Summary

Il libro esplora i concetti fondamentali della comunicazione, includendo i vari codici e canali di trasmissione, i filtri dell'ambiente e del ricevente, nonché gli assiomi della comunicazione. L'opera si rivolge a studenti universitari di discipline umanistiche e comunicazione.

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# CAPITOLO IV ## COMUNICAZIONE E LINGUAGGI ### Contesto e circolarità La comunicazione è il processo mediante il quale vengono trasmessi messaggi da un soggetto ad altri. Essa si avvale di linguaggi. Le api comunicano tra di loro attraverso il contatto delle antenne e attraverso una particolarissi...

# CAPITOLO IV ## COMUNICAZIONE E LINGUAGGI ### Contesto e circolarità La comunicazione è il processo mediante il quale vengono trasmessi messaggi da un soggetto ad altri. Essa si avvale di linguaggi. Le api comunicano tra di loro attraverso il contatto delle antenne e attraverso una particolarissima danza circolare; gli uccelli, come i mammiferi, con versi e grida di intensità e tono differenti; i delfini attraverso ultrasuoni. L'uomo, a differenza di altre specie animali, ha imparato a servirsi di codici linguistici estremamente complessi, che si sono andati via via perfezionando attraverso i secoli e che sono, nel contempo, mezzo di partecipazione sociale e strumento di trasmissione culturale. La semiologia si impegna nello studio dei vari codici che vengono usati da chi comunica e si interessa del loro modificarsi, del loro ristrutturarsi e del loro generare nuovi modi di comunicazione. Dagli studi semiologici il concetto di comunicazione viene chiarito come passaggio messaggio da un emittente a un ricevente. L'emittente formula un messaggio, secondo il codice scelto e lo emette. L'emissione è possibile quando esiste un canale, o dei canali, attraverso i quali passa la trasmissione, che viene raccolta poi dal ricevente. Sono evidenti soprattutto due fenomeni nel processo del comunicare: il contesto e la circolarità. Il contesto della comunicazione è dato, appunto, dai codici e dai canali, a cui si faceva cenno, oltre che dai filtri. Su questi concetti torneremo poi, per meglio definirli. La circolarità è data, invece, dall'andamento del comunicare, in base al quale non è possibile stabilire, nel rapporto emittente-ricevente, quale sia il messaggio-causa e quale, invece, il messaggio-effetto, proprio perché i due messaggi si ritrovano nella stessa struttura a cerchio, che non ha soluzione di continuità. Nello schema di pagina seguente, contesto e circolarità sono ben visualizzati. Vediamo quindi di chiarire i concetti che appaiono nel grafico. 1. La Semiologia è la scienza che ha per oggetto i segni, intesi come mezzo di comunicazione sociale. Essa non studia, pertanto, solamente i fatti linguistici, ma tutte le forme di attività che, in qualche modo, trasmettono messaggi, come le immagini, i segnali stradali, i cartelloni pubblicitari, i colori, gli abiti e così via. 2. Lo schema, proposto da M. Dallari, è qui in parte modificato. Da M. Dallari, Semiologia e pedagogia nella struttura comunicativa dell'operatore socio-culturale, in P. Bertolini e R. Farnè (a cura di), Territorio e intervento culturale, ed. Cappelli, p. 135. ### CONTENUTO Il messaggio è dato dalla vera e propria comunicazione, dalla notizia, dall'informazione che si intende inviare a qualcuno. ### Il codice è costituito dal sistema che permette la costruzione del messaggio. Nella comunicazione verbale, ad esempio, il codice è dato dalle parole organizzate morfologicamente e sintatticamente; nella comunicazione gestuale, dai gesti, e così via. ### Il canale è lo strumento o il veicolo di cui il messaggio, organizzato secondo un certo codice, si serve per essere trasmesso. Per usare gli stessi esempi, nel caso della comunicazione verbale il canale è costituito dalla voce; il corpo è invece il canale della comunicazione operata attraverso i gesti. ### I filtri dell'ambiente sono dati da tutto ciò che è presente nel contesto ambientale in cui la comunicazione si sviluppa. Essi possono facilitare considerevolmente il percorso del messaggio dall'emittente al ricevente, come, in altre situazioni, lo possono anche ostacolare al punto da renderlo nullo. Se dobbiamo comunicare qualcosa ad un nostro amico che sta con noi ad un concerto, luogo in cui occorre rispettare il silenzio più assoluto, l'operazione non ci riuscirà sicuramente semplice; più facile, invece, sarà il dialogo nel salotto di casa, comodamente seduti in poltrona, nella più gradevale tranquillità. ### I filtri del ricevente sono determinati, invece, dalla situazione psichica e fisica di chi riceve il messaggio. Certi pregiudizi, ad esempio, che si possono avere su chi manda la comunicazione, ne ostacolano la corretta decodificazione. Un forte mal di testa può costituire pure un grave ostacolo alla comprensione del messaggio. Il ricevente, poi, decodifica le comunicazioni che gli arrivano, in base ai codici che possiede, che possono essere adeguati o meno, tali, insomma, da favorire o da ostacolare la decodificazione stessa. Se qualcuno ci parla in un dialetto che conosciamo poco, sicuramente comprendiamo soltanto in parte ciò che ci viene comunicato. # Gli assiomi della comunicazione Definita la struttura della comunicazione, è possibile vederne ora le modalità e le proprietà, che vengono dette da Paul Watzlawick, assiomi. Per Aristotele l'assioma è “il principio che deve essere necessariamente posseduto da chi vuol apprendere qualcosa". Nel caso degli assiomi della comunicazione, si tratta di principi semplici, evidenti di per se stessi, che tuttavia hanno fondamentali implicazioni interpersonali. ## Primo assioma Il primo assioma è: “Non si può non comunicare”. Watzlawick afferma che non può esistere qualcosa che sia un non-comportamento; tutti noi, necessariamente, che lo vogliamo o no, mettiamo in atto dei comportamenti. Quindi: “…se si accetta che l'intero comportamento in una situazione di interazione ha valore di messaggio, vale a dire è comunicazione, ne consegue che comunque ci si sforzi, non si può non comunicare”. Se ci trovassimo in un ristorante affollato e vedessimo una persona che, in un tavolo appartato, sta mangiando da sola guardando fisso davanti a sè, sicuramente saremmo in grado di raccogliere il “messaggio" che quella persona manda, sia pure inconsciamente, e che suonerebbe più o meno in questo modo: “Lasciatemi in pace, ho i miei problemi e non intendo parlare con nessuno!". Nella sala d'aspetto del dentista capita di incontrare persone che tradiscono il loro nervosismo e la loro paura, anche se cercano magari di darsi un contegno in qualche modo. Anche in questo caso il messaggio è chiaro. Se, passeggiando per le piazze di Milano, incontrassimo un distinto signore che sfoggia orgogliosamente un bel gonnellino scozzese, resteremmo sicuramente incuriositi, ma penseremmo immediatamente ad un preciso paese europeo e ai suoi costumi. Ognuno di noi sa benissimo che nel momento in cui sceglie di vestirsi in un modo piuttosto che in un altro, sceglie, nel contempo, di mandare una comunicazione di un certo tipo. ## Secondo assioma “Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e un aspetto di relazione, in modo che il secondo classifica il primo ed è quindi metacomunicazione”. Con questo enunciato si intende sottolineare che “…una comunicazione non soltanto trasmette informazione, ma al tempo stesso, impone un comportamento”. Succede molto spesso, per fare un primo esempio, che i genitori e gli educatori si rivolgano ai bambini con espressioni del genere: "Tutti i bambini buoni e bravi mangiano senza fare storie”. Nell'esempio notiamo che la comunicazione contiene un'informazione generale ("i bravi bambini mangiano senza fare storie"); questa notizia, tuttavia, maschera anche una relazione ("sono io a decidere in cosa consistano la bontà e la bravura"). L'aspetto della relazione viene poi maggiormente sottolineato da certi “segni", o "codici”, come i gesti delle mani, il tono della voce, le varie espressioni del volto. Il bambino decodifica questi segni con una certa facilità e si comporta di conseguenza, dopo aver compreso se il messaggio debba essere preso come uno scherzo o come un comando. Anche il contesto in cui si svolge la comunicazione serve, molto spesso, a rendere più chiara la relazione. Ecco un esempio. Siamo in un'auto della scuola-guida e l'istruttore si rivolge alla giovane e inesperta aspirante autista in questo modo gentile: “Vede, signorina, è importante togliere la frizione gradatamente e dolcemente, se desidera partire senza scossoni". In un'altra auto, nei confronti di un'altra ragazza, un altro istruttore sbotta, invece, in quest'altro modo: “Se togli di colpo la frizione, rovinerai la trasmissione in un attimo!" Nelle due forme di comunicazione l'aspetto di contenuto è, in pratica, analogo. Cambia moltissimo, invece, quello di relazione. Sicuramente la prima aspirante autista continuerà il suo faticoso tirocinio con motivazione e serenità; la seconda, invece, avrà qualche difficoltà in più, a meno che non decida di cambiare l'istruttore. Occorre chiarire, tuttavia, che, spesso, le relazioni non sono definite con piena consapevolezza. Comunque: "...sembra che quanto più una relazione è spontanea e 'sana', tanto più l'aspetto relazionale della comunicazione recede sullo sfondo. Viceversa, le relazioni 'malate' sono caratterizzate da una lotta costante per definire la natura della relazione, mentre l'aspetto di contenuto della comunicazione diventa sempre meno importante"." La metacomunicazione di cui si parla nella definizione del secondo assioma è una comunicazione sul senso, sul valore e sul significato della comunicazione stessa. Facciamo metacomunicazione quando, una volta comunicato un certo messaggio, spieghiamo ciò che realmente volevamo ottenere attraverso di esso. Anche il contenuto di questo capitolo è metacomunicazione, in quanto tratta della comunicazione e dei suoi principi. La relazione che si stabilisce comunicando ("io so in che cosa consistano bontà e bravura"), "spiega", di fatto, "classifica", cioè, la comunicazione stessa ('i bambini buoni e bravi mangiano senza fare storie") e, per questo, deve essere considerata come metacomunicazione. L'esatto contrario della metacomunicazione è la squalificazione della comunicazione, che avviene quando si comunica per invalidare un'altra comunicazione, che può essere la propria o quella degli altri. Possiamo, ad esempio, usare nei confronti di qualcuno un'espressione ironica di questo tipo: "Ma guarda quanto sei bello!", che serve unicamente a dire il contrario di ciò che è contenuto nell'espressione stessa, in relazione al suo significato letterale. I modi per squalificare una comunicazione sono tanti e vanno dall'uso dell'ironia, secondo l'esempio fatto, all'uso della metafora, dalla frase spezzata o incoerente, al cambiamento improvviso di argomento. ## Terzo assioma Nel momento in cui qualcuno ci manda una comunicazione, noi la “interpretiamo", e, in base all'interpretazione stessa, organizziamo i nostri comportamenti. Ecco allora il terzo assioma: “La natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione tra i comunicanti". La "punteggiatura", cioè l'interpretazione soggettiva che si dà di un messaggio, condiziona pesantemente, in realtà, il proprio modo di essere, di autodefinirsi e di rapportarsi con gli altri. Watzlawick fa l'esempio di una coppia, formata da coniugi che si trovano ad affrontare conflitti di relazione, dato il loro disaccordo nel "punteggiare" la sequenza di eventi che interessano il loro rapportarsi. II marito dichiara di essere costretto a chiudersi frequentemente in se stesso, in quanto la moglie ha il difetto di brontolare; la moglie, dal canto suo, afferma che quanto dichiarato dal marito non è vero: lei brontola soltanto perché lui si chiude in se stesso. L'interazione fra i due, rappresentata in un diagramma, presenta, quindi, il seguente andamento. [Diagram of interaction is not included] È un andamento che teoricamente può continuare all'infinito, a meno che i due non riescano, ad un certo punto, a metacomunicare sul loro modo di comunicare. Un altro esempio, sicuramente interessante, riguarda questa volta i rapporti internazionali e mostra un modello di interazione analogo a quello descritto nell'esempio precedente. La pagina è presa da un lavoro di C.E.M. Joad: "...se, come dicono, il modo migliore per preservare la pace è quello di preparare la guerra, non è affatto chiaro perché tutte le nazioni dovrebbero considerare gli armamenti delle altre nazioni una minaccia per la pace. E tuttavia è proprio questa la loro interpretazione e di conseguenza sono stimolate a incrementare i propri armamenti per superare quelli da cui suppongono di essere minacciate.... Questa corsa agli armamenti, che è stata provocata dalla nazione A (i cui armamenti sarebbero solo difensivi) viene considerata dalla stessa nazione A, una minaccia e diventa un pretesto per accumulare altri armamenti anche più potenti per difendersi dalla minaccia. Ma questi armamenti più potenti sono a loro volta interpretati come una minaccia dalle nazioni vicine e così via..."." ## Quarto assioma Il quarto assioma viene così formulato: “Gli esseri umani comunicano sia con il modulo numerico che con quello analogico. Il linguaggio numerico ha una sintassi logica assai complessa e di estrema efficacia, ma manca di una semantica adeguata nel settore della relazione, mentre il linguaggio analogico ha la semantica ma non ha alcuna sintassi adeguata per definire in un modo che non sia ambiguo la natura delle relazioni”. Il modulo "numerico" è riferibile a tutte le comunicazioni che usano lo strumento "parola". È un modulo che l'uomo usa in modo assai frequente e che possiede, come si dice nell'enunciato, “una sintassi logica assai complessa", ma manca di chiare “indicazioni” (la semantica) riguardo alla relazione. L'aspetto semantico si trova invece nei gesti, nelle espressioni del viso, nella cadenza delle parole, nelle inflessioni della voce, nelle posizioni del corpo di chi parla. Vediamo l'esempio dell'insegnante che, entrando in classe, trova gli studenti un po' in subbuglio; decide allora di mandare una comunicazione secondo il linguaggio numerico (“Fate silenzio!"), che, nel suo contesto e nel suo significato è chiarissima. La relazione, tuttavia, viene di fatto stabilita non con le parole, ma attraverso i "segni" analogici. Il "fate silenzio" può essere pronunciato a voce molto alta, perentoriamente, mentre il viso è corrucciato e teso, il braccio destro alto sopra il capo e il dito indice che emerge da una mano chiusa a pugno. Oppure il "fate silenzio" può essere pronunciato con voce calma, la bocca atteggiata ad un mezzo sorriso, il corpo rilassato. Oppure, ancora, l'insegnante può mandare il suo messaggio con fare estremamente dimesso, con voce fioca, quasi implorante. È chiaro che, all'interno dello stesso messaggio, possono coesistere sia il linguaggio numerico sia quello analogico, i quali possono addirittura, a volte, essere contrapposti. La mamma dichiara al figlioletto, che per la prima volta viene portato alla scuola dell'infanzia, che “...non sarà mai lasciato solo, che la mamma starà sempre con lui". Non appena, poi, il bambino si distrae un momento, ecco che essa scappa precipitosamente, creando, per il figlio, un'imbarazzante situazione, che gli procurerà notevole disagio, in quanto di difficile decodificazione. ## Quinto assioma Watzlawick lo propone in questi termini: "Tutti gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari, a seconda che sono basati sull'uguaglianza o sulla differenza". Si ha quindi una relazione simmetrica tra due persone che comunicano quando ciascuna delle due si colloca sullo stesso piano dell'altra. Nella relazione complementare, viceversa, una delle due assume una posizione superiore rispetto all'altra. Nei rapporti genitori-figlio, insegnante-allievo, medico-paziente, troviamo necessariamente comunicazioni di tipo complementare, anche se sono poi le persone interessate a stabilirne il grado. Ci può essere, cioè, il genitore più disponibile al dialogo con i propri figli, il medico più “alla mano”, l'insegnante più "aperto", ma sono gli stessi ruoli sociali e culturali, che, di fatto, impongono la relazione complementare. ## Il linguaggio verbale o “numerico" Fra i vari codici che l'uomo è in grado di usare, il linguaggio verbale è sicuramente il più importante. Dobbiamo dire, anzi, che questo tipo di linguaggio è tipicamente ed essenzialmente umano, in quanto, per essere appreso ed usato, richiede determinate strutture mentali e un processo di insegnamento-apprendimento che soltanto l'uomo è in grado di maturare e di mettere in atto. I fattori del linguaggio verbale sono vari e comportano interazioni non ancora sufficientemente chiarite. Secondo la neurochirurgia esistono nelle corteccia cerebrale umana alcune aree preposte all'organizzazione del linguaggio, come il centro di Wernicke, detto anche centro verbo-acustico, situato nella zona temporale, il centro di Broca, o centro verbo-motorio, nella zona frontale, il centro verbo-grafico, nella zona temporale e il centro verbo-ottico, nella zona occipitale. Comunque, anche se fosse possibile indicare precise zone funzionali del linguaggio presenti nel nostro cervello, occorre tener conto che ". il complesso fenomeno della loquela non si esaurisce entro i confini di quelle zone, come del resto avviene per ogni tipo di comportamento complesso e volontario, ma implica una totale partecipazione delle componenti psichiche personali. Accanto ad una componente fonatoria, che rappresenta l'aspetto esteriore del linguaggio, esiste una componente "psichica", che costituisce l'aspetto interiore del linguaggio, e cioè l'aspetto della coordinazione e della partecipazione “volontaria". Per una completa comparsa e per un corretto uso del linguaggio, occorre, in ogni caso, che alcune strutture siano presenti e integre. Sono quindi indispensabili: * l'apparato fonetico, composto da laringe, faringe, lingua, palato, labbra, naso, guance; * l'apparato uditivo; * le vie nervose periferiche della sensibilità e della motricità; * le zone corticali del linguaggio, i vari “centri” nominati sopra; * le zone corticali psicoassociative. Il tutto, per ribadire, coinvolto dai dinamismi intellettivi e affettivi e dalle loro reciproche interazioni. ## L'importanza del linguaggio verbale La lingua assolve prima di tutto una funzione espressiva. Attraverso di essa, infatti, ciascuno di noi ha la possibilità di manifestare i propri stati emotivi, i sentimenti più profondi e più intimi, i pensieri più segreti. Il linguaggio verbale ha la proprietà di favorire il controllo degli impulsi e delle tensioni e, di conseguenza, facilita il rapporto e il confronto con la realtà e lo rende, anche dal punto di vista emotivo, corretto e maturo. Non solo: la parola è molto spesso legata all'azione, ne è un elemento, e quindi è sufficiente a metterla in atto e a rievocarla. Gli psicoanalisti, a questo proposito, parlano di “magia” della parola. La lingua assolve anche una funzione di comunicazione; è attraverso di essa, infatti, che abbiamo la possibilità di conoscere il pensiero degli altri e di far conoscere il nostro. Per mezzo del linguaggio verbale è stato possibile trasmettere, nel corso della storia, da una generazione all'altra, il sapere acquisito. È possibile così parlare di “progresso”, il quale esiste, quindi, in quanto esiste il linguaggio verbale. Comunicare significa poi stabilire rapporti sociali, e quindi rapporti di collaborazione, di scambio e di aiuto. Il linguaggio verbale, per quanto detto, è anche, quindi, strumento di inculturamento. Esso, infatti, è caratterizzato da “simboli", ed accompagna, nella sua evoluzione e nel suo esplicarsi, il processo del pensiero. Attraverso il linguaggio, quindi, la realtà è sostituita con simboli-parole, che consentono di costruire rappresentazioni mentali, di dare ordine a tutto ciò che è oggetto d'esperienza, di operare astrazioni, di creare. Quando infatti diciamo "sedia", "casa", "mangiare", "studiare" e così via, isoliamo certi aspetti della realtà, li ordiniamo poi mentalmente, copriamo delle comunanze fra di loro e stabiliamo, alla fine, le reciproche interazioni, sulle quali è possibile anche un intervento creativo. Il pensiero assume così una forma precisa e ordinata e può essere, quindi, trasmesso. # I disturbi del linguaggio verbale I disturbi del linguaggio verbale possono essere, per esigenze di chiarezza, così classificati: 1. Esistono le dislalie, che riguardano i difetti di pronuncia delle parole. Esse comprendono: * a) la blesità, che è un difetto di pronuncia riguardante i singoli suoni. Il soggetto omette o sostituisce le consonanti. Abbiamo allora il rotacismo, se la consonante interessata è la r; il zetacismo se si tratta della z; il lambdacismo se viene omessa la l, e via di seguito. La blesità è un fenomeno normale quando il bambino, ancora molto piccolo, non riesce a pronunciare correttamente tutti i suoni. Ci può essere, invece, una blesità dipendente da lesioni dei nervi periferici o da ritardo mentale. A volte, nei bambini, la blesità è dovuta a deficit uditivi lievi, che portano solitamente ad un tipo di pronuncia non adeguato e difettoso; * b) l'aplologia, detta anche cluttering, che si manifesta come tendenza a parlare troppo velocemente, omettendo sillabe o parole o invertendone l'ordine sequenziale. Si trova nei maniaci e, a volte, negli schizofrenici; * c) la balbuzie, che è un disturbo nella coordinazione dei movimenti fonatori. La causa è ancora oggetto di ricerca e di polemica tra sostenitori di teorie diverse. Gli "organicisti" tendono a far risalire il disturbo ad un fattore organico di base, come l'insufficienza funzionale dell'emisfero dominante o la debilità motoria; le teorie "psicogenetiche", invece, fanno risalire il fenomeno a fattori psicogeni ed emozionali. Nella pratica clinica si trovano di frequente casi in cui la balbuzie si è instaurata per cause di tipo psichico, ma su un terreno organico non perfettamente integro; * d) la disartria, caratterizzata da un'articolazione delle parole non normale, con omissioni, sostituzioni o interruzioni di sillabe. La disartria è originata da lesioni che interessano i centri e le vie nervose del linguaggio. Nei casi più gravi, il soggetto giunge ad un vero impedimento dell'articolazione della parola. Si parla allora di anartria. 2. Ci sono poi i difetti del linguaggio dovuti a disturbi uditivi. Abbiamo allora: * a) il sordomutismo, caratterizzato da un'insufficienza totale o subtotale dell'udito, che determina un mancato sviluppo del linguaggio, se il fenomeno è presente dalla nascita o se interviene nel corso del primo anno di vita; oppure una regressione del linguaggio, se interviene prima del quarto anno di vita. Il sordomutismo può essere causato anche da encefaliti o traumi; * b) l'agnosia, che riguarda l'incapacità di riconoscere rumori o suoni. La causa è da far risalire a lesioni temporali; * c) i difetti uditivi lacunari, a causa dei quali il soggetto fatica a percepire, o non percepisce addirittura, in modo adeguato, alcuni suoni o alcuni toni. Questi difetti sono conosciuti anche col nome di ipoacusia. 3. Le disfasie riguardano i difetti della funzione simbolica del linguaggio. Rientrano in questo gruppo: * a) la disgrafia, per cui il soggetto non è in grado di tracciare lettere leggibili; * b) la disortografia, che è, in fondo, una disgrafia di evoluzione. Il soggetto, allora, non riesce a scrivere parole e frasi corrette; * c) la dislessia, che riguarda la difficoltà di lettura; * d) l'afasia, l'assenza, cioè, della funzione verbale. L'afasia può essere congenita, quando le lesioni interessano entrambi gli emisferi cerebrali, o acquisita, quando le lesioni riguardano l'emisfero dominante. Le cause delle disfasie vengono fatte risalire a disturbi della strutturazione psicopercettiva, psicomotoria e simbolica, nonchè dell'orientamento spaziale e dell'organizzazione temporale. 4. Un quarto gruppo può essere dato dai disturbi del linguaggio di origine psichica. Troviamo allora: * a) il mutismo psicogeno, consistente in un vero e proprio blocco inibitorio del linguaggio. Il mutismo psicogeno può essere originato da ansia, stress emotivi o reazioni di opposizione; * b) le dislalie, di cui abbiamo detto, che possono avere anche origine psichica, come anche; * c) le disfasie; * d) l'audimutismo, consistente nella mancanza della funzione verbale in soggetti che non presentano disturbi uditivi o neurologici o deficit intellettivi. Anche in questo caso si discute molto sulle possibili cause. Sembra, comunque, che entrino incampo fattori di tipo neurologico e psichiatrico. ## I linguaggi "analogici" del corpo Il corpo sa "parlare" e i suoi linguaggi mandano messaggi importanti, sia per chi li usa, sia per chi è abile a raccoglierli. In discoteca c'è un gruppo di ragazzi e ragazze, che, seduti in cerchio, parlano tra di loro. Ogni tanto si sente la sonora risata di qualcuno; qualche altro si alza per confondersi nel gruppo di chi sta ballando. In un angolo, appartata, c'è una ragazza che fuma una sigaretta dopo l'altra. È silenziosa, non partecipa alla discussione, batte ritmicamente il piede e lancia occhiate di fuoco all'indirizzo di un giovanotto, che sembra essere assolutamente indifferente, che, anzi, se la ride con due altre ragazze che gli siedono vicine. Nella sala d'aspetto di una stazione ferroviaria, un signore continua a passeggiare nervosamente. Ogni tanto consulta il suo orologio, confronta l'ora con quello della stazione, poi si siede, ma non riesce a stare tranquillo per più di qualche minuto. Si rialza, torna a passeggiare, guarda ancora l'orologio, ogni tanto si ferma ad osservare il tabellone degli orari, guarda verso l'entrata della sala, si accende una sigaretta che poi spegne immediatamente e nervosamente schiacciandola sotto un piede. Finalmente entra una donna, che si dirige immediatamente verso di lui. Egli lancia un'occhiata feroce al suo indirizzo, prende alcune carte e il giornale che aveva lasciati sulla panca e si dirige, a passi decisi, verso l'uscita, seguito mestamente dalla donna. L'insegnante di matematica annuncia, entrando in classe, di avere l'intenzione di interrogare qualcuno. Chiede, anzi, se per caso non ci sia qualche volontario. Tutti gli studenti abbassano la testa e sembrano molto interessati agli oggetti che stanno sopra i vari banchi. Molti si mostrano indaffaratissimi: prendono un libro, lo aprono, poi lo richiudono, sistemano le penne sul piano del banco, si chinano a raccogliere da terra qualche foglio, scelgono un quaderno nella cartella, lo sistemano sopra una pila di libri. Quando finalmente l'insegnante pronuncia un nome, i volti tornano distesi e gli sguardi corrono verso il malcapitato, che, un po' più pallido del solito, si alza, va lentamente verso la zona della lavagna, si gira verso l'insegnante e negli occhi mostra lo sgomento di cui in quel momento è sicuramente preda. Sono quadri, questi, che non hanno bisogno di commenti. Esistono dei segnali non verbali del corpo, che ognuno di noi normalmente usa e che sono rivelatori dei nostri stati d'animo, i quali vengono, attraverso quei segnali stessi, automaticamente comunicati. Vediamone qualcuno. ## L'espressione del volto Una ricerca condotta presso l'Università di California ha messo in evidenza che gli effetti prodotti da una comunicazione attraverso la parola... non dipendo no dalla parola! Per chiarire meglio, le parole usate nella comunicazione incidono soltanto per il 7%; il tono della voce, invece, entra per il 38%. Il 55% è dato dall'espressione del volto. Gioia, dolore, rabbia, amore, tensione, aggressività danno ai nostri volti caratteristiche facilmente riconoscibili. Queste diventano molto spesso, come risulta dalla ricerca citata, la forma di comunicazione non verbale più significativa in campo umano. Prendiamo, come esempio, il nostro modo di comunicare l'aggressività attraverso il volto. Dice Desmond Morris, nel suo famoso lavoro La scimmia nuda, che anche in noi, come negli animali superiori, la stimolazione dell'aggressività ha come conseguenza degli sconvolgimenti fisiologici, che diventano, per gli altri, potenti segnali. L'uomo non può intimidire l'avversario drizzando i peli, essendo egli una "scimmia nuda", ma può fare di meglio, emettendo segnali di pallore e di rossore dal volto. Ognuno di noi può diventare "pallido di rabbia", "rosso di collera" o "bianco di paura". Morris raccomanda di prestare molta attenzione al pallore, perché indica attività. Esso, infatti, se associato ad altre azioni che indicano l'assalto, costituisce un segnale di vero e proprio pericolo; se unito, invece, ad azioni che indicano paura, ha il significato di panico. Comunque non va mai preso alla leggera. Il rossore, invece, è meno preoccupante. È meno probabile che attacchi chi ha il viso rosso d'ira di chi, invece, ha il viso pallido e le labbra tirate. Le manifestazioni aggressive, in ogni caso, continua Morris, sono accompagnate da altre espressioni facciali di minaccia. La regola, egli afferma, è molto semplice. Quanto più l'impulso ad attaccare domina quello a fuggire, tanto più la faccia si proietta in avanti. Nel caso contrario, tutti i segmenti del viso vengono tirati indietro. Nell'espressione di chi attacca, le sopracciglia vengono spinte in avanti in un cipiglio, la fronte è liscia, gli angoli della bocca sono sporgenti e le labbra formano una linea stretta e sottile. Quando, invece, si è dominati dalla paura, le sopracciglia si sollevano, la fronte si raggrinza, gli angoli della bocca vengono tirati indietro e le labbra si aprono mostrando i denti. Le espressioni determinate dal corrugare la fronte o dal mostrare i denti vengono solitamente considerate come segnali di "furia". In realtà, invece, sono segnali di paura, nonostante la presenza di altri gesti intimidatori provenienti da altri segmenti del corpo. Si tratta, in ogni caso, di espressioni minacciose, che non devono essere trattate con sufficienza. Anche lo sguardo fisso è un'espressione tipica di chi intende dichiarare aggressività. Esso fa parte, sempre a detta di Morris, delle espressioni facciali più feroci ed accompagna, anche nel mondo animale, i gesti più combattivi. Questo è il motivo per cui il gioco del “fissarsi” è così difficile. Per questo il bambino che fissa con curiosità qualcuno viene ripreso e gli si comunica che “non è educato fissare la gente". La reazione opposta allo sguardo fisso consiste nel distogliere lo sguardo. Normalmente, quando conversiamo con qualcuno faccia a faccia, distogliamo lo sguardo da lui mentre parliamo, per poi fissarlo alla fine di ogni frase, quasi a voler controllare la sua reazione a quanto abbiamo detto. Gli occhiali da sole o da vista rendono il viso sicuramente più aggressivo e ingrandiscono lo sguardo in modo artificiale. Morris afferma che quando veniamo fissati da qualcuno che porta gli occhiali, siamo di fatto sottoposti ad un "supersguardo". Una forma accentuata di anti-sguardo, invece, consiste nel coprirsi gli occhi o nel nascondere la faccia nell'incavo del gomito. Anche la semplice azione di chiudere gli occhi elimina lo sguardo ed è interessante vedere come alcuni individui, quando si trovano assieme ad estranei e parlano con loro, si sentono costretti a chiudere gli occhi brevemente e ripetutamente, come se la normale reazione di battere le palpebre venisse estesa in un mascheramento degli occhi. Gli occhi che fissano, comunque, hanno un grande potere intimidatorio. Dice ancora Morris che, spesso, i progettisti di automobili adoperano i fari per aumentare l'impressione generale di aggressività, dando anche alla parte anteriore del cofano delle auto l'aspetto di un cipiglio. E questo per il fatto che le strade sono sempre più affollate e che guidare è diventata un'attività sempre più combattiva. ## La postura Anche le varie posture che il nostro corpo tende ad assumere, quando siamo in piedi o stiamo seduti, possono essere indicative dei nostri stati d'animo. Immaginiamo di essere nel salotto di casa nostra, comodamente seduti in una poltrona, e di essere impegnati in una conversazione con una persona che ci sta particolarmente a cuore. Ad un certo punto ci rendiamo conto che quella persona, pur restando seduta nella sua poltrona, tende ad allontanarsi da noi, occupando, della poltrona stessa, la parte più lontana rispetto alla nostra posizione. In realtà questo fatto non ci rende particolarmente felici, in quanto intuiamo la volontà dell'altro di "rifiutarci", di non voler comunicare, magari proprio perché non ha interesse a farlo. Chi è tendenzialmente depresso, assume posizioni del corpo che denunciano chiaramente la sua condizione psicologica. Lo vedremo spesso, quindi, rannicchiato, quasi abbandonato. La persona sicura di sè, mostrerà, viceversa, atteggiamenti fermi, i movimenti del corpo saranno ampi, armoniosi, scattanti, pronti ad invadere, senza eccessivi problemi, anche lo spazio altrui. Per dare qualche altro esempio del significato e dell'importanza della postura del corpo al fine della comunicazione, vorremmo proporre un'altra esemplare pagina di Desmond Morris. La maggior parte dei guidatori, afferma dunque Morris, quando vengono fermati dalla polizia a causa di qualche trasgressione automobilistica di scarsa importanza, reagiscono immediatamente protestando la loro innocenza o add ucendo una scusa di qualche genere per il loro modo di comportarsi. Questa è la peggiore maniera di agire, perché spinge la polizia a contrattaccare. Se invece si adotta un atteggiamento di sottomissione, per il poliziotto sarà sempre più difficile evitare una sensazione di pacificazione. Una completa ammissione di colpa dovuta a semplice stupidità mette il poliziotto in una immediata posizione di vantaggio che gli rende difficile l'attacco. E poi, aggiunge Morris, "...restando in macchina, voi rimanete nel vostro territorio, mentre, se scendete, automaticamente indebolite il vostro stato territoriale. La posizione seduta in macchina è di per sè un atteggiamento di superiorità. [...] Nessuno può sedere se il "Re" sta in piedi. Se il "Re" si alza, tutti si alzano. [...] Lasciando la macchina voi venite a perdere sia i vostri diritti territoriali che la posizione seduta di predominio" Attenzione, tuttavia. Lo stesso Morris, un po' scherzosamente e un po' meno, dichiara che, per riuscire nell'impresa di portare il poliziotto a più miti consigli, occorre conoscere perfettamente i segnali non verbali del comportamento. Altrimenti è meglio... pagare la multa! ## Il tono della voce Già abbiamo avuto modo di fare qualche esempio sull'importanza del tono della voce nell'esprimere le comunicazioni. È qui il caso di ribadire che, in realtà, lo stato emotivo di chi parla viene chiaramente denunciato dal tono con cui le parole vengono pronunciate, oltre che dal timbro e dalla fluidità o meno del dire. Due persone molto legate affettivamente possono scambiarsi le loro comunicazioni con toni molto bassi. D'altra parte, il tono basso può significare anche il contrario dell'affetto e del piacere ad esso legato. Parla con toni bassi, infatti, anche chi è annoiato e triste, chi è sospettoso, chi ha realmente paura di qualcosa o di qualcuno. Anche lo sgomento, la sorpresa, la meraviglia possono essere espresse attraverso toni di voce bassi. L'ag

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