Diritto degli Enti Locali PDF
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This document discusses Italian local government law, focusing on constitutional principles like autonomy and subsidiarity. It analyzes the roles of local, regional, and national entities in providing services. The discussion also covers legal and political context, especially the concept of regional autonomy and the state's role in intervention.
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29 ottobre Cosa siano gli enti locali o come siano organizzati lo possiamo vedere innanzitutto dalla Costituzione, che da un ampio spazio alle autonomie locali. Questa grande importanza deriva dal dibattito costituente, dove i padri costituenti vollero qualificare l’Italia come una grande repubblic...
29 ottobre Cosa siano gli enti locali o come siano organizzati lo possiamo vedere innanzitutto dalla Costituzione, che da un ampio spazio alle autonomie locali. Questa grande importanza deriva dal dibattito costituente, dove i padri costituenti vollero qualificare l’Italia come una grande repubblica ma conservando comunque i tratti caratteristici di ogni località. Art 5: La repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali Con il termine ‘riconoscere’ intendiamo dire che viene identificato come legittimo qualcosa di innato rispetto ad esempio alla Repubblica, io riconosco un diritto ma questo diritto esiste già, non lo sto creando. La storia d’Italia nasce con una grande frammentazione territoriale. La Repubblica seppure indivisibile riconosce questa frammentazione, non in senso negativo ma come qualificante; mentre con il termine “promuove” indica che vengono promosse delle modalità di nuove istituzioni, di nuove forme di aggregazione di enti locali (si pensi all’unione dei comuni) ma anche promuoverle sotto l’aspetto amministrativo ed economico. Riconoscendo sempre di più una centralità dell’ente locale stesso. Da questo principio il legislatore preserva l’unità, devolvendo competenze e funzioni a soggetti e autonomie territoriali (quando parliamo di devoluzioni di competenze non parliamo di devoluzione solo verso enti territoriali ma spesso possono essere verso enti statali, ad esempio le autorità indipendenti che svolgono un ruolo nazionale ma sono indipendenti). Se poi andiamo a verificare nella Costituzione, il vero nucleo dell’ente locale e delle sue competenze è contenuto nel titolo V. Analizziamo quindi il titolo V: il legislatore costituente inverte la piramide prevedendo che la Repubblica non è più costituita dallo stato e dagli altri enti ma per prima cosa è costituita dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane, dalle regioni e poi dallo Stato nella sua totalità. La Costituzione non riconosce più il primato dello Stato sugli altri enti ma riconosce come primato la differenziazione e la sussidiarietà. La volontà del titolo V è accentuare la centralità delle autonomie locali con propri statuti, poteri e funzioni. Il principio di unità e indivisibilità è un principio che ritorna nel titolo V – art. 116 comma III. Questa è la previsione costituzionale del cd. regionalismo differenziato (Oggetto di una legge di attuazione recentemente approvata, ad oggi impugnata da alcune regioni in particolare Sardegna, Puglia, Toscana e Campania ed oggetto di richieste di referendum). Viene previsto dal comma III che, su iniziativa della Regione interessata, possono essere attribuite alla stessa alcune competenze dello Stato, sentiti gli enti locali. Pensiamo ad esempio alla tutela dei beni locali, che normalmente è quasi interamente di competenza statale; se la Regione avesse interesse a gestire maggiormente la materia, potrebbe essere fatto un referendum sentiti i pareri degli enti locali. Ma perché se è unità e indivisibilità, il legislatore quando ha uniformato il titolo V è andato ad inserire un po' il seme della discordia? Questa possibilità viene introdotta per due motivi: - questione politica: siamo alla fine degli anni 90. Si passa da partiti di massa a partiti o territoriali come la Lega Nord di allora o partiti più personali come Forza Italia. Il governo doveva limitare la richiesta di limitare l’autonomia quasi secessionistica che la prima lega nord aveva richiesto. Nella volontà di far sgonfiare partiti che stavano crescendo il legislatore ritenne di dover individuare una modalità per dare maggiore autonomia senza venir meno l’appartenenza alla Repubblica. - questione giuridica: se si va a vedere l’elencazione delle materie di competenza dello Stato, noi si sa che la modifica del 117 Cost. è centrale perché non c’è più una competenza delle Regioni e il residuale dello Stato ma si ha una competenza esclusiva dello Stato su alcune materie definite dal 117, e alcune competenze concorrenti, e poi materie residuali. Cambia l’impostazione per dare un maggiore peso alle regioni, una maggiore autonomia degli enti locali rispetto alla centralità dello Stato. Però pensare, alla luce della spinta autonomistica, che tutte le regioni d’Italia tranne quelle a statuto speciale potessero gestire nello stesso modo tutti i servizi e che le competenze fossero affidate a tutte le regioni in modo uguale tramite una mera elencazione, si è pensato fin da subito che non fosse sufficiente. Per questo si vogliono individuare ulteriori forme particolari di autonomia. Quando si parla di condizioni particolari si intende che ogni regioni rispetto alle esigenze concrete può chiedere particolari forme di autonomia. Se tutte le regioni richiedessero a se tutte le competenze è chiaro che non ci sarebbe più un regionalismo differenziato. Differente è invece se ci sono regioni che in relazione alle proprie caratteristiche ed esigenze hanno un’autonomia diversa rispetto ad altre regioni (se non ha il mare, non può chiedere autonomie in materia portuale). Attualmente vi è una discussione in atto in merito alla legge Calderoli che prevede un intesa fra la Regione e il governo in particolare nel dialogo fra la giunta regionale e la presidenza del consiglio dei ministri. Il titolo V dopo aver elencato nell’art 117 la potestà legislativa di Stato e Regioni, introduce nell’art 118 il cuore della disciplina degli enti: ‘Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.’ Le funzioni amministrative sono affidate ai comuni, salvo che non debbano essere affidate ad altri enti (province, città metropolitane e stato) sulla base della sussidiarietà, l’adeguatezza e la differenziazione. I PRINCIPI CARDINE La sussidiarietà Il principio di sussidiarietà è il principio qualificante dell’ente locale affinché ci sia vicinanza al cittadino. È divisa in due tipi i quali rappresentano soprattutto nella giustizia amministrativa ma anche in quella costituzionale, il principio cardine interpretativo dell’evoluzione dell’ente locale. ◦ sussidiarietà verticale se intendiamo tra i vari organi dello stato. La sussidiarietà verticale non è altro che un principio per cui le funzioni amministrative devono essere svolte dal livello più vicino al cittadino e delegate eventualmente ad altri livelli per motivi di omogeneità e unitarietà. Principio che può essere eluso o quantomeno la cui applicazione è limitata nei casi in cui sia necessario allocare ad un ente differente per motivi di buon andamento, efficacia ed efficienza. Quindi se ci sono motivi funzionali ed economici che non permettono la gestione di quella funzione amministrativa a livello più vicino al cittadino e nei casi in cui è necessaria una programmazione. Quella funzione per unitarietà deve andare ad un livello più alto. È diversa dalla sussidiarietà orizzontale, perché è conseguente alla sussidiarietà orizzontale, prima io devo individuare il livello che sia il comune, la provincia, la regione, la città metropolitana o lo Stato; a quel punto identificato il livello posso trovare delle modalità per collaborare col privato. ◦ sussidiarietà orizzontale se intendiamo tra il singolo ente e i privati. Articolo 118 IV comma Cost. ‘Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.’ Questo è il principio di sussidiarietà orizzontale: i cittadini e i privati devono inserirsi nelle funzioni dello Stato. Non è un gioco fra soli livelli di governo. Come avviene ? Vi sono numerose leggi che in qualche modo disciplinano questa modalità. Facendo un esempio, si pensi alla recente legge che ha modificato il terzo settore. Questa ha messo a disposizione due strumenti per il terzo settore: la coprogrammazione e la coprogettazione. Qui il terzo settore è un soggetto che viene chiamato dall'ente locale sia per coprogrammare, cioè analisi dei fabbisogni e identificazione degli obiettivi, sia per coprogettare, cioè alla luce degli obiettivi e dei fabbisogni, progettare il servizio insieme. Si pensi ai sistemi di assistenza nei comuni e ai lavori che fanno per esempio le misericordie, la croce rossa, etc… Oppure ai canili che non vengono gestiti dal comune ma da associazioni su delega del comune. Questi sono casi di sussidiarietà orizzontale verso dei privati. Adeguatezza Il principio di adeguatezza è un principio un po' particolare perché in verità è già insito nella sussidiarietà. Questo perché quando io dico che devo farlo ad un livello più vicino ai cittadini, però non lo posso fare nei casi in cui questo non sia economico o per omogeneità o per programmazione, in qualche modo sto già ‘adeguando’. In verità l'adeguatezza non è un concetto ampio. Il concetto dell'adeguatezza è l'idoneità dell'ente locale a garantire lo svolgimento corretto del servizio. Cioè è molto più limitato rispetto ad un'adeguatezza che può essere economica, strategica o molto altra. Se un comune non può svolgere quel servizio allora deve essere un servizio allocato da altra parte. Differenziazione Il principio di differenziazione cioè anche se si vuole applicare la sussidiarietà, anche se quell’ente è adeguato io devo verificare, caso per caso, le peculiarità di quell’ente e se è opportuno che quell'ente la gestisca. Non tutti tutti gli entri locali sono uguali tra di loro. Alla luce di tutto questo la legge costituzionale 121 del 2003 prevede l’articolo 120 dove si attua quello che già aveva previsto la Costituzione negli articoli precedenti in part. 118 Cost cioè il potere sostituivo dello Stato. Se l’ente locale non è adeguato per gestire quel servizio allora lo Stato deve avocare a sé la funzione e svolgerla. Ma in quali casi? - tutela dell’unità giudica: la Regione non riesce a garantire un’unità giuridica e quindi neanche il rispetto del principio di uguaglianza. - mancato rispetto dei trattati internazionali - la tutela dell’unità economica - tutti i casi in cui l’azione o l’omissione da parte dell’ente locale potrebbe creare pericolo per l’incolumità e la sicurezza pubblica. - la garanzia dei cd. LEP (livelli essenziali di prestazione). cioè tutte quelle volte in cui non è possibile garantire livelli essenziali di prestazione, in particolare nel campo dei diritti sociali, economici e civili, a prescindere dai confini territoriali, dai governi locali, delle autonomie locali è lo Stato che deve agire. La causa di sostituzione viene proposta da un ministro al presidente del consiglio dei ministri che notifica all’ente locale un atto attraverso il quale si mette in mora e si da un tempo per adeguarsi. Se in quel termine si arriva ad una soluzione si chiude il procedimento. Se invece non si ha una soluzione, il Consiglio dei ministri nomina un commissario ad acta che se ne occupi. I TRE CRITERI PER LA GESTIONE DEI SERVIZI Ci sono poi tre criteri che vanno conosciuti soprattutto nella gestione dei servizi. Tra l’altro, li ritroveremo quando andremo a verificare sia il piano delle performance sia i documenti strategici di programmazione degli enti locali. - il criterio di efficacia: alla luce degli obiettivi prefissati dall’ente locale si analizza il grado di raggiungimento. Se devo costruire 5 scuole ne ho costruita una. Questi sono criteri che rientrano nell’argomentazione della clausola sostituzione - Il criterio di economicità: è legato ai costi. Per dare un servizio quanto mi costa? C’è un enorme tema rispetto ai sussidi da dare dallo Stato ai vari enti locali. Cosa si deve individuare? La spesa standard, quindi la spesa storica, quanto ogni regione ha speso io le do o i costi standard? Sono due criteri completamente differenti. Attualmente gli stanziamenti statali verso gli enti locali, spesso seguono il principio dei costi standard. Fino a poco tempo fa era il contrario, il rischio è che che alcuni comuni che avevano maggiori inefficienze ricevevano maggiori fondi. - Il criterio di efficienza: L’efficienza non è altro che l’applicazione delle due. L’incrocio fra gli obiettivi raggiunti e costi. Quanto ho speso per arrivare a quell’obiettivo? Vedremo in quale modo questi tre criteri individuano le finanze esterne e quelle derivate dallo Stato. NOZIONE DI ENTE PUBBLICO Alla luce di questo dobbiamo verificare la nozione di ente locale e di ente pubblico. La dottrina storica individuava l’ente pubblico come un soggetto che ha un collegamento diretto con lo Stato. Questo perché la dottrina sosteneva che se la sovranità risiede nell’organo statale allora il soggetto pubblico è solo quello delegato dallo stato. Una dottrina propria della giurisprudenza francese che ha preso centralità dopo la rivoluzione francese. È una nozione molto centralista. Quindi è come se si sostenesse che l’ente pubblico è quello che ha un interesse generale e una sovranità derivata. Dopo la seconda guerra mondiale questa teoria cambia. Primo perché vi sono alcuni enti che sono costituiti dallo Stato ma che non sono enti pubblici, sono enti che hanno un interesse pubblico ma sono privati. Si pensi agli istituti di assistenza. Secondo perché ve ne sono altri che sono privati, perché hanno interessi privati, ma in verità sono soggetti pubblici. Si pensi alla RAI. Quindi questa teoria non li faceva entrare tutti. Oppure il controllo statale. Io ho il controllo dello Stato e quindi il soggetto è pubblico. Anche questa teoria è criticabile. Non tutti i soggetti sui quali ha un controllo lo Stato sono soggetti pubblici. Si pensi a molte cooperative. Altro elemento che va in crisi è il potere di imperio, cioè il fatto che tutti quei soggetti seguono regole di diritto pubblico. Si pensi agli enti pubblici economici, non seguono le regole del diritto pubblico, seguono le regole del diritto privato. E anche per quanto riguarda la finalità pubblica, ci sono molti enti privati che hanno finalità pubbliche si pensi agli istituti di ricerca. Quindi questa costruzione che ci ha portato fino dopo la guerra mondiale traballa fino a farsi smontare. La dottrina moderna identifica l'ente pubblico non a mo’ di elencazione e quindi individuandone le caratteristiche ma sostenendo che vi è un'opzione multiforme che non è inquadrabile dentro a delle categorie precise. questa teoria moderna ha un problema perché dice quello che l’ente potrebbe non essere ma non quello che è. Poi in età contemporanea si è iniziato invece a studiare l'ente pubblico riprendendo una parte della dottrina tradizionale e alleggerendola. L'ente pubblico prende la propria legittimazione dallo Stato ordinamento, che è la fonte di ogni potere. Non dallo Stato come soggetto, non dallo Stato come persona, ma dallo Stato ordinamento, insieme di regole. Quindi è l'ordinamento che individua volta per volta l'ente pubblico. È molto più codicistica ma risolve molti problemi. Sarà l’ordinamento a dover di volta in volta chiarire se quello è ente pubblico o individuale. Lo stato stabilisce che il comune è ente pubblico e lo fa nel momento dell’istituzione con la legge. Quelli che non sono enti pubblici sono tutti quelli che la legge non segnala e seguono ovviamente tutte le regole di diritto privato. Attenzione però perché anche il Comune segue alcune regole di diritto privato. Per esempio le questioni inerenti il personale seguono regole di diritto privato oppure la contrattazione con soggetti esterni segue il codice degli appalti. Il pubblico deve essere la governance, poi che il fatto che l’ente pubblico possa agire anche utilizzando regole di diritto privato questo è un altro discorso, dipende poi con chi contratta, con chi ha un rapporto, etc.. pero il funzionamento dell’ente è pubblico. L’ente pubblico è tale in forza della posizione riconosciutagli dall’ordinamento non in forza del rapporto con lo stato persona, si supera la teoria tradizionale ma è l’ordinamento statale che gli conferisce questo nome. Questo ha avuto numerose critiche. Vi sono più sentenze della corte costituzionale che provano a specificare questa previsione. In particolare la Corte con la sentenza 466 del 93 va ad identificare nel regime della trasparenza un elemento qualificante la pubblicità dell’ente. E quindi valutando caso per caso l’ordinamento deve vedere quei soggetti che sono tenuti anche a questo regime di trasparenza. CLASSIFICAZIONE ENTI PUBBLICI Enti pubblici: previsti da Costituzione (enti locali): per essere eliminati deve essere modificata la Costituzione non previsti dalla Costituzione: per essere eliminati basta una legge ed un atto amministrativo. territoriali: il territorio quale elemento costitutivo di quell’ente pubblico. È da qui che prende la propria legittimazione. istituzionali: dove il territorio limita. Si ha potere in quel territorio, ma non come elemento costituivo. Sei l’ente pubblico perché rappresenti un filo istituzionale ed hai potere su quel territorio. necessari: quelli previsti da Costituzione e da trattati internazionali non necessari: previsti dal legislatore ma non sono ne in trattati internazionali ne in Costituzione. dipendenti indipendenti: sono dotati di propria personalità giuridica, non dipendono da nessuno, hanno autonomia di gestione, autonomia economica, possono essere cd. enti strumentali. È vero che agiscono su impulso di qualcuno, ma lo fanno in proprio quindi senza il controllo di quel soggetto che gli ha dato quella competenza oppure addirittura completamente autonomi. Si pensi al CONI lui non ha alcun collegamento con lo Stato. —————————————————————————————————————— ENTE LOCALE Nozione Che cos’è un ente locale? Innanzitutto bisogna vedere la classificazione per eccellenza cioè l’individuazione delle caratteristiche di un ente locale. Se dovessimo solo guardare al termine ‘locale’ qualsiasi ente è locale. Il termine ‘locale’ in questo caso non afferisce al luogo dove l’ente ha la sede operativa ma al luogo dove esercita le proprie competenze. Non è detto che la sede sia l’unico luogo dove lo esercita. Ci sta che abbia la sede in un luogo ma lo esercita in una zona molto più ampia. La dottrina identifica l’ente locale come l’ente pubblico le cui competenze sono circoscritte in un territorio o in una porzione di esso. Abbiamo visto che c’è differenza fra ente territoriale o istituzionale. Quindi anche definirlo locale solo per la competenza sul territorio non è sufficiente. Molti enti istituzionali hanno competenza su quel territorio ma non sono enti territoriali. A quel punto si inizia a leggere l’ente territoriale come contrapposto a quello statale cioè: l’ente territoriale non è altro che quell’ente pubblico che svolge le funzioni amministrative, che sarebbero proprie dello stato, ma su una porzione di territorio. Le critiche potrebbero esser molte. Ci sono alcuni enti che sono pubblici che svolgono sul territorio le proprie funzioni, che hanno rilevanza nazionale e che non sono enti locali, si pensi alle Università. L’università di Firenze ha competenza su Firenze ma non è un ente territoriale Allora si inizia a sostenere che l’attività di quell’ente può essere prevalente e non esclusiva. Ci possono essere enti territoriali che hanno competenza prevalente ma non esclusiva perché ci sono altri enti che hanno la stessa competenza su quel territorio. Si vede sempre meno l’idea di ‘territorialità’ come estensione territoriale, in particolare lo specifica anche il Consiglio di Stato, con una serie di sentenze. L’elemento qualificante l’ente locale è sempre meno legato all’estensione territoriale ma più legato alle competenze e alle funzioni. Queste sono attribuite per legge dal TUEL e ogni ente richiamato dal TUEL le svolge su un determinato territorio. Si ritorna anche per gli enti locali ad una definizione giuspositivistica: gli enti locali sono quelli identificati dall’ordinamento (Comuni, Province e città metropolitane). Poi ci sono alcune forme di associazionismo fra comuni ad esempio l’unione dei comuni. Questi non sono enti locali, sono semplicemente associazioni fra enti locali. (qui credo sia tipo un avvertimento per non confonderci) Si ha, in definitiva, una definizione che non prevede parametri particolari ma riporta a quello che disciplina la legge e il TUEL e la Costituzione. L’autonomia Il TUEL non disciplina solamente le categorie ma va anche ad identificare, in particolare all’inizio del TUEL, la caratteristica dell’ente locale cioè l’autonomia. Per questo si sente parlare di autonomie locali e non di ente locale. L’articolo 3 del TUEL (Testo Unico degli Enti Locali che è riorganizzato attraverso il d.leg. 267/2000). ‘Le comunità locali, ordinate in comuni e province, sono autonome.’ Autonomia non solo come elemento caratterizzante ma anche costitutivo. ‘Il comune è l'ente locale che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo.’ Cioè un ente locale visto come un soggetto qualificato non più solo ‘territorialmente’ ma che alla luce della sua autonomia può curare gli interessi della comunità. L’autonomia è di varie tipologie : - Autonomia statutaria: ogni comune per essere tale deve aver approvato uno statuto - Autonomia normativa: è la capacità di quell’ente di costituire il proprio ordinamento, il proprio statuto, i regolamenti, etc.. mediante l’approvazione di norme che hanno la stessa natura giuridica delle norme nazionali. Non si tratta di produrre norme nel senso di leggi, ma di atti normativi che disciplinano: - l’organizzazione; da qui l’autonomia organizzativa. - gli interessi della comunità (es. regolamenti, delibere, ordinanze, determina, etc…). Ci sono: - norme di autonomia: un esempio è lo statuto; hanno la funzione di fissare l’autonomia del comune, stabilirne la propria essenza - norme di organizzazione: sono tutti quegli atti, regolamenti interni organizzativi dell’ente locale. Hanno una portata più limitata perché hanno il fine di organizzare le funzioni e i servizi. Questa differenza fra autonomia normativa e organizzativa non è secondaria. Mentre l’autonomia normativa è data dalla legge, cioè l’ente locale è chiamato perché gli è stato richiesto di dover prevedere delle norme che disciplinano la propria autonomia. L’autonomia organizzativa non è la legge a prevederla, la legge semmai prevede la funzione o il servizio. ………………………..spiegazione di flam………………………………………………………….. Il TUEL concede autonomia normativa. Questo da seguito alla creazione di norme di autonomia e norme di organizzazione. È all’interno di una norma di autonomia come ad esempio lo statuto che è prevista la possibilità di ad esempio regolamenti organizzativi interni (norme di organizzazione). È in funzione di una norma di autonomia che io comune ho la possibilità di approvare delle norme di organizzazione. Ed entrambe sia le norme sia di autonomia che di organizzazione trovano legittimazione nell’autonomia normativa. (19.11.24 1 ora) ………………………………………………………………………………………………………… - Autonomia amministrativa/economica: non vuol dire solamente un'autonomia impositiva ma soprattutto autonomia di gestione delle proprie risorse economiche. Non è un caso se l’autonomia politica sia integrata con l’autonomia economica attraverso il sistema del bilancio. Il comune approva il DUP poi approva il bilancio preventivo. Questo bilancio, approvato entro il 31 dicembre (altrimenti non usi i soldi), fa una proiezione rispetto alle entrate e uscite.(devono ovviamente essere pari) Il TUEL e la Costituzione ci dicono che l’autonomia economica c’è solo se c’è equilibrio. Il bilancio preventivo verrà seguito dal cd. PEG (Piano Economico Gestionale) è quello che alla luce delle priorità fissate, dello stanziamento del preventivo, fissa gli obiettivi dei dirigenti. Ad ognuno dice quali sono le sue capacità di spesa e cosa deve farci con questa spesa. Quando il comune ritiene maggiormente opportuno, sia il DUP sia il bilancio possono subire delle variazioni. La variazione del primo prevede necessariamente la variazione del secondo. Se dico che faccio 40 lampioni in più e non li voglio fare più va modificato il bilancio altrimenti te ne vai di fronte alla corte dei conti. In questi anni molti progetti PNRR degli enti locali sono progetti che sono in fase di progettazione preliminare e alcuni anche in progettazione esecutiva. Quindi magari gli enti locali avevano previsto la costruzione di scuole o altro, poi si sono trovati i fondi del PNRR e a quel punto modificano il DUP e bilancio e sbloccano quei soldi per allocarli altrove. Quest’autonomia economica ha quindi una triplice valenza: - Autonomia contabile, la capacità di erogare proprie spese di competenza (decidere dove spendere) - Autonomia finanziaria/impositiva , la capacità impositiva, quindi di percepire proventi e di amministrare i propri proventi. Si pensi alla TARI. Attualmente la capacità impositiva dell’ente locale è molto alta. Prima degli anni 90 l’ente locale aveva poca capacità impositiva perché molti fondi derivavano dallo Stato e di conseguenza c’era un forte controllo della Corte dei Conti. Ad oggi la Corte dei Conti ha un potere minore, perciò si sono moltiplicati i controlli interni. I Comuni possono controllare o direttamente oppure dalle società, spesso partecipate, che fanno riscossione. (comuni grandi hanno società partecipate o comunque enti controllati per riscuotere) - Autonomia gestionale, è quella di decidere come allocare o gestire il bilancio o il personale. Questo rientra nella personalità giuridica dell’ente locale. Alla luce di queste autonomie l’ente locale è dotato di autarchia. Ha la capacità di soddisfacimento degli interessi che deve rappresentare attraverso l’adozione di propri atti che hanno carattere e natura simili agli atti dello stato, ma che soprattutto sono dotati di esecutorietà. È l’ente locale stesso che una volta approvati li rende esecutivi. Ovviamente ci sono vari livelli di autoritatività: l’ente locale è quello che ne ha maggiore perché ha autonomia totale. Ci sono altri enti che hanno autonomia minore perché non sono loro stessi a dare esecutività, come gli enti di protezione sociale. L’ente locale è quello che ha la piena autonomia e autarchia rispetto ai propri atti di competenza; che poi in realtà lo avrà anche rispetto ad atti non di sua competenza si pensi a tutte quelle funzioni che sono delegate dallo stato all’ente locale come l’anagrafe. In questo caso il responsabile sarà il comune ma non avrà ovviamente il potere normativo, quello rimane in capo allo Stato. - Autonomia politica: autonomia di indirizzo politico. Cioè l’autonomia, rispetto ad altri soggetti, di identificare le proprie priorità attraverso degli atti di programmazione che sono inseriti come documentazione nel bilancio: il cd. DUP, documento unico di programmazione. Questo deve essere approvato prima dell’approvazione del bilancio preventivo dove le varie funzioni dell’ente locale sono divise per missioni (affari generali, ambiente, scuola, etc… ). Dentro ogni missione ci sono una serie di misure che pongono gli obiettivi dell’ente locale nell’annualità. Il DUP è triennale; viene aggiornato annualmente ma siccome il bilancio è annuale gli obiettivi saranno poi quelli aggiornati all’anno successivo. Non è solo un documento di programmazione ma anche di controllo. Prende la propria legittimazione da scelte politiche. Infatti il sindaco, appena eletto, è chiamato a dover relazionare nella prima seduta utile il proprio programma di mandato che sarà posto alla base del quinquennio. Il decentramento Accanto al concetto di autonomia abbiamo un altro concetto il cd. decentramento: la possibilità per l'ente locale non solo di rappresentare un soggetto autonomo, ma anche di rappresentare un decentramento del potere statale. Decentramento amministrativo si pensi alle funzioni relative alla tenuta dei registri, all’anagrafe, alla statistica, che sono funzioni statali ma che vengono decentrate agli enti locali. Decentramento legislativo, si pensi alle ordinanze marittime o sindacali (del sindaco) Decentramento politico, perché dentro un comune vi è una divisione netta tra la parte politica e la parte amministrativa. La parte amministrativa è composta da funzionari amministrativi entrati con concorso che svolgono le proprie mansioni come dipendenti di quel comune ma sono sottoposti da contratti collettivi nazionali e alla legge sul pubblico impiego. La parte politica è una parte che, nei comuni, viene eletta dai cittadini italiani residenti e i cittadini dell’unione europea residenti in quel comune, mentre nelle province non sono eletti dai cittadini ma sono eletti dagli amministratori, quindi dai consiglieri e dai sindaci dei comuni di quel territorio dove insiste la provincia. Queste due parti, politica e amministrativa, dialogano e portano avanti l’indirizzo politico. Il TUEL ci dice che il comune rappresenta gli interessi etc… ; questa rappresentanza esiste perché sono stati eletti. I pro e i contro dell’autonomia L’eccessiva autonomia ha avuto dei pro e dei contro. I vantaggi sono a piena applicazione di quei principi menzionati precedentemente, quello di adeguatezza e differenziazione. Perché se io ho una maggiore autonomia posso andare a verificare se è adeguato quel livello e verificare le peculiarità di quel territorio. Si pensi ad un comune di un’area interna rispetto alle esigenze di un comune marittimo. Allo stesso tempo una maggiore autonomia permette anche un maggior rapporto di cittadino con il decisore politico. Questo non è secondario. Noi abbiamo una legge anticorruzione, la legge Severino, che prevede, solo per gli amministratori locali e non per es. per i parlamentari, la sospensione dal ruolo di amministratore locale nel caso di sentenza non definitiva di condanna per taluni reati. Si capisce bene che, soprattutto in un primo momento, questa è sembrata un po una disuguaglianza. Perché il consigliere comunale deve essere sospeso e un parlamentare no ? La corte costituzionale è andata ad affermare che c’è una ratio. È quella che l’ente locale ha una vicinanza maggiore con il cittadino e quindi qualsiasi evento ha un effetto molto più ampio in particolare nell’ambito della corruzione. La maggiore autonomia porta con se anche un maggior rapporto con il decisore e questo significa maggiore istituti di partecipazione. Gli enti locali hanno numerosi istituti di partecipazione che permettono un dialogo fra soggetto privato e pubblico. Oltre a ciò anche la necessità di una sburocratizzazione. la vicinanza con il cittadino può in qualche modo garantire un processo di dialogo più fluido nei procedimenti. Tra gli svantaggi il primo è quello di una maggiore possibilità di eventi corruttivi. Negli ultimi anni la normativa anticorruzione e la normativa privacy hanno avuto due evoluzioni tutte basate sulla mappatura del rischio. Si chiede a tutte le amministrazioni di mappare i propri rischi interni. Quali sono i processi che possono essere oggetti di enti corruttivi? Quali sono gli strumenti che metti in campo? E il sistema di monitoraggio ? È l’ANAC a valutare se la risposta a queste domande va bene. Altro svantaggio è ovviamente la disparità di trattamento che ci può essere. Il decentramento amministrativo Accanto a questo abbiamo un decentramento amministrativo: un trasferimento di funzioni dagli organi statali agli organi periferici. Si trasferiscono o si delegano le funzioni. È diverso fra delega e trasferimento. Trasferimento: non le faccio io, le fai te. Delega: io non le faccio, rimangono in capo a me e magari le verifico e delego a te alcuni processi. Si distinguono tre livelli di decentramento amministrativo: 1° livello gerarchico, cioè il livello più alto sposta il compito sul livello più basso che avrà sempre però un controllo su quello che avviene. Io Stato, delego a te l’anagrafe ma ho sempre un potere di controllo. 2° livello è quello del decentramento autarchico, io te lo delego ed è tutto tuo. La competenza passa totalmente a te. È un trasferimento vero e proprio. Io trasferisco una funzione e il soggetto a cui trasferisco la funzione sarà l’unico responsabile di tutti i processi. Attenzione perché vi può essere anche una delega temporanea. Questo non vieta che io temporalmente trasferisca una deroga e che in quel periodo si attui un regime autarchico o gerarchico. Ad esempio io decido che ci sarà per tre anni un commissario, in quel caso c’è una delega temporale e si applicherà un regime gerarchico. 3° livello sono i decentramenti funzionali (un po’ un mix fra i due), che non riguardano gli enti locali ma riguardano lo spostamento di singole funzioni dallo Stato ad enti ad hoc. Si pensi alla vigilanza bancaria la CONSOB oppure la cassa depositi e prestiti. Sono soggetti a cui è trasferita la funzione e che sono costituiti ad hoc per quella funzione, non come l’ente territoriale che ha più funzioni. Alla luce di tutta questa introduzione si vede bene che il principio di sussidiarietà è il principio che è sempre dietro a ogni classificazione. La sussidiarietà è lo strumento attraverso il quale l’ente locale: 1. ha la propria autonomia 2. ha la propria personalità giuridica 3. gli vengono delegate e trasferite funzioni. Il principio di sussidiarietà è quello che collega tutti gli articoli della Costituzione riguardanti in particolare il titolo V e sta alla base della disciplina degli enti locali che negli ultimi anni ha avuto una sua evoluzione. Excursus storico Gli enti locali sono enti pubblici nati poco tempo fa, soprattutto le province. I comuni li conoscevamo già in epoca medievale quando rappresentavano dei piccoli stati, delle piccole autorità statali (rispetto ad ora ovviamente figure non sovrapponibili). Intorno agli anni 1000 però iniziano a nascere delle città che si identificano come governi autonomi che rappresentano gli interessi di quella specifica comunità. Nasce cosi l’età comunale. Si tratta di associazioni di cittadini che vivono temporaneamente in un luogo, che si rendono indipendenti e che prendono il titolo dal sovrano di turno. È lui che conferisce il titolo di città e quindi l’indipendenza. All’interno coesistono sostanzialmente due ordinamenti: lo ius comune quello dell’impero e del sovrano e lo ius proprium che è quello della comunità, le usanze e le norme che si da la comunità. Tutto questo porta all’età moderna che vede una ricentralizzazione. Si inizia sempre di più a riformare uno stato forte. L’identità statale nel 600/700 e poi 800 trova la sua massima espansione dove le comunità locali diventano dei luoghi geografici dove i soggetti svolgono la propria attività. La quasi totalità delle competenze è statale. Quindi c’è una ricentralizzazione che qualifica l’età moderna e che in qualche modo sarà messa alla base della critica dell’età contemporanea dove i comuni e le province diventano autonomie locali, un ritorno al decentramento. Le province nascono nel 1847 (editto Albertino) dove si prevede che i territori accanto ai comuni si riuniscano in province amministrative. Le province erano il comune + tutto ciò che c’era intorno. A Questo pero non segue un Tutto ciò porta con se una loro inattuazzione. Le province non hanno un’attuazione se non ai giorni nostri. L’unico ente che esisteva era quello comunale, le regioni nascono negli anni 70 addirittura. A fine ottocento si ha la massima ricentralizzazione. Per evitare le forze centrifughe che a fine ottocento in Italia avevano preso piede si decide di ricentralizzare la stessa nomina dei rappresentanti nei comuni tanto che si prevede che le nomine dei rappresentanti dei comuni siano nomine prefettizie, statali. Rimaneva una residuale potestà amministrativa territoriale, mentre tutti i poteri ritornavano a livello statale. Iniziano pian piano a nascere gli organi come li conosciamo seppur di nomina statale e quindi i sindaci. Mentre oggi i sindaci sono eletti, allora erano nominati ed erano i soggetti che appartenevano alle famiglie più influenti del comune stesso, e dovevano rispondere a livello statale. L’autonomia in verità non c’era su nulla, anzi spesso in ambito impositivo erano i soggetti che dovevano riscuotere le varie tasse per poi versarle a livello statale. Differentemente da come avviene oggi. Questa limitazione è una limitazione che poi verrà portata avanti sotto l’epoca fascista perché la necessità di prevedere una forte centralizzazione stava alla base di quello che era la teoria del fascismo, di un particolare potere in capo all’esecutivo, in particolare al Presidente del consiglio dei ministri. Legge n. 237/1926 è la prima legge che cambia le autonomie locali e dove si toglie completamente l’elettività di ogni organo e tutto rimane in capo alla designazione governativa. Non si è più espressione della comunità locale, che in parte vi era in epoca prefascista, ma si è espressione del potere centrale. Una centralizzazione fortissima tanto che in epoca fascista si sostiene che i comuni diventano degli uffici decentrati del governo. L’unica cosa che si fa sono alcune pratiche amministrative. Tutto ciò va avanti fino alla Costituzione repubblicana che svuota questa postazione e pone il tutto sul cd. pluralismo. L’articolo 5 Cost. al secondo comma e terzo ‘La Repubblica attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento’ Quindi il legislatore pone come principio fondamentale l’autonomia e il decentramento, come risposta all’impostazione in epoca fascista. La Costituzione prevede quindi un pluralismo che è un pluralismo istituzionale/politico quindi con la previsione dei partiti e quindi riconosce che vi sono i partiti concorrono alla definizione dell’orientamento politico e quindi alla gestione di tutti quei soggetti, enti pubblici previsti in Costituzione. Poi un pluralismo ideologico prevedendo quindi la possibilità che in tutti i livelli dello Stato ci possa essere un confronto fra più correnti di pensiero. Si pensi all’articolo 13 Cost, articolo 21 Cost. etc… 30 ottobre SVILUPPO DEGLI ENTI LOCALI DEGLI ULTIMI ANNI Arriviamo all’approvazione della Costituzione e gli effetti che questa ha sugli enti locali. La legge n.150/1953 è la legge delega al governo per il trasferimento delle funzioni. Il governo dovrà, attraverso dei decreti legislativi attuativi, demandare le funzioni ad enti locali. In questo caso non si ha una delega cosiddetta autarchica, come si avrà poi nel caso degli enti locali con l’approvazione del TUEL, ma si avrà un trasferimento gerarchico perché, seppur svolta da enti periferici, la funzione sarà sottoposta da direttive governative. Solo dal 1973 dopo una serie di decreti si iniziano ad applicare una tecnica cd. di ritaglio, di specificazione fra le competenze Stato, Regioni e città tanto che la legge n. 382/1975 è la legge delega al governo per la riorganizzazione delle competenze tra Stato, regioni e province. Gli anni 70 qualificano un particolare attivismo del legislatore in merito agli enti locali. Dopo 15 anni circa si vedrà la prima legge davvero organica che innova profondamente l’organizzazione degli enti locali. La legge n. 142/90 che prende il nome di ordinamento delle autonomie locali. È la prima legge in cui il legislatore si prende in carico la riorganizzazione totale della disciplina. Dal nome si capisce qual è l’intento del legislatore: maggiore autonomia all’ente e minore accentramento. Gli anni 90 cominciano con una maggior spinta verso l’autonomia che porterà poi alla riforma del titolo V, e che vede nell’autonomia locale il soggetto sempre più preposto alla cura dell’interesse dei vari territori. Quindi si fanno due cose: - si diminuiscono gli stanziamenti governo enti locali prevedendo una maggiore autonomia impositiva - si riducono i controlli esterni. Nella riduzione dei controlli si prevede un soggetto al quale viene affidata l’attività di controllo: Il cd CORECO (Comitato Regionale di Controllo). Questo ha il potere di controllare gli atti degli enti locali. Lo fa in due modi: - per gli atti consiliari, approvati dai consigli comunali i controlli sono preventivi e necessari. Prima che questi vengano attuati vi è la vigilanza dal comitato. C’è un controllo totale - gli atti di giunta sono sottoposti al controllo nei limiti, non totali, ma delle illegittimità che vengono denunciate e quindi individuate dai consiglieri comunali o provinciali. Un terzo dei consiglieri comunali nei casi in cui il consiglio è votato con sistema proporzionale, un quinto nel caso in cui il consiglio è votato con sistema maggioritario. Questi sono controlli particolarmente invadenti rispetto alle autonomie, perché presuppongono che un soggetto esterno vada ad inserirsi in via preventiva negli atti. La legge 142/1990 prevede l’altro tipo di controllo che non è più sugli atti ma è un controllo sugli organi. Si disciplinano tutte le cause di esclusione, sospensione, decadenza degli amministratori e scioglimento dei consigli comunali. Inizia a prendere piede un’impostazione organica. Fino ad ora il legislatore aveva deciso di fare una serie di decreti legislativi, tramite lo strumento della legge delega e le sue specificità. In questo caso invece si cambia: è il parlamento che approva una legge che non tratta temi specifici volta per volta ma tratta l’intero sistema. Viene previsto un organo di revisione economica e finanziaria che in quale modo andrà poi ad essere sostituito dai controlli che vengono effettuati dentro i comuni dal responsabile dell’area finanziaria il cd. Ragionare capo. Altra innovazione che interessa la governabilità del comune sono una serie di disposizioni che vanno a disciplinare le modalità di scelta del sindaco. Questo viene eletto dal consiglio comunale entro 60 gg per evitare che quello che i consigli comunali portavano avanti l’elezione del sindaco per trovare degli accordi interni che poi rischiavano di rendere inefficiente il lavoro del comune stesso. Si vedrà poi nello specifico, ad oggi quando si va a votare si va a votare per il sindaco del comune, per il sindaco e la lista o le liste dei consiglieri comunali. Prima si votava per i consiglieri comunali e dentro il consiglio si andava a votare per il sindaco. C’è quel principio del ‘simul stabunt vel simul cadent’ cioè quel principio secondo il quale se viene meno la fiducia al sindaco allora cade anche il consiglio, cosa che la legge 142/90 modifica introducendo l’istituto della cd. Sfiducia costruttiva. È possibile proporre e approvare una mozione di sfiducia al sindaco ma questa deve essere corredata dalla proposta di un nuovo soggetto che svolge il ruolo di sindaco. Per evitare quello che accadeva spesso nei consigli comunali. L’instabilità dell’ente locale non era più accettabile. Si poteva accettare quando il comune era un soggetto che aveva delle deleghe e non autonomia. Se dai più autonomia mi aspetto più stabilità. Si passa da una tipologia gerarchica a una autarchica e quindi mi aspetto che anche la governance sia stabilizzata. Poi c’è una grande innovazione che sposta sostanzialmente il potere sul sindaco. Fino ad allora la competenza generale era in capo al consiglio comunale e invece il sindaco e la giunta avevano delle competenze limitate decise per legge. Con la 141/90 si inverte questo presupposto. Non è più il consiglio ad avere le competenze generali e residuali ma diventa il sindaco. Mentre al consiglio vengono elencate le competenze, che vengono anche diminuite rispetto a prima. Questo perché ovviamente l’organo collegiale ha una competenza di controllo, di partecipazione alla formazione dell’indirizzo politico e di approvazione dei regolamenti e degli statuti. Tutto il resto rimane in capo al sindaco e alla giunta come ad esempio i rapporti con i soggetti esterni. Questa non è una modifica ci poco conto anzi, successivamente sarà la modifica che porterà maggiori effetti rispetto alla natura e all’esercizio del potere dentro l’ente locale. In questa legge si scioglie un altro nodo che non era stato ancora sciolto: il ruolo delle regioni rispetto al ruolo degli enti locali. Si sostiene che sono gli enti locali che svolgono la funzioni amministrative e che sono le province a svolgere natura di coordinamento delle funzioni amministrative che derivano sia dalla legge statale che dalla legge regionale. È la prima legge che organizza l’ente locale e suddivide la parte politica e la parte amministrativa. Fino ad allora il potere politico e amministrativo all’interno dell’ente locale veniva fondamentalmente fatto dialogare attraverso dei decreti che non prevedevano una netta distinzione. Con questa legge il legislatore vuole ben distinguere: - la parte politica cioè sindaco, giunta e consiglio comunale - la parte amministrativa cioè direttore generale (dove è possibile), dirigenti e i vari funzionari. In più anche il segretario generale. Il segretario generale non è una figura incardinata nell’apparato amministrativo del comune perché è un dipendente del ministero degli interni. Questo ha vinto un concorso, ha fatto una scuola nazionale nell’amministrazione con un corso - concorso alla fine del quale è entrato in un albo nazionale da cui i sindaci vanno ad attingere secondo dei livelli prescelti per nominarlo segretario in un comune. È una figura che sta un po in mezzo e che coadiuva il dialogo fra politica e amministrazione. In tutto questo rientra anche la previsione di specifiche responsabilità in capo a segretari e dirigenti, che prevede sanzioni e responsabilità per i soggetti che guidano la parte amministrativa. Siamo nel 1990 ed è l’anno in cui viene approvata la legge che innova il procedimento amministrativo l. n. 241/90. Di questa ne risente la legge 142/90 perché si inizia a prevedere una serie di procedimenti amministrativi dentro gli enti locali. Prima fra tutti la previsione di strumenti di partecipazione dell’ente locale. E poi l’ultima innovazione che la 142/90 apporta è la disciplina e gli incentivi verso l’associazionismo comunale e la fusione dei comuni. Mentre con l’unione dei comuni io non vado a costituire un nuovo ente locale e decido di unire più comuni e di svolgere delle funzioni in modo associato, con la fusione dei comuni si forma un nuovo ente locale. Tutto questo con la possibilità eventuale di mantenere dei presidi, dei municipi che non hanno più carattere politico- amministrativo ma solo rappresentativo ed eventualmente gestionale. Nelle unione dei comuni esiste un consiglio dell’unione, degli organi dell’unione ma se c’è una fusione (di solito di due comuni) in molti casi rimangono due municipi, poi magari l’attività politica amministrativa si svolgerà solo in un luogo però i luoghi dove si può avere partecipazione sono raddoppiati La legge 141/90 prevede anche una prima disciplina delle città metropolitane che verranno poi attuate solo recentemente. Inizia inoltre a porre i paletti per l’autonomia finanziaria e minori controlli. Questo perché ovviamente è il comune che deve sostenersi da solo e avere una propria finanza. Nel 1993 viene approvata la legge n. 81/1993. Legge molto particolare perché è la legge frutto di una richiesta di referendum. Furono avanzate tre proposte referendarie per introdurre il maggioritario negli enti locali e togliere le preferenze al senato e alla camera. Risulta non ammissibile, però, mentre si stava riproponendo la raccolta firme, il parlamento promuove una norma, la legge 81, che va a modificare il sistema di elezione degli enti locali. Il sindaco viene eletto dai cittadini quindi elezione diretta. Nel caso in cui si è di fronte a comuni con oltre 15000 abitanti il sindaco sarà candidato e avrà una serie di liste collegate; nei comuni minori vi sarà il sindaco e una lista solo collegata alla sua candidatura. Oltre a questo si introduce il premio di maggioranza. Questo non è proprio di una legge maggioritaria ma di una proporzionale. Mentre la maggioritaria è la legge che individua l’assegnazione del seggio al soggetto che ha ricevuto un voto in più e spesso si attua mediante dei seggi uninominali, la legge proporzionale è quella che calcola i seggi da assegnare ad una forza politica rispetto ad una percentuale di voti conseguiti. Salvo due correttivi. Il primo correttivo è la soglia di sbarramento (che vedremo essere presente nella legge elettorale comunale), il secondo è il premio di maggioranza. Quest’ultimo riguarda un soggetto che ottenendo una percentuale di voti, gli viene assegnato un surplus di seggi che gli serve per concorrere ad avere la maggioranza assoluta. Manca una cosa che porterà alla riforma del titolo 5 la parte della sussidiarietà. Cosi la legge Bassanini del 1997, che è la madre della riforma del titolo V, pone alla base l’attuazione del principio di sussidiarietà e si da al governo un’ampia delega per il conferimento delle funzioni attraverso il trasferimento delle competenze o la delega. La legge Bassanini specificava anche che gli enti territoriali dovevano essere quei soggetti che avevano la competenza su quelle funzioni amministrative concernenti la cura degli interessi e la promozione delle rispettive comunità. Si individua nell’ente locale l’unico o il principale soggetto che promuove le esigenze di quella determinata comunità. È una statuizione di principio che da un ampio potere all’ente e questo se lo prenderà tutto. In più dà anche un principio territoriale che ci dice che l’ente locale rappresenta la comunità e quindi è territorialmente incluso in uno spazio geografico. Poi arriviamo al TUEL, testo che come sapete è oggetto soprattuto negli ultimi anni di discussione e in verità di proposte di modifica perché nel TUEL noi ad oggi ci troviamo ancora molti istituti che non esistono più, compresi i CORECO. In fase di discussione parlamentare c’è una riforma del TUEL che prevede una riorganizzazione dei controlli e una nuova previsione di dettaglio delle funzioni. Il TUEL è diviso in 4 parti: L'ordinamento istituzionale L’ordinamento finanziario e contabile Le associazioni e gli enti locali Le disposizioni transitorie Queste vengono suddivise ulteriormente in titoli. Le norme superate sono le norme sulla provincia e le norme sui controlli. Alla luce della legge Bassanini e del TUEL si arriva alla riforma del titolo V attuata con la legge costituzionale n. 3/2001. La legge cost. 3/2001 oltre a riorganizzare gli altri enti locali prevede un’autonomia di spesa in capo agli enti locali, prevede e disciplina lo status di Roma capitale. È uno stato speciale dato dal fatto che è capitale ma anche perché ha sedi diplomatiche, sedi ministeriali e istituzionali. Disciplina, come abbiamo visto, il potere sostitutivo. Costituisce i CAL , comitati per autonomie locali, che hanno potere consultivo nelle regioni. E vengono costituzionalizzati principi come la differenziazione, l’adeguatezza e la sussidiarietà. Legge 56 del 2014 o legge Delrio è la legge che ha avuto una vita un po complicata. Legge che in verità era stata già approvata attraverso decretazione d’urgenza durante il governo monti. Andava a cancellare le province. La corte costituzionale l’ha definita incostituzionale affermando che non è possibile modificare l’assetto organizzativo dello Stato attraverso decretazioni d’urgenza. Cade l’esecutivo il presidente del consiglio sarà Enrico letta e il ministro sarà Graziano del Rio. Graziano del rio che rivede questa norma e non propone ovviamente un decreto legge ma una proposta di legge. Non si parla più di cancellazione della provincia ma si affronta il tema della spending review e della riorganizzazione delle funzioni provinciali. Quindi i due cardini sono la razionalizzazione della spesa pubblica e l’efficientamento delle funzioni. La provincia deve avere competenze di coordinamento e limitate competenze gestionali e amministrative. Mediante la legge del Rio vengono istituite le città metropolitane e vengono riorganizzate le province prevedendo un superamento del loro status elettivo. Non si è più davanti ad un organo eletto dai cittadini, ma si è davanti ad un organo di secondo livello, eletto dai consiglieri comunali e dai sindaci. In più vengono tolte le competenze alle province date alle regioni che poi le alloca a chi vuole. Non si vuole cancellarla perché prima di cancellarla serve una riforma costituzionale. La quale deve prendere una cancellazione dell’ente provincia e che negli anni successivi avrà un suo sviluppo. Nella cd. Riforma costituzionale approvata il 12 aprile del 2016 (governo Renzi) che prendeva la cancellazione della previsione delle province dentro la costituzione. Riforma che è stata oggetto di referendum che si è svolto il 4 dicembre del 2016 che ha visto una bocciatura della riforma. Questa cosa pone problemi perché di base ho un organo costituzionale che ho ‘svuotato’. Non a caso la corte costituzionale con alcune decisioni criticate dalla dottrina ha dichiarato non ancora incostituzionale la legge del Rio, perché si dava atto della riforma che poi si è avverata. Quindi si pone i tema della rivalutazione delle province che dovrà prendere la natura elettiva dell’organo. Gli organi costituzionali che hanno funzioni amministrative sono tutti elettivi. Quindi qualcosa non funziona. Digressione sulla costituzione Quando si dice che ‘appartiene’ al popolo si intende che è insita, nel senso che non può essere ceduta se non delegata tramite l’esercizio del voto. La legge del Rio dà un impulso anche economico alle associazioni di comuni. Prevede non solo degli obblighi di associazionismo per i comuni più piccoli, ma prevede anche che l’eventuale gestione associata di funzioni possa comportare dei benefici economici, sia in termini di stanziamenti sia in termini di minore pagamento di tasse o imposte da parte del soggetto. L’unione dei comuni rappresenta uno degli strumenti che maggiormente è stato utilizzato dal legislatore per provare (specialmente nei piccoli comuni) a rendere maggiore efficiente la gestione dei servizi. Tanto che dopo la legge del Rio, numerose manovre finanziarie, il legislatore ha previsto un ulteriore incentivo. Se in parte questi incentivi hanno aiutato a unire i comuni dall’altra hanno svuotato la volontà politica che dovrebbe esserci dietro l’unione dei comuni. L’unione dei comuni nasce per mettere insieme servizi, non per prendere finanziamenti. Ad oggi quindi sono queste le riforme che abbiamo conosciuto sugli enti locali. Poi vi è stata recentemente una nuova riforma che riguarda la disciplina dei servizi pubblici locali. Il d. leg. n. 201/2022 è un decreto che era necessario alla luce della cd. Legge Madìa (l n. 124/2015). Una legge che aveva fatto discutere e che era stata dichiarata anche in parte incostituzionale. Aveva visto in una sua parte la riorganizzazione della gestione delle società partecipate da parte della PA. Inserendo dei paletti ben precisi rispetto a quelli che potevano essere l’affidamento e la costituzione di nuove società partecipate. Questa legge è stata in parte inattuata perché prendeva numerose deleghe e in parte incostituzionale, perché la legge madia su alcuni passaggi necessitava di un confronto fra lo stato, le Regioni, le autonomie locali e invece non è stata coinvolta la conferenza unificata stato, regioni e città. Così alla luce di questo vedremo che il legislatore ha pensato di prevedere una nuova normativa grazie alla quale l’ente locale può avvalersi di società controllate o partecipate. ———————————————————————————————————————- I SOGGETTI I soggetti esterni all’ente locale Prima di entrare nel vivo dei soggetti che interessano l’ente locale è importante ricordare che esistono alcuni organi che non fanno parte dell’ente locale ma che hanno con questo un rapporto privilegiato. 1. Il primo per gerarchia e competenza è il prefetto. È il soggetto preposto alla verifica e controllo del funzionamento dell’ente locale. Presiede il comitato di sicurezza e che svolge il ruolo di presidio del governo sul territorio. 2. le conferenze 3. i CAL che sono organi consultivi che servono soprattutto per le Regioni per legiferare in tema di enti locali. Questi sono i principali soggetti esterni agli enti locali. 5 novembre GLI ENTI LOCALI L’articolo 114 Cost ci elenca gli enti locali. Sono enti autonomi costitutivi della Repubblica. Il comune Gli art. 2 e 3 del TUEL individuano la definizione di comune: è un soggetto che rappresenta la comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo. Da questa definizione tiriamo fuori l’autonomia, la proiezione territoriale e esponenziale*, perché della comunità promuove lo sviluppo e ne cura gli interessi. (siccome ha spiegato un po mhhh, viva internet *ente esponenziale = organismo che ha finalità di tutela di interessi collettivi e in virtù di ciò assume una posizione qualificata) Abbiamo tre elementi: elemento soggettivo: sono un insieme di persone legalmente residenti sul territorio. Bisogna fare una distinzione fra residenza, dimora e domicilio. Tre istituti differenti tutti di derivazione civilistica. - La residenza è il luogo dove il soggetto ha fissato la dimora abituale, scritta nei registri dell’anagrafe. - La dimora è il luogo dove viene fissata l’abitazione. - Il domicilio è il luogo dove il soggetto svolge i principali suoi affari. Es. domiciliato in uno studio legale. Il comune ovviamente è tenuto a conservare il registro dell’anagrafe dove vengono iscritte le residenze di ogni soggetto. elemento oggettivo: è dato dal territorio nel quale il comune esplica la propria potestà sia di governo sia ovviamente amministrativa. Quindi il territorio rappresenta due elementi che non sono sovrapponibili, cioè sia l’ambito di efficacia delle decisioni dell’ente sia i limiti dell’esercizio. elemento funzionale: rispetto ai principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza che quindi qualificano la dimensione territoriale e organizzativa dell’ente, vengono conferite funzioni e servizi a quell’ente stesso. Per fare questo ovviamente l’ente si deve organizzare. Il ridimensionamento comunale Noi abbiamo un alto numero di comuni in Italia (7904 non l’ha detto pero taaaac! Ora lo sai :) che hanno delle loro caratteristiche ma che spesso hanno popolazioni completamente differenti nel numero. Questo ha creato problematiche rispetto alla gestione dei servizi e quindi all’applicazione di quei principi di efficienza, efficacia ed economicità. Tanto che negli anni 90 fino ad oggi, specialmente negli anni delle riforme degli enti locali che hanno incentivato le fusioni e unioni dei comuni, ci si era chiesto quale fosse il dimensionamento adeguato. Quanti abitanti deve avere il comune per avere una qualità alta dei servizi? In teoria dovrebbe stare fra 25 o 30 mila abitanti. In Italia ci sono circa 250 comuni che hanno questi numeri. Il tema che si è posto ovviamente in questi anni è la riorganizzazione dei comuni. Verso la fine degli anni 60 il rapporto della Commissione Radcliffe andava ad individuare un’efficenza rispetto ai servizi dicendo che i servizi possono essere gestiti da soggetti che insieme hanno circa 250 mila abitanti. Alla luce di questi due parametri la diffusione dei comuni ha sempre rappresentato un elemento di approfondimento. Negli anni 90 sono iniziate delle politiche di accorpamento dei vari comuni proprio per evitare che questo proliferare di comuni e province potesse portare ad un’inefficienza. A fronte di processi di mutamento dei comuni esistenti si davano: da una parte delle erogazioni maggiori; dall’altra si dava in capo alle Regioni la possibilità di prevedere discipline particolari che facilitassero questo processo di riorganizzazione. Questo ha posto numerose questioni di competenza Stato-Regioni anche in seno alla Corte Costituzionale. É lo Stato o sono le Regioni che devono intervenire per aiutare questo processo? La Corte Costituzionale con la sentenza n. 44/2014 scioglie la questione partendo dalla finanza pubblica. Se il tema principale, sia che sta alla base della riorganizzazione degli enti locali sia che sta alla base degli incentivi per la riorganizzazione, è la finanza pubblica allora questa è competenza statale. Quindi è lo Stato che deve in una sua cornice inserire le modalità attraverso cui gli enti locali si riorganizzano. Il TUEL all’art. 33 introduce una specie di zonizzazione, indicazione di zone ottimali (ATO ambiti territoriali ottimali). ‘Al fine di favorire l'esercizio associato delle funzioni dei comuni di minore dimensione demografica, le regioni individuano livelli ottimali di esercizio delle stesse, concordandoli nelle sedi concertative di cui all'articolo 4’ Il TUEL dice che è la Regione che deve indicare i livelli ottimali (della gestione dei rifiuti, del servizio idrico, etc..) e i comuni dovranno adeguarsi a questi. Il primo modo per attivarsi è quello relativo all’esercizio associato delle funzioni. Però il nostro ordinamento ha previsto numero modalità di esercizio delle funzioni. Procedimento di modifica o fusione di un comune Il primo elemento che dobbiamo analizzare è la modifica del comune. Io ritengo che un comune sia troppo piccolo (ergo niente livello ottimale fissato dalla Regione) io posso procedere attraverso modifiche o fusioni. Qual è il procedimento che sta alla base della modifica o fusione del comune ? Si chiede che siano sentite, come prima cosa, le popolazioni interessate (cioè i comuni interessati). Parte della dottrina dice che sono ‘interessati’ anche i comuni limitrofi che potrebbero subirne gli effetti. Ma perché si modificano i comuni? Per istituire nuovi comuni, perché dalla fusione di due si istituisce un nuovo comune. Oppure per ridimensionarli. Il TUEL ci dice però che io non posso formare nuovi comuni con meno di 10 mila abitanti. Eventualmente posso anche dividere un comune invece che fonderlo pero non deve avere meno di 10 mila abitanti. La modifica viene approvata con una legge regionale. Perché la legge regionale può essere impugnata di fronte alla Corte Costituzionale, con un giudizio in via principale, nel caso in cui lo Stato ritenga che questa modifica vada contro i principi sanciti dalla Costituzione. Questo è la ragione per cui è detta legge provvedimento. Ha la forma di una legge, non va ad innovare nulla ma prende atto di un procedimento di modifica. Le fusioni, a differenza delle modifiche, hanno un momento particolare dove vi è una fase transitoria. Una fase tra la decisione di fondere due comuni e l’approvazione di tutti gli atti (hanno due statuti, dei rappresentati eletti, etc… ). La legge prevede la nomina di un commissario che deve essere coadiuvato da un comitato consultivo che spesso è formato dai soggetti che rappresentano la giunta dei comuni, 3 5 sindaci che ci sono. Ovviamente per le fusioni il limite dei 10 mila non esiste. I benefici economici per la fusione sono alcuni nazionali alcuni regionali. 1. C’è un fondo nazionale che si eroga per 10 anni al comune che si è fuso. Si è deciso per 10 anni per evitare che si ritirino subito con gli incentivi appresso. 2. Poi non si perdono tutti quei benefici e quegli incentivi che erano stati assegnati ai comuni originali. Pensiamo ad un comune di 7000 abitanti e uno di 300 abitanti, che è delle aree interne. Il comune delle aree interne probabilmente sarà entrato in quel programma di sviluppo di aree interne e questo significa tanti soldi. Nel momento in cui mi fondo e quindi diventa un comune di 7300 quel comune non perde quei soldi, nonostante effettivamente non esista più l'‘area interna’. Si tratta di un fondo perequativo che va ai comuni in ragione delle loco peculiarità. Una delle maggiori peculiarità è essere comunità montana o comune area interna. 3. Si chiede alle Regioni di individuare ulteriori forme di beneficio economico nell’alveo del patto di stabilità verticale. Quel patto che ci dice che tutti gli enti economici devono stare in equilibrio finanziario. Si uniscono i benefici amministrativi che sono due: - la possibilità di prevedere la permanenza di municipi nei comuni che si sono fusi, dove si svolgono funzioni amministrative e non rappresentative. es. io ho 5 comuni, avrò la sede principale in un comune e poi 4 municipi dove metto del personale e svolgo dei servizi. Questo aiuta ovviamente a ‘graduare’ il cambiamento - La possibilità dello statuto prima della fusione. Se i comuni vogliono possono decidere di approvare prima lo statuto e poi seguire con la fusione. Di norma è il contrario. Procedimento di incorporazione Poi abbiamo l’incorporazione, cioè due comuni e un comune dice di essere incorporato in un altro e quindi cessa la sua personalità giuridica. La disciplina prevista dall’articolo 1 comma 130 della legge Delrio. È necessario innanzitutto un referendum tra i due comuni interessati. A seguito di questo una delibera dei consigli comunali interessati e poi una legge provvedimento regionale. Il comune incorporante mantiene la propria personalità giuridica e succede ai rapporti giuridici dell’incorporato. Decadono solo gli organi del comune incorporato. Procedimento per distacco Quando un comune si distacca da una regione per andare in un’altra regione. (Un comune passa dalla Toscana al Lazio). Il legislatore dice che ci deve essere un referendum regionale con la maggioranza di tutta la popolazione di tutti i comuni (volontà di tutta la regione). Ci sarà poi una legge della Repubblica a modificarlo. C’è un minimo di coinvolgimento anche della Regione cioè ‘si sentono i consigli regionali'. Questo ‘sentire’ la regione è un po vago: diciamo che spesso si utilizzano le conferenze unificate per avere un confronto con la Regione. Municipi Li troviamo nei casi di fusione. Non è un ente territoriale e non ha personalità giuridica. Le funzioni sono dettate dallo statuto dell’ente-comune che affida delle funzioni amministrative ai municipi stessi. Da non confondere con Roma che ha uno status diverso in quanto Roma capitale. I municipi di Roma sono in realtà delle circoscrizioni ma con dei pareri maggiori. I municipi di Roma hanno personalità giuridica. Circoscrizioni Che oggi conosciamo come luogo di partecipazione, di decentramento, di gestione dei servizi comunali in pezzi di territorio. Il TUEL prevede all’articolo 17 ‘I. I comuni con popolazione superiore a 250.000 abitanti articolano il loro territorio per istituire le circoscrizioni di decentramento, …. III La popolazione media delle circoscrizioni non può essere inferiore a 30.000 abitanti’ Il TUEL inoltre lascia la possibilità ai comuni con meno di 250 mila abitanti di istituire dei luoghi di partecipazione decentrata (consigli di partecipazioni, consigli territoriali, etc.) Quindi non si svolge attività amministrativa con propria personalità giuridica, ma si può svolgere tutta l’attività di partecipazione. Per i comuni con più di 300 mila abitanti si prevede la possibilità che lo statuto disciplini delle forme ulteriori di decentramento e di autonomia organizzativa proprio per dare maggiore spazio alla peculiarità del comune stesso. Gestione dei servizi fra comuni e non (se leggi sotto il titolo ha senso, giuro!) Alla luce di questo seppur si sia di fronte ad una materia spiccatamente di diritto pubblico, in alcuni frangenti si può decidere di gestire servizi fra comuni applicando istituti prettamente di diritto privato. CONVENZIONI La legge prevede che fra comuni si possano stipulare convenzioni per la gestione di determinati servizi. Facciamo un esempio. La Regione fissa i livelli ottimali e dice che il comune di Pisa deve gestire i rifiuti in un area di 500mila utenti. Ma Pisa non ce li ha. Fa una convenzione con Livorno. Si fanno convenzioni fra più soggetti per incentivare l’elasticità cooperativa fra i comuni. La legge n. 265/1999 disciplina convenzioni e modelli di cooperazione per la gestione dei servizi a livello ottimale. Accanto alle convenzioni abbiamo anche l’articolo 15 della legge 141/ 90 che sono i cd. Accordi gratuiti fra pubbliche amministrazioni. Sono accordi che hanno una procedura di diritto privato ma sostanzialmente sono accordi di diritto pubblico. L’articolo 30 TUEL disciplina le convenzioni. Prevedendo la possibilità da parte dei comuni di stipulare degli accordi che devono prevedere almeno tre elementi essenziali: - il fine: es. lo faccio per gestire i rifiuti. Quando il comune cede un pezzo della propria competenza deve farlo in modo chiaro - la durata: non può essere una convenzione che dura per sempre. Deve esserci una durata che disciplini quando questo accordo finirà e quali sono gli effetti della fine di questo accordo (eventuali debiti o crediti) - Forme di consultazione: Come si governa questo accordo? Non possono farlo i sindaci etc… Ci devono essere delle forme di consultazione fra i vari comuni. Può essere un comitato, un comitato fatto da due sindaci. È necessario che ci sia una forma che permetta la consultazione e l’eventuale riorganizzazione dell’accordo stesso. Dentro questo accordo devono essere gestite anche le modalità di gestione degli equilibri finanziari, cioè chi paga e come si paga. I costi e le entrate. Questa previsione era già inserita nella legge 142/90, il TUEL la fa propria e la estende a tutti gli enti locali. C’è molta flessibilità tanto che la norma prevede anche la possibilità di istituire degli uffici comunali in convenzione. Spesso avviene per esempio nella gestione del sociale. Si pensi alla possibilità per un comune piccolo di avere un assistente sociale. Se questo fa una convenzione con un altro per lo svolgimento di quell’attività ovviamente nessuno avrà un suo assistente sociale, ma tutti e due ne hanno uno che distribuisce il servizio. Questo avviene specialmente nei ‘comuni diffusi’ dove si decide per esempio di mettere insieme la polizia municipale. È il corpo di polizia amministrativa al cui capo vi è il sindaco. Questo poi nomina un comandante. Nei comuni con pochi abitanti spesso riescono ad avere un agente di polizia municipale e questo da solo non fa niente no forma neanche una volante. E quindi convenzione fra 6 comuni che gestiscono insieme 6 agenti di polizia municipale. Dobbiamo dividere in due le convenzioni: - di funzioni: posso mettere insieme la funzione del sociale. - di servizi: posso fare una convenzione sulla mensa. All’interno di una funzione io identifico un determinato servizio e decido di inserirlo in convenzione. Le convenzioni poi possono essere: - libere: quando l’attività viene svolta attraverso una dislocazione o delegazione del procedimento. Non si crea un ufficio ma decido che i comuni che fanno la convenzione, ognuno per le proprie capacità lavora anche per questa convenzione. Il comune a b e c dicono che gestiscono insieme la mensa. Un funzionario di a perderà un pezzo del tempo per la gestione degli appalto, uno di b gestisce le graduatorie per l’accesso alla mensa, etc… - strutturate: prevedono degli uffici comuni. Istituisco un ufficio che ha un proprio responsabile. Spesso si tende a fare convenzioni libere quando si parla di servizi, invece si tenderà a fare convenzioni strutturate quando vanno gestite le funzioni. Tramite le convenzioni si possono istituire anche dei consorzi, cioè soggetti pubblici che gestiscono per il comune determinate attività. - Facoltative: quelle in cui i comuni non sono obbligati ma decidono di farle. - Obbligatorie: il TUEL prevede delle convenzioni per i commi più piccoli che devono svolgere in forma o associata o di convenzione un servizio. Articolo 30 TUEL comma III. ‘… lo Stato e la regione, nelle materie di propria competenza, possono prevedere forme di convenzione obbligatoria fra enti locali, previa statuizione di un disciplinare-tipo.’ ACCORDI DI PROGRAMMA Articolo 34 TUEL Non è altro che una convenzione ma non esclusivamente fra enti locali, ma presuppone enti eterogenei. es. fra Comune di Pisa, la regione toscana e il ministero degli esteri. Sono soggetti differenti con competenze differenti. È ovviamente più complicato come accordo. Mentre nella convenzione i soggetti hanno la stessa natura, negli accordi i soggetti hanno natura differente, soggetti differenti che gli rappresentano e procedure differenti. Viene creata una conferenza, convocata con tutti i soggetti dal cd. capofila (chi ha la competenza primaria). È evidente che sulla gestione dei rifiuti sarà un soggetto se invece si tratta di gestione delle case circondariali sarà un altro soggetto. In questa conferenza vengono accertate le competenze (fino a che punto possono arrivare i vari soggetti), gli interessi e gli obblighi di ognuno. Quando la conferenza è matura si stipula una bozza che viene approvata da tutti i soggetti che ne fanno parte. Questa bozza, dopo essere approvata, farà parte di un decreto del presidente della Regione che avrà effetto immediato. Per determinati atti soprattutto in ambito edilizio o urbanistico si richiede che i consigli comunali ratifichino questo accordo. Il tema che ci si è posti è: ma gli accordi di programma si possono fare solo fra soggetti pubblici oppure, per la loro peculiarità, possono includere anche soggetti che hanno interessi privati? Il giudice amministrativo ha detto che si possono coinvolgere anche soggetti che magari non sono interessati direttamente alla stipula di questo accordo (si pensi alle associazioni ambientaliste, che hanno un interesse di tutela ma non perché devono agire) Anche se non hanno interesse diretto, proprio per la peculiarità, possono partecipare. L’accordo di programma non deve essere confuso con la conferenza dei servizi. Questa è un iter procedimentale nella formazione di un atto, mentre l’accordo di programma è una gestione condivisa di determinate servizi o funzioni. CONSORZI Un’altra modalità molto simile alla convenzione, in qualche modo l’evoluzione della convenzione. Riguarda tutti quei casi in cui si decide che si vuole fare una convenzione fra comuni, la quale crei un soggetto esterno che gestisca questa funzione. Il consorzio quindi parte da una convenzione. In questa si dovrà prevedere da una parte lo statuto che deve essere adottato dai singoli comuni e dall’altra gli elementi che contraddistinguono la personalità giuridica di questo soggetto. Gli elementi che qualificano la personalità giuridica sono gli organi e la natura di questo consorzio. La natura può essere di due tipi: - di servizi - di funzioni Negli organi ci dovrà essere un’assemblea (organo rappresentativo) che ha il potere di modifica dello statuto. Spesso ne fanno parte i sindaci o i loro delegati, che tra le varie competenze hanno anche l’elezione del consiglio d’amministrazione. È per questo che si applica ai consorzi la normativa propria delle aziende speciali. Questo è l’elemento qualificante rispetto alle convenzioni. Non si ha più un semplice rapporto fra comuni ma da questo nasce un soggetto che dipende da quei comuni, che gestisce per loro quella funzione o quel servizio ma che è controllato dai comuni da un’assemblea che ha un potere di nomina del CDA (consiglio di amministrazione). Dipendendo da statuto a statuto la presenza di un presidente del consorzio, la cui modalità di elezione viene stabilita dallo statuto stesso, si ha un altro soggetto che ha una maggiore capacità di contrattazione con il privato che è un soggetto che segue la disciplina delle aziende speciali, ha poteri che gli enti locali non hanno. Avviene che in questi casi negli anni i consorzi hanno sempre di più avuto una propria centralità tanto da rappresentare un’alternativa rispetto alle aziende speciali. Negli anni 90 si staccano le vecchie aziende speciali e diventano consorzi. Questo perché con la maggiore centralità che inizia avere l’ente locale e il comune, si da più potere al comune, questo rimane nella governance e, sostanzialmente, un soggetto semi pubblico. Se è vero che dei consorzi possono far parte anche soggetti privati, questi comunque non hanno la maggioranza. La governance è in mano ai soggetti pubblici. La legge 488 del 2001 è la legge di riforma dei servizi pubblici e riconosce i consorzi come modalità organizzativa capace di coniugare aspetti pubblicistici, quindi l’individuazione di un fine pubblico e il perseguimento di un fine pubblico ha la necessità di non fare profitto, ad aspetti privatistici e più prettamente aziendalisti. Nel 2009 si iniziano a sopprimere i consorzi di funzione per evitare di creare un ente parallelo al comune. Se io decido di dare una funzione ad un consorzio vuol dire, con un potere anche di governance, creare una sostanziale sostituzione e non un’eventuale gestione associata dei servizi. I liberi consorzi siciliani (è una roba a caso che ha in messo in mezzo adri, puoi anche skipparla secondo me) sono molto più simili perché sono una suddivisione amministrativa. Mentre i consorzi sono una decisione di costituzione fra più enti che decidono liberamente, questi sono una suddivisione amministrativa che uniscono più comuni e prendono i poteri degli organi di secondo livello, cioè le province a livello organizzativo (mooolto a grandi linee) e in parte sono simili all’unione dei comuni come funzioni. Le province È un soggetto che ha subito dopo la legge Delrio una modifica sostanziale. Ha visto negli anni una discussione rispetto alla sostenibilità di questa riforma. L’articolo 114 richiama le province come soggetto autonomo che è munito di statuto, di propri poteri, di funzioni e che è rappresentativo della popolazione insistente su un territorio sovracomunale. Quindi anche in questo caso ritroviamo tutti i principi di autonomia che abbiamo visto. Qui però rispetto al comune abbiamo due variazioni. 1. Funzionale: vi sono delle funzioni definite dalla legge Delrio che sono attribuite alle province. Funzioni che la legge Delrio rivede in parte ma che sono elencate all’articolo 19 comma I del TUEL: le più importanti riguardano la viabilità e i trasporti, poi la tutela del territorio, la difesa del suolo, i compiti connessi all’istruzione di secondo grado, la valorizzazione dei beni culturali e la raccolta di dati utili per la predisposizione di politiche pubbliche. Vi sono anche funzioni secondarie per es. riguardanti la regolamentazione della caccia e della pesca nelle aree interne oppure questione in ambito sanitario, di profilassi.Una serie di altre funzioni minori che l’articolo TUEL indica ma che poi successivamente la legge Delrio va a declinare nella nuova organizzazione della provincia. Poi abbiamo non solo una caratterizzazione funzionale, ma anche una caratterizzazione territoriale. A differenza del comune ha una competenza sulla cd. Area vasta, promuove anch’essa lo sviluppo della comunità ma in un’area inter comunale. 2. La legge Delrio va a modificare la parte relativa agli organi, cioè a come è strutturata la provincia e quindi andando a far venir meno la cd. Rappresentanza politica. La disciplina costituzionale che regolamenta la provincia prevede modalità attraverso le quali è possibile modificare il territorio provinciale. Articolo 133 comma 1 Cost. ‘Il mutamento delle circoscrizioni provinciali e la istituzione di nuove Provincie nell'ambito d'una Regione sono stabiliti con leggi della Repubblica, su iniziativa dei Comuni, sentita la stessa Regione.’ I comuni hanno l’iniziativa. Il TUEL specificherà all’articolo 21 la modalità attraverso il quale si può dare seguito a questa iniziativa. Ossia con una consultazione che deve tenere conto di due maggioranze. La maggioranza dei comuni dell’area. Se sono 10 comuni serve che 6 dicano si. E la seconda maggioranza è la maggioranza della popolazione. A quel punto viene approvata una delibera a maggioranza assoluta, poi la regione sarà interessata dal procedimento e verrà coinvolta attraverso la richiesta di un parere. La nuova provincia per legge non può avere meno di 200 mila abitanti e ogni comune può far parte di una sola provincia. La definizione di territorio provinciale non è semplice perché la norma dice che la provincia è quel territorio entro la quale si esplicano la maggior parte dei rapporti sociali, economici, amministrativi di un territorio, e in particolare della popolazione residente e poi unisce quello che sappiamo essere il principio di adeguatezza. Alla luce di questo la dimensione deve essere tale da permettere il giusto equilibrio per lo sviluppo sociale, economico e demografico. La provincia a differenza del comune ha più criteri da seguire per una eventuale statuizione. E nella delibera devono essere inserite le analisi di tutti questi aspetti e la motivazione che ha portato i comuni e poi la regione a chiedere l’istituzione di nuove province o la modifica delle province esistenti. Viene approvata la legge n. 56 del 2014 che va a modificare la parte relativa alla governance e va a riprendere nel comma 85 le funzioni che gli venivano affidate dal TUEL. Tutto ciò chiarendo che la provincia è un’ente di area vasta che ha come principale obiettivo quello di coordinare altri soggetti territorialmente inclusi nel suo territorio. Potere di maggiore coordinamento. In tutto ciò si da la possibilità allo Stato e alle Regioni di affidare ulteriore competenza alle varie province prevedendo altresì le modalità attraverso le quali si coprono eventuali spese in determinati casi in cui, o per es. le province potrebbero presentare l’ambito ottimale di esercizio oppure si identifica che la provincia è di un livello a cui tendere per lo svolgimento efficace delle funzioni fondamentali oppure se lo richiedono esigenze di interesse nazionale. 2 e 3 ora il pomeriggio Le città metropolitane La legge costituzionale n. 3/2001 introduce le città metropolitane. Queste saranno poi disciplinate dalla legge Delrio. Si vede l’istituzione di aree metropolitane: aree che sia a livello geografico che demografico rappresentano porzioni di territorio molto ampie. Sono previste dall’articolo 22 TUEL. Le città metropolitane differentemente dai comuni, province ha dei confini non delimitati dalla popolazione o dal territorio, ma da elementi di sviluppo economico. Il TUEL richiama si un’omogeneità territoriale ma soprattutto ciò che interessa al legislatore sono le integrazioni in ordine all’attività economica e produttiva. È data ampia possibilità alle aree metropolitane di agire in ambito economico rispetto alla predisposizione di piani strategici, etc… Ha delle competenze più spiccatamente amministrative e strategiche. Sono formate dalla città più grande, la città capoluogo, e i comuni che sono limitrofi. Il TUEL poi lasciava potere alle regioni di identificare, sentiti gli enti locali interessati, l’ampiezza dell’area metropolitana. Era la regione che delimitava l’estensione dell’area, salvo potere sostitutivo, se non fatto entro 180 gg, da parte dello Stato. Le città metropolitane possono essere viste in parallelo con le province. Cosa differenzia le province e le città metropolitane? La città metropolitana ha una dotazione organica, patrimoniale, ha funzioni ben definite. Al pari della provincia è posta alla base di gestioni integrate di funzioni, di infrastrutture. Quindi anche questo è un ente di coordinamento. Più della provincia ha un’attività di pianificazione e strategica che la rende maggiormente autonoma. Può incidere sullo sviluppo economico di quell’area. L’unione dei comuni L’unione dei comuni la facciamo per ultima perché rappresenta sostanzialmente la strategia che ha interessato il legislatore italiano rispetto alla riorganizzazione dei comuni. È stato lo strumento più usato. L’unione dei comuni prevede un cd. Associazionismo comunale. Non solo metto insieme funzioni o servizi ma organizzo la gestione dei servizi a partire dalla dotazione organica esclusiva e dalla governance che mi da l’indirizzo politico. A differenza delle fusioni mantengo però il mio comune e dei servizi in comune. C’è un po di convenzione un po di fusione. La disciplina relativa all’unione dei comuni è molto ampia. Il legislatore la inserisce quasi in tutte le norme che disciplinano gli enti locali, e soprattuto la inserisce anche in norme finanziarie che interessano eventuali stanziamenti. La disciplina dell’unione dei comuni la troviamo nel TUEL, nel decreto legge n. 78/2010, nella legge 56/2014. Abbiamo anche una legislazione regionale molto ampia. Questo perché si lascia il potere alle regioni di disciplinare determinati aspetti per facilitare l’accesso all’associazionismo comunale. Ci sono alcune regioni dove possono unirsi comuni solamente confinanti, altre in cui non devono essere per forza confinanti. Lo stesso avviene per la questione economica. Molti regioni prevedono uno stanziamento da parte della regione in relazione alla quantità di funzioni che vengono svolte nell’unione. La legge prevede poi degli obblighi di associazionismo, cioè tutti i comuni minori di 5000 abitanti o le comunità montane minori di 3000 abitanti devono svolgere in modo associato le funzioni fondamentali. Forma associata vuol dire o unione dei comuni o convenzioni. Questo perché la gestione di una funzione fondamentale da parte ad es. di un comunità montana è difficile ed ha un costo che difficilmente riesce ad essere sostenuto. Il TUEL all’articolo 32 disciplina e identifica l’ente unione dei comuni. Si dice sostanzialmente che è costituito da due o più comuni, di norma con termini, finalizzato all’esercizio di funzioni o servizi. Il TUEL specifica che si può far parte di una sola unione dei comuni ma si possono stipulare più convenzioni fra comuni che fanno parte di unioni di comuni differenti. L’unione dei comuni non segue il territorio provinciale, possono unire comuni di province diverse. L’unione dei comuni deve avere un proprio statuto che deve essere approvato da tutti i consigli comunali dell’unione. La legge Delrio prevede che il limite minimo per l’istituzione di una nuova unione deve essere di 10 mila abitanti, per i comuni facenti parti delle comunità montante devono avere almeno 3000 abitanti. Ogni unione dei comuni deve avere almeno 3 comuni. L’unione dei comuni ha tre organi: Il presidente dell’unione dei comuni viene eletto internamente fra i vari sindaci la giunta dell’unione dei comuni la cui composizione è demandata allo statuto dell’unione dei comuni. Questo fra altro può prevedere o una giunta fatta da tutti i sindaci oppure una giunta fatta da un tot di sindaci che spesso vengono selezionati a rotazione. (unioni con 6 comuni avranno i sindaci, quelle con più comuni faranno a rotazione) il consiglio dell’unione, anch’esso disciplinato dallo statuto. I consiglieri sono eletti fra i consiglieri comunali. Alle unioni dei comuni si affiancano le cd. comunità montane e le comunità isolane che hanno la particolarità sia di dover valorizzare il territorio sia svolgere le funzioni come fosse un’unione di comuni. Qui però la comunità montane vengono disciplinate dalla legge regionale. Anche queste hanno degli organi rappresentativi come il presidente, la giunta e il consiglio. A questi si legano una serie di peculiarità che sono inserite nello statuto della comunità. L’unione dei comuni è una forma organizzativa. Poi può capitare che l’unione dei comuni venga definita ente locale ma no è sbagliato. È una forma associativa di enti locali. !!! non ente locale a se ———————————————————————————————————————— ORGANIZZAZIONE POLITICA E AMMINISTRATIVA DEL COMUNE All’articolo 36 comma 1 TUEL: - Consiglio - La giunta - Il sindaco Fino alla legge 81/1993 la forma di governo è una forma di governo sostanzialmente parlamentare. Fino a quel momento si eleggeva il consiglio comunale e poi, dentro, si eleggeva il sindaco. Si dice parlamentare perché è come i sistemi parlamentari: noi si eleggono i deputati e senatori e poi loro eleggeranno il Presidente. Oggi siamo in una disciplina un po speciale perché non è una disciplina parlamentare, non è una disciplina vicina al presidenzialismo, non vi è una netta distinzione degli organi come avviene nel presidenzialismo e soprattutto non si è perfettamente in linea con la disciplina propria del semipresidenzialismo. ******rinfreschiamoci la memoria****** brrr**************************************** Il presidenzialismo è una forma di governo che prevede che il Presidente dell’organo esecutivo e dello Stato ( la stessa persona) sia votato dagli elettori e gli stessi votano anche il Congresso (parlamento). Il Presidente, essendo capo di Stato, non ha bisogno del voto di fiducia parlamentare anche perché, avendo già ottenuto il voto della maggioranza dei cittadini, non ha bisogno della fiducia dei loro rappresentanti (parlamentari) Il presidente degli stati uniti e parlamento non hanno potere d’influenza se non in tre casi: in caso delle nomine, della votazione di bilancio e nel caso del cd. Impeachment (messa in stato di accusa). La forma di governo dell’ente locale non è questo perché c’è un rapporto di fiducia fra giunta e consiglio e poi perché tutti gli atti passano dal consiglio. Il semipresidenzialismo è invece un’altra forma di governo, propria della Francia. Gli elettori sono chiamati ad eleggere due organi: il Parlamento e il Presidente della Repubblica. Poi loro di concerto individueranno il Presidente del Consiglio dei Ministri. Qui ci può essere la cd. cohabitation, cioè quella situazione di governo diviso in cui la maggioranza parlamentare e il capo dello Stato in carica appartengono a schieramenti opposti. Quindi si devono accordare per scegliere un Presidente del Consiglio che vada bene a tutti. Neanche il semipresidenzialismo può essere la forma di governo dell’ente locale. Mentre nel semi-presidenzialismo non si può sciogliere il parlamento perché è votato e quindi le eventuali dimissioni del presidente del consiglio portano a una nuova individuazione, nel consigli comunali il venir meno del sindaco porta al commissariamento e allo scioglimento del consiglio. *****fine rinfresco**************************************************************** Siamo in una forma un po’ ibrida propria dell’ente locale. Vige il principio del ‘simul stabunt vel simul cadent’, cioè il sindaco e il consiglio sono legati dallo stesso destino. Le elezioni Per arrivare all’elezione dei rappresentanti applichiamo i principi costituzionali. In particolare l’articolo 1 Cost., l’articolo 48 Cost. che riguarda il voto. Negli enti locali il diritto di voto inizia in epoca monarchica, viene bloccata durante fascista dove non si chiede più l’elezione ma il gerarca è scelto direttamente dal livello nazionale. In epoca repubblicana viene poi nuovamente inserito. La legge 81/93 disciplina il voto per i sindaci. La legge 56/2014 disciplina il voto per il presidente della provincia. Le elezioni si svolgono di norma in una domenica fra il 15 aprile e 15 giugno ed è fissata dal ministero degli interni non oltre il 30° giorno precedente alla comunicazione al prefetto. Questo se l’evento di scioglimento avviene entro il 24 febbraio, altrimenti viene commissariato. Si sa che soprattutto a causa del Covid alcune elezioni sono state fissate in altri periodi, approvando dei decreti legge. Sostanzialmente ci sono molti comuni che hanno votato nel settembre 2020. E dovranno rivotare nel 2025. Quindi la discussione in atto è: quando svolgere quella votazione? Siamo usciti dall'eccezione quindi bisognerebbe ritornare a quello che ci dice la norma. Quindi che faccio: li sciolgo un anno prima? (i comuni dovrebbero durare 5 anni). No, l’intento che si ha è quello di posticipare le elezioni. Si sposteranno da ottobre 2025 a maggio , aprile, giugno 2026. Ancora non si sa comunque. La disciplina sul voto è una disciplina che prevede delle garanzia per i soggetti che si candidano. In particolare la legge 28/2000, e le successive modificazioni, indica la parità di accesso alle informazioni oltre a specificare le regole fissate per la commissione di vigilanza. In particolare prevede, dal momento della convocazione dei comizi, il divieto assoluto da parte delle amministrazioni di svolgere comunicazione pubblica, se non quella limitatamente necessaria per dare informazioni istituzionali ai cittadini. (es. la scuola rimane chiusa per …) Questo per far si che il sindaco e la maggioranza uscente non si approfittino. È importante anche la disciplina relativa agli spazi di affissione. Nel 1956 all’atto di approvazione della legge 212 individuare le affissioni abusive era molto più semplice perché non c’erano i social. Le persone per votare o conoscevano i candidati per indirizzi politici oppure perché vedevano i manifesti li appiccicati. Si definisce che la giunta debba indicare gli spazi concessi ai vari soggetti fra il 33° e 36° giorno antecedente alle elezioni e comunicarlo ai soggetti. La legge 515/1993 prevede la possibilità di utilizzo degli spazi comunali, durante la campagna elettorale e tariffe agevolate (soprattutto sull’IVA) per tutto il materiale elettorale. Questo viene controllato attraverso il mandatario elettorale, o il committente responsabile se non c’è il mandatario elettorale, cioè quel soggetto che definisce in capo a se la responsabilità di quello che viene stampato. L’elettorato attivo sono: tutti i cittadini iscritti nelle liste elettorali che abbiano compiuto il 18° anno di età, almeno il giorno prima delle elezioni. Sono esclusi dal diritto di elettorato attivo tutti quei soggetti che sono destinatari di misure di prevenzione o di sicurezza o che sono interdetti dalla legge. i cittadini residenti si uniscono i cittadini europei residenti nel territorio, che siano iscritti nelle liste AIRE e che abbiano fatto richiesta di voto presentata almeno 40 gg antecedenti al giorno del voto. Loro hanno anche l’elettorato passivo. Possono essere eletti consiglieri e possono anche essere nominati sindaci. Questa è una disciplina che prevede un ampio accesso. Come si diventa componenti della giunta? Su nomina del sindaco che comunica la giunta al primo consiglio comunale utile. Il consiglio comunale ovviamente non ha potere di fiducia, la nomina è del sindaco. Il sindaco potrebbe paradossalmente decidere il giorno dopo di ritirare tutte le deleghe. Vedremo che nei comuni minori i consiglieri possono svolgere sia il ruolo di assessore che di consigliere; a Roma capitale un consigliere se viene nominato in giunta, svolge il ruolo della giunta e subentra temporaneamente il successivo, qualora l’assessore si dimettesse da assessore a quel punto tornerebbe consigliere comunale. Sono le uniche due eccezioni fra l’incompatibilità fra assessore e consigliere. 6 novembre L’elettorato passivo è composto da: - cittadini residenti nel comune - cittadini residenti in altro comune - Cittadini non italiani. Come funziona la legge elettorale dei comuni Italiani? Oggi abbiamo una legge elettorale che prevede l’elezione diretta dei sindaci e una sostanziale proporzionalità rispetto l’attribuzione dei seggi corretta sia dalla soglia di sbarramento che dal premio di maggioranza. Questa legge elettorale divide i comuni in due categorie: Fino i 15 mila abitanti Nei comuni sotto il 15 mila abitanti c’è minore interesse rispetto all’elezione a sindaco, assessore, etc… per ragioni ovviamente economiche e di prestigio. I soldi percepiti sono commisurati rispetto al numero di abitanti e al fatto che quel comune sia o meno capoluogo di provincia. Nonostante l’indennità sia aumentata non invoglia a svolgere i ruoli pubblici. È evidente che fare il sindaco di un capoluogo di provincia è prestigioso. Per questo nei comuni con meno di 15 mila abitanti. Per la questione legata al prestigio è evidente che fare il sindaco di un capoluogo di provincia ha un suo prestigio considerando anche la presenza di prefetture, etc… Per questa ragione nei comuni con meno di 15 mila abitanti c’è una normativa che facilita le candidature. L’articolo 71 TUEL disciplina la legge elettorale nei comuni sotto i 15 mila abitanti: III comma ‘Ciascuna candidatura alla carica di sindaco è collegata ad una lista di candidati alla carica di consigliere comunale, comprendente un numero di candidati non superiore al numero dei consiglieri da eleggere e non inferiore ai tre quarti.’ Ciascun candidato a sindaco ha UNA sola lista collegata. La lista non può avere un numero di candidati superiore ai candidati eleggibili Il minimo che la lista può proporre in termini numerici sono i 3/4 dei candidati eleggibili. Se c’è un consiglio comunale di 12 consiglieri, io candidato a sindaco posso presentare da 9 a 12 possibili consiglieri nella mia lista. Viene eletto sindaco colui che riceve più voti. Nei casi in cui ci sia una parità fra due candidati verrà fatto un ballottaggio nella seconda domenica successiva al giorno della prima elezione. Come vengono assegnati i seggi? I seggi vengono assegnati con il metodo d’Hondt corretto dal premio di maggioranza. Il sindaco vincente riceverà i due terzi dei consiglieri. L’altro terzo verrà distribuito con il metodo d’Hondt. Questo metodo consiste nella divisione del numero dei voti di ciascuna lista per un coefficiente che va da uno a infinito. Facciamo un esempio cosi si capisce bene. Ci sono 4 candidati a sindaco (A-B-C-D), ognuno dei quali ha una lista collegata. Vince il candidato D. 3/