Oncologia Sperimentale - Appunti PDF
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2024
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Questo documento fornisce una panoramica sui concetti fondamentali di oncologia sperimentale, esplorando diverse tipologie di tumori, le loro caratteristiche e le strategie di prevenzione e trattamento. Si focalizza su cancro e tumori benigni e maligni, includendo fattori epidemiologici e storici.
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ONCOLOGIA SPERIMENTALE LEZIONE 1 - 2024 Il cancro In un individuo ci sono diversi tessuti costituiti da cellule con alta capacità proliferativa e a seconda di tale capacità è possibile distinguere i tessuti in labili, stabili e perenni: - i tessuti perenni sono quelli costituiti da cellule il...
ONCOLOGIA SPERIMENTALE LEZIONE 1 - 2024 Il cancro In un individuo ci sono diversi tessuti costituiti da cellule con alta capacità proliferativa e a seconda di tale capacità è possibile distinguere i tessuti in labili, stabili e perenni: - i tessuti perenni sono quelli costituiti da cellule il cui numero è pressoché costante per tutto l’arco di vita, un esempio sono i neuroni il cui patrimonio cellulare può un po' diminuire solo con l’avanzare dell’età; - i tessuti labili sono quelli in cui le cellule vecchie o danneggiate vengono sostituite da cellule nuove come accade per le cellule che formano la cute; - i tessuti stabili, come ad esempio il tessuto che costituisce il fegato, sono costituiti da cellule che non proliferano, ciò nonostante, quando viene asportato chirurgicamente un pezzo di fegato, questo si ricompone dopo qualche anno. La caratteristica principale dei tessuti normali è la costanza del numero di cellule. Quando un tessuto perde il controllo della proliferazione cellulare allora si origina un tumore. Nel caso del tumore non è che un tessuto prolifera più di un altro ma prolifera quando non deve. Quando si parla di tumore si fa riferimento a un gruppo di malattie e non a una singola malattia e ognuna di queste malattie è caratterizzata da un proprio assetto molecolare alterato ma la caratteristica comune è l’aumento incontrollato del numero di cellule. Questo aumento può essere causato da diversi meccanismi dell’omeostasi tissutale che sono alterati come: migrazione cellulare, differenziamento cellulare, morte cellulare. La più importante classificazione in oncologia è la distinzione tra tumori benigni e tumori maligni. I tumori in genere sono localizzati, cioè l’aumento del numero di cellule avviene in un tessuto specifico, ma nella maggior parte dei casi accade che le cellule tumorali riescono a raggiungere altri distretti, diversi dal punto in cui ha avuto inizio l’aumentata proliferazione cellulare. Questi “spostamenti” delle cellule tumorali dal loro tessuto di origine prendono il nome di metastasi. Per i tumori localizzati basta il lavoro di un chirurgo che asporta la massa tumorale dal tessuto di origine ma quando la malattia diventa sistemica non basta più la semplice asportazione ma c’è la necessità dell’assunzione di farmaci e dello svolgimento di terapie. Quando si parla di terapia del tumore però non si fa riferimento alla cura del tumore stesso ma a una terapia focalizzata sul processo metastatico, che è il principale problema dell’oncologia. Quindi, i tumori benigni sono quelli che rimangono localizzati ma possono comunque crescere in grandezza, l’importante è che restano al loro posto, confinati; i tumori maligni, invece, sono quelli invasivi, che si spostano, dando origine al processo metastatico e a rendere la malattia sistemica. I tumori benigni nella maggior parte dei casi non rappresentano un problema mentre i tumori maligni sì a causa della loro capacità di metastatizzare. Tumore e neoplasia sono sinonimi riferiti entrambi ai tipi benigni e maligni mentre con il termine cancro ci si riferisce a una condizione di malignità. L’oncologia è la scienza che studia i tumori e il termine cancerologia ne è un sinonimo. Il nome generico dei diversi tipi di cancro indica l’origine istologica del cancro: - i carcinomi sono di origine epiteliale; - i sarcomi sono malattie dei tessuti connettivi; - le leucemie e i linfomi sono malattie che colpiscono le cellule del sangue; - i melanomi colpiscono i melanociti. Misure epidemiologiche - Prevalenza: numero di individui con una malattia all’interno di una popolazione. - Incidenza: numero di nuovi casi di una data malattia, è una misura di velocità e si misura in numero di casi per 100000 abitanti per anno (importante specificare “per anno” perché spesso in epidemiologia questo viene sottinteso). - Mortalità: numero di morti in una popolazione per un certo periodo. In genere i tumori sono delle malattie che si sviluppano in età avanzata e questo crea un problema quando si confrontano popolazioni con una età media molto diversa. Infatti, nel caso in cui si ha una popolazione più anziana, l’incidenza dei tumori aumenta, ma non perché la popolazione sia più grande ma perché negli anziani è maggiore la possibilità che insorga una malattia rispetto a un soggetto più giovane. Per questo motivo gli epidemiologi usano dei dati standardizzati, cioè delle popolazioni standard in modo da normalizzare le incidenze dei tumori in base a queste popolazioni standard. L’incidenza misura la carcinogenesi (se siamo esposti ad agenti cancerogeni aumenta l’incidenza di un certo tumore nella popolazione) e la diagnosi (se si diagnosticano più tumori, per esempio per evitare che si origini un processo metastatico, allora l’incidenza aumenta). La mortalità misura, oltre che la carcinogenesi e la diagnosi, la malattia perché, se la malattia è grave e non esistono cure o terapie nei suoi confronti, allora la mortalità aumenta. In gran parte della storia passata e in molti paesi l’incidenza non veniva registrata mentre la mortalità sì perché qualunque paese ha bisogno di sapere il numero di persone vive e morte. Per questo motivo spesso la mortalità viene usata come un surrogato dell’incidenza. La mortalità è molto simile, in termini di valori, alla mortalità nel caso di malattie mortali e nel caso in cui l’intervallo tra la diagnosi e la morte è breve. Oggi esiste l’Associazione Italiana Registri Tumori (AIRTum) che mette insieme tutti i dati riferiti ai tumori diagnosticati in Italia. Questa associazione, insieme all’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), pubblica ogni anno un libro in cui illustra i dati riferiti ai tumori e le tendenze di alcuni tumori rispetto ad altri per tentare di identificare le cause di queste malattie. In Italia i dati sono i seguenti: A livello mondiale, invece, i dati sono i seguenti: Nelle società contemporanee le principali cause di morte sono le malattie del sistema circolatorio (al primo posto) e i tumori. Tendenzialmente, lì dove lo sviluppo economico è maggiore, lì c’è una maggiore probabilità di insorgenza di tumori ma questo non sempre è vero perché per esempio il tumore della cervice uterina insorge di più nel sud del mondo e meno nei paesi più industrializzati. Le cause biologiche dei tumori, infatti, sono diverse da un Paese all’altro. In epidemiologia è importante fare degli studi di migrazione perché attraverso gli spostamenti delle popolazioni si riescono a studiare i rapporti tra fattori endogeni ed esogeni. Grazie a questi studi, infatti, è possibile studiare quali sono i fattori che influenzano principalmente l’insorgenza di un certo tumore. Consideriamo per esempio dei giapponesi che migrano in California. Osservando il grafico si nota che in Giappone i tumori più frequenti sono i tumori allo stomaco e al fegato mentre meno comuni sono il tumore al colon e alla prostata. Quando però un giapponese si trasferisce in California, l’insorgenza di tumori allo stomaco e al fegato diminuiscono e nei figli dei giapponesi immigrati si intuisce che l’insorgenza dei tumori comuni in Giappone diminuisce. Attraverso questo studio è stato dimostrato che i tumori dello stomaco e del fegato sono causati da fattori esogeni, infatti, sono quelli la cui insorgenza cambia quando ci si sposta, mentre l’insorgenza dei tumori al colon e alla prostata è pressoché simile; quindi, questi tumori sono causati da fattori endogeni. In particolare i tumori allo stomaco e al fegato sono causati da virus e batteri, nello specifico il tumore allo stomaco è causato dal batterio Helycobacter pylori; i tumori del colon sono causati da fattori endogeni come l’alimentazione (nel caso dei giapponesi, essi sono abituati nella loro dieta a mangiare pesce crudo per cui vanno più facilmente incontro a tumori di questo tipo); per il tumore alla prostata non si sanno ancora con certezza quali siano i fattori scatenanti, se endogeni o esogeni. Il cancro nella storia Il cancro è una malattia antica: masse tumorali sono state ritrovate in dinosauri e nelle ossa di alcune mummie egiziane. Il termine “carcinoma” e “oncologia” sono stati usati per la prima volta da Ippocrate. Ma la quantità e il tipo di tumori sono sempre stati gli stessi nel corso della storia? Rispetto allo scorso secolo le cause di morte sono completamente cambiate: nel XX secolo le principali cause di morte erano le malattie infettive mentre oggi queste malattie si sono ridotte in numero se non addirittura scomparse ma non perché siano aumentati la produzione e l’uso degli antibiotici ma perché sono migliorate le condizioni igienico-sanitarie (fondamentale è stata anche la potabilizzazione delle acque). Ad oggi le principali cause di morte sono le malattie cardiovascolari seguite dai tumori. Dagli anni ‘70 è diminuita anche la mortalità per malattie cardiovascolari grazie alla prevenzione e all’uso di farmaci. I tumori, invece, sono aumentati sia in percentuale che in valore assoluto. Nel corso della storia anche l’aspettativa di vita è cambiata, infatti, alla fine del 1800 l’uomo aveva un’aspettativa di vita più bassa rispetto a quella attuale. In generale l’aspettativa di vita è aumentata gradualmente, fatta eccezione per i periodi delle due guerre mondiali in cui l’aspettativa di vita ha subito un calo drastico. Età e cancro La probabilità di sviluppare un cancro aumentare all’aumentare dell’età secondo una curva esponenziale. Di conseguenza anche la mortalità aumenta con l’avanzare dell’età. Il tempo e l’età rappresentano, quindi, uno dei principali rischi di tumore. Principali tipi di tumori Nella popolazione maschile il tumore più frequente è quello alla prostata mentre nella popolazione femminile il tumore più frequente è quello alla mammella. Il secondo tumore più frequente è quello al polmone, il terzo è quello al colon, sia nella popolazione maschile sia in quella femminile. Per il tumore al polmone non esistono ancora delle cure definitive mentre per i tumori alla prostata e alla mammella (che hanno delle caratteristiche in comune tra di loro) sono ad oggi facilmente curabili (questa è una caratteristica che li accomuna). L’aumento del cancro al polmone è dovuto soprattutto al fumo di sigaretta. Cosa possiamo fare? Il cancro, quindi, è il principale problema di salute a livello mondiale. Una riduzione dell’incidenza e della mortalità del cancro significherebbe migliorare il benessere umano e aumentare l’aspettativa di vita. Le strategie che è possibile implementare sono: - prevenzione: basata sulla conoscenza dei carcinogeni esogeni; - chemioprevenzione: sviluppo di farmaci per ridurre l’incidenza di tumori, cioè, prevenire una malattia tramite la somministrazione di un prodotto chimico o biologico; - diagnosi precoce: scoprire precocemente il tumore prima che esso diventi maligno; - terapie: curare i tumori stabilizzati e le metastasi. La prevenzione primaria è volta a individuare quali sono i fattori modificabili/esogeni; i principali sono: esposizioni occupazionali, stili di vita, farmaci/ormoni e agenti biologici. La chemoprevenzione, invece, è volta a individuare i fattori endogeni come il metabolismo degli xenobiotici, gli ormoni, i fattori di crescita, la proliferazione cellulare e l’infiammazione cronica. Il maggiore fattore di rischio è il fumo di sigaretta non solo per il cancro al polmone ma anche per altre patologie. Negli ultimi 50 anni la curva relativa ai soggetti fumatori si è appiattita, ciò vuol dire che, se all’inizio i fumatori erano soprattutto uomini, ad oggi non c’è distinzione di sesso perché sia maschi che femmine fumano. Il cancro potrebbe essere prevenuto con delle medicine, le quali però hanno dei forti effetti collaterali. Alcuni farmaci sono stati approvati per la prevenzione del cancro in individui sani ma non sono sempre consigliati se non nel caso di soggetti ad alto rischio. Questo però riguarda la chemoprevenzione ma per quanto riguarda l’immunoprevenzione, i metodi immunologici per prevenire il cancro sono molto efficaci: si parla dei vaccini. I vaccini sono efficaci su circa il 10% di tutti i tumori umani. In compenso, però, ci sono dei farmaci che possono eradicare delle infezioni per cui un vaccino non è stato ancora sviluppato. La combinazione di vaccino e farmaci può prevenire circa il 15% di tutti i tumori umani. In conclusione, si potrebbe dire che circa il 50% dei tumori sono prevenibili. Un’altra strategia che potrebbe essere applicata è quella della diagnosi precoce che viene definita anche come “prevenzione secondaria”, anche se in realtà non si potrebbe definire come una vera e propria forma di prevenzione. La diagnosi precoce si basa sul fatto che i piccoli tumori sono più semplici da curare rispetto ai tumori più grandi e quindi l’obiettivo della diagnosi precoce è quello di evitare la progressione maligna del tumore. Una volta effettuata la diagnosi, bisogna curare la malattia tramite degli approcci terapeutici. Le terapie contro il cancro sono principalmente tre: chirurgia, radioterapia e chemioterapia. La terapia dei tumori è, in realtà, una terapia combinata, cioè una terapia in cui generalmente vengono combinati diversi farmaci. Per quanto riguarda la chirurgia, la tendenza attuale vuole che la chirurgia sia il più conservativa possibile, per esempio nel caso del tumore alla mammella, ad oggi la mammella viene divisa in quattro quadranti in modo da asportare al massimo ¼ della mammella (25%) e non il 100% di essa oppure viene effettuato un intervento di nodulectomia per asportare solo il nodulo maligno. Inoltre, la chirurgia sta diventando sempre più robotica, cioè, è previsto l’uso di robot durante gli interventi chirurgici. La radioterapia, invece, era una terapia che consisteva nell’irradiare con dei fasci la zona tumorale e non solo mentre ad oggi la radioterapia può essere definita come una “terapia conformazionale” in cui il fascio di radiazioni si muove attorno al tumore. Le radiazioni sono anche degli agenti cancerogeni per cui si cerca di evitare questo tipo di terapia nel caso di soggetti in crescita come i bambini. Per quanto riguarda le terapie con farmaci, bisogna principalmente fare una distinzione tra chemioterapia e target therapy: in chemioterapia vengono usati dei farmaci, i quali uccidono le cellule tumorali riducendo la proliferazione cellulare, e questi sono farmaci estremamente efficaci ma contemporaneamente estremamente tossici; la target therapy (o terapia a bersaglio molecolare) è basata sulla biologia molecolare e sullo studio delle alterazioni a livello delle sequenze di quell’individuo specifico, quindi sono terapie mirate e la loro azione è specifica soltanto per il bersaglio molecolare contro cui sono dirette. Attualmente si tende a evitare la chemioterapia e a sostituirla con l’assunzione di farmaci citotossici, infatti, diversi chemioterapici determinano essi stessi l’insorgenza di tumori. Sempre alle terapie con farmaci appartengono anche la medicina personalizzata e l’immunoterapia. LEZIONE 2 - 2024 Classificazione del cancro Quando si ha un aumento del numero di cellule bisogna prima di tutto fare una distinzione tra neoplasia e iperplasia: - l’iperplasia è l’aumento reversibile del numero di cellule nei tessuti; per esempio, un aumento del numero di eritrociti quando c’è poco ossigeno rappresenta una forma di iperplasia fisiologica oppure la formazione di un callo che, invece, è una iperplasia patologica seppur reversibile; - l’iperplasia atipica è una via di mezzo tra la iperplasia e la neoplasia in cui le cellule osservate al microscopio risultano essere anormali mentre nel caso della iperplasia le cellule, anche se aumentano in numero, continuano a mantenere la stessa morfologia delle cellule normali; - la neoplasia è l’aumento irreversibile del numero di cellule nei tessuti. La caratteristica principale di tutti i tumori è che essi mantengono degli elementi morfologici della cellula di partenza ed è per questo motivo che la prima diagnosi di tumore è una diagnosi di tipo istologica. Il chirurgo, una volta asportato un poco di tessuto coinvolto, lo invia all’anatomo-patologo che lo osserva al microscopio e ne dà una prima descrizione, sulla base delle caratteristiche morfologiche osservate e della indicazione del chirurgo riguardo la localizzazione di quel tessuto. La terapia è basata per la maggior parte su questo tipo di diagnosi (diagnosi istologica); a seconda del tipo di tumore vengono prescritti farmaci di diverso tipo. Conoscere l’istologia, quindi, era importante oltre che per stabilire la diagnosi anche per stabilire la terapia. La diagnostica moderna non si basa più solo sulla tipica colorazione ematossilina eosina ma si fanno anche immunoistochimiche e determinazioni molecolari di diverso tipo. Se per quel tumore bisogna effettuare la target therapy, c’è bisogno della presenza del bersaglio specifico nel paziente, ossia il target. Una volta che c’è il bersaglio molecolare non c’è la necessità dell’istologico e da qui nasce la terapia agnostica (“tissue- agnostic”): in questo modo conoscendo solo il target per la terapia non c’è bisogno di conoscere l’origine istologica del tumore. In conclusione, la diagnosi può essere di tre tipi: solo istologica, istologica e molecolare, solo molecolare (agnostica). La classificazione dei tumori in benigni e maligni è estremamente importante per la prognosi e la terapia. - I tumori benigni non hanno capacità metastatiche e spesso viene semplicemente asportato dal chirurgo. I tumori benigni in genere proliferano poco. - I tumori maligni hanno capacità invasive e metastatiche per cui spesso la semplice asportazione del tumore non basta perché l’intervento chirurgico è stato eseguito dopo che le cellule maligne sono andate in circolo. I tumori maligni proliferano tanto. Altre caratteristiche che distinguono i tumori benigni e maligni sono: - indice mitotico: è riferito al numero di mitosi eseguite dalle cellule; per definire l’indice mitotico, bisogna fare una sezione del tessuto, contarne il numero di cellule e contare le mitosi di queste cellule. Contare le mitosi però non è semplice ed è per questo motivo che tale indice è stato sostituito dal Ki67, un anticorpo monoclonale che si lega a una componente fondamentale per la proliferazione: i nuclei che si sono legati a questo anticorpo assumono una colorazione diversa rispetto ai nuclei che non si sono legati. Contare le cellule positive o negative al Ki67 è più semplice e in questo modo si capisce se il tumore prolifera o meno (se prolifera di più in genere è maligno) e si riescono ad avere più informazioni riguardo la possibile terapia da effettuare. Nei tumori benigni le mitosi sono normali mentre nei maligni le mitosi sono anomale; - rapporto nucleo/citoplasma: nei tumori benigni questo rapporto è normale mentre in quelli maligni è alto; - ploidia: i tumori benigni ha una normale ploidia mentre i tumori maligni sono spesso aneuploidi, cioè, hanno una ploidia anormale; - differenziamento: rispetto ai tumori benigni che hanno un differenziamento normale, i maligni hanno uno scarso differenziamento, da qui nasce la terapia differenziativa, la quale non cerca di uccidere i tumori ma di differenziarli; - funzione fisiologica: i tumori maligni non hanno la loro funzione fisiologica; - capsula: i tumori benigni generano una certa compressione e questo implica che il tumore benigno sia circondato da una capsula di mesenchima e cellule normali compresse; i tumori maligni, invece, hanno una crescita di tipo invasivo e sono privi di capsula. La capsula viene usata anche come quesito diagnostico e per definire la gravità del tumore. Tutte queste caratteristiche appena descritte e che distinguono i due tipi di tumore non sono però assolute. Per quanto riguarda la nomenclatura, tipicamente il tumore benigno ha come suffisso -oma, per esempio, adenoma (tumore benigno ghiandolare), fibroma (tumore benigno dei fibroblasti) e condroma (tumore benigno della cartilagine). Ci sono però alcuni tumori estremamente maligni che hanno lo stesso suffisso come il melanoma (tumore maligno di origine melanocitaria), i linfomi (tumori maligni originati dai linfociti e tendenzialmente bianchi) e il mieloma (è un tipo di linfoma). Una caratteristica dei tumori maligni, soprattutto di origine epiteliale, è che hanno una evoluzione che prende il nome di “progressione tumorale”, quindi i tumori benigni non sempre restano tali. La cellula normale può trasformarsi in proliferante e dare origine alla iperplasia, da qui a un tumore benigno e poi, a seguito di alcune mutazioni, dare origine al tumore maligno. Carcinomi e linfomi sono i tumori maggiormente caratterizzati da questa progressione. Questo processo richiede molti anni, molto spesso decenni. Quindi i tumori benigni possono essere distinti ulteriormente in tumori benigni che restano sempre come tali e tumori benigni che, invece, hanno la propensione a progredire in maniera maligna. Per esempio, i polipi intestinali sono adenomi che però hanno la tendenza a trasformarsi in carcinomi e quindi in tumori maligni. La classificazione dei tumori maligni è una classificazione soprattutto istologica. Ad oggi si conoscono più di 500 sottotipi di tumori. I principali suffissi sono: - -carcinoma, tumori di origine epiteliale, come gli adenocarcinomi che sono tumori ghiandolari; - -sarcoma, tumori di origine mesenchimale, come fibrosarcoma (deriva da fibroblasti), osteosarcoma (deriva da osteoblasti) e rabdomiosarcoma (tumore del muscolo striato); - -blastoma, è un termine che indicava uno scarso differenziamento, per esempio condroblastoma (scarso differenziamento della cartilagine), glioblastoma (riferito alle cellule gliali) e retinoblastoma (riferito alla retina); - neoplasie ematopoietico: in questi casi bisogna prima distinguere se l’emopoiesi è linfoide o non linfoide e quindi distinguere se il destino delle cellule staminali totipotenti è quello di divenire un linfocita o un altro tipo cellulare. I linfomi sono le neoplasie che hanno origine nel linfonodo mentre le leucemie linfatiche sono neoplasie che hanno origine a livello midollare. Inoltre, esistono leucemie mieloidi o non linfoidi. Non è possibile nominare una leucemia senza dire se è linfoide o mieloide => questa distinzione è molto importante. Quando si parla in generale di tumori si fa riferimento ai carcinomi perché sono i tipi di tumori maligni più comuni, infatti, rappresentano circa l’85-90% di tutti i tumori. I sarcomi rappresentano, invece, solo l’1-2%. Una classificazione valida per tutti i tumori solidi è quella usata per fare la stadiazione dei tumori: si parla del sistema TMN. Questo sistema non è applicato alle leucemie, ai tumori del sistema nervoso centrale e ai tumori ginecologici. Le lettere TMN stanno rispettivamente per: - T tumore: la lettera T affiancata a un numero (da 1 a 4) indica la grandezza del tumore; - N linfonodi (metastasi linfonodali): i tumori ma soprattutto i carcinomi metastatizzano per primi i linfonodi, per esempio il tumore alla mammella metastatizza i linfonodi ascellari. Alla lettera N si affianca un numero o un simbolo come + o – che indicano la presenza o assenza delle metastasi linfonodali. Il linfonodo metastatico è un forte predittore della capacità del tumore di metastatizzare. Davanti alla lettera N è possibile aggiungere una “p” per indicare con maggiore certezza se la situazione è patologica o meno perché prima della possibile asportazione del linfonodo, questo viene osservato al microscopio dall’anatomo-patologo e se il giudizio è pN0 allora significa che sicuramente non c’è metastasi linfonodale, se, invece, il giudizio è pN1 allora questo ci dice con maggior sicurezza che c’è un linfonodo metastatico; - M metastasi (più distanti): le metastasi a distanza sono quelle metastasi che permettono di definire il successo o l’insuccesso della terapia; per determinare la presenza di metastasi non si usa la semplice diagnosi istologica ma la diagnostica per immagini. La sequenza classica in oncologia è “diagnosi -> chirurgia -> terapia” ma non sempre questa sequenza viene seguita. In alcune situazioni, infatti, la terapia precede la chirurgia (terapia preoperatoria), in questo modo si tenta di diminuire la grandezza del tumore per procedere poi a compiere un intervento meno invasivo. Le valutazioni fatte dopo la terapia preoperatoria sono precedute dalla lettera “y”. Il sistema TMN è un sistema che ha una base soprattutto morfologica ma ad oggi sta diventando anche un sistema molecolare, cioè un sistema che considera, oltre la morfologia del tumore, anche quelle che sono le alterazioni genetiche. Oltre al sistema TMN, un sistema più semplice da usare è l’overall stage, che divide i tumori in 4 stadi in modo da avere un solo numero che indica la gravità del tumore. Gli stadi del tumore indicano: - stadio I: il tumore è localizzato; - stadio II: il tumore sta avanzando precocemente a livello locale; - stadio III: il tumore sta avanzando tardivamente a livello locale; - stadio IV: il tumore ha metastatizzato. Per i carcinomi è possibile avere anche uno stadio 0. I carcinomi sono tumori caratterizzati da una lamina basale, che non è una componente stromale ed è generata dalle cellule epiteliali presenti sopra di essa. Nelle primissime fasi il tumore non è invasivo e non supera nemmeno la lamina basale: in questo caso di parla di carcinoma in situ (CIS). Con la parola “grading” si fa riferimento al grado di differenziamento. Il grading dei tumori è una valutazione patologica della anaplasia e del differenziamento. Con il termine anaplasia si indica una forte componente di deviazione rispetto differenziamento normale di un tessuto. Il tumore benigno è caratterizzato da un basso grado di differenziamento mentre il tumore maligno da un alto grado di differenziamento. Il grading però non è sempre ben definito in tutti i tumori ed è una misura un po' soggettiva, cioè anatomi-patologi diversi daranno grading diversi e questo non permette di avere un giudizio univoco. Per i tumori alla prostata questa classificazione basata sul grading è importante, infatti, nel caso del tumore maligno le cellule tumorali sono molto differenziate e diverse rispetto a quelle fisiologiche. Le cause del cancro Tutti i tumori sono dovuti ad alterazioni a livello della sequenza genica, cioè mutazioni, ma ci possono essere anche alterazioni a livello epigenetico e problemi nella replicazione. Queste alterazioni possono essere casuali oppure causate da agenti cancerogeni esogeni ed endogeni. Il cancro è una malattia genica, nel senso che è un problema non solo a livello genetico ma anche a livello genico, cioè a livello dei geni. Una piccola parte di questi problemi riguarda la linea germinale, circa il 5%, mentre il restante 95% sono mutazioni a livello delle cellule somatiche e quindi non sono ereditarie. In passato si pensava che i tumori fossero causati da alterazioni a livello delle proteine ma con l’avvento della citogenetica, ossia la scienza che studia i cromosomi nelle cellule e le loro alterazioni tramite l’osservazione al microscopio, questa ipotesi è stata smentita. La natura genica del cancro è stata ipotizzata anche grazie alla mutagenesi. È possibile evitare queste mutazioni? Le mutazioni a livello della linea germinale possono essere vantaggiose per l’evoluzione ma possono anche essere causa di malattie ereditarie e morte embrionale. Nel caso di mutazioni a livello della linea somatica, invece, non si hanno mai vantaggi evolutivi ma solo situazioni spiacevoli per cui i tumori non sono evitabili. Considerando che un essere umano adulto è costituito da circa 10^14 cellule, significa che abbiamo bisogno di un numero di divisioni cellulari pari a circa 10^16 – 10^17. Inoltre, sappiamo che il genoma umano è formato da 3x10^9 paia di basi, ossia 6x10^9 basi. Moltiplicando questo numero di basi, che sono quelle presenti nel genoma umano, con il numero di divisioni cellulari che permettono di formare il numero totale di cellule umane, si può concludere che un uomo necessita di circa 6x10^25 basi. Le basi azotate, che costituiscono i nucleotidi, sono legate insieme dalla DNA polimerasi che, oltre a mettere insieme le basi azotate, è in grado di evitare quanti più errori si possano avere durante la replicazione. La fedeltà della DNA polimerasi è di un errore per 10^9 – 10^11 basi, per cui, durante tutto l’arco di vita di un individuo, egli inevitabilmente accumulerà delle mutazioni. Le mutazioni spontanee che causano i tumori derivano quindi da errori della polimerasi. Le alterazioni geniche sono anche causate da agenti mutageni, sia endogeni che esogeni. Esempi di endogeni mutageni: - acqua, essa causa idrolisi del DNA; - agenti alchilanti endogeni; - specie reattive dell’ossigeno (ROS), prodotte in genere a seguito di uno stimolo infiammatorio. Ci sono, inoltre, dei processi che sono più proni ad accumulare errori e causare delle mutazioni, anche più della stessa polimerasi. Questi processi sono: - tutte le azioni di riparo al danno al DNA perché non tutte queste azioni riescono a riparare i danni e a evitare degli errori come fa la DNA polimerasi; - la ricombinazione del DNA; - il riarrangiamento dei recettori dei linfociti T e B che, oltre a essere proni ad accumulare gli errori, riescono anche a incorporarli causando ulteriori mutazioni che prendono il nome di ipermutazione somatica; - sistemi antivirali, quando dei virus vengono inseriti nel DNA, questi non sono sempre graditi, per cui c’è la necessità di usare questi sistemi, come la deaminazione delle citidine antivirali, ma anche questi sistemi possono causare delle alterazioni; - integrazione di elementi trasponibili. Tutti questi processi portano ad accumulare errori e causare mutazioni, però bisogna ricordare che non tutto il genoma è codificante e questo vuol dire che tutti gli errori che cadono in questa regione del genoma non causano problemi all’individuo. Il codice genetico si definisce anche degenerato. In questo caso se c’è una alterazione di una sola base al livello del codone (tripletta di basi), questa alterazione non rappresenta un problema perché il codone mutato di una sola base (in particolare se la base mutata è la terza) può codificare per lo stesso amminoacido di partenza: questo tipo di mutazione è chiamata mutazione silente. Oppure ancora, le mutazioni conservative non hanno alcuna conseguenza sulla proteina finale che viene prodotta perché in questo caso viene codificato un amminoacido che, seppure sia diverso, ha una funzione simile all’amminoacido originale. I tumori più frequenti sono i carcinomi mentre quelli più rari sono i sarcomi. Ma se a livello di peso l’uomo ha più mesenchima (ossa e muscoli) e meno epitelio, perché allora sono più comuni i carcinomi rispetto ai sarcomi? La principale differenza tra mesenchima ed epitelio è che il primo non prolifera mentre il secondo sì, infatti, i muscoli non proliferano e le ossa proliferano poco mentre l’epitelio intestinale e la cute proliferano tantissimo. È stato osservato che esiste una stretta relazione tra il ritmo proliferativo e lo sviluppo di tumori; quindi, se una cellula prolifera di più allora avrà una probabilità più alta di accumulare delle mutazioni rispetto per esempio alle ossa che, nonostante siano in gran numero nel nostro corpo, comunque non proliferano e il numero delle cellule che costituiscono le ossa è sempre lo stesso. Qualunque cosa aumenti il ritmo proliferativo, aumenta il rischio di tumori, per esempio il ritmo proliferativo è aumentato da fattori di crescita e ormoni, per cui anche questi agenti biologici normali sono cancerogeni. I tumori umani hanno tre cause: - cause di tipo mutazionale che sono alla base dei tumori ereditari (5%); - cause di tipo replicativo, cioè alterazioni del processo replicativo; - cause ambientali. Nella figura di seguito l’intensità di colore indica quanto un tumore è frequente a seconda della sua causa. I tumori ereditari, essendo molto rari, hanno una colorazione nulla o tenue. Ci sono, invece, dei tumori le cui cause sono solo ed esclusivamente di tipo replicativo come accade per esempio nel caso del tumore al cervello (anche se in realtà si tratta di mutazioni a livello della glia e non delle cellule nervose), che assume una colorazione rossa solo nella sezione delle mutazioni di tipo replicativo e questo vuol dire che non esistono cancerogeni che causano questo tipo di tumore ma che sono le cellule gliali stesse che fanno degli errori accumulando così delle mutazioni. Poi ci sono i tumori causati da cancerogeni ambientali come il tumore al polmone, causato da alcuni cancerogeni come fumo e asbesto (amianto). I tumori differiscono anche per il numero di mutazioni, infatti, ci sono tumori che hanno più mutazioni e altri che ne hanno di meno. Per capire se un soggetto ha una certa mutazione al livello del DNA, basta sequenziare il genoma di un individuo sano e il genoma di un individuo malato e osservarne le differenze. I tumori con più mutazioni sono quelli esposti a più mutageni come il melanoma (causato dai raggi UV), i carcinomi squamosi del polmone e adenoma del polmone (causati dal fumo di sigaretta), il cancro della vescica (causato dal fumo di sigaretta), il microadenocarcinoma del polmone (causato dal fumo di sigaretta) e il tumore all’esofago (causato dall’alcool). Tutti i tumori causati da agenti cancerogeni ambientali hanno più mutazioni rispetto agli altri tumori perché, oltre alla caratteristica “ereditarietà” si aggiunge anche l’azione di questi agenti. Per questo motivo oggi si parla di carico mutazione del tumore (TMB) quando ci si riferisce all’esposizione a cancerogeni mutazionali ambientali. Attualmente la terapia maggiormente usata è l’immunoterapia che consiste nell’uso di linfociti che riconoscono degli antigeni dei tumori; per cui se un tumore è dato da un gran numero di mutazioni, allora significa che ci sono più antigeni che possono essere riconosciuti dai linfociti del sistema immunitario. Quindi, per un paziente con un elevato grado di TMB l’immunoterapia è la terapia più efficace. Le mutazioni dei tumori sono convenzionalmente distinte in due tipi: - mutazioni drivers: sono mutazioni che colpiscono per esempio un gene della proliferazione; - mutazioni passengers: sono mutazioni che riguardano geni randomici. A seconda dell’interesse di studio è più importante un tipo di mutazione o l’altro: se si vuole fare una terapia a bersaglio molecolare le mutazioni drivers sono quelle da considerare; in immunologia, invece, sono da considerarsi più importanti le mutazioni passengers perché quelle drivers spesso non danno l’antigene adatto, cioè quello che deve essere riconosciuto dai linfociti. Un’altra distinzione da fare riguarda i geni del cancro. Ne esistono di due tipi: - oncogene: sono dei regolatori normali della proliferazione cellulare e sono colpiti generalmente da mutazioni attivanti (gain-of-function) e nella maggior parte dei casi basta la mutazione di uno dei due alleli; quindi, si parla di mutazione dominante; - geni oncosoppressori: essi regolano in senso negativo la proliferazione cellulare e sono colpiti da mutazione inattivante (loss-of-function) e sono mutazioni necessarie in entrambi gli alleli; quindi, si parla di mutazione recessiva. In realtà esistono anche tante molecole che si comportano da oncogeni oppure oncosoppressori senza essere chiamati in questo modo, un esempio è il recettore per l’estradiolo che è un oncogene ma non viene definito come tale. Attualmente esiste un database (COSMIC) all’interno del quale sono contenuti tutti i geni driver dei tumori umani che sono circa 500 geni tra oncogeni e oncosoppressori. All’interno di questo grande gruppo ci sono geni che sono quasi sempre alterati nei tumori, alcuni che sono alterati solo in specifici tumori e altri ancora che non subiscono mutazioni. Circa il 50-60% dei tumori umani ha una mutazione nell’oncosoppressore p53 e ad oggi non si hanno ancora approcci terapeutici mirati nel caso in cui si abbia un tumore con questo tipo di mutazione. Il cancro è stato definito come una malattia genica perché è causato da alterazioni non solo genetiche ma anche epigenetiche. I meccanismi epigenetici sono quelli che cambiano l’espressione genica senza modificare la sequenza del DNA. I meccanismi epigenetici più importanti sono: - metilazione del DNA: le DNA metiltransferasi metilano delle sequenze ricche in C e G, chiamate isole CpG. La metilazione dei geni oncosoppressori nei tumori si sta studiando molto perché mutazioni in questo tipo di geni possono determinarne la disattivazione però è stato osservato che la stessa condizione, ossia la disattivazione dei geni oncosoppressori, si presenta anche in soggetti in cui questi geni sono metilati o, meglio, ipermetilati. In generale, quando si vuole sviluppare un farmaco contro un enzima, bisogna che il farmaco simuli il substrato per quell’enzima; nel caso delle DNA metiltransferasi il farmaco che viene usato è simile a una citosina ma modificata in modo che l’enzima possa essere bloccato; - modificazione degli istoni: questa azione è svolta da due enzimi che sono istone deacetilasi e istone transferasi, i quali influenzano come il DNA deve essere modificato per essere trascritto. Ad oggi esistono dei farmaci contro gli enzimi istone deacetilasi, usati soprattutto per tumori di origine ematologica; questi farmaci però non sono troppo efficaci e risultano essere anche tossici; - RNA non codificanti: sono gli eventi epigenetici più importanti che, se alterati, possono essere causa di insorgenza di tumori. Basta considerare che ogni singolo RNA non codificante è in grado di controllare decine di geni. LEZIONE 3 - 2024 Oncogeni Un oncogene è un gene che regola in maniera positiva la proliferazione cellulare e quando uno di questi geni è deregolato o non funzionante si ha un aumento del numero di cellule anomalo. Evidenze scientifiche che permettono di definire un gene come oncogene: - in vitro: il gene, se mutato, deve essere in grado di indurre una trasformazione neoplastica nelle cellule; - in vivo: il gene mutato causa cancerogenesi nei modelli animali transgenici, per esempio, un gene iper-espresso può causare tumori in un topo transgenico; - clinica: il gene è alterato in maniera consistente nei tumori umani; quindi, i farmaci che devono essere sviluppati e usati per la terapia devono essere specifici per il gene considerato. La scoperta degli oncogeni è avvenuta negli anni ‘70 quando una serie di biologi si accorgono che esistono delle coppie di retrovirus, una delle quali è in grado di indurre rapidamente il cancro e questo a causa della presenza di un piccolo gene che, invece, non è presente in altri retrovirus. Gli oncogeni virali (in questo caso dei retrovirus) sono definiti v-onc. La scoperta vera e propria però fu che i geni virali trovati non erano geni del virus ma geni che venivano trasdotti dalla cellula umana. Queste sequenze umane omologhe sono definite c-onc. I virus, quindi, non avevano fatto altro che trasferire l’oncogene da una cellula umana all’altra. Molti oncogeni umani sono stati scoperti andando ad analizzare i retrovirus ma non tutti i retrovirus trasducono questi geni umani. Un altro sistema che è stato usato per la scoperta degli oncogeni è quello della trasfezione in vitro: si parte da cellule murine normali (si definiscono normali ma in realtà sono già in partenza alterate in qualche maniera) che in vitro crescono ricoprendo la fiasca e poi fermano la loro crescita secondo il fenomeno di inibizione da contatto, poi si isola il DNA dai tumori umani e questo DNA viene poi trasfettato nelle cellule murine normali; alla fine si formano dei foci dove le cellule iniziano a crescere l’una sull’altra formando una sorta di “monte di cellule” e non più su un’unica superficie. Queste cellule, se iniettate nel topo, generano un tumore. A questo punto di analizzano i geni che, a seguito della trasfezione, sono stati mutati. Come è il segnale che fa proliferare le cellule? A partire dall’esterno: il fattore di crescita interagisce con un recettore presente sulla superficie cellulare che ha una subunità interna, la quale trasduce per dei segnali; poi ci sono dei mediatori citoplasmatici che trasducono il segnale nel citoplasma; il segnale poi raggiunge il nucleo dove sono presenti dei fattori trascrizionali che danno avvio alla trascrizione. In tutto questo percorso agiscono gli oncogeni. Al di fuori di questi oncogeni classici ci sono altri importanti oncogeni che rappresentano dei fattori di morte cellulare. Il gene attivato (mutato) è chiamato oncogene mentre il gene con funzione fisiologica, è chiamato proto-oncogene. Meccanismi di attivazione degli oncogeni Ci sono diversi meccanismi che trasformano il proto-oncogene in oncogene: - mutazioni puntiformi; - troncamento di proteine: nel caso di recettori che hanno una subunità esterna a cui si lega un ligando come un fattore di crescita e una subunità interna che trasduce il segnale, si parla di attivazione allosterica; in alcuni casi succede che, se la subunità esterna è quella regolatrice e c’è una delezione di questa subunità, allora la subunità interna è deregolata e trasduce sempre il segnale (iperattivazione della subunità interna); - amplificazione genica: normalmente c’è una sola copia di qualsiasi gene del genoma mentre nei tumori ci possono essere copie multiple di un singolo gene; - traslocazione genica: esistono due casi di traslocazione genica. Nel primo caso si possono formare delle proteine chimeriche, cioè proteine date dalla fusione di due geni diversi in cui mezzo gene trasloca e viene congiunto con un altro mezzo gene; la proteina che si forma è unica delle cellule tumorali e ha funzioni diverse rispetto a quella di origine. Nel secondo caso ci può essere una iper- espressione della proteina normale, che continua a mantenere la sua funzione, perché un gene viene traslocato in vicinanza di un promotore costituzionalmente attivo; - mutagenesi inserzionale: è un meccanismo che si origina a causa dell’inserzione nel genoma di un qualsiasi tipo di virus con i promotori ed enhancer dei propri geni, i quali però, se agiscono a distanza, vanno ad attivare, quando non serve, la trascrizione di un oncogene. Un esempio è l’inserzione del virus dell’epatite B nella ciclina E1 e nella subunità catalitica della telomerasi. Un altro esempio riguarda la terapia genica con vettori retrovirali, una terapia che consiste nell’inserire dei geni in grado di riparare i danni cellulari usando dei virus come vettori; usare i retrovirus però è rischioso perché sono virus spesso connessi ai tumori; - alterazioni epigenetiche: un fenomeno epigenetico importante da considerare è l’imprintig genomico, che prevede che sia espresso solo un allele di un gene, o quello paterno o quello materno. L’imprinting è una forma di selezione che porta a evitare la partenogenesi (è una modalità di riproduzione adottata da alcune piante e animali in cui lo sviluppo dell'uovo avviene senza che questo sia stato fecondato). Un esempio di alterazione epigenetica è la perdita dell’imprinting di IGF2. Un individuo è più alto rispetto a un altro perché ha ricevuto più fattore di crescita IGF2. L’imprinting serve all’espressione genica e quando per esempio c’è la di-espressione allelica di questo fattore di crescita si sviluppa la sindrome di Beckwith-Wiedemann (i soggetti affetti sono molto alti, con una lingua molto grande e a rischio di altri tumori come rabdomiosarcoma). Mutagenesi inserzionale e alterazioni epigenetiche sono meccanismi di attivazione degli oncogeni più rari rispetto agli altri che sono stati descritti e per cui si faranno degli esempi. Reminder di biologia molecolare Proteine cinasi Si distinguono in serina-treonina cinasi o tirosina cinasi a seconda degli aa che fosforilano. Gran parte di queste proteine sono oncogeni perché sono proteine fondamentali nella proliferazione cellulare. Le tirosina cinasi si dividono a loro volta in proteine recettoriali e non recettoriali: le prime sono sulla superficie cellulare e hanno due subunità, una interna e una esterna; le seconde sono all’interno delle cellule e possono essere nucleari o citoplasmatiche. Proteine G Sono proteine che legano a sé dei nucleotidi guanidici e si dividono in due famiglie fondamentali: proteine G monomeriche e proteine G eterotrimeriche. In oncologia sono di maggiore interesse le proteine G monomeriche che hanno una singola subunità che svolge circa le stesse funzioni delle tre subunità delle proteine G eterotrimeriche (GCPR). Le proteine G sono delle fosfatasi localizzate nella porzione interna della membrana citoplasmatica e associate a dei recettori per i quali trasducono dei segnali. Tipicamente queste proteine si legano al GTP, diventando sito di legame di altro, e si disattivano legando il GDP. HER family Partendo dall’esterno della cellula si ha la famiglia HER formata da 4 recettori tirosin-cinasi, il cui capostipite è EGFR/HER1. HER1 è recettore di diversi fattori di crescita ed essendo una tirosina cinasi recettoriale, quando il ligando si lega, il recettore dimerizza con un altro recettore HER1 vicino. Quindi, il ligando di HER1 è un altro HER1 che, dopo essere stato riconosciuto, viene fosforilato, quindi i due recettori si trans-fosforilano, cioè si fosforilano a vicenda formando un monodimero e attivando la trasduzione del segnale. La dimerizzazione può essere omo- o etero-, nel primo caso dimerizzano due recettori HER1 uguali, nel secondo caso dimerizzano due recettori EGFR diversi ma che appartengono alla stessa famiglia. Il recettore EGFR/HER1 è coinvolto principalmente nell’omeostasi delle cellule epidermiche (EGFR, infatti, sta per Epidermal growth factor receptor) e nella riparazione delle ferite a livello dell’epidermide. Questo recettore può attivarsi (alterarsi) in tre modi: mutazioni puntiformi, piccole delezioni, amplificazioni geniche. Le alterazioni di questi geni sono presenti in più del 20% di tutti i tumori umani: - nel 40% dell’adenocarcinoma del polmone; - in più dell’80% dei tumori testa-collo (comprendono un gran numero di tumori eterogenei, esterni alla scatola cranica, trattati dallo stesso chirurgo) che sono per lo più dei carcinomi e sono legati soprattutto al fumo di sigaretta; - nel 50% del glioblastoma, tumore che cresce nella scatola cranica, molto invasivo e il meno curabile con una letalità del 90-95%. Per quanto riguarda le terapie, se il target è fuori dalla cellula questo può essere colpito da un Ab monoclonale. Qualunque farmaco che finisce con il suffisso -mab è un Ab monoclonale, per esempio Cetuximab usato nel tumore per il colon-retto. Gli Ab monoclonali non entrano nelle cellule e restano sempre all’esterno quindi agiscono solo a livello della subunità esterna. Per la subunità interna bisogna usare un substrato che simuli il substrato fisiologico del recettore, in particolare i farmaci usati per queste subunità si legano alla tasca dell’ATP in modo che questo non sia più disponibile e così non ci può essere la fosforilazione: i farmaci inibitori delle cinasi e delle foisforilazioni hanno il suffisso -inib. Questi farmaci sono molto più piccoli rispetto agli Ab, infatti, si parla di SMI (small molecular inhinitors), attaccano la subunità interna inibendo l’attività tirosin-cinasica. Affinché questi farmaci siano efficaci, è importante che il meccanismo di trasduzione del segnale funzioni interamente, perché se ci sono alterazioni in questo meccanismo, allora questi farmaci non saranno utili. Il secondo membro della HER family è HER2. HER2 è un recettore orfano perché non ha un ligando specifico. I recettori orfani sono i recettori che non hanno ligandi oppure quei recettori che sono stati appena scoperti per cui non si conosce ancora il loro ligando. La funzione di HER2 è quello di dimerizza con un altro recettore, appartenente alla stessa famiglia, che è HER3, il quale, nel corso dell’evoluzione, ha perso la sua attività tirosin-cinasica. In questo modo HER2 forma un dimero con HER3, così HER2 sfrutta il ligando di HER3 mentre HER3 sfrutta l’attività chinasica di HER2. Il ligando di HER3 è NRG1 ma, in assenza di HER2, non si attiverebbe mai la trasduzione del segnale di questo ligando che, invece, avviene grazie alla formazione del dimero HER2/HER3. Poiché HER2 è privo di ligandi, esso risulta essere un recettore intrinsicamente attivo, però è presente in piccole quantità e si attiva solo quando è legato al recettore HER3. Quando si forma l’eterodimero, questo produce la trasduzione di un segnale mitogenico costitutivo. I tumori causati da alterazioni di HER2 come tumore della mammella, cancro alla vescica e altri sono dovuti a una amplificazione genica del recettore HER2. L’amplificazione genica determina un aumento del numero di copie dello stesso gene, in questo caso il gene che codifica per HER2, che funzionano normalmente. Quindi, sulla membrana saranno presenti HER2 che omodimerizzano tra loro rimanendo costitutivamente attivi e inducendo un continuo segnale mitogenico. Altro meccanismo di attivazione di HER2 è il troncamento della subunità esterna. La mutazione di HER2 è molto comune in cancro della mammella, cancro della vescica, cancro dello stomaco e altri. Nonostante la mutazione in HER2 è causa di cancro alla mammella, questo oncogene non ha una funzione fisiologica legata alla mammella. Facendo topi knock-out, infatti, si è capito che ha un ruolo nel generare le camere interne del cuore mentre nell’adulto ha un debole ruolo nell’omeostasi del cardiomicita. Per le terapie, sono applicate le stesse descritte prima per HER1. Si usano però soprattutto gli Ab monoclonali perché gli inibitori delle chinasi sono meno efficienti. L’Ab monoclonale più usato è il Trastuzumab che è un farmaco poco tossico (può causare una lieve tossicità cardiaca). Questo farmaco viene somministrato nelle donne con cancro alla mammella causato da una attivazione di HER2 per amplificazione genica perché il farmaco trova sicuramente il suo bersaglio, essendoci delle copie multiple. In altri casi di cancro alla mammella, invece, questo Ab monoclonale non può essere somministrato. Per capire quando è possibile effettuare la terapia con Trastuzumab si può fare una immunoistochimica di un pezzo di tumore. Se si ottiene una colorazione molto forte e un punteggio come 0 e +, allora vuol dire che il tumore è causato da una amplificazione genica e quindi la paziente può procedere con la somministrazione del Trastuzumab; nelle situazioni in cui si ottiene un punteggio ++ e la colorazione è intermedia, non si riesce a dare un giudizio diretto e, dopo l’immunistochimica, si fa una FISH: se la paziente ha una colorazione forte e FISH positiva allora può procedere con la terapia farmacologica perché ha amplificazione genica. Altri farmaci usati sono gli ADC, Antibody-Drug Conjugates. Gli ADC vengono coniugati alla terapia con Ab monoclonale perché l’Ab riconosce il bersaglio sulla cellula tumorale e l’ADC svolge una attività citotossica per eliminare la cellula tumorale. Gli ADC da soli sono più tossici degli Ab monoclonali da soli. Per esempio, per il carcinoma alla mammella si esegue prima una terapia solo con l’Ab, se le pazienti risultano essere resistenti alla terapia allora, oltre all’Ab, si somministra anche il coniugato citotossico ADC. In cancro del colon e del polmone, in cui non c’è espressione di HER2, si usa direttamente l’ADC perché l’Ab monoclonale non riconoscerebbe nulla (perché appunto non c’è HER2). RAS family RAS è una proteina G monomerica che si trova a valle dei recettori tirosin-cinasici che, dopo essere stati cross- fosforilati, attivano degli adattatori che a loro volta attivano la proteina RAS. RAS è attaccata alla faccia interna della membrana dopo aver subito delle modificazioni post-traduzionali tramite legame di code di acidi grassi di famesili. RAS quando è inattivo è legato al GDP, invece, quando si attiva, tramite a una serie di molecole, avviene lo scambio tra GDP e GTP. RAS non è una cinasi ma una fosfatasi, infatti, è in grado di autodisattivarsi e ha una attività GTPasica intrinseca. RAS inattivato fa parte della cascata delle MAP chinasi. La famiglia delle proteine RAS è formata da tre membri: K-RAS, che è il più importante, H-RAS e N-RAS. RAS è attiva in circa il 20% dei tumori umani. RAS è attivato tipicamente per mutazioni puntiformi, che avvengono in hotspot specifici. Le mutazioni puntiformi inibiscono l’autodisattivazione di RAS, il quale di conseguenza risulta essere sempre attivo e cioè nella sua forma legata al GTP. Essendo RAS in grado di inattivarsi, la forma attiva di RAS risulta avere una breve durata. RAS è un oncogene importante nel cancro al polmone, cancro alla vescica e cancro del pancreas in cui è il principale oncogene. Le mutazioni di RAS in questi tumori sono diverse, per esempio la mutazione G12C nel cancro del pancreas è assente ma è presente in altri tumori come il cancro del colon. Questo è importante da sapere perché i farmaci prodotti per attivazione di RAS sono farmaci mutazioni puntiformi specifici. Per esempio, nella mutazione G12C c’è una specie di uncino a cui è possibile attaccare un farmaco. Questi farmaci contengono nel loro nome la parola “ras” ed essendo farmaci mutazione-specifici, questi risultano essere efficaci solo se il paziente presenta quella precisa mutazione. Al momento i farmaci in commercio sono validi solo per la mutazione G12C; quindi, per le altre mutazioni non sono stati ancora sviluppati dei farmaci. Se non c’è mutazione di RAS, quindi RAS è nella sua forma wild-type, allora le terapie descritte in precedenza per le proteine HER non saranno efficaci, perché abbiamo detto che queste terapie sono efficaci solo se tutta la catena di trasduzione del segnale funziona e non è alterata. MAP chinasi Sono una famiglia di serina-treonina cinasi e una delle più importanti è RAF (o c-RAF), che è il capostipite di questa famiglia. Oltre a RAF, altri componenti di questa famiglia sono A-RAF e B-RAF. Questi oncogeni sono attivati, cioè, mutati, per mutazione, le quali sono presenti nel 20% dei tumori umani. In particolare, c’è una mutazione dominante di B-RAF che è presente nel 20% di tutti i tumori umani, che è la mutazione V600E. Anche in questo caso i farmaci usati sono degli inibitori dell’attività cinasica che hanno come suffisso -rafenib. Essendo la tasca per l’ATP delle diverse serina-treonina cinasi uguale in tutte le proteine di questo tipo e lo stesso vale anche per le tirosina- cinasi, gli inibitori delle serina-treonina cinasi non sono molto specifici (a differenza degli Ab che sono specifici per un solo antigene) perché in questo modo con più inibitori è possibile inibire più serina-treonina cinasi. Gli inibitori della tasca per l’ATP, infatti, hanno una serie di bersagli con caratteristiche comuni. MYC Nel nucleo ci sono dei fattori trascrizionali; uno dei più importanti è MYC. MYC appartiene a una famiglia di fattori trascrizionali (i cui membri sono MYC, L-MYC, N-MYC) che dimerizzano sempre con altre molecole, per esempio MYC si lega a MAX che poi a loro volta legano delle sequenze specifiche di DNA chiamate E-box. MYC si attiva o per traslocazione genica o per amplificazione genica. Per quanto riguarda la traslocazione genica: nelle cellule normali MYC è sul cromosoma 8 mentre, se per esempio consideriamo come cellula un linfocita B, su queste cellule il gene delle catene pesanti e leggere è presente sul cromosoma 14. In alcuni linfomi, come il linfoma di Burkitt, il fattore MYC (banda rossa nell’immagine) subisce una traslocazione a valle del promotore delle catene pesanti delle immunoglobuline (Ig); quindi, vi è una traslocazione di MYC dal cromosoma 8 al cromosoma 14. Questa traslocazione fa sì che, invece di produrre delle Ig, venga amplificato l’oncogene MYC. MYC quindi non subisce alcuna mutazione. La biologia del gene delle Ig facilita questa traslocazione perché per generare delle Ig vengono fatti dei riarrangiamenti che non sono altro che delle traslocazioni intracromosomiche. La prima traslocazione viene effettuata per definire la specificità delle Ig e la seconda traslocazione per distinguere le IgM dalle IgG. Se ci sono degli errori in questa fase allora si ha l’attivazione di questi fattori trascrizionali che sono anche degli oncogeni. I tumori determinati da queste mutazioni sono soprattutto tumori pediatrici perché è in questo periodo che vengono prodotti più Ig. Oltre alla traslocazione genica, questi oncogeni possono essere attivati anche per amplificazione genica come accade nel caso del neuroblastoma e del glioblastoma, in cui c’è amplificazione di N-MYC. Attualmente non esiste alcuna terapia per i fattori trascrizionali mutati. I farmaci che riusciamo a far entrare nel nucleo della cellula sono molto piccoli mentre avremo bisogno di farmaci più grandi che riescano ad attaccare la superficie del nucleo. Traslocazione BCR-ABL A proposito di traslocazioni, una traslocazione importante è quella che riguarda i geni BCR e ABL. ABL si trova sul cromosoma 9 ed è una tirosina cinasi recettoriale mentre BCR è sul cromosoma 22. La traslocazione di ABL sul cromosoma 22 dove c’è BCR è facilmente osservabile al microscopio: questo cromosoma prende il nome di cromosoma Philadelphia. A partire dall’osservazione di questo cromosoma si è capito che i tumori sono causati da alterazioni a livello del DNA. Questa traslocazione è la causa principale di leucemie mieloidi croniche. ABL è coinvolto nella proliferazione, differenziamento e apoptosi dei leucociti, soprattutto granulociti. Il destino del granulocita maturo è la morte, infatti, ABL è coinvolto in questi meccanismi di morte però quando si forma la proteina di fusione BCR-ABL, i granulociti restano nel citoplasma e non raggiungono il nucleo, di conseguenza non vengono degradati. Quindi la leucemia mieloide cronica è una patologia di mancata morte piuttosto che di aumentata proliferazione. Per quanto riguarda la terapia, la traslocazione di ABL è stata la prima mutazione per cui sono stati somministrati dei farmaci inibitori delle cinasi come Imatinib (inibitore di tirosina cinasi). Negli ultimi anni si sta cercando di sviluppare delle terapie combinate e non terapie che hanno come unico obiettivo quello di colpire la tasca idrofobica dell’ATP. Non tutti i tumori hanno traslocazioni ma i più comuni in cui ciò avviene sono i sarcomi e le leucemie. In alcuni carcinomi, seppur raramente, queste traslocazioni possono avvenire. Unico carcinoma in cui avviene una alterazione per traslocazione è il tumore alla prostata. Il motivo per cui le traslocazioni sono più comuni in un tipo di tumore e non in un altro non si conosce ancora. BCL-2 family Esistono due pathway di apoptosi: - un pathway estrinseco in cui ci sono delle molecole del recettore del TNFR, il quale ha un dominio interno di morte che va ad attivare le caspasi che frammentano le cellule; - un pathway intrinseco che passa attraverso il mitocondrio dove l’apoptosi è determinata dalla proteina BCL-2. BCL-2 ha attività anti-apoptotica e può essere inibita da proteine che hanno un dominio BH3. BCL-2 viene attivata o per traslocazione, come accade nel caso del linfoma follicolare a cellule B, o per iper- espressione, come accade nel caso della leucemia linfocitica cronica. I farmaci usati nei tumori come attivazione di BCL-2 sono dei BH3-mimetici, perché BH3 inibisce BCL-2. Un esempio è il Venetoclax. Implicazioni cliniche - Medicina di precisione: se ci sono i target molecolari allora non si fa la chemioterapia ma si applicano altre terapie, come la terapia a bersaglio molecolare. Per esempio, abbiamo detto che per scegliere la terapia più adatta nel caso di tumore alla mammella causato da attivazione di HER, bisogna fare una immunoistochimica in cui in marrone si colora l’enzima e il blu è la contro-colorazione; quindi, se si osserva solo la colorazione blu allora significa che non c’è HER2 e quindi verrà eseguita una determinata terapia. Nel caso in cui si hanno delle indecisioni con la sola immunoistochimica, ad oggi alla immunoistochimica viene affiancata la FISH. - Gli studi molecolari consentono di capire bene quali sono i meccanismi di resistenza, quindi, è possibile sviluppare generazioni successive di farmaci per la resistenza mediata da mutazioni puntiformi. - È importante l’avvento delle terapie agnostiche rispetto alle terapie istologiche perché ci si basa sull’alterazione molecolare che può essere presente in più tumori con origine istologica differente. Lezione 4 - 2024 ONCOSOPPRESSORI (tumor suppressor) Gli oncooppressori tumorali sono geni che, quando inattivati, predispongono allo sviluppo del cancro. Sono geni che appartengono a 2 gruppi decisamente distinti: - gatekeeper: stanno a ‘guardia del cancello’, sono i regolatori negativi del ciclo cellulare. In tutte le cellule che hanno una proliferazione controllata, abbiamo visto l’altro giorno, ci sono geni che aumentano/fanno partire il ciclo cellulare e geni che fermano la proliferazione in momenti specifici del ciclo cellulare; la loro inattivazione migliora direttamente la crescita cellulare. - caretaker: geni che si prendono cura del genoma, controllano la stabilità del genoma o si occupano direttamente della riparazione del danno al DNA. Se si guasta un gatekeeper la cellula va avanti a proliferare quando non dovrebbe. I caretaker invece hanno un meccanismo completamente diverso: le nostre cellule hanno una serie di sistemi per tener stabile il genoma, se si rompe la cellula inizia ad accumulare mutazioni, che si accumuleranno a caso e finiranno per colpire sia oncogeni sia oncosoppressori di tipo gatekeeper e altri caretaker. Quindi l’inattivazione degli oncosoppressori di tipo caretaker portano ad una maggiore suscettibilità al tumore perché la loro alterazione destabilizza il genoma facilitando l’accumulo di mutazione negli altri geni. Diversi di questi geni sono completamente svincolati dai meccanismi proliferativi, alcuni di questi invece hanno sia un’attività di controllo della stabilità del genoma sia un’attività di controllo della proliferazione. La scoperta dei geni oncosoppressori è interessante perché in realtà i geni oncosoppressori sono stati ipotizzati da un genetista pediatra che si chiamava Alfred Manson prima che si conoscesse la loro esistenza questi geni, semplicemente studiando l’ereditarietà del retinoblastoma. Quindi guardano il pattern di eredità del retinoblastoma, quindi con genetica umana classica senza niente di genetica molecolare, Alfred Manson ha ipotizzato che esistesse questa categoria di geni oncosoppressori che spiegassero i 2 hit necessari per far avvenire lo sviluppo di questo tumore. Quindi tutti erano più o meno convinti che esistessero, ma ovviamente questa teoria ha poi richiesto il clonaggio molecolare per venir provata. Il clonaggio molecolare del gene del retinoblastoma avvenne 20/30 anni dopo l’ipotesi di Manson. Quindi i geni oncosoppressori vengono ipotizzati già sulla base della presenza di certi tumori ereditari con determinati pattern ereditari. Per fare un ibridoma (fusione tra due cellule) bisogna fondere un linfocita B con una cellula di mieloma, questo è figlio di una serie di tecnologie sviluppate negli anni 60/70 per fondere le cellule, quindi vengono fatti una serie di studi di genetica somatica: una volta venivano usati i virus in grado di formare sincizi, oggi in maniera più semplice si utilizza un po’ di alcool e ci liberiamo dei virus. Quindi biologi che si occupano di tumori iniziano ad avere a disposizione un pool per fondere cellule normali con cellule tumorali. Quindi la domanda è: se io prendo una cellula normale e una tumorale e le fondo, il prodotto (chiamato eterocarrier) è normale o tumorale? Se andiamo a rivedere oggi gli esperimenti di fusione somatica per conformazione di eterocarrier tra cellula normale e cellula tumorale, sono tutt’altro che lineari. Ma l’interpretazione che abbiamo oggi alla luce delle conoscenze posteriori è che fondendo una cellula normale con una tumorale, si ottiene una cellula normale, anche se non è tale al 100%. Ma come ci diceva non è così lineare. Questo ci fa capire che dentro la cellula normale ci devono essere dei meccanismi in grado di bloccare i processi di trasformazione neoplastica, quindi di revertire in qualche modo il genotipo. Alla fine, gli studi molecolari hanno permesso la clonazione del gene del retinoblastoma e la scoperta di p53. Document shared on https://www.docsity.com/it/appunti-di-oncologia-sperimenta-2024-prof-lollini-biologia-della-salute-unibo/11673895/ Downloaded by: giorgialagazzi01 ([email protected]) Scoperta del gene p53: viene scoperto come oncosoppressore mutato e quindi inizialmente si ritenne essere un oncogene, ma in realtà è un oncosoppressore. Ci sono voluti un po’ di anni per capire che questo gene che veniva chiamato oncogene in realtà era uno dei più importanti oncosoppressori. Dopo vedremo perché c’è stata questa confusione, quali sono i meccanismi di attivazione molecolare di p53 che giustificano questa confusione iniziale. Quindi ci è voluto un po’ e in generale la scoperta degli oncosoppressori è successiva a quella degli oncogeni. Questo è normale perché abbiamo detto che gli oncogeni sono geni caratterizzati da mutazioni dominanti gain of function, e quindi è più facile in biologia da trovare una roba dominante gain of function rispetto alle mutazioni tendenzialmente recessive con perdita di funzione degli oncosoppressori. Funzioni dei geni oncosoppressori: gatekeeper: - fattori di crescita di tipo inibitorio (inibiscono la proliferazione cellulare). Se andiamo sui tumori solidi l’esempio tipico è il trasforming growth factor beta→ è un fattore inibitorio per molti tipi cellulari (come le cellule epiteliali e i linfociti) e stimolatorio per altri tipi cellulari; anche SMAD4. - inibizione della trasduzione del segnale mitogenico, come APC e PTEN (a vari livelli dei pathway che abbiamo visto ci sono vari inibitori che sono geni oncosoppressori). - checkpoint del ciclo cellulare (RB): abbiamo una serie di punti in cui la cellula deve fermarsi, chiamati checkpoint mitotici, in cui la cellula deve controllare che non vi siano danni cellulari/del DNA, tutto sia a posto. Se questi checkpoint mitotici vengono alterati la cellula va avanti a proliferare quando invece dovrebbe fermarsi. - Geni coinvolti con il destino cellulare e il differenziamento, come VHL e CDH1 (stasi mitotica, morte cellulare nelle cellule che devono morire dopo il differenziamento terminale come granulociti); - Induttori dell’apoptosi, come CASP8 (si guastano e non inducono l’apoptosi) caretaker: abbiamo due grossi classi: - geni della risposta al danno del DNA → prima di far partire la riparazione del DNA intervengono tutta una serie di meccanismi che rivedremo velocemente che vanno dal danno al DNA all’induzione del sistema di riparazione, come p53, ATM; - macchinario che ripara il danno al DNA, come BRCA, XP, MLH1. Come vengono inattivati i geni oncosoppressori? (Tipica domanda d’esame) - Essendo recessivi vengono inattivati da mutazioni bialleliche → siamo a livello somatico: due alterazioni sugli alleli del gene, ad esempio delezioni, per i geni oncosoppressori servono entrambe le alterazioni. Quindi in molti casi avremo un’inattivazione biallelica che blocca completamente la produzione della proteina funzionante, come nel caso di RB o APC. - In alcuni casi ci sono degli effetti di dosaggio per cui mutazioni monoalleliche sono sufficienti a ridurre il livello della proteina: una riduzione del 50% del livello della proteina dovuto ad una mutazione monoallelica è sufficiente per dare un fenotipo trasformante, come PTEN (aploinsufficienza). In alcuni casi è una cosa che si può studiare facilmente nei topi geneticamente modificati: facendo un topo con due alleli mutati esso svilupperà tumore nel giro di tre mesi, il topo non mutato non sviluppa tumore, mentre quello con un solo allele mutato svilupperà il tumore in un anno/ un anno Document shared on https://www.docsity.com/it/appunti-di-oncologia-sperimenta-2024-prof-lollini-biologia-della-salute-unibo/11673895/ Downloaded by: giorgialagazzi01 ([email protected]) e mezzo. Quindi si ha un aumento di probabilità delle seconde mutazioni, è una mutazione che predisposizione allo sviluppo di alcuni tumori, sebbene meno tumorigeniche di quelle bialleloche; - Vedremo alcuni casi di dominanza negativa→ sono casi che riguardano sempre proteine multimeriche come p53, portano all'inattivazione funzionale del prodotto dell'allele normale da parte di quello dell'allele mutante. - Il gene è normale ma abbiamo metilazione del promotore. Quindi la sequenza genica è normale ma per qualche motivo c’è stata metilazione o inattivazione dell’attività del gene per cui il gene è lì ma non è trascritto. Questo lo ritroveremo nella prossima lezione in cui vedremo che molti tumori ereditari hanno alterazioni a livello del DNA ma esistono alterazioni corrispondenti a livello somatico per motivi di tipo epigenetico. Quindi ritroveremo tumori ereditari dove ho la mutazione ma esistono anche condizioni somatiche che hanno lo stesso fenotipo tumorale non causate da mutazioni ma da alterazioni, ad esempio, del pattern di metilazione. Il risultato non cambia. - Ci sono alcuni tumori umani in cui il gene è normale ma non troviamo la proteina perché è intervenuto un virus che l’ha degradata. Questo capita soprattutto nei geni di tipo caretaker perché i geni caretaker sono sensibili al danno al DNA. Esempio di danno al DNA: la cellula sa che il DNA deve stare nel nucleo, se c’è DNA nel citoplasma questo presuppone la presenza di un danno. Ci può essere DNA nel citoplasma perché c’è stata degradazione del DNA nucleare, quindi un danno piuttosto grave, oppure perché c’è un virus a DNA nel citoplasma. Entrambe le condizioni fanno partire i meccanismi di stabilità del genoma e quindi bloccano tutta una serie di meccanismi che invece ai virus piacciono moltissimo. Perché se la cellula stava proliferando questi meccanismi bloccano la proliferazione. Ci sono una serie di virus che non sono in grado di proliferare in cellule che hanno degli oncosoppressori in attività e quindi questi virus hanno evoluto delle loro contromisure che tipicamente portano alla degradazione della proteina. Quindi vedremo cellule con un oncosoppressore perfettamente normale ma la proteina non è presente perché viene degradata, tipicamente con meccanismi di attivazione di proteasi da proteine di origine virali, come p53 ed RB. Retinoblastoma Il nonno degli oncosoppressori è il retinoblastoma (RB gene), poiché quello di cui si è occupato Nadson. Document shared on https://www.docsity.com/it/appunti-di-oncologia-sperimenta-2024-prof-lollini-biologia-della-salute-unibo/11673895/ Downloaded by: giorgialagazzi01 ([email protected]) Il gene dà anche il nome alla malattia, quindi il termine retinoblastoma mi indica sia un tumore (che può essere ereditario o meno) sia il gene che ha come sigla RB. Nell’immagine vediamo il ciclo cellulare: dopo che c’è stata la mitosi la cellula si trova in una prima fase di intervallo chiamato G1 (gap 1). Quindi gran parte delle nostre cellule che non stanno proliferando si trovano in G1. Se la cellula deve tornare a proliferare deve per prima cosa sintetizzare il DNA, quindi passare in fase S (che è la fase di sintesi del DNA), poi c’è un altro breve intervallo che viene chiamato G2 (gap 2) e poi va in mitosi. Quindi è il G1 la fase importante tra la mitosi e la sintesi del DNA. Siccome nella mitosi possono succedere vari pasticci la cellula si ferma un attimo in G1 per controllare che non siano avvenuti errori durante la mitosi, prima di far ripartire la sintesi, perché in caso di errori nei cromosomi è meglio che la cellula non replichi il proprio DNA. E quindi c’è un controllo che si chiama checkpoint mitotico in G1. Questo è attuato essenzialmente dal prodotto del gene del retinoblastoma (RB). RB in G1 sequestra un fattore di trascrizione che si chiama E2F → fattore trascrizionale generale che serve per la trascrizione di un po' tutti i geni della proliferazione. Quindi se non c’è E2F la cellula non può attuare la sintesi del DNA e quindi si blocca in G1. Quindi il chekpoint consiste nel togliere di mezzo un fattore trascrizionale fondamentale per le reazioni di sintesi del DNA. Questo mi blocca la cellula in G1. Questo è il motivo per cui molte cellule trascorrono gran parte della loro vita in G1. Abbiamo cellule replicative, come le cellule della cute, che passano poco tempo della loro vita in S, M o G2, gran parte del tempo viene trascorso in G1. Il passaggio del chekpoint viene regolato dalla fosforilazione di RB: RB ipofosforilato lega E2F, ma viene fosforilato e RB fosforilato libera E2F quindi la cellula può progredire nel ciclo mitotico. RB viene fosforilato da proteine con andamento ciclico chiamate cicline a cui sono associate delle chinasi (enzimi che fosforilano), per questo vengono chiamate cyclin-dependent kinases, con un numero che segue → CDKn (n sta per numero) In particolare, CDK4 e CDK6 fosforilano RB, quindi vengono attivate nel momento in cui la cellula deve passare il checkpoint mitotico. CDK4 e CDK6 fosforilano RB, RB si slega da E2F, il quale entra in azione nel nucleo e causa la trascrizione di geni che fanno passare la cellula in fase sintetica. Ci sono checkpoint anche a livello di G2 ma il checkpoint principale è quello in G1, una volta che la cellula passa questo va in mitosi. Quindi questo è il checkpoint fondamentale per impedire che le cellule proliferino quando non devono. Il checkpoint in G2 non è in grado di fermare una cellula che Document shared on https://www.docsity.com/it/appunti-di-oncologia-sperimenta-2024-prof-lollini-biologia-della-salute-unibo/11673895/ Downloaded by: giorgialagazzi01 ([email protected]) sta proliferando in maniera incontrollata, è in grado di fermare cellule che hanno per esempio problemi a livello di sintesi del DNA, quindi meccanismi di riparo possono essere attivi in G2. Quindi se viene meno il checkpoint in G1 abbiamo le cellule che non dovrebbero proliferare continuano a replicare in maniera incontrollata. [Da alcuni anni gli immunologi hanno rubato la parola checkpoint, se parliamo di checkpoint si può quindi intendere sia checkpoint immunologici che checkpoint del ciclo cellulare, normalmente in biologia ci riferiamo a quelli del ciclo cellulare] RB è, in realtà, una piccola famiglia di 3 geni: RB1 → quando parliamo di RB e basta ci riferiamo a RB1. RBL1 (RBlike1) e RBL2 (RBlike2 o RB2). Chi sta studiando questi due geni da 20-30 anni sta disperatamente cercando di convincere tutti gli oncologi che sono importantissimi, ma non ci sono ancora riusciti. Quindi questi sono molto meno importanti di RB1. RB ipofosforilato lega E2F, RB fosforilato da CDK4 si slega e ovviamente tutto questo in una cellula normale è ciclico quindi alla fine del ciclo cellulare vengono attivate delle fosfatasi che defosforilano RB che ritorna a legarsi a E2F. Ovviamente la regolazione del ciclo cellulare è ciclica quindi RB nella cellula normale è sottoposto a questi cicli di fosforilazione e defosforilazione. Quali sono i ruoli di RB nei tumori umani? È presente sia in tumori sporadici che in tumori ereditari, non solo nel retinoblastoma, ma per esempio i bambini con retinoblastoma quando arrivano all’età della crescita possono sviluppare osteosarcomi, perché RB è un gene importante anche per l’omeostasi dell’osso. Lo troviamo attivato anche nei microcitomi polmonari e in altri tipi tumorali. L’attivazione di RB avviene tipicamente per mutazioni bialleliche, quindi in quasi tutti questi tumori troviamo RB mutato in entrambi gli alleli. È importante anche nel carcinoma della cervice uterina o del collo dell’utero, che è causato da Papilloma Virus che è uno di quei virus che disattivano RB tramite E7, causandone la degradazione. Quindi è un gene fondamentale anche nel carcinoma della cervice uterina. Come facciamo a fare la terapia? La terapia negli oncogeni tutto sommato è semplice: c’è l’oncogene, sappiamo come è fatto, è mutato (quindi è un po’ diverso nella cellula tumorale) e si usano terapie a bersaglio molecolare, facciamo dei farmaci che lo colpiscano, è quindi un approccio molto lineare. Negli oncosoppressori il problema è diverso perché quando mutati sono ASSENTI. Quindi come facciamo a colpire un bersaglio che non c’è? Si va ad agire a monte del pathway. Vedremo che in alcuni contesti sono state trovate alcune soluzioni. Nel caso di RB la soluzione che è stata trovata è di muoversi nel pathway di controllo di RB dove si trovano le chinasi; quindi, il nostro bersaglio possono essere CDK4 e CDK6. Inibendo la fosforilazione di RB dovremmo ottenere un effetto terapeutico. Questo concettualmente è vero e ci sono dei farmaci che lo fanno. Il prof ci insegnerà una serie di meccanismi che dovrebbero essere meccanismi generali, quello che capita molto spesso andando nei pazienti è che si scopre che il meccanismo non è così tanto generale come si credeva. Quindi c’è una storia di diversi farmaci che sono stati sviluppati in teoria per colpire un enorme aspetto dei tumori e poi si è visto che in clinica non funzionano contro il tumore. In alcuni casi si sa il perché, in altri casi no. Il caso, per esempio, degli inibitori di CDK4 e CDK6 è un caso tipico perché sono stati messi a punto questi inibitori con l’idea di colpire queste chinasi cicline-dipendenti (che sono presenti in molte Document shared on https://www.docsity.com/it/appunti-di-oncologia-sperimenta-2024-prof-lollini-biologia-della-salute-unibo/11673895/ Downloaded by: giorgialagazzi01 ([email protected]) cellule tumorali) e si è visto che o sono tossici o non funzionano, quindi di fatto erano farmaci che stavano quasi per essere abbandonati fino a quando si è visto che avevano un discreto effetto terapeutico in un caso molto specifico. Quindi può essere che il meccanismo che studiamo è un meccanismo generale, poi ci sono delle modulazioni nei singoli tessuti che portano a far si che l’inibizione farmacologica funzioni in alcuni tumori e in altri no. Quindi CDK4 e CDK6 funzionano soltanto nel carcinoma della mammella in combinazione con terapie anti-estrogeni. Perché? Al momento nessuno l’ha capito. Perché non funzionano negli altri casi? Non si sa, al momento nessuno è riuscito a farli funzionare al di là di questa condizione. Oggi guarderemo tutti i geni oncosoppressori che hanno meccanismi di azione abbastanza canonici, la prossima volta vedremo i tumori ereditari in cui vedremo meccanismi completamente differenti da questi; quelli che stiamo vedendo oggi sono geni oncosopressori che hanno tutti una buona ragionevolezza di meccanismo d’azione. APC (Adenoma polyposis coli) Slide: a sx vediamo un pathway di traduzione del segnale in una cellula normale che ha dei fattori di crescita (Wnt), parti di questo pathway sono stati scoperti in animali diversi, alcuni ad esempio sono stati scoperti in Drosophyla, e poi si è visto che noi abbiamo lo stesso gene, quindi li troviamo anche nelle nostre cellule. A dx: qui non c’è il fattore di crescita (Wnt). Nelle cellule normali quiescenti si forma un complesso multimolecolare è formato da APC (vermetto verde nella figura) e una serie di altre proteine che sono Axina, GSKbeta e betacatenina. Questo complesso si forma per sequestrare la betacatenina. Quindi in assenza del fattore di crescita la betacatenina viene sequestrata nel citoplasma che viene avviata alla degradazione. Questo perché la beta catenina è un fattore trascrizionale: quando arriva il fattore di crescita WNT si lega al suo recettore Frizzled e tramite Dv1 segnala di disassemblare questo complesso, la betacatenina è libera e va dal citoplasma al nucleo (shuttle). Nel nucleo si unisce ad un fattore di crescita che è stato inizialmente trovato nei linfociti, e siccome pensavano fosse specifico dei linfociti l’avevano chiamato TCF (T-cell factor), ma in realtà è presente in tutte le cellule. Il complesso betacatenina/T-cell factor causa la sintesi di una serie di geni della proliferazione. Questo meccanismo è particolarmente rilevante per la proliferazione degli organi della cavità addominale infatti, se abbiamo cancerogenesi a questo livello, questo è uno dei primi pathway da andare a guardare poiché è quello che molto spesso si trova alterati. Alcuni di questi geni hanno dei ruoli multipli: Document shared on https://www.docsity.com/it/appunti-di-oncologia-sperimenta-2024-prof-lollini-biologia-della-salute-unibo/11673895/ Downloaded by: giorgialagazzi01 ([email protected]) -La betacatenina ha anche dei ruoli strutturali: può associarsi con la E-caderina sulla superficie cellulare; la palla rossa che vediamo è la alfa-catenina che è una actin-binding protein che serve per ancorare i filamenti di actina alla membrana cellulare e alla caderina nei punti dove ci sono le giunzioni cellula-cellula: i fasci di actina mantengono chiusa la giunzione. Se il complesso blocca la betacatenina questa diventa un oncogene, nessuno la chiama così ma la betacatenina è un oncogene a tutti gli effetti. -APC ha anche un ruolo di interazione con i microtubuli, infatti la troviamo a livello del cinetocore (punto del cromosoma in cui si attacca il fuso mitotico). Se manca APC, non riusciamo a bloccare la betacatenina perché questa non riesce ad essere sequestrata nel citoplasma, quindi la betacatenina va a finire nel nucleo e la cellula prolifera. Quando la cellula prolifera deve forma il fuso mitotico che si deve legare al cinetocore, ma il cinetocore risulta anomalo proprio a causa della mancanza di APC: il fuso mitotico risulterà anomalo e questo porta ad una divisione anormale che conduce a possibili aneuploidie. Quindi, se diciamo che la stabilità del genoma è controllata da geni oncosoppressori di tipo caretaker e che la proliferazione è controllata da geni di tipo gatekeeper, APC ha sia un ruolo gatekeeper (sequestrare la betacatenina) che un ruolo caretaker (garantire una normale formazione del fuso mitotico e una normale separazione dei cromosomi). APC, a differenza degli altri oncosoppressori che nella maggior parte dei casi non agiscono direttamente sui prodotti, è un vero e proprio anti- oncogene, perché provoca direttamente la degradazione della beta-catenina, che è un oncogene. Ruolo di APC nei tumori umani: Nei tumori umani troviamo tipicamente che APC viene inattivato da mutazioni bialleliche (la proteina non c’è perché entrambi gli alleli sono mutati). Ci sono però degli studi che fanno vedere che anche il 50 % di APC (mutazione monoallelica) predispone alla cancerogenesi. Quindi abbiamo dei tumori umani in cui abbiamo una mutazione di APC; in questi casi si ritiene che sia un problema anche di aploinsufficienza. Ci sono poi dei casi in cui APC è inattivato per metilazione, quindi attraverso meccanismi epigenetici. È inattivato tipicamente nei carcinomi colonrettali: non porta al carcinoma direttamente ma è il primo passaggio della progressione neoplastica del colon, quindi l’inattivazione di APC mi porta alla formazione di polipi, quindi di adenomi (tumori benigni in un tessuto ghiandolare). Vedremo che c’è una condizione ereditaria che si chiama poliposi ereditaria familiare del colon in cui questi individui hanno decine, centinaia, migliaia di polipi. Ma quello che può succedere nell’intestino è un fenomeno di progressione tumorale, questo significa che ogni polipo ha una certa probabilità di accumulare ulteriori mutazioni e di diventare un carcinoma. Quindi la mutazione di APC è un primo passaggio verso la formazione del carcinoma del colon. Di fatto troveremo che circa l’80% dei cancri al colon umani hanno la mutazione in APC. Vedremo che l’asse WNT/betacatenina/APC viene colpito anche da alcune proteina virali, ad esempio dai virus dell’epatite B e C. I virus dell’epatite B e C sono infatti cancerogeni, sono cioè connessi con un elevato rischio di sviluppo di carcinomi epatocellulari: in entrambi i casi hanno degli oncogeni virali che deregolano i pathway di betacatenina, portando quindi a tumori della cavità addominale. Al momento per APC non esiste nessun approccio terapeutico. Non ci sono quindi farmaci che possono selettivamente colpire questo pattern. Domanda studente: se io andassi a sintetizzare APC a livello chimico e lo fornissi al paziente non potrei andare a risolvere il problema? Risposta prof: il problema delle proteine è che non possiamo darle per via orale, e se le inoculassimo per endovena non riuscirebbero ad arrivare dentro la cellula, quindi il problema è quello di veicolarle Document shared on https://www.docsity.com/it/appunti-di-oncologia-sperimenta-2024-prof-lollini-biologia-della-salute-unibo/11673895/ Downloaded by: giorgialagazzi01 ([email protected]) all’interno della cellula. Le uniche proteine che funzionicchiano come proteine terapeutiche sono proteine che possono essere captate dai linfociti → iniettiamo delle quantità industriali di proteina endovena (stabilizzandola legandola al polietilenglicole), i linfociti ne tirano su un pochino. Ma per ora nessuno è riuscito ad arrivare a colpire tumori al colon con questo sistema terapeutico. È un oncosoppressore estremamente importante, perché abbiamo visto che il cancro al colon è uno dei killer dei tumori umani più frequenti, come numeri è alla pari del cancro alla mammella (anche se questo è solo nelle donne), quindi di fatto è uno dei due tumori più frequenti e più maligni. PTEN (phosphatase and tensin homolog on chromosome 10) Questo è il pathway con cui i recettori segnalano l’insulina. Questa si lega al suo recettore che porta all’attivazione della fosfatidina-inositolo-3 chinasi (PI3K). Questa sta sul versante interno della membrana e prende l’inositolo bifosfato (PIP2) e gli aggiunge un terzo gruppo fosforico trasformandolo in fosfatidil-inositolo trifosfato (PIP3). Questo cambia la sua struttura e diventa un sito di legame per una chinasi che veniva chiamata PKB, ma in realtà oggi la chiamiamo AKT. AKT ha dei ruoli importanti nella proliferazione di tutta una serie di cellule perché: - va a inibire alcuni meccanismi dell’apoptosi - attiva la proliferazione - attiva un bersaglio a valle che si chiama mTOR che è coinvolto nella sintesi proteica (crescita cellulare: quando una cellula si divide il citoplasma si dimezza quindi una delle cose che deve fare la cellula neoformata è di riformare un bel po' di citoplasma. mTOR è coinvolto nell’attivazione di quei meccanismi che permettono di riformare la corretta quantità di citoplasma). L’oncosoppressore, invece, si chiama PTEN (si trova sul cromosoma 10) è un gatekeeper e una fosfatasi: defosforila PIP3 a PIP2. Quindi è esattamente il competitore di PI3K. La sua inattivazione è interessante da un punto di vista di genetica somatica perché la cellula non riesce a stare senza PTEN, va in senescenza, invecchia e muore. Quindi non possiamo avere come abbiamo visto negli altri casi una mutazione biallelica, perché la mutazione biallelica porta a morte cellulare. I tumori hanno mutazioni monoalleliche, quindi è un problema di aploinsufficienza, che viene chiamata aploinsufficienza obbligata perché se si perdono entrambi gli alleli la cellula muore. Può venir inattivato anche da eventi epigenetici. Document shared on https://www.docsity.com/it/appunti-di-oncologia-sperimenta-2024-prof-lollini-biologia-della-salute-unibo/11673895/ Downloaded by: giorgialagazzi01 ([email protected]) PTEN è nella top five dei geni dei tumori umani, è uno dei geni più frequentemente alterati, si riscontrano bassi livelli di espressione in praticamente in tutti i tumori umani o può essere alterato con alta frequenza in vari tipi di tumori umani (quelli più frequenti sono mammella, prostata e colon). Quindi è un oncosoppressore particolarmente importante e molto frequentemente alterato. Ci sono alcune sindromi ereditarie ma non le guarderemo perché sono decisamente rare. La condizione più frequente è quindi questa bassa espressione dovuta ad aploinsufficenza. Terapia: qui c’è un bersaglio abbastanza semplice che è PI3K. Se c’è poco PTEN si accumula PIP3 a causa dell’attivazione di PI3K, che quindi risulta il bersaglio ideale. Farmaci che inibiscono PI3K possono essere considerati mimetici del PTEN, poiché assumono la sua funzione. Questa è una storia che dal punto di vista terapeutico è decisamente interessante: innanzitutto perché PI3K, tuttavia, interviene in molte cellule e funzioni. La prima generazione di PI3K inhibitors è andata malissimo: ci sono varie isoforme di PI3K, i primi che hanno creato sono i pamPI3K inhibitors che però non hanno funzionato perché troppo tossici e poco efficaci. Si sta provando a sviluppare degli inibitori di tipo selettivo nei confronti di solo alcune isoforme: per esempio ci sono alcuni inibitori dell’isoforma ap110 che dovrebbero risparmiare alcuni effetti tossici. Di fatto i PI3K inhibitors sono stati approvati, soprattutto per neoplasie di tipo ematologico dove sono efficaci ma estremamente tossici, quindi non vengono usati come prima linea di terapia ma vengono riservati a pazienti che sono resistenti a farmaci con un migliore profilo tossicologico. Quindi se andiamo in letteratura vediamo che sono stati messi a punti decine di PI3K inhibitors ma di fatto sono tutti poco soddisfacenti. Quindi c’è ancora spazio per fare dei PI3K inhibitors migliori di quelli che abbiamo. Nei tumori solidi sono stati provati ma sono andati decisamente malino quindi nessuno li usa nei tumori solidi. Questo è un importante pathway di attivazione delle cellule tumorali per cui questa terapia è ancora decisamente subottimale, c’è abbondante spazio per lavorarci ancora. P53 (domanda di esame molto frequente) È il gene oncosoppressore più importante e più frequentemente alterato nei tumori umani. Tutti i tipi di tumori umani possono avere alterazioni di p53. Siamo intorno al 60% di tutti i tumori umani, 10.000 persone ogni anno sviluppano tumori a causa di p53. P53 è un tipico oncosoppressore di tipo caretaker. Viene attivato dal danno al DNA, quindi l’evento primario è sempre il danno al DNA. Ci accorgiamo che c’è un danno al DNA grazie a degli appositi sensori del danno al DNA. Alcuni di questi sensori sono delle chinasi, ad esempio quella che vediamo nell’immagine si chiama ATM (è stata caratterizzata in una famosa malattia ereditaria che si chiama atassia teleangectasia) ed è una chinasi che ha come compito principale quello di fosforilare p53. P53 normalmente è in forma inattiva nella cellula, quindi normalmente nella cellula normale p53 non c’è, viene attivato dal danno al DNA: è evidentemente un caretaker. P53 è un gene pericoloso e la cellula lo sa, quindi in forma inattiva è legato a un altro gene, MDM2, che blocca p53 e lo avvia alla degradazione. Quindi p53 normalmente viene tenuto sintetizzato all’interno della cellula ma viene continuamente Document shared on https://www.docsity.com/it/appunti-di-oncologia-sperimenta-2024-prof-lollini-biologia-della-salute-unibo/11673895/ Downloaded by: giorgialagazzi01 ([email protected]) degradato. Quando viene fosforilato da ATM (ma anche da altre chinasi della reazione al danno al DNA) p53, che normalmente è in forma monomerica, si assembla a formare un tetramero → quindi la proteina attiva è un tetramero fosforilato. Anche p53 stesso sa di essere pericoloso quindi appena si forma il tetramero questo attiva un feedback negativo, quindi appena p53 viene sintetizzato, autoinibisce la sua stessa formazione, proprio perché, se attivato per troppo tempo, diventa pericoloso. P53 è un controllore di tutta la risposta del danno al DNA, ha una serie di funzioni che conviene pensare in forma sequenziale (non tutte assieme). Quando si ha un danno al DNA le cellule si arrestano in G1, quindi p53 comunica con i meccanismi del checkpoint, in particolare induce un gene che si chiama WAF1, che è un inibitore delle chinasi ciclina-dipendenti, quindi inibendo le chinasi ciclina-dipendenti contribuisce all’arresto del ciclo cellulare, quindi la cellula non prolifera più. È ovvio che una cellula con danno al DNA non deve proliferare perché se prolifera trasmette alle cellule figlie delle mutazioni. A questo punto una volta che abbiamo fermato la cellula dobbiamo attivare il meccanismo di riparazione del danno al DNA. Quindi p53 attiva una serie di geni come GADD-45, XP e altri, che sono geni del riparo del danno al DNA. Una volta che abbiamo cercato di riparare il danno al DNA, dobbiamo fare un controllo: c?