Summary

Questo documento presenta un'introduzione all'immunità adattiva, un tipo di risposta immunitaria che si sviluppa specificamente in risposta a un particolare agente patogeno, con caratteristiche uniche come la memoria. Il documento include anche un'introduzione alla storia dell'immunologia e alla scoperta di Jenner.

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IMMUNITÀ ADATTATIVA INTRODUZIONE ALL’IMMUNITÀ ADATTATIVA Esistono due strategie di difesa contro l’infezione, una è la resistenza ossia un meccanismo tramite cui l’organismo limita l’impatto negativo sulla fitness dell’ospite riducendo la carica patogenica dell’organismo, quindi strategie che abbatt...

IMMUNITÀ ADATTATIVA INTRODUZIONE ALL’IMMUNITÀ ADATTATIVA Esistono due strategie di difesa contro l’infezione, una è la resistenza ossia un meccanismo tramite cui l’organismo limita l’impatto negativo sulla fitness dell’ospite riducendo la carica patogenica dell’organismo, quindi strategie che abbattono il patogeno, o perlomeno tentano di contenerlo. Esiste però anche il meccanismo di tolleranza, la tolleranza limita l’impatto negativo sulla fitness dell’ospite diminuendo la suscettibilità dell’ospite al patogeno (e quindi limitare il danno, che a volte viene causato dal sistema immunitario stesso = immunopatologia). Quando l’organismo ci infetta c’è una prima fase nella quale il patogeno si replica, aumenta la carica del patogeno ma questo avviene in assenza di impatto sulla fitness (periodo di incubazione del patogeno), a un certo punto può succedere che il patogeno continui a replicare ma a questo si associa una diminuzione della fitness dell’ospite (quindi la persona sta male), se procediamo ancora vediamo come anche se la carica del patogeno sta diminuendo (perché l’organismo ha messo in atto meccanismi per diminuire la carica del patogeno), comunque la fitness diminuisce. Questa è l’immunopatologia, ossia la risposta immunitaria che aggrava la situazione e determina i sintomi; alla fine o si muore, oppure si ritorna alla guarigione. Tutte le strategie che portano la curva verso sinistra, quindi verso la riduzione della carica del patogeno è la resistenza; invece, le strategie che portano verso l’alto la curva quindi verso il miglioramento ella fitness (senza avere impatto sulla carica virale) è la tolleranza, e lo si fa diminuendo la suscettibilità dell’ospite al patogeno → teoria proposta e studiata da Schneider, Medzhitov, Soares. L’immunità adattativa ha come caratteristica la memoria. Il primo esperimento immunologico fu quello di Jenner alla fine del 700 nell’Inghilterra rurale, si rifà ad una pratica nota in Cina da secoli, Jenner si rende conto che i figli dei mungitori delle vacche non prendevano il vaiolo; quindi, ipotizza che l’esposizione alle pustole del vaiolo vaccino rendesse queste persone immuni al vaiolo. Prese il contenuto delle pustole delle mammelle delle vacche, le inietto a dei bambini (suo figlio) e per far vedere che erano protetti dal vaiolo, lo inoculò con il vaiolo umano e non ebbero sintomi del vaiolo umano. Da qui partì la vaccinazione contro il vaiolo. Jenner ha avuto fortuna, innanzitutto perché nelle pustole del vaiolo c’era il virus, poi che ci fosse una somiglianza antigenica tra vaiolo vaccino e vaiolo umano e infine che il vaiolo vaccino non avesse mortalità quando inoculato nell’uomo. Il vaiolo ha dato enormi problemi nella storia, mortalità incredibile (30%). Ai tempi di Jenner c’erano i novax, delle persone avevano paura che inoculando il materiale di origine vaccina venivano le corna. La stragrande maggioranza dei vaccini sono stati fatti in epoca in cui non si conosceva l’immunologia. Nel 67 il ministro della salute degli USA dichiara che la guerra contro le malattie infettive era stata vinta, in realtà non ebbe chiaramente ragione. Ci sono diversi livelli di immunità: il primo sono le barriere fisiche (cute e mucose) e l’immunità intrinseca, poi il secondo è l’immunità innata, e infine l’immunità adattativa. L’immunità intrinseca si differenzia dall’immunità innata perché questa è sempre presente nella cellula non infettata (apoptosi, autofagia, silenziamento dell’RNA, proteine antivirali); l’immunità innata è indotta dall’infezione e l’immunità adattativa infine è molto specifica per il patogeno, e ha memoria immunologica. Mentre l’immunità innata è antichissima filogeneticamente, è solo negli organismi mascellati che compare l’immunità adattativa, molte delle infezioni vengono controllate abbastanza bene dall’immunità innata (organismo non muore), quindi si può pensare che il motivo evolutivo per cui si è sviluppata l’adattativa è perché per la prima volta il numero di prole è minore rispetto agli organismi precedenti, quindi diventa importante proteggere la prole, altrimenti la specie non si mantiene, e uno dei modi è quello di passare l’immunità e avere memoria immunologica. Quindi l’immunità adattativa si è sviluppata per trasmettere questa immunità ai figli (alcuni anticorpi passano la membrana placentare), perché un neonato ha un sistema immunitario poco sviluppato. La differenza tra immunità innata e adattativa è che quella innata riconosce strutture comuni ai vari patogeni (per esempio l’LPS, riconosciuto dal TLR4, è presente in tutti i gram negativi), invece l’immunità adattativa riconosce strutture uniche, quindi antigeni molto specifici (singoli cambiamenti amminoacidici). Questo conferisce all’immunità adattativa una maggiore specificità. Le cellule dell’immunità adattativa sono due: - Linfociti B: producono anticorpi (sono solubili, e riconoscono quello che c’è fuori alle cellule, non possono uccidere una cellula infettata e sconfiggere un virus dentro la cellula) - Linfociti T: si dividono in linfociti T citotossici (CD8+) che riconoscono la cellula infetta e la uccidono, e linfociti T helper (CD4+) che aiutano i linfociti T citotossici, i linfociti B e le cellule dell’immunità innata e lo fanno attraverso secrezione di citochine. Gli anticorpi prodotti dai linfociti B sono in grado di riconoscere l’antigene (componente del patogeno riconosciuta dal sistema immunitario) nella sua forma nativa (struttura quaternaria della proteina), i linfociti T invece riconoscono pezzettini della proteina, frammenti peptidici dagli 8 ai 14-16 aa associati ad una proteina di membrana detta MHC (complesso maggiore di istocompatibilità) esposti dalla cellula infettata. La divisione fra linfociti B e T è nota dagli anni 60, quando Miller e Cooper scoprirono l’esistenza dei linfociti in grado di svolgere queste due funzioni. Prima del loro arrivo si pensava che ci fosse un unico linfocita in grado di svolgere varie funzioni che venivano osservate nei modelli sperimentali o nei pazienti (capacità di rigettare trapianti, avere attività antivirale, graft vs host disease, produzione di anticorpi). Cooper (lavorando con i polli) e Miller capirono che i linfociti T maturano nel timo; invece, i linfociti B maturano nella borsa di Fabrizio (nell’uomo nel midollo osseo); rimuovendo timo o borsa di Fabrizio non avvenivano alcune di quelle funzioni (ma non tutte), quindi si capì che gli anticorpi sono prodotti dai linfociti B, le altre funzioni sono mediate dai linfociti T. Tutta l’immunità si può spiegare con 4 postulati che fanno riferimento alla teoria della selezione clonale che è stata ideata dagli anni 50 e rifinita negli anni 80: - Ciascun linfocita (sia B sia T) ha un unico tipo di recettore con specificità unica (ci sono potenzialmente tanti recettori quanti linfociti abbiamo nel corpo), quindi ogni linfocita riconosce qualcosa di diverso. In assenza di incontro con l’antigene si stima ci siano circa 10^2, 10^3 linfociti che hanno una specificità verso un determinato antigene o epitopo. Invece, i recettori dell’immunità innata riconoscono lo stesso PAMP o DAMP. - L’interazione tra una molecola non self e uno di questi recettori linfocitari porta all’attivazione di questo linfocita - L’attivazione del linfocita porta ad una differenziazione dei linfociti in cellule effettrici che derivano da questo linfocita, ma tutte queste cellule figlie hanno lo stesso recettore della cellula madre che ha riconosciuto l’antigene. Da una cellula abbiamo espansione e proliferazione (si ottengono milioni di linfociti uguali) - I linfociti che hanno come recettore un recettore specifico per una molecola self ubiquitaria vengono eliminati in una fase precoce dello sviluppo, quindi non finiscono nel repertorio finale. Se abbiamo, per esempio, 3 linfociti B con recettori diversi (i BCR, ossia i B cell receptor, sono degli anticorpi per l’antigene inseriti in membrana), se nell’organismo entra un antigene (infezione) il linfocita B che ha BCR che lega quell’antigene va incontro a espansione clonale, si genera quindi un clone di cellule tutte uguali e va incontro anche a differenziazione, perché le cellule figlie diventano capaci di secernere anticorpi (se fosse un linfocita T di uccidere cellule ecc), quindi non solo si generano cloni di cellule uguali alla madre, ma acquisiscono anche funzioni diverse. Inoltre, si sviluppano anche dei sottotipi di cellule (sempre con lo stesso recettore) ma per esempio alcuni diventano plasmacellule, altre cellule B della memoria. Se mettiamo sull’asse delle ordinate il numero di anticorpi (oppure potremmo mettere la quantità di linfociti T citotossici) e sull’asse delle ascisse il tempo, se do l’antigene A (virus) per 4/5 giorni non riesco a misurare anticorpi specifici contro quell’antigene (lag phase, ossia latenza), dopo 4/5 giorni abbiamo l’espansione clonale e quindi compaiono gli anticorpi, in 10/14 giorni si raggiunge un plateau e questi anticorpi calano. È importante perché, se ad ogni esposizione antigenica espandiamo i linfociti e manteniamo livelli di anticorpi/cloni espansi elevati, non abbiamo più il pool di linfociti pronti ad espandersi per nuovi antigeni. Se poi dopo parecchio tempo veniamo esposti all’antigene A e ad un nuovo antigene B, per l’antigene B la curva è la stessa (lag phase, espansione clonale, plateau e discesa), per l’antigene A (che abbiamo già incontrato) abbiamo delle differenze, il numero/tetto max di anticorpi prodotti è molto più ampio perché c’erano già delle cellule della memoria (quindi partiamo da un numero maggiore di linfociti per quell’antigene), la pendenza della curva è più ripida perché avendo già incontrato l’antigene producono anticorpi più rapidamente, e non c’è la lag phase perché erano già formati, incontrano più rapidamente l’antigene. PRESENTAZIONE DELL’ANTIGENE E MOLECOLE MHC L’immunità adattativa si basa sull’azione di linfociti T e B; quelli B producono anticorpi, quelli T citotossici uccidono cellule infettate, i T helper aiutano producendo citochine. Entrambi riconoscono antigene ad alta specificità, ma il linfocita B riconosce strutture nella loro forma nativa (proteine, polisaccaridi o lipidi), il linfocita T può riconoscere solo peptidi lineari, e i peptidi devono per forza essere processati e presentati sull’MHC (non solubili ma adagiati sulle molecole MHC). Le molecole MHC vengono espresse da cellule presentanti l’antigene (il linfocita T ha bisogno della APC), quindi la presentazione dell’antigene è fondamentale. Il recettore dei linfociti T lega la molecola MHC con dentro il peptide legato, la molecola MHC è polimorfica (ce ne sono tante) e anche i peptidi legati dalla molecola MHC possono essere diversi (quindi non è che ogni molecola MHC può legare un solo peptide). Il recettore riconosce la molecola MHC in combinazione con il peptide. Il peptide messo su un’altra molecola MHC probabilmente attiverebbe un altro recettore; quindi, il recettore si attiva con quello specifico complesso MHC e antigene. MHC di classe 1 sono espresse da tutte le cellule nucleate, le MHC di classe 2 solo dalle cellule presentanti l’antigene. Solo quelle che esprimono sia MHC di classe 1 sia MHC di classe 2 sono chiamate cellule presentanti l’antigene (APC). Le APC sono le cellule dendritiche (le più efficienti nella presentazione dell’antigene), i macrofagi, i monociti in determinati contesti infiammatori, linfociti B. - I macrofagi si trovano a livello dei tessuti, e da qui non si possono muovere, non possono raggiungere gli organi linfoidi secondari (dove si trovano la maggiorparte dei linfociti T naïve), invece una cellula dendritica può migrare. Il macrofago può presentare l’antigene ai linfociti T presenti nei tessuti, per esempio linfociti T della memoria. - I linfociti B presentano MHC di classe 2 ma non hanno un ruolo nella presentazione dell’antigene per l’attivazione dei linfociti T, ma in una seconda fase; quindi, serve ai linfociti B per far vedere ai linfociti T che hanno un determinato antigene e quindi richiedono il loro aiuto per attivarsi ancora meglio. CELLULE DENDRITICHE Le cellule dendritiche sono state scoperte da Steinman e Cohn. Steinman osservò che nelle colture di splenociti, oltre alle cellule già descritte, c’era un altro tipo di cellula che aveva dei dendriti e non era così in adesione alla piastra come i macrofagi, questa cellula venne definita cellula dendritica. Ci sono diversi tipi: migratorie e residenti (nei tessuti linfoidi). Ci sono le cellule dendritiche classiche (le prime scoperte) e quelle plasmacitoidi (maggiori produttrici di interferoni α), poi ci sono monocyte-derived dendritic cells (derivano da monociti circolanti che, quando entrano nei tessuti o negli organi linfoidi secondari, si trasformano in cellule dendritiche e sono anche dette inflammatory dendritic cells). Queste cellule dendritiche hanno la stessa funzione ma origine diversa. Ci sono poi cellule dendritiche derivate da precursori embrionali (le cellule di Langerhans nella cute), ma alcuni paper sostengono siano dei macrofagi. Quando le cellule dendritiche sono in periferia (quelle migratorie), rilevano un patogeno con i PRR, fagocitano il patogeno, il materiale fagocitato viene spezzettano in peptidi e presentato sull’MHC. Il legame del PRR con il patogeno fa sì che la cellule dendritica attivi la produzione di citochine infiammatorie e acquisisca un profilo maturo (prima viene definita immatura, perché non è attivata). Le cellule dendritiche immature hanno capacità di fagocitosi e processamento dell’antigene più alta, quando diventano cellule dendritiche mature perdono in capacità di fagocitosi ma aumenta la presentazione dell’antigene (aumentano numero di molecole MHC). L’attivazione dei PRR fa scattare la maturazione delle cellule dendritiche, in particolare fa scattare NF-kB che fa produrre citochine, aumenta la produzione ed inserimento in membrana di molecole MHC, esprime CCR7 (è un recettore chemochinico, serve a far migrare le cellule verso il gradiente di CCL19 e CCL21 che sono ligandi prodotti nell’area T dei linfonodi), quindi le dendritiche migrano verso i linfociti T nei linfonodi. La cellula dendritica o entra nel sangue e va nella milza, oppure va nel sistema linfatico e raggiunge il linfonodo più vicino. In contemporanea avviene che il patogeno o frammenti del patogeno possono entrare nel sangue o nella linfa fino a raggiungere organi linfoidi secondari dove incontrano altre cellule dendritiche (residenti). La cellule dendritica va quindi a presentare l’antigene caricato su MHC al linfocita nel linfonodo, le dendritiche cercano il linfocita T giusto, si legano e poi si staccano subito fino a trovare un TCR affine per l’antigene presentato. MOLECOLE MHC Le molecole MHC sono polimorfiche, ossia significa che nella popolazione ci sono varie isoforme di MHC, ognuno di noi ha un determinato set di MHC detto aplotipo. Tutte le molecole MHC sono uguali tra le cellule (MHC di classe 1 su tutte le cellule nucleate sono uguali, MHC di classe 2 nelle cellule APC sono uguali). C’è differenza solo tra individui diversi, motivo per il quale quando si cerca il donatore si cerca individui che hanno un aplotipo di MHC compatibile. Le molecole MHC sono state scoperte grazie a esperimenti e pratiche di trapianto d’organo, dove spesso venivano rigettati i trapianti. Negli anni 40 iniziarono studi sperimentali su topi singenici o inbred, ossia vengono generati famiglie di topi tutti cloni, questi topi erano esattamente uguali (non c’è variabilità). Il trapianto d’organo non veniva rigettato in topi uguali. Poi hanno iniziato a incrociare ceppi di topi e vedere la progenie in cosa differisse rispetto al ceppo originario e facendo questi incroci al contrario scoprirono che i trapianti non venivano rigettati solo nei topi in cui uno specifico locus non veniva modificato e questo locus venne definito MHC (major histocompatibility complex), cosa contenesse questo locus non si sapeva ancora. Il locus genetico MHC del topo e dell’uomo hanno una struttura simile ma anche qualche differenza. Il locus dell’uomo si chiama HLA (human leukocyte antigens), perché venne scoperto analizzando pazienti che ricevevano trasfusioni. Le molecole MHC (Major Histocompatibility Complex) appartengono a due classi principali: 1. Classe I: Nell'uomo, questa classe è codificata da tre geni principali (HLA-A, HLA-B e HLA-C). Nel topo, gli equivalenti sono chiamati H-2K, H-2D e H-2L. Questi geni codificano per molecole MHC di classe I, che presentano frammenti di antigeni alle cellule T citotossiche (CD8+). 2. Classe II: Nell'uomo, la classe II è costituita dai geni HLA-DP, HLA-DQ e HLA-DR, che codificano per molecole MHC di classe II. Queste presentano frammenti di antigeni alle cellule T helper (CD4+). Nel topo, gli equivalenti sono chiamati I-A e I-E. Questi geni svolgono funzioni analoghe, presentando antigeni alle cellule T helper. Ci sono MHC non classiche presenti su questo locus o su altri, non sono polimorfiche, sono specializzate nella presentazione di lipidi. Le molecole MHC sono codominanti, noi ereditiamo un set di MHC da madre e da padre, tutto quello che riceviamo lo esprimiamo sulle cellule, abbiamo 3 geni su un allele e 3 geni sull’altro allele che vengono espressi; quindi, possiamo avere fino a 6 molecole MHC espresse (se madre e padre ne condividono uno, ne abbiamo 5). Il rigetto dei trapianti viene mediato dall’immunità adattativa, soprattutto linfociti T; la scoperta avvenne nel 74 da Doherty e Zinkernagel, loro scoprirono la MHC restriction. Il modello che usarono fu un virus che si chiama LCMV, ha come ospite naturale il topo ma può infettare anche immunosoppressi e causa una risposta linfocitica CD8 fortissima, questo ha permesso di studiare molto i linfociti CD8+. Infettarono un topo di ceppo A con LCMV e 7 giorni dopo prelevano gli splenociti del topo, trovando molti linfociti T attivati (linfociti citotossici); mettono in coltura questi splenociti con tanti linfociti T CD8 (aumentano dal 10% all’80% in caso di infezione da LCMV). Le mettono in coltura con cellule target (splenociti provenienti da topo non infettato da ceppo A o ceppo B) per vedere se le cellule target vengono uccise dai CD8. Se abbiamo linfocita CD8 da topo infettato di cellula A con cellula target da topo non infettato di ceppo A, le cellule target non vengono uccise perché non c’è l’antigene (seconda immagine), quindi anche se il linfocita CD8 è attivato, questo non uccide le cellule a caso, ma solo se c’è l’antigene. Se la cellula target viene incubata con l’antigene, viene uccisa (prima immagine). Poi la cellula target proveniente da topo di ceppo B viene incubata con antigene, dovrebbe essere uccisa perché possiede l’antigene, ma il linfocita T riconosce il complesso MHC legato all’antigene, dato che l’MHC è diverso (perché il ceppo di topo è diverso), la cellula non viene uccisa, perché i linfociti sono abituati a riconoscere quella molecola MHC con antigene → quindi il TCR riconosce la molecola MHC legata all’antigene, non solo l’antigene. - MHC di classe 1 è un polipeptide polimorfico che si associa ad una catena non polimorfica (β2- microglobulina che è sempre uguale), invece il polipeptide è fatto da due regioni α1 e α2 che creano la tasca di legame del peptide e una regione α3 che si associa alla β2-microglobulina. I residui più polimorfici si trovano nella regione α1 e α2. Il segmento α3 è importante perché associandosi con la β2-microglobulina crea un sito di legame per il corecettore CD8, quindi il linfocita CD8 lega queste MHC. Le molecole MHC di classe 1 non sono espresse in membrana se manca o la β2- microglobulina, o il peptide ad esso legato; quindi, servono tutti e 3 i componenti (polipeptide, β2- microglobulina, peptide). Tutte le cellule nucleate esprimono MHC1, quindi quali antigeni esprimono? Vengono caricati sull’MHC1 i peptidi che vengono prodotti dalla cellula, processati e caricati su MHC1 (peptidi self) - MHC di classe 2 è fatta da due catene, codificata ciascuna da un gene, queste due catene hanno una regione α1 e β1 che lega il peptide e una regione meno polimorfica (α2 e β2) che lega CD4. I peptidi sono più lunghi e anche in questo caso senza peptide non c’è MHC2 sulla superficie. Ogni molecola MHC può legare più peptidi, lega peptidi che hanno residui àncora simili fra di loro (residui che contattano la tasca della molecola MHC più polimorfica), ma ogni molecola lega un peptide alla volta. Se vengono presentati peptidi diversi è perché le molecole MHC ricircolano, ritornano nei compartimenti intracellulari dove incontrano un peptide a più alta affinità e tornano in membrana. Le cellule nucleate esprimono MHC1 e possono attivare linfociti CD8, le APC esprimono sia MHC1 sia MHC2 e possono attivare sia linfociti CD4 sia CD8. Come si determina la specificità di reazione ad un determinato antigene? Grazie ad un processo di selezione (avvenuta nel timo). Non è la molecola MHC o il recettore che distingue se il peptide è self o non self ma la selezione timica. Per quanto riguarda le molecole MHC1, i linfociti T citotossici si legano all’MHC1 e uccidono la cellula target. L’MHC1 può svolgere due funzioni, durante il priming (attivazione della risposta immunitaria) attiva i linfociti CD8, ma durante la fase effettrice ha la funzione di far riconoscere ai linfociti CD8 la cellula infettata. L’attivazione dei CD4 porta ad un potenziamento della risposta immunitaria (in tutti i suoi aspetti), quindi l’attivazione del CD4 serve per attivare il sistema immunitario, motivo per il quale le APC esprimono sia MHC1 sia MHC2 (perché il loro scopo è attivare sia linfociti CD8 sia CD4). PROCESSAMENTO DELL’ANTIGENE - MHC1: Le proteine ubiquitinate vanno nel proteasoma dove vengono tagliate in peptidi, questi entrano nel reticolo attraverso un trasportatore di membrana (TAP), qui incontrano le MHC1 che sono state sintetizzate, e una volte legate, queste vanno nel Golgi, nelle vescicole esocitiche ed esposte in membrana. Quando c’è un infezione virale, il virus produce proteine dentro la cellula, anche queste vengono processate in peptidi ed esposte su MHC1. Anche una cellule tumorale può produrre una proteina non self (perché è una cellula mutata), quindi espone sull’MHC1 un antigene non self. - MHC2: i peptidi derivano da materiale fagocitato o endocitato, questo materiale finisce negli endosomi che si fondono con lisosomi e queste proteine vengono processate in peptidi. Allo stesso tempo le MHC2 vengono preassemblate in associazione a un finto peptide per mantenere la stabilità del complesso. Quando l’MHC incontra il peptide, questo spiazza il finto peptide. Quindi MHC2 caricano peptidi non self esogeni (che derivano dalla degradazione di materiale fagocitato). Quando non c’è l’infezione, gli antigeni che vengono endocitati sono tutti i detriti dello spazio extracellulare, cellule che stanno morendo ecc. Quando una cellula dendritica matura, aumenta l’espressione di MHC1 e MHC2. Il papillomavirus infetta le cellule epiteliali della cervice uterina, non è molto citopatico ma un po’ sì. Come si spiega la risposta adattativa? Dato che l’attivazione dei CD8 naïve richiede la presentazione dell’antigene negli organi linfoidi secondari, se il virus replica solo nelle cellule epiteliali della cervice, come si possono attivare? Le cellule dendritiche periferiche possono fagocitare le cellule infettate e trasportare l’antigene negli organi linfoidi secondari. Questo antigene viene presentato sul’MHC2, quindi attivano i CD4, come fanno ad attivare i CD8? Servirebbe un virus che mi replica dentro la cellula dendritica, cosicché l’antigene viene presentato sull’MHC1 e attiva i CD8. C’è una terza via di presentazione attivata solo da un tipo di cellule (classiche di tipo 1) che possono traslocare il materiale dei lisosomi nel citosol (traslocazione retrograda), quindi mentre normalmente il materiale dell’endosoma genera peptidi che si caricano sull’MHC2, in alcune cellule dendritiche parte di questo materiale viene traslocato nel citosol e quindi i peptidi vengono caricati sull’MHC1 (in queste cellule la cellula presenta antigene sia su MHC1 sia su MHC2, attivando linfociti T CD4 e anche CD8). Queste cellule cross-presentanti sono importanti anche per le cellule tumorali. Domande: - Un uomo di 52 anni che riceve radioterapia e chemioterapia per un tumore subisce danno al midollo osseo, quali cambiamenti è probabile che avvengano? Una diminuzione di linfociti T e B, monociti, neutrofili ed eritrociti (tutte queste sono cellule che originano nel midollo osseo) - Quale affermazione è vera sulle molecole MHC? Una molecola MHC ha un solo sito di legame e quindi lega un solo peptide alla volta - Nel pathway di presentazione dell’antigene di MHC1, i peptidi vengono traslocati nel reticolo in che modo? Attraverso TAP (trasportatore di membrana del reticolo) Caso clinico Sergei e Natasha hanno 5 figli, Tatiana e Alex (17 e 7 anni) che soffrono fin da piccoli di infezioni respiratorie. Vengono isolate dalla saliva delle culture batteriche, dopo esami del sangue si scopre che hanno livelli di IgG alti e ci sono tutti i tipi leucocitari presenti; tuttavia, di tutti i linfociti T solo il 10% sono CD8; non viene rilevato problema delle risposte umorali, ma ci sono meno anticorpi per influenza e EBV. Non ci sono problemi nelle reazioni di ipersensibilità ritardata (sono dipendenti dalle CD4). Probabilmente è un problema genetico dato che sono due fratelli con lo stesso profilo. I medici vanno a vedere le MHC1 perché sono responsabili dell’attivazione dei CD8; sui leucociti c’è un livello basso di MHC1 (1% rispetto alla totalità di molecole espressa dal padre), madre e padre condividono un allele MHC; quindi, i due fratelli sono omozigoti per la regione MHC (hanno ereditato l’allele in comune), invece gli altri figli sono eterozigoti. Sospettano una mutazione a livello dei geni MHC di classe 1, e invece rilevano che i livelli di mRNA codificanti per MHC1 MHC2 sono normali; quindi, non dovrebbero esserci problemi nella produzione di proteine. Per essere espressi in membrana è necessaria la molecola di polipeptide, la β2-microglobulina e il peptide. I livelli di β2-microglobulina sono intatti, quindi probabilmente mancano i peptidi; infatti hanno una mutazione in TAP2, quindi i peptidi non riescono ad entrare nel reticolo, questo non provoca un azzeramento dei peptidi, ma un minor ingresso di peptidi in reticolo, quindi i pazienti un po’ di MHC con peptide ce l’hanno e quindi un po’ di CD8 ci sono (quindi riescono a controllare alcune infezioni). Perché, se non ci sono MHC1 non si producono anticorpi CD8? In assenza di molecole MHC1 non c’è selezione di CD8 nel timo; quindi, assenza di MHC1 porta a forte immunodeficienza, perché i linfociti T CD8 non si sviluppano, e lo vediamo parlando di maturazione timica. ONTOGENESI DEI LINFOCITI T E MATURAZIONE TIMICA TCR (T CELL RECEPTOR) Il recettore dei linfociti T è stato un mistero per molti anni e fu scoperto nel 1984 quando vengono pubblicati due paper che clonano uno il recettore umano e l’altro il recettore murino. Era molto difficile clonare questo recettore perché era più facile identificare il recettore dei linfociti B che viene rilasciato sottoforma di recettore solubile (sono gli anticorpi). La stessa cosa non succede per i TCR, quindi è stato molto più difficile identificarli e clonarli. Tak Mak ha scritto la storia di come fu scoperto il TCR, chiama questa ricerca “the hunting of the snark”, è un poema britannico nel quale si narrano le ricerche di viaggiatori alla ricerca di un essere mitologico, ma nessuno sa bene com’è fatto; questo per dire che molti laboratori erano in competizione per identificare questo TCR ma nessuno sapeva bene cosa stesse cercando. C’è chi diceva che alcuni recettori riconoscevano le molecole MHC e altri l’antigene virale, un altro modello diceva che c’era il recettore eterodimerico (una subunità riconosceva l’MHC e l’altra l’antigene), poi un altro che diceva che il recettore aveva due braccia; l’ultimo modello è quello più realistico in cui il TCR è unico e riconosce la combinazione di MHC e antigene. Nel 1984 Mark Davis clonò il TCR murino e Tak Mak clonò quello umano (la catena β). Struttura del TCR Il TCR dei linfociti T convenzionali (90%) è fatto da due catene, α e β, ognuna delle due catene ha: - Una zona N terminale detta regione variabile (Vα e Vβ) - Una regione più prossimale alla membrana che è la regione costante (Cα e Cβ) - Una porzione transmembrana - Una regione citoplasmatica molto piccola che non trasmette nessun segnale Quindi, come trasmette il segnale? Una volta legato l’antigene, il TCR si associa a degli altri componenti che formano insieme il complesso del TCR e sono le molecole CD3 e le catene ζ (zeta), queste contengono motivi ITAM (ossia motivi fosforilabili, in grado di reclutare tirosinchinasi e degradatori per trasdurre il segnale). I motivi ITAM sono presenti in tutti i recettori attivatori del sistema immunitario. Molecole CD3 e catena zeta sono uguali in tutte le cellule. Se manca CD3 io spegno tutto il segnale, quindi il TCR anche se lega l’antigene non trasduce. Se giriamo in orizzontale il TCR vediamo che la regione variabile è sulla sinistra e quella costante sulla destra, poi abbiamo il dominio transmembrana e citosolico. Dal costante in poi non ci sono differenze nei vari TCR, tutti hanno queste stesse regioni (costante, transmembrana e citosolico). Quello che cambia è la regione N terminale (quella variabile). VARIABILITÀ DEL TCR E RIARRANGIAMENTO GENICO Le MHC sono variabili perché sono polimorfiche, noi ereditiamo un particolare aplotipo e tutte le cellule esprimono le stesse MHC, ma ogni individuo ha MHC diverse. Nel caso del TCR il locus del TCR è uguale in tutti gli individui, non c’è polimorfismo, ma questo locus contiene molte regioni: - Regioni V (nella catena β sono 50) - Regioni D (2) - Regioni J (12) Riarrangiamento genico: il processo seleziona una V, una D e una J; quindi, la regione variabile del TCR ha una di ciascuna queste regioni. L’assortimento è casuale, quindi si generano combinazioni diverse. Inoltre, quando VDJ si uniscono, vengono aggiunte/tolte delle basi dagli enzimi TdT (terminal deoxynucleotidyl transferase); questo aumenta la variabilità, perché anche nel caso in cui casualmente due linfociti selezionino le stesse sequenze VDJ, comunque i TCR saranno diversi per quelle basi aggiunte/tolte. Nei precursori dei linfociti T abbiamo l’espressione di RAG1 e RAG2 (recombination activating genes), vicino alle sequenze V, D e J abbiamo RSS (recombination signaling sequences), sono sequenze che contengono un eptamero, una sequenza spaziatrice variabile e un nonamero e si trovano a valle delle regioni V, sia a monte sia a valle delle regioni D e a monte delle regioni J. - Per la catena α abbiamo solo regione V e J (è detta catena leggera); qui le RSS si trovano a valle di V e a monte di J, gli enzimi RAG1 riconoscono le sequenze RSS, quando si posizionano si forma un loop del DNA e viene tagliato (tutto quello che c’è in mezzo va via), e i due segmenti di DNA con sequenza V e J vengono cuciti e per cucirli vengono aggiunti/tolti dei nucleotidi e questo causa un’ulteriore variabilità. - Per la catena β (catena pesante) abbiamo regione V, D e J e quindi abbiamo due step di riarrangiamento; prima viene unita una sequenza D e una J, poi avviene un secondo step in cui una porzione V viene unita alla DJ, così si ottiene VDJ. Riassunto → Il locus è uguale in tutte le cellule, ma durante lo sviluppo dei linfociti T abbiamo un riarrangiamento genico che genera una sequenza di DNA con un V, un D e un J nella catena β, un V e un J nella catena α. Questo processo avviene solo nei linfociti che si stanno sviluppando, non durante tutta la vita la vita dei linfociti T; questo perché i geni RAG1 e RAG2 vengono espressi solo nelle fasi precoci dello sviluppo dei linfociti T. BCR (B CELL RECEPTOR) La maturazione avviene nel midollo osseo, il riarrangiamento genico è uguale al TCR. La struttura è fatta da 4 catene, due pesanti e due leggere (è infatti un anticorpo che poi si staccherà dal linfocita B e diventerà solubile). Le regioni N terminali della catena leggera e pesante hanno le regioni variabili (VH per la heavy chain e VL per la light chain), questa parte finale sembra un TCR; la catena leggera ha una sola regione costante (CL), mentre la catena pesante ha più regioni costanti (CH). Le regioni costanti, transmembrana e citoplasmatica sono identiche; la regione variabile nella catena pesante è fatta da VDJ, nella catena leggera VJ (come nel TCR). Gli enzimi sono gli stessi, e il procedimento di riarrangiamento genico è lo stesso. ORGANI LINFOIDI E EDUCAZIONE TIMICA Gli organi linfoidi primari sono midollo e timo ed è dove vengono generati i linfociti; i precursori di tutte le cellule ematopoietiche sono nel midollo ma quando una cellula comincia a differenziarsi verso linfocita T, questo precursore esce dal midollo e va nel timo a maturare. Il timo è un organo multilobato con regione corticale esterna e midollare interna; i vasi sono concentrati al confine tra regione corticale e midollare. I precursori entrano attraverso questi vasi nella regione corticale; qui ci sono nurse cells (cellule nutrici) che producono interleuchina 7 (fondamentale per la sopravvivenza dei linfociti nei primi stadi di sviluppo). Il nude mouse è un topo immunodeficiente perché non ha il timo, quindi non ha linfociti T, la mutazione è spontanea (FOXN1). Il timo atrofizza con l’età, è grande nei neonati e bambini, nell’adolescenza diventa quasi invisibile. I linfociti T naïve che escono dal timo escono principalmente durante l’infanzia (il pool di T cells viene generato durante i primi anni di vita); con l’invecchiamento il pool si arricchisce di linfociti T della memoria, e molto meno di linfociti T naïve. Anche in età adulta si producono dei linfociti T naïve , ma in minor numero. I primi eventi di maturazione avvengono nella zona corticale, poi man mano che diventa indipendente dall’IL7 i linfociti T si muovono verso la zona midollare dove ci sono cellule presentanti l’antigene APC (cellule dendritiche, macrofagi, cellule stromali epiteliali timiche che svolgono una funzione fondamentale nella presentazione degli antigeni). Il precursore entra attraverso i vasi nella zona di confine tra corticale e midollare, il precursore appena entra è un doppio negativo perché non esprime il TCR e non esprime né CD4 né CD8, man mano che va avanti diventa DN2, DN3 fino a quando il TCR viene riarrangiato e insieme al TCR vengono espresse le altre molecole come CD3, zeta chains e in contemporanea anche CD4 e CD8 quindi diventa doppio positivo e parte la fase della selezione di linfociti T. 1. Una cellula pro-T (doppio negativo) è quella che arriva nel timo, non esprime geni RAG, inizia a esprimere enzima TdT e RAG alla fine della sua fase, non esprime TCR, non esprime CD4 e CD8. Il primo evento che avviene in seguito all’espressione dei geni RAG è il riarrangiamento della catena pesante β, poi la stessa cosa avverrà per la catena leggera. 2. A questo punto il precursore viene chiamato pre-T (con catena pesante β già assemblata, questa catena si associa ad una catena α provvisoria). Il pre-TCR fa proliferare le cellule pre-T (grazie ad un segnale trasmesso dal pre-TCR e non più grazie all’IL7, quindi diventa indipendente dall’IL7) per far andare avanti solo le cellule con pre-TCR. Viene poi stimolato il riarrangiamento della catena leggera α, viene inibito il riarrangiamento della catena β sull’altro allele attraverso un fenomeno di esclusione allelica (se non fosse inibito avremmo la formazione di un altro TCR diverso, dato che il riarrangiamento è casuale) e infine vengono espresse CD4 e CD8 3. Da pre-T passiamo ad un doppio positivo (TCR completo con catena α e β, e ha sia CD4 sia CD8). Inizia il processo di selezione perché i TCR generati riconoscono alcuni antigeni self e altri antigeni non self; quindi, il processo di selezione o educazione timica serve per eliminare i linfociti T che non legano alcun antigene e che sono autoreattivi. - Se il TCR non riconosce nessun complesso peptide-MHC sul timo il linfocita va incontro ad apoptosi (death by neglect) perché non viene dato un segnale di sopravvivenza; avviene quindi la selezione positiva (nella corticale) in cui sopravvivono solo i linfociti che legano il complesso MHC-antigene e diventano singoli positivi - Se il TCR riconosce un complesso peptide-MHC ad altissima affinità (dato che nel timo abbiamo antigeni self), significa che è molto autoreattivo, quindi avviene la selezione negativa (nella midollare) e viene eliminato per apoptosi. Sopravvivono, quindi, solo i linfociti che riconoscono complesso peptidi-MHC a bassa affinità e questi vanno incontro a selezione positiva e diventano singoli positivi (esprimono o CD4 o CD8). 4. Infine, alcuni linfociti differenziano nei linfociti CD4 regolatori che svolgono ruoli di tolleranza periferica. Tutto questo processo si chiama tolleranza centrale, la maggiorparte dei linfociti T muoiono nel timo, quelli che escono nel timo sono o CD4 o CD8 naïve oppure le T regolatorie. Durante questo processo gli antigeni sono self (arrivano tramite circolo sanguigno, portati dalle cellule dendritiche, o timo specifici), ma come si genera la tolleranza nei confronti di antigeni espressi in maniera tessuto-specifica da tessuti solidi (che non viaggiano fino al timo)? C’è AIRE, un regolatore espresso solo dalle mTEC ossia le medullary thymic epithelial cell (cellule stromali che possono presentare antigeni sia su MHC1 sia MHC2 e presentano antigeni di tutti i tipi e di tutti i tessuti). AIRE regola la trascrizione di geni non specifici del timo; quindi, fa esprimere tutti i geni e tutti gli antigeni, la mutazione in AIRE porta all’APS1, ossia una malattia autoimmune, in cui i linfociti autoreattivi attaccano vari distretti del corpo; quindi, i sintomi sono i più disparati. Se in fase neonatale o in utero, durante lo sviluppo timico, un virus infetta il timo, vengono scartati i linfociti T che hanno TCR per l’antigene virale, quindi non si potrà avere risposta T-mediata contro quel virus (tolleranza nei confronti di quell’antigene). SCELTA DEL CD4 O CD8 Da un doppio positivo, come si diventa singolo positivo? Il modello più recente dice che il linfocita selezionato positivamente passa attraverso una fase intermedia in cui il CD4 rimane espresso, il CD8 diminuisce un po’ come espressione, è una fase di passaggio (CD8 low). Da questo momento inizia il momento di scelta: - Se in quel momento il TCR riconosce un po’ più a lungo un peptide presentato da MHC2, il CD4 si lega all’MHC e il segnale che arriva al TCR viene mantenuto nel tempo, e questo fa si che il CD8 viene downregolato e il linfocita diventa un CD4. - Se il linfocita CD8 low lega un peptide presentato da MHC1, il CD4 non si lega, quindi il segnale del TCR è meno persistente e questo porta il linfocita T a diventare di nuovo dipendente dall’IL7, perché non può sopravvivere attraverso il segnale del TCR, quindi l’IL7 fa spegnere il CD4 e attivare il CD8, così le cellule diventano CD8. Alla base di tutto questo ci sono fattori di trascrizione che promuovono l’espressione di CD4 e CD8 (ThPOK per CD4 e RUNX3 per CD8). Le CD4 diventano T helper e le CD8 diventano citotossiche, quindi i programmi effettori sono diversi. È la molecola CD4 o CD8 che determina quale programma effettore avere? I ricercatori hanno scambiato CD4 e CD8 (solo la molecola all’inizio del gene, non il resto del gene che dipendeva dal promotore di CD4 e CD8). Quindi ottengono linfociti CD4 con tutto il programma effettore del CD8 e linfociti CD8 con il programma effettore di CD4, e hanno ottenuto linfociti CD4 citotossici e linfociti CD8 helper. Questo ha fatto capire che non è la molecola CD4 di per sé che fa produrre citochine o la CD8 che fa acquisire al linfocita citotossicità, ma tutto il segmento genico controllato dal promotore di CD4 o CD8. Domande: - Durante lo sviluppo sia dei linfociti T sia B, c’è uno stadio in cui si forma il pre-TCR o pre-BCR, qual è un’importante funzione di questo recettore? Selezionano positivamente i linfociti che hanno fatto un primo round di ricombinazione VDJ (il pre-TCR manda un segnale di sopravvivenza) - Quale meccanismo è responsabile del fatto che tutti i TCR hanno catene beta identiche? Esclusione allelica (i loci sono omozigoti, ma i riarrangiamenti sui due locus determinano TCR diversi, quindi ci deve essere esclusione di un allele, quando una catena è già stata riarrangiata) - La maggiorparte dell’attivazione dei linfociti T naïve avviene dove e in risposta a cosa? Negli organi linfoidi secondari in risposta a presentazione dell’antigene da parte dele DC (potrebbe succedere anche nel sangue in risposta alla presentazione dell’antigene da parte dei monociti, ma è molto difficile perché le cellule si muovono veloci, ed essendo il sangue molto vasto è difficile che ci sia incontro antigene-linfocita) - La combinazione degli stimoli ricevuti dal TCR e segnali costimolatori inducono il linfocita T naïve ad esprimere IL2 e il recettore IL2-R (CD25). Questo stimolo quale risposta induce nei linfociti T? espansione clonale Caso clinico: Robert ha 18 mesi, con movimenti letargici e pelle secca; ha ipotiroidismo trattato con ormoni tiroidei, dall’età di 6 anni è cresciuto meno del solito. TSH sono molto alti. La sorella soffre della malattia di Grave (ipertiroidismo autoimmune) e ha anticorpi nel siero contro le cellule del pancreas. Robert sviluppa infezione da albicans, insufficienza renale e un’altra malattia autoimmune che distrugge le piastrine, sembra che queste non abbiano una relazione. Robert soffre di una mutazione in AIRE (APS ossia autoimmune poliglandular syndrome), ossia il fattore che fa esprimere al timo antigeni di altri tessuti, chi soffre sviluppa malattia autoimmune che spesso non si diagnostica facilmente. Perché soffre ipotiroidismo mentre la sorella ipertiroidismo, anche la sorella ha mutazione in AIRE però i meccanismi con cui si generano malattie autoimmuni sono diversi (la sorella ha malattia di Grave, Robert ha tiroidite di Hashimoto) ANATOMIA FUNZIONALE DEL SISTEMA IMMUNE ORGANI LINFOIDI Nello sviluppo embrionale, le cellule si muovono grazie al sistema immune. Julius Cohnheim per la prima volta descrive dei corpuscoli del sangue incolore (globuli bianchi) e descrive l’extravasazione leucocitaria guardando la lingua di una rana (che è trasparente); capisce che i leucociti escono dalle vene e non dalle arterie e che escono senza danneggiare la parete (senza emorragia) quindi con il vaso integro. Oggi usiamo microscopia intravitale multifotone (si vedono filmati colorati delle cellule in vivo che si muovono). Gli organi linfoidi primari sono timo e midollo osseo dove si generano linfociti T e B e maturano, quando questi completano il processo di maturazione fanno la spola tra sangue e organi linfoidi secondari, che si dividono in organi dotati di capsula (linfonodi e milza che drenano rispettivamente la linfa dai tessuti periferici e sangue), e senza capsula (i MALT che drenano le mucose). È necessario in un sistema circolatorio avere la possibilità di fare extravasare del liquido a livello dei capillari (sennò ci sarebbe troppa pressione), quindi deve uscire e andare nell’interstizio, però questo liquido deve anche essere riassorbito e infatti la funzione del sistema linfatico è riportare il liquido extravasato nel torrente ematico. I patogeni che hanno superato le mucose, però, potrebbero raggiungere il sangue tramite il sistema linfatico; quindi, ci sono i linfonodi che sono stazioni che fanno da filtro per prevenire che agenti patogeni migrino nel torrente circolatorio, e poi hanno aggregati di linfociti perché l’antigene che viene dai tessuti può attivare i linfociti. I vasi linfatici sono presenti ovunque anche in posti dove si pensava non ci fossero. Il MALT (mucose associated lymphoid tissue) si declina in vari nomi come nasal, bronchial, skin, gut associated lymphoid tissue. Oltre agli organi linfoidi primari e secondari, il sistema immune è dappertutto; un lavoro di qualche anno fa dimostra come nel cuore (dove non si pensava la componente immune fosse preponderante) ci sono un 10% di cellule del sistema immune. Ci sono molte funzioni del sistema immune che vanno al di là della loro funzione di difesa. Per esempio, i macrofagi residenti tissutali preservano e garantiscono le funzioni delle cellule mesenchimali, per esempio la microglia è fondamentale per la generazione della memoria. I linfociti specifici per un determinato epitopo sono estremamente rari, quini bisogna capire come fa il sistema a massimizzare la possibilità che quei pochi linfociti possano incontrare l’antigene. Un modo è grazie al fatto che i linfociti sono limitati nello spazio, quindi l’incontro avviene in maniera controllata, e poi la struttura stessa del linfonodo fa sì che l’incontro avvenga in maniera più efficiente. I linfonodi hanno struttura a fagiolo, i vasi afferenti entrano nel seno sottocapsulare, sotto ci sono i follicoli B separati dall’area T e poi la midollare. Quindi questa divisione fra linfociti T e B rende più efficiente l’incontro con l’antigene. Il prof ha fatto un esperimento: hanno preso un virus reso fluorescente, l’hanno iniettato sottocute nel piede del topo (quindi come se il virus avesse superato le barriere cutanee) e hanno visto cosa succede nel linfonodo drenante, con tecniche di microscopia intravitale. Vedono che il virus si accumula nel seno sottocapsulare, ma non penetra nel parenchima linfonodale. Hanno identificato dei macrofagi del seno sottocapsulare (vivono nel seno o nei follicoli B e con protrusioni si estroflettono verso il seno) che catturano i patogeni che arrivano dal seno e riescono a tenerli sulla loro superficie per parecchio tempo, riescono anche a traslocare il patogeno dal seno al follicolo B. La polpa bianca della milza ha una struttura analoga al linfonodo: l’arteriola centrale (analoga al vaso afferente) si apre nel seno marginale (equivalente del seno sottocapsulare) e subito sotto al seno c’è l’area B e anche qui ci sono dei macrofagi. Più in profondità c’è l’area T detta anche PALS (periarteriolar lymphoid sheath). Separazione dei linfociti T e B nei linfonodi Ci sono chemochine prodotte in queste due zone che fanno sì che i linfociti T siano separati dai linfociti B, queste chemochine sono prodotte da cellule stromali: - Le cellule stromali dei follicoli B si chiamano cellule follicolari dendritiche e producono CXCL13 che agisce su CXCR5 che è presente sui linfociti B - Le cellule stromali dell’area T si chiamano cellule fibroblastiche reticolari che producono CCL19 e CCL21 che agisce su CCR7 che è presente sui linfociti T. I linfociti in queste aree rispettive sono molto mobili (linfociti T nell’area T si muovono a 10 micron al minuto), e si muovono all’interno di un parenchima molto fitto di cellule. EXTRAVASAZIONE LINFOCITARIA E MEMORIA TOPOGRAFICA Selectine chemochine e integrine consentono ai leucociti di aderire, fare rolling ed extravasare nei tessuti. L’extravasazione leucocitaria avviene solo nelle vene post-capillari, ad eccezione del fegato dove extravasano dai capillari sinusoidi. Nella realtà il numero di segnali necessari per questo processo è molto più ampio; inoltre, un concetto che sta emergendo è quello dei codici di avviamento postali presenti per determinati distretti, quindi le selectine, chemochine e integrine sono diverse a seconda del tipo di leucocita e tipo di distretto endoteliale. Quando i linfociti sono attivati nel linfonodo, tornano nel sangue e non devono più fare la spola tra sangue e linfonodi ma devono andare nel sito di infezione, e hanno dei segnali di infiammazione che riconoscono dall’endotelio attivato e infiammato. Ci sono segnali endotelio-specifici o distretto-specifici, ci sono ZIP codes (codice di avviamento postali) per i linfonodi (segnali specifici per far sì che i linfociti extravasino dai linfonodi). Un concetto importante che sta emergendo è la memoria topografica dei linfociti, se prendiamo due distretti come la cute e l’intestino che contengono delle cellule dendritiche residenti, quando queste entrano in contato con il PAMP maturano, fagocitano il patogeno e migrano verso i linfonodi drenanti e presentano l’antigene ai linfociti T. Se, in quel linfonodo, ci sono i linfociti T, vengono attivati, ma le dendritiche non veicolano solo l’informazione dell’antigene ma anche da dove sta venendo; quindi, se la cellula sta venendo dalla cute istruisce i linfociti T che il patogeno era nella cute, se sta venendo dall’intestino viceversa. Molecolarmente si è scoperto che ci sono dei metaboliti vitaminici che agiscono su recettori nucleari delle cellule dendritiche per istruirle, per esempio per la cute abbiamo metaboliti della vitamina D e nell’intestino metaboliti della vitamina A. Quindi vengono prodotte citochine dalle cellule dendritiche che attivano un programma trascrizionale nei linfociti che porta all’upregolazione di recettori per ligandi presenti sulla cute o sull’intestino infiammato; quindi, è come se gli dicessero in questo modo dov’è l’infezione. Questi segnali diventano dei target per sviluppare farmaci e inibire l’extravasazione leucocitaria, per esempio in malattie autoimmuni in cui c’è un costante attacco di linfociti verso un autoantigene. Ci sono molti farmaci che modulano questo processo per esempio nella psoriasi, nella sclerosi multipla, nel morbo di chron ecc. LINFOCITI T I linfociti T naïve (prima che abbiano incontrato l’antigene) fanno la spola tra sangue e linfonodo, quindi quando nel sangue raggiungono le vene ad alto endotelio (HEV) dei linfonodi (scrivo linfonodi ma si intende tutti gli organi linfoidi secondari), riconoscono dei segnali specifici e questo consente di extravasare e migrare dal sangue all’area T. Nell’area T sono in movimento interstiziale e vanno alla ricerca del loro antigene, se non lo trovano dopo circa 24 ore escono dal linfonodo, entrano nei vasi linfatici efferenti e vanno al linfonodo successivo, così fino ad arrivare al dotto toracico che sbocca nella vena succlavia e, una volta nel torrente ematico, rifanno lo stesso giro. Se una cellula dendritica dalla periferia riconosce un PAMP, si attiva, matura e migra nei vasi linfatici afferenti, vengono attratte nell’area T (grazie alle chemochine) e qui presentano l’antigene al linfocita T; se lo trovano, questo porta all’espansione clonale e ad una differenziazione in cellule effettrici che lasciano il linfonodo con i vasi efferenti, vanno nel sangue e hanno dei recettori in grado di riconoscere molecole presenti nell’endotelio infiammato del tessuto che ha attivato le cellule dendritiche. Quindi nel tessuto svolgono la loro funzione effettrice. L’espansione clonale, oltre a generare cellule effettrici, genera anche cellule della memoria, ce ne sono diverse come le cellule della memoria effettrici che migrano nei tessuti e cellule della memoria centrale che riacquisiscono il pattern di recettori dei linfociti T naïve che gli permette di fare la spola tra sangue e linfonodi. ATTIVAZIONE DEI LINFOCITI T NAÏVE L’attivazione avviene nel linfonodo grazie alle cellule presentanti l’antigene (APC). I linfociti T non possono vedere l’antigene in forma nativa, hanno bisogno dell’MHC sulle cellule presentanti l’antigene.

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