Psichiatria - Corso Integrato - Esame 2024 PDF
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Università degli Studi di Trieste
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Questi appunti riguardano il corso di psichiatria, illustrando la definizione, la diagnosi e le possibili terapie. Sono spiegati i criteri DSM-5 e ICD-11. L'argomento principale è la psichiatria, con una visione integrata con la neurologia e la neuropsichiatria infantile, e l'importanza di comprendere la complessa interazione mente-cervello.
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1.1 Psichiatria 30/09/2024 All’inizio della lezione il docente fornisce alcune informazioni generali sul corso di psichiatria e sul corso integrato: Le lezioni di psichiatria inizieranno puntuali alle ore 14:00; non ci sarà...
1.1 Psichiatria 30/09/2024 All’inizio della lezione il docente fornisce alcune informazioni generali sul corso di psichiatria e sul corso integrato: Le lezioni di psichiatria inizieranno puntuali alle ore 14:00; non ci sarà il quarto d’ora accademico, ma le lezioni termineranno 10 minuti prima di modo da permettere una pausa Gli studenti presenti a lezione dovranno prestare attenzione e fare silenzio, siccome non c’è un microfono Viene ribadito come le presenze quest’anno (sempre 75%) verranno controllate con maggiore attenzione Il Syllabus è il programma/presentazione del corso che dal primo anno di medicina dovrebbe guidare la frequentazione degli studenti ai corsi. (https://corsi.units.it/me03/moduli/2024/875me) Il prof ricorda che vista la visita di ANVUR è bene che gli studenti siano informati su tutto ciò che concerne i syllabus. Il testo indicato per lo studio è “Elementi di psichiatria” di Maina-Albert-Rosso IV edizione. Il libro contiene tutti gli argomenti che verranno trattati nel corso, ad eccezione fatta degli ultimi due capitoli, riguardanti medicina generale e consulenza. Verranno messe a disposizione delle slide inerenti a tutti gli argomenti trattati, ma viene caldamente consigliato lo studio dal libro (ha apertamente dichiarato che chiederà la fonte con cui è stato preparato l’esame e non vorrà come risposta “dispense/sbobine”) L’esame sarà unico per tutto il corso integrato, costituito da 106 domande a risposta multipla con quattro risposte, di cui solo una corretta. La quantità di domande per insegnamento sarà suddivisa equamente in base al peso in CFU della materia: ▪ Neurologia 52 domande ▪ Psichiatria e psicologia clinica 40 domande ▪ Neuropsichiatria infantile 14 domande La durata dell’esame sarà complessivamente di 105 minuti. Chiunque totalizzi più di 100 punti sui 106 totali otterrà la lode. [il professore dichiara 100 domande in 60 minuti, ma dal syllabus risultano 106 domande in 105 minuti. Inoltre, ha affermato che la valutazione verrà eseguita a partire dal punteggio più alto, che otterrà il voto maggiore] DEFINIZIONE DI PSICHIATRIA La psichiatria è una specialità medica in cui il medico si occupa di eseguire diagnosi secondo determinati criteri e, di conseguenza, imposta un piano terapeutico per il paziente (la terapia non necessariamente è di tipo farmacologico, può anche trattarsi di psicoterapia). Il professore cita un articolo “vecchio” dell’American Journal of Psychiatry, di cui consiglia la lettura. La psichiatria, quindi, è una disciplina medica che studia e tratta un insieme di disturbi della mente. È importante parlare di disturbi in quanto si potrebbe erroneamente far intendere che ci si riferisca ad una condizione simil-fisiologica. Ad esempio, se si parla di depressione ci si può riferire ad uno stato d’animo fisiologico che chiunque può sperimentare nella vita, mentre se ci si riferisce all’ambito psichiatrico è bene parlare di disturbo depressivo maggiore. Per quanto riguarda la diagnosi, bisogna tenere a mente che in medicina possono esistere della patologie dalla definizione molto più netta e altre che sono, per loro natura, più vaghe. Sbobinatore: Murador Anna Revisore: Kolman Giulia 1.1 Psichiatria 30/09/2024 Di conseguenza, in alcuni casi le diagnosi non sono valide, ovvero non hanno dei confini netti di separazione da chi non è malato, ma clinicamente utili, nel senso che servono ad identificare con il maggior potere predittivo positivo e negativo a chi proporre un trattamento. I valori predittivi sono quelli che permettono di ridurre il più possibile i casi di persone sane che vengono individuate come malate o persone malate che risultano sane. Bisogna, infatti, tenere a mente che anche sottoporre a psicoterapia un paziente che non la necessita è sbagliato. COME SI ESEGUE UNA DIAGNOSI IN PSICHIATRIA Innanzitutto, per eseguire una diagnosi bisogna imparare a distinguere i segni e i sintomi delle malattie mentali; il segno viene riscontrato dall’esterno, mentre il sintomo viene comunicato dal paziente. Molte patologie psichiatriche sono caratterizzate da una grossa componente di sintomi più che di segni, è quindi bene avere la possibilità di comunicare con il paziente per un’accurata visita psichiatrica. I segni e i sintomi riflettono l’attività della mente di un paziente in modi diversi (memoria, umore, ansia, paura ecc), per questo motivo bisogna dividere il funzionamento psichico dell’individuo in diverse funzioni che sono, nella persona sana, integrate tra loro. Ad esempio, non si può sapere se una persona è triste (sintomo), ma si possono osservare alcuni segni caratteristici come il rallentamento motorio e della mimica facciale, oltre a valutare se il paziente fa discorsi o riporta di aver avuto pensieri tristi. Eseguendo l’EO psichico (esame psichico diretto), si vanno a scomporre arbitrariamente le funzioni che caratterizzano la psiche; bisogna porre attenzione a come ci si pone rispetto a questa scomposizione, in quanto influisce in modo fondamentale sulla diagnosi che ne risulterà. Per poter eseguire una diagnosi psichiatrica corretta si devono seguire dei pattern sindromici, insieme di segni e sintomi, che definiscono delle patologie specifiche. Ci sono due elementi da tenere a mente: 1. Non esiste alcun segno o sintomo psichiatrico che sia patognomonico, ovvero la cui presenza identifichi di default un disturbo Es: i deliri (o le allucinazioni) non sono patognomoniche del disturbo schizofrenico, ma sono di possibile riscontro in molteplici patologie 2. È il pattern sindromico ad essere caratteristico della diagnosi non il singolo sintomo, quindi è l'insieme dei sintomi che definisce quali sono i disturbi. CLASSIFICAZIONE PSICOPATOLOGICA DEI DISTURBI PSICHIATRICI Si tratta di una suddivisione grezza, ma clinicamente utile. Disturbi pervasivi e persistenti Con pervasivi si intende la presenza di segni/sintomi in tutti gli ambiti della vita del paziente, per esempio, se un paziente ha un disturbo di personalità, questo si paleserà in ogni circostanza. Sbobinatore: Murador Anna Revisore: Kolman Giulia 1.1 Psichiatria 30/09/2024 Con persistenti si intende il fatto che la condizione persiste in tutto l’arco della vita del paziente; il pattern sindromico lo accompagna per sempre, non si risolve e tende a presentarsi in età precoce. Questa categoria si suddivide ulteriormente in: ▪ Disabilità intellettiva/disturbi dello sviluppo intellettivo Fanno parte di questa sezione disturbi come ADHD o disturbi dello spettro dell’autismo, che da sempre sono presenti nella vita del paziente in quanto si tratta di uno sviluppo neuroatipico (una formazione non tipica del cervello). Nonostante siano condizioni presenti dalla nascita, non sempre la diagnosi è tempestiva, se la diagnosi è tardiva deve essere confermata la presenza dei sintomi sin dalla prima età del paziente. Lo stesso discorso vale per la disabilità intellettiva (volgarmente detto ritardo mentale), condizione in cui la diagnosi può essere tardiva perché varia il momento in cui si nota il disturbo (che c’è da sempre); solitamente il momento in cui si nota la neuroatipicità è nell’età scolare di un paziente, in quanto questo deve socializzare, studiare, seguire delle regole... ▪ Disturbi di personalità Questi disturbi si sviluppano verso i 18 anni, età canonica scelta in quanto a quell’età si raggiunge la maturazione della personalità di un individuo; ne consegue che non si possa fare una diagnosi di questo genere su un bambino piccolo o su un paziente anziano (che dovrebbe aver già manifestato i sintomi del disturbo). Disturbi sindromici Questi disturbi sono caratterizzati da un’insorgenza tardiva, non si nasce con uno di questi disturbi. Nel corso della vita di un paziente può esserci un evento che scatena l’insorgenza della patologia con un esordio acuto. La maggior parte di questi disturbi possono, in qualche modo, guarire. Un esempio di questa categoria è il disturbo di panico, il quale si manifesta con un esordio acuto che è l’attacco di panico (che può verificarsi a qualsiasi età). Sbobinatore: Murador Anna Revisore: Kolman Giulia 1.1 Psichiatria 30/09/2024 SISTEMI E CLASSIFICAZIONI DIAGNOSTICHE Ci sono due sistemi/classificazioni differenti su cui ci si basa per eseguire una diagnosi: DSM-5 (diagnostic and statistical manual of mental disorders quinta edizione) È l’insieme di tutti i criteri stilati e revisionati dall’American Psychiatric Association. Questo manuale permette la diagnosi efficace di un disturbo mentale e permette inoltre la comunicazione tra medici di specialità differenti con una nomenclatura funzionale e nota. ICD-11 (international classification of diseases) È un sistema di classificazione internazionale redatto dall’OMS che permette di riferirsi univocamente in tutto il mondo ad una patologia con un codice numerico. Questo sistema viene utilizzato nelle cartelle cliniche e nelle SDO (schede di dimissione ospedaliera). Questa classificazione si basa su un metodo prototipico nel quale viene presentato il prototipo di una patologia, permettendo il suo riconoscimento nel paziente che si sta valutando. Con questa metodica il medico deve approcciarsi in modo proattivo andando a indagare i segni e sintomi che si aspetta seguendo il prototipo che si è individuato (si indaga il pattern sindromico, età e modalità di esordio, decorso e complicanze del disturbo). DIVISIONE MENTE/CERVELLO Il termine mente è un termine astratto che si riferisce a funzioni psichiche (memoria, umore...) mentre il cervello è l’insieme di strutture fisiche che espletano quella funzione. Ad esempio, quando si parla del sistema dell’allarme si fa riferimento all’amigdala, che è la parte del cervello implicata nella risposta all’allarme e che, quindi, è anche coinvolta quando il sistema dell’allarme non funziona correttamente. Da ciò si può comprendere come la dicotomia mente/cervello nella realtà non esista ma la mente sia l’espressione dell’attività cerebrale. Per esempio, nel caso del disturbo depressivo maggiore è coinvolto un circuito che è costituito dalla corteccia prefrontale, dalla orbitofrontale, dalla corteccia prefrontale dorso laterale, dal nucleo dell’accumbens, dall’amigdala e dallo strato dentato. Questo circuito è rappresentato nell'immagine sottostante. Sbobinatore: Murador Anna Revisore: Kolman Giulia 1.1 Psichiatria 30/09/2024 Quindi, proprio come nel caso della cura farmacologica, la psicoterapia funziona in quanto modifica il cervello. APPROCCI TERAPEUTICI IN PSICHIATRIA Come detto sopra, lo psichiatra può adoperare due tipi di intervento: un intervento farmacologico o un intervento psicoterapeutico. La psicoterapia si definisce come un processo interpersonale, consapevole e pianificato volto ad influenzare disturbi del comportamento e situazioni di sofferenza con mezzi prettamente psicologici, per lo più verbali, ma anche non verbali. Ciò viene attuato in vista di un fine elaborato in comune, che può essere la riduzione dei sintomi o la modificazione della struttura della personalità, per mezzo di tecniche che differiscono per il diverso orientamento teorico a cui si rifanno. I due approcci terapeutici sopracitati agiscono con due meccanismi differenti: Top down-→ la psicoterapia è efficace in quanto agisce prevalentemente sulla parte della corteccia prefrontale a cui poi risponderanno strutture più in profondità come i gangli della base (nucleo accumbens) e l’amigdala Bottom up → I farmaci sono efficaci perché agiscono prevalentemente sull’amigdala e quindi a rispondere sarà la corteccia prefrontale CRITERI DIAGNOSTICI DEI DISTURBI PSICHIATRICI Quando si parla di disturbi psichiatrici ci si riferisce a tre criteri diagnostici fondamentali per la definizione di questi disturbi: 1. Segni e sintomi, il pattern sindromico caratteristico che permette la diagnosi differenziale 2. Durata minima, il tempo necessario affinché si possa confermare la diagnosi di una data patologia (NON è il tempo di durata del singolo episodio) Es: nel disturbo depressivo maggiore la durata minima del disturbo deve essere di 15 giorni 3. Compromissione del funzionamento (ad opera dei segni e sintomi) In questo caso bisogna indagare sull’effettiva variazione del funzionamento di un paziente, quindi chiedere com’era la sua vita prima del presunto cambiamento. Ovviamente questo criterio cambia in base al singolo paziente. In uno studente, ad esempio, può preoccupare il fatto che non riesca più ad andare a lezione o che ci vada senza alcun profitto oppure che non pratichi più attività che prima svolgeva nel tempo libero. Sbobinatore: Murador Anna Revisore: Kolman Giulia 1.2 Psichiatria 30.09.2024 CLASSIFICAZIONE EZIOPATOLOGICA DEI DISTURBI PSICHIATRICI I disturbi psichiatrici vengono divisi in base all’eziologia, in: Primari Secondari: si tratta di condizioni che si presentano con manifestazioni sintomatologiche che richiamano quelle di un disturbo psichiatrico, ma che sono invece attribuibili a condizioni mediche generali, a farmaci o a sostanze psicoattive. In questo caso, si distinguono: - sintomi atipici: segni e sintomi non caratteristici di quella determinata patologia psichica; - esordio/decorso atipico; - assenza di precedenti psichiatrici; - assenza di familiarità per disturbi psichiatrici; - assenza di eventi psicosociali stressanti. Ad esempio, nel morbo di Parkinson prima ancora della comparsa della sintomatologia motoria di questa malattia si ha, nel 30% dei casi, un quadro di depressione maggiore. Questo quadro si manifesta in maniera atipica, per esempio si presenta in età non propriamente tipica; inoltre, non risponderà al trattamento somministrato volto a curare la depressione, ma alla levodopa, farmaco mirato per la cura del Parkinson. Il fatto di riconoscere che ci sono delle atipie consente di fare la diagnosi. Tutto ciò che rappresenta qualcosa che devia fortemente da quello che si è studiato deve far attivare un cappello d'allarme e far pensare che quei sintomi potrebbero essere espressione di un altro disturbo. Un altro esempio è la sindrome di Cushing, che può determinare la comparsa del disturbo bipolare caratterizzato da un esordio tardivo e/o improvviso, frequenti lievi disturbi cognitivi, e che può persistere dopo normalizzazione dei livelli ormonali. Come già detto, anche alcuni farmaci possono dare origine a sintomatologie psichiatriche in soggetti vulnerabili, considerate effetti collaterali del farmaco stesso. Essi sono: - Antiipertensivi; - Antiblastici; - Antistaminici; - Antiulcera; - Cortisone; - Interferone. Anche l’interruzione di assunzione di alcol in seguito ad uso cronico può causare segni e sintomi psichici. LA DIAGNOSI IN PSICHIATRIA Le fasi di una diagnosi sono: 1. Diagnosi attuale: ovvero come sta il paziente in questo momento; - Elementi fondamentali: o sintomi soggettivi; o esame psichico diretto; o condizioni mediche generali/farmaci/sostanze; - Elementi accessori: o Test; o Colloqui con i familiari: non sempre fattibile, ma molto utile per un riscontro di com’era il pz prima del disturbo. 2. Diagnosi longitudinale (diagnosi completa): si ricostruisce la storia del paziente nel corso degli anni, ricercando i vari campanelli d’allarme; 3. Percorso esistenziale (‘life chart review): si fa alla fine, questo perché non è importante quale sia l’evento che ha scatenato il disturbo (ad eccezione del disturbo da stress post- traumatico). Sbobinatore: Penzo Amanda Revisore: Stefani Michela 1.2 Psichiatria 30.09.2024 Attenzione a non confondere la causa con l’effetto, esempio: il pz ha perso il lavoro e quindi è depresso. Può essere anche che il pz sia depresso e quindi ha perso il lavoro (a causa della compromissione del funzionamento). PROCESSO DIAGNOSTICO: COME SI ARRIVA ALLA DIAGNOSI? 1. Narrazione del paziente: ha un suo modo di parlare ed una sua terminologia, la quale dipende dal suo livello culturale, dalla sua nazionalità… (es. un immigrato appena arrivato in Italia non avrà una grande padronanza dell’italiano). 2. Decodifica della narrazione in segni e sintomi patologici, denominati con un linguaggio tecnico-scientifico (es. non definiremo un paziente “confuso”, ma “non è orientato e lucido”). 3. Ipotesi diagnostica: si crea un’ipotesi chiedendosi se il paziente soddisfa i criteri per un determinato tipo di disturbo psichiatrico (es. se un paziente dice di sentirsi “tanto giù” nell’ultimo periodo bisogna capire cosa intende con tale affermazione: si sente stanco o triste? Se ha un umore deflesso questo non sarà sufficiente per diagnosticare un disturbo depressivo maggiore, ma sarà necessaria la presenza di un pattern di segni e sintomi). 4. Restituzione diagnostica tradotta in linguaggio narrativo: bisogna spiegare al paziente la diagnosi utilizzando un linguaggio adatto al suo livello di cultura. Ad esempio, in caso di diagnosi di disturbo depressivo maggiore si potrebbe dire al paziente “Lei ha un esaurimento nervoso, ha esaurito le batterie e quindi ha la necessità di ricaricarle”. 5. È molto importante che il paziente comprenda ciò che gli viene detto in modo che egli possa poi seguire le indicazioni date dal medico (es. prendere l’antidepressivo ogni sera). ESAME PSICHICO DIRETTO L’esame psichico diretto, o esame obiettivo psichico, serve a valutare molti elementi, tra cui: Atteggiamento: uno dei primi elementi che viene scritto nella cartella clinica. - Generale, contestuale - Verso l’interlocutore (collaborazione) - Verso altri. È fondamentale verificare se il paziente è vigile e orientato (nel tempo, nello spazio e rispetto alla propria persona). Per poter eseguire una visita psichiatrica il paziente deve essere vigile (es. è inutile chiamare un consulto psichiatrico in reparto dopo che il paziente è stato sedato; per poter eseguire la visita psichiatrica il paziente deve essere in grado di sostenere un colloquio). Per verificare se il paziente è orientato gli si possono fare delle domande come: “Come si chiama? Quanti anni ha? Dove vive? Ha dei figli? Quanti anni anno i suoi figli?”, “Dove si trova in questo momento? In quale struttura? Di che struttura si tratta? In quale città si trova?”, “Che giorno è? Di che mese e che anno?”. Esempio: si chiede ad una paziente anziana se ha figli e cosa fanno, la donna risponde che ha due figli che vanno a scuola. I figli hanno 60 anni; la donna è chiaramente disorientata. Sbobinatore: Penzo Amanda Revisore: Stefani Michela 1.2 Psichiatria 30.09.2024 Aspetto generale, cura si sé: - Igiene personale; - Abbigliamento; - Pettinatura; - Trucco. Si verifica se vi è stato un cambiamento rispetto al modo di essere del paziente. Ad esempio, una persona che usava truccarsi molto bene si presenta con un trucco molto pesante e dei colori molto intesi. Mimica e motoria: - Mimica e gestualità: rallentamento/accelerazione dei movimenti; - Postura; - Movimenti involontari: § Tic: ripetitività, afinalismo, involontarietà, suscettibili all’ansia. Es: tic buccali; § Compulsione: ripetitività, finalismo, volontarietà; tipico del disturbo ossessivo compulsivo (DOC). Es. Il paziente che si lava compulsivamente le mani, perché vuole rimuovere lo sporco o perché ha paura di infettarsi, è perfettamente conscio del fatto che quel comportamento è esagerato, ma non può farne a meno; § Stereotipia1: ripetitività, afinalismo, indifferenza all’ambiente. - Movimenti spontanei: § Stupor; § Catatonia; § Catalessia. Linguaggio: - Articolazione del linguaggio (es. il pz parla in maniera molto semplice rispetto al suo livello socioculturale); - Eloquio: rallentato o accelerato (fino alla logorrea difficilmente arrestabile); - Espressività e proprietà linguistica. Coscienza: - alterazioni ipnoidi: torpore, sopore, precoma, coma. La visita psichiatrica è possibile se il pz è vigile; - alterazioni dell’orientamento (lucidità) di persona, tempo e spazio; - restringimenti (stati crepuscolari). Attenzione, concentrazione: la capacità di focalizzare e mantenere la concentrazione è una funzione psichica ad alto dispendio di energia. Quando si è concentrati su un elemento, il cervello viene comunque sollecitato dai vari segnali mandati dagli organi di senso, che però esso scherma se non considerati rilevanti ai fini di ciò che si deve compiere. Nei soggetti affetti da ADHD questo sistema viene alterato, portando a un deficit dell’attenzione; Memoria: si vedrà in neurologia - Di fissazione (primaria); - Di rievocazione (secondaria); - Amnesia (antero e retrograda). 1 Per stereo(pia si intende la ripe(zione di una sequenza invariata e costante di uno o più comportamen(. Esistono mol( (pi di stereo(pie: motorie, nella comunicazione scri:a o parlata, nei giochi, nel disegno... Sbobinatore: Penzo Amanda Revisore: Stefani Michela 1.2 Psichiatria 30.09.2024 Percezione: - Illusioni: percezione inadeguata dell’oggetto, non patologica; si hanno pochi elementi (a causa, per esempio, di scarsa illuminazione o deficit visivi) che permettono di costruire l’interpretazione (es. al buio si potrebbe scambiare una persona per un’altra); - Allucinazione: percezione in assenza dell’oggetto. ® visiva se vedo qualcosa ® sensoriale se sento qualcosa. Le definizioni di illusione e allucinazione potrebbero essere domande d’esame. Capacità intellettive: il professore ha saltato la slide dicendo che verrà trattata in neurologia - Alterazioni funzioni simboliche: § Afasia: incapacità di esprimersi mediante la parola o la scrittura (a. motoria) o di comprendere il significato delle parole dette o scritte da altri (a. sensoria), dovuta ad alterazioni dei centri e delle vie nervose superiori. § Agnosia: l’incapacità di riconoscere gli oggetti familiari mediante gli organi di senso. § Aprassia: in medicina, l’incapacità di compiere movimenti volontari finalizzati a uno scopo o di comprendere l’uso di oggetti abituali, pur essendo integre l’intelligenza e la motilità. (es. Pz con ictus); - Alterazioni delle funzioni esecutive: insieme complesso di funzioni che consentono la pianificazione, messa in sequenza, flessibilità, inibizione di comportamenti, monitoraggio di comportamenti complessi finalizzati. Pensiero: - Strutturazione (forma ed esecuzione): come pensa il paziente; § Accelerazione/rallentamento: ci sono condizioni fisiopatologiche in cui il flusso di pensiero è accelerato (fuga delle idee: faccio fatica a stare dietro ai pensieri, che sembrano correre via). L’accelerazione del pensiero è segno di episodio maniacale; il rallentamento è tipico dell’episodio depressivo maggiore. Spesso quando si ha un’accelerazione ideica, si ha anche un’accelerazione dell’eloquio. § Disturbi formali (dissociativi): circostanzialità, incoerenza, illogicità, disorganizzazione del pensiero. Nelle forme di accelerazioni massimale succede che saltano i nessi tra le idee e ciò prende il nome di disturbi formali del pensiero, ovvero: o Deragliamento (o perdita dei nessi associativi): si manifesta con un discorso spontaneo in cui le idee passano da un tema all’altro correlato marginalmente o completamente non correlato con il primo. Si ha l'impressione di assistere ad una interpolazione di pensieri senza alcuna connessione comprensibile rispetto alla concatenazione delle idee. Il discorso è grammaticalmente corretto, ciascuna di queste idee è un semplice pensiero che, se utilizzato al momento opportuno, risulterebbe adeguato. Può manifestarsi con diversi livelli di gravità, che rendono il discorso da appena disturbato a incomprensibile (insalata di parole). o Tangenzialità: si intende il dare una risposta di traverso ad una domanda o comunque dare una risposta priva di senso rispetto alla domanda. Es: che titolo di studio ha? Risposta di traverso/tangenziale: “Oh sì certo la cultura è importante, adesso vanno tutti a scuola, la scuola è obbligatoria fino ai 16 anni...” Sbobinatore: Penzo Amanda Revisore: Stefani Michela 1.2 Psichiatria 30.09.2024 N.B. C’è una precisa distinzione tra deragliamento e tangenzialità (precedentemente definita come una forma di lieve deragliamento in cui le idee sono correlate solo marginalmente): il primo si manifesta nel corso di un discorso spontaneo, mentre la seconda si manifesta come immediata risposta ad una domanda. o Incoerenza; consiste nell'esprimere un discorso essenzialmente incomprensibile (pensiero completamente disorganizzato e privo di nessi logici). Perdita delle connessioni grammaticali, logiche e affettive del linguaggio. Il discorso risulta del tutto disorganizzato e incomprensibile, per la labilità dei legami coesivi tra le parole, per l'uso di forme sintattiche anomale, neologismi e metafore ermetiche. Spesso si accompagna al deragliamento, ma si differenzia da questo perché si verifica all'interno della stessa frase e non nel passaggio da un periodo all'altro del discorso. Es: cosa pensa di questa crisi energetica che si sta verificando nel mondo? Stanno distruggendo l'olio, ne fanno sapone, ci si può tuffare nell'acqua, la mia famiglia vorrebbe che mi facessi bruciare, ma io penso che è meglio avere i capelli rossi e mettere sempre la benzina dove capita. I quadri dementigeni sono condizioni in cui, nelle forme gravi, si perde completamente la capacità di articolazione del pensiero; anche un pz di 25 anni può essere incoerente se ha una schizofrenia non trattata. - Contenuto: cosa pensa il paziente; § Deliri primari (intuizione e percezione delirante); § Deliri secondari (deliroidi). La definizione di delirio potrebbe essere domanda d’esame. Il delirio è un pensiero patologico ed è un’idea o una convinzione caratterizzata da due aspetti formali fondamentali (a) e (b), che devono essere entrambi presenti, ed eventualmente dalle caratteristiche del contenuto (c): a. Irrealistico (NB: non vuol dire che non è reale!): che non trae origine da alcun dato reale né da un'esperienza concreta ed ha le caratteristiche di un'intuizione propria (intuizione delirante - cioè il delirio è costruito sulla base di un'intuizione) oppure di un'erronea interpretazione di una percezione (percezione delirante - cioè il delirio è costruito sulla base di una attribuzione di significato distorto ad una reale percezione); Esempio di intuizione delirante: come si è fatto l’idea che i suoi vicini di casa la stiano spiando? Risposta del paziente: “L’ho capito”. Esempio di percezione delirante: il paziente entra in aula e sulla scrivania trova un disinfettante (percetto). Sulla base di questo percetto il paziente costruisce un’interpretazione patologica: il disinfettante è stato messo dal suo vicino di casa che si è intrufolato e lo ha lasciato per far capire al paziente che è controllato. b. Non criticabile: la convinzione del paziente non recede di fronte ad alcun tipo di obiezione; c. Contenuto anomalo, originale, incongruo o bizzarro. NB: Il delirio non va confuso con il delirium: il delirio è un disturbo del contenuto di pensiero (e quindi è un sintomo), il delirium è una patologia, per esempio il delirium tremens da astinenza da alcol. Il delirio si basa sul tipo di contenuto: delirio di persecuzione (c’è qualcuno che mi perseguita), delirio erotomanico (c’è qualcuno che mi ama follemente), delirio di gelosia (mia moglie mi sta tradendo), ecc.. Affettività: - Tono dell’umore: § umore deflesso: profondo senso di tristezza; § umori contropolari rispetto all’umore deflesso: euforico, disforico-irritabile. Sbobinatore: Penzo Amanda Revisore: Stefani Michela 1.2 Psichiatria 30.09.2024 L’euforia è caratterizzata da un umore positivo, mentre la disforia è caratterizzata da rabbia, quindi da energie negative; - Sistema di allarme: ansia, fobie; Istinti: - Pulsioni istintuali corporee: § Alimentazione: riduzione/aumento dell’appetito, riduzione/aumento del peso; § Sessualità; § Ritmo sonno-veglia: quando viene alterato possono presentarsi vari tipi di insonnia o insonnia da addormentamento: difficoltà ad addormentarsi. Tipico del disturbo d’ansia; o insonnia centrale: risvegli multipli; o insonnia tardiva: risveglio precoce (es: alle 4 di mattina) con incapacità a riaddormentarsi. Tipico della depressione maggiore. - Pulsione vitale. Coscienza di malattia, critica: il paziente riconosce che quello che gli sta accadendo è espressione di un disturbo/malattia. Il professore afferma che è importante ricordare che i pazienti non parlano “la nostra stessa lingua”, e riporta alcuni schemi fatti dai pazienti ed i loro familiari per esprimere come si sentivano. Sbobinatore: Penzo Amanda Revisore: Stefani Michela 13.3 Psichiatria 11/12/2024 FATTORI PREDISPONENTI ALL’USO DI SOSTANZE I fattori predisponenti dipendono sia da caratteristiche individuali che dalle caratteristiche della sostanza. Per quanto riguarda le caratteristiche individuali, e quindi la vulnerabilità del soggetto, fattori che rendono un soggetto propenso a sviluppare una dipendenza sono: 1) Familiarità: la dipendenza da sostanze dipende anche dalla genetica, risulta quindi fondamentale indagare nel corso dell’anamnesi eventuali storie di alcolismo in famiglia. Nel caso ciò si presentasse, è importante sapere che per il singolo sarà più facile sviluppare la dipendenza nel momento in cui entra in contatto con la sostanza d’abuso; 2) Fattori psicologici; 3) Fattori psicopatologici (disturbi psichici); 4) Fattori sociali; Per quanto riguarda invece le caratteristiche della sostanza, si possono menzionare i seguenti aspetti: 1) Disponibilità della sostanza1; 2) Effetto psicoattivo; 3) Capacità di indurre tolleranza; FATTORI INDIVIDUALI (VULNERABILITA’) Quando un soggetto diventa dipendente da una sostanza, è necessario domandarsi quale sia il fattore che ha spinto quella persona ad assumere la sostanza, e quindi andare a capire quale effetto volesse ottenere: questo perché l’utilizzo di una sostanza potrebbe essere determinato dalla necessità di controllo di vissuti sgradevoli non patologici, riconducibili a periodi di tensione personale e quindi non inquadrabili come disturbi psichiatrici. Inquadrare la motivazione al consumo di sostanze è fondamentale per la scelta del percorso terapeutico: Se una persona che sta vivendo un periodo di stress trova sollievo nell’alcol, non sarà corretto indirizzarla al CSM, ma risulterà più appropriato rivolgerla verso l’alcologia in modo da poter seguire un percorso psicologico mirato (in quanto ha un disturbo da abuso di alcool, non un disturbo psichiatrico). 1 Un discorso analogo si può fare per il gioco d’azzardo patologico: se si vive in una zona con elevata presenza di slot machine, è più probabile interfacciarsi con gli elementi personologici, e quindi con la vulnerabilità di soggetto, che determinano una predisposizione al comportamento patologico. Sbobinatore: Elena Pavan Revisore: Beatrice Chemello 13.3 Psichiatria 11/12/2024 Un paziente potrebbe fare uso di una sostanza per tentare di controllare un vissuto patologico: si configura in questo caso una complicanza del disturbo d’ansia. Ad esempio, nel disturbo d’ansia sociale, le sostanze vengono utilizzate per affrontare l’esposizione alle situazioni fobico-sociali. Questa condizione è diversa dalla precedente poiché non basterà il trattamento in alcologia con eventuali sostanze sostitutive, ma bisognerà trattare anche il disturbo d’ansia sociale alla base, altrimenti, una volta tolto l’alcol ad una persona affetta da ansia sociale, con elevatissima probabilità questa tornerà ad assumere la sostanza per ricercarne nuovamente l’effetto, a causa del vissuto patologico. Un soggetto può assumere sostanze per il loro potere di induzione di vissuti positivi: questo caso si collega alla sfera dei disturbi di personalità e alle dimensioni personologiche che caratterizzano ciascun individuo e che contribuiscono a rendere una persona propensa ad incontrare l’uso di sostanze. I disturbi di personalità si possono suddividere su un modello categoriale di veri e propri disturbi, ma esistono anche le caratteristiche personologiche2 per cui ciascun individuo si caratterizza per avere delle determinate predisposizioni. Un esempio è quello della dimensione del novelty seeking, caratteristica di persone che sperimentano cose nuove senza preoccupazioni, contrapposta a quella dell’harm avoidance, caratteristica di persone timorose che provano rifiuto al solo pensiero di uscire dalla comfort zone. La spiegazione all’esistenza delle dimensioni personologiche risiede nel concetto di sopravvivenza della specie: i novelty seekers sono necessari allo scopo di ricercare nuovi stimoli per garantire possibilità di sopravvivenza, ma allo stesso tempo sono necessari anche gli individui harm avoidance per sopperire ai possibili rischi che i primi corrono. Per rendere l’idea del concetto, si può immaginare una situazione in cui un novelty seeker, spinto dalla ricerca di novità, assaggi una pianta velenosa: se tutti si comportassero in questa maniera la specie finirebbe per estinguersi; quindi, si rende necessario anche un pool di individui che non assaggino quella pianta velenosa. CARATTERISTICHE DI UNA SOSTANZA e MECCANISMO CON CUI DETERMINA ABUSO Non tutte le sostanze danno dipendenza: affinché determini un potenziale abuso, la sostanza in questione deve agire sul circuito che parte dall’area tegmentale ventrale e che proietta poi al nucleo accumbens, determinando il rilascio di dopamina. Il circuito è rappresentato in verde nell’immagine. Sostanze diverse possono essere più o meno in grado di dare dipendenza e questo è dovuto anche alla possibilità di essere modificate chimicamente: un esempio è la cannabis, in cui all’aumentare del contenuto di THC aumenta anche la potenza della sostanza e di conseguenza la probabilità con cui darà dipendenza. Tutte le sostanze in grado di dare dipendenza agiscono su determinate strutture, tra cui: Il nucleo accumbens, la zona del cervello implicata nei comportamenti “reward motivated”, ossia tutti quei comportamenti legati al piacere, o all’anticipazione del piacere. Le amigdale, si attivano nel contesto dei “fear motivated behaviour”, quindi nelle reazioni di paura, ansia sociale o disturbi d’ansia. 2 I disturbi di personalità e le dimensioni personologiche verranno approfonditi nelle lezioni successive. Sbobinatore: Elena Pavan Revisore: Beatrice Chemello 13.3 Psichiatria 11/12/2024 La corteccia prefrontale, nell’adulto entra in gioco nella modulazione comportamentale in risposta agli stimoli esterni. È importante ricordare che il soggetto giovane sviluppa con difficoltà e con ritardo la corteccia prefrontale, per questo i ragazzini sono più impulsivi, propensi a entrare in contatto con sostanze, e quindi sviluppare dipendenza. Il meccanismo di funzionamento delle sostanze d’abuso è legato al rilascio di dopamina. In merito a ciò è importante fare una considerazione: se si somministrano antipsicotici, soprattutto quelli di prima generazione, ad una persona che ha una dipendenza da sostanze, si spegne totalmente il circuito dopaminergico e questi pazienti andranno quindi a ricercare questo tipo di firing neuronale all’esterno, assumendo sostanze d’abuso. La dopamina ha una duplice funzione a livello cerebrale: 1) Allertare l’organismo della presenza di uno stimolo saliente; 2) Determinare l’apprendimento: la dopamina scaricata da un effetto piacevole che si traduce nella motivazione ad attivarsi sul piano comportamentale per ricercare sostanze. In risposta alla voglia di assumere sostanze, si comincia a sperimentare in anticipo una scarica da parte dei neuroni dopaminergici dell’area tegmentale ventrale, che porta l’individuo ad attivarsi sul piano comportamentale per raggiungere l’effetto previsto. Questo spiega da un punto di vista biologico ciò che si ritrova nei criteri diagnostici per la dipendenza, oltre a giustificare il fenomeno del craving. Nelle dipendenze, l’uso della sostanza è determinato inizialmente dall’attivazione del sistema dopaminergico, che innesca una sensazione di piacere. Man mano che il cervello si abitua all’incontro con le sostanze, si hanno delle modifiche cerebrali per cui, come tentativo fisiologico di compenso, si instaura un meccanismo di controllo superiore (che ha a che fare con il sistema del glutammato) che determina un distacco tra l’uso della sostanza e l’effetto piacevole, in quanto il sistema dopaminergico si esaurisce. In questo modo l’utilizzo della sostanza diventa un comportamento compulsivo: ciò non ha nulla a che fare con il disturbo ossessivo-compulsivo, ma è un comportamento ripetitivo e abituale che caratterizza la dipendenza. Sbobinatore: Elena Pavan Revisore: Beatrice Chemello 13.3 Psichiatria 11/12/2024 INTOSSICAZIONE e ASTINENZA DA SOSTANZA L’intossicazione da sostanze è una sindrome sostanza-specifica reversibile dovuta alla recente assunzione di (o esposizione a) una sostanza. Differenti sostanze in grado di dare dipendenza possono produrre sindromi simili o identiche con relativi segni e sintomi. L’astinenza da sostanze è una sindrome sostanza-specifica conseguente alla cessazione (o riduzione) dell’assunzione di una sostanza precedentemente assunta in modo pesante o prolungato. Nel caso dell’astinenza, i sintomi sono l’esatto contrario degli effetti della sostanza: sostanze come alcool e ansiolitici, che hanno effetto depressogeno sul sistema nervoso centrale, determinano una sindrome da astinenza caratterizzata da agitazione, irritabilità, aggressività e sintomi fisici di attivazione (tachicardia e ipersudorazione); sostanze psicostimolanti, come la cocaina, che provoca un rilascio dopaminergico massivo, determinano una sindrome da astinenza caratterizzata dalla completa perdita/esaurimento della dopamina. L’astinenza da cocaina non si sviluppa subito dopo la cessazione e dura a lungo, indipendentemente dalla durata d’azione della cocaina. Il paziente in astinenza avrà un’enorme sindrome amotivazionale, con appiattimento del tono dell’umore e incapacità di svolgere qualsiasi tipo di attività, a volte senza neanche alzarsi dal letto. Il professore riporta una testimonianza: “L’unica cosa che facevo in quelle settimane/mesi era alzarmi e scendere dai miei genitori per mangiare qualcosa a pranzo, ma non riuscivo a fare nient’altro e a pensare a nient’altro”. Nel caso della cocaina non esiste una sostanza analoga che è possibile somministrare, come accade invece con l’alcol (si somministrano ansiolitici), ma si possono prescrivere degli antidepressivi con azione prodopaminergica: il brupopione, un farmaco con azione prevalentemente dopaminergica, è uno degli antidepressivi più usati, non tanto per il disturbo depressivo del soggetto in astinenza da cocaina, ma per gestire la sindrome astinenziale ed evitare che quella persona assuma nuovamente la sostanza. Sbobinatore: Elena Pavan Revisore: Beatrice Chemello 13.3 Psichiatria 11/12/2024 ALCOOL L’alcool è una delle sostanze con più ampia diffusione in assoluto, è una sindrome sempre associata a problemi fisici (stetatosi epatica, cirrosi) che richiedono l’intervento di diversi specialisti. Vengono riportate le slide sull’intossicazione alcolica acuta e sull’intensità dello stato di ubriachezza, che il professore invita a leggere in autonomia. Un aspetto importante da tenere in considerazione è che se un paziente presenta un’intossicazione alcolica acuta, non bisogna assolutamente somministrare benzodiazepine in quanto queste agiscono sul medesimo recettore dell’alcool (già di per sé sovrastimolato), e questo rischia di determinare una insufficienza respiratoria acuta per depressione dei centri del respiro. Si ricordi che il motivo per cui una persona muore di overdose risiede essenzialmente nella dose che questa assume a seguito di un periodo di astinenza dalla sostanza: nel momento in cui una persona si sottopone ad un percorso riabilitativo, perde la tolleranza che aveva sviluppato verso la sostanza di cui precedentemente abusava. Nel caso di una possibile ricaduta, la dose che torna ad assumere corrisponde a quella precedentemente utilizzata, e non sarà più tollerata dall’organismo: il quantitativo risulta eccessivo e potenzialmente letale per il soggetto che la riassume. Un discorso analogo vale per l’abitudine al bere. L’alcolismo provoca varie sindromi che dipendono dalla cronicità dell’uso della sostanza. La prima preoccupazione è quella dell’astinenza, motivo per il quale, nel momento in cui si ricovera qualunque soggetto, è imperativo chiedere quanto beve e quanti ansiolitici prende regolarmente. L’interruzione brusca o la riduzione del consumo abituale (cronico) di quantità di alcol rilevanti (esempio mezzo litro di alcol a pranzo e mezzo litro a cena) determinano una sindrome astinenziale con possibile delirium. Il delirium è una sindrome caratterizzata da confusione mentale accompagnata ad agitazione, con esordio brusco e oscillazioni fluttuanti. Lo stato di confusione mentale implica disorientamento nel tempo, nello spazio e rispetto alla propria persona. I segni fisici e psichici comportamentali sono esattamente il contrario degli effetti della sostanza. Si differenzia dal delirio che è un disturbo del contenuto di pensiero. Sbobinatore: Elena Pavan Revisore: Beatrice Chemello 13.3 Psichiatria 11/12/2024 Per capire da cosa è scatenato e come trattare il delirium, è necessario capire se si tratta di delirium tremens, ossia un’astinenza alcolica complicata: per fare ciò si valuta la finestra temporale in cui si è sviluppata questa sindrome, che nel caso del delirium tremens emerge dopo circa 24-48 ore dalla cessazione dell’uso della sostanza. Se la condizione esordisce dopo 5 giorni di ricovero (e quindi dopo minimo 5 giorni di astinenza da alcool), è poco probabile che sia un’astinenza alcolica complicata. DELIRIUM TREMENS Il delirium tremens, o astinenza alcolica complicata, è per definizione un delirium: stato confusionale con disorientamento nello spazio, nel tempo e rispetto alla propria persona. Uno scenario tipico è quello in cui il paziente si sveglia di notte, non capisce che si trova in una camera di ospedale, pensa di essere a casa sua, non capisce chi sia l’infermiera e comincia a pensare che qualcuno sia entrato in casa. Il paziente è confuso e presenta un’agitazione psicomotoria importante data l’astinenza dall’alcol, che è ansiolitico: l’irritabilità fa parte dei sintomi astinenziali, che si ricordano essere il contrario dell’effetto causato dalla sostanza. Ciò che aiuta a discriminare la causa del delirium è che nel delirium da astinenza alcolica complicata sono presenti allucinazioni visive tipiche: - Microzzopsie: il paziente vede tanti piccoli insetti. - Allucinazioni lillupuziane: il paziente vede piccoli omini. Capire l’eziologia del delirium è importante per il trattamento: l’alcol e le benzodiazepine agiscono sullo stesso recettore del GABA, motivo per cui il delirium tremens verrà trattato con le benzodiazepine. In tutte le altre condizioni di disorientamento spaziotemporale, anche con agitazione, si eviterà di usare le benzodiazepine in quanto confonderanno ulteriormente il paziente. L’unica condizione di delirium che risponde bene alle benzodiazepine è il delirium tremens. Altre caratteristiche del delirium tremens: È potenzialmente mortale e costituisce un’emergenza medica; Ha un esordio brusco, acuto, improvviso e ha un decorso fluttuante che dura giorni/settimane: non esiste una terapia per sedare il paziente in condizione di delirium, impiegherà alcuni giorni per andare in remissione. Concetto fondamentale: per prevenire il delirium da astinenza alcolica, quando il paziente entra in reparto è importante chiedere quanto beve e se fa uso di benzodiazepine, se questo dovesse affermare di bere abitualmente si dovrebbero prescrivere le benzodiazepine3. Bisogna prestare attenzione a quelle situazioni in cui i pazienti potrebbero sviluppare con ritardo una condizione di delirium. Si immagini un alcolista che ha un incidente d’auto, arriva in urgenza e viene sedato con benzodiazepine. In questo paziente le benzodiazepine avranno la stessa funzione dell’alcool, motivo per cui la finestra temporale di 24-48h per lo sviluppo di delirium tremens deve essere valutata a partire dal momento in cui viene cessata la somministrazione di benzodiazepine e non a partire dall’ultima assunzione di alcol. 3 Stesso principio vale per l’astinenza da benzodiazepine: il paziente anziano che fa uso cronico di benzodiazepine per dormire avrà sviluppato tolleranza nei confronti della dose da sempre assunta. Bisogna quindi evitare di modificare o interrompere la terapia per non provocare una crisi da astinenza. Sbobinatore: Elena Pavan Revisore: Beatrice Chemello 13.3 Psichiatria 11/12/2024 ALCOLISMO CRONICO Con l’utilizzo cronico di alcol si possono sviluppare altre condizioni: - Allucinosi alcolica: pazienti che dopo assunzione continuativa di alcol, alla cessazione sviluppano allucinazioni, soprattutto uditive con voci strutturate e nitide. In questo caso non si tratta di schizofrenia perché mancano le altre dimensioni sintomatologiche caratteristiche. - Paranoia alcolica: esordio subdolo e insidioso di un delirio monotematico, che spesso è un delirio di gelosia. Il delirio è ben strutturato e sistematizzato, accompagnato da intensa partecipazione emotiva. Esempio tipico è un uomo di mezza età inizia a convincersi che la moglie lo tradisce. Si da riferimento a un uomo di mezza età per la modalità d’esordio della paranoia, che essendo subdolo e a seguito di consumo alcolico prolungato, non ha ragione di svilupparsi in una persona troppo giovane. La paranoia alcolica dal punto di vista della diagnosi DSM5 si classifica come disturbo delirante, ossia quella condizione clinica costituita esclusivamente da un contenuto di pensiero patologico, che è il delirio. - Sindrome di Korsakoff, o demenza alcolica: sviluppo di un deficit progressivo della memoria (a breve e lungo termine) che diventa poi un deficit complesso, con alterazione delle funzioni simboliche e quindi una vera e propria demenza TRATTAMENTO Si tratta di trattamenti complessi e combinati: 1) Terapia medica farmacologica: - Trattamento delle complicanze mediche e prevenzione delle stesse: un paziente alcolista può presentare, ad esempio, un quadro di cirrosi e combinare quindi l’astinenza alcolica ad altre condizioni, come l’ammonemia, che determina alterazione dello stato di coscienza. Bisognerà trattare il paziente in un reparto internistico. - Trattamento dell’eventuale patologia psichiatrica sottostante: “eventuale” perché dipende dal motivo per cui il paziente è entrato in contatto con le sostanze, è necessario determinare quali sono le caratteristiche della persona che hanno motivato l’incontro con la sostanza. - Trattamenti per mantenere l’astinenza: acamprosato, naltrexone, nalmafene. Sono farmaci che non servono a prevenire l’astinenza, ma a mantenerla. - Terapia avversativa: Disulfiram-Antabuse/Etilitox. È un farmaco che interferisce con il metabolismo dell’etanolo determinando, in caso di assunzione di alcool, una concentrazione tossica di metaboliti che causano malessere fisico nel paziente portandolo a sperimentare i sintomi spiacevoli dell’intossicazione. Questi sintomi avversativi fanno si che il paziente, per non sperimentare questa conseguenza negativa, attui dei comportamenti di evitamento nei confronti dell’assunzione della sostanza secondo il modello di apprendimento per condizionamento operante. Questo farmaco ha una emivita molto lunga, perciò, il paziente che lo sta assumendo da tempo, per non sperimentare gli effetti da assunzione di alcool (anche banalmente quello contenuto in un cioccolatino) dovrebbe sospenderlo giorni prima. L’antabuse viene prescritto in pazienti in astinenza da tempo, in modo da essere sicuri che questi cooperino e aderiscano al progetto terapeutico: il paziente deve aver capito il motivo per cui gli viene prescritta questa terapia e deve essere in grado di accettare il rischio di sperimentare importanti sintomi fisici nel momento in cui assumesse la sostanza d’abuso in concomitanza all’assunzione del farmaco. 2) Psicoterapia Sbobinatore: Elena Pavan Revisore: Beatrice Chemello 13.3 Psichiatria 11/12/2024 3) Trattamenti psicosociali: - Alcolisti anonimi (AA); - Club di alcolisti in trattamento (CAT). Il resto dei disturbi specifici da dipendenza/astinenza da altre sostanze è meno rilevante ai fini dell’esame. La parte da studiare con maggiore attenzione sarà quella relativa all’alcol; quindi, bisognerà avere chiare le definizioni di tolleranza, astinenza, dipendenza; bisognerà da studiare molto attentamente i sintomi della dipendenza cronica, in quanto è molto probabile incontrarli nella pratica. Sbobinatore: Elena Pavan Revisore: Beatrice Chemello 8.1 Psichiatria 15.11.2024 Il professore comincia la lezione facendo un ripasso riguardante gli argomenti trattati nelle lezioni precedenti. Nel seguente testo si utilizza l’abbreviazione (ipo)maniacale per indicare sia l’episodio maniacale che quello ipomaniacale. Fornire la definizione di un disturbo significa definire i criteri per cui si definisce tale disturbo: a. Pattern sindromico caratterizzante il disturbo; b. Durata minima dei segni e sintomi; c. Compromissione del funzionamento. E i criteri d’esclusione, quindi escludere che tale insieme di segni e sintomi sia dovuto a: a. Altre condizioni mediche generali; b. Farmaci o sostanze d’abuso: sia che si tratti di sostanze che il paziente inizia ad assumere, sia che si tratti di sostanze che il paziente smette di prendere (crisi d’astinenza). Il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD, o DDAI in italiano) è un disturbo psichiatrico caratterizzato da quattro dimensioni sintomatologiche: - Disattenzione; - Iperreattività e impulsività; - Disregolazione emotiva. Disattenzione e iperattività-impulsività sono condizioni definite dai segni e sintomi elencati all’interno del DSM-5 (visti nelle lezioni precedenti). I sintomi devono essere almeno 6, presentarsi in molteplici contesti della vita del paziente e durare da almeno 6 mesi. Come distinguere la disregolazione emotiva nell’ ADHD da quella caratterizzante un disturbo dell’umore? Concentrandosi in particolare sull’irritabilità, facente parte anche del quadro di segni e sintomi dell’episodio (ipo)maniacale, come ricondurre questo aspetto all’una o l’altra dimensione sintomatologica? Nel caso dell’episodio manicale/ipomaniacale: o Il disturbo bipolare è un disturbo ciclico, che si manifesta a episodi, che, per definizione, sono periodi circoscritti di tempo dove l’irritabilità rappresenta un netto cambiamento rispetto al comune modo di essere del paziente. Per porre diagnosi di episodio (ipo)maniacale, questo deve avere una durata minima di 4-7 giorni, ma in media questi episodi hanno durata di 1 mese. Chiedendo quindi al paziente da quanto presenta questo umore altalenante e irritabile, nel caso dell’episodio (ipo)maniacale risponderà che è un cambiamento che ha osservato da circa 1 mese e non che è presente da tutta la vita. o Nei criteri del DSM-5 che definiscono l’episodio (ipo)maniacale ritroviamo gli aggettivi “persistentemente” e “abnormalmente” a caratterizzare l’umore espanso e irritabile: persistentemente si riferisce al fatto che non è presente labilità emotiva e quindi il paziente non cambia umore dal mattino alla sera, ma rimane costantemente con quei segni e sintomi per almeno 4-7 giorni (in media un mese). Questa caratteristica ci permette di differenziarlo dall’ADHD perché in quest’ultimo caso invece avremo la labilità emotiva o disregolazione emotiva, ovvero una condizione per cui l’umore del paziente è “ballerino”, cambia molto velocemente (per 10 minuti è irritabile, nei successivi 5 è triste) e nell’arco della giornata può oscillare più volte tra i 2 poli. Nel caso dell’ADHD siamo di fronte a un disturbo pervasivo e persistente: o Il termine “pervasivo” fa riferimento al fatto che le 4 dimensioni sintomatologiche che caratterizzano il disturbo, permeano tutti (o quasi) gli aspetti della vita del paziente (non manifesta disattenzione solo a lavoro o durante attività che non ama fare); o Il termine “persistente” indica invece che il disturbo persiste da praticamente tutta la vita del paziente, essendo un disturbo del neurosviluppo. Attenzione! Questo non significa che non si possa fare diagnosi anche in età adulta, poiché in alcuni casi il disturbo si rende evidente solo quando le richieste del mondo esterno aumentano (ad esempio quando il paziente inizia a frequentare l’università). Sbobinatore: Torrente Giulia Revisore: Canovi Marta 8.1 Psichiatria 15.11.2024 La diagnosi di ADHD è prettamente clinica e si basa sui segni e sintomi riportati dal paziente che appartengono alle quattro dimensioni sintomatologiche sopra riportate. Quest’ultime sono descritte meglio nei criteri diagnostici che forniscono una chiara descrizione di come si manifestano; inoltre, se si desidera approfondire e valutare quali domande proporre al paziente si utilizza la DIVA (intervista diagnostica semistrutturata) per capire se i criteri sono soddisfatti o meno. Per esempio, la disattenzione è da valutare sia in età adulta che nella fanciullezza. Per ognuno dei criteri del DSM-5 si avrà a disposizione l’intero elenco dei sintomi (come, ad esempio, la difficoltà a mantenere l’attenzione a lungo sui compiti). La facile distraibilità durante la visione di un film o la lettura di un libro, fa sì che il paziente eviti di andare al cinema oppure preferisca le serie tv brevi. Comportamenti come il continuo movimento, l’intolleranza all’attesa, il senso di noia, la necessità di essere costantemente iperstimolato per riuscire a mantenere la concentrazione, possono portare a dei problemi relazionali. Il professore consiglia caldamente di leggere attentamente le diapositive da lui caricate su Teams poiché l’argomento dell’ADHD non è trattato nel libro di testo da lui consigliato. Sbobinatore: Torrente Giulia Revisore: Canovi Marta 8.1 Psichiatria 15.11.2024 TERAPIA DELL’ADHD Si tratta di una terapia multimodale, costituita da farmacoterapia e psicoterapia. Secondo linee guida NICE, nel bambino, se il parent-training non funziona perché la sintomatologia è di una certa gravità, sarà necessario considerare fin da subito un trattamento farmacologico. Le linee guida sono state stilate in seguito ad una serie di studi controllati randomizzati (RCT, randomised controlled trial), con gruppo di controllo a cui viene somministrato un placebo (placebo controlled randomised clinical trial) in soggetti di età inferiore ai 18 anni che condividevano la diagnosi di ADHD. Da tali studi si deduce che il metilfenidato risulta significatamente più efficace del placebo. Per determinare significativo uno studio, in seguito ad un’indagine statistica, è necessario che il p-value sia minore di 0.05: questo sta a indicare che se si ripetesse 100 volte lo studio, meno del 5% delle volte si otterrebbe un risultato diverso; dunque, nel più del 95% dei casi si ottiene che il metilfenidato è più efficace del placebo. Per essere certi che non sussista un vizio di campionamento: 1. bisogna radomizzare i soggetti 2. bisogna utilizzare il gruppo controllo per predire in termini probabilistici quante volte il risultato su 100 studi sarà più del 95%. Dopo aver eseguito questi studi, l’AIFA (Agenzia italiana del farmaco) e l’EMA (Agenzia europea per i medicinali) prendono atto dei risultati e danno l’autorizzazione on-label del farmaco in questione. Dunque, le linee guida nascono da questi studi verso placebo e danno le indicazioni su come impostare il trattamento nei soggetti in base alle diverse caratteristiche. Nei bambini e negli adolescenti, l’indicazione primaria è la terapia farmacologica con farmaci psicostimolanti, ancora prima di proporre la psicoterapia. Per quanto riguarda l’età adulta, la diagnosi può essere posta solo se i sintomi manifestati dal paziente sono presenti almeno dall’età dei 12 anni. Si considera il cut-off a 12 anni perché tipicamente fino a quel momento le richieste esterne sono minori: soprattutto nel sottotipo ‘inattentivo’ con deficit dell’attenzione predominante, il soggetto non accusa compromissione del funzionamento e non lo rende visibile esternamente. Nel momento in cui il soggetto cresce e aumentano le richieste esterne, il disturbo inizia a diventare evidente. In ogni caso, anche se il paziente si presenta a 28 anni con i sintomi dell’ADHD, andando indietro nella sua storia si dovranno ritrovare le dimensioni sintomatologiche che caratterizzano questo disturbo, perché si tratta di un Sbobinatore: Torrente Giulia Revisore: Canovi Marta 8.1 Psichiatria 15.11.2024 disturbo del neurosviluppo. Nel caso in cui la disattenzione sia di nuova origine, dovremo ricondurre il sintomo a qualche altro quadro patologico di tipo psichiatrico o a una variante fisiologica. Non è quindi così infrequente fare diagnosi di ADHD in età adulta. Nell’adulto, se i sintomi sono significativi bisogna valutare due condizioni: - Se oltre all’ADHD ci sono comorbidità, sarà necessario capire quali sono le priorità e impostare il trattamento per la condizione clinica prevalente: ad esempio, se il paziente presenta come comorbidità un disturbo bipolare, bisognerà somministrare uno stabilizzatore del tono dell’umore in primis, poi eventualmente si prenderanno in considerazione trattamenti aggiuntivi. Questo perché il disturbo bipolare risulta gerarchicamente più importante da trattare rispetto all’ADHD; - Se il paziente si presenta con solo ADHD, due farmaci possono essere utilizzati: Atomoxetina: Indicato in prima linea in paziente affetti da ADHD con età superiore ai 18 anni; Fuori commercio in Italia, prescrivibile ma acquistabile da SSN fuori Italia con consegna da parte della farmacia ospedaliera o territoriale al paziente su richiesta dello specialista. Metilfenidato: Farmaco che rientra nella classe dei farmaci stupefacenti che necessita della ricetta in triplice copia per tali sostanze. Le ricette vengono somministrate da un centro prescrittore ADHD e hanno la durata di 1 mese. Usato in prima linea per paziente affetti da ADHD con età inferiore ai 18 anni, prescrivibile per continuità terapeutica in paziente con età superiore ai 18 anni (che lo stavano già assumendo). Necessita di Piano Terapeutico redatto da Centro Prescrittore. Può essere prescritto off-label in paziente maggiorenni che non hanno mai assunto metilfenidato. Nomi commerciali: ▪ Ritalin, è un farmaco a rilascio immediato ma che non viene riconosciuto come prescrivibile a carico del SSN, quindi prescrivibile in fascia C (spese a carico del paziente). Ha costo basso; ▪ Medikinet è una combinazione di metilfenidato a rilascio immediato e a rilascio prolungato, permette l’assunzione una sola volta al giorno. Questa formulazione risulta migliore anche per il paziente che, vista la sintomatologia disattentiva, potrebbe dimenticarsi di assumere in maniera regolare il farmaco nella giornata. La terapia varia in base alle richieste esterne del soggetto: per esempio, nei bambini è possibile fare terapia con Ritalin dal lunedi al venerdì e lasciare il fine settimana libero, oppure assumere la terapia per l’intero anno scolastico e sospenderla per l’estate. Si deve prendere in considerazione ovviamente anche la gravità del disturbo: se il disturbo è più grave, la terapia sarà più prolungata. E’ quindi difficile che nel caso dell’ADHD si abbia una terapia a vita, questo perché è probabile che nelle fasi più avanzate della vita del paziente, quando non frequenta magari più un corso di studi impegnativo, sia richiesta minore attenzione. Sbobinatore: Torrente Giulia Revisore: Canovi Marta 8.1 Psichiatria 15.11.2024 Viene lasciata una tabella a scopo consultativo contenente i centri che possono prescrivere Atomoxetina e Metilfenidato nel bambino e nell’adulto. DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO E DISTURBI CORRELATI Il disturbo ossessivo-compulsivo è un disturbo che si caratterizza anche per la presenza di ansia, ma i cui sintomi principali sono l’ossessione e la compulsione. Questo per sottolineare il fatto che un paziente potrebbe presentarsi con sintomi ansiosi, ma nascondere un disturbo ossessivo- compulsivo. Questi sintomi specifici del disturbo sono talmente rilevanti e invadenti da compromettere il funzionamento dell’individuo, questo per sottolineare che ognuno può avere le proprie “fissazioni”, ma non tutti hanno un disturbo ossessivo-compulsivo. LE OSSESSIONI Ossessione deriva dal termine latino ‘’obsidere’’ ovvero ‘’essere assediato da’’. Si tratta di un disturbo del contenuto del pensiero, quindi non visibile esternamente, che si manifesta come timore di poter cedere agli impulsi, immagini, idee e pensieri che occupano la mente del soggetto. Il paziente quindi teme di poter cedere all’impulso, ma non arriva mai a metterlo in atto, egli racconterà di vivere nel costante terrore di poter perdere il controllo e compiere un atto di tipo impulsivo, o sessuale, o aggressivo, o religioso-blasfemo… Anche il termine “immagine” viene qui utilizzato per esprimere un contenuto di pensiero: il paziente non ha allucinazioni, ma formula nella sua testa rappresentazioni mentali che poi racconta come immagini. Le ossessioni possono quindi avere dei contenuti diversi, tuttavia hanno caratteristiche psicopatologiche comuni, che servono a definirle: Persistenza o ricorrenza nella mente del soggetto: il pensiero rimane persistente nella mente del soggetto per tutta la giornata e nonostante i tentativi di allontanamento, esso permane. Il risultato del contenuto di pensiero è intrusivo e persistente. L’ossessione finisce per assumere rilevanza eccessiva rispetto alla restante vita ideativa del soggetto; Intrusività e inappropriatezza (egodistonia): il fatto che il pensiero sia intrusivo nella mente e che non vada via fa si che il soggetto non possa pensare ad altro e quindi provi un senso di fastidio. L’egodistonia può derivare da due situazioni: Sbobinatore: Torrente Giulia Revisore: Canovi Marta 8.1 Psichiatria 15.11.2024 Il pensiero fisso nell’arco dell’intera giornata impedisce al soggetto di stare attento sul resto e ciò provoca un senso di fastidio; Il contenuto stesso di alcune ossessioni (es. se il soggetto ha il contenuto di pensiero fisso di poter cedere ad un impulso sessuale e/o essere pedofilo, questo stesso contenuto mentale è estremamente fastidioso e non in sintonia con il modo di essere del soggetto, che appunto, non è pedofilo); Incoercibilità: l’ossessione non sottostà alla volontà del soggetto che riesce a neutralizzarla o contrastarla. Le ossessioni oltre a provocare fastidio, generano ansia, con cui si intende l’attivazione del sistema dell’allarme e i suoi correlati. Puntualizzazione: con il termine “agitazione” si intende iperattività motoria. Se si fa riferimento a un soggetto agitato, si può iniziare a pensare a un soggetto nel mezzo di un episodio maniacale o magari in crisi di astinenza. Quando si parla di correlati somatici dell’attivazione del sistema dell’allarme non si farà quindi certo riferimento all’agitazione, ma piuttosto alla tensione muscolare, alla tachicardia, al tremore… Sbobinatore: Torrente Giulia Revisore: Canovi Marta 7.1 Psichiatria 11.11.2024 Prima di introdurre il proseguo riguardo l’ADHD, il professore ne riprendere alcuni concetti fondamentali inerenti alla sua clinica: L’ADHD (disturbo da deficit d’attenzione e iperattività) è: Un disturbo, ossia compromette il normale funzionamento in più area della vita; Un disturbo pervasivo – pervade ogni ambito della vita dell’individuo – e persistente – esordisce in età infantile, per mantenersi in età adolescenziale e per attenuarsi in età adulta in parte degli individui. Per porre dunque diagnosi di disturbo la compromissione funzionale dev’essere presente in più aree di funzionamento dell’individuo. Le quattro maggiori aree di funzionamento compromesse dal disturbo, in relazione ai segni e ai sintomi, sono: 1. Difficoltà nel mantenere e focalizzare l’attenzione; 2. Impulsività verbale; 3. Iperattività motoria; 4. Disregolazione emotiva. TERAPIA DELL’ADHD La terapia è sempre composta da due componenti: Componente farmacologica; Componente non farmacologica/psicosociale/psicoeducativa. Difatti, il trattamento viene definito multimodale, in quanto sfrutta più strategie al fine di garantire maggior beneficio all’individuo. Si compone dunque di un approccio informativo ed educativo al paziente, fornendogli strumenti capaci di aiutarlo nel gestire il disturbo all’interno della sfera sociale e quotidiana della sua vita, a cui si associa terapia farmacologica – soprattutto nell’adulto. TERAPIA PSICOEDUCATIVA Come già accennato, la terapia psicoeducativa si focalizza nel fornire strumenti conoscitivi sulla natura e sulla gestione del disturbo. Il target di tale educazione cambia nel caso si tratti di bambini/adolescenti o adulti: Con ADHD in età infantile, l’educazione è rivolta principalmente verso genitori ed insegnanti, in modo che siano posti nella condizione di confrontarsi e supportare il bambino/adolescente; Con ADHD in età adulta, invece essa è indirizzata direttamente al paziente. L’obiettivo principale della terapia psicosociale non è la riduzione dei sintomi, ma insegnare al paziente come convivere col disturbo, affinché si possano prevenire difficoltà e migliorarne il funzionamento generale. Tale approccio può essere affrontato sia in maniera singola che – maggiormente auspicabile – in modalità di gruppo (8-12 incontri per gruppi di 8-10 persone). TERAPIA FARMACOLOGICA Nell’adulto, più che nel bambino, la terapia è di natura farmacologica. Essa prevede esclusivamente due farmaci: Atomoxetina (nome commerciale: STRATTERA). Nasce come farmaco antidepressivo, ma viene prescritto solamente per il trattamento dell’ADHD. L’amoxetina non viene più prodotta in Italia e l’acquisto viene effettuato Sbobinatore: Daniele Toffanin Revisore: Arianna Gurschler 7.1 Psichiatria 11.11.2024 direttamente dalla farmacia dell’azienda sanitaria di competenza; per questo non è più necessario un Piano Terapeutico; Metilfenidato (nome commerciale: RITALIN, MEDIKINET, EQUASYM). Il RITALIN, basato su metilfenidato a rilascio veloce, ha un’efficacia immediata ma dalla scarsa durata e perciò costringe a somministrazioni ripetute nel corso della giornata. Invece, MEDIKINET e EQUASYM sono costituiti da una combinazione di metilfenidato a rilascio veloce e metilfenidato a rilascio prolungato e garantiscono una copertura giornaliera. È utilizzato soprattutto nella terapia in età infantile, esso è uno psicostimolante somministrato affinché possa combattere la disattenzione del paziente durante la giornata scolastica (o lavorativa). Per l’acquisto del metilfenidato, essendo uno psicostimolante e quindi classificato all’interno delle sostanze psicoattive, occorre che venga prescritto con ordine ricettario per le sostanze stupefacenti. Questo ordine ricettario può essere eseguito solo dai Centri Prescrittori e dal medico di medicina generale attraverso la stesura di un Piano Terapeutico1. LINEE GUIDA NICE Sotto sono esposte le linee guida delineate dalla NICE guideline review: Bambino sotto i 5 anni → Si inizia con la psicoeducazione di gruppo fornita ai genitori. Se essa non dovesse bastare, si richiederebbe il consulto di uno specialista che possa consigliare nella gestione. La scelta di considerare il trattamento farmacologico andrebbe considerata solamente dopo un’attenta analisi del caso; Bambino sopra i 5 anni → Si inizia con la psicoeducazione di gruppo fornita ai genitori. Nel caso si osservi il persistere di una compromissione severa in almeno di un ambito, occorre considerare fin da subito la farmacoterapia. Il razionale consiste nel fatto che i farmaci adoperati nel trattamento dell’ADHD sono tra i più efficaci mai osservati (a fronte del confronto con i placebo) e, avendo tali strumenti, occorra evitare al paziente una possibile compromissione della sua vita scolastico-sociale. Entrambe le linee indicano dunque che, in caso di diagnosi accertata e di intensità tale da compromettere parte delle funzioni sebbene l’intervento psicocomportamentale precedente, è necessario il trattamento farmacologico. 1 Nella stesura di un Piano Terapeutico – e quindi la possibilità seguente di prescrivere alcune tipologie di farmaci – occorre il coinvolgimento di uno specialista che confermi la diagnosi e garantisca che il previsto trattamento sia appropriato per il paziente. Sbobinatore: Daniele Toffanin Revisore: Arianna Gurschler 7.1 Psichiatria 11.11.2024 La farmacoterapia comincia con la somministrazione del metilfenidato, farmaco di prima linea. In altri paesi, oltre a questo, viene successivamente associato il lisdexamfetamina – un’anfetamina – nel caso il metilfenidato non funzioni. In Italia, invece, si passa direttamente all’atomoxetina, decisamente più sicura riguardo effetti collaterali ma anche meno efficace nel trattamento dei sintomi. Quello a seguire è uno schema di trattamento dell’ADHD nell’adulto. Erroneamente fino a pochi anni fa, si pensava che l’ADHD avesse una remissione spontanea nell’adulto. Ciò portava molti psichiatri a pensare come l’ADHD non potesse essere presente nell’adulto, o comunque non fosse d’interesse un suo trattamento. Questo ha comportato un ritardo nella codifica dei farmaci per l’ADHD dell’adulto. Solo negli ultimi anni si è iniziato a porre zelo nella diagnosi e nella terapia nell’adulto, questo anche grazie a quella maggior attenzione posta nei pazienti in età infantile arrivati successivamente all’età adulta. Sbobinatore: Daniele Toffanin Revisore: Arianna Gurschler 6.2 Psichiatria 8.11.2024 Domande degli studenti relative ai disturbi del tono dell’umore 1. Gli episodi di malattia possono presentarsi nonostante il paziente assuma la terapia? I farmaci possono portare a due esiti sul disturbo del tono dell’umore. Nel migliore dei casi, questi possono risultare risolutivi, quindi, azzerare la presentazione di episodi in pazienti che rispondono in maniera ottimale alla terapia. La quota di pazienti che vanno incontro a risoluzione del disturbo, identificati quindi come ottimi responsivi alla terapia, rappresenta solo una minoranza: prendendo in considerazione il litio, ad esempio, solo il 30% dei pazienti in terapia mostra una risoluzione completa del disturbo e non manifesta più alcun episodio di malattia. È importante sottolineare che, nonostante l’assenza di episodi anche per lunghi periodi di tempo, questi pazienti non possono sospendere il trattamento con il litio, bensì devono continuare ad assumerlo regolarmente. Questa risoluzione radicale degli episodi si verifica solo raramente, in quanto i pazienti con disturbo bipolare sono soggetti a una vulnerabilità biologicamente determinata che è correlata all’interazione con l’ambiente esterno. Infatti, rifacendosi alla fisiopatologia del disturbo dell’umore, quest’ultimo è indotto da una disfunzione del circuito fisiologico che regola lo stato di attività dell’essere vivente in funzione del mondo circostante; quindi, il paziente con disturbo dell’umore si trova a conciliare la propria vulnerabilità con i ritmi (ad esempio, il passaggio ora legale-ora solare, il cambio stagionale ecc…) e gli stimoli della vita quotidiana. In alcune circostanze, tuttavia, può accadere che il carico di eventi e variabili esterni siano di tale portata che la “protezione” fornita dai farmaci stabilizzatori dell’umore non sia sufficiente a farvi fronte, determinando la ricomparsa di episodi di malattia. Tuttavia, è importante sottolineare che questi ultimi presenteranno comunque una sintomatologia di gravità molto minore rispetto ai primi episodi esperiti dal paziente, risultando quindi “attenuati” grazie all’azione dei farmaci e non tali da compromettere in maniera importante in funzionamento. Dunque, la valutazione della risposta alla terapia sul lungo termine dev’essere fatta in termini di riduzione della frequenza degli episodi riduzione dell’intensità degli episodi (sia in termini di conseguenze correlate, sia in termini di durata del singolo episodio) 2. Esistono farmaci a lunga durata d’azione che possono essere impiegati nel trattamento di questi disturbi? Il professore specifica che la risposta dipende da cose s’intende con “lunga durata d’azione”. Il Depakin Chrono è un farmaco che dev’essere assunto una volta al giorno, quindi, la sua azione si protrae per una durata di 24 ore (a differenza del litio, che dev’essere assunto almeno 2 volte al giorno). I farmaci che non appartengono alla classe degli antipsicotici (tra questi litio, depakin, lamotrigina) esistono solo in formulazione orale. Al contrario, i farmaci antipsicotici (chiamati in vecchia dizione “depot”, in nuova dizione “LAI” = Long Acting Injectable) sono farmaci ad iniezione: questi vengono somministrati con iniezione a livello del deltoide o del gluteo, modalità che permette un rilascio controllato del farmaco su un arco temporale di uno, due, tre o sei mesi. L’iniezione verrà ripetuta trascorso il periodo d’azione del farmaco (quindi dopo uno/due/tre/sei mesi). Sbobinatore: Sofia Lorenzi Revisore: Giovanni Salati 6.2 Psichiatria 8.11.2024 I farmaci antipsicotici vennero formulati inizialmente per il trattamento della schizofrenia. La scelta del farmaco si basa anzitutto su quale risulta essere la terapia più appropriata per il disturbo dell’individuo; la modalità di somministrazione più comoda passa quindi in secondo piano. 3. Dato che il disturbo bipolare è associato a familiarità, esiste una prevenzione all’insorgenza del disturbo? No, non esiste alcune prevenzioni per evitare l’insorgenza del disturbo. Essere a conoscenza della familiarità di un individuo per disturbi bipolari non permette di prevenire l’insorgenza del disturbo in quest’ultimo, ma aiuta semplicemente il medico a sospettare la presenza di un possibile disturbo in presenza di sintomatologia suggestiva. Inoltre, si specifica che nei confronti dei disturbi psichiatrici è ancora presente un grande stigma sociale, tale per cui spesso il personale sanitario evita di indagare la familiarità per disturbi psichiatrici durante l’anamnesi. Questa informazione risulta essere invece particolarmente importante (ad esempio, in ginecologia, è importante essere a conoscenza della familiarità per questi disturbi in una neomamma che nei giorni successivi al parto risulta essere particolarmente irritabile e di cattivo umore) 4. La compliance con la terapia è generalmente buona in pazienti con disturbo bipolare? Anzitutto è da sottolineare che la compliance dipende dalla fase di malattia. In fase maniacale la compliance non sarà affatto buona in quanto, in questa fase acuta, il paziente presenta deliri olotimici (= il delirio va di pari passo col contenuto del pensiero e con la colorazione affettiva dell’episodio) che gli fanno percepire la somministrazione della terapia come uno strumento in grado di mettere fine al suo stato di “grandezza”, indotto dalla spiccata autostima. In fase di eutimia, invece, il paziente risulta essere molto collaborante: dunque, è negli intervalli liberi in cui il paziente ‘sta bene’ che è necessario intervenire sul piano psicoeducazionale per favorire la compliance. DISTURBO DA DEFICIT DI ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ Il professore specifica che, trattandosi di un disturbo relativamente ‘nuovo’ nella psichiatria dell’adulto, questo è stato tralasciato quando è stato scritto il libro di testo da lui consigliato, pertanto non si trova spiegato. Il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) e il disturbo dello spettro dell’autismo sono disturbi pervasivi e persistenti: si tratta di disturbi del neurosviluppo che, per definizione, sono presenti nell’individuo da sempre, fin dalla nascita. Dunque, a differenza ad esempio dei disturbi di panico che possono esordire con i primi attacchi a età variabile, in questo caso il paziente manifesta da sempre sintomi di questi disturbi. La definizione “disturbo da deficit di attenzione e iperattività” identifica due delle dimensioni sintomatologiche prevalenti di questo disturbo, ma non le uniche. Infatti, l’aspetto più rilevante e che incide maggiormente sul funzionamento dell’individuo in questa patologia è un disturbo dell’attenzione. Sbobinatore: Sofia Lorenzi Revisore: Giovanni Salati 6.2 Psichiatria 8.11.2024 N.B: Difficoltà di attenzione, concentrazione e memoria si sono riscontrate anche nell’episodio depressivo maggiore, mentre nell’episodio maniacale si è riscontrata distraibilità. Pertanto, si sottolinea il concetto per cui i segni e sintomi che definiscono i quadri patologici si possono ritrovare anche in altri disturbi. Ad esempio, all’affermazione “ho difficoltà di concentrazione” si potrebbero sospettare diversi quadri di malattia, tra questi: a. soggetto anziano con iniziale deterioramento cognitivo b. bambino con ADHD c. soggetto con episodio depressivo maggiore o episodio (ipo)maniacale Quindi, al fine di formulare una corretta diagnosi è fondamentale valutare sia il pattern di segni e sintomi che l’esordio (se si è verificato un netto cambiamento nella vita del paziente si esclude un disturbo del neurosviluppo, essendo questo presente da sempre nella vita del soggetto) L’ATTENZIONE L’attenzione è la capacità di indirizzare selettivamente i processi cognitivi su un oggetto, inibendo la deviazione degli stessi su altre informazioni. È una facoltà che richiede consumo energetico: infatti, nel momento in cui l’attenzione è concentrata su un determinato oggetto, gli organi di senso continuano ad essere sollecitati da stimoli esterni, ma al fine di mantenere la concentrazione è necessario inibire tali informazioni provenienti dall’ambiente circostante con un processo di consumo energetico. Il deficit di attenzione, che rappresenta una delle dimensioni sintomatologiche di questo disturbo, può manifestarsi sia come incapacità di focalizzare l’attenzione, sia in una riduzione del tempo di attenzione. DIMENSIONI SINTOMATOLOGICHE DELL’ADHD Il disturbo da deficit di attenzione e iperattività è caratterizzato da quattro dimensioni sintomatologiche, generalmente tutte presenti seppur in misura diversa: 1. Distraibilità o deficit attentivo: si manifesta in molteplici modi, tra questi: il soggetto risulta stordito a causa di continue dimenticanze, perde continuamente oggetti perché fa difficoltà a mantenere l’attenzione quando posa l’oggetto da qualche parte difficoltà nella pianificazione delle azioni difficoltà ad ascoltare e seguire conversazioni (il soggetto si distrae durante i discorsi e manifesta il proprio deficit rientrando nella conversazione con domande non più inerenti a quanto si sta discutendo in quel momento, o su argomenti appena affrontati) difficoltà a mantenere la puntualità e rispettare gli appuntamenti Sbobinatore: Sofia Lorenzi Revisore: Giovanni Salati 6.2 Psichiatria 8.11.2024 difficoltà a mantenere l’attenzione: questa risulta la modalità più classica con cui la distraibilità si manifesta (ad esempio, il soggetto si distrae mentre guarda un film, quindi guarda prevalentemente serie tv in quanto più brevi): N.B. A differenza del disturbo d’ansia generalizzata, il pensiero non è occupato da ansie e preoccupazioni, bensì risulta essere “vuoto”; il soggetto risulta essere costantemente distratto, appare continuamente stordito, e questo determina una compromissione del suo funzionamento (ad esempio, sulle prestazioni scolastiche) 2. Iperattività: dimensione motoria oltre che mentale, si manifesta soprattutto in età infantile con: necessità costante di muoversi e incapacità a stare fermi insofferenza a stare in attesa difficoltà a rilassarsi parlare troppo e a voce troppo alta 3. Impulsività: si riferisce sia all’impulsività verbale che decisionale e motoria. Per quanto riguarda l’impulsività verbale, ad esempio, il paziente interrompe continuamente i discorsi per comunicare all’interlocutore qualunque cosa gli venga in mente, anche non inerente all’argomento della conversazione, per timore di dimenticarla termina le frasi che dice l’interlocutore interrompe l’interlocutore per rispondergli mentre egli sta ancora parlando, senza ascoltare la domanda Per quanto riguarda l’impulsività decisionale e motoria, invece, questa si esprime nel fatto che il soggetto dimostra impazienza (ad esempio, consegna un compito senza leggere e rispondere a tutte le domande per la fretta di finire) agisce senza pensare 4. Disregolazione o instabilità emotiva: elevata labilità dell’umore, in altre parole, è sufficiente un minimo stimolo esterno a far a oscillare l’umore del soggetto in entrambe le polarità. In questo caso le oscillazioni sono brevi. Diagnosi differenziale con disturbo bipolare in presenza di disregolazione emotiva: l’ADHD si distingue dal disturbo bipolare grazie all’esordio, in quanto la disregolazione emotiva correlata a ADHD è presente da sempre. Per definizione, il disturbo da deficit di attenzione e iperattività si deve manifestare prima dei 12 anni d’età. Dunque, per poter formulare una diagnosi di ADHD, è necessario accertarsi che i sintomi riferiti alle 4 dimensioni sopra citate siano fossero presenti già in età infantile: questo rappresenta un criterio fondamentale per la diagnosi (in caso contrario, bisogna sospettare un altro tipo di disturbo). Inoltre, i sintomi sopra riportati sono di gravità tale da compromettere in maniera importante il funzionamento cognitivo del paziente in tutte le sue dimensioni, tra queste, le funzioni esecutive (capacità di programmare un’azione, di monitorare un’azione mentre viene compiuta, di rilevare e correggere errori ecc…). Sbobinatore: Sofia Lorenzi Revisore: Giovanni Salati 6.2 Psichiatria 8.11.2024 In molti casi la diagnosi di ADHD viene formulata in età adulta, tardiva, in quanto soggetti affetti da questo disturbo possono possedere un’intelligenza tale da riuscire a evolvere delle modalità di gestione dei propri deficit (ad esempio, studiando tutto il programma il giorno prima di un test per ricordare le informazioni), mascherando il disturbo in età precoce. Tuttavia, nel momento in cui il soggetto cresce e, di conseguenza, le richieste di organizzazione e programmazione da parte del mondo circostante vengono incrementate, il disturbo può manifestarsi come tale. Di conseguenza, una quota di pazienti con ADHD può manifestare il disturbo in età adulta, dunque, venir diagnosticato tardivamente. L’ADHD non è una patologia di nuova scoperta, soprattutto per quanto riguarda i bambini: le prime descrizioni di questo disturbo risalgono infatti al 1775. Inoltre, il farmaco metilfenidato utilizzato per il trattamento dell’ADHD è in commercio dal 1960. Sbobinatore: Sofia Lorenzi Revisore: Giovanni Salati 6.2 Psichiatria 8.11.2024 Un aspetto importante da sottolineare è che fino a pochi anni fa l’ADHD era considerata una patologia esclusivamente dell’infanzia e dell’adolescenza, motivo per cui i pazienti a cui veniva posta la diagnosi in età precoce non venivano poi adeguatamente seguiti nel raggiungimento dell’età adulta. Solo da poco tempo, infatti, viene posta attenzione all’ADHD sia in veste di patologia del bambino che dell’adulto. CRITERI DIAGNOSTICI DEL DSM-5 A. Pattern persistente e pervasivo di disattenzione e/o iperattività-impulsività che interferisce con il funzionamento o lo sviluppo, come caratterizzato da (1) e/o (2): 1. Disattenzione: sei o più dei seguenti sintomi sono persistiti per almeno sei mesi con un’intensità incompatibile con il livello di sviluppo e che ha un impatto negativo diretto sulle attività sociali e scolastiche/lavorative. La presenza di sei o più sintomi di disattenzione permette al clinico di discernere una condizione di disattenzione fisiologica, sperimentata da tutti soggetti in determinati periodi stancanti della vita, dalla disattenzione correlata ad ADHD. Vengono riportate le slide che illustrano tutte le situazioni in cui si manifesta la disattenzione, ovvero, esempi di disattenzione nella vita quotidiana Viene ripetuta la definizione di: Persistente = presente da sempre nel soggetto e non destinano a non scomparire Pervasivo = si manifesta in ogni ambito della vita del soggetto Sbobinatore: Sofia Lorenzi Revisore: Giovanni Salati 6.2 Psichiatria 8.11.2024 2. Iperattività e impulsività: sei o più dei seguenti sintomi persistono per almeno sei mesi con un’intensità incompatibile con il livello di sviluppo e che ha un impatto negativo diretto sulle attività sciali e scolastiche/lavorative Vengono riportate le slide che illustrano tutte le situazioni in cui si manifesta l’iperattività nella vita quotidiana Sbobinatore: Sofia Lorenzi Revisore: Giovanni Salati 6.2 Psichiatria 8.11.2024 B. Diversi sintomi di disattenzione o di iperattività-impulsività erano presenti prima dei 12 anni C. Diversi sintomi di disattenzione o di iperattività-impulsività si presentano in due o più contesti (casa, lavoro, scuola, con amici e parenti, altre attività…) D. Vi è una chiara evidenza che i sintomi interferiscono con, o riducono, la qualità del funzionamento sociale, scolastico o lavorativo E. I sintomi non si presentano esclusivamente durante il decorso della schizofrenia o di un altro disturbo psicotico e non sono meglio spiegati da un altro disturbo mentale (per esempio disturbo dell’umore, disturbo d’ansia, intossicazione o astinenza da sostanze ecc…) Importante ricordare che i sintomi di disattenzione e iperattività vengono manifestati in maniera evidente e incontrollata in età infantile. Al contrario, soggetti adulti affetti da ADHD hanno imparato a controllare la sintomatologia caratteristica, infatti, non presentano manifestazioni eclatanti come quelle del bambino: in questi soggetti il disturbo si manifesta con un costante senso di tensione e irrequietezza. MANIFESTAZIONE SINTOMATOLOGICA CORRELATA AL SESSO Sbobinatore: Sofia Lorenzi Revisore: Giovanni Salati 6.2 Psichiatria 8.11.2024 È importante sottolineare una differenza nella manifestazione sintomatologica correlata al sesso (soprattutto in età infantile e adolescenziale): i maschi manifestano soprattutto la componente di iperattività (manifestazione con iperattività/impulsività predominante), quindi, vengono individuati più facilmente e indirizzati alla diagnosi in età infantile le femmine manifestano soprattutto al componente di disattenzione (manifestazione con disattenzione predominante): queste pazienti non manifestano evidentemente il disturbo in quanto risultano semplicemente essere “sognatrici”, distratte, motivo per cui vengono identificate con maggior difficoltà, rendendo ragione del fatto che si arrivi alla diagnosi in età più tardiva In alcuni casi piò verificarsi una manifestazione combinata di iperattività e disattenzione. PREVALENZA LIFETIME In età pediatrica: 3-5% In età adulta: 2.8% Negli anziani: 2.8% Rapporto M: F = 3:1 In età pediatrica si osserva che la prevalenza è superiore che in età adulta in quanto alcuni individui che hanno un eclatante disturbo ADHD in età infantile possono mostrare un netto miglioramento della condizione in età adulta, tanto da andare incontro a totale assenza di sintomi e/o di compromissione del funzionamento. In questi soggetti si è quind