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psicologia della salute salute mentale modello biopsicosociale assistenza infermieristica

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Questo documento approfondisce il tema della psicologia della salute, esaminando vari modelli concettuali, dall'approccio biomedico a quello biopsicosociale, per comprendere la salute e la malattia. Viene analizzato anche il ruolo dell'interazione tra paziente e professionista sanitario, nonché l'assistenza infermieristica e la comunicazione in ambito sanitario.

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Psicologia della salute e della malattia CONTENUTI DEL CORSO Analisi del contesto operativo socio-sanitario: utilizzo di metodi, strumenti e tecniche relative allo studio e all'intervento nei diversi ambiti organizzativi. I valori e i significati del lavoro e le loro trasformazioni; la motivaz...

Psicologia della salute e della malattia CONTENUTI DEL CORSO Analisi del contesto operativo socio-sanitario: utilizzo di metodi, strumenti e tecniche relative allo studio e all'intervento nei diversi ambiti organizzativi. I valori e i significati del lavoro e le loro trasformazioni; la motivazione al lavoro: strategie per la gestione del capitale umano; lo stress lavoro correlato, Il benessere lavorativo: la comunicazione organizzativa: I gruppi di lavoro: la leadership: il clima organizzativo. Progettazione e gestione dei processi di innovazione nelle organizzazioni, ruolo e uso delle emazioni nel contesto operativo, con particolare riferimento al processi di comunicazione: gestione del conflitti, mobbing e burnout: collaborazione con altri settori disciplinari. I Cinque pilastri della psicologia -biolocico, -cognitivo, -sviluppo, -sociale e personalità, -salute mentale e fisica La psicologia è la scienza che studia la psiche, che analizza i fenomeni e processi psichici. A seconda del tipo di impostazione; si possono distinguere una psicologia razionale (o filosofica), che ricerca il principio ontologico dell’attività psichica, e una psicologia scientifica (o sperimentale), che indaga sulle manifestazionidi tale attività, riferita in senso lati a un principio di rappresentazione oggettiva e di comportamenti orientati, operante non solo nell’uomo ma anche negli animali dotati di strutture nervose. La definizione della psicologia della salute proposta da Matarazzo (1980): “La psicologia della salute è l’insieme dei contribuiti specifici (scientifici,professionali,formativi) della disciplina psicologia alla promozione e al mantenimento della salute, alla prevenzione e trattamento della malattia e all’indentificazione dei correlati eziologici, diagnostici della salute, della malattia e delle difunzioni associate. Un ulteriore obiettivo consiste nell’analisi e miglioramento del sistema di cura della salute e nella elaborazione dellle politiche della salute”. 1.COS’E LA SALUTE? Il modello biomedico Il modello biomedico è stato per più di tre secoli l’impostazione concettuale di riferimento per comprendere lo stato di salute delle persone. Secondo la visione di Giovanni Battista Morgagni, il modello biomedico ipotizza per ogni malattia in presenza di una causa biologica identificabile. Il modello considera la malattia e la salute come due categorie qualitivamente distinte dove la malattia assume un ruolo di primo piano Persiste la separazione tre corpo e la mente. La salute viene concepita come l’assenza della malattia, pertanto, nella promozione … Il modello olistico Il modello olistico tenta di definire la salute in termini positivi, prospettiva adottata dall’OMS per definire il concetto di salute. Il modello si basa su 2 principi di base: -la salute è una condizione di funzionamento positivo e non l’assenza si sintomi. -la persona, che comprende e integra il corpo e la mente, viene trattata come unità funzionale, non separabile. -il responsabile della salute è la persona e non il medico o l’organizzazione sanitaria. Il modello biopsicosociale Il modello biopsicolosciale tenta di superare il modello biomedico recependo la teoria generale dei sistemi d Von Bertalanffy, passando da un modello di spiegazione causa-effetto a uno circolare. In tal senso la salute diventa una forza dinamica che include input e output in continua interazione. La salute diventa la risultante di molteplici fattori biologici, psicologici e sociali in interazione. Il comportamento può essere spiegato a livelli di organizzazioni multipli (molecolare, cellulare, organica, personale, interpersonale, sociale) Il nuovo concetto di salute non si basa sulle cause che possono portare alla malattia ma sull’interazione di molteplici fattori. La salute diventa una responsabilità collettiva, condivisa, fra professionisti, politiche di comunità, famiglia e cittadini. Il concetto di salute Il concetto di “salute” è stato de nito per la prima volta nel 1948 dall'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e de nito come uno stato di completo benessere sico, psíchica e sociale e non semplice assenza di malattia o infermità. Per conseguirlo l'individuo deve essere in grado di identificare e realizzare le proprie aspirazioni, soddisfare i propri bisogni, integrarsi con l'ambiente (modificandolo o adattandosi). Questa de nizione è stata rivoluzionaria per la sua ampiezza. È apprezzata per l'aspirazione che rappresenta e per il "Triangolo della salute" comunemente riconasciuto, una combinazione di benessere sico, mentale ed emotivo e sociale. Negli ultimi 60 anni la de nizione è stata spesso criticata, soprattutto a causa della parola "completo", che la rende impraticabile, in quanto non è né operativa né misurabile. Nel 1998 è stata proposta la modi ca della de nizione originaria del concetto di salute nei seguenti termini: «La salute è uno stato dinamico di completo benessere sico, mentale, sociale e spirituale, non mera assenza di malattia» Non essendo arrivata all'Assemblea Generale, è stato mantenuto il testo originario nonostante il voto favorevole della maggior parte dei rappresentanti dell'OMS stesso. In un meeting dal titolo: “Is health a state ar an ability? Towards a dynamit concept of health, tenutosi i 10-11 dicembre 2009 in Olanda, si tentò di affrontare il tema della salute. La discussione degli esperti ha dato ampio sostegno per iI passaggio dall'attuale formulazione statica a una più dinamica basata sulla resilenza o sulla capacità di far fronte e mantenere e ripristinare la propria integrità, equiibrio e senso di benessere. Il punto di vista preferito sulla salute era “la capacità di adattarsi e di autogestirsi”. Di quale malattia si parla? Disease (definizione medica, patologia) Illness (condizione dell’essere/sentirsi malato) Sickness (rappresentazione socio-culturale della malattia) Combinando le tre dimensioni tra loro si possono ottenere sei combinazioni diverse, escludendo il caso ideale in cui tutte e tre i concetti di malattia sono esplicite in un soggetto. fi fi fi fi fi fi fi fi fi 2. INTERAGIRE CON IL PAZIENTE Il paziente Definite chi è paziente con il quale bisogna stabile un rapporto e intergire, il quale però a un passato, sogni pensieri, aspettative, paure, sofferenze… Assistenza Il prodotto dell'assistenza è spesso invisibile, non lo si può fare risalire a un singolo gesto o intervento (come invece succede per lintervento del chirurgo o la terapia del medico). Ciononostante, anche gli infermieri curano e fanno terapia: una terapia che non è fatta solo di tecniche. È terapeutico qualsiasi intervento che provochi un beneficio al paziente. Gli infermieri erogano interventi terapeutici anche manipolando l'ambiente, insegnando, dando comfort, utilizzando interventi fisici, ma anche stando accanto all'utente (Corner, 1997) Quando si parla di assistenza infermieristica ci si riferisce a un insieme di variabili che vanno dai contenuti tecnici dego interventi agli aspetti relazionali allorganizzazione del servizio. 1. La cura è un'attenzione costante, che impegna sia il persiero sa le attività, dedicata a un lavoro, a una passione, agi affetti; 2. Con il riguardo e la cautela che si rivolgono alla custodia di qualcosa di prezioso: 3. Con l'impegno e la digenza che si mettono in un lavoro: 4. Nell'insieme del le premure che si usano nei confronti di persone di cui si è responsabil 5. Cura è anche l'attività che serve a gestire qualcosa in mado efficace. 6. In senso concreto, l’oggetto delle proprie attenzioni, del proprio attacamento. 7. In senso più ristretto indica tutto cio che serve a migliorare le condizioni di salute. Prendere in carico Prendere in carico ( e creare ubn ambiente terapeutico) significa “seguire nel tempo i problemi dei pazienti, garantire la continuità tra ospedale e territorio (continuità di assistenza, di informazione), farsi carico anche dei problemi emotivi, e non solo di quelli clinici, fornire un riferimento continuo”. Prendere in carico significa anche avere la capacità ( e possibilità) di creare e garantire un ambiente di cura i cui il paziente sia seguito, tutelato, possa esprimere quello che pensa, interagisce, e non solo ricevere trattamenti. Gli infermieri associano interventi fisici ed emotivi, parlano di temi difficili, stabilisco no un dialogo, spesso su aspetti molto riservati della vita dell’altro, un ambiente terapeutico dovrebbe avere tutte queste caratteristiche. Nelle organizzazioni sanitarie è ormai chiara l’importanza delle presa in carico e della comunità assistenziale. Le patalogie croniche e elevatà intensità e a bassa intensità clinica sono in costante aumento. Molti problemi vengono gestiti su base amblatoria, o nel territorio, e quindi è importante stabilire riferimenti e canali di comunicazione stabili. La presa in carico infermieristica In uno studio di metanlisi Philips e colleghi hanno riscontrato su 18 sperimenti cliniche, per un capione che supera i 3000 pazienti anziani con sconpenso, che garantire la continuità dell’assistenza riduceva i nuovi ricoveri e miglioraca sia la qualità di vita sia la sopreavvivenza, senza aumentare i costi. Garantire alla comunità del’assistenza può consistere in una combinazione di visite a domicilio e contatti telefonici o in visite più frequenti in ambulatorio (da una singola vista dopo la dimissione a contatti sino ad un anno. Sono oramai numerosi gli studi che dimostrato l'efficacia della presa in carico per i pazienti con scompenso, in particolare l'efficacia degli ambulatori infermieristici. La presa in carico non prevede necessariamente dei contatti molto frequenti, bensì un modello organizzativo di assistenza che metta il paziente nelle condizioni di prendersi cura di se e di sapere sempre a chi rivolgersi. Interazione con il paziente -l’interazione nel processo di cura è il luogo dove si incontrano professionisti della salue e del paziente. -è il luogo dove differenti prospettive si possono esprimere realizzando un effettivo incontro, o dando luogo ad uno scontro o manifestando indifferenza. -la buona comunicazione fra professionisti della salute e pazienti, è lo strumento essenziale per l’erogazione di una cura efficacie e al fine di aumentare l’aderenza alle prescrizioni terapeutiche. La comunicazione Numerosi studi hanno documentato una forte correlazione fra la qualità della comunicazione professionisti della salute paziente e gli esiti di salute del paziente, quali benessere emotivo, scomparsa dei sintomi, stato funzionale, misure fisiologiche (ad esempio pressione sanguigna, livella di zuccheri nel sangue) e controllo del dolore. Numerosi studi hanno documentato una forte correlazione fra la qualità della comunicazione professionisti della salute paziente e gli esiti di salute del paziente, quali benessere emotivo, scomparsa dei sintomi, stato funzionale, misure fisiologiche (ad esempio pressione sanguigna, livella di zuccheri nel sangue) e controllo del dolore. Assistenza infermieristica Negli ultimi anni si è assistito all'evoluzione dei modelli gestionali della malattia cronica con l'attribuzione di un ruolo sempre più attivo del pazienti. L'attenzione del professionista della salute sí è spostata sui modelli comportamentali sempre più orientati alla cooperazione, accanto all'affermazione del modello di cura centrato sul paziente. L'applicazione di tecniche comunicative adeguate da parte dei professionisti della salute può aiutare i pazienti a esprimere aspettative, emozioni quali ansia e preoccupazioni, bisogni conoscitivi, e far emergere l'influenza, a volte negativa, di precedenti esperienze con il servizio sanitario. Infatti tutto ciò ha importanti benefici diretti e indiretti, promuovendo l'autocontrollo del paziente e l'autoefficacia. Il paziente e la malattia Negli ultimi vent'anni, la psicologia della salute ha evidenziato come i pazienti hanno dei modelli propri di malattia, che sono nferiti alla rappresentazione o percezione di malattia. I professionisti della salute devono essere consapevoli di questo mondo interno dei pazienti, al fine di comprendere le loro credenze e le loro aspettative Le diverse percezioni e atteggiamenti nei confronti della malattia portano i pazienti ad affrontare i problemi in modi diversi. La conseguenza, ogni paziente è portatore di bisogni diversi. Cio richiede un approccio individualizzato da parte del professionista sanitario. Nella gestione della malattia la prospettiva del paziente deve essere presa in considerazione. Da tempo ci si è spostati dal concetto di compliance, cioè il grado in cui il comportamento di una persona coincide con le raccomandazioni del medico, a quello di aderenza, ossia il coinvolgimento attivo e collaborativo del paziente, al quale si chiede di partecipare alla pianificazione e all'attuazione del trattamento, elaborando un consenso basato sull'accordo. Il paziente come partner Holman e Lorig (2000) enfatizzano il concetto di partnership come prerequisito di una cura effettiva ed efficace. Gli autori, partendo dalla constatazione che le malattie croniche sono diventate il principale problema medico, indicano la necessità che il paziente diventi un partner nel processo, emancipandosi dal vecchio ruolo di ricevente passivo, caratteristico della malattia acuta. Modello della mutua partecipazione Szasz e Hollender nel 1956 pubblicano uno studio sull'analisi della relazione medico-paziente, introducendo nella cura delle malattie croniche un modello in cui il ruolo del medico è quello di aiutare il paziente ad aiutarsi e il ruolo del paziente è quello di partecipare alla relazione. Questi studi sono alla base del modelli comportamentali, adottati dai professionisti della salute, nella gestione della malattia cronica, attribuendo un ruolo sempre più attivo e cooperante del paziente. Medicina centrata sul paziente Nel modello di medicina centrata sul paziente viene posta l'attenzione sul malato che, in qualità di unico esperto della propria malattia, deve essere interpellato e ascoltato e deve divenire, da oggetto di applicazione delle conoscenze scientifiche del medico, un soggetto protagonista dell'incontro. In tale modello, comunicazione e relazione rappresentano strumenti necessari per raggiungere gli scopi della consultazione clinica; vi è un riconoscimento dell'importanza di entrambi gli attori e della necessità di formazione in ambito comunicativo-relazionale. Mead e Bower (2000) individuano cinque dimensioni che definiscono la cura centrata sul paziente. 1. La prospettiva biopsicosociale: l'estensione degli scopi della medicina dal puramente biologico ai livelli psicologico e sociale. 2. Considerare il paziente come persona: il significato personale della malattia per ogni singolo paziente (la soggettività del paziente). 3. La condivisione di potere e di responsabilità: un rapporto alla pari e non asimmetrico tra curante e paziente. 4. L'alleanza terapeutica: l'importanza dell'empatia nella costruzione di un accordo sulla finalità del trattamento. 5. Il medico come persona: l'importanza di riconoscere l'influenza delle qualità personali del medico (la soggettività del medico). 3. MODELLI PSICOSOCIALI DEI COMPORTAMENTO RILEVANTI PER LA SALUTE L'approccio della rappresentazione mentale della malattia è stato elaborato all'inizio degli anni ottanta e analizza il modo in cui le persone rappresentano cognitivamente la salute e i fattori di rischio di malattia. Le rappresentazioni della malattia sono importanti perché influenzano le reazioni delle persone ai sintomi, alla diagnosi e ad altre informazioni riguardanti la malattia. Il presupposto fondamentale su cui si fonda questo modello teorico è che tutti i comportamenti, inclusi quelli rilevanti per la salute, siano mediati dalle concezioni implicite delle persone relative alla malattia. Rappresentazioni mentali della salute Le rappresentazioni mentali della malattia influenzano le reazioni delle persone ai sintomi, alla diagnosi e ad altre informazioni riguardanti la malattia. Esse sono costituite da: l'identità: le credenze riguardanti l'etichetta verbale attribuita alla malattia (ad es., “emicrania”) e ai sintomi associati (ad es., dolore, nausea, disturbi visivi); la causa: le credenze relative al motivo che si ritiene responsabile della malattia (ad es., stress o fattori ereditari); il decorso temporale: le aspettative relative alla durata dell'infermità (ad es., malattia acuta vs malattia cronica); le conseguenze: le concezioni riguardanti l'esito e le conseguenze della malattia (ad es., l'emicrania influenzerà le prestazioni lavorative); la cura: le aspettative sui comportamenti da attuare per contrastare la malattia (ad es., prendere un farmaco vs riposare). Caso clinico Un paziente con storia di infarto: dolori (sintomi) scambiati per indigestione (identità) attribuita a un gelato (causa) mangiato dopo cena. Pensa che passerà in poche ore (decorso temporale) e, per non allarmare la moglie (conseguenze), decide di non dire nulla e di andare a letto dopo aver bevuto una limonata (cura). Azione delle rappresentazioni mentali La percezione degli stimoli (ad es., sintomi o informazioni riguardanti la stessa) attiva la rappresentazione mentale della malattia immagazzinata in memoria; si forma così una rappresentazione della condizione attuale dell'individuo, costituita dall'integrazione di: credenze preesistenti, sintomi e informazioni contestuali. Questa rappresentazione guida la selezione del comportamento di coping da attuare e i risultati di tale attuazione vengono valutati nei termini di successo/ insuccesso nell'eliminare la malattia e le sue conseguenze. Le reazioni emotiva I sintomi attivano non solo rappresentazioni mentali, ma anche reazioni emotive. La relazione fra emozioni e rappresentazioni mentali è bidirezionale, in quanto pensieri negativi possono attivare emozioni negative e viceversa. Caso clinico In una ragazza la cui madre ha avuto un tumore al seno, la scoperta di un gonfiore inusuale può attivare la paura e la preoccupazione (reazione emotiva) di avere un cancro (rappresentazione cognitiva), reazioni che influenzeranno la scelta dei comportamenti da mettere in atto per controllare la situazione (ad es., andare dal medico) La relazione fra malattia e rappresentazione Una indagine su pazienti ipertesi ha indagato la relazione tra concezione di malattia e comportamenti di cura. I risultati hanno mostrato che le persone che consideravano l'ipertensione una malattia cronica osservavano con maggior probabilità le prescrizioni mediche. Coloro che consideravano, invece. l'ipertensione una malattia acuta o ciclica interrompevano la cura una volta raggiunti i livelli di normalità o la seguivano in modo discontinuo. False credenze Casi clinici Un diabetico può non aver chiaro il funzionamento dell'insulina e come l'obesità possa aver contribuito allo sviluppo del diabete (credenza incompleta). Un ragazzo può essere convinto che FAIDS si trasmetta attraverso un bacio e che sia guaribile con l nuovi farmaci (credenza errata) Un malato di cuore crede che il proprio infarto sia causato dal dispiaceri in casa, trascurando che fuma, ha il colesterolo alto ed è iperteso (credenza incompleta). Un anziano so re di ulcera da trent'anni, viene operato di cancro allo stomaco e pensa che non aver mangiato alcuni cibi che gli erano stati sconsigliati sia stata la causa dei suoi mali (credenza errata). Modello sulle rappresentazioni mentali L'attivazione di rappresentazioni mentali di malattia gioca un ruolo imporrante nel determinare molti comportamenti riguardanti la salute: attività sica, abitudini alimentari, attività sessuale, il ricorso a pratiche di screening (mammogra a, controlli della pressione, controlli del livello di colesterolo, test per HIV). Uno dei meriti di questo modello è quello di aver sottolineato il fatto che i pazienti decidono coscientemente come gestire (ad es, seguire o no la terapia prescritta) le indicazioni riguardanti la cura, basandosi sulle proprie credenze relative alla malattia. Modelli di comportamento Il presupposto secondo cui gi attespiamenti e le credenze sono le determinanti del comportamento è condiviso dal cinque principali modelli di comportamento, da ciascuno dei quali possono essere derivate delle predicazioni circa il comportamento rilevante per la salute possono essere derivate delle predizioni circa il comportamento rilevante per la salute. modela sono il modello delle credenze sulta salute. la teoria della motivazione a proteggersi la troria dell'azione ragionata, la teoria del comportamento piani cato e Il modello dell'elaborazione spontanea. Fatta eccezione per l'ultima, queste teorie appartengono alla famiglia dei modell aspettativa- valore i quali ipotizano che le decisioni su cosa fare si basino su due tipi di processi cognitivi: 1) la stima soggettiva della probabiltà con cui una determinata azione condurrà a un insieme di risaltati previsti e 2) la valutazione dei risaltati dell'azione. Il modello delle credenze sulla salute Secondo questo modella, la probabilità con cui una persona adotta un determinato comportamento rilevante per la salute è una funzione 1) della misura in cui essa ritiene di essere personalmente suscettibie al rischio di contrarre la malattia in questione e 2) della percezione di gravità delle conseguenze che ne deriverebbero. La suscecibilità e la gravità determinano la percezione di minaccia della malattia, cioè la vulnerabilità. Per es, un lumatore di mezza eta, in sovrappeso e con la pressione alta, potrebbe essere consapevole di correre un rischio elevato di malattia cardiovascolare (percezione della suscettibilità) e di poter restare gravemente menomato o ancha morire a causa di ciò (percezione della pravità). La probabilità che venga adottato un determinato comportamento rilevante per la salute dipenderà anche dalla misura in cul la persona crede che lazione conduca a bene ci maggiori degli ostacol essociati all'azione, come i costi, la di coltà o la so erenza. A nché la persona posso innescare un adeguato comportamento rilevante per la salute, secondo Rosenstock (1974), potrebbe essere necessario uno stimolo, sia interno, come un sintomo sico, sia esterno, come una campagna del masa media, un consiglio medico a la morte di un coetaneo che conduceva uno stile di vita analogo al proprio. Per esempio, Fuomo di mezza età potrebbe essere stimolato a intraprendere un'azione di protezione della salute se, Improvvisamente, provasse strani dolori al torace o se il suo medico gli consigliasse di cambiare stile di vita. ffi ff fi fi fi ffi ff fi fi PAC(f) + GPp2+ (BP - CP)p3 Secondo Seibold e Roper (1979), la probabilità che una persona intraprenda un'azione preventiva (PA) è una funzione (f) della vulnerabiltà percepita alla malattia (VP), della gravità percepita delle conseguenze associate alla malattia (GP), del bene ci percepiti derivanti dall'attuazione del comportamento rilevante per la salute (BP) e del costi associati al comportamento (CP)- p1, p2 e p3 rappresentano i pesi, determinati empiricamente, che speci cano la relazione fra clascuna variabile e il criterio, PA. Secondo tale teoria i comportamenti rilevanti per la salute sono determinati dalle credenze che le persone hanno sulla salute. La probabilità di adottare un comportamento che eviti problemi di salute dipende dalla percezione dell'e ettiva minaccia alla salute (percezione del rischio e della gravità della malattia) e dalla valutazione personale dell'azione corretta (valutazione dei bene ci e dei costi) da intraprendere. Situazioni cliniche Un paziente che abitimente ha rapporti sessuali non protetti con partner occasionali potrebbe aver timore di contrarre malate sensualmente trasmasibill (percezione del rischio di malattia). Questo scenario avrebbe profonde ripercustioni mediche e sociali (percezione dela gravità di malattia), La decisione del paziente di usare preservativi dipenderà dalla sua valutazione dei bene ci (ad esempio, protezione) e dei costi (ad esempio, imbarazzo nel negoziare l’uso del preservativo con i partner) di questo comportamento. Una persona che scopre di avere valori di glicemia costantemente vicini ai livelli massimi potrebbe aver timore di sviluppare una condizione di diabete (percezione tel rischio di malattia) Questa condizione avrebbe notevoli ripercussioni mediche e sociali (percezione della gravità di malattia). La decisione del soggetto di modi care le abitudini alimentari dipenderà dalla sua valutazione dei bene ci (ad esempio, godere di buona salute) e dei costi (ad esempio, ridurre il consumo di zuccheri) di questo cambiamento. La teoria della motivazione a proteggersi Secondo la teoria della motivazione a protrezenl, la motivazione ad adottare un qualunque comportamento di protezione della salute dipende da tre fattori: 1. la percazione della gravità del levento nocivo. 2. la stima soggettiva della probabilità del vendicarsi dell'eventa, o percezione della suscettibilità: 3. Te cacia della risposta consigliata per prevenire levento nocivo, Il modello son include la variabile del costi della risposta consigliata. La teoria dell’azione ragionata La teoria dell'azione ragionata predice l'intenzione comportamentale e parte dal presupposto che l'attuazione di un determinato comportamento sia una funzione dell'intenzione di eseguirlo. Un'intenzione comportamentale è determinata dal proprio atteggiamento verso l'esecuzione del comportamento e da norme soggettive. L'atteggiamento di una persona verso lo smettere di fumare sarà una funzione della stima soggettiva della probabilità che la cessazione sia associata a certe conseguenze, come avere una salute e una forma migliori o avere ridotto il rischio di so rire di problemi cardiaci o di cancro al polmone. La percezione delle conseguenze del fumo in uenzeranno l'intenzione di smettere solo qualora le persone ritenessero che le conseguenze negative del fatto di continuare a fumare le interesseranno personalmente. ffi fi fi ff fl fi fi ff fi fi La teoria del comportamento piani cato La teoria del comportamento piani cato ipotizza che la percezione del controllo possa in uenzare il comportamento indirettamente, attraverso le intenzioni. In certe condizioni esso può avere anche un e etto diretto sul comportamento non mediato dalle intenzioni. Le persone che non sono in grado di raggiungere un determinato obiettivo adatteranno le proprie intenzioni di conseguenza, poiché le intenzioni sono in parte determinate dalla percezione della probabilità di essere capaci di raggiungere un obiettivo. Il modello dell’elaborazione spontanea I modelli del comportamento precedentemente trattati ra gurano le persone come esseri che prendono decisioni in modo completamente razionale e che tendono a ri ettere sulle azioni future per formare un'intenzione comportamentale. Secondo Fazio (1990), è probabile che le persone siano cognitivamente impegnate nelle azioni se le conseguenze comportamentali sono per loro importanti e se hanno il tempo e la tranquillità necessarie a ri ettere. Quando le conseguenze comportamentali non sono molto importanti, o quando le persone hanno scarse opportunità di ri ettere, gli atteggiamenti potrebbero in uenzare il comportamento attraverso una modalità di elaborazione spontanea. La teoria della motivazione al cambiamento Attraverso una analisi comparativa che coinvolse oltre 300 approcci psicoterapeutici, James Prochaska e Carlo Di Clemente elaborarono un modello capace di integrarli in maniera sistematica. Nacquero così le basi del Modello TransTeorico del Cambiamento, che sarebbe in seguito stato applicato con successo al cambiamento intenzionale nei comportamenti di dipendenza (Di Clemente e Prochaska, 1982). Il modello prevede un processo di cambiamento composto da sei stadi che le persone attraversano nel corso dei loro tentativi di risolvere un problema. La motivazione in una persona è considerata lo stadio attuale di buona disposizione al cambiamento. 1. La fase di precontemplazione, dove le persone non hanno nessuna intenzione di modi care le proprie abitudini, poiché non sono consapevoli o interessate agli e etti negativi delle loro azioni. 2. Nella fase di contemplazione, le persone prendono considerazione la possibilità di cambiare, ma non assumono nessun impegno concreto verso il cambiamento perché oscillano continuamente tra le valutazioni dei vantaggi e delle conseguenze negative dell' attuale situazione. 3. La fase di determinazione è caratterizzata dall'intenzione al cambiamento e dalla realizzazione di tentativi di modi care le abitudini scorrette. 4. La fase dell'azione vede la persona impegnato in processi di modi cazione dell'immagine di sé che hanno come conseguenze l'acquisizione della consapevolezza di poter cambiare e l'impegno, prolungato nel tempo, a modi care il proprio comportamento. 5. La fase del mantenimento viene raggiunta quando il nuovo stile di vita rimane costante nel tempo. 6. L'ultima fase è detto ricaduta, poiché il cambiamento molto raramente si realizza attraverso una traiettoria lineare, ma conosce cedimenti e passi indietro. Nella maggior parte dei casi, il percorso di cambiamento si con gura come una ruota, perché il compito delle persone che vanno incontro a fallimenti è quello di riavviare i processi di contemplazione, determinazione e azione senza rimanere bloccati nell’ultima fase. ff fi fi fl fi fl fi fl ffi fi ff fi fl fl fi Secondo il modello dell'elaborazione spontanea, la sequenza atteggiamento- comportamento prende avvio quando si ha accesso agli atteggiamenti in memoria a partire dalla percezione di stimoli connessi agli oggetti dell'atteggiamento. MOTIVAZIONE Processi psicologici che orientano il comportamento al raggiungimento dell’obiettivo e possono appartenere a due grandi classi: di incentivazione e di dissuasione. Locus of control —> Il luogo dove si ritiene si trovino le cause del successo e/o insuccesso. La convinzione che la riuscita, il successo siano frutto di eventi e volontà esterne (caso, fortuna, provvidenza, altre persone, …) può indurre una scarsa motivazione ad impegnarsi. Al contrario, credere che dipenda dalle proprie capacità, dal proprio agire, signi ca assumere su di sé la responsabilità e dal proprio agire. Stile di attribuzione —> Atteggiamenti e convinzioni che la persona possiede riguardo alle strategie, alla loro utilità e al ruolo giocato dallo sforzo attivo di apprenderle e utilizzarle. È evidente la connessione che esiste tra lo stile di attribuzione ed il locus of control. Infatti, l’assegnazione esterna del controllo riduce fortemente la percezione che usare strategie adeguate possa produrre risultati utili. Dall’altra parte lo stile di attribuzione è interrelato all’autostima e al senso di autoe cacia. Senso di autoe cacia—> Percezione delle proprie capacità di raggiungere il successo nell’esecuzione del compito. Può anche essere inteso come il grado di ducia che una persona nutre rispetto al proprio successo. È fondato sui risultati raggiunti nelle esperienze precedenti, ed il raggiungimento di ogni obiettivo contribuisce a consolidarlo. È in uenzato da altre caratteristiche di personalità quali la capacità di gestire gli insuccessi, di ricevere feedback di erenti nel tempo rispetto alle prestazioni. Autostima—> Complesso di percezioni, opinioni e sentimenti che proviamo nei confronti dei molti aspetti della nostra persona e si basa su una complessiva autovalutazione. ff ffi ffi fi fl fi Il modello dell’aspettativa TEORIA MOTIVAZIONALE DELL’EQUITÀ La teoria dell’equità è un modello della motivazione secondo cui le persone negli scambi sociali o nelle relazioni del tipo dare-avere cercano l’imparzialità e la giustizia. COS’È UN’ORGANIZZAZIONE Le organizzazioni sono insiemi di persone, di risorse (materiali e immateriali) e di relazioni tra loro coordinate in vista del raggiungimento di un comune obiettivo. Esse sono inserite in un de nito contesto ambientale, con il quale interagiscono in continuazione. La comprensione del funzionamento delle organizzazioni passa attraverso lo studio dei criteri che stanno alla base dell'impiego delle risorse e delle modalità per gestire sia le attività interne sia gli scambi con l'ambiente esterno. Tra le variabili critiche assumono un ruolo centrale le persone, che con le loro competenze e motivazioni e con i loro comportamenti incidono in modo rilevante sulla concreta possibilità di raggiungere i ni organizzativi. fi fi LA CULTURA ORGANIZZATIVA -valori -norme -prassi formali ed informali -modelli di comportamento -assunti taciti o espliciti -credenze -caratteristiche dell’organizzazione I VALORI IN UNA ORGANIZZAZIONE I valori sono: concetti o credenze, si riferiscono a comportamenti e conseguenze desiderate, non dipendono dalle situazioni, guidano nella scelta e nella valutazione dei comportamenti e degli eventi, hanno un ordine di importanza relativa. I valori dichiarati sono le consuetudini e i valori espliciti che sono privilegiati all’interno dell’organizzazione. I valori personali si riferiscono al sistema di valori di origine familiari, della cultura di riferimento, degli ordini professionali di appartenenza, ecc. I valori praticati sono l’insieme di valori e consuetudini che si ri ettono o si traducono e ettivamente nei comportamenti delle persone CONFLITTO VALORI FAMIGLIA/LAVORO ff fl MODELLI ORGANIZZATIV AZIENDALI Si possono individuare almeno 4 modelli di organizzazione aziendale, ciascuno con strutture e regolamenti speci ci da seguire al ne di garantire un risultato nale ottimale. Esistono anche altre forme che si possono trovare tra un modello e l’altro, ciò al ne di potere individuare la giusta soluzione per le di erenti tipologie di azienda. Modello gerarchico Modello a matrice Modello funzionale Modello divisionale Modello gerarchico: si basa sulla separazione netta tra il nucleo operativo degli operatori, posto alla base dell’organizzazione, e la direzione. È il modello più semplice e per questo viene applicato alle piccole realtà caratterizzate da un usso di lavoro semplice e dove le decisioni vengono prese da poche persone Modello funzionale: il modello prevede l’esistenza, tra il vertice e il reparto operativo, di un livello intermedio che si occupa delle funzioni di coordinamento, ma privo di un reale potere decisionale. L’organizzazione viene suddivisa in aree funzionali a seconda delle attività svolte. Questo modello è piuttosto rigido e rende impossibile la partecipazione trasversale ai processi di erogazione del servizio. Modello divisionale: si distingue dal precedente modello per i criteri di suddivisione, non più in base alle funzioni ma in base ai processi o le tipologie di pazienti/utenti. Ogni segmento viene poi organizzato al suo interno seguendo il modello funzionale, sempli cando i processi di comunicazione tra le funzioni della stessa divisione. Modello a matrice: è il modello più evoluto e in genere viene utilizzato per le organizzazioni di grandi dimensioni con elevata complessità. Il modello unisce la struttura funzionale e quella divisionale, presentando due diversi livelli di direzione. Il primo si occupa delle funzioni, mentre il secondo delle divisioni. Ogni risorsa sarà regolata da due direzioni a seconda dell’attività che deve svolgere. IL SISTEMA ORGANIZZATIVO -Struttura di base La struttura di base è l’ossatura centrale, l’impianto portante e ha la funzione di garantire la stabilità funzionale del sistema organizzativo. In altri termini rappresenta la parte statica di un’azienda. -Sistemi operativi I sistemi operativi stabiliscono la dinamica normata dell’attività aziendale, essi rappresentano le regole u ciali che consentono all’organizzazione di governare importanti fenomeni di funzionamento. -Processi sociali I processi sociali sono i comportamenti personali, interpersonali e collettivi che il personale di una organizzazione mette in atto. Il funzionamento ottimale dei processi sociali consente la perfetta adesione delle norme aziendali con le richieste, consentendo la essibilità del sistema organizzativo. OBIETTIVO Obiettivo (goal): «Ciò che un individuo sta tentando di realizzare; l’oggetto o scopo di un’azione» fi ff fl ffi fi fi fi fl fi IL COMPORTAMENTO Il comportamento è ogni azione manifesta della persona. In questo senso anche la verbalizzazione rappresenta un comportamento emesso dall’individuo. Ogni comportamento produce delle conseguenze, esse possono essere sia intenzionali sia non intenzionali. Il comportamento della persona è modi cato dal sistema di rinforzi. -Cognizione, ragionamento, azioni automatiche—> condizionamento operante -Emozioni, a etti, reazioni siologiche—> condizionamento rispondente APPRENDIMENTO VS PERFORMANCE -L’apprendimento avviene quando si ha un cambiamento relativamente stabile o potenzialmente tale nel comportamento, e che si possa attribuire all’esperienza dell’individuo. a. il comportamento non assicura sempre che la persona abbia imparato o sia cambiata in maniera permanente b. l’apprendimento non assicura che avvenga sempre un cambiamento nel comportamento -performance s. ingl. [der. di (to) perform «compiere, eseguire», dal fr. ant. performer «compiere», che è dal lat. tardo performare «dare forma»], 1. In senso generico, realizzazione concreta di un’attività, di un comportamento, di una situazione determinata. PERSONALITÀ Con il termine personalità si intende l’insieme relativamente stabile delle caratteristiche psicologiche di una persona, ovvero un modello duraturo di caratteristiche che de niscono l’unicità di una persona e che in uenzano il modo con cui essa interagisce con gli altri e con l’ambiente. Socializzazione Temperamento Con il termine socializzazione si intende il processo attraverso il quale un individuo impara ed acquisisce valori, atteggiamenti, opinioni, accettando i comportamenti legati a una cultura, a una società, a un’organizzazione o a un gruppo. QUANDO SI VEDONO I TRATTI DI PERSONALITÀ La personalità diventa meno determinante nelle situazioni più strutturate (forti), nelle quali alcune variabili come le regole, procedure, divieti, ecc. diventano meno discrezionali. Nelle situazioni meno strutturate (deboli), il ruolo della personalità diventa molto più evidente. Ci si aspetta che il manifestarsi dei tratti personologici siano più probabili nelle realtà organizzative poco strutturate, poche regole, politiche e procedure. PERSONALITÀ E ORGANIZZAZIONE Secondo Presthus (1978), in ambito lavorativo si possono trovare tre orientamenti organizzativi della personalità: - L’istituzionalizzato, è una persona che dimostra un forte impegno nel luogo di lavoro e che si identi ca fortemente con l’organizzazione e con la sua sorte. - Il professionista, è una persona che si focalizza sul suo lavoro, e spesso considera le richieste dell’organizzazione nella quale lavora come seccature da evitare. - L’indi erente, è una persona che lavora per lo stipendio, il lavoro non è considerato come parte importante della sua vita. PERSONALITÀ AUTORITARIA - Coloro che hanno una personalità autoritaria credono nell’obbedienza, nel rispetto per l’autorità e che i forti dovrebbero guidare i deboli. - Hanno una eccessiva preoccupazione per il potere, fondano il loro ragionamento sui pregiudizi che hanno sulle persone. PERSONALITÀ MACHIAVELLICA - Il machiavellismo è una dimensione di personalità che ha un forte impatto sulle relazioni interpersonali e sulla leadership. fi ff ff fi fl fi fi - Gli individui machiavellici hanno un’elevata autostima e ducia in sé stessi e si comportano nel loro interessi. - Gli individui machiavellici sono freddi e calcolatori, cercano di appro ttare degli altri e di stringere alleanze con persone di potere, che possono essere utili per i loro interessi. PERSONALITÀ MONOCRONICHE E POLICRONICHE - I due termini identi cano modelli strutturali con i quali poter paragonare i tratti sociali caratteristici delle varie comunità umane. - Il modello monocronico si caratterizza per la scomposizione dei processi e delle attività. - Il modello policronico tende ad essere maggiormente uido e con minore grado di strutturazione. LOCUS OF CONTROL - Il termine locus of control si riferisce al «luogo» dove dove viene esercitato il controllo della nostra vita. - Secondo Rotter (1996) il locus fo control è una dimensione della personalità che in uenza l’opinione delle persone sui fattori interni ed esterni che in uenzano il nostro comportamento. - Una persona con un locus of control interno ha bisogno di indipendenza e quindi di partecipare alle decisioni e di controllare l’ambiente esterno. CORE SELF-EVALUATION - Il core self-evaluation è un ampio tratto della personalità e un fondamentale predittore di elementi importanti sulla vita lavorativa, quali la soddisfazione lavorativa, la performance, il committment organizzativo e lo stress. - Il costrutto è funzione dell’autostima, della stabilità emotiva, dell’autoe cacia e del locus of control. Le persone con core self-evaluation elevata hanno molta autostima, un forte senso di autoe cacia, sono emotivamente stabili, sicuri di sé, a proprio agio in situazioni diverse, e maggiormente soddisfatti nel lavoro, raggiungendo buone performance. CHI È L’OPERATORE SANITARIO? Il professionista Razionalità Cultura speci ca Sapere tecnico Pratica specialistica Relazione con il team e con l’Organizzazione ffi fi fi fl fi fl fi ffi fl L’AUTOSTIMA L’autostima è la valutazione complessiva di un individuo su sé stesso e sul proprio valore. AUTO-OSSERVAZIONE L’auto-osservazione è la capacità di osservare il proprio comportamento auto-espressivo, adattandolo alla situazione. IDENTIFICAZIONE ORGANIZZATIVA L’identi cazione organizzativa avviene quando una persona va a integrare all’interno della propria identità principi, valori e norme relativi all’organizzazione in cui lavora. >IL GRUPPO E IL LAVORO DEFINIZIONE GENERALE DI GRUPPO Il gruppo è qualcosa di più o, per meglio dire, qualcosa di diverso dalla somma dei suoi membri: ha struttura propria, ni peculiari e relazioni particolari con altri gruppi. LE CARATTERISTICHE DEL GRUPPO Quello che si è capito negli ultimi anni, relativamente a organizzazioni dove convivono persone accomunate dagli stessi obiettivi, si può riassumere in quattro punti: -la partecipazione è importante; -il gruppo funziona generalmente meglio delle sue singole parti; -il processo (come si fa qualcosa) in uenza i risultati (quello che si è fatto); -la motivazione è la spinta propulsiva. LE VARIABILI DEL GRUPPO Le variabili principali del gruppo sono la nalità e l’interazione. Per gruppo si può intendere anche quello costituito dalle persone che alla fermata attendono l’autobus. Finalità: condivisa Interazione: scarsa QUANDO SI PUÒ PARLARE DI GRUPPO? Su tre se ne può iniziare a discutere. Occorre vedere che tipo di composizione ha il gruppo, dato che il rischio che si corre è quello di riscontrare dinamiche edipiche che riportano a situazioni due più uno. Con i giusti distinguo, possiamo ssare a tre il limite minimo di persone per poter de nire tale consesso un gruppo in grado di interagire creativamente. Nella de nizione di gruppo si può a ermare che una persona non fa gruppo, con due le tipologie di dinamiche che intervengono sono speci che delle relazioni a ettive: coppia moglie-marito, gemelli, amici del cuore, etc. GRUPPI PRIMARI E SECONDARI Gruppi primari Due o più persone in stretta associazione «faccia a faccia». I gruppi primari sono composti da un numero ridotto di individui, che sviluppano uno stretto rapporto interpersonale di tipo a ettivo con un forte sentimento di identi cazione collettiva, i più importanti sono la famiglia, gli amici ed i piccoli gruppi di lavoro. Sono primari nel senso della loro costante in uenza e forti legami emotivi sull’individuo. Gruppi secondari Il gruppo secondario è composto da un insieme elevato di persone le cui relazioni interpersonali sono a ettivamente neutre. In questo tipo di gruppo i rapporti tra il singolo e gli altri membri del gruppo sono relazioni formali di tipo strumentale, cioè funzionali al conseguimento di uno scopo. fi ff fi ff fi fi fi fi ff fi fl fi fl ff GRUPPO Si identi ca da questo vertice il gruppo come una pluralità in interazione, con un valore di legame, che ne determina l’emergenza psicologica. Pluralità interazione e legame producono a loro volta la sua emergenza sistemica. GRUPPO DI LAVORO Il gruppo di lavoro è qualcosa di diverso rispetto al gruppo. A livello di de nizione la di erenza più consistente risiede nel fatto, che, mentre un gruppo è una pluralità di interazioni, un gruppo di lavoro è una pluralità di integrazioni LE CARATTERISTICHE DI UN TEAM IN UN LAVORO DI GRUPPO - Obiettivi comuni - Consapevolezza della missione del gruppo - Relazioni di integrazione e adattamento - Condivisione di impegni e responsabilità - Bene ci condivisi - Impegno e partecipazione attiva - Sviluppo di una comunicazione aperta IL TEAM DI LAVORO Condivisione di conoscenze, idee, competenze E cacia nella comunicazione e comprensione delle informazioni complesse Integrazione operativa Gestione e valorizzazione delle competenze Riduzione delle incertezze e dei rischi decisionali LA SUDDIVISIONE DEI COMPITI NEL LAVORO DI GRUPPO La divisione dei compiti nel lavoro di gruppo si ha quando l’obiettivo comune viene perseguito da individui diversi che portano avanti compiti distinti ma collegati fra loro. La coordinazione dello sforzo viene raggiunta tramite la formulazione e l’applicazione delle strategie, delle regole e delle procedure. EVOLUZIONE E MATURITÀ DEL GRUPPO DI LAVORO ffi fi fi fi ff PRIMO POSSIBILE BLOCCO EVOLUTIVO Il gruppo non riesce a formarsi in maniera eccellente. Questo per vari fattori che coinvolgono situazioni personali e professionali. Compiti, obiettivi e percorso collidono con le diversità tra i singoli membri, per cui si ricicla tra le prime due fasi. SECONDO POSSIBILE BLOCCO EVOLUTIVO Il gruppo si è formato, ha trovato accordo sui compiti e sugli obiettivi, ha riconosciuto la leadership, ma non riesce a superare le diversità tra i singoli membri, per cui ricicla tra la seconda e terza fase. Non appena il gruppo lavora bene e si tranquillizza, intervengono questioni personali tra i componenti. >L’ORGANIZZAZIONE E IL CAMBIAMENTO L’ORGANIZZAZIONE - Lo studio delle organizzazioni richiede un approccio interdisciplinare: antropologia, sociologia, psicologia, economia, ingegneria, giurisprudenza, … - All’interno delle principali teorie manageriali, due popolari aree di studio sono state storicamente: La teoria del comportamento (Organizational Behavior) approfondisce lo studio del comportamento dell’individuo e del gruppo all’interno delle organizzazioni (orientamento micro- organizzativo o “soft”) La teoria dell’organizzazione (Organizational Theory) approfondisce lo studio della struttura e dei processi organizzativi (orientamento macro-organizzativo o “hard”) DEFINIZIONE DI ORGANIZZAZIONE «L’organizzazione, dal punto di vista del comportamento organizzativo, è caratterizzata da un gruppo di individui, che svolge attività interdipendenti, per il raggiungimento di obiettivi e che sviluppano e mantengono modelli di comportamento relativamente stabili e prevedibili, anche se gli individui nell’organizzazione possono cambiare». I MODELLI DI COMPORTAMENTO Secondo Hall (1991) gli elementi che contribuiscono al formarsi dei modelli di comportamento sono: a) La complessità b) La formalizzazione c) La centralizzazione I MODELLI DI COMPORTAMENTO La complessità La complessità di un’organizzazione dipende dal numero delle attività, delle funzioni, dei compiti, dal grado di eterogeneità e dal tipo di interdipendenza tra queste. La formalizzazione Il grado di formalizzazione si riferisce all’intensità di impegno di politiche, procedure, routine, regole formali e scritte, che vincolano le scelte dei membri dell’organizzazione. La centralizzazione Il gradi di centralizzazione fa riferimento alla distribuzione del potere a dell’autorità all’interno dell’organizzazione. Questi 3 elementi portano alla struttura organizzativa e alla cultura organizzativa -La struttura organizzativa fa riferimento alle relazioni tra i compiti svolti dai membri dell’organizzazione e si concretizza nelle forme di divisione del lavoro, nell’unità organizzativa, nelle gerarchie, nelle politiche, regole e procedure, e nei diversi meccanismi di coordinamento e di controllo. -La cultura organizzativa è l’insieme dei valori dominanti, opinioni, atteggiamenti, e norme che sono alla base per giusti care le decisioni e comportamenti. Il cambiamento organizzativo è l’insieme di azioni pensate e orientate dichiaratamente verso un obiettivo di mutamento dell’organizzazione IL CAMBIAMENTO COME TRASLOCO a. Analisi dello stato iniziale (luogo di partenza) b. Analisi dello stato nale (luogo di arrivo) c. Catalogazione e impacchettamento d. Trasferimento e. Collocazione degli elementi nel nuovo contesto (spacchettamento e ricollocazione) f. Acquisizione elementi mancanti LE DINAMICHE ORGANIZZATIVE “Siamo abituati a pensare che tutte le organizzazioni sociali, quelle rivolte ai bisogni della persona come quelle rivolte alla produzione di beni, siano state create e vengano gestite sulla base di piani cazioni, strategie e politiche razionali, a partire da concezioni teoriche fondate e da pratiche manageriali sperimentate e veri cabili”. ma … “L'esperienza dimostra però che in certe situazioni, nonostante la razionalità del progetto originario, l'adeguatezza delle risorse investite e l'acquisizione di un'ampia autorità e di una su ciente base di consenso, qualcosa va storto e la macchina organizzativa inopinatamente si inceppa”. LA DIREZIONE OBIETTIVI DEL RESPONSABILE NELLE ORGANIZZAZIONI SANITARI ffi fi fi fi fi LE CAPACITÀ DI UN MANAGER EFFICACE - Rendere chiari gli obiettivi a tutti coloro che sono coinvolti. - Incoraggiare la partecipazione, la comunicazione verso l’alto e i suggerimenti. - Piani care e organizzare al ne di ottenere un ordinato usso di lavoro. - Possiede una competenza tecnica amministrativa per rispondere alle domande relative all’organizzazione. - Facilita il lavoro attraverso la costruzione di team, la formazione, il coaching e il supporto. - Fornisce feedback in modo onesto e costruttivo. - Fa funzionare le attività basandosi su programmi, scadenze e solleciti. -Controlla i dettagli senza essere invadente. - Esercita una ragionevole pressione per il raggiungimento degli obiettivi. - Autorizza e delega compiti chiave agli altri mantenendo chiarezza di obiettivi e di impegno. - Riconosce una buona performance con ricompense e rinforzi positivi. TIPOLOGIE DI LEADERSHIP Il leader orientato al compito - ha conoscenze relative al compito - è creativo, innovativo - è realistico - è convincente per ottenere il consenso del gruppo - è capace di formulare i problemi e di riassumere le discussioni - è abile nel piani care, organizzare, coordinare - si può contare su di lui per completare il lavoro Il leader orientato alla relazione - dà amicizia e calore - risolve i con itti, allenta le tensioni, è conciliante - dà aiuto, consigli, incoraggiamenti - mostra comprensione e tolleranza verso i punti di vista diversi - mostra imparzialità ed equità Leadership orientata al compito (in base alla quale il leader è mosso dalla volontà di far conseguire al gruppo determinati risultati) Leadership orientata alla relazione (fondato sulla motivazione a curare i buoni rapporti all’interno del gruppo stesso). CONTROLLO SITUAZIONALE Per controllo situazionale si intende la maggiore o minore facilità del leader di controllare i membri del gruppo. La situazione più favorevole sotto il pro lo del controllo situazionale è quella in cui: la relazione del leader ed il gruppo è contrassegnata dalla ducia; ogni membro del gruppo ha dei compiti ben precisi; il leader può distribuire ricompense e punizioni. CONTROLLO SITUAZIONALE Non esiste una leadership migliore di un’altra ma situazioni più o meno favorevoli a certi stili di comando. Ogni individuo, se collocato al posto giusto, ha le potenzialità di essere un leader. -Condizione di basso controllo situazionale: i migliori risultati sono ottenibili dal leader orientato al compito che, in un contesto così di cile, riuscirà a fare eseguire almeno qualche incarico. -Condizione di moderato controllo situazionale: i migliori risultati sono ottenibili dal leader orientato alla relazione che potrà dedicarsi in modo adeguato ai problemi di interazione evidenziati all’interno del gruppo stesso. fi fl fl fi fi ffi fi fi -Condizione di alto controllo situazionale: i migliori risultati sono ottenibili dal leader orientato al compito che, in un contesto in cui i job dei membri sono stabili, riuscirà a conseguire un alto livello di e cienza nell’esecuzione degli incarichi. Un capo può diventare un leader se usa ed incrementa le sue abilità in relazione al ruolo organizzativo che ricopre Abilità tecniche Capacità di usare conoscenze, metodi e attrezzature per compiere compiti speci ci, acquisita attraverso l’esperienza e la formazione. Abilità relazionali Capacità e senso critico nel lavorare con le persone: motivare, comunicare, lavorare in gruppo, dare esempio. Abilità concettuali Capacità di capire le complessità dell’organizzazione nel suo insieme e del posto che la propria unità operativa ha nel quadro globale; interpretare le situazioni, elaborare la visione sugli obiettivi futuri. STILI DI LEADERSHIP -Maturità bassa (M1): la persona è non competente e non preparata, non pronta ad assumersi responsabilità e volontà di assunzione di responsabilità. -Maturità medio/bassa (M2): la persona non è ancora competente, ma dimostra disponibilità e volontà di assunzione di responsabilità. -Maturità medio/alta (M3): il collaboratore è competente, ma si mostra ancora insicuro, non completamente disponibile ad assumersi responsabilità personali. -Maturità alta (M4): il collaboratore è ormai capace, competente, disponibile, sicuro di sé. I MODELLI A DUE DIMENSIONI DELLA LEADERSHIP Lo schema rappresenta su assi cartesiani il comportamento del leader in base all’interesse per la produzione (asse orizzontale) e l’interesse per le persone (asse verticale). Attribuendo un punteggio da 1 a 9 per ciascuna dimensione si ottengono 81 possibili comportamenti. ffi fi LA PERFORMANCE LAVORATIVA -La maturità lavorativa è la competenza professionale speci ca, l’esperienza maturata nello svolgere un particolare lavoro e nel raggiungere un determinato obiettivo; in pratica, esperienza di lavoro precedente, conoscenze professionali, comprensione dei requisiti lavorativi per un certo compito. -La maturità psicologica è la disponibilità e la volontà di assumersi in prima persona le responsabilità che derivano dagli obiettivi o compiti assegnati; in pratica può essere considerata l’impegno nello svolgere un lavoro, la prontezza ad assumersi la responsabilità, la motivazione all’a ermazione. >MANAGER E LA DELEGA La parola delega scatena anche nei responsabili più moderni e democratici paure, ansie, con itti interiori di cilmente spiegabili dal solo punto di vista logico. IL PROCESSO DI DELEGA La delega è un processo organizzativo che premette il trasferimento dell’autorità dal superiore al subordinato LE FASI DEL PROCESSO DI DELEGA De nire con precisione gli obiettivi: stabilite i risultati attesi e non le modalità di lavoro; essere chiari; comunicare, spiegare, discutere. Stabilire col delegato i poteri e le risorse a sua disposizione nonché i limiti entro cui avrà piena libertà di azione. Bisogna de nire chiaramente: i tempi di consegna; le autorizzazioni di spesa; persone a disposizione; possibilità di dare ordini. LE FASI DEL PROCESSO DI DELEGA De nire un sistema di controllo: il controllo non si delega mai; controllo non scale (si controlla per migliorare i risultati); gradualità dei controlli preferire i controlli faccia a faccia. Motivare il delegato: delegare la responsabilità; delegare attività interessanti; inquadrare le delega nel piano di sviluppo della professionalità. IL PENSIERO DI GRUPPO -Illusione di invulnerabilità – Illusione che alimenta eccessivo ottimismo e propensione al rischio. -Razionalizzazione - Sottovalutazione sistematica dei segnali negativi. -Illusione di moralità - Il gruppo crede di agire in nome e per conto di una giusta causa. -Stereotipi – Ritenere che i potenziali oppositori esterni al gruppo siano rivali troppo stupidi per negoziare o troppo deboli per costituire una minaccia. -Pressione al conformismo - Le idee e le opinioni di erenti all'interno del gruppo sono considerate devianti. -Autocensura - I componenti del team tendono a minimizzare i loro sentimenti di dubbio o di contrarietà. -Illusione di unanimità – Sottostima del grado di coesione: "Silenzio assenso... “. -Autodifesa mentale - Alcuni componenti del gruppo tendono a ltrare le informazioni. ff fi fi ff fi fi fi fl ffi fi COMUNICAZIONE Essere in relazione con qualcuno, far partecipe, rendere comune ad altri, dividere insieme, corrispondere, trasmettere informazioni, avere la possibilità di scambiarsi consigli, punti di vista, suggerimenti. De nizione la COMUNICAZIONE è un processo volontario di trasmissione di informazioni di varia natura, che avviene tramite segnali codi cati (signi canti) secondo regole note sia al mittente che ai destinatari (codice); i segnali, una volta decodi cati, attivano una serie di processi interpretativi e di comprensione. APPROCCI ALLA COMUNICAZIONE Numerosi sono gli approcci elaborati all'interno di varie discipline, quali sociologia, antropologia, loso a, psicologia, pedagogia e altre ancora. Qui, meritano di essere ricordati: il modello tradizionale emittente-messaggio-ricevente, in cui l'emittente codi ca idee e sentimenti in un messaggio e lo spedisce attraverso un canale (parole, scritti ecc.) a un ricevente; il modello interattivo, che ha focalizzato l’analisi sulla circolarità del rapporto emittente-ricevente, introducendo il concetto di feedback. il modello dialogico, in cui si assume che gli interlocutori siano contemporaneamente (e non in momenti diversi) emittenti e riceventi durante l'interazione. APPROCCI ALLA COMUNICAZIONE La comunicazione, quindi, può essere de nita un processo che coinvolge più soggetti sociali in una serie di eventi, che si basa soprattutto sull'interazione e sulla relazione fra gli interlocutori, considerati soggetti attivi, e che è caratterizzata da un certo grado di consapevolezza e di intenzionalità della persona emittente. Negli anni si sono intensi cati gli sforzi per approfondire l'analisi del processo comunicativo e delle componenti verbali e non verbali del comunicare, e nell’individuare speci che tecniche comunicative, da applicare soprattutto alla gestione della malattia cronica. GLI ASSIOMI DELLA COMUNICAZIONE UMANA PRIMO ASSIOMA DELLA COMUNICAZIONE UMANA Il primo assioma dice che non si può non comunicare. Qualunque comportamento comunica qualcosa e, visto che è impossibile avere un non-comportamento, la non-comunicazione è altrettanto impossibile. Qualunque cosa fai o dici, qualunque scelta (dai vestiti alla macchina, da ciò che leggi allo sport che pratichi – o che non pratichi) comunica qualcosa agli altri e a te stesso. SECONDO ASSIOMA DELLA COMUNICAZIONE UMANA Il secondo assioma dice che all’interno di ogni comunicazione vanno distinti due livelli, uno di contenuto e uno di relazione. -Il primo dice che cosa stai comunicando. -Il secondo dice che tipo di relazione vuoi instaurare con la persona a cui la rivolgi. TERZO ASSIOMA DELLA COMUNICAZIONE UMANA Il terzo assioma dice che il modo di interpretare una comunicazione dipende da come viene punteggiata la sequenza delle comunicazioni fatte. QUARTO ASSIOMA DELLA COMUNICAZIONE UMANA Il quarto assioma dice che ci sono due modalità di comunicazione: una analogica e una numerica (o digitale). -La comunicazione analogica si basa sulla somiglianza (analogia) tra la comunicazione e l’oggetto della comunicazione: rientra in essa tutta la comunicazione non verbale e l’uso di immagini. -La comunicazione numerica si basa sull’uso delle parole, e in generale di segni arbitrari organizzati da una sintassi logica, cioè di segni usati convenzionalmente per designare qualcosa. QUINTO ASSIOMA DELLA COMUNICAZIONE UMANA Il quinto dice che nella comunicazione umana tutte le interazioni tra comunicanti possono essere simmetriche o complementari. Si ha un’interazione simmetrica quando gli interlocutori, tramite le loro comunicazioni, si considerano di pari livello: nessuno dei due vuole prevalere o essere subordinato all’altro. L’interazione complementare si ha invece quando gli interlocutori non si considerano sullo stesso piano, e ciò risulta dalle loro comunicazioni, che pongono uno dei due in una posizione superiore (one-up) e l’altro subordinata (one-down). fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi PRINCIPI DEL MODELLO DI SHANNON In A Mathematical Theory of Communication, articolo pubblicato nel 1948 sulla rivista Bell System Technical Journal, Claude Shannon pone le basi di quella che viene considerata la moderna teoria dell'informazione. Shannon nel suo articolo de nisce i componenti base delle comunicazioni digitali: L'informazione di partenza che crea il messaggio Il trasmettitore che, ricevute le informazioni, le traduce in messaggio da trasmettere lungo il canale Il canale, che funge da mezzo di trasmissione del segnale e che provvede a trasmetterlo a destinazione Il ricevitore, che riceve il segnale trasmesso lungo il canale e provvede a decodi carlo. Il destinatario (persona o macchina), che riceve il messaggio e ne comprende il signi cato LA COMUNICAZIONE VERBALE Il primo aspetto descrive la componente verbale della comunicazione. Questo indica ciò che si dice (o che si scrive, nel caso di una comunicazione scritta): la scelta delle parole, la costruzione logica delle frasi e l'uso di alcuni termini piuttosto che di altri individua questo livello. Nel linguaggio verbale sono da considerare inoltre: - il tono, il grado di maggiore o minore elevazione della voce; - il timbro della voce, che ci consente di riconoscere una persona; - la pronuncia e l’accento, che o re indicazioni circa la provenienza o la cultura dell’individuo; - l’intonazione, cioè la modulazione che o re colorazione al discorso; - l’accentuazione, cioè pronunciare con particolare enfasi una o più parole modi candone il signi cato. COSE IMPORTANTI DEL COMPORTAMENTO VERBALE Sapere che le componenti verbali, in un atto comunicativo, dunque anche nel colloquio con il paziente, sono costituite da: - fare domande: chiuse/aperte; - fornire spiegazioni; - dare libera informazione; - fornire autoapertura. Ricordare che le domande chiuse: - suggeriscono risposte secche (sì/no); - costringono l'interlocutore a tacere; - costringono l'interlocutore a porre un'altra domanda; - costringono a rispondere con poca partecipazione, non facilitano il dialogo. COSE IMPORTANTI DEL COMPORTAMENTO VERBALE Ricordare che le domande aperte: - favoriscono risposte continue e lunghe; - stimolano il destinatario a fornire più informazioni. Ricordare che la libera informazione (tutto quanto viene detto senza esplicita richiesta) l'autoapertura (informazione libera o sollecitata che noi diamo su noi stessi) facilitano la conversazione, ma devono essere usate con prudenza in un rapporto professionale. COSE IMPORTANTI DEL COMPORTAMENTO VERBALE Ricordare che la volontà di concludere la conversazione o di cambiare argomento deve essere espressa con chiarezza e decisione, e che è utile far precedere il congedo da un'a ermazione rassicurante e grati cante circa l'incontro avuto. Riconoscere e utilizzare rinforzi e feedback. Entrare in un'interazione comunicativa al momento opportuno, né "fuori luogo" né "fuori tempo". LA COMUNICAZIONE PARAVERBALE Il secondo aspetto è quello paraverbale, cioè il modo in cui qualcosa viene detto. Gli elementi principali sono: - la qualità della voce (risonanza, ecc.); - le vocalizzazioni o caratterizzatori (sospiro, pianto, riso, sbadiglio); - i quali catori vocali (intensità ed espressione); - i segregatori vocali (suoni o pause che accompagnano o intercalano le parole) LA COMUNICAZIONE NON VERBALE Il terzo aspetto riguarda il non verbale: tutto quello che si trasmette attraverso la propria postura, i propri movimenti, ma anche attraverso la posizione occupata nello spazio e l’orientamento, gli aspetti estetici, il contatto corporeo. fi fi fi fi ff ff fi fi ff fi È importante ricordarsi che con il contatto sico si invade lo spazio di un altro individuo e che esistono vari modi di stabilire un contatto corporeo: stringere la mano o un braccio, appoggiare il braccio sulle spalle di un altro, dare colpetti sulla schiena, accarezzare. LA COMUNICAZIONE NON VERBALE - È un linguaggio di relazione, un mezzo primario per segnalare i mutamenti di qualità nello svolgimento delle relazioni interpersonali e un mezzo per esprimere e per comunicare emozioni. - Può sostenere e completare la comunicazione verbale. - Ha una funzione metacomunicativa: fornisce elementi per interpretare il signi cato delle espressioni verbali. - Lascia ltrare più facilmente i contenuti profondi dell'esperienza dell'individuo, perché rispetto al linguaggio è meno sottoposta al controllo consapevole o alla censura inconscia. - Regola l'interazione: sincronizza i turni e le sequenze, fornisce informazioni di ritorno, invia segnali di attenzione. - Sostituisce la comunicazione verbale in situazioni che non consentono l'uso del linguaggio. COMPONENTI NON VERBALI - Imparare a osservare con particolare attenzione gli aspetti non verbali. - Capire la congruenza dei gesti. Ciascun gesto può facilmente essere contraddetto, ampli cato e confuso da un altro. Se vi è contrasto fra elementi verbali e non verbali, è probabile che la comunicazione più vera sia quella non verbale. - Utilizzare al meglio il contatto oculare, in modo esplorativo, non sso, congruente con il resto del volto e con quanto viene detto. Osservare come gli altri utilizzano il contatto oculare e come il proprio comportamento ne venga in uenzato. - Sapere che la posizione del corpo (postura) esprime ciò che il linguaggio verbale non dice o dice in parte. - Ricordarsi che con il contatto sico si invade lo spazio di un altro e che anche un gesto può rappresentare un momento cruciale, per evidenziare l'interessamento oppure il distacco. COMPONENTI NON VERBALI - Il "come si dice" (tono, in essione, volume della voce) produce degli e etti che vanno al di là del "che cosa si dice". - Utilizzare la gestualità in modo misurato ma espressivo, descrivendo e sottolineando cose, emozioni e concetti. - Ricordatevi di osservare come gli altri reagiscono al vostro comportamento. lasciate che il vostro agire sia essibile, guidato da tale feedback. Sfruttate le informazioni così acquisite per controllare anche l'in uenza che lo spazio esistente tra voi e l'interlocutore (spazio personale) ha sulla vostra sicurezza Stanza di Johari Nella stanza 3 (privata) si trovano i comportamenti, i sentimenti e le motivazioni che sono noti a sé ma non agli altri. Nella stanza 1 (conosciuta) si trovano i comportamenti, i sentimenti e le motivazioni che sono note a sé e agli altri. Nella stanza 4 (ignota) si trovano i comportamenti, i sentimenti e le motivazioni che sono ignoti sia a sé che agli altri. Nella stanza 2 (cieca) si trovano tutte i comportamenti, i sentimenti e le motivazioni che sono noti agli altri ma non a sé. LA COMUNICAZIONE NON VERBALE Nell’atto comunicativo l’abilità di “osservare” la comunicazione non verbale è fondamentale. Le sei emozioni primarie identi cate da Ekman nei suoi studi sono: 1. Felicità 2. Sorpresa 3. Disgusto 4. Rabbia 5. Paura 6. Tristezza fi fl fl fl fi fi fl fi fi ff fi fi SOCIAL PENETRATION THEORY La teoria della penetrazione sociale è stata sviluppata nel tentativo di spiegare come funziona lo scambio di informazioni nello sviluppo e nella dissoluzione delle relazioni interpersonali. La penetrazione sociale descrive il processo attraverso il quale la relazione da super ciale diventa più intima (Altman & Taylor, 1973). In particolare, la penetrazione sociale si realizza attraverso l'auto-rivelazione, il processo intenzionale di rivelare informazioni su sé stessi (Derlega, Metts, Petronio, & Margulis, 1993). L'auto-rivelazione aumenta no a un certo punto l'intimità nelle relazioni. La penetrazione sociale può veri carsi in diversi contesti, come ad esempio le relazioni romantiche, le amicizie, i gruppi sociali (come i gruppi religiosi o squadre di calcio) e le relazioni di lavoro. LE FUNZIONI DELLA COMUNICAZIONE - Funzione strumentale - Quando vogliamo acquistare un oggetto o ssate un appuntamento. - Funzione di controllo – Per controllare o modi care il comportamento di altre persone. - Funzione di informazione – Chiedere e dare ragguagli, chiarire dubbi, risolvere incertezze, dare informazioni, scrivere un articolo, ecc. - Funzione espressiva di una realtà interiore – Per comunicare stati a ettivi o particolari situazioni somatiche. - Funzione di contatto sociale e di stimolazione – Il piacere di comunicare con gli altri per evitare il senso di isolamento o di solitudine. - Funzione di alleviamento dell’ansia – Molte persone ansiose traggono sollievo dalla comunicazione con altri. - Funzione legata al ruolo – Comunicare con altri per motivo di lavoro. COMUNICAZIONE IN CRISI -FEEDBACK INAPPROPRIATO Uno degli errori più frequenti che si commette nella comunicazione consiste nel ritenere ricevuto il messaggio non appena lo abbiamo emesso. -INTERPRETAZIONE DEI MESSAGGI Il rischio maggiore nella comunicazione consiste nel ritenere certa la comprensione e l’interpretazione del messaggio dal parte del ricevente -DIFFERENTI PUNTI DI VISTA -RAPPRESENTAZIONI MENTALI -ATTRIBUZIONE DI SIGNIFICATO -COGNIZIONE ATTRIBUITA -INTERAZIONE TRA COGNIZIONE ED EMOZIONE EGOCENTRISMO Con il termine egocentrismo Piaget si riferiva all’incapacità del bambino piccolo di rendersi conto del fatto che altre persone potevano avere prospettive o punti di vista diversi rispetto a quelli che aveva lui. L’egocentrismo come percezione e non come misura del mondo. Nei suoi studi Piaget ha messo in evidenza una particolare forma di linguaggio de nibile proprio come egocentrico. Questo prende forma quando il bambino parla convinto che gli altri lo comprendano (uso di pronomi senza avere prima indicato il nome al quale si riferisce). Il linguaggio egocentrico ri ette la presenza di un pensiero egocentrico. IL CODICE ELABORATO E IL CODICE RISTRETTO Il CODICE ELABORATO: è formato da frasi più lunghe con una grammatica completa. Le frasi complesse sono più ricche di parole e congiunzioni, c’è più scelta di termini, signi cati e il discorso risulta più ricco. Il CODICE RISTRETTO: è formato da frasi brevi con una grammatica semplice. Le frasi complesse sono formate con le stesse congiunzioni e poche parole di cili. C’è poco lessico, pochi concetti e poca organizzazione del discorso. fi fl fi fi fi ff ffi fi fi fi EMOZIONI, STRESS E COMUNICAZIONE LE EMOZIONI Con il termine emozione si possono indicare diversi signi cati, in generale si fa riferimento a sensazioni positive o negative generate da particolari situazioni. Una risposta emozionale è formata da tre componenti: Comportamentale: movimenti muscolari appropriati alla situazione stimolo. Vegetativa: rapida mobilitazione dell’energia per consentire comportamenti vigorosi. Ormonale: gli ormoni secreti (adrenalina e noradrenalina) aumentano l’a usso di sangue verso i muscoli e stimolano la conversione del glucosio. Secondo Ricci Bitti e Caterina (2001), l’emozione è un concetto complesso e deriva dai seguenti fattori: le risposte emozionali sono caratterizzate sia da indicatori verbali sia da indicatori non verbali; le risposte emozionali racchiudono molteplici aspetti: − componente cognitiva: continua valutazione in termini cognitivi degli stimoli ambientali; − componente siologica: attivazione del sistema nervoso centrale, del sistema nervoso autonomo e del sistema endocrino, che si traduce in tensioni muscolari, modi cazioni del battito cardiaco, modi cazione del ritmo respiratorio, salivazione, sudorazione ecc.; − componente espressivo-motoria: movimenti del volto e del corpo, modi cazioni dell'atteggiamento posturale e dell'espressione facciale, di erenti toni della voce e particolari modi cazioni dell'eloquio; − componente motivazionale: spinta all'azione, cioè intenzione e disposizione ad agire per realizzare determinati scopi e soddisfare speci ci bisogni; − componente soggettiva: ri essione soggettiva sull' esperienza e sul vissuto emozionale, con una attribuzione di nomi a speci ci stati emotivi. L’INTELLIGENZA EMOTIVA Mayer e Salovey (1997) hanno modi cato la loro prima de nizione di intelligenza emotiva, ciò al ne di sottolineare «la capacità di pensare sui sentimenti». Costrutto focalizza la capacità di ri ettere e di pensare sui sentimenti, e la capacità di regolare le emozioni. Le abilità che compongono l'intelligenza emotiva sono cinque, e vengono indicate insieme alle capacità più speci che che ne derivano, che rappresentano dei veri e propri indicatori. 1. la consapevolezza emotiva, che genera principalmente: la capacità di distinguere e di denominare le proprie emozioni in determinate situazioni; il riconoscimento dei segnali siologici che indicano il sopraggiungere di un'emozione; la capacità di comprendere le cause che scatenano determinate emozioni. 2. il controllo emotivo (appropriatezza nell'espressione e nel vissuto emotivo, evitando il cosiddetto "sequestro emotivo", ovvero l'essere dominati dalle proprie emozioni), che si manifesta prevalentemente attraverso: il controllo degli impulsi e delle emozioni; il controllo dell'aggressività diretta verso gli altri; il controllo dell'aggressività rivolta verso se stessi. 3. la capacità di motivarsi (predisposizione di piani e di obiettivi, capacità di tollerare le frustrazioni e di posporre le grati cazioni), i cui indicatori principali sono: la capacità di incanalare, energizzare e armonizzare le emozioni dirigendole verso il raggiungimento di un obiettivo; la tendenza a reagire attivamente (con ottimismo e iniziativa) agli insuccessi e alle frustrazioni. 4. l'empatia, che implica: la capacità di riconoscere gli indizi emozionali altrui; la sensibilità alle emozioni e alla prospettiva altrui. 5. la gestione e cace delle relazioni interpersonali (gestione delle relazioni sociali fra individui e nel gruppo), che determina: la capacità di negoziare i con itti, tendendo alla risoluzione delle situazioni; la capacità di comunicare e cacemente con gli altri. LO STRESS Le ricerche sullo stress si sono evolute dagli studi iniziali sulle proprietà degli stimoli stressanti e sulle caratteristiche della risposta di stress, spostando il centro dell' attenzione sulle variabili di fi fi fi fi ffi ffi fl fi fl fi fi fi fl fi fi fi fi ff ffl fi fi mediazione, ossia le variabili che modulano l'elaborazione cognitiva ed emotiva dei fattori stressanti e le risorse che il soggetto utilizza per fronteggiare lo stress. Il termine stressor indica l'evento o fattore stressante, cioè lo stimolo che causa la reazione di stress dell'organismo. Gli stressor possono essere più o meno gravi (morte di un glio o di un coniuge o un evento nuovo da a rontare, non n

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