Media Digitali e Femminilità PDF
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Università degli Studi di Padova
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Questo documento analizza il legame tra la femminilità e la rappresentazione online, concentrandosi sul ruolo dei social media nella vita contemporanea. L'analisi combina studi sui social media con studi di genere per comprendere come i social media influenzano le relazioni sociali e le rappresentazioni femminili. Il documento affronta anche concetti come self-performance online e postfemminismo, analizzando le diverse prospettive sulle esperienze femminili nelle dinamiche sociali online.
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Media digitali e femminilità. Analizziamo ora il legame tra femminilità e rappresentazione online, con un focus particolare sui social media come spazi chiave della vita contemporanea e del femminismo della "quarta ondata". I social media, oltre a essere strumenti di consumo, giocano un ruolo centra...
Media digitali e femminilità. Analizziamo ora il legame tra femminilità e rappresentazione online, con un focus particolare sui social media come spazi chiave della vita contemporanea e del femminismo della "quarta ondata". I social media, oltre a essere strumenti di consumo, giocano un ruolo centrale nella mobilitazione culturale, come dimostrano fenomeni globali come il movimento #MeToo o il body positivity. Essi offrono spazi di auto-espressione e narrazioni alternative che sfidano i regimi visivi tradizionali, rendendoli cruciali per lo studio della femminilità online. Il concetto di femininities, proposto da Rosalind Gill e Christina Scharff, evidenzia la pluralità delle esperienze femminili e delle loro rappresentazioni. Non esiste una sola femminilità, ma molteplici modi di viverla e rappresentarla, un punto che conferisce a questo termine una forte rilevanza teorica e pratica. L’analisi combina due approcci principali: 1. I social media studies che indagano come i social media influenzino le relazioni sociali, la costruzione della realtà e le pratiche quotidiane, mostrando come questi spazi diventino luoghi di negoziazione culturale e identitaria. 2. I feminist media studies che ampliano l'analisi della rappresentazione includendo anche i processi di produzione e consumo. Questo approccio considera le rappresentazioni mediali non come fisse, ma come oggetto di interazione e rielaborazione da parte delle persone, evidenziando la capacità di agency degli utenti. SELF-PERFORMANCE ONLINE E POSTFEMMINISMO. Nei primi anni 2000, quando blog e forum erano agli albori, il concetto di self-performance, ispirato a Erving Goffman, descriveva l’identità come una performance teatrale, dove il sé mostrava aspetti pubblici o privati in base al contesto. Questa idea trovava una perfetta applicazione nel digitale, dove l’identità viene mediata attraverso pratiche tecnologiche. Con la diffusione dei social media, tra il 2000 e il 2010, questo concetto si evolve. Come osserva Nicoletta Vittadini, i social diventano strumenti di auto-rappresentazione attraverso contenuti multimediali, che sostituiscono il corpo fisico nella comunicazione. Emerge così l’idea di imagined audiences: ogni rappresentazione online è diretta a un pubblico immaginato, mai del tutto visibile o definito, a differenza delle interazioni dal vivo. Un contributo chiave è quello di Hogan, che distingue tra performance (interazioni in tempo reale, come nelle dirette) ed exhibition (selezione e cura dei contenuti pubblicati, simile a una mostra). Con strumenti come stories e dirette, queste due dimensioni si intrecciano, arricchendo le modalità di auto-rappresentazione. => Theresa Senft. È una figura centrale nello studio delle rappresentazioni femminili online. Ha integrato le teorie di Erving Goffman sulla performance e di Judith Butler sulla performatività di genere. Per Butler, il genere non è innato, ma costruito attraverso atti e discorsi ripetuti che normalizzano ciò che è considerato maschile o femminile. Senft applica questa prospettiva alle identità online, viste come processi di rappresentazione e costruzione continua. Un altro concetto chiave che ha introdotto è quello di identità prostetica, dove il digitale diventa parte integrante dell’identità, richiamando l’idea di cyborg di Donna Haraway. Questo intreccio tra fisico e digitale è particolarmente significativo per le pratiche femminili online, come dimostra nel suo libro Camgirls: Celebrity and Community in the Age of Social Networks. Qui, Senft analizza il fenomeno delle CAMGIRL, donne che trasmettono la loro vita quotidiana tramite webcam, trasformando spazi privati in ribalte pubbliche. Questo anticipa le dinamiche dei social media, dove il confine tra pubblico e privato è sempre più fluido, e l’autenticità viene portata al centro della scena. - Senft introduce anche il concetto di micro-celebrità, una forma di notorietà basata su connessioni dirette con il pubblico, distinta dalla celebrità tradizionale. Le camgirl, come gli influencer odierni, costruiscono un personal brand, monetizzando la propria immagine e vissuto attraverso un intenso lavoro emozionale, dove relazioni e aspetti personali diventano risorse economiche. Attraverso una prospettiva femminista, Senft sfida gli stereotipi che associano l’uso della webcam al voyeurismo, interpretando queste pratiche come forme di auto-espressione e agency femminile. Il postfemminismo e il neoliberismo sono concetti chiave per comprendere come la femminilità venga rappresentata nell’era digitale. Il POSTFEMMINISMO, nato negli anni Novanta, si basa sull’idea che la parità formale sia stata raggiunta e che le donne debbano ora concentrarsi sull’autorealizzazione personale, enfatizzando l’empowerment individuale. Icone mediatiche come le protagoniste di Sex and the City incarnano questa femminilità indipendente ma integrata nella logica del mercato e del consumo. Rosalind Gill e Christina Scharff identificano il postfemminismo in quattro dimensioni: - Come una fase successiva al femminismo della seconda ondata, quasi un "superamento" storico. - Come un’apertura alla diversità tra le donne, riconoscendo differenze di razza, classe sociale e orientamento sessuale. - Come una reazione negativa al femminismo, considerato ormai vecchio e fuori moda. - Come una sensibilità che si ritrova nei media e nei prodotti culturali, dove si mescolano idee di libertà sessuale e valori più tradizionali. Angela McRobbie critica tutto questo perché, secondo lei, il postfemminismo ha tolto la dimensione politica alle idee del femminismo. Le ha rese più individualiste, come se il problema fosse solo una questione personale e non una sfida alle disuguaglianze strutturali della società. In altre parole, il postfemminismo rischia di trasformare le battaglie collettive in scelte personali, senza mettere in discussione il patriarcato. Il NEOLIBERISMO, invece, vede l’individuo come autonomo, responsabile e competitivo, trattando la vita come un progetto imprenditoriale. Questo modello si intreccia con il postfemminismo, proponendo una femminilità basata su autodisciplina, creatività e imprenditorialità. Le donne, in questa visione, diventano i soggetti ideali per il discorso neoliberista, bilanciando autonomia e conformità alle aspettative sociali. => Amy Shields Dobson esplora queste dinamiche nei social media, mostrando come le giovani donne si rappresentino in una narrazione ambivalente: - Da un lato, celebrano sicurezza e sensualità consapevole. - Dall’altro, persistono rappresentazioni che le ritraggono come vulnerabili, soprattutto rispetto alla sessualità. Pratiche come il sexting e la condivisione di esperienze personali sono viste da Dobson come strategie attive per negoziare i modelli culturali, tentando di riaffermare il controllo sull’immagine di sé. Tuttavia, queste rappresentazioni digitali, pur sembrando emancipatorie, spesso riproducono stereotipi tradizionali e dinamiche di subordinazione. L’apparente libertà di scelta e autenticità promossa online può rivelarsi un’illusione che maschera l’adesione a norme culturali e di mercato. MATERNITÀ E CORPOREITÀ. Gli studi sulla rappresentazione della femminilità nei primi spazi digitali e nei social media attuali mettono in luce come temi centrali come maternità e corporeità siano caratterizzati da tensioni tra modelli tradizionali e narrazioni autonome. => Rappresentazione della maternità. Il mommy blogging, emerso intorno al 2005, ha dato alle madri la possibilità di raccontare le proprie esperienze personali, sfidando i media tradizionali. Tuttavia, come osserva Gina Masullo Chen, il termine stesso "mommy blogger" rischia di ricondurre la maternità a un ruolo domestico tradizionale, limitando il potenziale emancipatorio di queste narrazioni. Con l’avvento dei social media, le rappresentazioni della maternità si sono amplificate in modi contraddittori: - Da un lato, hanno dato visibilità a esperienze marginalizzate, rompendo tabù su temi come il parto o le difficoltà della maternità. - Dall’altro, hanno rafforzato l’immagine idealizzata della “maternità intensiva”, creando aspettative normative irrealistiche. I social media diventano così sia luoghi di sostegno sia spazi in cui si riproducono dinamiche patriarcali. Un esempio significativo di rappresentazione visiva della maternità è il fenomeno dei selfie materni. Questi non sono solo atti narcisistici, ma strumenti narrativi che offrono una prospettiva soggettiva e intima. Tuttavia, spesso si conformano agli standard estetici dominanti, idealizzando la maternità e il corpo femminile. Parallelamente, il fenomeno delle mumpreneur ha trasformato l’esperienza materna in opportunità di imprenditorialità digitale, con mamme che promuovono prodotti o servizi legati alla maternità. Pur offrendo un modo per conciliare vita privata e lavoro, questo solleva questioni etiche sulla privacy e sul rischio di sfruttamento minorile del lavoro digitale. => Corporeità. La rappresentazione della corporeità femminile sui social media, in particolare su piattaforme come Instagram, riflette tendenze divergenti: - Da un lato, l’esaltazione di corpi magri e allenati attraverso fenomeni come thinspiration e fitspiration. - Dall’altro, movimenti come il body positivity, che promuovono l’accettazione del corpo nella sua autenticità. Sebbene queste dinamiche riguardino anche uomini e persone non binarie, il focus principale resta sulle donne, sia come produttrici sia come consumatrici di questi contenuti. L’esposizione a immagini idealizzate intensifica la sorveglianza del sé, spingendo le donne a monitorare costantemente il proprio corpo per adeguarsi a standard estetici dominanti, con conseguenze spesso negative per la soddisfazione corporea. Al contrario, contenuti che mostrano corpi autentici e non ritoccati aiutano a ridimensionare queste aspettative, promuovendo un rapporto più equilibrato con il proprio corpo. => Rosalind Gill e Shani Orgad, attraverso il concetto di confidence culture, analizzano come l’autostima venga presentata sia come strumento di emancipazione personale sia come meccanismo che perpetua il controllo sui corpi femminili, in un’oscillazione tra femminismo tradizionale e postfemminismo. => Katrin Tiidenberg ha studiato come i contenuti di donne tra i 40 e i 50 anni spesso riflettano ideali neoliberali e postfemministi, enfatizzando corpi allenati, moda e maternità felice. Tuttavia, accanto a queste narrazioni prevalenti, emergono profili che sfidano tali standard: fatshion account celebrano la moda per corpi non conformi, mentre altri valorizzano diversità di età e forme corporee, rompendo con l’ossessione per la giovinezza e la perfezione fisica. La dimensione interculturale amplia ulteriormente il discorso. Donne con hijab su Instagram riaffermano identità religiose e culturali, negoziando il significato del corpo e della femminilità. Allo stesso tempo, figure come atlete turche in bikini mostrano come il corpo possa essere soggetto a norme culturali ma anche diventare simbolo di resistenza e cambiamento. Anche i corpi marginalizzati, come quelli disabili, trovano nuovi spazi di rappresentazione, così come la riappropriazione della sessualità da parte delle donne. Sebbene i social media offrano opportunità per visibilità e inclusione, rimangono luoghi di tensione, dove l’emancipazione si scontra con la riproduzione di schemi normativi.