Introduzione alla Linguistica Generale PDF
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Università Cattolica del Sacro Cuore - Milano (UCSC MI)
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This document provides an introduction to general linguistics, exploring the nature of human language and communication. It examines different aspects of communication, including its pervasiveness and complexity, and the role of communication in society. Key concepts and examples are included.
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INTRODUZION LA LINGUISTICA GENERALE E IL SUO OGGETTO Le lingue sono tante e tutte diverse tra loro. Ciascun parlante quindi ha una propria poliglottia: ognuno di noi parla più di una lingua o dialetto. Il suo oggetto è il linguaggio umano. Si interroga sugli eventi comunicat...
INTRODUZION LA LINGUISTICA GENERALE E IL SUO OGGETTO Le lingue sono tante e tutte diverse tra loro. Ciascun parlante quindi ha una propria poliglottia: ognuno di noi parla più di una lingua o dialetto. Il suo oggetto è il linguaggio umano. Si interroga sugli eventi comunicativi che privilegiano come strumento una lingua storico-naturale. Fare comunità è il compito essenziale della comunicazione, creare consenso, impegno comune, altrimenti la comunicazione fallisce, ma il compito di fare comunità non si esaurisce nell’e cacia della comunicazione, è rilevante la qualità del consenso ottenuto, assicurata costruendo il consenso attraverso la pratica condivisa della ragione, altrimenti è un consenso irragionevole. LA COMUNICAZIONE: PERVASIVITÀ E COMPLESSITÀ Passiamo dalla comunicazione dell’antica agorà del mondo greco alla comunicazione della nuova agorà senza frontiere. La comunicazione avviene tramite le scienze del linguaggio: - dimensioni linguistico-semiotiche, i segni; - dimensioni psicologiche, socio-culturali e antropologiche, viviamo in comunità sociali; - dimensioni tecnologiche, l’evoluzione tecnologica ha potenziato di gran lunga la comunicazione. IL COMUNICAZIONISTA E LA BUONA SALUTE DELLA COMUNICAZIONE Il comunicazionista (da non confondere con il comunicatore) è un professionista della comunicazione, colui che conosce in modo approfondito le dinamiche della comunicazione e che sappia intervenire laddove la comunicazione va in crisi. Il comunicatore invece ha un’abilità che si appoggia su automatismi acquisiti. La comunicazione può andare in crisi per diverse ragioni: - di natura testuale - di natura semantica NATURA TESTUALE (es. lm “La strada” di Fellini) È arrivato Zampanò! Soggetto in posizione rematica (rema): vi è quindi un momento di attesa ed enfasi. Zampanò è arrivato! Soggetto in posizione tematica (tema) NATURA SEMANTICA Mia moglie è un’ottima cuoca! (Detto da uno scapolo) Si parla di una realtà che non esiste, ma è come se lo fosse. Uno dei fondamenti della sensatezza è il rapporto che il senso ha con la realtà Mio cugino è farmacista (detto da uno sconosciuto) È un messaggio irrilevante: manca il rapporto tra senso e interlocutore. ffi E fi CAP 1 LO SCAMBIO COMUNICATIVO La nozione di comunicazione è una nozione sovrade nita, sono state proposte tante de nizioni di comunicazione. La comunicazione è un’interazione, uno scambio di informazioni. Alcuni studiosi de niscono la comunicazione in termini induttivi (quando parte da elementi empirici, da dati particolari, e forma leggi generali), altri in termini deduttivi (dal generale al particolare). Due approcci diversi si, ma complementari, che fanno emergere la logica nascosta nella comunicazione. Per raggiungere proprio questa parte nascosta della comunicazione, può essere utile partire dall’etimologia, cioè andare a ricavare l’origine di un termine, ricostruire il percorso attraverso cui un popolo si è costruito le sue categorie. Il termine comunicazione deriva dal latino communicatio e dal relativo verbo com-munico. Notiamo che dal latino con due m si passa ad una sola m in italiano, al contrario ad esempio dell’inglese communicate o del francese communiquer. Si parla in questo caso di calco. Già da ciò notiamo che la comunicazione è un processo che mette in comune e in relazione. Si comunica da soggetti diversi. La comunicazione vive però allo stesso tempo di un paradosso: per essa sussistere è necessario che ci sia un minimo di condiviso. Il verbo communico contiene il formativo cum (con) e la radice munus (dono, compito): Cum: In latino comunicare aveva un signi cato molto ampio, voleva dire comunicare con l’altro, indicava lo scambio delle merci. In italiano invece, non si usa più per parlare di uno scambio di merci, ma piuttosto uno scambio di segni e messaggi che veicolano sensi. Munico: signi cava dono o compito (munus); lo ritroviamo in tedesco gabe (dono) e aufgabe (compito), oppure il termine caro/a che ha più di un signi cato. La comunicazione è quindi un processo di scambio di beni, che aprono dei compiti o responsabilità (respondere). [Es. qualcuno ci con da un segreto, a noi si aprirà il compito di mantenerlo.] C’è un nesso tra comunicazione e business, commercio, mercato. Questo è già preso in considerazione nella teologia pagana di Mercurio ed Ermete. Mercurio era il dio della comunicazione, un mediatore fra gli dei ed era anche il dio del commercio. In Mercurio abbiamo appunto la radice merc che oggi è usata ad esempio con merce, marketing e termini del mondo del business. Da Ermete ad ermeneutica (interpretazione: di fronte ad un messaggio criptico, ricostruzione il testo, dargli un senso; può avere anche signi cato di rappresentare, farsi portavoce, costruire un testo per un determinato senso). L’interpretazione è un processo di scambio fra sensi e testi. fi fi fi fi fi fi fi fi CAP 2 VERSO UN MODELLO DELLA COMUNICAZIONE VERBALE La retorica classica è il primo modello di comunicazione. La retorica è stata identi cata ad un certo punto con le gure retoriche, è stata ridotta a quel momento in cui chi costruisce un discorso ricorre all’uso di esse. La retorica si occupa di tutte le dinamiche comunicative che si esercitano in pubblico che i latini distinguono tra: - Dicere: dire con rilevanza in pubblico. - Loqui: comunicazione che ci accompagna nella vita quotidiana Inizialmente la retorica era invece l’attività che intraprende un discorso persuasivo. La retorica classica dava una serie di indicazioni all’oratore su come procedere nel suo discorso: - Inventio, individuare gli argomenti da trattare - dispositio, come disporli - Elocutio, strategie linguistiche da utilizzare e quindi le gure retoriche - Memoria, l’oratore doveva imparare a memoria il suo discorso, quindi dava indicazioni sulle tecniche di memorizzazione - Actio, comportamento al momento del discorso. La retorica nasce nel mondo greco, in fase di democrazia, dove l’autorevolezza del cittadino coincide con la sua capacità di ottenere consenso tramite un discorso. Quando noi usiamo le parole, abbiamo potere. Avere potere signi ca essere in grado di fare o di far fare a un altro. La democrazia si con gura come organizzazione civile in cui il potere del discorso è l’unica forma ammessa di potere. Questo potere poteva essere esercitato o con la violenza o con l’inganno, ma anche con autorità ed autorevolezza (esercitare il potere per far crescere l’altro). Il termine potere deriva dal latino potestas (né negativo né positivo) che poteva assumere signi cati diversi. Potere signi ca fondamentalmente essere in grado di far fare agli altri persuadendoli attraverso un discorso. LA PERSUASIONE La retorica è de nita anche come arte della persuasione. È l’arte di parlare in pubblico, ars bene dicendi. Persuadere - suadeo, suadēre (suavis) La comunicazione persuasiva è una comunicazione argomentativa. L’argomento è uno strumento che mostra la ragionevolezza, a sostegno della tesi. Ad un certo punto, nel mondo greco arrivano i so sti che insegnavano a prendere un discorso e farlo vincere, ma anche a farlo perdere. Insegnano a convincere. I so sti sono gli autori dei so smi, dei ragionamenti scorretti. Hanno permesso di capire come sono strutturati i discorsi scorretti. Nasce quindi uno sconforto sulla retorica. Nasce un grande dibattito: alcuni pensano di eliminare la retorica, ritenendola pericolosa. A questo punto interviene Aristotele, riscattando la retorica. Aristotele dice che il problema non è la retorica, ma chi la usa. La persuasione può avvenire in due modi: - Discorsiva, - Extradiscorsiva, mediante un testimone e la sua esperienza (martys-martire) La persuasione produce nel destinatario un’adesione del cuore, che il latino chiama des, che in greco corrisponde a pístis. È un termine polisemico (parola con più signi cati collegati tra di loro). Mittente, destinatario e messaggio sono gli elementi costituitivi del processo comunicativo. In rapporto al mittente la pistis ci dice la sua credibilità. Rispetto al destinatario indica la sua benevolenza. Ma anche il messaggio deve essere caratterizzato da pistis, quindi con questa indichiamo il legame che il messaggio ha con la realtà. I so sti però fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi disancoravano questo legame, eliminando la pístis. Ma secondo Aristotele invece la pistis deve caratterizzare tutti e tre gli elementi della comunicazione. La comunicazione però chiede che il messaggio sia ragionevole, che venga quindi veri cato e aderito. La comunicazione persuasiva interpella la ragione. Nel processo persuasivo fondamentale è la dimensione logica. Aristotele mette a fuoco il fatto che l’ethos e il pathos svolgono un ruolo e ettivamente persuasivo soltanto quando accompagnano un ragionamento ben costruito (logos). Se il discorso si basa solo sull’autorità dell’oratore la persuasione che ne deriva risulta a tutti gli e etti una forma di manipolazione, in quanto esclude la ragione e dunque la libertà. Aristotele inoltre ci descrive i procedimenti che vengono usati nella comunicazione persuasiva. Questi procedimenti sono paralleli a quelli che ci mette a disposizione la logica. C’è un parallelismo (antistro a) fra procedimenti della logica e dell’argomentazione. La nostra ragione procede deduttivamente o induttivamente. In ambito logico, quando la ragione procede deduttivamente, utilizza sillogismi, in ambito argomentativo invece si veri ca un entimema. Ambito deduttivo - Sillogismo: procedimento logico, costituito da 3 parti, premessa maggiore, premessa minore e conclusione. Es. tutti i canidi sono carnivori ➔ la volpe è un canide ➔ la volpe è un carnivoro - Entimema: enti- voleva dire animo, è una strategia argomentativa, strutturata in modo da smuovere l’animo. Possiamo dire che è un sillogismo abbreviato, di solito manca la premessa maggiore (endoxon). Il parlante formula un enunciato con due segmenti e prende posizione sulla realtà (con la tesi, primo enunciato) e dà una ragione (argomento, secondo enunciato) a sostegno della sua presa di posizione. Es. Luigi è pazzo, va a 100 km in centro città. ➔ la prima parte è la conclusione o tesi, la seconda la premessa minore o argomento. Es. Questo orologio è di alta qualità? È svizzero. ➔ prima parte tesi, seconda argomento (endoxon: gli orologiai svizzeri sono noti per essere produttori di alta qualità) Ambito induttivo - In logica, si osserva un caso particolare e saliamo all’universale, operando una quanti cazione. Estendiamo una proprietà da uno a tutti → generalizzazione. Sono spesso usate in sede scienti ca quando dobbiamo de nire dei fenomeni, ma basta un caso diverso a nché la generalizzazione venga falsi cata, allora bisognerà riformulare una nuova legge. Es. un gatto ha una coda, gatto2 ha una coda, ecc. da qui induciamo che tutti i gatti hanno la coda. - Invece, in ambito argomentativo la ragione che si muove induttivamente si parla di exemplum: un certo evento può ancora accadere in quanto in passato è già successo qualcosa di analogo. Si parte da fatti particolare no ad arrivare ad una regola generale. MAPPA DEL LESSICO DELL’AFFIDABILITÀ Notiamo come la radice *BHIDH e *BHEIDH si ritrova nelle lingue europee e classiche. Da questo elemento *BHIDH - *BHEIDH nascono una serie di termini che costruiscono la mappa del lessico dell’a dabilità umana: la convivenza umana si fonda su un rapporto reciproco, su una condivisione della des. 1. Condivisione e ducia reciproca: già per gli uomini antichi, questa intesa reciproca era presieduta da Giove/Juppiter → era chiamato dius/pistius, in quanto garante della ducia reciproca a fondamento dell’intesa tra gli uomini. Chi fonda questo rapporto di fi fi fi ffi ffi fi fi fi fi ff fi fi ff fi fi fi ducia reciproca è il dus, ovvero una persona data e fedele. Chi tradisce questo rapporto è il per dus. Questa intesa fondata sulla reciproca ducia, quando diventa stabile, produce un esito, ovvero il foedus, basti pensare al termine “federazione”, “federale”, “federalismo”. 2. Mondo bancario: Ritroviamo questo rapporto nel termine deiussione, dove una terza gura (garante di des) si inserisce tra un creditore e debitore, facendosi garante del creditore: garantisce che il debitore adempierà agli obblighi del creditore. 3. Credo: Cre- crescere e -do dare: credere è un darsi per crescere. Era usato in latino con valore di prestare denaro. In italiano ha perso l’accezione latina di prestare, che continua nei termini credito e creditore, ed è rimasto credere 4. Ambito matrimoniale: è basato sull’a darsi, sul darsi attestati dal termine fede. fi fi fi fi fi ffi fi fi fi fi IL PROCESSO COMUNICATIVO La ricerca moderna ha evidenziato una serie di ruoli che possono assumere sia il mittente che il destinatario. Mittente: Vocalizer: (animatore) ha prestato la voce per il discorso in pubblico. (Bush) Formulator: colui che stila del discorso, può anche non coincidere con il vocalizer (Bush e i collaboratori della casa bianca) Principal: responsabile dell’atto comunicativo. (Bush come presidente degli Usa, America, we… the world = il mondo civile) Destinatario: Puro uditore: - Uditore legittimato: quello a cui si rivolge il mittente - Uditore overhearer (origliatore): ovvero colui che ascolta ma che non è considerato come il destinatario u ciale. Stakeholders: decisori a vari livelli, coloro che devono prendere una decisione rispetto all'atto comunicativo che l'ha raggiunto. Respondent: deve inoltre rispondere al commitment rivoltogli dal mittente, è partner dell’atto comunicativo al quale si aprono dei compiti e che deve assolverli. ffi DISCORSO BUSH È una mediazione che il presidente diede al segretario Colin Powell mandandolo nel Middle East per realizzare una mediazione a proposito del con itto arabo-israeliano. La mediazione è un caso particolare di negoziazione; ossia un intervento di tipo discorsivo che interviene in un con itto di interesse tra due controparti. Quando i due con iggenti non trovano una soluzione interviene un mediatore, una gura imparziale, che trova una soluzione che porta guadagni per entrambi le parti. Questo è il caso del discorso di Bush tenuto nel 2002 per mediare tra Israele e Palestina. 1. Bush è il principal di atti comunicativi, quindi, lui assume funzioni di responsabilità diverse, tanto che vediamo dal discorso che prima interviene come presidente, poi a nome di tutta l’America e poi in nome di tutto il civilized world; 2. Bush è il vocalizer, portavoce poiché è lui ad aver proferito il discorso; 3. avendo stilato il discorso con il suo gruppo di collaboratori della Casa Bianca, è, quindi, anche il formulator, quindi, colui che ha scritto il discorso. Fa uso dell’exemplum che è una forma di struttura argomentativa utilizzata in discorsi politici che consiste nel persuadere su eventi futuri partendo da eventi analoghi accaduti nel passato. Infatti, Bush fa riferimento e fa leva sul fatto che nella storia americana è già accaduto che con degli iniziali nemici, è stata poi possibile una convivenza paci ca (es. Guerra fredda, Seconda guerra mondiale). L’America assume l’impegno di intervenire come mediatore per trovare una soluzione al con itto. L’exemplum viene utilizzato proprio per argomentare. Infatti, dice in questo caso “È possibile che i nemici diventino amici. L’exemplum ha una grande forza emotiva sul destinatario in quanto segnala che un evento può avere nuovamente luogo perché un evento analogo è già accaduto in passato. A partire dai fatti viene formulata una sorta di regola generale, infatti, avviene proprio una generalizzazione, dal particolare ci si eleva all’universale. La ragione si muove induttivamente. Riguardo il discorso di Bush: è un discorso politico con impianto retorico classico che inizia con la presa di contatto che sarebbe “Good Morning”, seguito da un evento drammatico detto Narratio, e poi la messa a tema di un’argomentazione detta Argomentatio che dura per tutto il testo no ad arrivare alla parte nale detta Commiato. Narratio: inizialmente descrive una fase positiva in cui si è sul punto di cessare il fuoco nel con itto arabo-israeliano, però, avviene un attentato kamikaze. Questo momento era propizio perché si stava per arrivare ad una soluzione a con itto. Poi, Bush, con il suo storytelling, farà giungere al destinatario una particolare dimensione emozionale, rifacendosi a pathos ed ethos legate al logos di Aristotele. Dopo aver descritto l’attentato kamikaze, inizia a parlare con il pronome di prima persona plurale, quindi, lo vediamo prima come presidente degli USA che interviene, poi come vocalizer, come americano e poi a nome dell’intero civilized world. È presente l’entitema “terror must be stopped. No nation can negotiate with terrorists”: la struttura argomentativa è costituita da tesi e antitesi e argomento. L’argomento viene utilizzato da Bush per dare una ragione adeguato a sostegno della sua tesi, quindi, è un’argomentazione. Ciò permette ai destinatari di aderire alla tesi attraverso questo percorso di ragionevolezza. Dopodiché egli segnala di nuovo questo momento propizio per risolvere il con itto, quindi, raggiungere la pace in quanto entrambe le parti sembrano essere favorevoli alla costituzione fl fl fl fi fi fi fl fl fl fl fi di uno stato israeliano e uno palestinese. La parola chiave nel testo è “hope” al punto 4. Ribadisce che è un momento di speranza ma a una certa condizione. Nel punto 5, Bush si rivolge a tutto il civilized world dicendo loro di prendere una posizione scegliendo tra il mondo civilizzato e il terrorismo (questo discorso viene fatto successivamente all’attacco alle torri gemelle l’11 settembre del 2001). Questo discorso, oltre ad essere una mediazione per il con itto, Bush lo vede anche come un’opportunità per scon ggere il terrorismo in generale e per questo chiede l’adesione all’uditorio. Commitment del destinatario: scegliere da che parte stare, ossia combattere il terrorismo oppure appoggiare in qualche modo i terroristi. fi fl LA MANIPOLAZIONE Nel 900 assistiamo ad uso viziato della comunicazione, dove i regimi utilizzano le parole come armi. Quando analizziamo le strategie manipolatorie possono essere utili 3 testi. I primi sono i cosiddetti testi fondativi, testi che vengono formulati per esprimere l’ideologia al potere, dopo di che bisogna di ondere quest’ideologia. Questo avviene attraverso i media e precisamente con la propaganda. Poi abbiamo un terzo tipi di testi: i testi scolastici, è importante il perpetuarsi nelle generazioni. A questo proposito importanza assumono i dizionari, formati da lemmi che contengono de nizioni, dove viene svolto un lavoro sulle voci dei dizionari e si arriva al semanticidio (si lavora sulla de nizione per quanto riguarda i termini più sensibili secondo l’ideologia al potere, ad es libertà) o addirittura al logocidio (alcuni termini vengono eliminati). APPROFONDIMENTO → TOWARDS A TYPOLOGY OF MANIPULATIVE PROCESSES Il tema dei processi manipolatori, strumento fondamentale per installare e consolidare i governi totalitari del ventesimo secolo mostra un interesse sia scienti co che culturale. Si vede subito come i regimi totalitari fondarono il loro potere non solo sulle loro forze economiche e militari, ma anche su un intero sistema comunicativo. Un’applicazione delle Scienze della comunicazione (discipline semiotiche e linguistiche, psicologia della comunicazione, studi di comunicazione istituzionale/organizzazionale/ corporativa, sociologia della comunicazione, lo studio dei media) nello studio di questi sistemi può dare una comprensione profonda delle organizzazioni totalitarie. Possiamo immaginare lo studio empirico di ideologie storiche e totalitarie con le metodologie menzionate, come basato su tre tipi di documenti, collegati a tre fasi della dinamica di un'ideologia totalitaria: de nizione dell'ideologia: analisi dei testi fondativi propagazione: analisi dei media riproduzione culturale: analisi di libri scolastici e dizionari Saremo in grado di costruire un’autentica tipologia di strumenti manipolatori solo quando saremo in grado di applicare questo approccio. Il primo compito è costruire una plausibile de nizione del termine manipolatorio (è il primo step perché se non condividiamo la stessa nozione di manipolazione non avremo modo di costruire alcuna ragionevole tipologia di device manipolatorio). Tuttavia non vi sono de nizioni di manipolazione soddisfacenti. Si può menzionare l'opera di Teun Van Dijk Ideology: a Multidisciplinary Approach → non de nisce formalmente la manipolazione stessa, ma la caratterizza come una forma di controllo mentale “i cui ricevitori non ne sono coscienti o di cui non possono facilmente controllare le conseguenze”. Come punto di inizio, siccome la manipolazione è un vizio della comunicazione, possiamo de nirla solo descrivendone i suoi aspetti fondamentali come un evento comunicativo, ossia basato sulle azioni. De nizione di manipolazione: Un messaggio è manipolatorio se modi ca la visione del mondo ( sico, sociale o umano, attuale o virtuale) nella mente della persona a cui si è rivolti, alla quale viene impedita una sana attitudine verso la decisione (attitudine che risponde al suo interesse reale) e persegue l'obiettivo del manipolatore nell'illusione di perseguire il proprio obiettivo. Ma l'aspetto fondamentale che questa de nizione non considera precisamente è quanto/ come la manipolazione può riuscire a manipolare il mondo della persona a cui è rivolta senza essere scoperta. Per poter avere successo, una bugia deve sembrare vera, una promessa non sincera deve sembrare autentica. fi fi fi fi fi fi ff fi fi fi fi fi fi Il caso più interessante di manipolazione accade quando una persona già manipolata intende convincerne un'altra. Prove di aneddoti e testimonianze personali di persone che hanno sopravvissuto a regimi totalitari suggeriscono che gli e etti di un device manipolatorio sono molto ra orzati se applicati da qualcuno che è stato manipolato lui stesso. Questo ci porta a dire che il nostro compito è un'analisi critica che punta a scoprire processi manipolatori e auto manipolatori in modo da preservare la nostra società contemporanea dal ripetere i drammatici errori del passato. Sono state proposte varie de nizioni di manipolazione. Un messaggio si dice manipolatorio quando questo distorce la visione della realtà del destinatario, impedendogli un processo decisionale autentico. Il destinatario pensa di decidere a proprio favore ma in realtà decide negli interessi di chi lo sta manipolando. È di cile individuare quando veniamo manipolati. I processi manipolatori sono: 1. Violazione delle presupposizioni, Frege inizia dicendo che veniamo manipolati quando si utilizzano delle espressioni denotative. Fece l’esempio di “la volontà del popolo”, è un’espressione manipolatoria in quanto rimanda a un denotato generale o universale. Fa una distinzione tra senso e denotato. Ad esempio “Giacomo Leopardi, il poeta di A Silvia”, hanno signi cati diversi ma lo stesso denotato nella realtà. Il senso è il signi cato che viene veicolato dalle espressioni denotative, il denotato è l’oggetto nella realtà che viene individuato attraverso una certa espressione linguistica. Le presupposizioni sono dei signi cati a monte del nostro discorso. Ad esempio, “Luigi va a Roma”, è sbagliato dire esiste Luigi che va a Roma che esiste, quindi quando noi usiamo dei nomi, il nome fa scattare un presupposto di esistenza. Dal momento che un individuo utilizza un nome presuppone l’esistenza di quella cosa. Si parla di presupposto esistenziale. Quando diciamo un’espressione come volontà del popolo ci riferiamo ad un qualcosa di implicito, presupponiamo che esista , quando in realtà sussiste solamente una volontà individuale. Negli atti comunicativi avviene un accomodamento ai presupposti. Quando noi formuliamo un enunciato utilizziamo presuppositional accomodation. Da un lato abbiamo un asserted content, ciò che viene detto, che è esplicito, mentre dall’altro abbiamo un presupposed content, ossia ciò che è implicito, ciò che presupponiamo esista. Questi presupposed content rientrano nel common ground, che formano quindi un condiviso che fonda l’essere appartenenti alla stessa comunità parlanti, fonda un essere we. Questa condivisione di elementi che fanno parte del common ground costituisce la weness. 2. Istinto umano di riferirsi alla totalità, questa strategia fu utilizzata durante il regime di Hitler, attraverso la frase “il nemico del mio nemico è mio amico”. Si prende un nemico comune e si fa passare per la totalità delle ragioni che si condividono tra amici. Cake temptation: viene utilizzate quando si parla delle risorse, ad esempio quelle economiche. Le risorse che sono beni dinamici, ossia possono aumentare o diminuire, vengono presentate come un bene statico, una torta. “Dai a me le risorse che poi io me ne occuperò distribuendole in modo equo”. Agenda setting: quando le redazioni dei giornali devono stabilire gli argomenti da mettere in agenda. Succede che ci presentano una selezione di eventi accaduti e ce li presentano come la totalità degli eventi di quella giornata, come se fosse accaduto solo quello. Spesso i telegiornali terminano il servizio con “Queste sono le notizie per oggi”. Il fatto che ci dicano notizie e non informazioni però ci dice che le notizie sono delle informazioni più interessanti, che coinvolgono. Viene scelta una parte e viene fatta passare per il tutto. 3. Istinto di appartenenza, es “se non la pensi così, non sei dei nostri” fi ff fi fi ffi ff fi Polarity temptation, avviene attraverso l’individuazione dei gruppi sociali/politici. Si de nisce il mondo dei noi e il mondo dei loro, viene diviso il mondo in modo manicheo, ossia tutto il bene sta da una parte, tutto il male dall’altra. Es noi siamo i buoni e loro sono i non buoni (da non confondere con cattivi → valori scalari e contrari mediati). Questo processo manipolatorio sorge in relazione a questi paradigmi che presentano una struttura scalare, dove vi è gradazione tra un estremo e l'altro, con la presidenza di stadi intermedi (alto… basso), (nero… bianco), (amico… nemico) eccetera. Qui la negazione di uno dei due estremi non coincide con l'a ermazione dell'altro: entrambi non possono essere veri, ma entrambi possono essere falsi. Questa strategia è stata usata parecchio nella propaganda sovietica (noi di ondiamo vita, loro seminano morte) e in 1984 di Orwell, romanzo distopico che presenta un mondo molto negativo a partire da situazioni che già accadono, in cui lavorano su una riduzione del vocabolario. MODELLI DELLA COMUNICAZIONE 1. Modello elaborato in ambito della teoria dell’informazione ➜ Shannon, molto utilizzato in ambito informatico, signi cativo perché è stato tenuto presente da vari linguisti (nota 23 p.25). In questo modello si chiede come avvenga la trasmissione di informazioni quando possono veri carsi dei problemi nel canale. Descrive la trasmissione da una sorgente a un receiver, componenti prettamente tecnologiche. Shannon introduce però un nuovo elemento tra di essi, una sorgente di disturbo. Ha elaborato un teorema che permette di trasmettere l’informazione senza problemi. Individua una capacità del canale, ossia la quantità massima di scambio informato che può passare dalla sorgente al receiver. Dopodiché è facilmente risolvibile il problema dei disturbi del canale, perché basterà trasmettere una quantità inferiore rispetto alla capacità del canale. 2. Modelli elaborati in sede linguistica ➜ Saussure, lo ricordiamo soprattutto per “Corso di linguistica generale” (pubblicato dopo la sua morte e scritto dai suoi alunni). A lui dobbiamo la nozione di segno. Il suo modello si chiama “Circuit de la parole”, circuito del discorso. Qui intervengono un mittente e un destinatario, producendo dei segni che vengono interpretati tramite un processo di codi ca (si scelgono i segni da utilizzare e si mettono in atto tramite un discorso ad es) e decodi ca (attribuire ad una parola il suo signi cato), e possono discutere tra di loro perché vi è un elemento comune, “la langue”, la lingua. L’ascolto del messaggio e la comprensione avviene grazie al fatto che il destinatario conosce i segni utilizzati. È anche il padre dello strutturalismo francese. ➜ Diverso è il modello strutturalista americano di Bloom eld. Lui segnala che il linguaggio è uno dei tanti comportamenti dell’uomo ed è strutturato in termini di stimolo e risposta. Ad un certo punto Bloom eld racconta di Jack e Jill, che durante una passeggiata, a lei viene voglia di una mela, quindi il desiderio di fame e allora lui va a raccogliere quella mela e gliela porta. L’atto linguistico di lei viene interpretato come risultato di qualcosa di sico - stimolo - risposta. ➜ Bühler, invece in Europa, rappresentante di una delle scuole funzionaliste. La lingua è uno strumento nalizzato alla comunicazione. Prende la nozione di segno e lo inserisce come nodo centrale al centro del rapporto fra mittente, destinatario e realtà. Il segno svolge una funzione che ci porta oltre il segno stesso. In rapporto al mittente il segno svolge una funzione di espressione (sintomo), in rapporto al destinatario una funzione di appello (segnale) e in rapporto alla realtà la funzione di rappresentazione (simbolo). Momento molto importante è anche quello della comprensione, introduce il concetto di semiosi deittica. Se osserviamo la parola io, questa usata in diversi momenti indica sempre qualcosa di diverso, a seconda del contesto. Ci sono diversi tipi di segno che hanno una diversa semiosi, in quanto si riferiscono al contesto. fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi ff ff ➜ Jakobson, fa parte della scuola di Praga, è il linguista che ha individuato i fattori costituitivi del processo comunicativo: mittente che manda un messaggio al destinatario tramite un canale o contatto, in un determinato contesto, per fare ciò devono però condividere un codice. A ciascuno di questi fattori corrisponde una funzione: mittente- comunicativa, destinatario-conativa, messaggio-poetica, contesto-referenziale, codice- metalinguistica, canale-fàtica. Fasci di funzioni presenti in ogni testo, ma in cui ne prevale una. È riuscito a spiegare cosa sia la poetica nel saggio Linguistics and Poetics (dispensa pag 38-41, 42-48). Ha spiegato la funzione poetica all’interno di una concezione linguistica unitaria. Segnala che il testo poetico organizza in modo particolare gli assi della combinazione e della segnalazione. Ciascun messaggio nasce dall’intersezione tra di essi. Ad esempio “Paolo fuma”, questi due elementi sono stati selezionati da un’insieme di elementi equivalenti, ossia potrebbero esserci altri nomi o azioni al loro posto. Avviene quindi un processo di selezione e combinazione in qualsiasi enunciato. Il testo poetico però li organizza in modo particolare: proietta il principio dell’equivalenza dall’asse della selezione a quello della combinazione. Ci sono elementi equivalenti ricorrenti. Es. nella terzina dantesca si ripete l’endecasillabo, la rima. Ha dato importanza alla traduzione, è stato con lui che è stata vista nella sua profonda visione linguistica, come cuore del processo interpretativo. Riprende Peirce, un segno sta nella sua trasposizione in altri segni, li interpretiamo e quindi traduciamo un segno in altri segni. Russell sosteneva che se un parlante non ha piena conoscenza di qualcosa, allora non può interpretarlo. J però non era completamente d’accordo, anzi, sostiene che basta collegare a quel qualcosa la nostra esperienza (formaggio ➔ cibo, latte). In questo modo sarà possibile capire quel termine. La traduzione può essere di 3 tipi: - endolinguistica o intralinguistica, traduciamo all’interno della stessa lingua, coincide con il comprendere; - interlinguistica, tra due lingue; - intersemiotica, da un sistema semiotico all’altro, ad esempio da un’immagine a un discorso. 3. Modelli elaborati in sede pragmatica, quando noi parliamo compiamo delle azioni: il dire è un fare con le parole. ➜ John Austin, “How to do things with words”, è una raccolta di alcune conferenze. Segnala che osservando le espressioni linguistiche, ce ne sono alcune in cui le stesse parole corrispondono con l’azione (es. sei licenziato, ti prometto). Accanto a degli enunciati assertivi, constativi, ci sono anche gli enunciati performativi che permettono di compiere l’azione, che altrimenti non si potrebbe realizzare. Qualsiasi uso del linguaggio è in qualche modo performativo, introduce il concetto di speech act, un atto comunicativo. Il parlante compie un atto: - locutivo, atto in cui combiniamo le parole; - illocutivo, azione che noi compiamo in quel determinato speech act; - perlocutivo, gli e etti che lo speech act ottiene, il risultato di un comando ad esempio. ➜John Searle, riprende la teoria di Austin e in particolare si so erma sul livello illocutorio. Propone una classi cazione delle azioni che vengono compiute da un parlante quando compie atti linguistici: atti rappresentativi, direttivi, commissivi. - “Paolo fuma abitualmente”, mediante atti linguistici di questo tipo noi rappresentiamo la realtà, atto rappresentativo. - “Chiudi la porta!”, è un ordine, un atto direttivo - “Ti prometto una ricompensa”, esprimere una promessa apre un compito, ci porta ad impegnarci a qualcosa, atto commissivo. ➜ Paul Grice, ha studiato il processo comunicativo dal punto di vista della cooperazione. In un processo comunicativo, gli interlocutori cooperano, collaborano. Individua un modello in cui individua delle massime, le massime di Grice, ossia i requisiti che deve ff fi ff avere un discorso, così come viene richiesto, in base allo scopo e al contesto. Questi requisiti sono speci cati nelle massime e sono: 1. Quantity, il contributo comunicativo deve essere informativo così come quanto viene richiesto, non in più. 2. Quality, non si deve dire ciò che si ritiene falso, o ciò di cui non abbiamo abbastanza evidenze certe. 3. Relation, essere pertinenti, deve esserci un nesso. 4. Manner, bisogna evitare oscurità delle espressioni, evitare ambiguità, deve essere breve e deve essere in ordine. ➜ Dan Sperber e Deirdre Wilson, con la Relevance Theory, si so ermano sulla massima della pertinenza, ampliandola. Segnalano un aspetto che teniamo in conto quando traduciamo, ossia il contesto, fondamentale per interpretare un messaggio. Del contesto fanno parte anche il mittente e il destinatario. I messaggi producono e etti contestuali, ossia vanno a modi care il contesto. Avviene un cambiamento. Anche loro segnalano il ruolo fondamentale delle inferenze, che ci permettono di ricostruire tutti quei signi cati nascosti, impliciti. Sono fondamentali perché permettono al destinatario di ricostruire il senso inteso dal mittente. La pertinenza dipende dal rapporto tra gli e etti contestuali e gli sforzi cognitivi necessari per interpretarlo. Meno è lo sforzo, più è pertinente. EVENTO COMUNICATIVO Un atto comunicativo è un evento. Per individuare il semanticismo del termine evento, dobbiamo tenere conto del latino eventum (e-venio, arrivare) e del tedesco ereignis (Eigen, impadronirsi). È qualsiasi cosa che (ci) accade, qualcosa che ci cambia, ci muove, produce un cambiamento nel destinatario, avvenuta comunicazione. È uno stato di cose dinamico che cambia la realtà, frutto dell'incontro di due iniziative: l'atto del dire realizza un evento comunicativo solo quando corrisponde ad un atto di ascolto. Tra tutti gli eventi c'è la classe particolare degli eventi, quelli comunicativi, quelli prodotti dai soggetti umani per comunicare. L’evento comunicativo veicola un senso, de nito da Peirce, come habit change: il senso produce un cambiamento. Habit deriva dal latino habitus (comportarsi in un certo modo) e dal greco héxis (atteggiamento che abbiamo nei confronti della realtà). Habit change signi ca quindi andare a modi care il nostro atteggiamento stabile. Il messaggio ci sollecita a lasciarci coinvolgere e ci porta a cambiare. Senso è una parola polisemantica. Può signi care percezione (i 5 sensi), direzione, avere buon senso, accezione, insensatezza. Bisogna partire più che altro dalla de nizione di non- senso. L’insensatezza è la mancanza di ragioni adeguate, è irragionevolezza. Quindi il senso ha a che fare con la ragionevolezza. Costruendo a volte degli enunciati insensati, abbiamo dei non sensi arti ciali che vengono costruiti a scopo metalinguistico (quello che serve per spiegare una lingua). Ci sono anche vari testi che rientrano nel lone del Teatro dell’assurdo, del teatro del non- senso, come Waiting for Godot di Beckett. Per quanto riguarda i testi sui soggetti psicotici, ci comunicano apparente non-senso, ma in realtà hanno un senso. Quindi possiamo dire che non esiste veramente un non-senso perché ciascun parlante sa che il suo interlocutore andrà a cercare il senso di quello che sta dicendo, tutto deve avere senso. Il non-senso è solo un esito metalinguistico. Comunicare come agire Noi continuiamo a intrecciare azioni grazie alla comunicazione verbale. La comunicazione presuppone la partecipazione di almeno due soggetti. Si ricorre ad essa quando il singolo soggetto non è in grado di realizzare il proprio obiettivo e cerca di coinvolgere altri soggetti (joint action): a questo punto ci sono 2 scenari possibili: fi fi fi fi fi fi fi ff ff ff fi fi fi - Interazione: gli obiettivi dei due agenti sono complementari, ognuno agisce perseguendo il proprio obiettivo ma ricorre all'altro per realizzarlo - Cooperazione: i due soggetti condividono lo scopo L’ontologia di un’azione è la messa in evidenza degli elementi costituitivi di un’azione. L’azione è caratterizzata da un’agente che conosce il mondo ed ha un desiderio, quindi identi ca uno stato di cose che può soddisfare questo desiderio, il quale diventa uno scopo. Allora attiva una catena di realizzazione che permette di realizzare quello scopo. In conclusione, le nostre azioni partono sempre da un desiderio. Ad esempio: Ciascuno dei due raggiunge il proprio scopo integrando la catena con quella dell’interagente. Parliamo invece di cooperazione quando abbiamo due soggetti che cooperano, che condividono anche lo stesso desiderio e a partire da quello immaginano uno stato di cose che lo soddis e attivano una catena di realizzazione. fi fi Però in questi processi potrebbe esserci della competizione. Il termine deriva dal latino cum petere, che vuol dire puntare allo stesso oggetto. Ciascuno dei due in questo caso dovrà dimostrare che una richiesta è più vantaggiosa/ conveniente dell’altra. La comunicazione verbale quindi diventa argomentativa. LA SEMIOSI Nel linguaggio verbale non operano solo le parole, la semiosi non esaurisce la comunicazione verbale, intervengono altri processi nella costruzione del messaggio verbale, come deissi, inferenza, ostensione, oltre che alle soggettività implicate. Per capire la semiosi bisogna individuare la di erenza tra eventi semiotici vs non semiotici. 1. Eventi non semiotici: ad esempio una penna o un microfono. Il senso di questi oggetti coincide con la funzione che ci permettono di svolgere → hanno un’implicazione immediata per noi. 2. Eventi semiotici: [es. sempre penna e microfono] essi adesso sono eventi semiotici perché li abbiamo catturati nel nostro discorso, hanno una loro sicità attraverso le onde sonore con cui ci raggiungono Il senso di questi due eventi semiotici non è più una funzione immediata, ma è un concetto a cui ci rimandano, perché di fronte al segno “penna” abbiamo una successione di suoni che veicolano un concetto di penna, così facendo creo delle correlazioni semiotiche, cioè associo un concetto ad una successione di suoni, intenzioni comunicative ad eventi sici. Si crea una correlazione semiotica. Il signi cato è il concetto a cui rimanda. La semiosi è quell’operazione con cui noi associamo qualcosa a qualcos’altro, è il processo attraverso cui costruiamo i segni. Cos'è il segno? È una realtà complessa che unisce due diverse componenti: qualcosa di percepibile con i sensi che rimanda a qualcosa di non- sico, il senso. Qual è la strategia di manifestazione di tale immagine? L'atto comunicativo è sempre concreto e il suo senso è sempre complessivo e unitario, solo tramite processi di astrazione possiamo risalire a regole e schemi. Emerge la signi cazione, ovvero il senso speci co che un'unità linguistica assume nel testo. Signi cato rimanda alle regole e agli schemi attraverso i quali spieghiamo la signi cazione testuale. La Signi cazione dipende dal confronto tra messaggio e realtà. La correlazione semiotica è caratterizzata da: fi fi fi ff fi fi fi fi fi fi - arbitrarietà, il rapporto tra la successione di suoni e il concetto è arbitrario, garantisce la stabilità della lingua. Il fonosimbolismo cerca di trovare un nesso tra la parola e il suono. Portano come esempio le onomatopee, queste parole dovrebbero riprodurre in modo puro il suono, ma questo non accade, anche le onomatopee cambiano a seconda della lingua. - Convenzionalità, questi nessi sono stabiliti convenzionalmente, condivisi all’interno di una comunità quando si insegna a dare i nomi alle cose. Durante questo processo scatta il rapporto con la realtà. - Cornice, linea che delimita lo spazio della realtà all’interno del quale opera la semiosi, più o meno immaginaria in base al contesto in cui ci si trova. Nel caso delle arti gurative la cornice è visibile, ma per i segni verbali, la linea è immaginaria (es: cornice del quadro con semiosi iconica, linea palcoscenico, cornice testuale “c’era una volta”). Laddove ci sia la cornice, interviene la semiosi che ci chiede di interpretare quell’evento semiotico, cioè ricostruire la sua intenzione comunicativa. Una volta interpretato il segno, possiamo individuare nella realtà l’oggetto a cui quel segno rimanda: i segni rimandano alla realtà, ma non coincidono con essa. L’INFERENZA Non bastano solo i segni per costruire un messaggio, facciamo anche uso dell’inferenza. Inferenza ➔ inferire ➔ infero, portare dentro. L’inferenza è quel processo per cui noi continuiamo a completare i messaggi, portando dentro tutti quei sensi non detti, impliciti, che vanno inferiti. Il parlante intenzionalmente non dice tutto il signi cato che vuole esplicitare. Es. “Mio glio non guida. Ha 5 anni” ➔ tra i due enunciati possiamo collocare un connettore (perché), un nesso logico, abbiamo attuato un’inferenza. “Mio glio non guida. È sposato” ➔ due elementi sono collegati da un connettivo, un nesso causale, ma qui non c’è un nesso, avviene una lesione. L’inferenza è un procedimento per cui da un’informazione ne derivo un’altra, anche se non è detta. È molto di più quello che si lascia inferire rispetto a quello che si esplicita. La comprensione è un procedimento di interpretazione, dobbiamo risalire alle inferenze per riuscire a comprendere. Esperimento della doppia traduzione: L1-L2-L1. Se la comprensione fosse una decodi ca, nel processo di ri-traduzione dovremmo avere il testo originario, ma notiamo che questo non accade. Il traduttore interpreta il testo a seconda delle inferenze. Cosa possiamo inferire? - Che bello! Ho fatto un incidente Il primo elemento è un’esclamazione di sorpresa positiva, e quindi dopo il testo ci dovrebbe lasciare inferire qualcosa che va a giusti care il primo. Però in questo caso emerge il principio dell’ironia. Ma potrebbe anche essere una persona masochista o che magari ci sia di mezzo una bella assicurazione. - Enrico aveva invitato Andrea al suo matrimonio. (Inferenza comunicativa-il parlante invita ad inferire) - Enrico aveva invitato Andrea al suo matrimonio. Perciò lo conosceva. (Inferenza comunicata) Ne possiamo dedurre che i due siano amici ma anche che Andrea non sia andato. - Appena chiusa la porta, Paolo si accorse con orrore di aver dimenticato le chiavi. Possiamo inferire che intanto è una porta a scatto e che non è possibile recuperare le chiavi con facilità. L’uomo attua inferenze anche non in presenza della comunicazione verbale. Es. angelo che suona l’arpa nella Sagrada Familia. fi fi fi fi fi fi DEISSI Parole che non hanno un concetto de nito e autonomo ma hanno bisogno di agganciarsi al contesto per riempirsi di un signi cato. Io, questo, adesso sono deittici, assumono valore in rapporto al contesto, il loro signi cato e ettivo non è dato dal sistema, corrisponde ad un elemento reale nel contesto della comunicazione, il sistema dà solo la classe degli elementi contestali cui il deittico rimanda. La deissi è l’incontro del linguaggio con l’esperienza. È necessario conoscere la lingua per capire i deittici, ma non basta da sola. Esistono diversi tipi di deittici: personali, i pronomi personali e gli aggettivi possessivi di prima e seconda persona. Spaziali, questo, quello, qui, là Temporali, adesso, ora, prima Di maniera, così accompagnato da un gesto Testuali, egli, essi, funzione di coesione del discorso, riprendono elementi detti precedentemente senza ripeterli (ho visto chiara e le ho detto…) Deissi indiretta Ci sono parole che non hanno una semiosi deittica, ma solo una componente deittica: i tempi verbali: con essi menzioniamo un evento della realtà e lo collochiamo in un determinato spazio temporale che cambia rispetto al momento del discorso. [es. oggi piove] evento che viene collocato dal tempo del verbo presente indicativo nel presente. I nomi propri: devono appartenere al common ground dei due interlocutori. Chiedono di andare a prendere colui a cui ci si riferisce per precisare il signi cato. I nomi propri devono essere caratterizzati dalla componente semantica, perché si precisano di signi cato per l’aggancio alla situazione comunicativa. Sintagmi nominali: de niti con funzione individuante: “Il presidente degli Stati Uniti ha una moglie che si chiama Jill” (speci ca un presidente), invece “Il presidente degli usa ha scarsi poteri” → ha uso categoriale (è una de nizione a sé) senza componente deittica. parole come “forse, probabilmente” hanno componente deittica: riferimento alla soggettività ovvero possiamo anche dire “per quanto ne so io, per quanto mi risulta, da quanto io so, da quanto io ho capito”, riferimento alla soggettività del parlante. OSTENSIONE In ciascun contesto si comunicano cose che in altri contesti, pur restando vere, non si comunicherebbero. Molte cose sono vere ma non si dicono: si dice solo quello che è pertinente. Il contesto interviene non solo tramite la deissi ma anche con la sua presenza silenziosa. In primo luogo sono rilevanti gli interlocutori. Se incontro un amico che va in giro in maglietta mentre nevica gli chiedo “ma sei ammattito?”, sto facendo riferimento alla situazione, ma della situazione non è detto nulla: tale domanda è insensata se fuori c’è il sole. Mostra che la realtà entra a costruire il senso dell’evento. L’ostensione è un elemento costitutivo della comunicazione e ne fa parte per il senso, ma la realtà non trova un’esplicita espressione verbale. Deissi e Ostensione → nella deissi c’è una componenete linguistica, assente nell’ostensione, ove conta la semplice presenza. La deissi ha un elemento linguistico che indica qualcosa nella realtà circostante. fi fi fi fi fi fi ff fi fi CAP 3 PROBLEMI DI EPISTEMOLOGIA E DI METODO L’epistemologia è un discorso che si occupa delle scienze, le caratterizza, le classi ca e le studia in base alla tipologia e all’oggetto di indagine, proponendo quindi una tipologia di scienze: - Scienze formali: non hanno bisogno di riscontri nell’esperienza (matematica) - Scienze empiriche: hanno un riscontro nell’esperienza. - Scienze descrittive-classi catorie ( lologia) - scienze esplicative: ipotetico-deduttive (esplicative) (linguistica). Nella caratterizzazione di una scienza è importante la de nizione del suo oggetto nell’ambito di realtà che a ronta. Distinzione: Oggetto reale: ciò che muove il nostro interesse conoscitivo e che interroghiamo. Nel nostro caso il problema è la comunicazione umana verbale. È un fatto che si manifesta attraverso un insieme di dati. Davanti ad un enunciato abbiamo un insieme di suoni che ci rimanda a un senso, espresso in una determinata lingua e solo chi la conosce può ricostruire il senso a partire dalla semiosi che varia da lingua a lingua. Il testo rimanda ad altri dati, ad una situazione. Oggetto formale: punto di vista particolare proprio di ciascuna scienza. Le scienze possono dire aspetti diversi di uno stesso oggetto, ognuna risponde a domande diverse privilegiando un determinato aspetto del reale. È l’insieme delle risposte che l’oggetto reale dà a un insieme particolare di domande tipiche di una disciplina. Con dato si intende ciò che ci risulta dall’esperienza. Nella comunicazione verbale il dato è l’insieme delle interazioni comunicative verbali e l’insieme dei testi verbali che in esse vengono scambiati in cui eventi sici attivano eventi mentali con cui non hanno nessuna relazione evidente e che condizionano comportamenti individuali e sociali. Nasce la necessità di giusti care come questo avvenga. Per interpretare correttamente un dato, dobbiamo considerarlo sempre come un indizio di una totalità. Che signi cato ha “lama”? Dipende dalla totalità del contesto: “la lama di questo coltello non taglia” ≠ “il lama è un cammello del Sudamerica”. Esempio archeologi che lavorano ad uno scavo: uno speleologo trova una pietra azzurra e analizza il dato (datazione storica, composizione ecc.). Più avanti vede gli archeologi che lavorano agli scavi di un mosaico. Allora lo speleologo interpreta e riesce nalmente a dare una spiegazione di quella pietra azzurra. Più ci si astrae e allontana dal dato e meglio lo si comprenderà/coglierà nella sua totalità. La lingua non è un dato, non la si riscontra come esistente e osservabile, gli eventi comunicativi sono usi delle lingue, non le lingue. Ma cos’è una lingua? Un sistema segnico di cui si ipotizza l’esistenza nella mente dei parlanti per spiegare il comportamento linguistico di quei parlanti che eseguendo certi suoni veicolano determinati signi cati e costruiscono messaggi entro la comunità. La lingua è astratta, un sistema di correlazioni tra immagini di suoni e schemi concettuali, ma anche tra ipotesi di suoni e ipotesi di pensieri. È un’organizzazione semantica mentale destinata a supportare i bisogni comunicativi all’interno di una certa comunità. Il metodo è il percorso per acquisire il sapere, formato da: - Scoperta: in cui lo studioso intravede l’ipotesi. A questo livello intervengono sia il talento che l’esperienza e la formazione. fi fi ff fi fi fi fi fi fi fi - Veri ca: il sapere viene messo alla prova, bisogna giusti care l’ipotesi. Dal dato all’ipotesi si può arrivare in diversi modi, con 3 livelli di astrazione: 1. Generalizzazione: classico procedimento induttivo. “Tutti i gatti hanno la coda”, la quanti cazione viene estesa da molti a tutti, posso trovare dei gatti per cui la mia generalizzazione non vale. Si passa da “un numero importante di x che vale p” a “per tutte le x vale p”. Oppure un esempio linguistico è il plurale in inglese: si aggiunge –s, ma abbiamo dati contrastanti. 2. Concetto non osservabile: ipotesi esplicativa in cui l’esperienza o re dei dati per spiegare i quali occorre ipotizzare qualcosa di nuovo che vada al di là di quanto l’esperienza metta davanti agli occhi. Come il concetto di valore in economia: noi non vediamo il “valore”, ma la merce a cui è applicato. Lo stesso vale per il fonema che non vediamo, ma sentiamo un suono. In questo caso parliamo di costrutti, concetti non osservabili. 3. Dati a entità nascoste o costruiti: spiegazione a partire da indizi. fi fi fi ff CAP 4 LINGUAGGIO E RAGIONE La parola logos presenta 3 accezioni: Discorso/parola/linguaggio Ragione Calcolo (uso speciale tipico della ragione) I greci sostenevano che il lógos fosse una parola polisemica: - Omonimia: fenomeno per cui la stessa parola (stesso signi cante) veicola signi cati diversi, non collegati, come “ era”, per intendere una belva o un evento. - Polisemia: è un fenomeno per cui abbiamo la stessa parola che veicola signi cati diversi con un legame → da un signi cato originario si sviluppa un ulteriore signi cato, collegato a quello precedente. Es: carta su cui scrivere e Carta dei diritti umani. Emerge in modo evidente il rapporto tra ragione e linguaggio, perché noi, attraverso la lingua, descriviamo, rappresentiamo e catturiamo la realtà del discorso, con cui siamo in rapporto grazie alla ragione → avevano ragione i Greci a percepire una polisemia tra ragione e lógos. Però anche il modo con cui combiniamo le parole nel discorso ha a che fare con la ragione. Il nostro discorso è articolato, è costituito da parti collegate tra loro, presenta un’articolazione interna. Martinet parla di doppia articolazione della lingua, distinguendo tra: Prima articolazione: noi potremmo scomporre gatt - o, con base lessematica (gatt) e il morfo -o, un signi cante che veicola dei signi cati, pur essendo una porzione più piccola del discorso, si tratta di una vocale che manifesta il genere maschile e singolare; Seconda articolazione: un suono/fono è un elemento di seconda articolazione, toccando solo il livello del signi cante, non hanno un signi cato loro. Il discorso è quindi caratterizzato da composizionalità, cioè si compone di elementi. Ma di che natura è questa composizionalità? Esempio di Platone → discorso tra Teeto e lo straniero: T chiede come si compongono le parole, lo straniero gli risponde che le parole non si combinano a caso. Lo straniero parla degli onomatia, i nomi, che se combinati con i verbi, creano un discorso. Non si possono intrecciare solo nomi e solo verbi, ma se io prendo un elemento del primo gruppo e lo combino con un elemento del secondo gruppo, otterrò un intreccio, una symploké. Symploké è un sostantivo deverbale, da sym-pléko (intreccio), che ha dentro il verbo greco pléknymi (intrecciare). Platone ha intuito che noi otteniamo una combinazione signi cativa se le parole sono predisposte a stare le une con le altre, se sono complementari. Parole come “correre”, “dormire”, “intelligente”, “bianco” sono diversi modi d’essere o predicati; parole come “Luigi”, “gatto”, “muro” indicano delle entità o argomenti che possono essere animate o inanimate, che possono essere coinvolte nei vari modi d’essere. Possiamo combinare parole fatte le une per le altre, ossia congrue. “Luigi cammina” → la relazione fra parole congrue viene chiamata nesso predicativo- argomentale. Una combinazione di parole è lógos se attiva un nesso predicativo- argomentale, NON possiamo dire “Il sasso cammina” non tutte le entità possono essere selezionate da un modo d’essere. I predicati impongono sugli argomenti dei requisiti, dei tratti che noi non vediamo esplicitamente nel discorso, perché presupposti. Alla base del principio di composizionalità sta il principio di congruità. fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi Quando noi violiamo la congruità, dicendo, ad esempio, “l’acqua cammina”, combiniamo un modo d’essere con un’entità non congrua, non pertinente → insensatezza. L’insensatezza NON deve essere confusa con la contraddizione che scatta quando violiamo il principio di non-contraddizione: “ho mangiato la pasta alla carbonara, ma sono a digiuno”, il testo non è coerente, è contraddittorio. Il principio di non-contraddizione (pnc) di Aristotele dice che una cosa non può essere e non essere nello stesso tempo e sotto il medesimo aspetto. DISPENSA (Pag 1-28) Precursori dello strutturalismo Nella seconda parte dell’ottocento emerge l’esigenza di studiare la struttura della lingua. I precursori dello strutturalismo sono Baudouin de Courtenay (1845-1929) e Kruszewski (1851-1887). Il primo fonda una scuola di linguistica in Russia e il secondo sarà suo allievo. In Baudouin due momenti dello strutturalismo: 1. duplice oggetto della fonetica → disciplina che studia i suoni di una lingua, sia dal punto di vista sico e acustico che la loro funzione. 2. mette a punto il concetto di fonema → al di là del suono vi è un prototipo alla base di tutte le sue realizzazioni. Il suono non è ancora rilevante dal punto di vista acustico, ma per capire come operano i suoni dobbiamo analizzare il meccanismo della lingua. Kruszewski La lingua è un “tutto strutturato” → se osserviamo una lingua troveremo delle parole di ordine diverso, ma che si adeguano alle leggi fonetiche della lingua. Ciascuna lingua infatti vede intervenire al suo interno delle leggi che governano la sua struttura (fonetica, strategia di manifestazione della parola, semantica). Esempio: conduce si articola nella parte nota conduc- grazie a un insieme di parole che sono simili come conduc-iamo, conduc-ente, la seconda parte -e è nota attraverso un insieme di altre parole che sia conosciamo come viv-e, dorm-e. Ogni parola è associata ad altre parole per somiglianza → associazione di somiglianza o similarità che facilita il processo di apprendimento delle parole. [es: Luigi beve birra → ogni elemento è associato per similarità a elementi equivalenti (Luigi è associato ad altri nomi, beve è associato ad altri verbi transitivi, birra è associata ad altre bevande) = se fosse mancato un elemento alla frase saremmo stati in grado di selezionarlo naturalmente per contiguità] Ferdinand de Saussure (1857-1913) È il fondatore dello strutturalismo. “Cours de linguistique générale” è l’opera postuma, raccolta degli appunti dei suoi studenti. Metodo delle Dicotomie Saussuriane: per indagare la struttura della lingua va seguito un metodo, propone delle opposizioni metodologiche per poi sceglierne una delle due proposte: - Diacronia vs sincronia: Saussure sceglie di studiare la lingua in un momento temporale preciso, prescindendo dallo sguardo diacronico (individuare i fatti di lingua secondo il tempo). quando osserviamo una lingua essa è accompagnata da fattori esterni che caratterizzano la lingua dall’esterno (legata ad aspetti sociali, politici, geogra ci, ma la caratterizzano dall'esterno linguistica esterna), ma se si vuole analizzare la lingua nel suo funzionamento si dovrà prescindere da questi fattori esterni e concentrarsi sul suo aspetto interno linguistica interna. Saussure sceglie la sincronia e cerca di capire i momenti costitutivi della lingua: 1. La langue coincide con un patrimonio mnemonico virtuale, che vive in sede psichica ed è condiviso dai parlanti che appartengono a una certa comunità linguistica, corrisponde al momento sociale. 2. La parole: è l’uso del sistema da parte del singolo parlante e viene associata al momento individuale. Saussure aveva stabilito di lavorare nella linguistica interna, ma la de nizione che dà di langue e parole è in relazione agli utenti e ai parlanti e dunque ricade nella linguistica esterna → aporia: contraddizione nella sua teoria. fi fi fi Saussure dà anche la de nizione di segno linguistico → un’entità costituita da: - Signi é → concetto che vive in sede psichica. - Signi ant → strategia di manifestazione, immagine acustica, traccia che lascia in sede psichica. Il segno unisce un concetto a un’immagine acustica ed entrambi hanno natura psichica. fi fi fi