Le Autonomie Locali: Uno Stato Unitario tra Autonomia e Decentramento PDF

Summary

This document provides information about local autonomy in Italy. It explores the principles of unity, autonomy, and decentralization as established by the Italian Constitution. Understanding the different types of regions (special and ordinary) and their roles is also covered.

Full Transcript

Le Autonomie locali Uno Stato unitario tra autonomia e decentramento L’articolo 5 della Costituzione italiana stabilisce che la Repubblica è una e indivisibile, ma allo stesso tempo riconosce e promuove le autonomie locali e favorisce il decentramento amministrativo. Questo articolo definisce tre pr...

Le Autonomie locali Uno Stato unitario tra autonomia e decentramento L’articolo 5 della Costituzione italiana stabilisce che la Repubblica è una e indivisibile, ma allo stesso tempo riconosce e promuove le autonomie locali e favorisce il decentramento amministrativo. Questo articolo definisce tre principi fondamentali su cui si basa l’organizzazione dello Stato: unità, autonomia e decentramento. (Per autonomia si intende il diritto di ciascuna comunità locale di costituire enti diversi dallo Stato, al fine di regolamentare e gestire gli affari pubblici legati al proprio territorio di riferimento) 1.Unità dello Stato La Costituzione ribadisce che l’Italia è uno Stato unitario, confermando la scelta fatta dopo le lotte risorgimentali che portarono alla nascita del Regno d’Italia nel 1861. L’unitarietà dello Stato significa che esiste un’unica sovranità nazionale, ma non implica che tutte le decisioni siano prese dal Governo centrale. 2.Autonomia locale L’autonomia locale permette a comunità e territori di gestire una parte degli affari pubblici in base alle proprie specificità. Questo principio promuove un sistema democratico più vicino ai cittadini, garantendo un equilibrio rispetto al potere centrale. Attraverso l’autonomia, vengono rispettate le identità e le tradizioni locali, e i Governi regionali diventano un contrappeso al Governo centrale. 3.Decentramento amministrativo Il decentramento amministrativo si riferisce al fatto che lo Stato organizza i propri uffici in modo decentrato sul territorio, così da svolgere le sue funzioni più vicino alle collettività locali. Questo principio è diverso dall’autonomia: mentre l’autonomia riguarda la possibilità per le comunità locali di creare e gestire enti propri, il decentramento riguarda il funzionamento degli uffici dello Stato nelle diverse aree del Paese. Una spinta importante al decentramento è stata data dalle leggi Bassanini alla fine degli anni Novanta. In sintesi, autonomia e decentramento sono strumenti che rendono uno Stato unitario più democratico e funzionale, rispettando le esigenze locali e garantendo una maggiore vicinanza delle istituzioni ai cittadini. L’autonomia nella Costituzione Dopo la fine del fascismo, era necessario costruire un nuovo modello di Stato che favorisse la partecipazione dei cittadini alla vita politica. La soluzione adottata dai costituenti fu uno Stato unitario, ma con la possibilità di creare enti autonomi per gestire attività legate a specifiche aree del territorio. La nascita delle Regioni La Costituzione del 1948 non si limitò a riconoscere gli enti locali già esistenti, come Comuni e Province, ma introdusse le Regioni. L’Italia venne così divisa in venti Regioni, di cui cinque a statuto speciale (Friuli-Venezia Giulia, Sardegna, Sicilia, Trentino-Alto Adige, Valle d’Aosta) e quindici a statuto ordinario. Le Regioni a statuto speciale ottennero una maggiore autonomia per ragioni particolari, come le tendenze separatiste (Sicilia e Sardegna) o la presenza di minoranze linguistiche (ad esempio, francese in Valle d’Aosta, tedesca in Trentino-Alto Adige, slovena in Friuli-Venezia Giulia). Le Regioni a statuto ordinario furono invece istituite solo nel 1970, e tra il 1972 e il 1976 furono trasferite loro diverse competenze. La struttura della Repubblica Secondo l’articolo 114 della Costituzione, la Repubblica è costituita da: Comuni: gli enti più vicini ai cittadini, con radici storiche che risalgono al Medioevo. Sono fondamentali per la partecipazione locale. Province: enti intermedi che gestiscono servizi che interessano più Comuni, come i trasporti. Città metropolitane: istituite in aree con grandi città capoluogo (ad esempio, Roma, Milano, Napoli), coordinate con i Comuni circostanti. Regioni: con competenze più ampie, specialmente in materie che superano l’ambito provinciale. Stato: responsabile delle funzioni che richiedono un esercizio unitario a livello nazionale. Il principio di sussidiarietà Con il tempo, si è diffuso il principio di sussidiarietà, introdotto dalla legge Bassanini del 1997 e sancito dalla riforma costituzionale del 2001. Questo principio stabilisce che: Le decisioni e le competenze devono essere attribuite al livello di governo più vicino ai cittadini (principio di sussidiarietà verticale). Lo Stato interviene solo quando gli enti locali non sono in grado di agire autonomamente o quando è necessario coordinare le attività per garantire l’unità della Repubblica. Il principio di sussidiarietà orizzontale consente ai cittadini e alle associazioni di svolgere alcune funzioni pubbliche, anche senza delega statale (ad esempio, il volontariato). La riforma costituzionale del 2001 Questa riforma ha modificato profondamente il rapporto tra lo Stato e gli enti locali. L’articolo 114 è stato riscritto per evidenziare che la Repubblica non è più solo lo Stato, ma è composta da Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato. Questo cambiamento riflette una nuova centralità del Comune, che riceve tutte le funzioni amministrative, salvo quelle che richiedono un esercizio unitario da parte di enti superiori. In sintesi, la Repubblica italiana ha progressivamente abbandonato il centralismo, promuovendo una gestione più vicina ai cittadini e riconoscendo l’importanza degli enti locali. Regioni a statuto speciale e Regioni a statuto ordinario In Italia esistono due tipi di Regioni: 5 a statuto speciale e 15 a statuto ordinario. Le principali differenze riguardano la loro autonomia e il modo in cui sono regolamentate. Regioni a statuto speciale Gli statuti speciali sono regolati da leggi costituzionali, il che significa che: -Hanno un valore superiore rispetto alle leggi ordinarie dello Stato. -Possono prevalere su alcune norme costituzionali, ma non sui principi fondamentali. -Gli statuti definiscono completamente l’autonomia della Regione e stabiliscono la sua forma di governo. Le Regioni a statuto speciale sono: Sicilia, Sardegna, Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta. La loro maggiore autonomia è legata a motivi storici, culturali o geografici, come la presenza di minoranze linguistiche o tendenze separatiste. Regioni a statuto ordinario Gli statuti ordinari sono atti propri delle Regioni, approvati dai Consigli regionali con una procedura simile a quella delle leggi costituzionali: -Richiedono la maggioranza assoluta dei componenti del Consiglio regionale. -Devono essere approvati due volte, con un intervallo minimo di due mesi. -Dopo l’approvazione, gli statuti vengono pubblicati sul Bollettino ufficiale regionale (BUR) e possono essere sottoposti a: +Controllo costituzionale da parte della Corte costituzionale, su richiesta del Governo entro 30 giorni. +Referendum regionale, se richiesto da un cinquantesimo degli elettori o da un quinto dei consiglieri regionali entro tre mesi dalla pubblicazione. A differenza degli statuti speciali, gli statuti ordinari non definiscono le condizioni di autonomia, che sono stabilite direttamente dalla Costituzione. Gli statuti regionali si occupano principalmente di: -La forma di governo regionale. -Le modalità di esercizio del diritto di iniziativa e del referendum regionale. -La pubblicazione di leggi e regolamenti regionali. Autonomia regionale e riforma del 2001 Tradizionalmente, le Regioni a statuto speciale godevano di maggiore autonomia rispetto a quelle ordinarie. Tuttavia, con la riforma costituzionale del 2001, le Regioni ordinarie hanno ottenuto nuove competenze e responsabilità, riducendo le differenze tra i due tipi di Regioni. È stata introdotta una clausola di maggior favore: -Le norme più vantaggiose per l’autonomia regionale (ad esempio, quelle previste dall’articolo 117 della Costituzione per le Regioni ordinarie) si applicano anche alle Regioni a statuto speciale, superando eventualmente i limiti imposti dai loro statuti. Questo significa che, in caso di conflitto tra uno statuto speciale e la Costituzione, prevale la norma che garantisce maggiore autonomia alla Regione. Esempi pratici della clausola di maggior favore 1.Se una materia è attribuita dallo statuto speciale alla legislazione esclusiva dello Stato, ma l’articolo 117 della Costituzione la assegna alla legislazione concorrente o residuale delle Regioni, la competenza passa alla Regione. 2.Al contrario, se una materia è assegnata dallo statuto speciale alla Regione, ma l’articolo 117 la riserva alla legislazione esclusiva dello Stato, la Regione mantiene comunque la sua competenza grazie alla clausola di maggior favore. il sistema regionale italiano è stato progressivamente riequilibrato, avvicinando le autonomie delle Regioni ordinarie a quelle speciali, pur mantenendo le peculiarità di ciascun tipo di statuto. Gli organi della Regione La Costituzione italiana prevede che ogni Regione abbia una struttura simile a quella dello Stato, composta da tre organi principali: 1.Consiglio regionale – Equivalente al Parlamento, ha funzioni legislative e di controllo. 2.Giunta regionale – Il “governo” della Regione, corrisponde al Consiglio dei ministri. 3.Presidente della Giunta – Svolge un ruolo simile al Capo dell’esecutivo regionale. Consiglio regionale Funzioni: È il titolare del potere legislativo regionale e controlla l’attività della Giunta. Ha funzioni simili a quelle del Parlamento, ma è composto da una sola Camera. Elezione: I consiglieri sono eletti a suffragio universale e diretto dai cittadini maggiorenni residenti nella Regione. Il sistema elettorale è deciso dalla Regione, ma deve rispettare alcuni principi statali (ad esempio, il Presidente della Giunta non può essere rieletto dopo due mandati consecutivi). Composizione: Il numero di consiglieri varia in base alla popolazione della Regione, garantendo una maggioranza stabile per il governo. Al suo interno, il Consiglio elegge un Presidente per dirigere i lavori. Durata: Il Consiglio rimane in carica per cinque anni, salvo scioglimento anticipato. Giunta regionale Funzioni: È l’organo esecutivo della Regione, responsabile dell’attuazione delle leggi e della gestione amministrativa. Presenta i disegni di legge al Consiglio regionale e, in caso di urgenza, può adottare provvedimenti che devono essere successivamente ratificati dal Consiglio. Componenti: È formata dagli assessori, nominati e revocati direttamente dal Presidente. Gli assessori dirigono gli assessorati, ovvero gli uffici che si occupano delle diverse aree di attività regionale. Numero degli assessori: Recenti normative hanno limitato il loro numero per garantire maggiore efficienza. Presidente della Regione Ruolo: È sia il Presidente della Giunta che il Presidente della Regione. Non deve essere confuso con il Presidente del Consiglio regionale, che si occupa esclusivamente della direzione dei lavori consiliari. Elezione: Generalmente è eletto a suffragio universale e diretto dai cittadini, salvo diversa previsione dello statuto regionale. Rapporto con il Consiglio:Se il Consiglio regionale approva una mozione di sfiducia contro il Presidente, l’intera Giunta e il Consiglio stesso vengono sciolti, portando a nuove elezioni. Questo meccanismo serve a scoraggiare crisi politiche. Poteri: -Nomina e revoca gli assessori. -Fissa l’ordine del giorno delle riunioni della Giunta e dirige le discussioni. -Rappresenta ufficialmente la Regione. -Promulga le leggi, emana i regolamenti e coordina le funzioni amministrative che lo Stato assegna agli enti regionali. In sintesi, la struttura regionale italiana riflette l’organizzazione statale, con il Consiglio regionale che legifera, la Giunta che esegue, e il Presidente che guida e rappresenta la Regione L’autonomia delle Regioni Secondo l’articolo 117 della Costituzione, le Regioni hanno una propria autonomia legislativa, che le distingue dagli altri enti territoriali (Comuni, Province, Città metropolitane), i quali possono solo adottare statuti e regolamenti. Questa autonomia si suddivide in tre tipi principali: 1. Potestà legislativa esclusiva dello Stato Lo Stato ha il diritto esclusivo di legiferare su 17 materie specifiche, considerate di interesse nazionale, per evitare che siano regolate in modo diverso da Regione a Regione. Le materie su cui lo Stato ha competenza esclusiva sono elencate chiaramente (ad esempio, difesa, politica estera, moneta). Lo Stato può legiferare solo su queste materie espressamente attribuitegli. 2. Potestà legislativa concorrente Stato e Regioni condividono la competenza legislativa su alcune materie, elencate dall’articolo 117 della Costituzione. In queste materie: - Stato stabilisce i principi fondamentali attraverso leggi chiamate leggi quadro o leggi cornice. -Le Regioni legiferano successivamente, sviluppando i dettagli pratici dei principi definiti dallo Stato. -Questo sistema funziona in due fasi: lo Stato fornisce il quadro generale, le Regioni intervengono con norme specifiche. 3. Potestà legislativa residuale delle Regioni In tutte le materie non attribuite esplicitamente alla potestà esclusiva dello Stato o a quella concorrente, le Regioni hanno piena autonomia legislativa. Le Regioni possono legiferare liberamente, nel rispetto: -Della Costituzione. -Dell’ordinamento comunitario (normative europee). -Degli obblighi internazionali. Procedimento per l’approvazione delle leggi regionali Il processo per la formazione delle leggi regionali è simile a quello delle leggi statali e segue tre fasi principali: 1.Iniziativa legislativa Le proposte di legge possono essere presentate da: La Giunta regionale. I singoli consiglieri regionali. Il corpo elettorale regionale (tramite petizioni o iniziative popolari). 2. Istruttoria La proposta viene esaminata dalle commissioni permanenti del Consiglio regionale, che approfondiscono i contenuti, ma non hanno potere deliberativo. 3.Deliberazione e promulgazione La legge deve essere approvata dal Consiglio regionale. Una volta approvata, è promulgata dal Presidente della Regione e pubblicata sul Bollettino ufficiale regionale (BUR). La legge entra in vigore 15 giorni dopo la pubblicazione, salvo diversa indicazione. In sintesi, l’autonomia legislativa delle Regioni consente loro di contribuire al governo del territorio in modo specifico, adattando le norme alle necessità locali, pur rispettando Autonomia regolamentare I regolamenti sono atti che servono a dare esecuzione e attuazione alle leggi regionali e statali. Con la riforma costituzionale del 2001, è stato introdotto il principio del parallelismo tra funzioni legislative e regolamentari, che stabilisce che chi ha il potere legislativo può anche adottare regolamenti. Principi principali: 1.Poteri delle Regioni Le Regioni possono adottare regolamenti nelle materie di loro competenza legislativa: Concorrente (materie condivise con lo Stato, dove le Regioni definiscono i dettagli). Residuale (materie non riservate allo Stato o alla legislazione concorrente). Lo Stato può riservare il proprio potere regolamentare solo alle materie di sua competenza esclusiva. Tuttavia, può anche delegare questo potere alle Regioni. 2.Regolamenti regionali Spetta allo statuto regionale decidere chi ha il potere di adottare regolamenti (ad esempio, il Presidente, il Consiglio regionale o la Giunta). Questo significa che le modalità possono variare da una Regione all’altra. Regolamenti degli altri enti locali Anche Comuni, Province e Città metropolitane hanno poteri regolamentari per gestire le proprie funzioni amministrative. Seguendo il principio di sussidiarietà: Le funzioni amministrative sono assegnate in via prioritaria ai Comuni, come enti più vicini ai cittadini. Solo se necessario, queste funzioni possono essere trasferite a Province, Città metropolitane, Regioni o allo Stato, per garantire l’unità e l’efficienza. In sintesi, l’autonomia regolamentare consente a Regioni ed enti locali di adottare norme specifiche per attuare leggi, mantenendo flessibilità e adattandosi alle necessità del territorio, sempre nel rispetto dei principi di competenza e sussidiarietà. Autonomia finanziaria L’autonomia garantita alle Regioni dalla Costituzione sarebbe priva di valore pratico senza la possibilità di disporre di adeguate risorse finanziarie. Per questo, l’articolo 119 della Costituzione riconosce alle Regioni (e ad altri enti locali) un’autonomia finanziaria, ossia il diritto di stabilire e gestire in modo autonomo le proprie risorse economiche per svolgere le loro funzioni. Principi dell’autonomia finanziaria: 1.Enti destinatari L’autonomia finanziaria è riconosciuta non solo alle Regioni, ma anche a: -Comuni -Province -Città metropolitane 2.Autonomia di entrata e spesa Gli enti possono gestire le entrate e le spese, ma devono rispettare: -La Costituzione, in particolare i principi tributari (artt. 23 e 53) e di bilancio (art. 81). -I principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. 3.Principio di territorialità dell’imposta Almeno una parte del gettito fiscale prelevato in un territorio deve essere utilizzata a vantaggio della comunità che lo ha generato. 4.Fondo perequativo Serve a compensare le disuguaglianze tra le diverse Regioni in termini di capacità fiscale. Ad esempio, Regioni con minori risorse economiche, come la Calabria, ricevono fondi per garantire servizi pubblici uniformi rispetto a Regioni più ricche, come la Lombardia. 5.Risorse aggiuntive dello Stato Lo Stato può destinare fondi supplementari a: -Promuovere sviluppo economico, coesione e solidarietà sociale -Eliminare gli squilibri economici e sociali. -Garantire il pieno esercizio dei diritti fondamentali delle persone. -Sostenere altri scopi, oltre alle normali funzioni degli enti. In sintesi, l’autonomia finanziaria permette alle Regioni e agli enti locali di gestire le proprie risorse in modo autonomo, mantenendo comunque un sistema di solidarietà per garantire servizi pubblici uniformi su tutto il territorio nazionale, indipendentemente dalla ricchezza dei singoli territori. Gli enti locali L’articolo 5 della Costituzione riconosce e tutela le autonomie locali come uno dei principi fondamentali della Repubblica. Si parla di riconoscimento, e non di istituzione, perché gli enti locali, come i Comuni, esistevano già prima dell’approvazione della Costituzione repubblicana. Gli enti locali principali Comuni: Sono l’ente locale più importante e più vicino ai cittadini. Province: Enti intermedi che coordinano i servizi tra più Comuni. Città metropolitane: Grandi aree urbane che comprendono città capoluogo e i Comuni vicini. Altri enti locali 1. Comunità montane (o Unioni montane) Comprendono Comuni montani o parzialmente montani, anche di Province diverse. Sono costituite per affrontare le difficoltà economiche e logistiche tipiche delle aree montane. Hanno l’obiettivo di favorire interventi specifici per migliorare i collegamenti e lo sviluppo economico del territorio. 2. Comunità isolane e d’arcipelago Simili alle Comunità montane, ma destinate alle isole e agli arcipelaghi. Si applicano le stesse norme delle Comunità montane, con l’eccezione delle isole maggiori come Sicilia e Sardegna. 3. Unioni di Comuni Enti locali formati da due o più Comuni, generalmente confinanti. Sono creati per gestire insieme alcune funzioni, ad esempio la raccolta dei rifiuti, i trasporti o altri servizi pubblici, in modo più efficiente. In sintesi, gli enti locali rappresentano la struttura amministrativa più vicina ai cittadini e svolgono funzioni fondamentali per il territorio. Oltre ai principali (Comuni, Province e Città metropolitane), esistono enti specifici per rispondere alle esigenze particolari di territori montani, insulari o per ottimizzare i servizi tra più Comuni. il comune Il Comune è l’ente locale che rappresenta la comunità di un territorio specifico, si occupa di tutelarne gli interessi e promuoverne lo sviluppo. Ha competenze che si dividono in funzioni proprie e funzioni conferite. Le funzioni proprie riguardano attività direttamente connesse alla popolazione e al territorio del Comune, come i servizi alla persona e alla comunità (ad esempio assistenza sociale, scuole, attività culturali e sportive), la gestione del territorio (urbanistica, viabilità) e lo sviluppo economico (supporto alle attività commerciali e produttive). Le funzioni conferite, invece, sono attività delegate dallo Stato o dalla Regione, che rimangono titolari della competenza ma affidano al Comune l’esercizio di alcune mansioni. Tra queste rientrano i servizi elettorali, i servizi di stato civile (registrazione di nascite, matrimoni e decessi) e i servizi anagrafici e statistici. Inoltre, il Comune gestisce alcune attività economiche, come la regolamentazione e l’autorizzazione dei punti vendita commerciali, affidata al Sindaco. Il Comune si struttura in tre organi principali: il Consiglio comunale, la Giunta comunale e il Sindaco. Il Consiglio comunale È l’organo rappresentativo del Comune e svolge funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo. Ha competenze esclusive per l’approvazione di atti fondamentali, come il bilancio, i regolamenti e i piani urbanistici. Nessun altro organo può sostituirlo nell’adozione di questi atti. La Giunta comunale, invece, è l’organo esecutivo e si occupa di attuare le decisioni prese dal Consiglio comunale. È presieduta dal Sindaco e composta da assessori da lui nominati, tra cui un Vicesindaco. La Giunta rimane in carica per cinque anni, come il mandato del Sindaco. Il Sindaco è il capo dell’amministrazione comunale e rappresenta sia il Comune sia il Governo sul territorio. È eletto dai cittadini a suffragio universale e diretto per un mandato di cinque anni, rinnovabile. Il Sindaco dirige l’organizzazione e l’attività amministrativa, promuove le politiche comunali e rappresenta lo Stato per funzioni specifiche. Può cessare anticipatamente dalla carica se il Consiglio comunale approva una mozione di sfiducia, che comporta anche la decadenza della Giunta. In sintesi, il Comune è l’ente locale più vicino ai cittadini, con una struttura che gli consente di gestire funzioni essenziali per la comunità e di rispondere alle esigenze locali attraverso un’amministrazione autonoma ed efficiente. La Provincia è un ente locale che rappresenta la comunità territoriale, ne tutela gli interessi e promuove il suo sviluppo. Con la riforma introdotta dalla Legge Delrio del 2014, le Province sono state ridefinite come enti di vasta area con competenze specifiche e limitate. Questo cambiamento ha trasformato le Province in organi di secondo livello, nei quali le cariche non vengono più assegnate tramite elezioni dirette dai cittadini, ma dai Sindaci e dai consiglieri comunali del territorio provinciale. Le Province esercitano sia funzioni proprie, cioè legate all’interesse sovracomunale e all’intero territorio provinciale, sia funzioni conferite, cioè delegate dallo Stato o dalla Regione. Le funzioni proprie, previste dall’articolo 19 del D.Lgs. 267/2000, riguardano attività di carattere amministrativo che superano la competenza dei singoli Comuni. Le funzioni fondamentali attribuite dalla Legge Delrio comprendono diversi ambiti. Tra questi vi è la pianificazione territoriale e ambientale, che riguarda il coordinamento dello sviluppo del territorio provinciale e la tutela di risorse come la flora, la fauna e i beni culturali. Un altro ambito cruciale è la gestione dei trasporti e della viabilità, che include la programmazione dei servizi pubblici di trasporto, la manutenzione delle strade provinciali e la regolazione del traffico. La Provincia si occupa anche della programmazione della rete scolastica, organizzando le scuole superiori in base alle indicazioni regionali, e della gestione degli edifici scolastici, assicurandone la manutenzione e il funzionamento. Inoltre, fornisce assistenza tecnica e amministrativa agli enti locali, raccogliendo ed elaborando dati utili per la gestione territoriale, e si impegna nella promozione delle pari opportunità, monitorando fenomeni di discriminazione e promuovendo l’inclusione. Con la riforma, molte competenze delle Province sono state trasferite ai Comuni e alle Regioni. Tuttavia, la Provincia mantiene un ruolo strategico, occupandosi di questioni che richiedono una gestione sovracomunale e una pianificazione unitaria, come i trasporti, l’ambiente e il coordinamento delle politiche territoriali. Le Città metropolitane sono enti locali costituiti da una grande città capoluogo e dai Comuni vicini, legati da stretti rapporti sociali ed economici che formano un’unica entità amministrativa. Sono state introdotte nel testo costituzionale con la riforma del 2001 e nei territori in cui sono state istituite hanno sostituito le Province. La loro finalità è garantire una gestione integrata del territorio, promuovendo lo sviluppo economico, sociale e infrastrutturale in modo coordinato. Le Città metropolitane si occupano di pianificare lo sviluppo del territorio e di gestire servizi pubblici di area vasta, con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita e favorire la sostenibilità. Gli organi della Città metropolitana sono tre: il Sindaco metropolitano, il Consiglio metropolitano e la Conferenza metropolitana. Il Sindaco metropolitano rappresenta l’ente e presiede il Consiglio e la Conferenza metropolitana. Ha il compito di sovrintendere al funzionamento dei servizi e degli uffici e di garantire l’esecuzione degli atti della Città metropolitana. Il Sindaco metropolitano è di diritto il Sindaco del Comune capoluogo. Il Consiglio metropolitano è un organo elettivo di secondo grado, composto dal Sindaco metropolitano e da un numero variabile di consiglieri, determinato in base alla popolazione della Città metropolitana. I membri del Consiglio sono eletti dai Sindaci e dai consiglieri comunali dei Comuni della Città metropolitana. Il Consiglio dura in carica cinque anni e lo Statuto può prevedere l’elezione diretta a suffragio universale del Sindaco e del Consiglio metropolitano. La Conferenza metropolitana, invece, è composta dal Sindaco metropolitano e dai Sindaci dei Comuni del territorio metropolitano. Ha il compito di adottare lo Statuto e funzioni consultive, in particolare per l’approvazione dei bilanci. Lo Statuto può attribuirle ulteriori poteri propositivi e consultivi. In Italia, le Città metropolitane attualmente istituite sono quattordici: Bari, Bologna, Cagliari, Catania, Firenze, Genova, Messina, Milano, Napoli, Palermo, Reggio Calabria, Roma Capitale, Torino e Venezia. Questi enti rappresentano un modello di governance pensato per ottimizzare la gestione delle aree urbane e dei territori limitrofi, favorendo una pianificazione unitaria e sostenibile. La Rigenerazione Urbana nel Recovery Plan Il 21 luglio 2020, il Consiglio europeo ha approvato il programma Next Generation EU, una risposta senza precedenti alla crisi causata dalla pandemia di Covid-19, attraverso una massiccia mobilitazione finanziaria. Questo piano mira a favorire la transizione sostenibile e digitale, a migliorare la formazione dei lavoratori e a promuovere una maggiore equità di genere, territoriale e generazionale. L’Italia ha recepito questo piano attraverso il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), approvato nel 2021, con l’obiettivo di rilanciare l’economia post-pandemia favorendo uno sviluppo verde e digitale. Il PNRR italiano è strutturato in sei missioni principali: 1. Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo. 2. Rivoluzione verde e transizione ecologica. 3. Infrastrutture per una mobilità sostenibile. 4. Istruzione e ricerca. 5. Inclusione e coesione. 6. Salute. All’interno del PNRR, una parte importante delle risorse è destinata alla rigenerazione urbana, per un totale di 9,02 miliardi di euro, con l’obiettivo rendere le città italiane più sostenibili, inclusive e vivibili. Gli investimenti sono suddivisi in tre principali linee di intervento: 1. Rigenerazione urbana contro emarginazione e degrado (3,30 miliardi di euro) Questa linea è dedicata ai Comuni con una popolazione superiore a 15.000 abitanti e mira a ridurre situazioni di emarginazione sociale e degrado urbano, migliorando il contesto sociale, ambientale e il decoro delle città. Tra le azioni previste: Riutilizzo e rifunzionalizzazione di aree pubbliche ed edifici esistenti, inclusa la demolizione di opere abusive. Miglioramento del decoro urbano, attraverso la ristrutturazione di edifici pubblici e lo sviluppo di servizi sociali, culturali, educativi e sportivi. Interventi per la mobilità sostenibile, come la creazione di infrastrutture che favoriscano una mobilità ecologica e integrata. 2. Piani Urbani Integrati per le periferie (2,92 miliardi di euro) Questi fondi sono destinati alle periferie delle Città Metropolitane e prevedono una pianificazione urbanistica partecipata. L’obiettivo è trasformare le aree vulnerabili in città smart e sostenibili, limitando il consumo di nuovo suolo edificabile. I Piani Urbani Integrati prevedono inoltre: La ricucitura del tessuto urbano ed extra-urbano, colmando deficit infrastrutturali e di mobilità tra il capoluogo e i Comuni limitrofi. La partecipazione di altri soggetti, come il Terzo settore e gli investitori privati (fino al 30%), supportati dai fondi della Banca Europea per gli Investimenti. Specifici interventi per la creazione di soluzioni abitative dignitose per i lavoratori agricoli e industriali. 3. Programma innovativo della qualità dell’abitare (2,8 miliardi di euro) Questa linea di intervento si concentra sulla realizzazione di nuove strutture di edilizia residenziale pubblica per mitigare le difficoltà abitative. Gli interventi si articolano su due linee principali: Riqualificazione e aumento dell’housing sociale, migliorando la qualità urbana, l’accessibilità e la sicurezza, senza consumare nuovo suolo. Interventi strategici sull’edilizia residenziale pubblica, volti a favorire inclusione, benessere urbano e sostenibilità ambientale. La selezione dei progetti sarà basata su indicatori che valutano l’impatto ambientale, sociale, culturale ed economico. Sintesi La rigenerazione urbana è una parte cruciale del PNRR italiano, con l’obiettivo di combattere il degrado sociale e urbanistico, favorire l’inclusione e trasformare le città in aree più sostenibili. Grazie a un mix di interventi mirati, come la riqualificazione degli spazi pubblici, la promozione della mobilità sostenibile e l’incremento dell’housing sociale, questo piano punta a migliorare la qualità della vita e a garantire un futuro più equo e inclusivo per le comunità Cap 2 Il potere giudiziario Una volta emanate le leggi e stabilite le condizioni per la loro applicazione, è necessario assicurarsi che vengano rispettate da tutti. Questo compito è affidato alla Magistratura, l’organo costituzionale che detiene il potere giudiziario. La Costituzione italiana dedica una sezione specifica alla Magistratura, iniziando con un principio fondamentale che ribadisce il concetto di sovranità popolare: «La giustizia è amministrata in nome del popolo» (Articolo 101, comma 1). Il rapporto tra giudici e popolo Il legame tra i magistrati e il popolo non deriva dall’elezione diretta dei giudici, ma dalla loro soggezione alla legge (Articolo 101, comma 2). Poiché il popolo elegge il Parlamento, che ha il compito di approvare le leggi (incluse quelle riguardanti l’organizzazione e il controllo della Magistratura), i giudici, applicando le leggi, rispettano la volontà popolare. La soggezione dei magistrati alla legge si articola in due aspetti principali: 1. Obbligo di applicare le leggi: cioè giudici devono rispettare le norme giuridiche anche se non condividono il loro contenuto o gli effetti. 2. Indipendenza da influenze esterne: cioè i giudici non possono subire pressioni o condizionamenti da parte di singoli cittadini, altri giudici, il Governo, i partiti politici, i gruppi economici o altri soggetti. Funzioni della Magistratura La Magistratura ha due compiti principali: Verificare il rispetto delle norme giuridiche. Applicare le pene previste per chi trasgredisce. Caratteristiche dei magistrati La Magistratura è composta da magistrati e giudici: I magistrati (o giudici) operano in piena autonomia e indipendenza rispetto agli altri poteri dello Stato e si distinguono in base a: Materie di competenza: ad esempio, diritto civile, penale, amministrativo. Grado di giudizio: possono operare nei tribunali di primo grado, di appello o presso la Corte di Cassazione (giudizio di legittimità). Territorio di competenza: lavorano in determinate aree geografiche. L’autonomia garantita dal CSM Per tutelare l’autonomia e l’indipendenza della Magistratura, la Costituzione ha istituito il Consiglio Superiore della Magistratura (CSM), un organo di autogoverno dei giudici, operativo dal 1958. Il CSM è composto da: Giudici eletti. Membri scelti dal Parlamento in seduta comune. Ed è presieduto dal Presidente della Repubblica che ha il compito di disciplinare gli atti che riguardano la carriera dei magistrati, come: Assunzioni, assegnazioni e trasferimenti. Promozioni. Provvedimenti disciplinari. Articoli della Costituzione Articolo 101: «La giustizia è amministrata in nome del popolo. I giudici sono soggetti soltanto alla legge». Articolo 104: «La Magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere». Articolo 105: Spettano al Consiglio Superiore della Magistratura l’assunzione, l’assegnazione, i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario. L’amministrazione della giustizia La giustizia, come i rami del diritto, si suddivide in civile, penale e amministrativa. Ognuno di questi ambiti ha caratteristiche e finalità specifiche. 1. La giustizia civile La giustizia civile regola le controversie tra privati, che possono riguardare rapporti familiari o patrimoniali, come: Divorzi. Proprietà. Contratti. Successioni. Le parti del processo civile sono l’Attore che avvia il processo per accertare la violazione o l’esistenza di un proprio diritto nei confronti di un’altra persona, il Convenuto che è chiamato a rispondere della presunta violazione. Caratteristiche del processo civile Il processo civile ha luogo solo se l9attore si attiva, cioè, come si dice “su iniziativa di parte”, e si svolge attraverso il cosiddetto contraddittorio fra le parti: sia l’attore sia il convenuto devono esporre le loro ragioni davanti a un giudice e portare prove a sostegno delle reciproche affermazioni. Dopo il contraddittorio, il giudice dichiara con sentenza se c9è stata o meno la lesione del diritto soggettivo e, in caso positivo, ristabilisce l’ordine giuridico violato. 2. La giustizia penale La giustizia penale ha come obiettivo: Accertare la commissione di un reato. Punire l’eventuale colpevole con le sanzioni previste dalla legge. Le parti del processo penale sono: Stato: rappresentato dal Pubblico Ministero, che esercita l’azione penale e accusa l’imputato. Imputato: ovvero la persona accusata di aver commesso il reato. Caratteristiche del processo penale Il processo penale è avviato dallo Stato, poiché il reato danneggia non solo la vittima ma anche la collettività. Bisogna ricordare anche il tribunale per i minorenni: giudica i reati commessi da minori di 18 anni. È composto da: Due giudici togati (magistrati di carriera). Due esperti in discipline psichiatriche, psicologiche e pedagogiche, un uomo e una donna. 3. La giustizia amministrativa La giustizia amministrativa si occupa delle controversie tra: Privati cittadini. -Organi della Pubblica amministrazione. Finalità della giustizia amministrativa I cittadini si rivolgono al giudice amministrativo quando ritengono che un comportamento della Pubblica amministrazione abbia violato un loro interesse legittimo, cioè un interesse che coincide con quello della collettività. Le parti del processo amministrativo Ricorrente: il cittadino che agisce per difendere il proprio interesse. Resistente: l’organo della Pubblica amministrazione accusato di aver causato un danno. Caratteristiche del processo amministrativo Iniziativa di parte: come nel processo civile, il procedimento si avvia solo su richiesta del cittadino. Tutela dell’interesse legittimo: il giudice valuta se l’amministrazione ha agito in modo conforme alla legge e agli interessi collettivi. Questa suddivisione della giustizia assicura che i diversi tipi di controversie siano affrontati in modo adeguato, tenendo conto delle specificità dei diritti e degli interessi in gioco. Il doppio grado di giurisdizione Nel sistema giudiziario italiano, i giudici prendono decisioni basandosi sulla legge, non sulla propria volontà. Devono interpretare la norma generale applicabile al caso concreto, distinguendo tra: Fattispecie astratta: la norma giuridica generale. Fattispecie concreta: il caso specifico sottoposto al giudizio. Le caratteristiche delle sentenze Le decisioni dei giudici, chiamate sentenze, sono: Valide solo per le parti coinvolte nel processo. Non equivalenti a norme generali, poiché derivano da un’interpretazione. Questo sistema può portare a interpretazioni diverse dello stesso caso da parte di giudici differenti. Il principio del doppio grado di giurisdizione Per garantire la correttezza dell’interpretazione e tutelare i diritti dei cittadini, l’ordinamento italiano prevede il doppio grado di giurisdizione. Un cittadino che non condivide la sentenza emessa da un giudice può: 1.Rivolgersi a un secondo giudice (giudice di secondo grado o giudice d’appello). 2.Chiedere che il caso venga riesaminato. Il giudice d’appello può: Confermare la sentenza del giudice di primo grado. Modificare o annullare la sentenza di primo grado. La Corte di Cassazione Dopo il secondo grado, è possibile ricorrere alla Corte di Cassazione, che rappresenta l’ultimo grado di giurisdizione. Competenze della Corte di Cassazione Non riesamina i fatti del caso (non entra nel merito). Si occupa esclusivamente di questioni di diritto, controllando che: Il processo si sia svolto in modo conforme alla legge. La legge sia stata interpretata correttamente e uniformemente. Giudice di legittimità La Corte di Cassazione è definita giudice di legittimità, poiché valuta la conformità del processo alla legge, senza decidere sulla colpevolezza o innocenza nel merito. Sentenze passate in giudicato Una volta esauriti i tre gradi di giudizio, le sentenze diventano definitive o “passano in giudicato”. Questo significa che non possono più essere contestate né modificate. Giudici di primo grado e giudici di appello I giudici di primo grado e di appello si distinguono nei diversi tipi di processo: civile, penale e amministrativo. Processo civile Giudici di primo grado 1.Giudice di pace: giudice onorario competente per controversie di modesta entità. 2.Tribunale: giudice professionale che decide: In composizione monocratica (un solo giudice) per la maggior parte delle cause. In composizione collegiale (tre magistrati) per cause più complesse o di particolare rilevanza.Giudici di appello Corte d’appello: organo collegiale che opera come giudice di secondo grado per le cause decise dal Tribunale. Giudice di legittimità Corte di Cassazione: suprema Corte che si occupa di questioni di legittimità, controllando la corretta applicazione della legge. Processo penale Giudici di primo grado 1.Giudice di pace: competente per reati di minore gravità, come: Percosse, lesioni colpose. Atti contrari alla pubblica decenza. Reati punibili con pene detentive fino a 4 mesi o con pene pecuniarie. 2.Tribunale: giudice professionale che decide: In composizione monocratica per la maggior parte dei reati. In composizione collegiale per reati più gravi o complessi (ad esempio: associazione a delinquere, usura, riciclaggio). 3.Corte d’assise: composta da magistrati e giudici popolari, giudica i reati più gravi, come: Omicidio. Reati con pene di reclusione non inferiori a 24 anni o ergastolo. Giudici di appello 1.Corte d’appello: competente per i reati già giudicati dal Tribunale. 2.Corte d’assise d’appello: composta da magistrati e giudici popolari, giudica in secondo grado i reati trattati dalla Corte d’assise. Giudice di legittimità Corte di Cassazione: controlla la legittimità delle sentenze come nel processo civile, senza entrare nel merito. Processo amministrativo Giudici di primo grado Tribunali amministrativi regionali (TAR): Sono presenti in ogni Regione (20 in totale). Hanno sede nei capoluoghi di Regione. Giudicano le controversie tra cittadini e Pubblica amministrazione. Giudice di appello Consiglio di Stato: Unico giudice di appello per le sentenze emesse dai TAR. Ha funzioni sia giurisdizionali (decide sui ricorsi contro la Pubblica amministrazione) sia consultive (esprime pareri sugli atti amministrativi richiesti dallo Stato o dalle Regioni). Consiglio di Stato Funzione giurisdizionale: decide sui ricorsi presentati dai cittadini contro atti della Pubblica amministrazione. Funzione consultiva: fornisce pareri sull’opportunità degli atti amministrativi richiesti dall’amministrazione statale o regionale.Questo sistema garantisce la possibilità di riesaminare decisioni precedenti, tutelando i diritti dei cittadini e assicurando il rispetto della legge. Il diritto alla giustizia L’azione degli organi giudiziari deve rispettare alcuni principi fondamentali sanciti dalla Costituzione, che garantiscono il diritto alla giustizia di ogni cittadino. Tali principi si trovano negli articoli 24, 25, 27 e 111 della Costituzione. Principi sanciti dall’Articolo 24 L’articolo 24 della Costituzione riconosce a tutti i cittadini e agli stranieri il diritto alla giustizia, prevedendo: 1. Diritto di azione giurisdizionale: tutti possono ricorrere alla Magistratura per tutelare i propri diritti soggettivi e interessi legittimi. 2. Diritto alla difesa inviolabile: ogni persona ha il diritto di farsi assistere da un avvocato e di partecipare attivamente al processo, esponendo le proprie ragioni e prove. 3. Gratuito patrocinio: chi non ha i mezzi economici per sostenere le spese del processo può usufruire di assistenza legale gratuita. 4. Diritto al risarcimento per errori giudiziari: chi è stato condannato ingiustamente ha diritto a un risarcimento economico o a una rendita vitalizia. Principi sanciti dall’Articolo 25 L’articolo 25 tutela i diritti dei cittadini stabilendo: 1. Giudice naturale precostituito per legge: la legge individua in anticipo quale giudice è competente per un caso, garantendo l’imparzialità. 2. Principio di legalità penale: possono essere puniti solo i comportamenti che la legge ha definito reati. 3. Principio di irretroattività: le leggi penali non possono essere applicate retroattivamente a fatti commessi prima della loro entrata in vigore. Principi sanciti dall’Articolo 27 L’articolo 27 si concentra sui principi che regolano la giustizia penale: 1. Responsabilità personale: nessuno può essere punito per un fatto commesso da altri. 2. Presunzione di non colpevolezza: un individuo è innocente fino a quando non viene condannato con sentenza definitiva. 3. Umanità e rieducazione delle pene: le pene devono rispettare il senso di umanità e mirare alla rieducazione del condannato, favorendone il reinserimento nella società. 4. Ripudio della pena di morte: la pena capitale è vietata. Principi del giusto processo (Articolo 111) L’articolo 111 stabilisce i principi del giusto processo, applicabili soprattutto al processo penale. I più importanti sono: 1. Riserva assoluta di legge: i processi devono svolgersi secondo quanto stabilito dalla legge. 2. Ragionevole durata del processo: i procedimenti devono concludersi in tempi ragionevoli per evitare disagi e ingiustizie. 3. Parità tra accusa e difesa: entrambe le parti devono avere gli stessi diritti, come presentare prove e farle valutare dal giudice. 4. Obbligo di motivazione delle sentenze: il giudice deve spiegare chiaramente le ragioni delle sue decisioni, basandosi sulla legge e sui fatti esaminati. La motivazione consente alle parti di impugnare la sentenza, chiedendo un riesame a un giudice superiore. Conclusione Il diritto alla giustizia garantisce a ogni cittadino un accesso equo ai procedimenti giudiziari, nel rispetto dei principi costituzionali di imparzialità, legalità, difesa e umanità. Tali principi assicurano che il sistema giudiziario sia uno strumento di tutela dei diritti e non una fonte di ingiustizia. La Riforma Cartabia La Riforma Cartabia, recentemente introdotta in Italia, mira a ridurre i tempi della giustizia e migliorare l’efficienza dei procedimenti, rispondendo alle richieste dell’Unione Europea per accedere ai fondi del PNRR. Il sistema giuridico italiano, spesso sanzionato per la lentezza dei processi, è stato ristrutturato attraverso cambiamenti significativi sia nel processo civile sia in quello penale. Inoltre, sono state introdotte importanti novità in tema di giustizia riparativa. 1. Riforma del processo civile Obiettivi Accelerare i procedimenti. Migliorare l’efficienza tramite la digitalizzazione. Privilegiare procedimenti speciali e forme alternative di giurisdizione. Novità principali 1. Digitalizzazione: Comunicazioni e interazioni tra le parti e i giudici avvengono ora in forma telematica, sostituendo molte attività tradizionali svolte su carta o in presenza. 2. Tempi più rapidi: Abbreviazione dei termini processuali. Introduzione di procedimenti speciali, più rapidi e semplici rispetto al processo ordinario. 3. Maggiore certezza per il cittadino: Le parti devono presentare atti introduttivi (contenenti tutte le pretese e argomentazioni) già prima della prima udienza. Questo permette una maggiore chiarezza fin dall’inizio del processo. 2. Riforma del processo penale Obiettivi -Ridurre del 25% la durata media dei procedimenti penali entro il 2026, come richiesto dal PNRR. -Alleggerire il carico di lavoro dei tribunali concentrandosi sui reati più gravi. Novità principali 1. Reati procedibili solo su querela: Alcuni reati (ad esempio: furto aggravato, frode informatica, molestie) saranno perseguiti solo se la vittima presenta querela. Senza questa dichiarazione, il procedimento non avrà luogo. 2. Archiviazione per reati minori: Reati definiti “tenui”, con pene detentive inferiori a due anni, potranno essere archiviati, a meno che non riguardino: Violenza sulle donne. Stupefacenti. Reati contro la Pubblica Amministrazione. 3. Giustizia riparativa Obiettivi La giustizia riparativa introduce un nuovo approccio, focalizzandosi non solo sulla punizione, ma anche sulla riparazione del danno causato dal reato, promuovendo il reinserimento sociale del colpevole. Novità principali 1. Mediazione tra vittima e imputato: Imputati e vittime potranno incontrarsi presso centri pubblici specializzati (uno per ogni Corte d’Appello) sotto la guida di mediatori qualificati. La partecipazione è volontaria. Gli incontri mirano a: Aiutare l’imputato a prendere le distanze dal reato. Riparare il danno emotivo, economico o materiale subito dalla vittima. 2. Benefici per l’imputato: Nei reati procedibili d’ufficio, la partecipazione alla giustizia riparativa può comportare: Una riduzione della pena fino a un terzo. Accesso a misure alternative come: Lavoro esterno. Permessi premio. Liberazione condizionale. Nei reati procedibili su querela, la partecipazione agli incontri chiude il processo. Conclusioni La Riforma Cartabia rappresenta un passo importante verso un sistema giudiziario più moderno, rapido ed equo. Da un lato, risponde alle esigenze dell’Unione Europea in termini di efficienza, dall’altro introduce elementi innovativi, come la giustizia digitale e riparativa, che valorizzano la tutela dei diritti dei cittadini e il reinserimento sociale dei colpevoli. CAP 3 Come nasce l’Unione Europea Le origini e il contesto storic L’idea di un’Europa unita nacque concretamente subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando i Paesi europei, devastati dal conflitto, compresero la necessità di: Superare le rivalità storiche che avevano portato a due guerre mondiali in pochi decenni. Collaborare economicamente e politicamente per ricostruire il continente e mantenere un ruolo significativo nello scenario internazionale. Frenare l’espansione del blocco sovietico in Europa occidentale. Le motivazioni di Francia e Germania Francia: desiderava controllare le risorse strategiche tedesche (carbone e acciaio della Ruhr e della Saar), che avevano reso possibile l’ascesa militare della Germania. Germania: accettare la proposta significava rompere l’isolamento e reintegrarsi nel sistema internazionale. La Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA) Nel 1950, il ministro degli esteri francese Robert Schuman propose di creare una cooperazione nel settore carbo- siderurgico. La proposta portò, con la firma del Trattato di Parigi nel 1951, alla nascita della CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio), che coinvolse sei Stati: Francia Germania Italia Belgio Paesi Bassi Lussemburgo La CECA segnò un primo passo verso l’integrazione europea, con i Paesi membri che cedettero parte della loro sovranità nazionale a un’autorità sovranazionale. Verso nuove comunità: il Trattato di Roma (1957) Il successo della CECA spinse i sei Stati membri a estendere la cooperazione ad altri settori: 1. CEE (Comunità Economica Europea): Obiettivo: creare un mercato comune europeo con libera circolazione di merci, servizi, lavoro e capitali. 2. Euratom (Comunità Europea dell’Energia Atomica): Obiettivo: promuovere l’uso pacifico dell’energia nucleare. I negoziati, avviati nel 1956, portarono alla firma dei Trattati di Roma il 25 marzo 1957. Le due organizzazioni iniziarono ufficialmente a operare il 1° gennaio 1958. Sviluppo della CEE Tra le tre comunità create negli anni ’50, la CEE (Comunità Economica Europea) conobbe il maggiore sviluppo, tanto che nel 1993 cambiò il suo nome in Comunità Europea (CE). Questo cambiamento rappresentò un passo cruciale verso l’evoluzione dell’Unione Europea. L’Unione doganale L’obiettivo principale del Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea era la realizzazione dell’unione doganale, vale a dire un’area nella quale: È vietato applicare dazi (tributi applicati ai prodotti importati da uno Stato, nel momento in cui varcano la frontiera) o altre tasse di effetto equivalente, oppure introdurre regolamentazioni che limitino la libera circolazione delle merci provenienti dal territorio di uno degli Stati membri. È prevista l’istituzione di una tariffa doganale comune (un elenco delle merci oggetto di scambio con altri Stati e soggette al pagamento dei dazi doganali), applicata ai prodotti importati da Stati terzi. Secondo le intenzioni dei redattori del Trattato, l’unione doganale doveva essere completata entro il 1970. Tuttavia, grazie ai progressi raggiunti, l’obiettivo fu realizzato in anticipo: dal 1° gennaio 1968 gli Stati aderenti alla Comunità Europea: Crearono un’unione doganale. Istituirono una tariffa doganale esterna unica. Le adesioni successiveL’unico grande Stato che non aveva aderito al progetto del 1950 era il Regno Unito, che chiese di aderire solo nel 1972, insieme a: Irlanda Danimarca Norvegia In Norvegia, però, un referendum bocciò l’adesione, e dunque il 1° gennaio 1973 entrarono a far parte delle Comunità solo:Regno Unito, Irlanda, Danimarca. Nel 1981, la Grecia divenne il decimo Stato membro, dopo il crollo della dittatura. Negli anni Settanta, caddero altri due regimi autoritari: Portogallo: con la Rivoluzione dei Garofani (1974), chiamata così perché i militari infilavano garofani donati dalla popolazione nelle canne dei fucili e cannoni. Spagna: con la morte di Francisco Franco, si concluse una dittatura durata oltre quarant’anni. Nel gennaio 1986, Portogallo e Spagna aderirono, portando il numero totale dei membri da dieci a dodici. Un successivo ampliamento avvenne nel 1995, con l’ingresso di: Austria Finlandia Svezia Dal 1° gennaio 1995, gli Stati membri passarono così da dodici a quindici. Unione doganale, area di libero scambio e unione economica Unione doganale: abolizione dei dazi tra Paesi membri e istituzione di una tariffa doganale comune verso Paesi terzi. Area di libero scambio: prevede solo l’eliminazione dei dazi interni, senza tariffa comune verso l’esterno. Unione economica: rappresenta un passo avanti rispetto all’unione doganale, includendo la libera circolazione di persone, servizi e capitali, definita anche mercato unico. Creazione del mercato unico europeo Nel 1968, l’unione doganale era stata realizzata con l’abolizione dei dazi interni e l’istituzione di una tariffa doganale unica verso Paesi terzi. Tuttavia, la completa liberalizzazione dei mercati richiedeva ancora l’eliminazione di: Barriere fisiche: controlli alle frontiere. Barriere tecniche: requisiti differenti per la fabbricazione di prodotti. Barriere fiscali: differenze di tassazione tra gli Stati membri. Per superare questi ostacoli: Nel giugno 1985, la Commissione Europea pubblicò il Libro Bianco sul completamento del mercato interno, che elencava le azioni necessarie per garantire, entro il 31 dicembre 1992, la libera circolazione di merci, servizi, persone e capitali. Nel 1986, l’Atto Unico Europeo modificò i trattati istitutivi, permettendo di attuare il mercato interno.Dal 1° gennaio 1993, il mercato unico europeo divenne operativo. Il Trattato di Maastricht (1992) Nel febbraio 1992, gli Stati firmarono il Trattato sull’Unione Europea (o Trattato di Maastricht), che creò l’Unione Europea (UE). Quest’organizzazione inglobava le Comunità esistenti e avviava una cooperazione in settori extraeconomici, come: Politica estera comune. Difesa europea. Cooperazione tra forze di polizia. I tre pilastri dell’Unione Europea 1. Primo pilastro: Comunità Europea (CE) Comprendeva le tradizionali politiche comuni: Agricoltura e pesca. Politica commerciale e monetaria. Ambiente e tutela dei consumatori. Con la scadenza del trattato CECA (2002), la CE inglobò le attività nel settore carbone e acciaio. 2. Secondo pilastro: Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC) Gli Stati collaborano per affrontare questioni internazionali. Si ipotizza, in futuro, la creazione di un esercito europeo. 3. Terzo pilastro: Cooperazione giudiziaria e di polizia L’apertura delle frontiere favorì non solo gli spostamenti, ma anche le attività criminali transnazionali. Si istituì l’Europol, per coordinare la cooperazione tra le forze di polizia nazionali. I magistrati collaborano in indagini oltre i confini nazionali. Il Trattato di Maastricht stabilì anche le tappe per l’Unione Economica e Monetaria, che portarono all’introduzione dell’euro. Il Trattato di Lisbona Il Trattato di Lisbona è stato firmato il 13 dicembre 2007 ed è entrato in vigore il 1° dicembre 2009, dopo un lungo iter di approvazione. Questo trattato ha riformato in modo significativo i precedenti trattati dell’Unione Europea, sostituendo la Comunità Europea con l’Unione Europea e introducendo importanti cambiamenti per il funzionamento delle istituzioni e per i cittadini europei. Nel 2000, con l’avvio del processo di allargamento dell’Unione, le istituzioni europee e gli Stati membri avevano deciso di approvare un vero e proprio testo costituzionale. La bozza di questo testo venne preparata dalla Convenzione sul futuro dell’Europa e presentata nel 2003. La Carta Costituzionale Europea fu firmata a Roma il 29 ottobre 2004, ma non entrò mai in vigore. In Francia e nei Paesi Bassi, infatti, i referendum per la ratifica tenutisi nel 2005 diedero esito negativo, principalmente a causa del timore che la “Costituzione” potesse ridurre la sovranità nazionale. Dopo il fallimento del progetto costituzionale, si decise di procedere a una riforma dei trattati esistenti. Nel Consiglio Europeo del 21-22 giugno 2007, fu dato mandato alla Conferenza intergovernativa di elaborare un nuovo Trattato, che venne firmato a Lisbona nel dicembre dello stesso anno. Tuttavia, per completare la procedura di ratifica, ci vollero due anni. Alcuni Paesi, come Irlanda, Germania e Polonia, ritardarono l’accordo per motivi legati alla compatibilità del Trattato con le proprie leggi interne. La procedura si concluse il 3 novembre 2009, con la sentenza della Corte Costituzionale della Repubblica Ceca che confermò la compatibilità del Trattato con la Costituzione ceca. Le modifiche introdotte dal Trattato di Lisbona Il Trattato di Lisbona modifica profondamente i trattati esistenti: 1. Il Trattato sull’Unione Europea (TUE) è stato aggiornato, mantenendo la denominazione originale. 2. Il Trattato istitutivo della Comunità Europea è stato riformato e rinominato Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). Il TUE riformato consta di 55 articoli, mentre il TFUE comprende 358 articoli. Con l’entrata in vigore del Trattato il 1° dicembre 2009, i termini “Comunità Europea” e “comunitario” sono stati sostituiti: da quel momento si parla solo di Unione Europea. Struttura del Trattato sull’Unione Europea (TUE) Il nuovo TUE si articola in sei titoli: 1. Disposizioni comuni: affermano i valori fondamentali dell’Unione, come il rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza e dei diritti umani. Inoltre, chiariscono la ripartizione delle competenze tra l’Unione e gli Stati membri. 2. Disposizioni relative ai principi democratici: garantiscono l’uguaglianza giuridica dei cittadini, la democrazia rappresentativa e partecipativa, il diritto di iniziativa dei cittadini e il ruolo dei Parlamenti nazionali. 3. Disposizioni sulle istituzioni: definiscono il funzionamento e le competenze delle istituzioni europee, come il Parlamento Europeo, il Consiglio dell’Unione, la Commissione e la Corte di Giustizia. 4. Disposizioni su una cooperazione rafforzata: permettono a un gruppo di Stati membri di collaborare in determinati ambiti, anche se non coinvolgono tutti gli Stati dell’UE. 5. Disposizioni sull’azione esterna dell’Unione: riguardano la politica estera e di sicurezza comune. 6. Disposizioni finali: raccolgono norme generali di chiusura. Novità principali introdotte dal Trattato di Lisbona 1. Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea: La Carta diventa giuridicamente vincolante per tutte le istituzioni europee, pur non essendo formalmente incorporata nel Trattato. 2. Nuovi obiettivi dell’Unione Europea: L’Unione si impegna a perseguire: La pace. La piena occupazione. Lo sviluppo sostenibile. La tutela della diversità culturale. La solidarietà e la coesione sociale. La protezione dei cittadini. 3. Estensione della votazione a maggioranza qualificata: Viene estesa ai settori in cui prima era necessaria l’unanimità, rendendo il processo decisionale più rapido ed efficace. 4. Procedura legislativa ordinaria (codecisione): Diventa il metodo principale per adottare gli atti legislativi europei, dando al Parlamento Europeo un ruolo centrale. 5. Distinzione tra atti legislativi e non legislativi: Viene introdotta una chiara differenziazione tra i vari atti adottati dalle istituzioni europee. 6. Clausola di recesso: Viene formalmente prevista la possibilità per uno Stato membro di lasciare l’Unione Europea, seguendo una specifica procedura (esempio: Brexit). Conclusione Il Trattato di Lisbona rappresenta un punto di svolta per l’Unione Europea. Superando il fallimento della Costituzione europea, ha reso l’Unione più democratica, trasparente ed efficace, rafforzando i diritti dei cittadini e semplificando il funzionamento delle sue istituzioni. CAP 4 Le istituzioni europee Le istituzioni europee sono responsabili del raggiungimento degli obiettivi fondamentali dell’Unione Europea, come la creazione di un mercato unico privo di dazi e frontiere e l’attuazione di politiche comuni in settori come il commercio, l’agricoltura, la moneta, l’industria, la tecnologia, l’ambiente e il lavoro. I trattati istitutivi attribuiscono questi compiti a varie istituzioni, tra cui il Parlamento Europeo. Il Parlamento Europeo Composizione Il Parlamento Europeo è l’istituzione che esercita, insieme al Consiglio dell’Unione Europea, la funzione legislativa e di bilancio. I membri del Parlamento: Hanno un mandato di cinque anni. Sono eletti a suffragio universale diretto, libero e segreto. Non possono essere più di 705, incluso il presidente, ma la loro composizione è decisa dal Consiglio Europeo, che agisce all’unanimità su iniziativa e approvazione del Parlamento. Funzioni principali 1. Funzione legislativa: È condivisa con il Consiglio nel processo di formazione delle leggi dell’Unione. La procedura principale è la procedura legislativa ordinaria (ex codecisione), in cui il Parlamento è colegislatore con il Consiglio. Questa procedura è applicata nella maggior parte dei settori. 2. Funzione consultiva: Si esplica nei casi in cui viene adottata la procedura legislativa speciale, come indicato dall’art. 289 TFUE. 3. Funzione di bilancio: Include l’approvazione del quadro finanziario pluriennale. Consente al Parlamento di decidere insieme al Consiglio sulle spese da inserire nel bilancio dell’Unione. 4. Funzione di controllo: Il Parlamento può esercitare un controllo giuridico sulla Commissione Europea attraverso la mozione di censura. Se approvata, questa obbliga i membri della Commissione a dimettersi collettivamente. Il Parlamento ha il potere di eleggere il presidente della Commissione (art. 14 TUE). Ogni parlamentare può presentare interrogazioni alla Commissione, un ulteriore strumento di controllo indiretto. Strumenti di tutela Il Parlamento Europeo possiede strumenti per garantire la corretta applicazione del diritto europeo e la tutela dei diritti degli Stati membri e dei cittadini dell’Unione. Tra questi: Costituzione di una Commissione d’inchiesta: Per indagare su violazioni del diritto comunitario o cattiva amministrazione da parte degli organi dell’UE. Nomina di un Mediatore: Figura incaricata di esaminare i reclami presentati dai cittadini contro le istituzioni dell’Unione. Ricezione di petizioni: Ogni cittadino dell’UE può inviare petizioni su materie di interesse europeo per chiedere interventi specifici. Il Consiglio Europeo Il Consiglio Europeo è l’istituzione dell’Unione Europea che detiene il potere di indirizzo politico generale. Il suo compito principale è fornire gli impulsi necessari per lo sviluppo dell’Unione e definire le priorità e gli orientamenti politici generali, senza però esercitare funzioni legislative. Secondo l’articolo 15 del Trattato sull’Unione Europea (modificato dal Trattato di Lisbona), il Consiglio Europeo si riunisce due volte a semestre. Esso è composto dai Capi di Stato o di governo degli Stati membri, dal Presidente del Consiglio Europeo e dal Presidente della Commissione Europea. Tra le sue funzioni principali, il Consiglio Europeo: Definisce la politica estera e di sicurezza comune, tenendo conto degli interessi strategici dell’Unione e delle implicazioni per la difesa. Nomina e elegge i candidati per ruoli di alto profilo, come i membri della Banca Centrale Europea e della Commissione Europea. Il Presidente del Consiglio Europeo Il Presidente del Consiglio Europeo è eletto a maggioranza qualificata per un mandato di due anni e mezzo, rinnovabile una sola volta. Questo incarico è incompatibile con qualsiasi altro mandato nazionale. I compiti principali del Presidente, definiti dal Trattato di Lisbona, includono: Presiedere e guidare i lavori del Consiglio Europeo. Garantire la preparazione e la continuità dei lavori del Consiglio Europeo in collaborazione con il Presidente della Commissione Europea e con il Consiglio “Affari Generali”. Facilitare la coesione e il consenso tra i membri del Consiglio Europeo. Presentare una relazione al Parlamento Europeo dopo ogni riunione del Consiglio Europeo. Rappresentare l’Unione Europea nelle materie relative alla politica estera e di sicurezza comune, rispettando le competenze dell’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza. Conclusione Il Consiglio Europeo svolge un ruolo cruciale nel determinare l’indirizzo politico dell’Unione Europea. Anche se non esercita funzioni legislative, le sue decisioni e linee guida sono essenziali per garantire la coerenza delle politiche europee, soprattutto in ambiti come la politica estera, la sicurezza e le nomine istituzionali. Il Presidente del Consiglio Europeo, infine, assicura continuità, coesione e rappresentanza esterna, contribuendo al rafforzamento del ruolo dell’Unione sul piano internazionale. Il Consiglio dell’Unione Europea Il Consiglio dell’Unione Europea, spesso denominato semplicemente Consiglio, è una delle principali istituzioni dell’Unione Europea. Dopo la riforma del Trattato di Lisbona, il Consiglio è composto da un rappresentante di ciascuno Stato membro a livello ministeriale. Ogni rappresentante ha il potere di impegnare il proprio governo e di esercitare il diritto di voto. Funzioni principali 1. Funzione legislativa e di bilancio: Il Consiglio esercita queste funzioni insieme al Parlamento Europeo: Legislativa: il ruolo varia in base alla procedura legislativa adottata: Procedura legislativa ordinaria: il Consiglio e il Parlamento sono sullo stesso piano e deliberano congiuntamente. Procedura legislativa speciale: il Consiglio può deliberare con la consultazione del Parlamento, o viceversa. Bilancio: approva il bilancio dell’Unione Europea in collaborazione con il Parlamento. 2. Coordinamento delle politiche economiche e sociali: Definisce e coordina le politiche economiche generali e sociali degli Stati membri. Le politiche rimangono competenza degli Stati nazionali, ma il Consiglio può adottare orientamenti generali su economia e occupazione. 3. Funzioni esecutive in politica estera: Elabora, definisce e attua la politica estera e di sicurezza comune dell’Unione, seguendo le linee guida del Consiglio Europeo. Può esercitare funzioni esecutive anche in casi specifici debitamente motivati, come previsto dall’art. 291, paragrafo 2, del TFUE. In generale, le funzioni esecutive spettano alla Commissione, ma il Consiglio può assumere un ruolo eccezionale. 4. Atti di indirizzo politico generale: Può adottare atti non vincolanti come raccomandazioni, risoluzioni o conclusioni, per fornire indirizzi politici generali. Il COREPER: il Comitato dei Rappresentanti Permanenti Per far fronte all’aumento del carico di lavoro e per garantire un contatto costante tra il Consiglio e la Commissione Europea, è stato istituito il COREPER (Comitato dei Rappresentanti Permanenti degli Stati membri). Il COREPER è un organo ausiliare del Consiglio e comprende i rappresentanti permanenti degli Stati membri accreditati presso l’Unione. Ha il compito di: Preparare il lavoro del Consiglio. Eseguire i compiti assegnati dal Consiglio, come stabilito dall’art. 240 del TFUE. I membri del COREPER agiscono su istruzioni dei rispettivi governi, ma operano collettivamente come membri di un organo previsto dai trattati, situandosi all’interno della struttura istituzionale dell’Unione Europea. Conclusione Il Consiglio dell’Unione Europea è un’istituzione fondamentale, con un ruolo chiave nelle decisioni legislative e di bilancio dell’Unione. Inoltre, svolge un’importante funzione di coordinamento nelle politiche economiche e sociali, e un ruolo esecutivo nelle questioni di politica estera e di sicurezza comune. Il COREPER garantisce che il Consiglio possa operare in modo efficiente, agevolando la preparazione delle decisioni e la collaborazione tra gli Stati membri. La Commissione Europea La Commissione Europea è l’organo esecutivo dell’Unione Europea e svolge un ruolo fondamentale nel garantire il funzionamento delle politiche e delle attività dell’Unione. Con il Trattato di Lisbona, le sue competenze sono state ampliate, rendendola una delle istituzioni chiave per il raggiungimento degli obiettivi europei. Compiti e funzioni principali La Commissione Europea esercita diverse funzioni essenziali per il funzionamento dell’Unione: 1. Iniziativa legislativa: La Commissione propone i testi normativi che saranno poi discussi e deliberati dal Consiglio dell’Unione Europea e dal Parlamento Europeo. Questa funzione può essere esercitata di propria iniziativa o su richiesta di un milione di cittadini europei. 2. Controllo: Vigila sull’applicazione dei trattati, delle normative e delle misure adottate dalle istituzioni europee, garantendo il rispetto del diritto dell’Unione nei diversi Stati membri. 3. Esecuzione: Gestisce il bilancio dell’Unione e attua i programmi stabiliti dai trattati e dalle istituzioni europee. 4. Coordinamento e gestione: Coordina le politiche comuni tra gli Stati membri e garantisce la corretta gestione delle attività europee. 5. Rappresentanza esterna: La Commissione rappresenta l’Unione nei rapporti con le altre organizzazioni internazionali, assicurando una voce unitaria nelle questioni globali. Composizione e nomina La Commissione è composta da un rappresentante per ciascuno dei 27 Stati membri, incluso il Presidente della Commissione Europea e l’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, che è anche uno dei vicepresidenti. Il mandato della Commissione ha una durata di 5 anni. Le fasi per la formazione della Commissione sono le seguenti: 1. Nomina del Presidente: Il Consiglio Europeo propone un candidato alla presidenza della Commissione, tenendo conto dei risultati delle elezioni del Parlamento Europeo. Il candidato deve essere approvato dal Parlamento con la maggioranza dei voti (almeno 376 su 751). 2. Nomina dei Commissari: Gli Stati membri propongono i loro candidati Commissari. Il Presidente eletto sceglie i membri della Commissione tra queste proposte. L’elenco definitivo dei Commissari viene concordato con il Consiglio dell’Unione Europea. Successivamente, l’intera Commissione viene sottoposta all’approvazione del Parlamento Europeo. Indipendenza della Commissione I membri della Commissione Europea esercitano le loro funzioni in totale indipendenza. Non possono accettare istruzioni da alcun governo, istituzione o organismo esterno, e devono astenersi da ogni attività che possa interferire con i loro compiti. Durante il mandato, i Commissari non possono svolgere alcuna altra attività professionale, né retribuita né non retribuita. Il ruolo del Presidente della Commissione Con il Trattato di Lisbona, il Presidente della Commissione Europea ha assunto un ruolo centrale e rafforzato nella struttura dell’Unione. Il Presidente è responsabile di definire gli orientamenti generali dell’attività della Commissione e di garantire la coerenza e l’efficienza delle sue azioni. Le principali funzioni del Presidente includono: Stabilire le priorità politiche della Commissione. Decidere l’organizzazione interna della Commissione. Nominare i vicepresidenti tra i membri della Commissione. Richiedere, se necessario, le dimissioni di un Commissario. Modificare la distribuzione delle competenze tra i Commissari durante il mandato. Il Presidente rappresenta, quindi, la figura di leadership della Commissione, esercitando una supervisione complessiva sulle sue attività. L’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza L’Alto rappresentante è una figura chiave per la gestione della politica estera e di sicurezza comune dell’Unione Europea. Questo ruolo combina le responsabilità di rappresentante del Consiglio Europeo in materia di politica estera con quelle di vicepresidente della Commissione Europea. Nomina e funzioni L’Alto rappresentante è nominato dal Consiglio Europeo a maggioranza qualificata, con l’accordo del Presidente della Commissione. È responsabile della guida della politica estera e di sicurezza comune dell’Unione. Coordina gli aspetti esterni delle politiche europee e rappresenta l’Unione nei rapporti internazionali. Grazie a questo duplice ruolo, l’Alto rappresentante assicura coerenza e continuità nell’azione esterna dell’Unione Europea, consolidandone il ruolo a livello globale. Conclusione La Commissione Europea è il cuore dell’attività esecutiva dell’Unione Europea. Attraverso le sue funzioni di iniziativa legislativa, esecuzione, controllo e rappresentanza, assicura il funzionamento e lo sviluppo delle politiche europee. Il Presidente e l’Alto rappresentante svolgono un ruolo fondamentale nel garantire leadership, coordinamento e rappresentanza efficace dell’Unione, sia al suo interno che verso il resto del mondo. La Corte di Giustizia dell’Unione EuropeaLa Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) è l’istituzione incaricata di garantire il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei trattati dell’Unione Europea. Ha sede a Lussemburgo ed è composta da tre organi principali: La Corte di Giustizia, che si occupa delle cause più rilevanti. Il Tribunale, che tratta i ricorsi presentati da privati, aziende e alcuni Stati membri. Eventuali tribunali specializzati, istituiti per affrontare questioni specifiche. Composizione La Corte è composta da: Un giudice per ciascuno Stato membro, in modo da rappresentare tutti gli ordinamenti giuridici nazionali dell’Unione. Avvocati generali, che assistono la Corte presentando pubblicamente e con imparzialità le loro conclusioni motivate sulle cause. I giudici e gli avvocati generali sono nominati per un mandato di sei anni, rinnovabile, e ogni tre anni si procede a un rinnovo parziale. Funzioni principali della Corte di Giustizia 1. Rinvio pregiudiziale: Uno dei compiti più importanti della Corte è garantire l’applicazione uniforme del diritto dell’Unione in tutti gli Stati membri. Quando un giudice nazionale deve applicare una norma europea di interpretazione dubbia, può (o in alcuni casi deve) rivolgersi alla Corte di Giustizia per un parere. Questo parere, detto pronuncia pregiudiziale, è vincolante per il giudice nazionale. Se la pronuncia della Corte contrasta con una norma nazionale, il giudice deve applicare l’interpretazione fornita dalla Corte. 2. Ricorso per inadempimento: La Corte può intervenire quando uno Stato membro non rispetta gli obblighi previsti dal diritto dell’Unione. La procedura può essere avviata dalla Commissione Europea o da un altro Stato membro. Se la Corte accerta l’inadempimento, lo Stato è obbligato a porvi rimedio. Se persiste nella violazione, la Corte può infliggere sanzioni pecuniarie. 3. Ricorso di annullamento: La Corte può annullare un atto dell’Unione Europea se risulta illegittimo. Il ricorso può essere presentato da Stati membri, Consiglio, Commissione o Parlamento Europeo. Anche i privati cittadini possono proporre ricorso, ma solo se l’atto contestato li riguarda direttamente e individualmente. Se l’atto viene annullato, esso cessa di avere effetto nell’ordinamento europeo. 4. Ricorso per carenza: La Corte può intervenire quando un’istituzione, un organo o un organismo dell’Unione omette di adottare un atto dovuto. Il ricorso può essere presentato dagli Stati membri, da altre istituzioni o da privati cittadini, purché l’atto omesso li riguardi direttamente. Se la Corte accerta la carenza, obbliga l’istituzione a prendere i provvedimenti necessari. Conclusione La Corte di Giustizia dell’Unione Europea rappresenta una garanzia fondamentale per il rispetto del diritto comunitario. Attraverso il rinvio pregiudiziale, assicura che il diritto dell’Unione sia applicato uniformemente in tutti gli Stati membri. I ricorsi per inadempimento e di annullamento permettono di sanzionare le violazioni e di eliminare norme illegittime dall’ordinamento europeo. Infine, il ricorso per carenza consente di colmare eventuali omissioni delle istituzioni europee, rafforzando l’efficacia e la coerenza del sistema giuridico dell’Unione. La Corte dei conti La Corte dei conti dell’Unione Europea è l’istituzione incaricata di verificare e controllare la gestione finanziaria dell’Unione. La sua funzione è cruciale per garantire che le entrate e le spese dell’Unione siano amministrate in modo corretto, trasparente ed efficiente. Composizione La Corte dei conti è composta da: Un membro per ciascuno Stato membro dell’UE. I membri sono nominati dal Consiglio dell’Unione Europea, che delibera a maggioranza qualificata, previa consultazione del Parlamento Europeo. Il mandato dura 6 anni, rinnovabile. I membri sono scelti tra personalità che: Hanno fatto parte delle istituzioni di controllo esterno nei rispettivi Paesi. Possiedono qualifiche specifiche per svolgere questa funzione. Funzioni principali 1. Controllo delle finanze dell’Unione: La Corte verifica i conti relativi: Alle entrate e spese dell’Unione Europea. A tutti gli organismi creati dall’Unione, salvo esclusioni esplicite nei rispettivi atti costitutivi (art. 287 TFUE). 2. Controllo di legittimità e di merito: Controllo formale di legittimità: Verifica la correttezza e regolarità della gestione finanziaria. Controllo di merito: Esamina l’efficienza, l’efficacia e l’economicità della gestione delle risorse, assicurandosi che siano utilizzate in modo appropriato. 3. Controllo del bilancio dell’Unione Europea: La Corte dei conti svolge un ruolo determinante nel controllo del bilancio dell’Unione, il documento contabile più rilevante dell’UE. 4. Potere di ispezione: La Corte può esercitare controlli sia sui documenti che presso: I locali delle istituzioni e degli organismi dell’Unione. Gli Stati membri, che sono tenuti a collaborare. 5. Relazioni e dichiarazioni: La Corte ha l’obbligo di presentare al Consiglio e al Parlamento Europeo una dichiarazione in cui: Certifica l’affidabilità dei conti dell’Unione. Attesta la legittimità e la regolarità delle operazioni finanziarie. Questa dichiarazione è pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea e può essere accompagnata da valutazioni specifiche relative ai principali settori di attività dell’Unione. Conclusione La Corte dei conti dell’Unione Europea è un organo essenziale per assicurare la trasparenza e la regolarità nella gestione delle finanze dell’Unione. Grazie ai suoi controlli di legittimità e di merito, contribuisce a garantire una gestione finanziaria efficiente e responsabile, fornendo al Consiglio e al Parlamento Europeo una chiara visione sull’affidabilità dei conti e sulla regolarità delle operazioni finanziarie. La Banca Centrale Europea (BCE) Con la riforma introdotta dal Trattato di Lisbona, la Banca Centrale Europea (BCE) è stata riconosciuta come una delle principali istituzioni dell’Unione Europea. Operativa dal 3 maggio 1998, la BCE è il cuore del Sistema Europeo delle Banche Centrali (SEBC), che comprende le banche centrali di tutti gli Stati membri dell’Unione. La BCE svolge un ruolo centrale nella conduzione della politica monetaria dell’Unione Europea e gode di piena indipendenza nell’esercizio dei suoi poteri e nella gestione delle sue finanze. Caratteristiche principali 1. Personalità giuridica: La BCE ha personalità giuridica propria e il diritto esclusivo di autorizzare l’emissione delle banconote in euro. 2. Capitale della BCE: Il capitale è detenuto dalle Banche Centrali Nazionali degli Stati membri. Le banche centrali dei Paesi membri dell’area euro devono versare interamente la propria quota. Le banche centrali dei Paesi che non adottano l’euro devono versare solo il 7% della quota, a titolo di contributo alle spese per alcune attività dell’istituto. 3. Calcolo delle quote di capitale: Le quote sono determinate in base a criteri demografici (popolazione dello Stato membro) e economici (PIL degli ultimi 5 anni). Compiti principali della BCE 1. Controllo della liquidità: La BCE regola la quantità di moneta in circolazione, assicurandosi che l’offerta monetaria sia adeguata a sostenere l’economia europea senza creare inflazione. 2. Politica monetaria: La BCE, insieme alle banche centrali nazionali dei Paesi membri dell’area euro, forma l’Eurosistema, che conduce la politica monetaria dell’Unione Europea. L’obiettivo principale dell’Eurosistema è mantenere la stabilità dei prezzi nel mercato europeo, contribuendo a preservare il potere d’acquisto e sostenendo le politiche generali dell’Unione. 3. Indipendenza: La BCE opera in piena autonomia e indipendenza rispetto alle istituzioni politiche europee e nazionali. Questa indipendenza garantisce che le sue decisioni siano prese esclusivamente in base a criteri economici e non influenzate da pressioni politiche. Conclusione La Banca Centrale Europea è una delle istituzioni fondamentali dell’Unione Europea, con il compito cruciale di garantire la stabilità economica e monetaria dell’area euro. Attraverso il controllo della liquidità e la conduzione della politica monetaria, la BCE contribuisce al funzionamento armonioso del mercato interno, sostenendo le politiche generali dell’Unione e promuovendo la fiducia nella moneta unica europea. Gli Atti Giuridici dell’Unione Europea Gli atti giuridici dell’Unione Europea costituiscono strumenti normativi fondamentali per il funzionamento dell’Unione e per il raggiungimento dei suoi obiettivi. Questi strumenti, adottati dalle istituzioni europee, si suddividono in atti giuridicamente vincolanti e atti non vincolanti, in base alla loro capacità di imporre obblighi agli Stati membri e ai cittadini. Gli Atti Giuridicamente Vincolanti 1. Regolamenti I regolamenti sono gli atti giuridici più importanti, in quanto vincolano direttamente tutti gli Stati membri e i loro cittadini. Caratteristiche principali: Portata generale: si applicano a tutti gli Stati membri, ai cittadini e alle imprese dell’Unione. Obbligatorietà in tutti i loro elementi: devono essere osservati integralmente, senza possibilità di applicazioni parziali o selettive. Applicazione diretta: entrano in vigore automaticamente al momento della pubblicazione, senza necessità di recepimento da parte degli Stati membri. Efficacia pratica: Prevalgono sulle normative nazionali in caso di conflitto. Conferiscono diritti e obblighi direttamente ai cittadini, agli Stati e ai loro organi. giudici nazionali sono obbligati a disapplicare eventuali norme interne in contrasto con i regolamenti. 2. Direttive Le direttive vincolano gli Stati membri riguardo al risultato da raggiungere, lasciando agli Stati stessi la libertà di scegliere le modalità e gli strumenti per conseguire tale obiettivo. Caratteristiche principali: Non hanno portata generale, poiché sono rivolte solo agli Stati membri destinatari. Non sono direttamente applicabili: richiedono un atto di recepimento nel diritto nazionale per produrre effetti. Impongono un’obbligazione di risultato, senza specificare le modalità di attuazione. Efficacia pratica: Creano diritti e obblighi per i cittadini solo dopo il recepimento da parte degli Stati membri. Gli Stati hanno l’obbligo di recepire le direttive entro un termine stabilito. 3. Decisioni Le decisioni sono atti obbligatori in tutti i loro elementi, ma la loro applicazione è limitata ai destinatari specifici individuati. Caratteristiche principali: Possono avere portata individuale, quando si rivolgono a Stati membri, imprese o individui. In alcuni casi, possono assumere portata generale, qualora non siano specificati destinatari. Efficacia pratica: Frequentemente utilizzate in materia di concorrenza o per imporre obblighi pecuniari. Hanno valore di titolo esecutivo negli Stati membri. Gli Atti Non Vincolanti 1. Raccomandazioni Non hanno valore giuridico vincolante. Servono a orientare le azioni degli Stati membri o delle istituzioni europee senza imporre obblighi. Possono essere rivolte a Stati membri, istituzioni o soggetti privati. 2. Pareri Anche i pareri non hanno valore giuridico vincolante. Rappresentano una posizione formale di un’istituzione europea su una questione specifica. Possono essere richiesti o emessi in determinati ambiti previsti dai trattati. Approfondimento sugli Atti Vincolanti Regolamenti I regolamenti sono strumenti legislativi particolarmente potenti, in quanto: Hanno validità automatica e uniforme in tutti gli Stati membri. Non richiedono alcun atto di recepimento per essere applicabili. Conferiscono diritti e obblighi direttamente ai cittadini e agli Stati. Esempio: regolamenti sulla politica agricola comune o sulle norme per la protezione dei consumatori. Direttive Le direttive, invece, richiedono un atto di recepimento da parte degli Stati membri per essere applicabili. Spesso sono utilizzate per: Armonizzare le legislazioni nazionali su temi come il lavoro, l’ambiente o la protezione dei dati. Esempio: la direttiva sulla protezione dei dati personali (GDPR), che ha richiesto adeguamenti normativi nei vari Stati membri. Decisioni Le decisioni sono atti particolari, spesso adottati per regolare situazioni specifiche. Esempio: una decisione che impone a un’azienda la restituzione di aiuti di Stato illegittimi. Conclusione Gli atti giuridici dell’Unione Europea rappresentano un insieme di strumenti normativi fondamentali per il funzionamento e l’armonizzazione delle politiche tra gli Stati membri. Mentre regolamenti, direttive e decisioni sono vincolanti e svolgono un ruolo chiave nel garantire il rispetto del diritto comunitario, le raccomandazioni e i pareri servono come linee guida non vincolanti. Questa diversificazione consente all’Unione di adattare il proprio intervento normativo alle diverse esigenze, garantendo uniformità dove necessario e flessibilità laddove richiesto. CAP 5 Il Diritto Internazionale La sovranità è una qualità essenziale di ciascuno Stato, intesa come il potere originario e indipendente che lo Stato possiede nei confronti di qualsiasi altro soggetto. Questo significa che il potere di uno Stato non deriva da altri enti, ma nasce con la sua stessa costituzione, e non è soggetto al controllo o alla limitazione di altri Stati. La sovranità, quindi, è ciò che permette agli Stati di essere politicamente indipendenti. Nel corso dei secoli, la convivenza tra Stati indipendenti ha portato alla formazione della comunità internazionale, una rete di rapporti regolati da norme di convivenza. Questo processo ha avuto inizio con la Pace di Westfalia del 1648, che pose fine alla Guerra dei Trent’anni. La Pace di Westfalia segnò anche la nascita degli Stati nazionali, come Francia, Gran Bretagna, Spagna e Svezia, che iniziarono a interagire su un piano di parità. Prima di questo evento, l’Europa era organizzata come una Respublica Christiana, un sistema dominato dall’autorità universale del Papa e dell’Imperatore, dove le entità statuali non godevano di piena autonomia. La comunità internazionale moderna, invece, è caratterizzata dalla piena indipendenza e uguaglianza degli Stati. Il diritto internazionale è l’insieme di norme e principi che regolano i rapporti tra gli Stati sovrani. Questo sistema di norme si è sviluppato spontaneamente nel tempo, come risultato di un lungo processo volto a stabilire regole autonome e distinte dai diritti interni dei singoli Stati. Le differenze tra diritto internazionale e diritto interno Il diritto internazionale si differenzia dal diritto interno (o statale) sotto diversi aspetti fondamentali: 1. Struttura Nel diritto interno, esiste una struttura gerarchica: lo Stato, in quanto ente sovraordinato, stabilisce le regole valide per tutti i cittadini. Al contrario, il diritto internazionale ha una struttura paritaria, in quanto gli Stati, essendo sovrani, sono sullo stesso livello e non esiste un’autorità superiore. 2. Creazione delle norme Nel diritto interno, le regole sono fissate da organi superiori, come il Parlamento, che le impongono ai cittadini. Nel diritto internazionale, invece, sono gli stessi Stati a decidere quali norme adottare e rispettare, cooperando tra loro. 3. Imposizione delle norme Nel diritto interno, esiste un organo, la Magistratura, che sanziona le violazioni delle norme, garantendo il rispetto delle leggi. Nel diritto internazionale, invece, non esiste un ente superiore in grado di far rispettare le norme. Le Corti e i Tribunali internazionali possono intervenire solo se gli Stati coinvolti accettano volontariamente la loro giurisdizione. 4. Meccanismi di tutela Nel diritto interno, i cittadini non possono farsi giustizia da soli: l’applicazione delle norme è demandata agli organi competenti. Nel diritto internazionale, invece, il rispetto delle norme è spesso affidato all’autotutela, ossia agli stessi Stati, che possono agire autonomamente per difendere i propri diritti, anche con l’uso della forza. Nonostante l’esistenza di meccanismi pacifici previsti da organizzazioni come l’ONU, l’autotutela rimane uno strumento ancora largamente utilizzato. Sintesi Il diritto internazionale regola i rapporti tra Stati sovrani in assenza di un’autorità superiore, affidandosi alla cooperazione e al rispetto spontaneo delle norme. A differenza del diritto interno, esso non è gerarchico e si basa su un equilibrio delicato tra le sovranità degli Stati, reso possibile dalla volontà degli stessi di rispettare le regole comuni. I Soggetti dell’Ordinamento Internazionale Nell’ordinamento internazionale, la personalità giuridica non si acquisisce semplicemente essendo destinatari di diritti e obblighi (capacità giuridica), ma è necessario dimostrare la capacità di agire. Questo significa che un soggetto deve essere in grado di creare, modificare o estinguere norme internazionali in maniera autonoma. Requisiti per la soggettività internazionale Per essere riconosciuti come soggetti di diritto internazionale, bisogna soddisfare due requisiti fondamentali: 1. Effettività (o sovranità interna) Consiste nella capacità di esercitare il proprio potere, chiamato potestà d’imperio, su una collettività di persone (popolo) che risiede in un territorio specifico. Tale potere deve essere esercitato attraverso gli organi dell’entità. 2. Indipendenza (o sovranità esterna) Indica la capacità di gestire gli affari interni senza interferenze esterne. Include anche la possibilità di trattare questioni internazionali in condizioni di parità con altri soggetti, senza essere subordinati ad altre entità. Quando un’entità giuridica possiede entrambe queste caratteristiche, viene riconosciuta come soggetto di diritto internazionale. Tipologie di soggetti di diritto internazionale 1. Stati Sovrani Gli Stati sono i principali soggetti di diritto internazionale, poiché esercitano pienamente sia l’effettività che l’indipendenza. 2. Organizzazioni Internazionali Le organizzazioni internazionali possono essere soggetti di diritto internazionale se soddisfano i requisiti di effettività e indipendenza: Effettività: devono avere una struttura organizzativa con organi capaci di emanare atti vincolanti per i Paesi membri, esercitando una forma di sovranità interna. Indipendenza: devono poter agire autonomamente nelle relazioni internazionali, ad esempio stipulando accordi, senza dover dipendere dai singoli Stati membri.Sintesi Un soggetto di diritto internazionale è qualsiasi entità che eserciti la propria sovranità su un territorio e una popolazione in modo indipendente. Gli Stati sono i principali soggetti, ma anche le organizzazioni internazionali possono acquisire soggettività internazionale se sono in grado di operare autonomamente attraverso i propri organi. Le Organizzazioni Internazionali (OI) Le organizzazioni internazionali sono associazioni di Stati, dotate di personalità giuridica e di organi propri, create per perseguire obiettivi o interessi comuni a tutti gli Stati membri. La loro natura è convenzionale, poiché vengono istituite attraverso un trattato, chiamato trattato istitutivo, che ne definisce la struttura, gli obiettivi e il funzionamento. Tipologie di Organizzazioni Internazionali Le organizzazioni internazionali si possono classificare in base all’area geografica in cui operano: 1. Organizzazioni Planetarie Comprendono Stati appartenenti a tutti i continenti. Esempio: ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite). 2. Organizzazioni Regionali Riuniscono Stati appartenenti a una specifica area geografica. Esempio: Unione Europea (UE). Sintesi Le organizzazioni internazionali sono strumenti di cooperazione tra Stati e possono essere planetarie, quando includono Stati di tutto il mondo, oppure regionali, quando operano in un’area geografica definita. La loro creazione e il loro funzionamento sono regolati da un trattato istitutivo, che stabilisce le regole comuni per gli Stati membri. L’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) L’ONU è la più importante organizzazione internazionale, istituita il 26 giugno 1945 durante la Conferenza di San Francisco con l’obiettivo di sostituire la Società delle Nazioni. Il suo Statuto, noto come Carta dell’ONU, è entrato in vigore il 24 ottobre 1945. L’Italia ha ratificato la Carta con la legge del 17 agosto 1957, n. 848. L’ONU è nata per promuovere la pace, la sicurezza e la cooperazione tra gli Stati, e si basa su principi di solidarietà internazionale. Le sue funzioni principali sono quattro: 1. Promuovere e mantenere la pace e la sicurezza internazionale. Questo obiettivo viene perseguito vietando l’uso della forza nei rapporti tra Stati e stabilendo l’obbligo di risolvere le controversie internazionali attraverso mezzi pacifici. L’ONU ha inoltre creato un sistema di sicurezza collettivo, gestito dal Consiglio di Sicurezza, per mantenere l’ordine internazionale. 2. Sviluppare relazioni amichevoli tra gli Stati. Questo include affrontare problemi legati allo sviluppo economico dei Paesi meno avanzati, promuovere il rispetto dei diritti fondamentali dell’individuo e sostenere il progresso sociale. 3. Intervenire nella risoluzione di problemi internazionali rispettando i diritti umani. L’ONU si impegna a trovare soluzioni per le questioni globali garantendo il rispetto della dignità umana. 4. Coordinare le iniziative degli Stati membri. L’organizzazione facilita la collaborazione tra i Paesi per raggiungere obiettivi comuni. Oltre a queste funzioni principali, l’ONU svolge numerose altre attività che riguardano vari ambiti, tra cui la tutela dell’ambiente, la protezione dell’infanzia, la promozione della salute e della ricerca scientifica, la pianificazione familiare, i diritti umani, la lotta alla povertà, lo sviluppo economico e agricolo, l’uso pacifico dell’energia atomica e la tutela dei diritti dei lavoratori. L’ONU rappresenta quindi un punto di riferimento fondamentale per la cooperazione tra gli Stati, occupandosi di problemi globali che richiedono soluzioni condivise e multilaterali. Gli Organi dell’ONU L’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) si avvale di sei organi principali, ognuno con specifiche funzioni: l’Assemblea Generale, il Consiglio di Sicurezza, il Consiglio Economico e Sociale, il Consiglio di Amministrazione Fiduciaria, la Corte Internazionale di Giustizia e il Segretariato. Assemblea Generale L’Assemblea Generale è l’organo plenario dell’ONU, in cui sono rappresentati tutti gli Stati membri. Si riunisce in sessioni ordinarie annuali da settembre a dicembre, ma possono essere indette sessioni straordinarie per questioni di particolare importanza. Durante i periodi di inattività, il lavoro è svolto dal Segretario Generale. I principali compiti dell’Assemblea Generale sono: Discut

Use Quizgecko on...
Browser
Browser