Summary

This document details the effects of leptin and other adipokines on obesity, focusing on the inflammatory responses associated with adipose tissue dysfunction. It also discusses the role of microbiota and gut barrier issues in obesity and the resulting co-morbidities. The document discusses the relationship between exercise and inflammation in the context of obesity.

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Un’altra adipochina importante, la cui funzionalità è alterata nel soggetto obeso, è la leptina. Anch’essa ha duplice funzione: Dà senso di sazietà ed è prodotto normalmente quando l’individuo ha assunto le calorie necessarie. Stimola la spesa energetica tramite produzione di calore...

Un’altra adipochina importante, la cui funzionalità è alterata nel soggetto obeso, è la leptina. Anch’essa ha duplice funzione: Dà senso di sazietà ed è prodotto normalmente quando l’individuo ha assunto le calorie necessarie. Stimola la spesa energetica tramite produzione di calore negli adipociti bruni. I livelli di lectina nei soggetti obesi si mantengono alti; quindi, si pensa che in questi soggetti si sviluppi un fenomeno di resistenza alla lectina, per cui il senso di sazietà non insorge. Il tessuto adiposo è in grado di produrre anche le classiche citochine pro-infiammatorie (IL-1, IL-6, IL-10), in grado di reclutare i leucociti. L'obesità si associa ad accumulo di macrofagi nel tessuto adiposo che partecipano alla secrezione di citochine proinfiammatorie (sono la principale sorgente), contribuendo allo stato di insulino- resistenza proprio dell'obesità. Si pensa che l’aumento di dimensioni del tessuto adiposo, che non è associato ad un’aumentata vascolarizzazione, crea un ambiente ipossico che causa morte degli adipociti instaurando lo stato infiammatorio. Le citochine prodotte dal tessuto adiposo, anche se di basso livello, possono stimolare nel fegato la produzione di CRP, portando a reazioni di fase acuta. Nel soggetto obeso si osserva un aumento di volume del tessuto adiposo bianco (deputato al deposito). Si osserva anche un cambiamento nell’espressione di alcune adipochine: calano i livelli di adiponectina, importante per contrastare l’infiammazione e per mantenere la sensibilità all’insulina nei tessuti. L’abbassamento dei suoi livelli causa insulino-resistenza, questa è aumentata ulteriormente dalle altre citochine pro-infiammatorie con effetti sistemici. Il tessuto adiposo, in conseguenza alla glicemia alta aumenta la lipolisi e i livelli di acidi grassi liberi nel circolo sanguigno, con conseguenze a diversi livelli: A livello epatico questo causa steatosi. Le cellule beta del pancreas sono danneggiate riducendo la produzione di insulina, il fegato, non potendo captare il glucosio, cerca di compensare producendo ulteriore glucosio e lo immette nel circolo → diabete. Il tessuto adiposo bruno atrofizza a causa del rilascio di citochine pro-infiammatorie, ciò causa quindi una riduzione nella spesa energetica e capacità di termoregolazione. ALTERAZIONI MICROBIOTA E BARRIERA INTESTINALE I meccanismi alla base dello stato infiammatorio cronico di basso grado di obesità riguardano: Il tessuto adiposo: nel soggetto obeso il tessuto adiposo bianco cresce e c’è una disregolazione a livello di citochine che provocano un effetto sistemico. L’intestino: nel soggetto obeso vi è uno stato di disbiosi a livello del microbiota intestinale e presentano una barriera intestinale più permeabile, esponendoli maggiormente all’ingresso di endotossine di cui l’intestino è ricchissimo, causando endotoxemia (distribuzione sistemica della tossina → infiammazione). Le alterazioni del microbiota possono causare co-morbidità psichiatriche nei soggetti obesi. Questa condizione è infatti collegata all’insorgenza di: Affaticamento Disturbi del sonno Difficoltà cognitive Dolore cronico Depressione 80 L'infiammazione sistemica nell'obesità contribuisce all'aumento dei processi infiammatori centrali (in particolare nell'ippocampo e nell'ipotalamo) e alle disregolazioni metaboliche, compresa l'insulino-resistenza. L’alimentazione mediterranea è molto ricca di cibi antinfiammatori, quindi può ridurre il rischio di sviluppare obesità e i disturbi collegati. È importante anche il ruolo dei lactobacilli nel microbiota intestinale in quanto in grado di: Aiutare a rafforzare il sistema immunitario Metabolizzare le fibre alimentari per produrre acidi grassi a corta catena (SCFA, vedi pagina 27) Aiutare a contrastare l’infiammazione Proteggere la barriera intestinale Cibi che mantengono e aumentano l’abbondanza di Bifidobacterium bifidus sono cibi fermentati come yoghurt bianco, kefir e alimenti contenenti prebiotici come i fruttoligosaccaridi (FOS): legumi, cereali integrali, asparagi, carciofi, topinambur, banana. ATTIVITÀ FISICA ED INFIAMMAZIONE L’attività fisica svolge un ruolo di prevenzione primaria (prevenire l’insorgenza) e secondaria (prevenire l’aggravamento) di molte patologie croniche come obesità, diabete mellito, ipertensione ed aterosclerosi. Può inoltre contrastare la perdita di funzione di molti distretti associata all’invecchiamento, tra cui l’osso ed il muscolo scheletrico. Considerato che il muscolo scheletrico è l’organo più grande del corpo, la scoperta che durante la contrazione il muscolo diventa un organo produttore di citochine anti-infiammatorie apre una nuova prospettiva. Anche il muscolo scheletrico, dunque, è da considerarsi un organo endocrino: l’attività fisica regolare stimola il rilascio, da parte del muscolo scheletrico, di numerose proteine denominate miochine. Molte miochine hanno un ruolo importante nel contrastare l’obesità in quanto anti-infiammatorie. Il profilo citochinico dell’attività fisico è diverso rispetto a quello associato all’infezione: non porta a produzione delle principali citochine pro-infimmatorie ma causa un picco di produzione di IL-6 nel muscolo, che a livello sistemico: Stimola la produzione di glucosio a livello epatico Induce la mobilizzazione di lipidi dal tessuto adiposo Aumenta la sensibilità all'insulina Riduce TNF-α Induce citochine anti-infiammatorie La prima miochina ad essere stata identificata è la miostatina. Essa agisce come un regolatore negativo della crescita del muscolo scheletrico e inibisce la riparazione ossea. L’esercizio fisico riduce i livelli di questa proteina nel muscolo di individui obesi e porta alla perdita di tessuto adiposo. L’irisina stimola la conversione del grasso bianco in grasso bruno. ATTIVITÀ FISICA E MICROBIOTA INTESTINALE L’attività fisica favorisce la diversità del microbiota intestinale, incrementa il numero di specie batteriche salutari e lo sviluppo di batteri che aumentano la produzione di acidi grassi a catena corta (SCFA – Short Chain Fatty Acids) fra cui il butirrato. Quest’ultimo ha: Attività anti-infiammatoria per inibizione del fattore di trascrizione NF-kB Attività anti-ossidante Rinforza i meccanismi di difesa della barriera intestinale Azione antitumorale 81 2 maggio 2024 DIABETE Il Diabete Mellito è una malattia cronica caratterizzata da iperglicemia (anche a digiuno) secondaria ad un difetto di secrezione o di attività dell’insulina. L’iperglicemia a lungo termine provoca danni a vari organi: occhio (retinopatie), rene (nefropatie), sistema nervoso periferico (neuropatie periferiche), apparato cardiovascolare. La diagnosi di diabete è stabilita attraverso un esame del sangue in cui viene misurata una glicemia a digiuno che supera i 126mg/dl. La causa dell’epidemia globale del diabete è risalibile ad un aumento di prevalenza di uno stile di vita sedentario collegato ad un introito di calorie eccessivo. FISIOLOGIA DEL TRASPORTO ED UTILIZZO DEL GLUCOSIO NELLE CELLULE Il glucosio è il principale substrato del metabolismo energetico e i suoi livelli ematici sono mantenuti costanti (omeostasi) dalla continua assunzione alimentare e dai processi di gluconeogenesi e glicogenolisi. La scissione del glicogeno epatico garantisce una rapida liberazione di glucosio, e il mantenimento della sua concentrazione ematica costante. Le concentrazioni di glucosio plasmatico dipendono da: Glucosio endogeno o Gluconeogenesi o Glicogenolisi Glucosio esogeno: assorbimento dei carboidrati del pasto Utilizzazione periferica Eliminazione renale: abbondante nel soggetto diabetico Nonostante l’alternanza di periodi di alimentazione e digiuno, la glicemia rimane in una ristretta banda di oscillazione. Una glicemia normale a digiuno è pari a 100 mg glucosio su 100 ml sangue. Il pancreas endocrino produce gli ormoni insulina e glucagone che hanno un ruolo fondamentale nel regolare l’omeostasi del glucosio sia nel periodo di alimentazione che di digiuno. L’insulina è secreta principalmente in risposta ad un aumento del livello ematico di glucosio, il glucagone in risposta ad un suo calo. Le diverse molecole prodotte dal pancreas sono prodotte da tipi cellulari distinti, che si associano in isole pancreatiche. Le isole pancreatiche sono composte da: 1. Cellule acinose: producono enzimi digestivi in forma inattiva 2. Cellule beta: producono l’insulina 3. Cellule alfa: producono il glucagone CONTROLLO ORMONALE DELLA GLICEMIA L'insulina (ipoglicemizzante) ed il glucagone (iperglicemizzante) sono secreti dal pancreas per mantenere l’omeostasi del glucosio. Lo scopo dell’insulina è abbassare la glicemia per farla rientrare in un range fisiologico stimolando l’uptake del glucosio, il suo utilizzo e deposito. Il glucagone svolge l’azione opposta: alza la glicemia favorendo il rilascio di glucosio dai depositi (glicogenolisi) e la produzione di glucosio a livello epatico (gluconeogenesi). Il glucosio, una volta entrato nella cellula, è immediatamente fosforilato e questa modificazione fa sì che esso non sia più in grado di lasciare la cellula. Le cellule del fegato, che hanno anche il compito di fornire glucosio 82 tramite il circolo sanguigno in caso di ipoglicemia, producono l’enzima glucosio-6-fosfatasi che rende possibile l’uscita del glucosio dalla cellula. I destini del glucosio sono: 1. Ossidazione tramite la via dei pentosio fosfati: produce ribosio 5-fosfato utilizzato per la sintesi degli acidi nucleici 2. Sintesi di polimeri strutturali: matrice extracellulare e polisaccaridi della parete cellulare 3. Deposito: glicogeno, amido, saccarosio 4. Ossidazione tramite glicolisi: produce piruvato, utilizzabile per alimentare il ciclo dell’acido citrico Nell’uomo il glicogeno costituisce la principale forma di deposito degli zuccheri e i tessuti più ricchi di glicogeno sono il fegato e i muscoli. Nel fegato si stoccano 6-8 g di glicogeno ogni 100 g di tessuto, mentre nel muscolo solo 1-2 g ogni 100g, ma essendo i muscoli il tessuto con più massa hanno un contenuto assoluto di glicogeno decisamente superiore. Il glicogeno epatico è una scorta energetica per l'intero organismo, perché grazie all’enzima G6P può immettere in circolo glucosio a seconda delle necessità metaboliche. Il glicogeno muscolare, invece, è utilizzato solo per sostenere la spesa energetica del muscolo (i miociti non producono glucosio fosfatasi). Nonostante le scorte, il glicogeno epatico può esaurirsi dopo un digiuno notturno (per utilizzo glucosio da parte di altri organi tra cui il SNC). IL MUSCOLO È IL PRINCIPALE CONSUMATORE DI GLUCOSIO In una prima fase dell’attività fisica il muscolo consuma il suo glicogeno e assume glucosio dal sangue. In risposta all’abbassamento della glicemia il fegato consuma il suo glicogeno e mette in circolo glucosio. Se l’attività fisica è prolungata, quando anche il glicogeno epatico è esaurito, il glucagone attiva il catabolismo delle proteine muscolari per ricavare piruvato. Il piruvato è trasportato nel sangue sotto forma di alanina e nel fegato, dopo essere stato riconvertito, è utilizzato per produrre glucosio che viene riversato nel sangue ed innalza la glicemia. Il glucagone agisce anche a livello dei depositi di trigliceridi epatici: il suo recettore è associato a una proteina Gs stimolatoria che attiva l’adenilato ciclasi. L’aumento di [cAMP] attiva la PKA, che a sua volta attiva una lipasi in grado di idrolizzare trigliceridi contenuti nel vacuolo per ricavare gli acidi grassi e lo scheletro di glicerolo (utilizzabile per la gluconeogenesi). Il lattato prodotto dal metabolismo anaerobico esce dai muscoli ed arriva nel sangue attraverso il quale viene convogliato al fegato che lo riconverte a glucosio (gluconeogenesi) o nel globulo rosso. La gluconeogensi può utilizzare substrati diversi: Lattato (esercizio anaerobico - muscoli; eritrociti) → piruvato Alanina (esercizio aerobico - muscoli, catabolismo delle proteine) → piruvato Scheletri di amminoacidi (intermedi del ciclo di Krebs - fegato - catabolismo delle proteine) Glicerolo (lipolisi dei trigliceridi) INGRESSO DEL GLUCOSIO PLASMATICO NELLE CELLULE Il passaggio del glucosio dal sangue alle cellule avviene per diffusione passiva facilitata dai trasportatori GLUT (molte isoforme con diversa distribuzione tissutale). Si distinguono i tessuti insulino dipendenti da quelli indipendenti, i primi sono quei tessuti che captano il glucosio plasmatico solo in risposta all’insulina e che sono maggiormente compromessi dal diabete. 83 I diversi GLUT sono espressi in modo tessuto-dipendente: Nelle cellule non muscolari c’è principalmente il GLUT-1 che si trova espresso costitutivamente in membrana (ingresso glucosio insulino-indipendente, dipendente dalla glicemia). Nel muscolo scheletrico c’è poco GLUT-1 per cui è impermeabile al glucosio in assenza di insulina. TRASLOCAZIONE DI GLUT-4 IN MEMBRANA STIMOLATA DALL’INSULINA Nel fegato, cervello e globuli rossi (tutti tessuti di vitale importanza) il passaggio è insulino-indipendente (in modo da assicurare un costante approvvigionamento di glucosio) e dipende solo dai valori glicemici. Nel tessuto muscolare (scheletrico e cardiaco) ed in quello adiposo è insulino-dipendente. Il trasporto del glucosio nel muscolo scheletrico è attivato dall’insulina e dall’esercizio fisico (importanza dell’attività sportiva nei soggetti diabetici, soprattutto se di tipo II), che stimolano la traslocazione dei GLUT-4 sulla membrana plasmatica muscolare (depositato nella membrana di vescicole intracellulari). In loro assenza il glucosio non può entrare. DIABETE MELLITO Caratterizzato da iperglicemia e mancato utilizzo del glucosio ematico dai muscoli a causa di un difetto di secrezione o di attività dell’insulina. L’insulina stimola la captazione del glucosio dal sangue e la sintesi del glicogeno mentre il glucagone ne stimola la degradazione. Nella fibra muscolare il glucosio è fondamentale, possiede per questo depositi sotto forma di glicogeno. Il glucosio entra nella fibra muscolare attraverso il trasportatore GLUT-4, presente in membrana solo in risposta al rilascio di insulina. Una volta nella fibra muscolare, il glucosio è intrappolato all’interno della cellula e deve essere necessariamente utilizzato da essa o per la produzione di ATP, o la sintesi di glicogeno. L’adrenalina, liberata dalle ghiandole surrenali, si lega ai recettori β3-adrenergici che causano, tramite un aumento di [cAMP], la degradazione del glicogeno. Anche nella cellula epatica il glucagone l’aumento di [cAMP] causa la degradazione del glicogeno, in questo caso, tuttavia, il glucosio da esso ricavato è liberato nel sangue tramite il trasportatore del glucosio epatico GLUT-2. Il fegato, pur essendo un organo insulino-indipendente, è sensibile all’insulina, che reagisce attivando la sintesi di glicogeno e inibendo la gluconeogenesi. Anche nella cellula epatica la stimolazione adrenergica stimola la degradazione del glicogeno. 84 Principali effetti dell’insulina in: Muscolo (insulino-dipendente): aumento trasporto ed utilizzazione del glucosio Fegato (insulino-indipendente): aumento dell’utilizzazione del glucosio e riduzione del rilascio dello stesso Tessuto adiposo (insulino-dipendente): aumento trasporto ed utilizzazione del glucosio, immagazzinamento dei grassi, riduzione della liberazione dei grassi CLASSIFICAZIONE DEL DIABETE Diabete tipo 1: è causato da distruzione beta-cellulare, su base autoimmune o idiopatica, ed è caratterizzato da una carenza insulinica assoluta (la variante LADA, Latent Autoimmune Diabetes in Adults, ha decorso lento e compare nell'adulto). Diabete tipo 2: è causato da un deficit parziale di secrezione insulinica, che in genere progredisce nel tempo ma non porta mai a una carenza assoluta di ormone, e che si instaura spesso su una condizione, più o meno severa, di insulino-resistenza su base multifattoriale. Diabete gestazionale: diabete diagnosticato in gravidanza, che non è un diabete manifesto. È causato da difetti funzionali analoghi a quelli del diabete tipo 2. viene diagnosticato per la prima volta in gravidanza (generalmente nel secondo o terzo trimestre) e in genere regredisce dopo il parto per poi ripresentarsi, spesso a distanza, preferenzialmente con le caratteristiche del diabete tipo 2. Altri tipi di diabete: Difetti genetici della beta-cellula Indotto da farmaci o sostanze tossiche Difetti genetici dell'azione insulinica Infezioni Malattie del pancreas esocrino Forme rare di diabete immuno-mediato Endocrinopatie Sindromi genetiche rare associate al diabete DIABETE DI TIPO I Rappresenta il 10-15% dei casi di diabete, tipico dell’età giovanile. Viene chiamato “diabete magro” in quanto non collegato all’obesità. I soggetti non hanno insulina. Nella maggior parte dei casi il diabete è dovuto alla distruzione delle cellule β del pancreas presumibilmente per causa autoimmune. Per riuscire a mantenere controllata la glicemia è necessaria una costante terapia insulinica (assunzione di insulina esogena) e controllo della dieta. Si tratta di una malattia multifattoriale: la reazione autoimmune è determinata da una combinazione di predisposizione energetica e fattori ambientali (si pensa ad una correlazione con infezioni virali). Viene mantenuta una glicemia normale finché la massa β-cellulare è superiore al 50%, il tempo di distruzione delle cellule β è variabile. Non potendo assorbire il glucosio, le cellule utilizzano gli acidi grassi come fonte di energia, causando chetosi (presenza di corpi chetonici in circolo → cheto-acidosi) e un abbassamento del pH del sangue. 85 DIABETE DI TIPO II Tipico di persone adulte obese, per questo detto “diabete grasso”. È causato da insulino-resistenza: c’è insulina ma il muscolo è refrattario alla sua azione. Il pancreas ne produce di più per compensazione. Nel tempo l’iperglicemia danneggia le cellule beta che cominciano a produrre meno insulina. Anche il diabete di tipo II è multifattoriale: esiste un importante fattore genetico (70-90% di concordanza tra gemelli omozigoti), ma anche lo stile di vita gioca un ruolo molto importante. Insulino-resistenza: diminuita sensibilità all’azione dell’insulina. È soprattutto il tessuto muscolare ad essere la sede dell’insulino-resistenza periferica (ma anche fegato e tessuto adiposo). Nella maggior parte dei casi si verifica in soggetti obesi o che soffrono di ipertensione, dislipidemia ed altre condizioni di stress cronico. L’insulino-resistenza può essere causata da: Difetto recettoriale: ridotto numero o funzione del recettore insulinico. Difetto post-recettoriale: alterazione di enzimi o substrati coinvolti nei meccanismi di trasduzione del segnale ed i trasportatori del glucosio. I meccanismi di compensazione dell’insulino-resistenza avvengono a diversi livelli: 1. Aumento della produzione epatica di glucosio (no inibizione della gluconeogenesi). 2. Riduzione dell’utilizzazione del glucosio da parte del muscolo. 3. Resistenza all’azione anti-lipolitica dell’insulina a livello del tessuto adiposo → aumento di acidi grassi liberi (FFA, Free Fatty Acid) in circolo, che a sua volta stimola i primi due meccanismi. L’obesità è il maggiore fattore di rischio del diabete di tipo II. La patogenesi dell’insulino-resistenza associata all’obesità è in relazione con le alterazioni nella secrezione da parte del tessuto adiposo delle adipochine (TNF- α, IL-6, resistina, adiponectina, leptina) che modulano la sensibilità all’insulina delle cellule muscolari scheletriche: lo stato infiammatorio cronico moderato a carico del tessuto adiposo negli obesi causa infiltrazione nel grasso di macrofagi che producono TNF-α. La conseguenza dell’insulino-resistenza a carico di diversi tessuti è iperglicemia cronica: Muscolo: non utilizza glucosio (no GLUT-4 in membrana) → iperglicemia a digiuno. Catabolismo proteico per fornire substrati per gluconeogenesi epatica → iperglicemia Tessuto Adiposo → lipolisi → rilascio FFA → dislipidemia Pancreas: tossicità da iperglicemia → no insulina Fegato: o no sintesi glicogeno ma glicogenolisi e gluconeogenesi → iperglicemia o Accumulo lipidi → steatosi o FFA nel fegato → aumento chetogenesi → chetosi Sia nel tipo I che nel tipo II manca GLUT-4 nella membrana delle cellule muscolari, per cui non si ha assunzione glucosio nel muscolo e si ha iperglicemia a digiuno. L’iperglicemia spiega i principali sintomi del diabete mellito (conseguenze a breve termine): Glicosuria: glucosio in eccesso filtrato nelle urine Poliuria (minzione frequente) Polidipsia compensatoria (il soggetto beve molto) Polifagia (il soggetto mangia molto) Questi causano eccessiva perdita di elettroliti, disidratazione, ipovolemia, tachicardia, insufficienza renale. 86 TRATTAMENTO DEL DIABETE DI TIPO II Il diabete di tipo II, oltre che essere controllato con dieta ed attività fisica, è trattato con metformina, una molecola che riduce la produzione epatica di glucosio (gluconeogenesi) e il suo assorbimento intestinale e soprattutto svolge un significativo effetto insulino-sensibilizzante (traslocazione GLUT-4 insulino-indipendente), cioè fa sì che ci sia una minore necessità di insulina e quindi quella che c’è diventa sufficiente. COMPLICANZE A LUNGO TERMINE Microangiopatia (danno ai capillari di rene, retina e nervi periferici) Macroangiopatia diabetiche (danno alle grandi arterie con aterosclerosi accelerata, maggior rischio di infarto, ictus e gangrena arti inferiori) Gangrena arti inferiori per vasculopatia (piede diabetico con ulcere) 100 volte più frequente nei diabetici COMPLICANZE CRONICHE DEL DIABETE MELLITO Patologia multifattoriale ma ruolo chiave della “tossicità da glucosio” per iperglicemia persistente: Glicazione proteine (legame covalente con glucosio di origine non enzimatica che causa di perdita di funzione) nel sangue e nei tessuti. Esempi: o cataratta: alterazione funzionale proteine del cristallino o emoglobina glicata, che causa ipossia tissutale Ispessimento membrane basale dei capillari Un’elevata quantità causa infiammazione con produzione di ROS Da un punto di vista generale: Il diabete è la quinta causa di morte nel mondo e riduce le aspettative di vita di 5-10 anni Ictus cerebrale e infarto sono da 2 a 4 volte più frequenti in presenza di diabete e sono responsabili del 60-80% dei decessi La retinopatia diabetica rappresenta la prima causa di cecità legale in età lavorativa Il diabete rappresenta la prima causa di dialisi Il 15% dei soggetti con diabete sviluppa nel corso della vita un'ulcera agli arti inferiori e un terzo di questi pazienti va incontro ad amputazione. La disfunzione erettile colpisce fino al 50% degli uomini con diabete di lunga durata PIEDE DIABETICO Insieme di lesioni del piede la cui insorgenza è favorita dal diabete: Deformità osteoarticolari (neuropatia) Ulcere e gangrene (neuropatia e arteropatia) Infezioni fungine (disturbo metabolico) Infezioni batteriche complicanti le ulcere OBESITÀ E DIABETE DI TIPO 2 Il rischio di diabete aumenta con l’aumento dell’indice di massa corporea BMI. L’insulino-resistenza è infatti indotta da: Acidi grassi liberi Adipochine Infiammazione cronica del tessuto adiposo 87 ATTIVITÀ FISICA AEROBICA NELLA PREVENZIONE DEL DIABETE DI TIPO II PREVENZIONE PRIMARIA (PER TIPO 2): Previene l’obesità, che è il fattore di rischio principale. Il dimagrimento comporta una diminuzione nella secrezione di adipochine (responsabili dell’insulino-resistenza). PREVENZIONE SECONDARIA Rallenta la progressione della malattia (sia I che II) avendo azione ipoglicemizzante attraverso 3 meccanismi: Beneficio della semplice camminata. Consente l’assunzione di glucosio da parte del muscolo scheletrico in modo insulino-indipendente. Attività contrattile aerobica stimola la traslocazione di GLUT-4 (aumento livelli di AMPK). NB: assunzione di insulina (nel tipo I) a distanza dall’attività fisica per non incorrere in crisi ipoglicemiche! Per 24-72 ore dopo la cessazione dell’attività fisica c’è un aumento della sensibilità all’insulina per riduzione adipochine e miostatina (citochina muscolare che induce insulino-resistenza) Esercizio fisico: Aumentano ormoni iperglicemizzanti (adrenalina, GH, glucagone, glucocorticoidi) e diminuiscono i livelli di insulina. Le richieste di glucosio e acidi grassi come substrati energetici per l’attività muscolare aumentano durante l’attività fisica. PREVENZIONE TERZIARIA Prevenzione complicanze associate alla malattia (coronaropatie). Il 75% delle morti associate a diabete sono dovute ad aterosclerosi delle arterie coronariche. 13 maggio 2024 ATEROSCLEROSI Le malattie del sistema circolatorio sono la prima causa di morte nei paesi occidentali. Le alterazioni del sistema circolatorio comprendono numerose condizioni patologiche, tutte caratterizzate da un’anomala perfusione tissutale, cioè da assente, ridotto o aumentato apporto di sangue ai tessuti. Le principali alterazioni del sistema circolatorio sono: Emorragia: fuoriuscita di sangue dal cuore o dai vasi. Ischemia: ridotto apporto di sangue ai tessuti. Iperemia: presenza di maggior quantità di sangue nei vasi in un distretto dell’organismo (meccanismo di risposta infiammatoria). Shock: riduzione della gittata cardiaca e ipotensione che causa insufficiente perfusione tissutale (e.g. shock ipovolemico, shock endotossico). Infarto: necrosi ischemica che consegue all’occlusione completa e brusca di un vaso arterioso terminale. Trombosi: anomalie dei processi emostatici. L’aterosclerosi costituisce uno dei più rilevanti problemi sanitari in quanto le sue conseguenze rappresentano la principale causa di invalidità e di morte della popolazione adulta ed anziana dei paesi industrializzati del mondo occidentale, nei quali questa patologia presenta la maggior incidenza. 88 Si tratta di un ispessimento dell’intima per la presenza di un ateroma o placca fibro-lipidica. Il termine aterosclerosi deriva dal greco “αθερο” (poltiglia) e “σκληρος” (duro). Non deve essere confusa con l’arteriosclerosi, ovvero un ispessimento, indurimento e perdita di elasticità delle pareti arteriose. L’aterosclerosi è il risultato di uno stato infiammatorio cronico di basso grado (asintomatico, infiammazione silente): nella placca sono presenti tutti i tipi di cellule infiammatorie. L’aterosclerosi è una reazione al danno, ossia una risposta infiammatoria della parete vascolare dovuta a un danno/stress persistente all’endotelio. Lo stress induce disfunzione endoteliale, ovvero anomalie nel comportamento dell’endotelio. Colpisce le arterie e non le vene, generalmente le arterie di calibro medio-grande come le coronarie, le carotidi, le arterie iliache femorali e l’aorta. Quindi la sintomatologia riguarda le arterie che irrorano il cuore, il cervello, i reni, gli arti inferiori e l’intestino. Le conseguenze principali sono infarto del miocardio, infarto cerebrale (ictus) e aneurisma aortico. PLACCA ATEROMATOSA O ATEROMA La placca ateromatosa è una placca localizzata nella tonaca intima dell’arteria (sottile strato interno), con nucleo centrale lipidico (grassi intra- ed extracellulari, in particolare colesterolo) ricoperto da un cappuccio fibroso. Ha 3 componenti principali: A. Elementi cellulari: cellule muscolari lisce, monociti (normalmente circolanti → cambiamento permeabilità dell’endotelio, precursori dei macrofagi), macrofagi (insieme alle cellule muscolari liscie fagocitano lipidi → cellule schiumose), leucociti, piastrine. B. Tessuto connettivo (collagene, fibre elastiche, proteoglicani). C. Depositi lipidici (intra- ed extra-cellulari). Il processo inizia spesso durante l’infanzia (sotto forma di strie lipidiche), ma i sintomi diventano evidenti durante l’età adulta, quando le lesioni comportano danni organici. Crescono in numero fino all’età di circa 20 anni, alcune regrediscono. Spesso le strie lipidiche degenerano nelle biforcazioni dei vasi, dove il flusso sanguigno è più turbolento e lo stress è maggiore. Le strie lipidiche sono sottili linee rilevate di colore giallo in corrispondenza dell’intima costituite da macrofagi e da fibrocellule muscolari lisce della parete arteriosa. Le LDL (particelle lipidiche più ricche in colesterolo) circolanti possono insudare nella tonaca intima, dove sono ossidati dalle ROS prodotte dai macrofagi. Macrofagi (derivanti da monociti circolanti che si insinuano nell’intima → meccanismo infiammatorio) e cellule muscolari lisce riconoscono con i loro recettori scavenger 89 (spazzini) le LDL-ossidate. La fagocitosi di LDL-ossidate rende le cellule schiumose (foam cells) ed inoltre stimola la produzione di citochine che comportano reclutamento di altri leucociti, attivazione dell’endotelio, produzione di fattori di crescita che attivano miofibroblasti (derivanti dai miociti lisci della tonaca media, il cui distacco contribuisce all’assottigliamento del vaso), che anch’essi inglobano lipidi e producono collagene (per formare il cappuccio fibrotico). PATOGENESI DELL’ATEROSCELROSI L’ipotesi della reazione al danno considera l’aterosclerosi una risposta infiammatoria della parete vascolare dovuta ad un danno endoteliale. Alcuni fattori che stimolano l’aggressione cronica della parete endoteliale sono: Iperlipidemia Ipertensione Fumo di sigaretta Glicazione (da iperglicemia): rende i vasi meno elastici e più adesivi a LDL, albumina. L’aggressione dell’endotelio causa disfunzione endoteliale, per cui aumenta la permeabilità (↑ insudazione LDL). Importante in questa fase è l’insudazione di lipoproteine nella parete vasale e la loro ossidazione. L’ateroma fibrolipidico costituisce un ostacolo al flusso arterioso ed è soggetto a forte stress. In alcuni casi l’endotelio si rompe e il sistema reagisce formando coaguli (trombi) soggetti a distacco. Gli emboli prodotti dal distacco dei trombi, quindi, possono causare eventi ischemici. Fasi della patogenesi: I. Danno cronico endoteliale II. Insudazione di lipoproteine (LDL ossidate) III. Adesione di monociti ematici, migrazione nell’intima e trasformazione in macrofagi e cellule schiumose IV. Fattori liberati dalle piastrine e macrofagi per la migrazione delle cellule muscolari lisce nell’intima e produzione di collagene V. Ulteriore accumulo di lipidi nelle cellule e negli spazi intercellulari. Dal punto di vista clinico è utile classificare le placche aterosclerotiche in labili (o vulnerabili) e stabili: Placche vulnerabili: determinano con maggiore probabilità complicanze come la trombosi e la rottura del vaso o Cappuccio fibroso sottile o Grande quantità di lipidi o Molte cellule infiammatorie o Poche cellule muscolari Placche stabili: possono causare stenosi del vaso, ma anche essere clinicamente silenti o Cappuccio fibroso spesso o Minore quantità di lipidi o Poche cellule infiammatorie o Densa matrice extracellulare 90 Gli ateromi, dapprima localizzati, giungono ad interessare l’intera circonferenza arteriosa, invadendo lentamente il lume dell’arteria e la tonaca media sottostante. Nelle piccole arterie hanno effetto occlusivo (stenosi) e causano ischemie che possono evolversi in infarto. Nelle grandi arterie distruggono le pareti e: o Formano aneurismi o Causano trombosi o Gli ateromi si possono staccare e causare emboli La sintomatologia riguarda le arterie che irrorano il cuore, il cervello, i reni, gli arti inferiori e l’intestino. TROMBOSI La trombosi è un processo patologico che dà luogo alla formazione di una massa semisolida, il trombo, all’interno del sistema vascolare. I trombi sono formati da piastrine, globuli rossi e fibrina (stessa composizione del coagulo) che aderiscono alla parete vascolare. La trombosi è il risultato di un’emostasi alterata. L’emostasi è un insieme di reazioni biochimiche finemente regolate, sequenziali e sinergiche, che hanno la funzione di: Mantenere il sangue allo stato fluido in condizioni fisiologiche Indurne rapidamente la coagulazione quando i vasi sono danneggiati Le controparti patologiche di una normale emostasi sono la trombosi (emostasi aumentata) e l’emorragia (emostasi ridotta). Le componenti che regolano questi fenomeni sono l’endotelio, le piastrine e la cascata della coagulazione. CASCATA DELLA COAGULAZIONE FASE 1 Vascolare: si ha contrazione della muscolatura vasale (tunica media) mediata da meccanismi riflessi neurogeni e dal rilascio locale di fattori umorali, come l’endotelina (dalle cellule endoteliali). Il risultato immediato è la riduzione del lume vascolare, e quindi dell’emorragia dal vaso lesionato. FASE 2 Piastrinica, le piastrine: I. Aderiscono al sottoendotelio nel punto della lesione II. L’adesione attiva nelle piastrine vie di trasduzione del segnale biochimiche III. Il risultato è un cambiamento conformazionale delle piastrine, con emissione di pseudopodi IV. Le piastrine degranulano, ossia rilasciano sostanze (ad es. ADP, trombossano A2) che attirano altre piastrine V. Infine, le piastrine si aggregano formando un tappo emostatico FASE 3 Coagulativa: si attivano le proteasi circolanti della cascata della coagulazione, producendo la polimerizzazione della fibrina e la formazione di un coagulo definitivo di fibrina. Sono coinvolti anche fosfolipidi delle piastrine e fattori tissutali. 91 FASE 4 Fibrinolitica: si attiva il sistema fibrinolitico per limitare e controbilanciare il processo emostatico. Una volta che il danno tissutale sarà riparato si avrà dissoluzione del coagulo. Il risultato finale è la riparazione della lesione vascolare. Nel caso della trombosi si verifica un’emostasi aumentata. Tre fattori influenzano la formazione di trombi (triade di Virchow): 1. Danno endoteliale 2. Irregolarità nel flusso sanguigno: flusso turbolento (arterie) o stasi (vene) 3. Ipercoagulabilità del sangue Questi tre elementi possono agire in modo indipendente o interagire e combinarsi fra loro. I trombi arteriosi sono più frequentemente causati da danni all’endotelio, quelli venosi da stasi circolatoria. L’ipercoagulabilità interessa sia arterie che vene. DANNO ENDOTELIALE Nel caso del danno endoteliale, esso comporta l’esposizione del collagene subendoteliale, l’adesione piastrinica e l’esposizione del fattore tissutale che innescano il processo di coagulazione con formazione del trombo (coagulo di sangue). Sedi: cuore (danno dell’endocardio nell’infarto), circolazione arteriosa (placca ateromasica ulcerata), vasi danneggiati (traumi, infiammazioni). Non è necessario che l’endotelio sia fisicamente danneggiato. Basta che l’equilibrio fisiologico fra i fattori pro- ed anti-coagulanti prodotti dall’endotelio stesso sia alterato (da diabete, tumori, ecc.). ALTERAZIONI DEL FLUSSO SANGUIGNO Il flusso sanguigno è normalmente laminare, e le piastrine fluiscono al centro. Qualsiasi turbolenza (dovuta ad es. a punti di biforcazione, placche aterosclerotiche) favorisce le interazioni delle piastrine con le pareti vascolari e l’attivazione dell’endotelio. Inoltre, un flusso irregolare o lento spazza via con maggior difficoltà i microtrombi. Turbolenza: provoca trombosi arteriosa e cardiaca da danno o disfunzione endoteliale. Stasi: causa principale di trombosi venosa. Sedi di formazione dei trombi: Cavità cardiache Valvole cardiache Arterie Vene Capillari POTENZIALI SVILUPPI DI UN TROMBO Un trombo può essere murale (se si sviluppa solo sulla parete endoteliale) o occlusivo (se blocca il flusso ematico). I trombi venosi sono sempre occlusivi. 1. Propagazione: su un trombo primario si accumulano ulteriori piastrine e fibrina e si ha ostruzione del vaso. 2. Embolizzazione: il trombo si stacca dalla sua sede primaria e si muove nella rete vascolare. 3. Dissoluzione: il trombo è rimosso dall’attività fibrinolitica 4. Ricanalizzazione 92 EMBOLI Un embolo è una massa intravascolare solida, liquida o gassosa, che essendosi staccata dal suo sito di origine viene trasportata dal flusso sanguigno. Derivando quasi sempre da trombi, si parla di tromboembolismo. La conseguenza potenziale di questi eventi è la necrosi ischemica tissutale dovuta ad occlusione vascolare, definita infarto. Gli emboli polmonari sono piuttosto frequenti e causa di un elevato numero di morti. Un paziente che ha già avuto un embolo polmonare è a forte rischio di averne altri. EMBOLIA GASSOSA L'embolia gassosa arteriosa è una grave patologia da decompressione a cui può andare incontro un subacqueo, e si manifesta con la presenza di bolle di gas all'interno della circolazione sanguigna. ANEURISMI Gli aneurismi sono una dilatazione anormale localizzata di un vaso o di una parete cardiaca. Gli aneurismi aterosclerotici avvengono principalmente nell’ aorta addominale. Possono rompersi, provocando una emorragia massiva e fatale; ostruire vasi, dando ischemie; dare emboli; comprimere i tessuti circostanti. La diminuzione di perfusione sanguigna al cuore, dovuta ad uno squilibrio fra il sangue che arriva al cuore e il suo bisogno di ossigeno, è detta ischemia cardiaca. Può essere dovuta non solo a carenza di ossigeno, ma anche di nutrienti, o ad un ’inadeguata rimozione di cataboliti. In più del 90% dei casi l’ischemia cardiaca è dovuta a ostruzione aterosclerotica delle arterie coronariche. Cause: Trombosi acuta su una preesistente placca aterosclerotica Rottura di una placca Embolia dal cuore, dall’aorta o da altri vasi di grosso calibro Aneurisma dissecante Manifestazioni cliniche: Infarto del miocardio: l’ischemia è così grave da causare morte di parte del muscolo cardiaco Angina pectoris: l’ischemia è meno grave e transiente e non induce morte cardiaca Ischemia cronica: graduale accrescimento di una placca aterosclerotica. Porta a disfunzione cardiaca progressiva INFARTO DEL MIOCARDIO Più importante causa di morte nei Paesi sviluppati. Consegue l’occlusione brusca e completa di un vaso arterioso terminale. In generale l’infarto interessa organi con irrorazione arteriosa di tipo terminale (cuore, milza, encefalo, intestino), ossia non dotata di rami collaterali in grado di sostenere un circolo collaterale. Dopo l’occlusione dell’arteria coronarica, la necrosi inizia sotto la superficie dell’endocardio, al centro della regione ischemica. Alla fine, diventa necrotica tutta la regione del miocardio che dipendeva dall’arteria occlusa per ottenere ossigeno e nutrienti. FATTORI DI RISCHIO DELL’ATEROSCLEROSI Età: malattia lentamente progressiva. Sesso: gli uomini sono più soggetti all’aterosclerosi delle donne. Frequenza di infarto del miocardio simile tra i due sessi dopo i 60 anni. Livello ematico LDL-colesterolo più basso nelle donne in età feconda. 93 Fattori genetici: predisposizione familiare di tipo poligenico. Pazienti con ipercolesterolemia familiare omozigote spesso sviluppano infarto prima dei 20 anni. Iperlipidemia: tra i maggiori fattori di rischio. L’associazione più significativa è con elevati livelli sierici di lipoproteine a bassa densità (LDL) che sono le molecole più ricche in colesterolo. Un aumento delle LDL circolanti favorisce il loro accumulo nell’intima dei vasi arteriosi di medio e di grosso calibro e la loro modificazione (ossidazione degli acidi grassi che si legano a recettori espressi da cellule dell’endotelio e monociti). Anche livelli elevati di trigliceridi rappresentano un fattore di rischio. I livelli di HDL sono invece inversamente correlati al rischio (le HDL riescono a mobilizzare il colesterolo dagli ateromi in formazione e lo portano al fegato). Esercizio fisico aumenta il livello di HDL, mentre obesità e fumo lo riducono. Acidi grassi omega-3 (ricchi nel pesce) hanno effetti anti-aterogenici (diminuzione di LDL, vasodilatazione, riduzione dell’aggregazione piastrinica). Diabete mellito: tra le complicazioni c’è l’aterosclerosi (macroangiopatie diabetiche). Il diabete (sia tipo I che II) è un fattore di rischio perché causa iperlipidemia e iperglicemia. Bassi livelli di insulina stimolano il rilascio di lipidi nel sangue. Ipertensione: danno all’endotelio. Fumo di sigaretta: ipossia periferica (carbossiemoglobina) e aumento viscosità ematica causano stress dell’endotelio. BENEFICI DELL’ATTIVITÀ FISICA AEROBICA (PREVENZIONE PRIMARIA E SECONDARIA) Riduzione del rischio legato all’iperlipidemia: esercizio aerobico tra il 65 e l’80% della frequenza cardiaca massima consuma grassi come substrato energetico. Contrasta l’obesità. Riduzione livelli LDL ed aumento delle HDL Riduzione iperglicemia e iperlipidemia (diabete) Riduzione pressione arteriosa 14 maggio 2024 IMMUNOPATOLOGIA Il fallimento dei meccanismi di difesa. I patogeni hanno sviluppato diversi meccanismi per eludere la risposta immunitaria: Variazione antigenica: evolve l’antigene Latenza: il virus permane nella cellula senza replicarsi Resistenza: il patogeno non è distrutto dal sistema immunitario VARIAZIONE ANTIGENICA Anticorpi neutralizzanti che mediano l'immunità protettiva sono diretti contro la proteina virale di superficie emoagglutinina (H), che controlla il legame del virus alla cellula e la sua penetrazione nella cellula stessa. La deriva antigenica dipende da mutazioni puntiformi che alterano i siti di legame degli anticorpi neutralizzanti sulla proteina H. Quando questo accade, il virus mutato può crescere in un ospite anche se immune per il ceppo non mutato del virus. Tuttavia, dato che comunque un parziale riconoscimento degli epitopi non mutati avviene, la nuova variante virale causa una patologia più lieve in individui già infettati in precedenza con il virus non mutato. LATENZA Persistenza e riattivazione del virus Herpes Simplex: l'infezione iniziale nella pelle viene controllata da una efficace risposta immunitaria, ma una infezione residua permane a livello dei neuroni sensoriali come quelli del 94 ganglio trigemino, i cui neuroni innervano le labbra. Quando il virus si riattiva, normalmente in seguito a stress ambientale o alterazioni dello stato immunologico, la pelle nell'area del nervo si re-infetta. Questo processo si può ripetere per molte volte. RESISTENZA Mycobacterium tuberculosis: pur essendo fagocitato dai macrofagi, previene la fusione dei fagosomi con i lisosomi e quindi non viene distrutto. Il batterio permane vivo nei granulomi polmonari che, se danneggiati, possono liberarlo e permettere l’infezione di distretti non polmonari Listeria monocytogenes: una volta fagocitato, il batterio "scappa" nel citoplasma dove si replica rapidamente. Stafilococchi: producono tossine che causano immunosoppressione. MALATTIE DEL SISTEMA IMMUNITARIO Ne esistono di 3 classi principali: 1. Sindromi da deficienze immunologiche, genetiche o acquisite 2. Malattie da ipersensibilità 3. Malattie autoimmuni SINDROMI DA IMMUNODEFICIENZA 1. Primarie: geneticamente determinate 2. Secondarie: conseguenza di infezioni, malnutrizione, invecchiamento, chemioterapia, etc. Caratteristiche generali delle immunodeficienze: La principale conseguenza delle immunodeficienze è un'aumentata suscettibilità alle infezioni Le immunodeficienze predispongono anche all'insorgenza di alcuni tipi di neoplasia Le immunodeficienze possono essere causate da difetti a carico della maturazione o dell'attivazione dei linfociti o a carico dei meccanismi effettori dell'immunità innata e specifica IMMUNODEFICIENZE PRIMARIE Possono essere a carico dei meccanismi di immunità naturale o acquisita. Immunodeficienze a carico dei linfociti T sono più gravi di quelli a carico dei B in quanto l’attivazione di questi ultimi dipende dai linfociti T. I linfociti T sono inoltre effettori diretti (citotossici). Si manifestano tra i 6 mesi e i 2 anni di vita con infezioni ricorrenti. La natura degli agenti infettivi dipende dal difetto immunologico. Durante la gestazione, il neonato presenta alti livelli di IgG materni, trasportati attraverso la placenta. Dopo la nascita, la produzione di IgM inizia subito; la produzione di IgG non inizia prima dei 6 mesi, durante i quali, il titolo di IgG crolla, dato che le IgG materne vengono progressivamente catabolizzate. Quindi, i livelli di IgG sono bassi tra i 3 mesi e 1 anno di vita, che può quindi rappresentare un periodo di maggiore suscettibilità alla malattia. Agammaglobulinemia di Bruton: è una delle più comuni ed è legata al cromosoma X. Le cellule B non si differenziano perchè manca la tirosin-kinasi di Bruton (btk). Si manifesta nei maschi affetti dopo il 6 mese, quando le Ig materne scompaiono. Immunodeficienza grave combinata (SCID): rappresenta un insieme di sindromi geneticamente distinte. I pazienti soffrono di infezioni ricorrenti e, in assenza di trapianto di midollo osseo, muoiono entro i primi anni di vita. La SCID legata all'X è la più comune: si verifica a causa di mutazioni nel gene che codifica per una proteina 95 (la catena γ) che è presente in molti recettori per citochine: i linfociti non rispondono alle citochine e non si sviluppano. IMMUNODEFICIENZE SECONDARIE (ACQUISITE) Avvengono secondo 2 tipi di meccanismi patogenici: Malnutrizione, neoplasie e infezioni o Infezione da HIV: diminuzione linfociti T CD4+ helper o Malnutrizione calorico-proteica inibisce maturazione linfociti o Metastasi e leucemie del midollo osseo riducono il tessuto utile alla maturazione dei linfociti Immunosoppressioni iatrogene: o Trattamenti radio- o chemioterapici causano la diminuzione del numero di precursori midollari leucocitari o L’immunosoppressione per trapianto causa una ridotta attivazione dei linfociti o La rimozione della milza causa ridotta fagocitosi dei microbi MALATTIE DA IPERSENSIBILITÀ Sono risposte immunitarie in grado di indurre danni tissutali e che provocano nell’organismo reazioni localizzate o sistemiche. Derivano da uno squilibrio tra le risposte effettrici e i meccanismi di controllo che normalmente limitano queste risposte. Lo sviluppo dell’ipersensibilità spesso associato all’eredità di geni predisponenti. Esistono patologie specifiche da ipersensibilità: Asma Rinite allergica Orticaria Eczema Anafilassi sistemica Classificazione: I tipo: anafilattiche o allergiche II tipo: mediate da anticorpo III tipo: reazioni da immunocomplessi IV tipo: ipersensibilità ritardata TIPO I L’ipersensibilità immediata (tipo I) o allergia è una risposta immunitaria abnorme verso antigeni che sono definiti innocui perché nei soggetti normali non inducono la comparsa di manifestazioni dannose. Questi antigeni si chiamano allergeni. La risposta è immediata in soggetti geneticamente predisposti che si instaura pochi minuti dopo una seconda esposizione all’allergene. Anche fattori ambientali contribuiscono allo sviluppo di allergie. Coinvolge le IgE ed i mastociti. Le reazioni allergiche avvengono quando un individuo che ha prodotto anticorpi IgE contro un antigene innocuo o allergene (durante il primo contatto, di sensibilizzazione), incontra nuovamente lo stesso antigene. Nei paesi del terzo mondo le IgE sono prevalentemente coinvolte nelle risposte a vermi, viceversa nei paesi industrializzati le risposte IgE ad antigeni innocui sono frequenti: quasi il 50% degli individui del Nord America e 96 dell’Europa presentano allergie a uno o più normali antigeni ambientali. Soggetti con geneticamente predisposti a produrre alti livelli di IgE si dicono atopici. Le reazioni allergiche (ipersensibilità di tipo I) coinvolgono sempre IgE e mastociti, ma la sintomatologia che ne consegue dipende molto dalla via di ingresso dell’allergene e dalla dose. I mastociti si trovano in prossimità dei vasi sanguigni (cellule residenti) e contengono granuli lisosomiali ricchi di istamina, eparina, enzimi proteolitici, fattori chemiotattici ed attivanti, leucotrieni e prostaglandine. Il rilascio di tali sostanze determina: vasodilatazione; aumento della permeabilità vascolare; contrazione della muscolatura liscia → si sviluppa una reazione infiammatoria. ALLERGENI COMUNI E VIE DI INGRESSO Materiale inalato: o Polline o Forfora di animale domestico o Spore di muffa o Feci di animali molto piccoli come gli acari della polvere Materiale iniettato: o Veleno di insetto o Vaccini o Medicinali o Proteine terapeutiche Materiale ingerito: o Cibo o Medicinali a somministrazione orale Materiale di contatto: o Foglie di pianta o Prodotti industriali di origine vegetale o Prodotti chimici sintetici contenuti in materiali industriali o Metalli CONSEGUENZE DELL’ATTIVAZIONE DEI MASTOCITI A seconda di dove viene incontrato l’allergene, si hanno conseguenze diverse: Tratto gastrointestinale: diarrea, vomito. Vie respiratorie: produzione di muco eccessiva, congiuntivite, riduzione del calibro delle vie di conduzione (broncocostrizione), edema. Vasi sanguigni: aumento del flusso e permeabilità → arrossamento, edema. PATOLOGIE DA IPERSENSIVITÀ Reazioni allergiche mediate dalle IgE Sindrome Allergeni comuni Vie d’ingresso Risposta Edema Farmaci Intravascolare Aumento della Siero (direttamente o per via permeabilità vasale Anafilassi sistemica Veleno orale, e successivo Edema della laringe Alimenti assorbimento in circolo) Collasso circolatorio Morte 97 Peli di animali Aumento locale del Orticaria acuta (gonfiore Cutanea Punture di insetti flusso sanguigno e della e rossore) Sistemica Prove allergiche permeabilità vasale Rinocongiuntivite Polline (ambrosia, alberi, Edema della mucosa stagionale (febbre da graminacee) Inalatoria nasale fieno) Feci di acari della polvere Starnutazione Broncocostrizione Forfora del gatto Aumento della Asma Pollini Inalatoria produzione di muco Feci di acari della polvere Infiammazione delle vie aeree Noci Crostacei Vomito Arachidi Diarrea Latte Allergia alimentare Orale Prurito Uova Orticaria Pesci Anafilassi (raramente) Soia Grano SENSIBILIZZAZIONE Durante la prima esposizione al polline l’APC (Antigen Presenting Cell) presenta l’antigene alla cellula T, stimolando il suo differenziamento nel sottotipo helper (TH 2). Questa, secernendo IL-4 stimola nella cellula B la produzione IgE specifici per l’allergene che si legano attraverso la propria porzione Fc ai mastociti. Al secondo contatto si ha l’attivazione dei mastociti, rilascio di mediatori pro-infiammatori preformati e sintesi di mediatori lipidici. Le reazioni allergiche comprendono una risposta immediata (I) ed una risposta tardiva (II) come risultato del rilascio di mediatori preformati in prima istanza e sintetizzati rapidamente (mediatori lipidici) (I), e di secondi mediatori (citochine) successivamente (II). I. La risposta immediata dura da circa 1 minuto dopo il contatto con l’allergene a 30 minuti dopo. II. La risposta tardiva si sviluppa dopo circa 8 ore dal contatto con l’allergene e può persistere per alcune ore. MEDIATORI DELL’IPERSENSIBILITÀ DI TIPO I Amine vasoattive: istamina Mediatori lipidici: prostaglandine, leucotrieni, PAF → aumento permeabilità vascolare, bronco-costrizione, aumento peristalsi intestinale. Citochine: TNF Mediatori lipidici: prostaglandine, leucotrieni, PAF → infiammazione. Enzimi: proteasi neutre, proteasi acide → danno ai tessuti. MANIFESTAZIONI CLINICHE DELL'ALLERGIA Nella cute: dermatite allergica, orticaria, ponfi, eczema Nelle mucose esterne: congiuntiviti e riniti Nell'apparato digerente: stomatiti nella mucosa orale, disturbi intestinali Nell'apparato respiratorio: asma bronchiale 98 Terapia sintomatica: antiistaminici, antiinfiammatori, cortisonici (blocca la produzione dei mediatori lipidici, responsabili della broncocostrizione). Terapia preventiva: desensibilizzazione (esposizione a piccole dosi di antigene per un periodo prolungato, vaccinazione per produrre IgG specifiche). ASMA Patologia infiammatoria cronica delle vie aeree Localizzata Molte cellule (linfociti, mastociti, eosinofili) e mediatori giocano un ruolo chiave L'infiammazione cronica porta ad un incremento della iperreattività delle vie aeree con episodi ricorrenti di sibili, tosse e dispnea La bronco-ostruzione è diffusa, variabile e spesso almeno in parte reversibile La flogosi cronica è caratterizzata dalla presenza di linfociti, mastociti e eosinofili, ed è sempre presente anche durante i periodi di remissione sintomatologica. EPIDEMIOLOGIA Si riscontra un’incidenza enormemente aumentata negli ultimi 20-30 anni: Nell’infanzia dal 5 al 15% (8% in Italia) Negli adulti dal 5 al 6% (4% in Italia) Si registrano 300.000.000 individui asmatici nel mondo. ANAFILASSI Sindrome multisistemica, dovuta al rilascio di mediatori da basofili e mastociti Inizio acuto Gravità variabile da lieve e autolimitantesi a mortale SINTOMI E SEGNI DELL’ANAFILASSI Sensazione di calore Arrossamento e prurito Orticaria e edema Sensazione di svenimento Tosse, dispnea, respiro sibilante Dolore addominale, nausea, vomito, diarrea Sensazione di vie aeree chiuse Incapacità di deglutire, parlare Disorientamento Sudorazione Aritmia cardiaca, sincope, shock Incontinenza SHOCK ANAFILATTICO Shock di tipo distributivo: in assenza di cure il paziente muore rapidamente. Il farmaco salvavita in caso di shock anafilattico è l’adrenalina (accelera la frequenza cardiaca, induce vasocostrizione, dilata le vie aeree bronchiali). L’entità dell’shock dipende sia dalla natura dell’allergene che dalla sua via di contatto: Intravenosa (farmaco): massiccia vasodilatazione e aumento permeabilità → collasso 99 Sottocutanea: reazione locale di infiammazione Inalazione (polline): attivazione dei mastociti causa rinite allergica, asma in base alla dose Ingestione (cibo): in seguito all’assorbimento intestinale si ha contrazione della muscolatura liscia → diarrea, in caso di dosi elevate può causare shock anafilattico TIPO II L’ipersensibilità di tipo II è dovuta ad anticorpi diretti contro Ag della superficie cellulare. Nelle trasfusioni incompatibili gli anticorpi sono principalmente IgM, ma anche IgG, si legano alla cellula bersaglio e attivano la via classica del complemento con formazione del MAC e lisi osmotica degli eritrociti. Nell’eritroblastosi fetale o anemia emolitica del feto (IgG della madre superano la placenta e mediano la fagocitosi degli eritrociti fetali da parte dei monociti/macrofagi, con relativa distruzione e rilascio di derivati dell’eme dell’emoglobina, che sono tossici per il feto). La fagocitosi è mediata da opsonizzazione con Ig. INCOMPATIBILITÀ DEL SISTEMA ABO Dipende dalla presenza o assenza di antigeni sulla superficie degli eritrociti. Tutti gli individui possiedono anticorpi IgM circolanti in grado di riconoscere gli antigeni eritrocitari diversi dai propri. Nel caso di trasfusioni incompatibili, le IgM del ricevente si legano ad eritrociti trasfusi, questo causa l’attivazione del complemento e lisi eritrociti trasfusi. ANEMIA EMOLITICA DEL NEONATO Reazione di una madre Rh- a ripetute gravidanze con feto Rh+. I. Durante la prima gravidanza, al momento del parto una piccola parte di globuli rossi fetali Rh+ passa nel circolo sanguigno materno: inizia la produzione di anticorpi IgG anti-Rh. II. Dopo la gravidanza, con il processo di immunizzazione la madre acquisisce e conserva la capacità di produrre anticorpi IgG contro il fattore Rh in grado di lisare i globuli rossi Rh+. III. Nel caso di una nuova gravidanza con feto Rh+, le IgG anti-Rh della madre attraversano la placenta e attaccano i globuli rossi fetali: si sviluppa un'anemia emolitica fetale. TIPO III Caratterizzato dalla formazione di immunocomplessi che si formano in circolo o a livello delle membrane basali dei vasi. Gli immunocomplessi sono costituiti da antigene e anticorpo (IgG o IgM). Questi attivano il complemento e provocano reazione infiammatoria. Gli immunocomplessi possono essere circolanti o presenti in situ. Danneggiano i tessuti e i vasi e si accumulano nelle strutture filtranti. L'Ag può essere esogeno o endogeno e la malattia localizzata o generalizzata. MALATTIA DA SIERO Segue all' inoculazione di siero contenente antitossina difterica o tetanica. Con l'antitossina il paziente riceve una elevata dose di proteine di cavallo, producendo Ab contro di essi. Se le proteine di cavallo non vengono eliminate tempestivamente, si legheranno alle IgG ed IgM circolanti che, se non eliminate in tempo, si depositano a livello dei vasi, dei glomeruli renali e membrane sinoviali delle articolazioni. Non c'è efficiente rimozione degli immunocomplessi (per dimensione/carica). 100

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