garantire uno sviluppo virtuoso della conversazione e per superare i limiti cognitivi che rendono problematico l’ascoltare e contemporaneamente il parlare. Delle strategie sull’avvicendamento dei turni se ne occupò tra i primi Duncan. Le analisi condotte sulle registrazioni di conversazioni consentirono a Duncan di individuare una serie di indizi verbali e paralinguistici che segnalano la volontà del parlante di cedere il turno, in altre circostanze di richiederlo e in altre ancora di mantenerlo. LA PRAGMATICA DELLA COMUNICAZIONE UMANA -Watzlawick Il linguaggio ha conseguenze sul piano del comportamento e delle relazioni, il ruolo della comunicazione nella costruzione della realtà soggettiva delle persone e nella determinazione della qualità delle relazioni interprersonali. La pragmatica della comunicazione è una teoria generale dell’interazione nella comunicazione interpersonale basata su 5 assiomi. Tutto ha comunicazione: non solo parole (comunicazione verbale) o gesti (comunicazione non verbale), ma anche silenzi e comportamenti. Ogni azione, o inazione, trasmette un messaggio. 1. Non si può non comunicare Qualunque comportamento manifestato da una persona in presenza di una o più persone, indipendentemente dalla consapevolezza e intenzionalità comunicativa è comunicazione ed è possibile: - non rispondere (passività, fuga) - rifiutarsi di rispondere - rispondere senza rispondere MA NON È POSSIBILE NON COMUNICARE QUALCOSA! 2. Ogni comunicazione veicola un contenuto o una relazione La relazione fornisce una chiave di lettura del contenuto. Esempio: ‘’Fai quel lavoro’’ VS ‘’Ci sarebbe da fare quel lavoro’’/ ‘’Non ho tempo’’ VS ‘’Magari piu tardi se mi resta tempo’’. 3. La natura di una relazione dipende dalla PUNTEGGIATURA delle sequenze di comunicazione tra i comunicanti. La punteggiatura intesa come interpretazione della realtà, il punto di vista dell’interlocutore. La stessa realtà comunicativa può essere letta in modi diversi a seconda della punteggiatura. 4. Gli esseri umani comunicano con il mondo digitale e con il modulo analogico Modulo DIGITALE: Modulo ANALOGICO Attraverso la combinazione di suoni (e Attraverso l'espressione dei movimenti del quindi di parole) si possono esprimere un corpo si possono esprimere in modo numero INFINITO di messaggi in modo immediato alcune emozioni e sensazioni dettagliato e preciso (canale verbale: non altrimenti comunicabili (canale non veicola gli aspetti di contenuto) verbale, veicola gli aspetti di relazione) Gli scambi di comunicazione sono SIMMETRICI o COMPLEMENTARI a seconda che siano basati sull'uguaglianza o sulla differenza Nelle relazioni simmetriche si ha un rapporto paritario tra gli attori della comunicazione; Nelle relazioni complementari uno degli attori in un momento specifico dell'interazione riconosce le posizioni e l'interdipendenza dell'altro. Alcuni tipi di relazione sono stabiliti dal contesto sociale-culturale. I due tipi di relazione non sono positivi o negativi di per sé; Entrambi sono positivi o negativi a seconda delle situazioni. LA COMPETENZA COMUNICATIVA Non devo solamente avere la conoscenza dei simboli e dei significati e sapere come si usano, ma devo avere anche la capacità di produrre enunciati adeguati alla specifica situazione comunicativa. Bisogna sentirsi efficaci, consapevoli e intenzionali riguardo la comunicazione. Secondo Parks , la competenza comunicativa rappresenta il grado con cui gli individui soddisfano e percepiscono di aver soddisfatto i loro scopi in una data situazione sociale, senza mettere a repentaglio la loro abilità o l’opportunità di perseguire altri obiettivi ritenuti più importanti [ibidem, 595]. In questa definizione i concetti di intenzionalità e di consapevolezza assumono un ruolo centrale e si intrecciano con quello di efficacia. Se pensiamo che il trattato di retorica di Aristotele è stato scritto nel IV secolo avanti Cristo possiamo forse affermare che questo aspetto del processo di comunicazione sia tra i più studiati. La competenza comunicativa è divisa in tre ambiti: - Competenza sintattica: capacità di produrre frasi formalmente corrette e di comprenderle come tali in base a regole grammaticali. - Competenza semantica: capacità di associare le parole (significati) agli oggetti, eventi o situazioni (significanti) cui corrispondono. - Competenza pragmatica: capacità di comunicare tenendo conto del contesto. IL LINGUAGGIO VERBALE -capitolo 2 Comprendere e produrre messaggi: Il linguaggio verbale utilizza parole per riferirsi a oggetti, eventi, sentimenti, situazioni e così via. Tuttavia, le singole parole non bastano, e i concetti che esprimiamo sono collegati tra loro attraverso vari tipi di relazioni, che definiscono la sintassi di una lingua. In una semplice frase come «Il bambino mangia la mela» troviamo un verbo che indica l’azione che viene eseguita e due nomi che fungono da attori, ciascuno con un diverso ruolo. Nell’esempio, il bambino è colui che fa qualcosa, la mela è l’oggetto sul quale viene eseguita l’azione e ‘’mangia’’ è l’azione in sé. La comunicazione verbale fa uso del linguaggio scritto e parlato, alla sua base c’è il linguaggio umano che è il sistema elettivo di trasmissione dei messaggi. Il linguaggio è la funzione cognitiva che ci permette di acquisire e usare una o piu lingue. Il linguaggio è qualcosa che possiamo anche osservare nel nostro cervello, si riflette o è funzione cognitiva distribuita in diverse aree del cervello: - L’area di Broca, coinvolta nella produzione e articolazione delle parole - L’area di Wernicke è cruciale per la comprensione del linguaggio - La corteccia visiva gioca un ruolo importante nell’elaborazione di lettere e parole scritte - La corteccia motoria è coinvolta nell’articolazione Approccio psicolinguistico Studia i meccanismi di produzione e comprensione del linguaggio. La lingua e’ il sistema di simboli combinabili secondo precise regole cosi da poter generare un numero infinito di possibili messaggi. LA LINGUA HA UNA STRUTTURA PIRAMIDALE I fonemi sonole unità più piccole del linguaggio che compongono la lingua, non corrispondono sempre alle lettere ma ai grafemi, l’unità grafica minima di una lingua. La corrispondenza tra fonemi e grafemi varia da lingua a lingua. Esistono poi le: - Lingue Trasparenti: che hanno una buona corrispondenza tra grafemi e fonemi - Lingue Opache: che hanno una bassa corrispondenza tra grafemi e fonemi Per ogni lingua, due suoni linguistici sono fonemi differenti se sostituendo l’uno con l’altro cambia il significato delle parole in cui compaiono: - es: Rana - Lana o Sale – Tale Ogni lingua possiede un numero finito di fonemi che possono essere pronunciati con differenti variazioni regionali, individuali o contestuali, dette allofoni (es: tendo e banco.) Morfemi e parole Le combinazioni di fonemi formano morfemi ( unità più piccole dotate di significato, esempio: ‘’gatt’’ è un morfema) e parole di una lingua, ma non tutte le combinazioni sono consentite; Non-parole: - Darta (Regolari) - Datza (Irregolari) - Drtzc (Illegali) Possiamo costruire queste parole, pero non sono parole di senso compiuto Sintagmi Catena sintattica: struttura con cui si dispongono le parole all’interno di una frase. Il Sintagma è un’ unità minima di tale catena. E’ costituito da: una TESTA che è la parte fondamentale, i MODIFICATORI che costituiscono gli altri elementi del sintagma. Inoltre, i sintagmi si dividono in: sintagmi nominali (contengono un nome), sintagmi verbali (contengono un verbo) e sintagmi preposizionali (contengono una preposizione). Il sintagma è l’elemento principale e minimo della frase. La maggior parte delle frasi è composta da un sintagma nominale e da un sintagma verbale. Le frasi Sono combinazioni di parole e sintagmi e seguono determinate regole, le regole permettono di combinare i simboli del linguaggio (parole) per produrre significati complessi (frasi e discorsi/testi). Secondo Noam Chomsky, la sintassi permette di proiettare il finito (parole, regole grammaticali) nell’infinito (numero di frasi) e rende il linguaggio naturale uno strumento di comunicazione unico. Le diverse lingue presentano notevoli differenze, MA tali differenze sono di tipo superficiale. Il suo obbiettivo è analizzare che tutte le lingue conosciute condividono un numero di elementi in comune chiamati universali linguistici. UNIVERSALI LINGUISTICI DI NORMA CHOMSKY 1. Ciascuna lingua ha un numero finito di fonemi 2. Da un numero finito di fonemi è possibile costruire un numero finito di parole 3. Le parole di una lingua (lessico) sono in numero finito 4. La relazione tra ciascuna parola e il proprio significato è arbitraria (ogni parola che noi scegliamo ha un determinato significato. Noi abbiamo scelto che lo ‘’zaino’’ si chiama ‘’zaino’’, è una scelta arbitraria perche non tutti lo chiamano come noi) 5. In qualsiasi lingua è possibile produrre un numero infinito di frasi = produttività linguistica Lo sviluppo del linguaggio: l’acquisizione della lingua madre Il contenuto del messaggio che si vuole trasmettere può essere indipendente dal tipo di linguaggio utilizzato, e si può decidere di utilizzare un linguaggio anziché un altro. In alcune circostanze tuttavia, se si desidera comunicare in modo efficace, è necessario essere in grado di scegliere quale linguaggio utilizzare in funzione di ciò che si deve comunicare. Se vogliamo salutare una persona, ad esempio, abbiamo a disposizione diversi modi, ma è evidente che nel corso di una conversazione telefonica non abbiamo altra possibilità che il linguaggio verbale, mentre se siamo entrambi nello stesso luogo possiamo anche salutarci con un gesto, e questo linguaggio diventa l’unico a disposizione se non parliamo la stessa lingua. Il linguaggio è un’abilità cognitiva complessa, tuttavia si impara a parlare e comprendere con poco sforzo. I bambini imparano a parlare velocemente, iniziano presto, senza istruzione formale. Appena nati i bambini sono predisposti ad imparare qualsiasi lingua: rispondono a tutte le distinzioni possibili tra suoni diversi. Durante il primo anno di vita sono esposti ad una specifica lingua e si specializzano a distinguere i suoni di quella lingua, aquisire le regole grammaticali. E’ Sorprendente la velocità con cui i bambini raggiungono la padronanza del linguaggio, che è uno strumento molto complesso. I bambini in età pre-scolare non imparano esplicitamente le regole grammaticali e non vengono corretti quando producono frasi scorrette: gli adulti tendono a correggere il contenuto, cioè gli errori semantici e concettuali, ma non correggono le frasi scorrette da un punto di vista grammaticale. Es, bambino: ‘’Domenica vado in asilo’’, mamma: ‘’no, la domenica si sta a casa’’. I bambini sono in grado di acquisire inconsciamente le strutture grammaticali, con un addestramento scarso o perfino nullo. Noam Chomsky (anni ‘50-60) immagina l’esistenza di un meccanismo innato di acquisizione del linguaggio e lo chiama: Language Acquisition Device (LAD). Un meccanismo presente fin dalla nascita, come se nascessimo con un meccanismo intrinseco che ci fornisce le regole grammaticali per poter formulare delle frasi da soli. Egli riflette sulle strutture grammaticali comuni in tutte le lingue, che poi noi decliniamo nella lingua che acquisiamo. Il meccanismo biologico che fornisce le regole generali della grammatica (“grammatica universale”) comuni a tutte le lingue prende il nome di teoria generativista. GRAMMATICA GENERATIVO-TRASFORMAZIONALE Le Regole trasformazionali trasformano e agiscono sulla struttura superficiale e producono una frase diversa dalla frase originale, trasformano frasi in altre frasi con lo stesso significato ma con forma sintattica diversa. Un esempio è trasformare una frase attiva in una frase passiva. Le frasi che derivano da altre frasi tramite l’applicazione delle regole trasformazionali hanno (secondo Chomsky): diversa struttura superficiale ma stessa struttura profonda. La stessa struttura profonda può essere veicolata da strutture superficiali diverse come: - «Sara ha scritto una poesia». - «Una poesia è stata scritta da Sara». - «Scritta da Sara è una poesia». Frasi che hanno identica struttura superficiale ma diversa struttura profonda. Frasi uguali ma che possono avere significati diversi a seconda di come vengono lette. Secondo Chomsky la frase dichiarativa attiva è la frase più semplice e ogni trasformazione richiede lavoro cognitivo e tempi di comprensione più lunghi. Quante più sono le trasformazioni compiute su una frase, tanto maggiore è il tempo necessario per l’elaborazione. ESPERIMENTO DI SLOBIN Slobin mette in luce il ruolo del significato nella comprensione di frasi con la stessa struttura profonda ma diversa struttura superficiale. Il Compito dei partecipanti è verificare (VERO/FALSO) se ciascun disegno corrisponde al significato di ciascuna frase. Frase Attiva “Il cane insegue il gatto” Frase Passiva “Il gatto è inseguito dal cane” Frase Attiva “La ragazza innaffia i fiori” Frase Passiva “I fiori sono innaffiati dalla ragazza” La frase passiva impiega più tempo per essere compresa, rispetto alla frase attiva. La frase passiva e la frase attiva impiegano lo stesso tempo per essere comprese, è plausibile che il gatto insegua il cane? La frase è reversibile. È plausibile che i fiori innaffino la ragazza? La frase è irreversibile. Esistono 3 tipi di elaborazione di una frase: Fonologica/ortografica: Identificazione e riconoscimento dei singoli fonemi o grafemi Sintattica: A ciascun elemento della frase viene assegnato uno specifico ruolo sintattico Semantica: Per ciascuna parola viene recuperato il corrispondente significato Interazione tra sintassi e semantica Comprendere una frase vuol dire elaborare una rappresentazione mentale del significato della frase. Attribuire uno specifico ruolo grammaticale. Recuperare dalla Memoria a lungo termine (bacino di memoria in cui noi tutti conserviamo i nostri ricordi e tutto quello che abbiamo imparato) il significato delle parole in ciascuno degli elementi presenti. Per produrre le frasi noi utilizziamo la memoria di lavoro, prendiamo le frasi dalla memoria a lungo termine e le facciamo “lavorare” grazie alla memoria del lavoro. Modelli interattivi e modelli seriali Nel Modello interattivo c’è un interdipendenza tra le componenti sintattica e semantica nella comprensione di una frase. Nei Modelli seriali c’è un autonomia e indipendenza tra le componenti e i diversi livelli di elaborazione. Il linguaggio è ambiguo A Livello fonologico: il parlato è un flusso continuo, cioè non ci sono pause tra una parola e l’altra. Esempio: “Lei è una donna ricca e famosa, Di/Amanti ne ha avuti molti?” A Livello semantico vediamo le parole polisemiche, esempio: “Bello quel merlo”. A Livello sintattico potremo trovare delle ambiguità strutturali, esempio: “Il poliziotto insegue il ladro con la pistola”. L’Ambiguità sintattica Le hanno assegnato un incarico che svolgerà con grande entusiasmo ieri”. L’avverbio “ieri” in fondo alla frase non è compatibile con il verbo al futuro. Una frase come questa richiede una ri-analisi e revisione dell’interpretazione iniziale. Ma come si analizzano le frasi? L’elaboratore sintattico comincia l’analisi della frase e mano che le parole vengo percepite fornisce una descrizione iniziale della struttura della frase, che, nelle frasi ambigue, può essere confermata (o meno) dalle parti successive della frase. Strategia dell’attaccamento minimale (Minimal attachment - Frazier,1978) E’ un principio secondo il quale l’elaboratore sintattico elabora la descrizione iniziale: l’elaboratore sintattico elabora in modo da costruire strutture sintattiche il più semplici possibili, qui viene preferita l’analisi più semplice che riduce il materiale da tenere attivo in memoria di lavoro. Strategia della chiusura differita (Late Closure - Frazier,1978) «Marco cercava il libro di Anna che era in cucina»;Chi è in cucina? Il libro o Anna? Secondo questa strategia, l’elaboratore sintattico, in frasi con più interpretazioni ma ugualmente complesse dal punto di vista sintattico, attacca il materiale in arrivo al costituente aperto, cioè i nodi in elaborazione. Dubbi sulle strategie in lingue diverse Cuetos & Mitchell (1988) hanno dimostrato che gli inglesi e gli spagnoli interpretano questo tipo di ambiguità in modo diverso: «Marco cercava il libro della ragazza che era in cucina» - parlanti inglesi → la ragazza che era in cucina - parlanti spagnoli → il libro era in cucina Parlanti lingue diverse differiscono per il tipo di elaborazione sintattica condotta, e quindi per il tipo di rappresentazione mentale del significato della frase? Le ambiguità sintattiche sono esplicite e rilevate facilmente perché costringono il lettore a tornare indietro e a ri-analizzare la frase, molto spesso, non si è consapevoli delle diverse interpretazioni possibili di una frase. Esempio: mangio la pizza con la forchetta o mangio la pizza con la birra o mangio la pizza con la zia. LA PROSODIA La prosodia è il ritmo e l’intonazione di un enunciato, così come le pause tra le frasi, sono senza dubbio potenziali portatori di informazioni. La prosodia è stata oggetto di minore attenzione da parte degli psicolinguisti, ed è solo negli ultimi venticinque anni che l’interesse per tale dimensione si è sviluppato in modo consistente. Alcuni studi hanno infatti messo in luce l’importanza degli indici prosodici nel guidare l’interpretazione dell’ascoltatore. Però, c’è da precisare che le informazioni prosodiche non risolvono tutte le ambiguità di cui abbiamo parlato; i meccanismi che intervengono nello stadio di elaborazione sintattica sono diversi da quelli che hanno luogo nello stadio di elaborazione delle informazioni prosodiche. I risultati delle ricerche, infatti, mettono in evidenza la complessità della relazione tra sintassi e prosodia, e la necessità di integrare queste due dimensioni in un modello adeguato, in grado di catturare l’architettura funzionale del processo di comprensione. Non va infine dimenticato che l’informazione prosodica, oltre ad eliminare o a ridurre le ambiguità presenti nei messaggi, ha anche un altro ruolo, cioè quello di fornire un significato che può precisare, o anche modificare, il significato letterale. Un esempio, adattato da Bader , può chiarire il ruolo dell’intonazione. Se confrontiamo due frasi come «Andrea ha baciato ANNA» e «ANDREA ha baciato Anna», in cui le parole in maiuscolo indicano la maggior enfasi data nel parlato, ci appare chiaro come le due frasi, pur equivalenti dal punto di vista fattuale, veicolino significati diversi. La prima potrebbe essere una risposta adeguata al quesito: «Andrea ha baciato qualcuno. Chi ha baciato?». A queste domande sarebbe inappropriato rispondere con «ANDREA ha baciato Anna», mentre quest’ultima sarebbe una risposta appropriata alla domanda «Da chi è stata baciata Anna?». CODICI VISIVI E CODICI VERBALI, capitolo 3 Il linguaggio visivo è caratterizzato da alcune prerogative che il linguaggio verbale non possiede, e viceversa; i due tipi di linguaggio non sono equivalenti, ciascuno ha un proprio potere semantico e risponde con diversa efficacia a determinati scopi comunicativi. La comunicazione migliore solitamente avviene quando questi due codici vengono integrati, anche se non sempre entrambi i codici sussistono insieme, a volte il contenuto del messaggio può essere indipendente dal linguaggio usato. A volte colleghiamo automaticamente un immagine alla scritta, anche se la scritta non c’è. Come nel cartello ‘’vietato fumare’’ il codice visivo e’ immediato perché già conosciamo quel divieto. Il codice visivo ha un potere semantico e risponde con diversa efficacia, rispetto al codice verbale, a determinati scopi comunicativi. Favorisce la comunicazione di concetti e rapporti spaziali (un esempio sono le piantine geografiche, disegni anatomici o indicazioni stradali.) Un codice visivo e’ universale, cioè può essere compreso da individui che non parlano la stessa lingua, l’universalità dipende dalla relazione di somiglianza strutturale/percettiva con l’oggetto descritto. Cioè, un codice visivo funziona se l’immagine corrisponde al significato letterale. Anche il codice visivo può creare delle ambiguità. Ad esempio, anche una freccia che è un messaggio universale che indica una direzione potrebbe essere ambigua o non tutti potrebbero capire che direzione indica. Il linguaggio visivo, del resto, presenta alcuni limiti, perché non cattura tutte le caratteristiche degli oggetti che rappresenta. Perfino la fotografia di un oggetto, che potrebbe sembrare il tipo di immagine più vicina all’oggetto reale, ne mostra solo alcuni aspetti, quelli visibili dal punto di vista dal quale è stata scattata la foto. Pensiamo alla campagna pubblicitaria per il lancio di una nuova automobile. Quale potrebbe essere la prospettiva più efficace? Probabilmente la scelta dipende da molti fattori: si tratta di un nuovo modello o di un restyling? Se è stato disegnato un nuovo modello, c’è qualcosa che lo caratterizza? È scontato dire che altre caratteristiche dell’automobile, come ad esempio la cilindrata e molte qualità tecniche, non potranno che essere rese attraverso una descrizione verbale. Regole di configurazione spaziale Probabilmente il fatto di entrare nel salotto della propria casa e riuscire a distinguere chiaramente gli oggetti che ne fanno parte (tavolo, sedie, libreria, e così via) ci appare scontato. La percezione è invece un processo cognitivo complesso e dinamico, dipendente da diversi fattori. Gli elementi che intervengono in tale processo hanno a che fare sia con lo stimolo percepito (le qualità intrinseche dell’oggetto) sia con l’individuo che percepisce (sul quale agiscono fattori come l’esperienza passata, la motivazione, l’apprendimento). Alcuni principi di organizzazione percettiva sono tuttavia considerati innati, e sono stati oggetto di studio da parte degli psicologi appartenenti alla scuola della Gestalt, che si è sviluppata a Berlino a partire dagli anni venti del secolo scorso. La percezione è un processo cognitivo complesso e interpretativo, non dipende solo dalle caratteristiche dello stimolo percepito ma, anche dall’individuo che percepisce. Alcuni principi di organizzazione percettiva sono considerati innati, il nostro sistema nervoso organizza la nostra percezione in modo automatico, permettendo di dare struttura a ciò che è elaborato dalla vista. Uno dei principi generici è l’articolazione figura sfondo che è la capacita di isolare le diverse configurazioni nel campo visivo. Il nostro sistema fa si che noi vediamo un triangolo al centro che in realtà non esiste. Esistono poi le figure reversibili dove avviene un’ inversione sistematica fra figura e sfondo, non riusciamo a percepire le due figure contemporaneamente. Principi di organizzazione percettiva Gli elementi presenti nel campo visivo tendono ad essere percepiti in unità percettive, cioè ad essere percettivamente raggruppati in modi diversi in funzione delle leggi o principi di unificazione. Si dividono in: - Principio della vicinanza - Principio della somiglianza - Principio della buona continuazione (o destino comune) - Principio della chiusura - Principio dell’esperienza passata - Principio della pregnanza Nella prima figura (vicinanza) tendiamo a percepire come un’unica configurazione gli elementi vicini tra loro, nella seconda tendiamo a percepire come un’unica configurazione elementi simili tra loro. Con la buona continuazione tendiamo a percepire come un’unica configurazione elementi che sono coerenti nella forma e direzione. Con il principio della chiusura tendiamo a percepire come un’unica configurazione elementi che formano o tendono a formare una figura chiusa. Con il Principio dell’esperienza passata tendiamo a percepire come un’unica configurazione le forme familiari, l’esperienza passata non è molto forte e agisce quando non agiscono altri fattori. Per noi i volti sono configurazioni molto familiari. Alcuni elementi della scena (rocce, ombre, fronde) si raggruppano assieme grazie al principio di esperienza passata, diventando occhi, nasi, bocche. Non è un principio forte come gli altri che vanno in automatico. Quando animiamo delle cose inanimate, o diamo delle facce agli oggetti (illusione subcosciente) si dice Pareidolia. Per esempio quando guariamo le nuvole e vediamo dei cavalli o altre cose. Il principio della pertinenza è la ORGANIZZAZIONE DELLA CONOSCENZA Nel corso della vita ciascuno di noi acquisisce un ampio repertorio di conoscenze, e nella vita di tutti i giorni svolgiamo numerose attività, molte delle quali ci appaiono semplici e banali. Ci muoviamo in luoghi più o meno familiari, riconosciamo gli oggetti e i volti delle persone che abbiamo occasione di incontrare, risolviamo problemi, prendiamo decisioni. Ogni giorno, probabilmente, apprendiamo anche qualcosa di nuovo. Tutto questo, senza renderci conto della quantità di informazioni «contenute» nella nostra mente. Sia la filosofia sia la psicologia hanno cercato di rispondere a questo importante interrogativo. La psicologia si è interrogata in particolare su due questioni: la prima riguarda il modo in cui è organizzata la conoscenza, la seconda si riferisce alla forma con cui la conoscenza è rappresentata nella nostra mente. Per comprendere come organizziamo le nostre conoscenze si fa riferimento ai sistemi di memoria. Le nostre conoscenze sono nella nostra memoria e i ricercatori hanno provato a studiarla dividendola (memoria semantica, a breve termine e a lungo termine). La memoria a lungo termine E’ la nostra vastissima biblioteca di ricordi più duraturi, ha una capacità di archiviazione illimitata e può avere una durata molto lunga, anche tutta la vita. Si divide in: - Memoria dichiarativa, ‘’sapere cosa’’, cioè si riferisce alla conoscenza esplicita di fatti, significati delle parole, simboli e episodi vissuti. E’ una memoria consapevole e possiamo dichiararla, conserva il significato delle parole. - Memoria procedurale, ‘’sapere come’’, cioè fa riferimento alle conoscenze di cui facciamo uso nel mettere atto procedure, è una forma di conoscenza implicita (non consapevole). Esempi sono: andare in bici, preparare il caffè ecc., sono cose che sappiamo fare ma ci vengono naturali. Memoria semantica Secondo Tulving la memoria semantica è l’insieme di rappresentazioni mentali a lungo termine, delle conoscenze che riguardano le parole, i concetti e i simboli, le loro proprietà e relazioni reciproche e anche nelle conoscenze extra linguistiche che riguardano il mondo fisico. Per esempio: sappiamo che se lancio un oggetto in aria, cade. I suoi contenuti riguardano eventi episodi caratterizzati da informazioni spaziotemporali relative a dove e quando abbiamo vissuto quel ricordo. Vediamo due classi di modelli relativi alla memoria semantica: - Modello che prevede due sistemi di memoria semantica multipli e indipendenti; - Modelli che prevedono un unico sistema di memoria semantica. Il codice con cui sono rappresentate le informazioni nella memoria semantica è amodale = astratto, non specifico e indipendente da: tipo di stimolo (parole, immagini), lingua usata e modalità di presentazione (visiva, acustica, tattile…). L’ipotesi più accettata circa l’organizzazione del sistema semantico è che i concetti siano rappresentati come nodi in una rete. Ciascun nodo corrisponde a un concetto e le connessioni tra i nodi rappresentano le relazioni tra i vari concetti. In questo spazio multidimensionale convivono diversi tipi di relazione [Collins e Quillian 1969], che possono essere di tipo categoriale (topo- leone), gerarchico (topo-animale), associativo (topo-formaggio) e misto (cane-gatto). Le relazioni, inoltre, si differenziano per la loro forza, che riflette la vicinanza di significato all’interno dello spazio semantico: concetti tra loro vicini dal punto di vista del significato sono anche vicini nello spazio semantico. Più i concetti sono vicini nello spazio semantico, più sono vicini nel loro significato. Il recupero delle informazioni dipende dall’attivazione dei nodi concettuali, tramite il meccanismo della diffusione dell’attivazione. L’attivazione si propaga ai nodi più vicini, e diminuisce di intensità al trascorrere del tempo e all’aumentare della distanza. L’effetto priming dimostra che se noi osserviamo una certa parola, si attivano collegamenti di altre parole. UNITA’ DELLA MEMORIA SEMANTICA Le parole hanno una relazione arbitraria con la realtà, mentre le figure hanno una relazione non arbitraria. I VARI SISTEMI 1. Sistema amodale: Sistema in grado di rappresentare informazioni provenienti da modalità sensoriali diverse mediante con un codice comune astratto. 2. Sistemi di accesso e riproduzione specifici per stimoli e modalità (scritta, grafica, uditiva). 3. Procedure di produzione e elaborazione specifiche per stimoli e modalità Il modello poi prevede tre componenti specifiche per quanto riguarda la modalità di accesso: - Lessico ortografico: per l’analisi delle parole scritte - Lessico fonologico: per l’analisi delle parole udite - Sistema di descrizione strutturale per l’elaborazione delle immagini ACCESSO LESSICALE Le informazioni concettuali sono rappresentate in una componente separata (sistema semantico) rispetto a quella lessicale (lessico ortografico, fonologico). Un semplice esempio che prova questa separazione: le parole omofone e omografe. Data una parola, l’accesso lessicale avviene solo per quella parola? NO: Nel lessico mentale non si verifica un semplice accesso alla voce lessicale, ma una sua attivazione. Ci sono degli esperimenti di Mansel Wilson per provare questa tesi, tempo necessario per riconoscere una parola è correlato con la porzione di parola che si deve ascoltare prima che diventi distinguibile in modo inequivocabile. Cioè, se sento l’inizio di una parola come ‘’par’’ la mia mente inizia a formare delle parole automaticamente. Come par, diventa parola. RICONOSCIMENTO DI OGGETTI C’è una teoria della percezione di Marr che cerca di spiegare come riusciamo a percepire le cose. Il modello assume che il riconoscimento di oggetti consista nella costruzione di rappresentazioni sempre più dettagliate. Il modello si articola in tre stadi, che Marr ha chiamato abbozzo primario, abbozzo a due dimensioni e mezza (2D e mezza) e modello tridimensionale (3D). Il primo livello corrisponde alla configurazione visiva creata dall’oggetto sulla retina ed è quindi una rappresentazione bidimensionale. L’aspetto più interessante del modello di Marr è costituito dallo stadio intermedio, nel quale vengono integrate le informazioni relative alla profondità. A questo livello si ha il passaggio da un punto di vista centrato sull’osservatore, in cui sono visibili solo le superfici dell’oggetto dal punto in cui è collocato l’osservatore, a un punto di vista centrato sull’oggetto, in cui la struttura dell’oggetto è rappresentata in maniera che non dipende più da un particolare punto di vista. L’ipotesi di Marr è che, a partire dall’abbozzo a 2D e mezza, il sistema ricostruisca dei volumi che costituiscono il prodotto finale della descrizione strutturale dell’oggetto. L’ultimo livello, per l’appunto, è costituito dalla rappresentazione della struttura tridimensionale dell’oggetto. Quelli che sono stati ora descritti costituiscono i sistemi di accesso al sistema concettuale. Per quanto riguarda il processo di produzione il modello prevede un lessico fonologico in uscita per la risposta di tipo orale e un lessico ortografico in uscita per la risposta scritta. Nella lettura ad alta voce l’informazione viene trasmessa a una componente in uscita preposta al mantenimento temporaneo dell’informazione fonologica e che nel modello viene chiamata «buffer» fonemico. Parallelamente, per la scrittura è previsto un «buffer» grafemico. Infine, come specificato nella descrizione del modello, è necessario prevedere anche delle procedure di elaborazione funzionalmente distinte, cioè delle operazioni mentali che permettono di passare da un livello di rappresentazione agli altri. Per comprendere questa nozione ci può essere d’aiuto presentare il modello di lettura proposto da Coltheart e colleghi nel 2001. Esso prevede che una parola possa essere letta attraverso due vie. La prima procedura, chiamata via non lessicale, «costruisce» le forme fonologiche delle parole scritte. Ciascun grafema viene «tradotto» nel corrispondente fonema e questi vengono fusi insieme per ottenere il codice fonologico della sequenza. Questa procedura è indispensabile per leggere parole nuove, non conosciute, e pseudoparole (stringhe di lettere che non hanno alcun significato, come turfo). Tuttavia, non avendo a disposizione informazione lessicale, può dare origine ad errori di pronuncia (per parole irregolari) o di accento (per parole multisillabiche). Ad esempio, uno straniero potrebbe leggere la parola tavolo come tavòlo anziché tàvolo (perché le informazioni relative alla pronuncia sono rappresentate a livello del lessico). La seconda procedura, chiamata via lessicale, permette invece il riconoscimento della forma intera di una parola attivando la corrispondente entrata lessicale, prima nel lessico ortografico e poi nel lessico fonologico. Perciò, mentre le parole regolari possono essere lette sia attraverso la via lessicale sia attraverso la via non lessicale, le parole irregolari possono essere lette correttamente solo attraverso la via lessicale. L’architettura funzionale del modello presentato in questo paragrafo risponde in modo efficace ai requisiti di un sistema produttivo, sia perché risponde a un principio di economia cognitiva che evita una ripetizione ridondante delle stesse informazioni in sistemi separati, sia perché permette l’interazione fra informazioni elaborate da modalità e sistemi sensoriali diversi. COMUNICAZIONE NON VERBALE, capitolo 4 Con la comunicazione verbale siamo in grado di veicolare i messaggi complessi, informazioni complesse specifiche. Mentre la comunicazione non verbale ha un carattere di immediatezza e non necessita di grandi spiegazioni. La comunicazione non verbale serve ad arricchire la comunicazione verbale, disambiguarlo e anche a volte sostituirlo. La comunicazione non verbale è intenzionale e inconsapevole, cioè ci sono risposte comportamentali di cui non siamo consapevoli, come la nostra postura le nostre espressioni facciali oppure le fisiologiche e spontanee come la sudorazione, dilatazione delle pupille sono tutti segnali non verbali. I messaggi non verbali consentono: - di trasmettere atteggiamenti e intenzioni all’interlocutore; - di inferire atteggiamenti e intenzioni dell’interlocutore La comunicazione non verbale ha un ruolo importante per veicolare aspetti di relazione, sostenere e completare la comunicazione verbale, regolare le interazioni (feedback). La comunicazione non verbale è il canale privilegiato per comunicare le emozioni. I SISTEMI DELLA COMUNICAZIONE NON VERBALE I sistemi sono 4: 1. Il SISTEMA VOCALE sfrutta il canale vocale-uditivo, è legato alla comunicazione verbale. Comprende: il tono con la frequenza di voce e la sua modulazione, può variare il significato letterale (es: ironia), l’intensità che è il volume della voce (es: accento enfatico, stati emotivi come arrabbiatezza/trisezza) e il tempo, cioè la sua velocità, il ritmo e le pause (es: parlo velocemente perchè ho fretta di andare via). Il silenzio fa parte del sistema vocale ed è indizio comunicativo non verbale. Anche esso può essere classificato in vari modi: - Silenzi psicolinguistici: interrompono la continuità del parlato (es: momento di esitazione) - Silenzi interattivi: aiutano l’interazione tra comunicatori (es: turni del parlato) - Silenzi socio-culturali: norme culturali nella gestione dei due silenzi precedenti (es: in occidente si prediligono turni veloci con brevi silenzi → il silenzio equivale ad una minaccia, alla mancanza di cooperazione per la gestione della conversazione; in oriente si allungano i tempi di silenzio → indicatore di fiducia, di confidenza, di armonia e di intesa). 2. Il SISTEMA CINESICO coinvolge la mescolatura corporea e include segnali codificati e intenzionali (indicare, lingua dei segni) e segnali spontanei (espressioni facciali, postura). La mimica facciale: è un indice di stati emotivi e di personalità. Alcune emozioni sembrano universalmente riconosciute, ma è importante il contesto (esempio: sorriso felice vs sorriso imbarazzato). Ekman ha dimostrato che il ruolo della cultura nell’espressione delle emozioni attraverso la mimica facciale è ridotto, egli riprende la teoria di Darwin, l’espressione delle emozioni attraverso la mimica facciale deriva dall’evoluzione, è innata e dipende da una serie di programmi neurofisiologici di origine genetica, con cui nasciamo automaticamente. Secondo Ekman, esistono movimenti facciali tipici per le emozioni di base, primarie o fondamentali, che sono universali e condivise da tutte le culture. Le emozioni di base corrispondono a cambiamenti dei muscoli della fronte, delle sopracciglia, delle palpebre, delle guance, del naso, delle labbra e del mento. Le altre azioni compiute con il volto sono emozioni secondarie o ‘’non – emozioni”, cioè atti che regolano l’interazione verbale, commenti sulla comunicazione, messaggi volontari. Secondo Ekman Le emozioni di base sono 6: Paura, Sorpresa, Rabbia, Disgusto, Tristezza, Gioia. Lo sguardo consente il contatto visivo e lo spostamento dell’attenzione su un punto, è importante nella gestione dei turni conversazioni. Il contatto oculare (lo sguardo reciproco) aumenta l’attivazione nervosa in molte specie, compresa quella umana, è fondamentale per l’avvio di qualsiasi rapporto interpersonale e può avere valore di minacce e pericolo. È caratteristico delle situazioni di seduzione ed innamoramento, veicola delle intenzioni verso l’altro. Nelle conversazioni asimmetriche, chi in una posizione di potere tende a guardare di più e più allungo l’interlocutore e non viceversa. Lo sguardo è un segnale potente per chiedere e ottenere il consenso alla propria punto di vista, favorisce la cooperazione facilitando la comunicazione di intenti positivi di condivisione. I Gesti sono divisi in 6 tipologie (Anolli, 2022): 1. Gesticolazione: accompagna la comunicazione verbale, è solo rafforzativo e non necessariamente significativo; 2. Pantomima: rappresentazione gestuale di un situazione, cioè quand mimo qualcosa; 3. Emblemi (o gesti simbolici): convenzionali, con un preciso significato, ad esempio: richiamare il silenzio mettendosi il dito davanti alla bocca; 4. Gesti deittici: usati per indicare; 5. Gesti motori: movimenti ripetuti (tamburellare, tremolio gamba, giocare con capelli, …), possono essere sintomo di stress; 6. Linguaggio dei segni: linguaggio codificato e condiviso, ha una propria grammatica e un gruppo di persone che lo utilizza. Postura e movimenti corporei: sono legati alla cultura e al contesto, ma alcuni pattern sono abbastanza costanti (esempio: abbassamento del corpo come segnale di umiltà, rilassamento muscolare come segnale di potere). 3. IL SISTEMA PROSSEMICO Il terzo sistema di significazione non verbale è il sistema prossemico, e si riferisce alla gestione dello spazio interpersonale. Tra i vari segnali è forse il più facile da misurare, in quanto può essere espresso su un continuum in centimetri che rappresentano la distanza tra le persone coinvolte nell’interazione. Hall (1966) quantifica 4 intervalli di distanza: Spazio dell’intimità (0-50 cm): spazio degli affetti. Spazio personale (50-120 cm): spazio confidenziale. Spazio sociale (120-240 cm): permette libertà di movimento. Spazio pubblico (oltre 240 cm): comunicazione in pubblico Questa classificazione è valida per la cultura studiata da Hall (cioè quella americana degli anni sessanta). Naturalmente, come per la maggior parte dei segnali non verbali, ci sono differenze tra cultura e cultura. Per esempio, la vicinanza fisica sembra essere più frequente tra i popoli arabi e nordafricani che tra le popolazioni nordiche occidentali. Anche il contatto corporeo fa parte del sistema prossemico e sollecita il sistema aptico (esplorazione attraverso il tatto). La distanza sociopsicologica tra persone è un fattore chiave nella gestione della comunicazione aptica. Facciamo cenno a quelle che sono le Differenze culturali: - Cultura della distanza: la distanza interpersonale è grande e ogni riduzione spaziale è percepita come invasione - Cultura della vicinanza: la distanza interpersonale è ridotta e la distanza è comunicata come freddezza e ostilità 4. IL SISTEMA VISIVO Comprende: Immagini: fotografie, disegni, grafici, illustrazioni, segnali. Molti degli elementi della comunicazione non verbale sono comunicati attraverso rappresentazioni visive, che sono particolarmente importanti nella comunicazione di massa (riproducibilità e immediatezza), un esempio sono le: emoticons che suppliscono all’assenza di comunicazione non verbale tipica della comunicazione scritta. Molto usate in chat, forum, ma anche sms e email. Come tutta la comunicazione non verbale, anche quella propria delle rappresentazioni visive si può esprimere in modo sistematico e codificato (come nell’esempio delle emoticons e dei segnali), oppure in modo più sottile e non necessariamente consapevole (come nella scelta dei colori, della luminosità di un’immagine). La comunicazione attraverso rappresentazioni visive è particolarmente importante nella comunicazione di massa, grazie alla facilità nella riproducibilità e diffusione del messaggio visivo e alla sua immediatezza. Resta da dire però che, la maggior parte dei messaggi comunicativi coinvolge più sistemi, coordinandoli tra loro nel processo di costruzione del significato. Per esempio, mentre si descrive un oggetto spesso si rappresenta iconicamente la sua forma con le mani, oppure quando si danno indicazioni si articolano atti deittici indicando le direzioni del percorso, o ancora una dichiarazione d’amore può essere arricchita da segnali non verbali cinesici (contatto visivo prolungato, pupille dilatate, aumento del battito cardiaco), prossemici (contatto fisico) e vocali (una voce calda, bassa e tremante). Questa coordinazione richiede un processo di sincronizzazione da parte della fonte e di integrazione da parte del ricevente, in cui i sistemi di comunicazione come gli strumenti di un’orchestra giocano un ruolo di interdipendenza nel fornire significati da un lato congruenti e dall’altro complementari. LE FUNZIONI DELLA COMUNICAZIONE NON VERBALE I segnali non verbali caratterizzano la nostra vita, regolando e influenzando innumerevoli processi cognitivi a vari livelli: - Livello individuale - Livello interpersonale - Livello intergruppi - Livello della comunicazione di massa Livello individuale In questo livello i segnali non verbali hanno una ‘’doppia natura’’ perchè possono essere sia manifestazioni di stati psicologici soggiacenti (gioia=sorridere) o possono essere causa di stati psicologici soggiacenti (sorridere=gioia). Se pensare ai segnali non verbali come conseguenze di stati psicologici è molto intuitivo, non lo è invece la relazione inversa. Argyle ha suggerito che i segnali non verbali possono essere non solo conseguenza ma anche causa dei corrispondenti stati psicologici. Infatti, persino quando il comportamento non verbale è indotto in modo artificiale esso mantiene il suo impatto psicologico. Per esempio, ci sentiamo più felici dopo aver sorriso e più arrabbiati dopo aver corrucciato le sopracciglia. L’influenza degli stati corporei sugli atteggiamenti può avvenire secondo tre processi principali (Briñol e Petty, 2008): - Fungono da indizi (cues) cioè elementi informativi, es: un ideogramma cinese neutro è valutato più piacevole se si ha il braccio piegato verso se stessi, meno se verso l’esterno. - Agiscono sul modo e la quantità di elaborazione, es: elaborazione di un messaggio persuasivo è più profonda da sdraiati piuttosto che in posizione eretta (Petty & Cacioppo, 1986) - Influenzano la sicurezza delle persone nelle proprie idee e pensieri, es: schiena dritta e petto in fuori inducono maggiore autostima e sicurezza nei propri giudizi rispetto a stare piegati su se stessi. Il livello interpersonale Questa è la funzione forse più studiata, in quanto molti corsi di comunicazione efficace (come quelli rivolti a chi svolge ruoli commerciali a diretto contatto con i clienti) dedicano largo spazio ai segnali non verbali e a come possono essere interpretati e sfruttati nel processo persuasivo. Una delle prime funzioni del comportamento non verbale è quella di regolare l’interazione interpersonale. Si pensi all’importanza dei segnali non verbali nella regolazione dei turni di parola. Inoltre i segnali non verbali possono giocare un ruolo chiave nella segnalazione degli atteggiamenti e nella creazione o nel cambiamento degli atteggiamenti. I segnali non verbali concorrono in modo autonomo, complementare o a volte addirittura in contrasto rispetto alla comunicazione verbale a segnalare quale sia l’atteggiamento della persona nei confronti dell’oggetto target (una persona, una cosa). La distanza è uno dei segnali più evidenti: tendiamo ad avvicinarci a ciò/chi ci piace. Inoltre, i segnali non verbali possono essere utilizzati come strumento di autopresentazione espressiva, con lo scopo di comunicare qualche informazione su di sé (si pensi al ruolo dei comportamenti autolesionisti nell’espressione di disagio) oppure di autopresentazione strategica, con lo scopo di piacere agli altri (per esempio, si cerca di assomigliare nei gesti e nello stile estetico alla comunità della quale si vuole fare parte e alle persone alle quali si vuole piacere). La comunicazione non verbale svolge importanti funzioni anche in ambito clinico. Per esempio, le procedure di comunicazione facilitata consentono a persone affette da autismo di comunicare i propri pensieri scrivendoli al computer grazie al tocco del facilitatore, che appunto facilita il processo di comunicazione appoggiando una mano sul braccio o sulla spalla della persona. Oppure la sincronizzazione dei comportamenti non verbali tra terapeuta e paziente. Il livello intergruppi Si parla di comunicazione non verbale all’interno di gruppi, i segnali non verbali hanno la funzione di: Segnalare l’appartenenza sociale, ad esempio a livello cinetico, i movimenti di approccio verso membri del proprio gruppo sociale e movimenti di evitamento verso membri di gruppi diversi del proprio. Anche il modo di vestirci, tendiamo a vestirci come le persone che appartengono al nostro gruppo. Regolare le interazioni tra membri di gruppi sociali, ad esempio chi appartiene al gruppo con uno status sociale più elevato a maggiore libertà di movimento e quindi dimostra più comportamenti di approccio ed esprime maggiormente le emozioni tramite la mia amica facciale. Mantenere o ridurre differenze sociali, ad esempio quando membri di gruppi di minoranza sorridono a membri di gruppi di maggioranza per prevenire comportamenti di discriminazione. Il livello di massa Il primo ruolo della comunicazione non verbale di massa è quello di fornire informazioni in modo rapido e sintetico (utilizzo di simboli). La seconda funzione è quella di trasmettere dei valori o degli stereotipi, per esempio, la presenza di immagini di donne molto magre sullo scenario mediatico è stata interpretata come veicolo di trasmissione del valore della magrezza (e spesso discussa in relazione a fenomeni dilaganti quali l’anoressia e la bulimia). La trasmissione di valori e stereotipi può avvenire anche in modo più sottile, per esempio sfruttando delle inquadrature, vediamo tre esempi: - Il face-ism (prominenza facciale): chi gode di maggiore status è rappresentato con primi piani, mentre chi gode di minore status è rappresentato a figura intera. - Spatial agency bias (asimmetria spaziale): sono preferite le azioni che si svolgono nel senso della scrittura, da sinistra a destra. E.g., le donne vengono più spesso degli uomini rappresentate a destra con sguardo verso sinistra. - orientamento del comportamento di consumo: Si riferisce al ruolo della stimolazione sensoriale (colori, profumi, musica) sulla promozione di prodotti e servizi, esempio: ambienti che hanno buon profumo inducono emozioni positive, quindi promuovono i comportamenti di acquisto. Il blu, l’azzurro e il verde sono colori che rilassano, e infatti vengono spesso utiliz- zati in scuole o in ospedali. Le persone tendono a trascorrere più tempo e quindi a consumare di più in ambienti profumati. Un negozio che ha un profumo che è congruente con quello che vendo attirerà molto di più. *Bias = distorsione sistematica nel modo in cui elaboriamo le informazioni e prendiamo decisioni. Queste distorsioni derivano da scorciatoie mentali (note come euristiche) che il cervello utilizza per semplificare il pensiero, specialmente di fronte a informazioni complesse o a situazioni incerte. LA COMUNICAZIONE PERSUASIVA, capitolo 5 Una funzione centrale degli atti comunicativi consiste nell’esercitare qualche forma di influenza. Molte interazioni comunicative hanno l’obiettivo di “manipolare” la realtà sociale, ossia fare in modo che l’interlocutore accetti la rappresentazione della realtà che ha la fonte (prodotti, idee, punti di vista). Non necessariamente la volontà di persuadere significa riuscire effettivamente a persuadere. La comunicazione persuasiva mira a produrre cambiamenti (influenzare) su: - Opinioni (esempio: comunicazione in ambito politico) - Credenze (es: un medico che ci dice che l’attività fisica fa bene) - Atteggiamenti (es: un genitore) - Valori (es: un insegnante) Non sempre questo corrisponde a veri e propri cambiamenti nel comportamento. Il comportamento effettivo dipende anche da altri fattori, infatti, lo scopo della comunicazione persuasiva è quello di influenzare sia il piano cognitivo sia il piano comportamentale. Gli elementi della persuasione: approccio atomistico Sono state fatte delle ricerche psicologiche sulla persuasione a partire dagli anni ’40 di Carl Hovlend nell’ Università di Yale. Il gruppo di ricercatori studiò come raccogliere consensi tra cittadini e militari nei confronti della guerra (Yale attitude change approach). Fu fatto uno studio sistematico dei fattori che determinano l’efficacia persuasiva. LA FONTE Hovland e Weiss si sono posti per primi l’obiettivo di mostrare sulla base di prove empiriche che la variazione delle caratteristiche della fonte può influenzare la valutazione degli argomenti da parte del ricevente e in ultima istanza il cambiamento di opinione. Essi sono partiti isolando una particolare caratteristica della fonte, ossia la sua credibilità, definita come COMPETENTE E AFFIDABILE. Gli autori hanno condotto quattro studi applicando lo stesso piano sperimentale a diversi argomenti. Lo stesso messaggio viene attribuito o a una fonte credibile oppure a una fonte poco credibile. Ad esempio, in uno di questi studi si esponevano i partecipanti a un messaggio nel quale si sosteneva l’utilità di costruire sottomarini atomici nel prossimo futuro. Questo messaggio veniva attribuito in una condizione sperimentale a un famoso fisico atomico, nell’altra condizione al giornale ufficiale del Partito comunista sovietico (siamo in periodo di piena guerra fredda). I ricercatori hanno rilevato gli atteggiamenti dei partecipanti su questo tema prima di far loro ascoltare il messaggio subito dopo e dopo 4 settimane. Confrontando le misure di atteggiamento rilevate prima e dopo l’ascolto del messaggio emerge che le fonti credibili producono cambiamenti significativamente più rilevanti delle fonti poco credibili in tre studi sui quattro effettuati. Tuttavia l’effetto scompare alla rilevazione effettuata dopo 4 settimane: diversi partecipanti della condizione «fonte credibile» tornano all’opinione originaria, mentre diversi partecipanti della condizione «fonte poco credibile» manifestano un cambiamento avvenuto nel frattempo. Gli autori interpretano questo risultato sostenendo che, mentre nell’immediato la caratteristica di credibilità della fonte influisce sulla motivazione all’accettazione dei contenuti, con il passare del tempo i riceventi ricordano in modo dissociato argomenti e fonte, quindi basano l’opinione maggiormente sui primi e fanno scomparire l’effetto di quest’ultima. Abbiamo accennato al fatto che la credibilità non riguarda soltanto il livello di conoscenze che la fonte possiede, ma si riferisce anche alla fiducia da parte del ricevente che l’emittente del messaggio esprima un contenuto non finalizzato soltanto al proprio interesse. Quest’ultimo elemento – la fiducia – ha un effetto rilevante. Infatti, risulta che se il ricevente è consapevole che la fonte ha intenzione di persuadere l’effetto dovuto all’attribuzione di expertise può essere vanificato. Le persone si formano delle aspettative rispetto alla posizione che una determinata fonte sosterrà (ad esempio, si aspettano che un imprenditore sostenga posizioni che in qualche modo favoriscono gli imprenditori). Se queste aspettative non vengono disattese i riceventi possono giudicare la fonte come sincera, ma tendenziosa. In questi casi i messaggi risultano scarsamente persuasivi. Quando, al contrario, la fonte sostiene una posizione diversa da quella attesa e apparentemente contro i propri interessi, essa acquista forte potere persuasivo [Eagly, Wood e Chaiken 1978]. Se, ad esempio, l’imprenditore sostiene la necessità di effettuare maggiori controlli fiscali per arginare il fenomeno dell’evasione nella sua categoria professionale, risulterà fortemente convincente. Un altro elemento fondamentale della fonte è l’aspetto fisico (PIACEVOLEZZA), fu attuato un esperimento chiamato esperimento di Chaiken (1979), vennero presentati dei filmati di ‘’comunicatori’’ attraenti vs ‘’comunicaori’’ non attraenti che argomentano a favore di una certa posizione predefinita; i partecipanti devono esprimere il grado di accordo con la posizione espressa nei messaggi. * (la valutazione sull’aspetto fisico dei comunicatori viene fatta in precedenza da altri partecipanti). I risultati ci mostrano che i comunicatori più attraenti sembrano essere più persuasivi, indipendentemente dal loro sesso e dal sesso dei partecipanti. Credibilità, bellezza e status sono caratteristiche stabili della fonte. Oltre alle caratteristiche stabili la fonte può aumentare la sua efficacia attraverso lo stile comportamentale. Esempio: Un breve contatto fisico aumenta la probabilità che il destinatario accolga con favore una richiesta o valuti positivamente la fonte o il messaggio, o sia più propenso ad aiutarlo. A volte poi, l’impatto delle fonti non credibili può crescere con il tempo. Questo probabilmente accade perché le persone ricordano i messaggi, ma dimenticano il fatto che sono state riportare da fonti non credibili. Questo fenomeno prende il nome di persuasione ritardata che avviene quando il ricevente dimentica la fonte del messaggio. Recepiamo il messaggio, lo ricordiamo, ma in un altro momento non ricordiamo più la sua fonte. IL MESSAGGIO Come deve essere il messaggio per essere persuasivo? Il programma di ricerca del gruppo di Yale si basava su due ipotesi principali: - La struttura del messaggio persuasivo deve favorire l’apprendimento (comprensione e memorizzazione) dei suoi contenuti. - Le argomentazioni, per essere efficaci, devono contenere in modo esplicito i vantaggi che derivano dalla accettazione della posizione sostenuta in sostituzione di quella propria del ricevente e/o gli svantaggi che derivano dalla sua non accettazione. Efficacia delle argomentazioni: I messaggi bilaterali mettono in luce punti di forza e di debolezza, vantaggi e svantaggi delle argomentazioni, aumentando gli elementi di giudizio a disposizione e la credibilità della fonte. E’ stato confermato che i messaggi bilaterali sono più persuasivi, se il ricevente ha già un’opinione in linea con il messaggio; i messaggi unilaterali presentano solo i benefici del prodotto e delle argomentazioni sviluppate, presentano solo un punto di vista. Un altra caratteristica che può avere il messaggio per essere persuasivo, è fare appello alla paura: messaggi che fanno leva sulle conseguenze negative di un comportamento, favoriscono il cambio di atteggiamento, ma non sempre del comportamento. Es: ‘’se non usate questo prodotto le vostre rughe aumenteranno tantissimo’’. Apprendimento e memorizzazione del messaggio Un messaggio vivido è più efficace perché è più visibile, quindi verrà più facilmente colto e memorizzato. Un messaggio deve essere: concreto, di impatto percettivo, di impatto emotivo e vicino (in termini temporali, spaziali o sensoriali). Che vuol dire ‘’d’impatto percettivo?’’ da cosa è attratta la nostra percezione? La nostra percezione solitamente è attratta da stimoli che hanno una motivazione relativa all’evoluzione umana, alcuni stimoli catturano l’attenzione attraverso processi automatici innati, frutto dell’evoluzione umana. Esistono due tipi di stimoli diversi: Stimoli in movimento e stimoli salienti. Gli stimoli in movimento sono qualcosa che cattura la nostra attenzione perché in quanto esseri umani, abbiamo bisogno di controllare quello che si muove intorno a noi, ci attraggono soprattutto per scopo difensivo. Esempio: TABELLONI PUBBLICITARI con PRISMI GIREVOLI Il movimento delle immagini moltiplica la visibilità, incrementa gli affari e permette di creare un circuito pubblicitario vincente, che permette di distinguersi nettamente dalla concorrenza, che opera solamente nella pubblicità "statica". Altri stimoli che potrebbero essere detti ‘’salienti’’ sono: il richiamo alle fattezze infantili (siamo portati a badare ai più piccoli, i bambini attirano la nostra attenzione), il richiamo allo sguardo (qualcuno che ci guarda attrae la nostra attenzioni), e il richiamo dei segnali sessuali (utilizzato soprattutto nelle pubblicità). Esempi di pubblicità: IL RICEVENTE Quali caratteristiche rendono il ricevente più convincibile? - Predisposizione ad essere influenzati come tratto di personalità - È più facile persuadere qualcuno i cui atteggiamenti precedenti siano poco definiti Chi invece è meno predisposto ad essere influenzato? Chi ha molta autostima, le persone con alta autostima si dimostrano generalmente più resistenti alla persuasione; chi è più aggressivo, le persone più aggressive tendono a essere più resistenti alla persuasione (non sempre confermato); chi è più intelligente, le persone più intelligenti sono più resistenti a messaggi persuasivi. Risultano maggiormente capaci di rispondere ai messaggi persuasivi, ma solo se questi sono logici e precisi, altrimenti risultano insensibili. Altre variabili individuali: Il Genere: le donne hanno una genarle tendenza a cambiare opinione dopo essere state esposte a messaggi persuasivi, questo potrebbe dipendere dal fatto che le donne sono tipicamente socializzate per essere più collaborative rispetto agli uomini e, di conseguenza, tendono a considerare la conformità e la condiscendenza come un tratto positivo. L’effetto è più rilevante nelle situazione face-to-face. Dipende anche dal contenuto del messaggio: sia uomini che donne sono più facilmente persuasi su temi di cui sanno poco (esperimenti di Eagly & Carli, 1983). Modelli teorici di persuasione Modello della probabilità di elaborazione (Petty e Cacioppo, 1981) Modello euristico-sistematico (Eagly e Chaiken, 1980; 1984) Sono modelli duali: entrambi prevedono che il cambiamento degli atteggiamenti sia l’esito di due processi di natura diversa. Due processi affinché il messaggio persuasivo persuada. Modello della probabilità di elaborazione: Quando è esposto ad un messaggio persuasivo, il ricevente attiva una delle due modalità di elaborazione: - Il percorso centrale: elaborazione attenta e approfondita delle argomentazioni e delle informazioni dove il focus è sul contenuto - Il percorso periferico: basato su aspetti emotivi e/o che dipendono dal modo in cui le informazioni sono presentate dove il focus è su indici periferici, non sul contenuto. La persuasione tramite percorso centrale dipende da: Motivazione: rilevanza del tema per il ricevente Abilità cognitiva del ricevente: livello di intelligenza, competenze tecniche, condizioni contingenti (sforzo cognitivo che si può dedicare al messaggio) È importante la qualità dell’argomentazione, solo argomentazioni forti porteranno a un cambiamento duraturo delle attitudini, mentre fattori secondari (periferici) rispetto alla qualità dell'argomento avranno poca rilevanza. La persuasione tramite percorso periferico accade: Quando il ricevente non è motivato o non è in grado di destinare un adeguato sforzo cognitivo all’elaborazione del messaggio, gli eventuali cambiamenti di atteggiamento sono il risultato di un percorso periferico. La qualità dell'argomento non ha alcun impatto: solo i fattori esterni al messaggio (come l'attrattiva del parlante, l'umore, il numero di argomenti, la credibilità della fonte, ecc. = indici periferici) influenzeranno la possibilità che il destinatario sia persuaso. Tutti questi elementi non sono relativi al ottenuto di quello che si dice, ma sono il contorno. Il modello si può dire duale e può essere considerato anche come un continuum (modello unimodale). Comincia come livello periferico per poi passare al centrale. Il processo cognitivo (centrale o periferico) varia a seconda della motivazione e abilità cognitiva del ricevente, indipendentemente dalla natura delle informazioni. Il modello euristico-sistematico Quando è esposto ad un messaggio persuasivo, il ricevente può mettere in atto due processi paralleli: - Processo sistematico: elaborazione approfondita dei contenuti; - Processo euristico: applicazione di regole di decisione. Per esempio: qualcosa che costa poco= è a bassa qualità. Le euristiche sono scorciatoie del pensiero, strategie di risparmio di energia cognitiva che derivano da esperienze precedenti che hanno portato a giudizi validi. La differenza più importante tra i due modelli di ci abbiamo appena parlato è che il modello della probabilità di elaborazione prevede due processi alternativi, mentre il modello euristico-sistematico ammette che i due modi di elaborazione siano messi in atto contemporaneamente. Se le due vie di elaborazione vanno nella stessa direzione, l’effetto finale è un esito congiunto (ipotesi additiva). Se vanno in direzioni opposte, l’effetto finale è attenuato (ipotesi di attenuazione). Strategie di persuasione Strategia del ‘’colpo basso’’ ci dice che una volta raggiunto un accordo su una serie di condizioni, le basi iniziali dell'accordo vengono ritirate o modificate, sostituendole con condizioni peggiori. Esperimento di Cialdini (1978) Veniva chiesto a studenti universitari di sottoporsi ad un esperimento e, in cambio, veniva scalata un'ora dal totale di ore che ogni studente doveva obbligatoriamente dedicare alla partecipazione ad esperimenti - Condizione sperimentale: dopo che gli studenti hanno accettato, viene specificato che l’esperimento è alle 7 del mattino. - Condizione di controllo: prima che gli studenti accettino, viene specificato che l’esperimento si terrà alle 7 del mattino. Risultati: Nella condizione sperimentale, si ottengono percentuali di accettazione decisamente superiori, nonostante si sottolinei la possibilità di cambiare idea. OSTACOLI A UNA COMUNICAZIONE EFFICIENTE, capitolo 6 Quando si parla di fallimento della comunicazione si fa riferimento a una molteplicità di aspetti relativi al mancato raggiungimento degli obiettivi della comunicazione stessa. Se interpretiamo la comunicazione nei termini di Austin, e cioè come azione, allora il fallimento della comunicazione può essere considerato il fallimento di un’azione. Sulla base di tale definizione, per fallimenti comunicativi si può intendere l’incapacità del parlante di produrre gli effetti attesi dall’emissione di una qualche espressione; ma gli effetti negativi nella comunicazione possono essere considerati anche sul versante del ricevente, quando cioè quest’ultimo non riesce a comprendere ciò che il parlante gli voleva comunicare. L’inefficacia della comunicazione sembra essere l’esito della cosiddetta comunicazione problematica o «miscommunication», intesa come un complesso di processi comunicativi che intervengono quotidianamente all’interno delle relazioni interpersonali. Come hanno documentato Coupland, Giles e Wiemann questi processi sono attivati dai parlanti con differenti gradi di consapevolezza. Dunque i difetti della comunicazione appaiono come costitutivi della natura stessa dello scambio comunicazionale Fallimenti comunicativi Incapacità del parlante di produrre gli effetti attesi con il suo messaggio, incapacità del ricevente di comprendere il parlante. Possono derivare da barriere linguistiche, differenze culturali, mancanza di competenze comunicative o problemi tecnici (come interferenze o rumori di fondo). Esempi di fallimenti comunicativi includono: - Ambiguità: Quando un messaggio è vago o può essere interpretato in più modi. - Incomprensioni: Il destinatario interpreta il messaggio in modo diverso da quanto inteso dal mittente. - Omissione di informazioni: Il messaggio manca di informazioni importanti, portando a un'incomprensione. Miscomunicazione La miscomunicazione porta il fallimento comunicativo, è uno scambio comunicativo che fallisce per mancanza di chiarezza nel trasmettere informazioni, idee o sentimenti a qualcuno, e/o per la difficoltà nel comprendere ciò che qualcun altro sta dicendo. Alcuni esempi sono: - Conflitti culturali: Differenze di interpretazione legate a valori, credenze o abitudini culturali, che portano a percepire lo stesso messaggio in modo opposto. - Aspettative non condivise: Quando le persone coinvolte si aspettano risultati diversi da una stessa comunicazione, creando fraintendimenti. I fallimenti comunicativi possono derivare da diversi elementi comunicativi: fonte, destinatario, codice, messaggio, contesto. La fonte La fonte è responsabile del processo di codifica con cui trasforma il pensiero in messaggio attraverso l’uso di un codice/linguaggio. Per evitare fallimenti comunicativi, la fonte deve: - rispettare le massime conversazionali (quantità, qualità, relazione, modo) Adattare la comunicazione al destinatario: - in termini di prosodia (e.g., adulti-bambini) - di sintassi (e.g., stranieri) - di semantica (e.g., medico-paziente) - di comunicazione NON verbale (e.g., culture diverse) Il destinatario è responsabile del processo di decodifica, processo di interpretazione attiva del messaggio Per evitare fallimenti comunicativi, il destinatario deve: avere competenza sintattica, semantica e pragmatica avere motivazione e risorse cognitive (vedi comunicazione persuasiva). Dobbiamo adattarci se dobbiamo farci capire da una persona che, ad esempio, no parla la nostra stessa lingua, non possiamo usare termini complessi. Dobbiamo inoltre adattare la comunicazione al contesto (e.g., contesto formale, professionale, o contesto colloquiale). Il Canale Per evitare fallimenti comunicativi bisogna attuare un adattamento del tipo di linguaggio all’obbiettivo della comunicazione = scelta del canale. Alcuni canali sono più adatti per un tipo di comunicazione, altre per altri. Il canale verbale molto adatto per trasmettere la conoscenza, grandi quantità di informazioni anche molto complesse Il canale visivo-gestuale è più immediato e rapido, incisivo ma adatto per comunicazioni brevi (molto adatto per stabilire il tipo di relazione tra i comunicanti) Il messaggio Il messaggio non deve essere contraddittorio: - Non deve essere composto da argomentazioni incoerenti - Deve evitare la contraddizione tra canale verbale e non-verbale Il Contesto Molti fallimenti della comunicazione avvengono nel caso in cui, L’emittente non modula il suo messaggio in funzione del contesto in cui si trova, o il ricevente non interpreta il messaggio in funziona del contesto. Non vengono interpretate le ambiguità del linguaggio (aspetto semantico, sintattico e pragmatico). Possiamo dividere il contesto in: - Contesto esplicito: formato dal contesto linguistico (cioè segni verbali quali fonemi, parole, frasi, discorsi) ed extra-linguistico, cioè tutti i messaggi che provengono dal linguaggio non verbale - Contesto implicito: consiste in tutto ciò che gli interlocutori sanno l’uno dell’altro, che non viene verbalizzato nell’atto comunicativo, ma che influenza la comunicazione. - informazioni sui comunicatori, sui ruoli, sulla relazione - informazioni sullo scopo della comunicazione (che spesso è taciuto) Lasciare molte informazioni implicite è utile e snellisce la comunicazione solo quando sono davvero condivise dai comunicatori. Il Feedback Il feedback è l’informazione di ritorno che l’emittente riceve dal destinatario in merito alla propria comunicazione e consente al modello matematico di acquistare una dimensione di circolarità. Il feedback è molto importante in un processo comunicativo efficace. Il ricevente diventa, a sua volta, emittente. - Un utilizzo non sapiente del feedback può essere fonte di fraintendimenti imputabili sia all’emittente, poco attento ai segnali provenienti dall’interlocutore, che al destinatario, povero di segnali di feedbackcanale verbale e non-verbale. ASPETTI RELAZIONALI E FALLIMENTI COMUNICATIVI L’importanza della relazione che intercorre tra gli interlocutori è stata al centro dell’analisi e delle ricerche effettuate dagli esponenti della scuola di Palo Alto, e in Pragmatica della comunicazione umana [Watzlawick, Beavin e Jackson 1967; trad. it. 1971] gli autori mettono in risalto come ogni comunicazione abbia un aspetto di contenuto e uno di relazione. La natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione tra comunicanti. L’errore di punteggiatura è costituito dalle diverse attribuzioni fatte dai due interlocutori relativamente al proprio e all’altrui comportamento: la moglie brontola perché il marito si chiude in se stesso, e lui si chiude perché lei brontola. Ciascuno ritiene che il proprio comportamento sia l’effetto del comportamento dell’altro, e in questo circolo vizioso, in cui ognuno attribuisce all’altro la causa del conflitto, anche le aspettative di risoluzione. Spesso i conflitti mascheran conflitti di relazione: il contenuto è solo un pretesto per far emergere il problema relazionale. DISCOMUNICAZIONE Un altro fallimento comunicativo è la discomunicazione si verifica quando il messaggio trasmesso e quello ricevuto sono diversi, causando incomprensioni o fraintendimenti = gli aspetti impliciti e indiretti della comunicazione prevalgono su quelli espliciti e diretti. Esempio: ‘’Cara, cos’hai?’’ ‘Niente’’. Vogliamo bloccare la comunicazione, forse perchè non vogliamo litigare o perchè vorremmo che l’altra persona ci capisse e basta. Intenzionalmente voglio essere frainteso, è diversa dalla misscomunicazione perchè in quella non vogliamo essere fraintesi. Un tipo di errore comunicativo in cui le parole, i gesti o il contesto inducono l’interlocutore a interpretare il messaggio in modo diverso rispetto alle intenzioni di chi lo ha trasmesso. E’ una volontà a non comunicare, a non essere intesi. IL RUOLO DELLA METACOMUNICAZIONE La metacomunicazione è la capacità di riflettere sulle caratteristiche della comunicazione, è costituita da atti comunicativi che hanno come oggetto altri atti comunicativi. Esempio: “Stavo solo scherzando! Era una frase ironica” Potrebbe risolvere una discomunicazione fornendo una chiave di lettura e di interpretazione di un messaggio dato in precedenza. Utile per disambiguare il linguaggio figurato DISTORSIONI COMUNICATIVE NEI MEDIA E ATTRAVERSO I MEDIA E’ una Distorsione involontaria e deriva dal fatto che le redazioni giornalistiche, nel corso del processo che si concluderà con la diffusione della notizia, devono estrapolare i fatti dal loro contesto originario, per poi ricollocarli nel contesto ritenuto più appropriato per la diffusione della notizia. Le distorsioni derivano da: - processi di selezione delle informazioni (e.g., semplificazione eccessiva, selezione di notizie incompleta). - processi di diffusione delle informazioni (e.g., incongruenza tra titolo e notizia, tra immagine e notizia, effetto della credibilità della fonte). - Interpretazione del ricevente (e.g., bias cognitivi). Termini nuovi: Infodemia: circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, talvolta non vagliate con accuratezza, che rendono difficile orientarsi su un determinato argomento per la difficoltà di individuare fonti affidabili. COMUNICAZIONE NELLA GESTIONE DEI CONFLITTI -capitolo 8 Un conflitto avviene quando c’è una divergenza di interessi su risorse scarse (es:budget, spazio, tempo, aspetti emotivi, ecc.). Gli elementi chiave di un conflitto sono tre, ci devono essere: - Una o più risorse limitate, Interesse comune per risorse non sufficienti per tutti. - Duo o più parti che hanno interessi divergenti, differenti visioni su come distribuire le risorse. - Ambiguità nei criteri di divisione, Assenza di regole chiare su equità. Una prima importante distinzione per definire le tipologie dei conflitti è quindi quella tra conflitti di tipo emotivo e conflitti di tipo cognitivo. Mentre i primi hanno spesso conseguenze degenerative per le persone, i gruppi e la società in quanto fanno sedimentare umiliazioni e rancori tra le parti, i secondi, se opportunamente gestiti, possono persino trasformare il conflitto in un’opportunità di crescita e sviluppo per le parti coinvolte, sollecitare attivamente l’emergere dei conflitti di tipo cognitivo all’interno delle organizzazioni migliori la comunicazione tra i gruppi, la comprensione reciproca, il consenso sugli accordi raggiunti, la responsabilizzazione, la franchezza, la creatività e la maturazione personale dei membri. Esempio di conflitto emotivo: Marco e Laura, stanno sviluppando una nuova campagna di marketing. Entrambi desiderano essere riconosciuti per le loro idee, e questo li porta a scontrarsi sul miglior approccio. Il conflitto non riguarda solo le differenze di opinione sulla strategia, ma si intensifica perché vengono messe in gioco diverse risorse emotive. Autostima: Marco si sente esperto in marketing digitale e percepisce le idee di Laura come una critica implicita alla sua competenza. Ogni volta che Laura propone un’alternativa, Marco reagisce difensivamente, alzando i toni o ignorando i suoi suggerimenti per proteggere la propria autostima. Riconoscimento: Laura, da parte sua, sente che le sue proposte vengono continuamente svalutate. Desidera ricevere il giusto riconoscimento dal gruppo e dal capo per i suoi contributi, e questo bisogno la spinge a insistere sulle sue idee e a contestare apertamente le osservazioni di Marco. Esempio di conflitto cognitivo: Un team di sviluppo software deve decidere quale linguaggio di programmazione usare per costruire una nuova app. Luca sostiene che Python sia la scelta migliore per la sua facilità e rapidità d’uso. Chiara preferisce Java, perché più stabile. Il conflitto è cognitivo, poiché si basa su differenze razionali e pratiche riguardo alla scelta tecnologica e non su questioni personali o emotive. Entrambi i gruppi desiderano prendere la decisione più vantaggiosa per il progetto. Discussione delle alternative: Luca e Chiara espongono i punti di forza di ciascun linguaggio. Divergenze di priorità: Il conflitto aumenta perché le due parti hanno priorità diverse. Ricerca di compromessi: Poiché il conflitto è cognitivo, entrambe le parti sono aperte a discutere i vantaggi e svantaggi delle loro posizioni. Strategie per una sana conflittualità Sollecitare conflitti di tipo cognitivo migliora la comunicazione fra gruppi (De Dreu e Van De Vliert, 1997) Strategie: - Esprimere apertamente interessi e vissuti. - Ampliare la discussione sulle risorse scarse. - Evidenziare ambiguità e potenziali percezioni negative. Tipologie di conflitto in base alle divergenze di interessi Gioco a Somma Zero (win/loss): - Le parti percepiscono ogni vittoria come una perdita per l’altro. - Le divergenze sono percepite come inconciliabili: ciascuno ritiene che le proprie ragioni siano prioritarie - Stile comunicativo competitivo = negoziazione distributiva Gioco a Somma Variabile (win/win): - Concessioni reciproche beneficiano entrambe le parti. - Una vittoria da parte di uno dei due interlocutori può non tradursi in una perdita di eguale entità: dipende dal valore soggettivo attribuito a perite e guadagni - Approccio più cooperativo = Negoziazione integrativa Esempio: Due sorelle, Anna e Maria, desiderano avere un’arancia ciascuna: l’una per fare una spremuta l’altra per fare una torta In frigo, però, c’è una sola arancia! Trovano una soluzione di compromesso: metà arancia a testa Così, Anna prende la sua mezza arancia, fa una spremuta, e butta via la buccia; mentre Maria prende la sua mezza arancia, grattugia la buccia per insaporire la torta e butta via la polpa! Praticamente le due sorelle non hanno comunicato tra di loro, perchè meta di quell’arancia andra nella spazzatura (cosa che si poteva evitare). Negoziazione distributiva: la risorsa è considerata limitata e viene divisa equamente, senza esplorare appieno le esigenze delle parti. Negoziazione integrativa: entrambe le parti esplorano le loro necessità e riescono a trovare una soluzione che crea più valore, soddisfacendo pienamente le esigenze di entrambe. Anna e Maria approfondiscono le loro esigenze specifiche, scoprendo scoprendo che hanno necessità differenti. Questo approccio permette loro di trovare una soluzione che soddisfa entrambe al meglio = Anna prende tutta la polpa per fare la spremuta, e Maria ottiene tutta la buccia per la torta, senza nessuno spreco. STRATEGIE NEGOZIALI E STILI COMUNICATIVI Pruitt e Rubin hanno proposto un modello motivazionale denominato «dual concern model» (modello dei due interessi). Alla base del modello vi è l’assunzione che le strategie che il negoziatore deciderà di adottare sono determinate dal combinato delle motivazioni che in lui albergano nelle diverse fasi della trattativa. Possono essere numerose le motivazioni che muovono un negoziatore, ad esempio essere trattato con rispetto e raggiungere un accordo equo, comprendere più a fondo la controparte, ridurre la dissonanza cognitiva e apparire coerente, salvare la faccia e mantenere un’immagine positiva di sé ecc. Secondo Pruitt e Rubin le motivazioni fondamentali sono comunque riducibili a due: la motivazione a ottenere il più elevato rendimento per sé e la motivazione ad aiutare la controparte a massimizzare i propri rendimenti. Dalla combinazione di questi due fattori motivazionali tra loro indipendenti originano cinque strategie negoziali, ognuna caratterizzata da uno specifico stile comunicativo: 1. Strategia della contesa Avviene quando è alta la motivazione a massimizzare i propri benefici ed è bassa la motivazione a contribuire ai rendimenti della controparte. Lo stile comunicativo è caratterizzato da argomentazioni e suggestioni con finalità persuasive e manipolative, espressione di minacce, dichiarazioni di irremovibilità o impossibilità, rifiuti e ossservazioni malevoli e pregiudizievoli. Questo stile è ritenuto inefficace e inappropriato. Può ritenersi efficace solo in contesti caratterizzati da una forte pressione verso i risultati individuali. 2. Strategia della concessione Avviene quando è bassa la motivazione a massimizzare i propri rendimenti ed è alta la motivazione a favorire il raggiungimento dei migliori risultati per la controparte. Lo stile comunicativo dei negoziatori è caratterizzato da dichiarazioni di accettazione, rifiuto ad esprimere i propri bisogni o fallimento dei tentativi di farlo, affermazioni di intenzioni di arretramento rispetto alle proprie richieste ed inviti espliciti alla coinciliazione. Il negoziatore che adotta questo approccio viene percepito come un comunicatore appropriato nel gestire la relazione conflittuale, ma inefficace a raggiungere i propri obbiettivi. 3. Strategia dell’inazione o dell’evitamento Avviene quando è bassa sia la motivazione a massimizzare i propri risultati, che la motivazione a contribuire ai tornaconti dell’altro. I negoziatori si limitano a sospendere il loro impegno nella trattativa. Ad esempio, possono procrastinare le riunioni con la controparte a data da definirsi, rendersi irreperibili ecc. In alcuni casi la strategia dell’evitamento può essere impiegata non solo come strumento per indebolire la controparte, ma anche come strumento per facilitare la soluzione del conflitto. Una «pausa di decompressione» e di raffreddamento può infatti risultare funzionale per promuovere la transizione da un conflitto di tipo emotivo a un conflitto di tipo cognitivo. Lo stile comunicativo tipico di questa strategia è caratterizzato da affermazioni finalizzate a negare l’esistenza o l’urgenza del conflitto, formulazioni indirette ed evasive, cambiamento o evitamento degli argomenti di discussione. Quando entrambe le parti adottano questo stile si può determinare l’«effetto congelamento» con le controparti che diventano sempre più fredde e rinunciatarie. Gli studiosi delle coppie amorose hanno individuato un modello di interazione conflittuale denominato «richiesta- evitamento». Esso si osserva quando uno dei partner vuole affrontare un conflitto e l’altro risponde con l’evitamento. Coloro che adottano uno stile comunicativo evitante sono percepiti come comunicatori gravemente incompetenti, inefficaci e inappropriati. 4. Strategia integrativa Avviene quando è elevata sia la motivazione a massimizzare i propri rendimenti che la motivazione ad aiutare la controparte a ottenere il più possibile dalla trattativa. Adottandola i negoziatori si impegnano a cercare creativamente nuove opzioni o nuove configurazioni di accordo sulle varie questioni in discussione attraverso attività di problem-solving, metaforicamente i negoziatori in questo caso non siedono più uno di fronte all’altro, ma sono fianco a fianco nello sforzo comune di rendere la negoziazione più ricca e proficua per entrambi. 5. Strategia Compromissoria Avviene quando è presente, ma è modesta, sia la motivazione a ottenere i migliori rendimenti per sé sia quella a far ottenere il meglio alla propria controparte. In questo caso un accordo di compromesso si definisce con velocità, al prezzo però di lasciare parzialmente insoddisfatte entrambe le parti. Lo stile comunicativo compromissorio è caratterizzato da appelli al raggiungimento veloce di un accordo, da inviti a raggiungere una posizione intermedia tra le richieste, da appelli a «dividere in due la differenza» ovvero ad «incontrarsi a metà strada». Il comunicatore compromissorio è competente, efficace e appropriato. Circa l'85% delle trattative si conclude con un accordo subottimale (Thompson e Hastie, 1990) Le parti spesso trattano un "gioco a somma variabile" come se fosse «a somma zero». Soluzione: Migliorare la strategia di comunicazione e coordinazione per massimizzare i benefici. Gli approcci comunicativi più efficaci per evitare che ciò accada sono le Strategie comunicative generative. STRATEGIE COMUNICATIVE GENERATIVE Quando ciascuna delle parti ha il coraggio e la disponibilità di cedere ampiamente sulle questioni secondarie ma prioritarie per la controparte si viene a creare un processo virtuoso di generazione di valore per entrambe le parti fino al raggiungimento dell’accordo ottimale (definito Pareto-ottimale). Perché questo processo possa decollare deve essere alimentato da strategie comunicative funzionali all’apertura reciproca delle parti, alla scope

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