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This PDF document is a chapter from a book on art history. It discusses the art market and commissions in 15th-century Italy. The author details the relationship between artists, patrons, and merchants, and analyses the roles of different social institutions. The chapter also highlights the importance of painting commissions and the dynamics of the art world.
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CAPITOLO I Condizioni del mercato Un dipinto nel 15ºsec la testimonianza di un rapporto sociale. pittore (realizza quadro o sovrintende esecuzione) Committente ( fornisce il denaro per realizzarlo e decide come usarlo) Il cliente ordinava un prodotto secondo delle l...
CAPITOLO I Condizioni del mercato Un dipinto nel 15ºsec la testimonianza di un rapporto sociale. pittore (realizza quadro o sovrintende esecuzione) Committente ( fornisce il denaro per realizzarlo e decide come usarlo) Il cliente ordinava un prodotto secondo delle linee guida e l’’artista lo realizzava seguendo le sue direttive e in base al suo pagamento: era quindi un accordo commerciale. Entrambi lavorano all’interno delle istituzioni: Commerciali Religiose Sociali ecc…. influiva sulle forme dell’opera che artista e committente creavano insieme attraverso contratto. Mercante: ordinava, pagava e stabiliva l’uso del dipinto, questo processo avviene dall’ordine di un Cliente che ordinava un prodotto specificandone le caratteristiche. Opere già pronte: Madonne ordinarie o scrigni nuziali (dipinti da artisti meno richiesti e in un periodo di scarso lavoro) Pale d’altare e affreschi: eseguiti su commissione Cliente e artista stipulavano un contratto dove quest’ultimo si impegnava a consegnare il progetto che il cliente (in modo più o meno dettagliato) aveva richiesto Il rapporto era di tipo commerciale. Nella storia dell’arte il denaro ha grande importanza. Agisce sul dipinto: investimento x realizzazione Particolari criteri di spesa (es. materiali costosi) Es. BROSO D’ESTE (Duca di Ferrara) riteneva di dover pagare i dipinti a piede quadrato, (es. x affreschi palazzo Schifanoia), otterrà dipinti meno curati anche nei materiali rispetto a un altro committente più raffinato (Es. marcante fiorentino GIOVANNI DE’ BARDI ), che paga il pittore in base ai materiali e al tempo. Anche i criteri per stabilire un prezzo e le forme di pagamento incidono sui dipinti, punto focale della vita economica. I dipinti erano progettati ad uso del cliente: questi aveva molteplici motivazioni per ordinarlo. Un buon cliente per i pittori fu GIOVANNI RUCELLAI Mercante fiorentino che teneva in casa dipinti di: Verrocchio Domenico Veneziano Andrea del Castagno Filippo Lippi Oltre ad opere di raffi e scultori Paolo Uccello Maestri non solo da Firenze ma da tutta Italia. Vi è anche la soddisfazione di possedere oggetti di qualità. Rucellai parla di 3 principali motivi dei committenti per la richiesta di opere o decorazioni di chiese o palazzi: Onore di D-o Onore della città La memoria del personaggio che li commissiona Pala d’altare per una chiesa o ciclo di affreschi per una cappella soddisfacevano tutte e 3 le esigenze. 4º motivo: piacere e merito di spendere bene in quest’arte pregiata E lo capisce bene Rucellai, arricchito con gli interessi dei prestiti di denaro, quindi con l’usura. Spendere per arricchire il patrimonio pubblico era un merito e piacere, un giusto risarcimento alla società, a metà tra donazione e pagamento di tasse alla chiesa. 5º motivo: senso di piacere nel guardare i bei dipinti ed averne il possesso (Rucellai non cita ma gli si attribuisce). Il desiderio di lasciare il ricordo di se e di farsi pubblicità, la necessità dell’uomo ricco di trovare una forma di merito e piacere insieme. In realtà poi il cliente non analizzava le sue motivazioni essendo che si affidava a forme istituzionalizzate per le opere: es. la pala d’altare per la cappella di famiglia, la Madonna nella stanza da letto. Non analizzava quindi i significati dell’opera che voleva, e queste rappresentazioni lo aiutavano a razionalizzarne i motivi, contribuendo a dare al pittore un'idea di quanto le veniva chiesto. Ma principalmente l’uso primario del dipinto era di essere osservato, di fornire opere proficue e dagli stimoli piacevoli e indimenticabili al committente e a chi lo vedeva. Nel 15º sec. però la pittura era ancora troppo importante per esser lasciata alla libertà interpretativa dei pittori: Oggi nel mercato dell’arte i pittori dipingono ciò che vogliono e poi cercano acquirenti, portano il mercato a uno stile usato per prodotti più sostanziali Nel 400 vi era invece la pittura su commissione, portando così al ruolo centrale del cliente. Filippo Lippi e Giovanni di Cosimo de’ Medici Filippo Lippi nel 1457 dipinse per Giovanni di Cosimo de Medici un trittico destinato in dono al re Alfonso V di Napoli, una piccola mossa della diplomazia medicea. Filippo Lippi lavorava a Firenze e dato che Giovanni era spesso fuori città, Filippo lo contattava attraverso epistole. Infondo alla lettera Filippo Lippi forniva uno schizzo del trittico secondo progetto: Abbozzò San Bernardo Un'adorazione del Bambino San Michele Chiede l’approvazione per la cornice architettonica del trittico, questa è disegnata in modo più chiaro e definito La distinzione fra pubblico e privato non si addice alla funzione della pittura del 15º sec. Le commesse (opere di decorazioni di marmi o pietre) di privati, avevano spesso un ruolo pubblico, come una pala d’altare o un ciclo di affreschi nella cappella di una chiesa. Vi è poi la distinzione tra le commesse di imprese collettive (di istituzioni pubbliche) o iniziative private. Il pittore di solito veniva assunto e controllato da una persona o da un piccolo gruppo. In genera l’artista si trovava ad avere un rapporto diretto con il cliente: privato cittadino Priore della confraternita o monastero Principe o funzionario di questo qualcuno di identificabile, che aveva promosso il lavoro e scelto l’artista e ne seguiva l’esecuzione del dipinto. DONATELLO È GLI SCULTORI Qui l’artista differiva dallo scultore, che lavorava in grandi imprese comunali (come Donatello che lavorò per l’opera del Duomo di Firenze per l’arte della Lana) dove il controllo del profano era meno personale e più rigido a regole religiose. Il pittore era più esposto dello scultore, la lettera di Filippo Lippi a Giovanni de Medici ci fa capire il peso dell’intervento del cliente. Ma in quali settori dell’arte il cliente interveniva direttamente? I documenti legali riportano i principali obblighi contrattuali delle due parti: Alcuni contratti di un notaio Altri sono meno elaborati, sono promemoria tenuti da ciascuna delle due parti e, pur senza valenza notarile, mantengono lo stesso peso contrattuale. Entrambi i fogli contenevano le stesse clausole. Domenico Ghirlandaio e l’Ospedale degli Innocenti a Firenze Non esiste una forma fissa di contratto tipico. Uno che vi si avvicina era quello tra il pittore Domenico Ghirlandaio e il priore dell’Ospedale degli Innocenti a Firenze con L’Adorazione dei Magi; il contratto contiene i tre temi principali di questi tipi di accordo: Specifica di ciò che il pittore deve dipingere (in questo caso seguire il lavoro grazie ad un disegno concordato) I modi e tempi del pagamento da parte del cliente e i termini di scadenza della consegna. Dettaglio sull’uso di colori di buona qualità (specialmente oro e azzurro ultra marino) la qualità dei dettagli e la loro precisione variano da contratto a contratto. Per il soggetto del dipinto non si rientra nei particolari, ma alcuni contratti elencano le figure une devono essere rappresentate anche se di solito era più frequente realizzare un disegno per poi deciderne insieme le modifiche e genere di figure. Beato Angelico è la Pala d’altare Realizzata nel 1433 per l’Arte dei Linaioli a Firenze. Tenuto conto della santità della sua vita, il prezzo venne affidato alla sua conoscenza: egli era tenuto a non allontanarsi dal suo disegno, per il quale ci sarebbero state discussioni dalle sue parti. PIETRO CALZETTA E LA CHIESA DI SANT ANTONIO DA PADOVA Dovette dipingere gli affreschi della cappella Gattamelata in Sant’Antonio da Padova: nel contratto vi sono gli stadi di accordo. il rappresentante del donatore, Antofrancesco de’ Dotti, avrebbe dovuto stabilire i soggetti da dipingere Calzetta avrebbe eseguito il disegno, da consegnare ad Antonfrancesco Sulla base di questo Antonfrancesco avrebbe dato ulteriori istruzioni sul dipinto e infine deciso se il prodotto finito era accettabile PAGAMENTI Una somma versata a rate, come per Ghirlandaio, era di solito la forma di pagamento, ma talvolta le spese del pittore erano distinte dal suo lavoro. Il cliente poteva fornire i colori più costosi e pagare il pittore per il tempo impiegato e le sue capacità. Un esempio è Filippo Lippi che dipinse la vita di San Tommaso in Santa Maria sopra Minerva a Roma, il cardinal Carafa lo pagò per il suo lavoro personale, e pagò a parte per i suoi assistenti e per l’azzurro ultramarino. La somma concordata in un contratto non era del tutto rigida, se un pittore si trovava in perdita rispetto al contratto, poteva rinegoziarlo: nel caso del Ghirlandaio, per la predella dell’altare dello Spedale degli Innocenti, ottenne per questo lavoro 7 fiorini in più. Nel caso che pittore e cliente non riuscissero ad accordarsi sulla somma finale, intervenivano dei pittori professionisti in qualità di arbitri, ma in genere non si arrivava a questo punto. QUALITÀ DEI COLORI Il contratto del Ghirlandaio insiste sul fatto che il pittore usi colori di buona qualità e sopratutto per l’azzurro ultramarino, il colore più costoso e di più difficile impiego. ne esistevano sia qualità a buon mercato che care, e c’erano dei sostituti più economici come l’azzurro d’Alemagna. L’azzurro ultramarino si otteneva dalla polvere di lapislazzuli importata dall’Oriente. Questa polvere veniva filtrata per ricavare il colore ed il primo prodotto era il migliore ed il più caro. l’azzurro d’Alemagna invece, non era altro che carbonato di rame, il suo colore era meno brillante e meno resistente Per evitare delusioni, i clienti specificavano che doveva essere ultramarino. I pittori e il loro pubblico erano molto attenti a tutto questo e la connotazione dell’ultramarino era un mezzo per evidenziare qualcosa nei dipinti: esso viene usato per sottolineare la figura principale del Cristo o della Madonna in una scena biblica. Nel pannello della Sassetta, dove San Francesco Rinuncia ai suoi beni, vediamo che l’abito che il santo rifiuta è una tunica dall’azzurro ultramarino. Nella Crocifissione di Masaccio, il gesto del braccio di San Giovanni è sottolineato dall’azzurro ultramarino. I contratti sono sofisticati per quanto riguarda gli azzurri, mostrandoci la capacità di distinguerli. Nel 1406 Gherardo Starnina stipulò un contratto per dipingere, in santo Stefano ad Empoli, degli affreschi sulla Vita della Vergine. Questo era un contratto meticoloso per l’azzurro: l’ultra marino usato per Maria doveva essere di 2 fiorini l’oncia, per il resto del quadro bastava 1 fiorino l’oncia. STIPENDIO O AD OPERA Alcuni artisti lavoravano per dei principi da cui percepivano uno stipendio: è il caso di Mantegna, che lavorò fino alla sua morte per i marchesi Gonzaga a Mantova, ciò è ben documentato anche per l’offerta fattagli da Ludovico Gonzaga nel 1458: propone all’artista uno stipendio in cambio di affreschi e pannelli per i Gonzaga, ma svolse anche altre funzioni. La posizione di Mantegna non fu però così definita come aveva proposto l’offerta di Ludovico Gonzaga. Lo stipendio non gli veniva sempre pagato con regolarità; ma alle volte gli venivano concessi privilegi e doni di terre o denaro. Ma, i grandi pittori del 400 che dipingevano per i principi, erano più comunemente pagati per una singola opera piuttosto che con uno stipendio fisso. I PARTICOLARI NEI CONTRATTI I contratti, nel corso del 400, mostravano graduali cambiamenti nel particolare: ciò di cui il 1410 non si era occupato in modo specifico, richiedeva di esser specificato nel 1490. Mentre i colori preziosi perdono i loro ruolo di primo piano, la richiesta di abilità pittorica assume maggiore rilievo. Si parla sempre meno dei contratti dell’oro e dell’azzurro ultramarino, e sono sempre meno il centro dell’attenzione, l’oro viene così riservato solo alla cornice. L’uso di differenti qualità di azzurro per diverse parti del dipinto non si sviluppa più nella 2º metà del secolo. L’attenuarsi di questa preoccupazione per i colori preziosi, mostra l’impressione che i clienti comincino a badare meno all’esigenza di fare sfoggio di una preziosità dei materiali. ABBIGLIAMENTO PIÙ SCURO E SOBRIO Negli abiti dei clienti stavano diminuendo le stoffe dorate e le tinte sgraffiante in favore del più serio nero di Borgogna. L’abbandono dell’oro deve aver avuto varie origini: la mobilità sociale che voleva distinguersi dal vistoso nuovo ricco La netta diminuzione della disponibilità dell’oro nel 15º sec. Un rifiuto delle libertà sensoriali, che avvalora i temi di rifiuto dei piaceri terreni seguendo i precetti cristiani. Questi punti hanno motivato questa diminuzione di fasto che però non abbandonò la complessiva ostentazione; Filippo il Buono di Borgogna e Alfonso di Napoli continuavano ad esser sfarzosi. Si poteva poi esserlo tanto quanto prima, anche nelle limitazioni dell’abito nero, grazie alle migliori stoffe olandesi. MENO SFARZO IN PITTURA Analogo era nella pittura, man mano che nei contratti diminuiva l’uso di oro e azzurro ultramarino, esso veniva sostituito da indicazioni relative all’abilità tecnica del pittore. Questa dicotomia tra qualità del materiale e qualità dell’abilità tecnica dell’artista, ricorreva frequentemente nella discussione sulla pittura e scultura, questo avveniva: in chiave moralistica = quando si criticava il piacere superficiale che il pubblico traeva dall’opera In chiave teorica = sui trattati d’arte Da un lato si usava questa distinzione per condannare l’impatto emotivo sulle opere, come Petrarca nel dialogo De remendiis utriusque fortunae. Dall’altro Alberti usa tale distinzione nel suo trattato Della pittura per sollecitare i pittori a rappresentare perfino gli oggetti d’oro non con l’oro, ma attraverso il giallo e il bianco. Questa distinzione tra Petrarca e L’Alberti era la base per determinare il prezzo di un dipinto, come per un qualsiasi altro manufatto. Il dipinto veniva pagato in base a: materia e abilità Materiali e mano d’opera vi era una netta corrispondenza tra artista e committente per il valore attribuito all’elemento teorico da quello pratico. Da un lato l’azzurro ultramarino, l’oro e la cornice (materiali), dall’altro la bravura pittorica dell’artista (lavoro e abilità) Il cliente si interessò più che all’oro, al paesaggio. Poteva richiedere dei paesaggi invece che la doratura, specificando anche ciò che aveva in manette per i suoi paesaggi. Ad esempio quando Ghirlandaio fece un contratto con Giovanni Tornabuoni per affrescare il coro di Santa Maria Novella a Firenze, accettò di includervi varie figure, questo garantiva un grande lavoro e una grande abilità. Ma vi era anche un altro modo per diventare un acquirente di abilità: attribuire, per un prodotto di bottega, un valore notevolmente diverso al tempo del maestro rispetto a quello degli assistenti. Es. Beato Angelico dipinse a Roma gli affreschi per Papa Nicola V. Il suo lavoro venne così pagato sulla base del tempo impiegato da lui e dai suoi 3 assistenti; i materiali vennero forniti a parte. La tariffa annuale in fiorini per ciascuno dei 4, mantenimento escluso: Beato Angelico 200 Benozzo Gozzoli 84 Giovanni della Checha 12 Jo da Poli 12 Quando successivamente, la bottega si spostò ad Orvieto, essi percepirono la stessa paga, tranne Giovanni della Checha, la cui paga raddoppiò. Si poteva così spendere molto di più se una vasta parte del dipinto era eseguita direttamente dal maestro. Per le richieste degli affreschi invece, potevano essere meno esigenti: es. Filippo Lippi che stipulò un contratto per gli affreschi della cappella Strozzi in Santa Maria Novella, dicendo che il lavoro doveva esser svolto solo da lui, sopratutto per importanti figure e architetture. Il cliente conferisce lustro al suo dipinto non con l’oro, ma con la maestria. Anche Sant’Antonino, arcivescovo di Firenze, nella sua Summa Theologica, parlava dell’arte degli orafi e dei loro salari giusti, citando i pittori come esempio di compenso adeguato al talento personale. Le persone illuminate che acquistavano l’abilità, spinte dall’individualità dell’artista significativa, erano abbastanza numerose alla fine del 400, in contrasto con la rozzezza di Broso d’Este che pagava i dipinti a piede quadro. Questa richiesta delle abilità avveniva secondo diversi modi: richiesta sullo sfondo di raffigurazioni piuttosto che dorature Pagando l’intervento personale del maestro chiedendo così un impegno di vaste proporzioni e che risultasse poi evidente al fruitore (ma non sappiamo quale marchio dovrebbe aiutarli a riconoscere la mano dell’artista). REAZIONE DEL PUBBLICO ALLE OPERE Esaminare le testimonianza della reazione del pubblico di fronte alla pittura è difficile essendoci pochi documenti. Alcuni testi derivano da uomini colti che imitavano l’antica critica d’arte di scrittori come Plinio il Vecchio, ma limitandosi a dire che un quadro è buono o ricco di talento. DUCA DI MILANO PER LA CERTOSA DI PAVIA Una trascrizione delle loro qualità e differenze poteva verificarsi solo in circostanze non comuni. Un esempio eloquente è intorno al 1490 con il duca di Milano che assume alcuni pittori per decorare la Certosa di Pavia: il suo agente a Firenze gli inviò una lista di migliori pittori: Botticelli Filippo Lippi Perugino Ghirlandaio Da questo resoconto emerge: una distinzione tra affresco e pittura su tavola che i pittori sono considerati in concorrenza tra loro. Che bisogna fare delle distinzioni sul fatto che un artista sia migliore di un altro E che un artista abbia uno stile diverso da un altro Anche se questo testo doveva fornire aggiornamenti su questo affresco a Milano, il tutto e deludente. Si parla dei singoli artisti facendo osservazioni e cercando di capire i significati da parte dell’agente milanese, che sono però diverse da quelle che coglieremmo oggi. Vi è però anche una difficoltà di carattere lessicale: vi sono Sfumature diverse per noi e per lui nell’interpretare un opera, oltre che un modo diverso di guardare i dipinti a seconda del contesto ed epoca di provenienza. CAPITOLO 2 L’OCCHIO DEL 400 IL MODO DI GUARDARE I DIPINTI La luce entra nell’occhio attraverso la pupilla, viene raccolta dal cristallino e proiettata nel retro dell’occhio, la retina. Quest’ultima, attraverso una rete di fibre nervose, filtra la luce grazie ai ricettori, i coni. La reazione dei coni, sensibili sia alla luce che al colore, porta al cervello le informazioni sulla luce ed il colore. Arrivata al cervello la percezione cessa di esser uniforme e diventa soggettiva. Il cervello deve interpretare i dati relativi a luce e colore ciò avviene sia grazie a capacità innate che a quelle che derivano dall’esperienza. Il cervello ricava dettagli sia dal suo bagaglio di schemi, deduzioni e analogie (tondo, grigio,liscio). Questi forniscono una struttura e quindi significato alla complessità dei dati visivi. La vista vede degli oggetti che il cervello classifica e ne da una descrizione servendosi dei dati che conosce. Ma ognuno elabora i dati che gli vengono forniti in maniera differente, anche se le differenze sono modeste essendo che ognuno, sa riconoscere se una cosa è alta o bassa, vicina o distante. La propensione a dare un interpretazione piuttosto che un altra può dipendere: contesto dell’immagine (se specificato) Capacità interpretativa di ciascuno (categorie modelli di deduzione e analogia, “stile conoscitivo”) Conoscendo le figure di base delle forme geometriche nella Fig. 2, è molto più semplice individuarle nella Fig. 1 anche se sovrapposte, e saperle “scomporre” in un rettangolo e un cerchio rispetto alla sua forma complesse. Il contesto della Fig. 1 si trova nella descrizione della Terra Santa stampata a Milano nel 1481. Il contesto aggiunge due elementi importanti: che è stata fatta con l’intento di rappresentare qualcosa fa riferimento alle convenzioni rappresentative (questa viene associata ad una pianta) Quest’interpretazione della pianta ci appare complessa essendo che quest’interpretazione non rientra nella nostra cultura, essendo che non abbiamo, come loro, esperienze di architettura italiana del 15º sec. Abbiamo quindi 3 strumenti legati alla cultura che danno un interpretazioni all’opera: la serie di schemi, categorie e metodi di seduzione Usare una gamma di convenzioni rappresentative L’esperienza, ricavata dall’ambiente, per visualizzare ciò di cui abbiamo un informazione incompleta (questi elementi cooperano insieme) La Fig. 3 rappresenta un fiume, inserendo almeno due convenzioni rappresentative. - Le sirene e il paesaggio miniaturizzato a Sx sono rappresentati da contorni di forme indicati da linee, con punto di vista in basso - Il corso del fiume è reso in modo geometrico, con punto di vista sulla verticale. La rappresentazione dell’acqua con increspatura lineare costituisce la mediazione fra uno stile rappresentativo e l’altro. La 1º convenzione dell’acqua è più legata a ciò che si vede, mentre la seconda è più astratta e concettulaistica (increspatura acqua). Entrambe complicano la capacità di interpretare i segni come delle rappresentazioni che semplificano la realtà all’interno di regole. Nella realtà non vediamo un albero come in una superficie bianca piana e circoscritta in linee; eppure l’albero nella realtà è la somma dettagliata di ciò che si trova in un dipinto, e lo stile conoscitivo condiziona anche il modo di percepire un dipinto. VISIONE DEL QUADRO E ANNUNCIAZIONE DI PIERO DELLA FRANCESCA Ad esempio l’affresco dell’Annunciazione di Piero della Francesca ad Arezzo. La convenzione rappresentativa si basa qui sul fatto che il pittore dispone i colori su un piano bidimensionale per riferirsi a qualcosa di tridimensionale. Ma è difficile che ci possa ingannare a tal punto da credere che un dipinto sia vero. Leonardo però ci spiega che spesso la superficie piatta raffigurata in un dipinto richiamava il mondo tridimensionale. Sappiamo che il fruitore di un dipinto cercava il talento. E il fruitore colto era convinto fosse suo compito dare un giudizio all’opera. Ogni uomo che avesse rispetto intellettuale di se era tenuto ad esprimersi. Il dipinto risente però dei tipi di capacità interpretativa (schemi, categorie, analogie) che la mente gli fornisce. La capacità di riconoscere una forma o un rapporto di forme, influisce sull’attenzione che l’uomo dedica al quadro, ad esempio se ha: un'abilità nel notare i rapporti proporzionali nel ridurre le forme complesse a semplici o nel conosce una ricca gamma di categorie per i diversi tipi di rosso e bruno Tutte queste capacità porteranno a una lettura dell’Annunciazione di Piero della Francesca diversa da quella di gente priva di tali capacità, più acuta rispetto a loro. Ci sono delle capacità percettive più adatte di altre a un certo dipinto: servirebbe qui un esperto nel classificare le linee inclinate, come ad esempio uno con la conoscenza della muscolatura superficiale del corpo umano non era utile nel caso dell’Annunciazione. Il gusto = mix tra l’analisi richiesta da un dipinto e l’effettiva capacità di analisi del suo fruitore. Se un dipinto ci fornisce l’occasione per delle nostre capacità, ci ricompensa con la sensazione di aver saputo cogliere il modo in cui quel dipinto è organizzato, siamo portati a provarne piacere e quindi risulta di nostro gusto. Non è così invece quando l’uomo è privo di quelle capacità di saper organizzare il dipinto. Anche il dipinto contiene però queste informazioni tratte dall’esperienza generale che noi, con una cultura abbastanza vicina al 400, ci aiuta a non fraintendere i dipinti. Es. la lettura dell’Annunciazione di Piero della Francesca è possibile attraverso due basi: la presenza di elementi architettonici rettangolari e regolari La conoscenza della storia dell’Annunciazione senza queste informazioni di base date dalle nostre capacità percettive ci sarebbe difficile dedurre la storia. La logica del dipinto dipende dal fatto che noi supponiamo che la loggia sporga ad angolo retto dalla parete di fondo; eliminando questa ipotesi ci si trova in un incertezza dello schema spaziale della scena: la loggia forse meno profonda si spinge fuori verso sx formando un angolo acuto il soffitto viene inclinato verso il basso Le piastrelle del pavimento diventano da rettangoli a rombi Se non si sapesse la storia dell’Annunciazione poi, sarebbe difficile distinguere cosa sta accadendo nel dipinto; persa la dottrina cristiana si suppone che le sue figure stiano rivolgendo una devota attenzione alla colonna. Piero però poteva contare sul fatto che il fruitore riconoscesse l’Annunciazione immediatamente, permettendogli così di modificarlo e adattarlo. La posizione frontale di Maria risponde a diverse esigenze: provocare la partecipazione del fruitore La sua collocazione nella cappella di Arezzo costringe il fruitore a guardare l’affresco da destra Contribuisce ad indicare il momento di dubbio di Maria verso l’angelo, che precede la sua sottomissione al destino. (La gente del 400 era infatti in grado di fare distinzioni fra stadi successivi dell’Annunciazione). GIUDIZI DEI COLTI AI DIPINTI Visto che le persone colte si sentivano di dover dare dei giudizi ai dipinti, vi era una ricerca dell’abilità del pittore, che legava le sue opere alle convenzioni e ipotesi economiche ed intellettuali. L’unico sistema per esprimere però questi giudizi era in maniera verbale: il fruitore del rinascimento era quindi spinto a trovare termini adatti a definire un oggetto, parole appropriate sulla garanzia di competenza verso un dipinto. Il fruitore avendo conoscenza dei concetti riusciva ad abbinare i concetti allo stile pittorico. Nella cultura attuale vi sono invece delle persone iperculturalizzate che: possiedono una gamma estesa di definizioni relative all’interesse pittorico Una terminologia appropriata all’ambito e concetti specifici riguardanti la qualità dei dipinti La maggior parte dei committenti per cui il pittore lavorava nel 400, possedeva queste categorie relative alla qualità dei quadri (scorcio, azzurro ultramarino, panneggio…), e imparava a dare una valutazione degli oggetti che esistono per natura o per arte. Vi è però una distinzione tra le capacità visive più correnti (assorbite dall’infanzia) e quelle specifiche che riguardano la lettura delle opere d’arte; queste vengono apprese in modo formale, con sforzo cosciente e sono insegnate. Quelle che apprendiamo hanno delle regole e categorie, oltre che una terminologia e dei modelli stabiliti. fiducia di una capacità sviluppata e apprezzata Distorte della relativa terminologia rendono tali capacità adatte a un uomo in relazione con un dipinto LE DIVERSE SPECIALIZZAZIONI DEI COLTI Lo stile conoscitivo, con cui il pubblico affrontava i complessi stimoli visivi dei dipinti, era limitato a persone la cui reazione alle opere d’arte era di importanza fondamentale per l’artista (della stessa classe sociale del committente) si parla quindi di una porzione ristretta della popolazione: mercanti e professionisti Principi e cortigiani Superiori ordini religiosi I contadini e cittadini poveri avevano un ruolo irrilevante nella cultura del 400. Anche all’interno di classi colti c’era spesso una gerarchia; sia tra uomini che tra gruppi, facendo si che un uomo dia giudizi validi e precisi sui campi nel quale è esperto. Gli stessi pittori costituivano un sottogruppo. Anche se i nobili del 400 potevano esser più dotati per qualcosa, qualcuno per gli affari, per la religione, per le buone maniere; ognuno aveva però in sé qualcosa di ciascuna (essendo attività tipiche del rango), e questo comune denominatore di capacità veniva colto dal pittore che lo inseriva per soddisfare il suo pubblico RIASSUNTINO: Alcuni strumenti mentali con cui l’uomo spiega la sua esperienza visiva posso variare, e buona parte di questi derivano da un dato culturale, quindi determinati dall’ambiente sociale che ne influisce. In questi rientrano delle categorie grazie al quale classifica gli stimoli visivi, e queste categorie sono conoscenze a cui attinge per una percezione immediata. Il fruitore deve cogliere nel dipinto le capacità visive di cui dispone, dato che sono poche di solito quelle specifiche per la pittura, ed il fruitore sarà incline a usare le capacità piu apprezzate dalla sua società. Il pittore deve fare i conti con la capacità visiva del pubblico inserendo nei suoi quadri stimoli immediatamente comprensibili e analizzabili dai fruitori. Anche il pittore facendo parte della società partecipa all’esperienza visiva e alle abitudini della società. DIPINTI RELIGIOSI Mei dipinti del 15º sec sono di carattere religioso. I dipinti religiosi vengono creati per fini istituzionali, dando un contributo all’attività intellettuale e spirituale, il tutto sotto la giurisdizione ecclesiastica delle immagini, con regole ormai consolidate. Ma qual era la funzione religiosa di questi dipinti? Avevano triplice scopo, il Catholicon di Giovanni di Genova li riassume: per l’istruzione dei semplici Per ricordare il mistero dell’incarnazione e gli esempi dei santi Per suscitare devozione, stimolata più efficacemente dalla vista che dall’udito Quindi vengono usati come stimoli per meditare sulla Bibbia e i santi, questi dovevano raccontare la storia in modo chiaro per la gente semplice, rendendola avvincente e suscitando emozioni. Vi erano però degli abusi sia nelle reazioni del pubblico di fronte ai dipinti, sia nel modo in cui i dipinti venivano fatti. l'idolatria rappresentava una preoccupazione costante, essendo che la gente semplice poteva facilmente confondersi. Ma l’idolatria non ebbe mai un pressante problema di pubblico scandalo, e l’opinione pubblica laica riteneva che la si potesse considerare soltanto un uso scorretto delle immagini. Per questo la chiesa non agiva sul problema. Per quanto riguarda i dipinti stessi, vi erano talvolta però degli errori che andavano contro la teologia e il buon gusto. Vi erano soggetti con implicazioni eretiche, soggetti apocrifi e soggetti meno chiari che venivano trattati con in modo frivolo e indecoroso. Ad es. in molti dipinti il Cristo veniva erroneamente mostrato mentre imparava a leggere. Nell’Adorazione dei Magi di Gentile da Fabriano, dipinto per Palla Strozzi nel 1423, ritrae le scimmie, i cani ed i costumi elaborati che sant’Antonio considerava vani e superflui. Questa è un accusa tipica mossa dai teologi, ma quando Sant’Antonio guarda ai dipinti del suo tempo può aver sentito che le 3 funzioni assegnate dalla Chiesa alla pittura venissero rispettate: dipinti chiari Attraenti e indimenticabili Rappresentazioni toccanti di storie sacre Per il pittore la traduzione in immagini di storie sacre era un compito professionale. Bisognava avere la capacità di concepire visivamente almeno gli episodi fondamentali della vita di Cristo e di Maria. Le visualizzazioni del pittore erano esteriori, quelle del pubblico interiori, ed ogni pittore doveva misurarsi con un'attiva visualizzazione interiore. Dal momento che i fruitori potevano inserirsi nell’opera con immagini interiori, il pittore doveva evitare di caratterizzare nei particolari le persone e i luoghi. Ciò avrebbe interferito con la personale visualizzazione di ognuno. I pittori degli ambienti devoti, come Perugino, dipingevano persone comuni, non caratterizzati e intercambiabili. TRASFIGURAZIONE DI GIOVANNI BELLINI Non fornisce dettagli di luoghi e personaggi, ma integra la visione del fruitore. I suoi personaggi e i suoi luoghi sono generici e tuttavia concreti, strutturati secondo schemi di suggestione narrativa. Il dipinto è la testimonianza di una collaborazione tra Bellini e il suo pubblico. Visualizzava la mente del pubblico che aveva una preparazione e delle attitudini diverse dalle nostre. A noi piace sopratutto la parte dello squilibrio da cui siamo stimolati, che mostra un'estrema concretezza a scapito del particolare che viene invece poi fornito dal fruitore. Il pittore si rivolgeva a persone istruite sullo stesso argomento, e in modo formale e analitico. PREDICATORI POPOLARI E FRA ROBERTO CARACCIOLO I predicatori popolari invece erano privi di gusto e miravano a infiammare gli animi, ma erano anche insegnanti, che addestravano i loro fedeli ad acquisire capacità interpretative. Un esempio è Fra Roberto Caracciolo, che durante le festività toccava molti temi trattati dia pittori, spiegando il significato e risvegliando i sentimenti di pietà in ciascun episodio: La Natività racchiude i misteri: umiltà Povertà Gioia La Visitazione: maternità L’esser lodato L’invenzione = l’atto di Maria di andare a trovare Elisabetta che abitava lontano Conversazione L’Annunciazione ha 3 misteri principali: L’Angelica Missione L’Angelica Salutatione L’Angelica Confabulazione Nell’Angelica missione Fra Roberto individua: Congruita = la mediazione dell’angelo tra D-o e il mortale Dignità = l’Arcangelo Gabriele che fa parte dell’ordine più alto degli angeli Chiarita = L’Angelo che si manifesta agli occhi di Maria Temporalità = La stagione di marzo, in cui la terra fiorisce Località = La città di Nazareth Nell’Angelica salutatione individua: Honoratione = L’angelo che si inginocchia davanti a Maria Exeptione = esenzione delle doglie del parto Gratificatione = conferimento della grazia Benedictione = beatitudine di Maria vergine ANGELICA CONFABULATIONE: è l’ultimo mistero e il momento cruciale che il pittore doveva rappresentare. all’interno di questa Fra Roberto, analizzando il racconto di San Luca, delinea 5 condizioni spirituali (o stati d’animo) di Maria: conturbatione Si stupì non per l’incredulità ma per l’ammirazione, non si meravigliò dell’apparizione, ma di quell’alto e solenne saluto che le veniva rivolto cogitatione si ritrae chiedendosi il perché di questo saluto solenne, per il quale l’angelo poi gli dice di non temere Interrogatione Si chiede come questa nascita possa avvenire, essendo lei ancora vergine Humilitatione l’angelo non la chiama donna o regina, ma serva/schiava del signore Meritatione la vergine accettò e vide cristo incarnato nel suo ventre fa seguito al congedo dell’arcangelo Gabriele Quando Maria rimane sola si parla di rappresentazioni dell“Annunciata”, mentre le altre quattro suddivisione erano all’interno della reazione di Maria verso l’Angelo. I predicatori preparavano il pubblico a una corrente narrativa dei fatti che i pittori seguivano poi per un coinvolgimento emotivo dell’evento. Beato Angelico = annunciazione con Humiliatione Botticelli = Annunciazione con Conturbatione Piero della Francesca = Annunciazione con Contigiazione LA FIGURA UMANA La figura è principalmente caratterizzata dal suo atteggiamento (visto che fisionomia lasciata al fruitore). Ma la figura di Cristo era un eccezione, non lasciava spazio a un'immaginazione personale, essendo che il 15º sec. Era convinto di avere una testimonianza del suo aspetto. La Vergine era rappresentata in modo meno uniforme, nonostante i ritratti di San Luca. Vi era ad esempio il problema del colore della carnagione. Anche i Santi, sebbene avessero segni fisici e elementi emblematici di identificazione, consentivano un margine di intervento per il gusto individuale. Vi era poi lo studio dei tratti del volto e delle sue caratteristiche, anche se era a quei tempi troppo accademica e riservata alla medicina, anche Leonardo Da Vinci diceva che il pittore dovesse limitarsi a rappresentare i gesti di ciò che viene raccontato e riprodurlo. Bisogna conoscere il linguaggio silenzioso delle opere per comprendere bene la gestualità dei suoi personaggi. Vi era una gradualità di espressioni gestuali proprie di differenti tipi di persone, dal vigore dei giovani amanti al ritegno dei vecchi saggi. Ma il gesto è utile per la lettura dei dipinti. Non vi sono dizionari sui linguaggi dei gesti del rinascimento, ma le fonti offrono delle indicazioni sul significato dei gesti, ricorrenti nei dipinti. Hanno lasciato delle descrizioni sui gesti i predicatori e monaci votati al silenzio. Mostrano elenchi del linguaggio elaborati nell’ordine benedettino. Affermare = la mano verso l’alto con il palmo in su Indicare = palmo esteso per concentrare l’attenzione verso qualcosa Dolore = mano sul petto come segno di dolore fisico o emotivo Vergogna = coprirsi gli occhi con le mani Es.”la cacciata dei progenitori dal paradiso terrestre” di Masaccio, mostra Adamo che esprime vergogna ed Eva dolore, mostrando l’emotività della coppia Ma anche i gesti di Eva della mano sul cuore e il volto verso l’alto indicavano gioia, bisognava quindi vedere il contesto del racconto. San Bernardino da Siena lamentava che i pittori nella Natività raffigurassero San Giuseppe con il mento poggiato alla mano, come malinconico, ma Giuseppe era un vecchio sereno e così andava raffigurato. Anche se è un gesto che viene usato sia per malinconia che per meditazione. Molti predicatori in giro per il mondo usavano questi gesti, alle volte eccessivi, per farsi capire, soprattutto se votati al silenzio. I pittori, infatti, inserivano nelle loro opere queste espressioni fisiche del sentimento, derivate dai predicatori. I 5 PRINCIPALI GESTI TRADIZIONALI 1. Se parli di un argomento solenne alzati in piedi dritto 2. Quando parli di crudeltà o ira stringi il pugno e scuoti il braccio 3. Quando parli di cose divine guarda verso l’alto e indica col dito 4. Quando parli di gentilezza o umiltà posa le mani sul petto. 5. Quando parli di argomenti santi o di fede tieni le mani alzate Beato Angelico nell’incoronazione della Vergine segue il 5º gesto dell’elenco: vi sono infatti sotto alcune figure che compiono questo gesto. Ma i gesti erano anche utili per diversificare una serie di santi. Vi era poi il gesto devoto, difficile da classificare essendo che non veniva insegnato nei libri ma cambiava secondo la moda. Nella 2º metà del sec. Si usava un gesto che racchiudeva invito e benvenuto: la mano del palmo alzata e le dita aperte a ventaglio verso il basso. Un'espressione di signorile autocontrollo viene usata da Pinturicchio, in chiave drammatica, nel gruppo delle tre tentatrici nell’atto di tentare Sant’Antonio Abate. Le fanciulle rappresentano il 2º dei 4 stadi della tentazione di Sant’Antonio “Carnalis stimulatio”. Il manuale per le fanciulle “Decor Puellarum” stabiliva delle norme precise, tra queste il tener le mani giunte, e quando una fanciulla viola la regola, fa segni d’invito con tutte e due le mai. Es. “La Primavera” di Botticelli: vediamo Venere al centro che ci invita con la mano e lo sguardo nel suo regno. E non possiamo cogliere il senso del dipinto se non ne interpretiamo i gesti. È poi difficile percepire la differenza tra il gesto religioso e quello profano. Non è una distinzione netta: un gesto religioso veniva spesso usato per un soggetto profano. LA PITTURA E IL TEATRO La figura rappresentata nelle opere si mette in relazione con le altre, il pittore ne suggerisce rapporti e azioni, creando dei gruppi, anche per realizzare dei drammi sacri. Questi nel 15º sec. a Firenze videro una grande fioritura, mentre a Venezia queste rappresentazioni erano vietate. Queste rappresentazioni drammatiche però devono aver contribuito alla capacità di visualizzare gli avvenimenti rappresentati. Le descrizioni che troviamo nelle sacre scritture mostrano effetti spettacolari, che spesso non si accordano alla delicatezza suggestiva dell’opera del pittore. Ma il pittore, nella sua complessa composizione di gruppi di poche figure, suggerisce un avvenimento drammatico, con rapporti in movimento, anche senza un'effettiva mobilità. La recitazione degli spettacoli mostra in comune con i dipinti delle convenzioni antidrammatiche per includere lo spettatore nelle rappresentazioni. Questo poteva avvenire grazie alla figura del festaiolo, spesso un angelo, che restava sulla scena durante lo svolgimento dello spettacolo, come un tramite tra il pubblico e le vicende rappresentate. Ciò veniva anche adottato dal pittore. Di solito gli spettacoli venivano recitati da figure che non lasciavano il palcoscenico, sedevano invece sulle sedie da palco, alzandosi per recitare la propria parte. Es. “Vergine e il bambino con i santi” di Filippo Lippi, le figure dei santi assistono sedute in attesa del loro turno per alzarsi e recitare. In un dipinto poi, le figure, volte l’una verso l’altra, evocavano un rapporto intellettuale o emotivo, di ostilità, amore o comunicazione. Il pittore sapeva che il suo pubblico aveva gli elementi per riconoscere, con piccoli suggerimenti, una figura di Cristo, l’altra di Giovanni Battista che stava battezzando il Cristo. La sua opera era di solito una variante sul tema noto al fruitore. Ma questo modo di rappresentare i rapporti fisici fece crescere una più rozza tradizione popolare di immagini su gruppi e gesti. Il fruitore era disposto a leggere i rapporti che c’erano all’interno dei gruppi. Nel “Battesimo di Cristo” di Piero della Francesca, nei 3 angeli a sinistra, una delle figure fissa noi o un punto appena sopra. Questa azione stabilisce tra noi e la figura un rapporto tale che ci sentiamo attratti da essa e dal suo ruolo. È quasi un festaiuolo. Ha sempre un ruolo secondario, o di angelo che assiste, o dama di corte, e si trova in stretto rapporto con altre figure simili. Questi fissano il punto centrale della narrazione, Cristo battezzato. Siamo invitati ad unirci al gruppo di figure che assistono all’evento, e siamo così fruitori, guardando l’azione, ma siamo anche attori, instaurando un rapporto con il gruppo di angeli. Diventiamo così parte attiva dell’avvenimento, con un'azione reciproca di azione psicologica. LA PITTURA E LA DANZA Nel 15º sec. La danza a passo lento aiuta a comprendere la composizione dei gruppi in pittura. I danzatori erano concepiti e classificati in gruppi di figure, in schemi, e gli italiani ne descrivevano i movimenti come visti da uno spettatore. Il trattato della pittura dell’Alberti e quello sulla danza di Guglielmo Ebreo anno in comune una preoccupazione per i movimenti fisici come riflesso dei moti mentali. I trattati di danza esprimono dei rapporti psicologici. Es. nella danza “Cupido” gli uomini eseguono delle piroette che suggeriscono che sono legati tra loro, e inseguono le loro partner. Come tutto ciò fosse usato dai pittori nel creare dei gruppi è evidente nei dipinti di soggetto neoclassico e mitologico, più che in quelli religiosi. Es. “La nascita di Venere” di Botticelli, fu dipinta negli anni 80 per Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici. Suo cugino, Lorenzo il Magnifico, aveva già composto però una danza intitolata Venus. La forma è sempre quella delle due figure laterali che dipendono da quella centrale. Ma questa danza non ha influenzato il dipinto: ma sia la danza che il quadro di venere vennero creati per gente con lo stesso tipo di approccio alle scene artistiche di gruppo, cioè un pubblico con una capacità interpretativa degli schemi di figure. Quando bisognava dipingere invece un soggetto neoclassico, privo di tradizione prestabilita, il pittore poteva far danzare le figure in modo da esprimere il loro rapporto. I COLORI Le rappresentazioni dei personaggi non venivano costruiti attraverso modelli di gente reale, ma in base ai modelli desunti dall’esperienza di gente reale. Lo stesso vale per l’ambiente e i loro colori. I colori vengono riuniti in delle serie simboliche che Sant’Antonio e altri elaborarono in un codice teologico: - Bianco = purezza - Rosso = carità - Giallo/Oro = dignità - Nero = umiltà Alberti e altri invece forniscono un codice relativo ai quattro elementi: - Rosso = fuoco - Blu = aria - Verde = acqua - Grigio = terra C’era anche un codice astrologico sul quale si basava Leonello d’Este, marchese di Ferrara, per la scelta degli abiti. Ciascun codice poteva operare solo all’interno di limiti ristretti: poteva riferirsi al codice araldico per gli stemmi, o al codice teologico per i costumi religiosi, e al codice astrologico per Leonello d’Este. Ma i codici non potevano far parte del normale modo di vivere l’esperienza visiva. I simbolismi legati ai codici non sono importati in pittura. La cosa più vicina a un codice è la sensibilità ai diversi gradi di preziosità delle tinte, che il pittore usava per mettere qualcosa in evidenza. Spesso si usava l’azzurro ultramarino per Maria e per il resto l’Alemagna. Vi sono 3 livelli di adorazione: - Latria = massimo di adorazione dovuta solo alla trinità (attraverso oro) - Hyperdulia = referenze per eccellenza, dovuta solo alla Vergine - Dulia = forma più lieve di referenza, data ai santi, angeli e padri della chiesa I clienti volevano quindi ostentare il loro prestigio attraverso i colori, e vi eran quindi colori costosi, come l’azzurro ultramarino, il rosso fatto d’argento + zolfo; vi erano poi i colori più economici, le terre, l’ocra e la terra d’ombra. L’occhio era colpito da quelli preziosi prima che dagli altri. Vi era però per questo un disgusto intellettuale e pittorico: questo disgusto si esprimeva in una disputa sulla relatività del colore. Ne siamo a conoscenza anche grazie all’’affermazione letteraria dell’umanista Lorenzo Valla, esasperato dalla gerarchia araldica dei colori. Su questa discussione ci sono molte prese di posizione dei pittori. Il richiamo del Valla al limitato settore della natura, rappresentato da prati fioriti, era convenzionale: lo scultore Filarete si riferiva agli stessi prati in alcune osservazioni sull’ accostamento di tinte. Le osservazioni di Alberti sulle armonie di colore sono meno semplicistiche e non in rapporto con il simbolismo degli elementi. ISTRUZIONE A FIRENZE E LA MISURAZIONE DELLE FORME Un ragazzo nelle scuole laiche o municipali: - 4 anni di scuola elementare o botteghuzza, dove imparava a leggere e scrivere per una base di corrispondenza commerciale e formule notarili. - Poi, per 4 anni, perseguiva studi in una scuola secondaria, l’abbaco. Qui studiavano libri impegnativi come Esopo e Dante, con un insegnamento basato sulla matematica. - Università per diventare avvocati, ma nella borghesia bastavano le nozioni della scuola secondaria, nucleo della formazione intellettuale e culturale. La matematica era commerciale, strutturata sulle esigenze del mercante e sulle principali nozioni, tra queste la misurazione: le merci venivano trasportate in contenitori standard solo dal 19º sec., prima ogni contenitore era unico. Venivano misurati i barili e se ne calcolava il volume. Le istruzioni per misurare un barile sono prese da un manuale per mercanti, scritto da Piero della Francesca, De abaco, che mostra lo strettissimo rapporto tra il pittore e la geometria mercantile. - Da un lato molti pittori, loro stessi uomini di affari, erano passati attraverso l’istruzione matematica delle scuole laiche - Dall’altro il pubblico aveva le stesse nozioni geometriche per guardare i dipinti ed esprimerne dei giudizi. Il pittore provocava quindi l’intervento del misuratore inserendo oggetti che erano solitamente utilizzati negli esercizi di misurazione (cisterne, colonne, torri di mattoni, superfici pavimentate…) Es. ogni manuale usava un padiglione come esercizio per calcolare le aree di superficie (era un cono e un cilindro insieme); quando un pittore come Piero usava un padiglione nella sua pittura, invitava il suo pubblico a misurare. Non a fare dei calcoli, ma a riconoscere nel padiglione un composto di un cilindro e un cono. Ciò stimolava la vista come qualità di immediatezza e forza. Il pittore dipendeva dall’attitudine del pubblico a misurare. Quasi tutto era riconducibile alle figure geometriche (pila di grano ridotta a cono, barile a cilindro). Come un uomo misurava una balla, così il pittore misurava una figura. Entrambi avevano una tendenza a ridurre delle masse e dei vuoti irregolari a combinazioni di corpi geometrici calcolabili. Il cappello di Niccolò da Tolentino nella “Battaglia di San Romano” di Paolo Uccello. Può esser visto come: - Il cappello tondo coronato da una balza - e un mix di un cilindro + un disco poligonale a forma di cappello. Il cappello attira la sua attenzione per la sua dimensione e il suo sfarzo esagerati. Il disegno mostra una tridimensionalità dei cappelli che si comportano come bidimensionali, allargandosi piattamente senza tener conto della forma dell’oggetto, che anche se poligonale. Qui la geometria è meno funzionale, ma il pensare alla corona come a qualcosa di poligonale richiede non solo abitudini di ipotesi, ma anche un elemento di energia e interesse per spingersi fino al punto di divertirsi nello svolgere l’esercizio. I concetti geometrici di misurazione e la sua attitudine a esercitarli, rende più acuta la sensibilità visiva di fronte alla realtà di un volume. Es. nella Trinità di Masaccio, Maria è identificabile come un massiccio tronco di cono. Il pittore, rispetto alla sua istruzione, usa diversi mezzi per uno scopo analogo: come nella convenzione toscana, che suggerisce la massa indicando i toni di luce e ombra attraverso una fonte di luce, rendendo chiaramente il suo volume. Diverso invece era Pisaello, di cultura settentrionale, che rende più i contorni caratteristici rispetto ai toni. Egli andava incontro all’attitudine di misurare attraverso delle figure di torsione, che presentavano spirali intorno al corpo, come un'edera intorno a una colonna. E sembra che l’Italia preferisse questa convenzione PROPORZIONI MERCANTILI Nel trattato sulla Vita civile, il fiorentino Matteo Palmieri raccomandava lo studio della geometria per rendere acute le menti dei bambini. Il banchiere Giovanni Rucellai sostituiva invece la geometrica con l’aritmetica, altra branca della matematica commerciale che portava a uno studio della proporzione. Il mercante fiorentino Onofrio Dini propose un problema che riguardava una vedova e dei gemelli, e l’eredità di questi. Sono interessanti le regole aritmetiche che questo comportava e lo scopo pratico dell’esercizio: sotto alla vedova e i gemelli, vi erano 3 capitalisti che traggono un certo profitto a seconda dei loro investimenti in qualche impresa commerciale a rischio. Luca Pacioli riporta la storia di Onorio Dini nel suo Summa de Arthmetica del 1494. I mercanti italiani colti del rinascimento usavano a Regola del Tre, cioè una proporzione di 3 oggetti differenti. Ciò avveniva collegando i numeri attraverso linee curve nella notazione, che connotavano i rapporti tra i termini. La Regola del Tre rappresenta il modo in cui il rinascimento trattava i problemi di proporzione, che potevano riguardare: - l’allevamento - La mediazione - Lo sconto - La tara - Il baratto o scambio di valuta Ad es. ogni città importante aveva la sua valuta, oltre che i propri pesi e misure. La difficoltà di questa regola era il ridurre in formula di proporzione geometrica un problema complesso. Piero della Francesca aveva una preparazione sia per il baratto che per gli intervalli e proporzioni (architettoniche e umane) che inseriva nei suoi dipinti, che l’uomo di commercio riusciva facilmente a cogliere. Nella Fig. 4 ci sono due problemi di proporzione che riguardano un calice e un pesce, questi due sono posti in proporzione per i loro risvolti commerciali dei problemi di peso. Lo studio delle proporzioni del corpo umano fatto dal pittore era sommario a paragone della proporzione geometrica attuata dai mercanti Vi era poi la scala armonica pitagorica, discussa nella teoria musicale e architettonica del 15º sec. Questa armonia occidentale poteva esser trascritta sotto forma di Regola del Tre. Nella “Scuola di Atene” di Raffaello, l’attributo di Pitagora è una tavoletta con una serie armonia di intervalli, usata da musicisti e talvolta da architetti e pittori, comprensibile grazie all’istruzione commerciale. Il 400 attribuiva un valore eccezionale alle capacità matematiche come la misurazione e la Regola del Tre. Questa veniva utilizzata negli affari molto più spesso di noi, la usavano anche in giochi e indovinelli. Portava uno sviluppo dell’esperienza visiva, sia nei dipinti che al di fuori di essi, attraverso la struttura di forme complesse come combinazioni di solidi geometrici e intervalli raggruppabili in serie. Erano sensibili ai dipinti che portavano i segni di tali processi. Vi era una continuità tra le capacità matematiche usate dai commercianti e quelle del pittore per la proporzionalità pittorica e la solidità. Il De abaco di Piero è la prova di questa continuità. Per questa profusione di abilità il suo mecenate lo pagava. VISIONE SPIRITUALE DELLA PROSPETTIVA E PITTURA Le qualità pittoriche che ci sembrano neutrali (proporzione, prospettiva, colore) in realtà non lo sono. L’occhio morale e spirituale riesce a interpretare i diversi tipi di interesse visivo morale e spirituale. Vi sono due generi di letteratura devota nel 400 che forniscono info su come ciò possa arricchire la percezione dei dipinti: - Libro o sermone sulla qualità sensibile del paradiso - Testo sulle caratteristiche della normale percezione visiva, tradotte in termini morali Secondo il 1º, la vista è la più importante dei sensi, e giocherà un ruolo fondamentale in paradiso. Vengono distinti 3 tipi di delizie che darà il paradiso rispetto alla nostra esperienza visiva terrena: - La maggior bellezza delle cose - Vista perfezionata e migliorata e un'infinita varietà di oggetti da osservare La maggior bellezza di queste cose si trova in 3 particolari: - La luce più intensa - Il colore più chiaro - La miglior proporzione (soprattutto nel corpo di Cristo) Ciò porta anche a una maggiore capacità di distinzioni tra una forma o un colore, visibili sia a grandissima distanza che attraverso i corpi. L’esperienza terrena che vi si avvicina di più è forse la conversione prospettica applicata a un disegno geometrico. Nel 2º tipo di testo vengono discussi alcuni aspetti della nostra normale percezione terrena. Vengono presi 13 fenomeni ottici abbastanza comuni (il bastone che a metà nell’acqua sembra piegato, se si mette un dito di fronte alla fiamma di una candela si vedono due dita), per trarne considerazioni morali. L’11º fenomeno rinvia alla percezione dei dipinti, portando un significato morale alla prospettiva lineare del 400. Il principio della prospettiva lineare mostra che la visione segue delle linee parallele e delle linee rette, che sembrano incontrarsi all’infinito in un unico punto. La difficoltà di questa conversione sorge nella pratica; nell’evitare che la prospettiva del dipinto appaia troppo schematica; un problema per il pittore e non per il fruitore, essendo che la gente del 400 era abituata ad applicare la geometria piana al mondo reale, poiché usata per misurare gli edifici e il terreno. Se si uniscono questi due tipi di pensiero: - L’esperienza geometrica nel percepire una costruzione prospettica complessa - Una cultura religiosa per interpretarne l’allegoria Emerge una sfumatura di rappresentazione narrativa dei pittori del 400. Il virtuosismo prospettico, che possiamo trovare nell’Annunciazione di Piero a Perugia, con una prospettiva di colonne che diminuiscono. Ma secondo la cultura religiosa, questa prospettiva viene considerata una forma di metafora visiva, che esprime la condizione della Vergine negli ultimi stadi dell’Annunciazione. A rivelare l’armonia tra lo stile della meditazione religiosa e l’interesse pittorico (proporzionalità, varietà e chiarezza del colore) sono alcuni dipinti del 400, che ci ricordano l’inafferabilità dello stile conoscitivo del 400. CAPITOLO 3 Dipinti e categorie Esistevano uomini d’affari che andavano in chiesa e danzavano, fra questi Lorenzo de’ Medici, chiamati “umanisti civili”. Le abitudini sociali più connesse ai dipinti sono quelle visive, con abitudini che non vengono registrate in documenti scritti. Il pubblico è personificato dal mercante che andava in chiesa e danzava, questo ha in se gli elementi di religione, educazione affari, e faceva parte quindi di quelle categorie di mecenati che pagavano i pittori. - Un principe come Leonello d’Este poteva sempre essere più dotato di cortesia e meno preparato in matematica. - Tra i principi più attivi nella commissione di buona pittura (come Ludovico Gonzaga a Mantova con Mantegna) erano anche ferrati in matematica. - Un finanziera come Rucellai conosceva bene la Regola del Tre, e a malapena danzava, ma assorbi i modelli del comportamento sociale del suo contesto. Ogni borghese o nobile era giustamente specializzato più in qualcosa rispetto a un altro. Abbiamo una lettera dell’agente Milanese su quattro pittori che lavoravano a Firenze, da qui possiamo analizzare le parole che li descrivevano: - “L’aria virile” di Botticelli = riguarda il suo modo di rappresentare le figure legandole alla bassa danza in maniera virile, e attraverso la Regola del Tre possiamo anche capirne il genuino senso di intervallo. - “L’aria più dolce” di Filippo Lippi = per aria si intende il carattere di movimento della figura e il dolce indica fiero e virile. - “L’aria angelica” di Perugino = argomenti religiosi per l’istruzione degli analfabeti - “Buona aria” di Ghirlandaio = ne abbiamo una descrizione sommaria, di un artista dal carattere poco marcato. Essendo che lo scrittore non aveva la capacità di descrivere lo stile pittorico dell’artista. Cristoforo Landino, grande critico d’arte, aveva conoscenze riguardo la pittura e la proprietà di linguaggio, per questo si rivolgeva a uomini comuni con lo scopo di essere da loro compreso. Dei 16 termini usati da Landino per descrivere i 4 maggiori fiorentini, alcuni erano pittorici, di uso comune nella bottega, che anche i non-pittori sapevano (ragione pittorica); Altri erano termini (virile, proporzione, angelica) tratti da un discorso più ampio, e ci dicono le generali origini degli schemi di giudizio del 400. PITTORI DI SPICCO DEL 400 Nella pittura del 300 abbiamo come pittori di spicco a Firenze: Cimabue, Giotto e i suoi allievi. Il 400 invece non ha uno schema netto: l’elenco più ricco si trova nel componimento poetico di un pittore che lavorò a Urbino, Giovanni Santi, padre di Raffaello Sanzio. Giovanni non è un artista importante, ma operò nella scuola dell’Italia settentrionale. Nel suo poema narra la vita e le gesta di Federico da Montefeltro, duca di Urbino, in occasione della visita di Federico a Mantova. In questo poema Giovanni Sanzio ci fa un elenco dei grandi maestri di pittura: Egli riconosce anche la buona qualità della pittura olandese, conosciuta e acquistata a Urbino, dove lavorava. Ma il maggior peso viene ovviamente attribuito a Firenze. Cristoforo Landino darà anche lui delle definizioni su altri quattro artisti Masaccio, Filippo Lippi, Andrea del Castagno e Beato Angelico. Cristoforo Landino era uno studioso latino e docente di poesia e retorica all’uni di Firenze, oltre che scrittore di lettere pubbliche presso la Signoria di Firenze. Egli era amico di Leon Battista Alberti ed era il traduttore della Naturalis Historia di Plinio. Alberti scrisse un trattato Della pittura, il primo trattato in Europa sulla pittura. Diffuso tra gli umanisti che si occupavano di pittura o geometria. - 1º libro = è una geometria della prospettiva - 2º libro = descrive la buona pittura suddividendola in 3 sezioni: il contorno dei corpi, la composizione e i toni e tinte - 3º libro = discute la formazione e lo stile di vita dell’artista Landino ne fu colpito e inserendolo nella sua opera contribuì a rendere noti alcuni dei concetti del libro di Leon Battista Alberti. La Naturalis Historia di Plinio fu scritta nel I sec. E comprende la più completa storia critica dell’arte classica. Il metodo di Plinio si fondava su una tradizione di uso della metafora: egli descriveva lo stile degli artisti con parole che avevano un significato nei suoi contesti sociali o letterari, non pittorici. Nella traduzione di Plinio fatta da Landino, i termini come austerus”, “durus”, “severus” ecc… venivano tradotti con “austero”, “duro”, “severo” ecc… Da Landino ci sarebbe aspettati che per il suo trattato usasse i termini di Plinio, sottili, ricchi e precisi per descrivere l’arte. Ma Landino non lo fece, non usò i termini di Plinio ma il metodo dei termini di Plinio. Come Plinio fece uso di metafore, o coniate da lui o della sua cultura, riferendosi allo stile pittorico, sociale e letterario del suo tempo (come “divoto” o “ornato”); Cos anche Landino usa termini ricavati dalla bottega degli artisti, termini non comuni, ma del pittore (“prospettico” o “rilievo”). Il resoconto sugli artisti si trova nell’introduzione in cui egli respinge l’accusa che Dante fosse stato anti- fiorentino e sostiene la sua lealtà e l’eccellenza di Firenze, nominando alcune sue figure importanti in vari ambiti. La sezione sui pittori si divide in 4 parti: - L’arte antica con Plinio - Il 300 con Giotto e altri pittori - Pittori fiorentini del 400, descrivendo anche alcuni scultori. Parla poi di pittori: Masaccio, Filippo Lippi, Andrea del Castagno e Beato Angelico MASACCIO Nacque a San Giovanni di Val’d’Arno nel 1401 e fu poi ammesso all’arte dei Pittori di Firenze nel 1422. Fra il 1423 e il 1428 dipinse i suoi maggiori lavori a Firenze: - Affresco della Trinità in Santa Maria Novella - Affresco nella cappella Brancacci in Santa Maria del Carmine Alla fine del 1428 Masaccio andò a Roma dove morì poco dopo. 1. Imitazione della natura e del vero Era un genere fondamentale nel Rinascimento, e si poteva dire di un bravo pittore che “rivaleggiava o superava la natura o realtà stessa”. Questo però ostacolava una corretta valutazione dell’artista, rappresentando una forma di lode e proponendo un generico realismo che non individuava la particolare forza espressiva e il carattere dell’artista. La natura e realtà sono due concetti relativi per ciascuno, e Masaccio era l’unico dei pittori del 400 a cui Landino attribuisce questa qualità. Anche Leonardo Da Vinci parlò di Masaccio come “imitatore della natura”, autonomo verso i libri di modelli e formule di repertorio della tradizione pittorica, cogliendo invece gli oggetti real così come si presentano. Leonardo parla di prospettiva e di luci e ombre, attraverso cui noi percepiamo le forme degli oggetti, e attraverso la “prospettiva” e il “rilievo” Landino loda Masaccio. 2. Rilievo Masaccio è il principale esponente del rilievo. Alberti usa “rilievo” per tradurre la parola latina “prominentia”, spiegando che la forma viene modellata a tutto tondo, ottenuta trattando i toni sulla superficie. Il termine era tecnico e con linguaggio di botteghe che Cennino Cennini usava nel suo Trattato della Pittura. In questo trattato mette in evidenza il rilievo di Masaccio e da delle indicazioni su come lo si debba guardare: sappiamo che la luce piena e le ombre vengono percepite come forma solo quando si abbia un'idea chiara di dove venga la luce, se non abbiamo questa idea i corpi risultano come superfici piatte e macchiate, dando l’effetto opposto di quello cercato dai pittori. 3. Puro senza ornato Puro vorrebbe dire “senza ornato”. Puro è uno dei latinismi di Landino, che nella critica letteraria è un termine che viene usato per definire uno stile privo di elementi ed essenziale. Ma Landino fa di un concetto negativo (“senza ornamenti”), un positivo (“conciso e chiaro”). Nella concezione della critica classica e rinascimentale, a “ornato” si contrapponeva sia il concetto positivo di semplice” che quello negativo di “povero”. La parola “Puro” ci dice quindi che Masaccio non era né ornato né spoglio. 4. Facilita Un termine tra facilità e abilità, nella critica letteraria veniva spiegato come il prodotto: - del talento naturale - E delle capacità acquisibili sviluppate attraverso l’esercizio La scioltezza che deriva dalla “facilita” era una delle qualità più apprezzate dal rinascimento. Alberti parla chiamando “diligenza congiunta con prestezza o “prestezza di fare congiunta con diligenza”, e ne dà origine dal talento, sviluppato con l’esercizio. Essa si manifesta in un dipinto che appare completo ma non è ancora rifinito: i suoi nemici sono i pentimenti o le correzioni all’interno del quadro. Tutto ciò riguarda più l’affresco che il dipinto su tavola: gli affreschi di Masaccio sono del “buon fresco” o autentico fresco, dipinti quasi interamente su intonaco fresco, dato sul muro pezzo per pezzo. Essi si differiscono dagli affreschi del 400, che sono “fresco secco”, dipinti per lo più su intonaco secco. La facilita del Masaccio si trova qui nel numero ridotto di parti di affresco segnate sulla cappella Brancacci: solo 27 sedute per l’affresco del Tributo; qui la facilita era anche visibile nelle giunture. Vasari osserva la “facilita nel fare” parlandone come una qualità di cui la pittura del 400 fosse priva. Egli ammira lo spirito di prontezza che si contrappone però con la maniera secca e cruda del suo tempo. Il mutamento dei criteri di giudizio era influenzato dal nuovo “buon fresco”, per questo Vasari lamenta la “maniera secca”. 5.Prospettiva Si distingue poi per l’uso della prospettiva. Antonio Manetti, amico di Landino, nota come la prospettiva pittorica è legata alla scienza della prospettiva, cui la ricerca accademica aveva studiato a fondo, chiamandola “ottica”. Nell’adattare l’ottica alla pittura Landino suggerisce Brunelleschi come ideatore. In questo contesto, la prospettiva ha un significato più generale di “ottica”, ma se Brunelleschi ne fu l’inventore, Alberti fu colui che la sviluppò e spiegò. I principi base della prospettiva vengono usati dal pittore per creare uno spazio pittorico regolato geometricamente: - Le linee che formerebbero un angolo retto alla base del piano del dipinto, si incontrano in un punto di fuga al centro dell’orizzonte