Psicologia del Lavoro - Volume I e II PDF

Summary

This document is a textbook on work psychology, focusing on various theories of workplace motivation. It details motivational approaches, such as Maslow's hierarchy of needs, Alderfer's ERG theory, and McClelland's need for achievement theory, and how these apply to motivation in the workplace and job performance.

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Psicologia del Lavoro - Volume I e II I - Cap.1 Motivazione lavorativa La motivazione è l’energia che alimenta la dinamica dei comportamenti e delle azioni individuali e le dirige e orienta verso finalità generali e specifiche (Quaglino, 1999). Approcci allo studio della motivazione: - determini...

Psicologia del Lavoro - Volume I e II I - Cap.1 Motivazione lavorativa La motivazione è l’energia che alimenta la dinamica dei comportamenti e delle azioni individuali e le dirige e orienta verso finalità generali e specifiche (Quaglino, 1999). Approcci allo studio della motivazione: - deterministico → individuo come macchina, comandata da bisogni interni e sollecitata da stimoli esterni, capace di apprendere i comportamenti funzionali a piacere (es. teorie psicoanalitiche, etologiche, sociobiologiche, comportamentismo e Gestalt). - intenzionalistico → individuo come divinità capace di autodeterminarsi in base a intenzioni e progetti (es. cognitivismo, costruttivismo e interazionismo sociale). Alcuni costrutti trasversali: - edonismo → propensione a massimizzare il piacere, la soddisfazione e gli stati emotivi positivi. - omeostasi → gli individui tendono a cercare uno stato di equilibrio interiore, in cui le esigenze sono soddisfatte; le motivazioni anti-omeostatiche sono orientate al cambiamento. La motivazione può essere: - intrinseca → deriva dallo svolgimento dell’attività in sé; l’individuo agisce per fare quello che fa. - estrinseca → l’azione è associata ad una ricompensa. Gli ambiti d’investimento motivazionale sono: - prestazione → fare per l’organizzazione → Job involvement - appartenenza → sentirsi parte dell’organizzazione → Organization commitment Teorie legate ai bisogni 1. Maslow e la gerarchia dei bisogni → esistono 5 bisogni di base all’origine dei comportamenti motivati. Sono disposti gerarchicamente e divisi in due macrocategorie: - bisogni primari: 1. bisogni fisiologici → sopravvivenza fisica dell’individuo. Nel contesto lavorativo corrisponde alla retribuzione. 2. bisogni di sicurezza → tutto ciò che riguarda la sicurezza, i pericoli e le esperienze dolorose. - bisogni secondari: 3. bisogni di affetto → amore nelle relazioni affettive, integrazione in una rete di relazioni (gratificazioni insita nell’attività lavorativa. 4. bisogni di stima → autostima e stima ricevuta da altri. 5. bisogni di autorealizzazione → esprimere al massimo il proprio potenziale, anche attraverso il lavoro. Presenta molti elementi di attualità: - consapevolezza che tutti i bisogni umani possano trovare occasioni di soddisfazione nell’ambito dell’attività di lavoro. - i comportamenti motivati che derivano dai bisogni di ordine superiore verranno messi in atto solo se i bisogni di ordine inferiore sono soddisfatti. - il soddisfacimento di un bisogno rende poco sensibile una persona a ulteriori gratificazioni dello stesso tipo, portandola a cercare di soddisfare bisogni a livello più elevato. I punti deboli, invece, sono: - sguardo troppo ottimista sulla possibilità di integrare il processo evolutivo del lavoratore con quello del suo contesto aziendale. - troppo centrato sull’autodeterminazione dell’individuo. - non è detto che le persone soddisfino i propri bisogni. 2. Alderfer e il modello ERG → ci sono 5 bisogni all’origine dei comportamenti motivati: - bisogni di esistenza → desiderio di mantenersi in vita. - bisogni di relazionalità → desiderio di avere relazioni interpersonali significative, di essere accettati dagli altri, di appartenere a un gruppo. - bisogni di sviluppo → riguardano autostima e autorealizzazione. È il desiderio di sentirsi in continua trasformazione. 1 Parla del principio della frustrazione – regressione → quando i bisogni di livello superiore non sono soddisfatti, gli individui incrementeranno gli sforzi per soddisfare i bisogni di ordine inferiore e viceversa. I diversi tipi di bisogni possono essere contemporaneamente attivi: è sufficiente un livello minimo di soddisfazione per provare il desiderio di soddisfazione. Il modello presenta un focus job-specific, che ne ha consentito l’utilizzo in ambito organizzativo, in riferimento all’influenza della retribuzione, e in particolare dei fringe benefit. 3. McClelland e il bisogno di riuscita → l’educazione è centrale nella dinamica motivazionale, poiché definisce il bisogno prevalente. La personalità dell’individuo dipende dal tipo di bisogno dominante, che sono tre: - need for achievement (successo) - need for affiliation (affiliazione) - need of power (potere) Ne derivano tre tipi ideali: 1. high achieviers → obiettivi ambiziosi che le persone vogliono raggiungere anche se non c’è una ricompensa. Affinché ci sia una piena espressione di ciò occorre che le cause del successo siano completamente attribuibili al contributo del soggetto e che il feedback sia chiaro e immediato. C’è il bisogno di evitare l’insuccesso. 2. high affiliation → orientati alla ricerca di buone relazioni, cooperazione e buon clima sociale positivo nei gruppi. Non traggono piacere dal raggiungimento di obiettivi. 3. nigh needy of power → vogliono esercitare influenza sul proprio ambiente di vita e sono molto proattivi nel procurare soluzioni e nel dividere i ruoli. Nel lavoro usano qualsiasi condizione di superiorità cui sia possibile fare appello. Un livello alto di bisogno di potere, insieme ad un livello medio-alto di bisogno di successo, implica maggiori possibilità di successo in posizioni manageriali. McClelland ha sviluppato programmi di achievement motivation training e percorsi diagnostici per lo studio del profilo motivazionale, usando il thematic apperception test, le behavioral event interview e il test of thematic analysis. 4. Teoria dell’autodeterminazione di Deci e Ryan → le persone sono automotivate, ma vi sono situazioni in cui emergono disimpegno, passività e alienazione. Bisogna approfondire la dinamica alla base della motivazione intrinseca vs estrinseca e identificare i fattori che facilitano la piena espressione dell’agenticità umana. Prevede tre bisogni: - bisogno di competenza → sentirsi capaci di poter superare le sfide; - bisogno di autonomia → sentirsi liberi di fare a modo proprio; - bisogno di relazionalità → desiderio di sentirsi vicini agli altri. Se si soddisfa uno o più bisogni si è intrinsecamente motivati ad agire. La motivazione intrinseca (interna all’individuo; motivazione per quello che fa) si contrappone alla non- motivazione (stato in cui manca l’intenzione di agire). Tra questi due estremi ci sono 4 tipi di comportamenti motivati in modo estrinseco, che si differenziano in base al grado in cui la loro regolazione è autonoma; sono: - comportamenti a regolazione esterna (per la ricompensa a soddisfare richieste); - comportamenti a regolazione tramite introiezione (per evitare il senso di colpa o per sentirsi orgogliosi); - comportamenti a regolazione tramite identificazione (importanti); - comportamenti a regolazione integrata (coerenti con bisogni e valori). Nel lavoro è importante generare le giuste condizioni per avvicinare le modalità di regolazione dell’azione verso l’autodeterminazione, poiché ciò può generare maggiore autoefficacia, persistenza, benessere e integrazione. Bisogna far sentire le persone competenti, autonome e in relazione. È da evitare la trasformazione di una motivazione intrinseca in estrinseca (inadeguata gestione delle ricompense). 2 5. Teoria bifattoriale di Herzberg → due tipi di bisogno che gli individui possono soddisfare nell’esperienza lavorativa: - i primi coincidono con i primi tre della piramide di Maslow; vengono soddisfatti dai fattori di igiene (es. retribuzione, tutela della salute e sicurezza). Se non soddisfatti c’è demotivazione. Sono le condizioni minime per attivare un rapporto di lavoro. - i secondi sono soddisfatti dai fattori motivazionali (es. responsabilità e riconoscimenti). Ne deriva soddisfazione e motivazione lavorativa, ma solo se ci sono anche i fattoti d’igiene). Quindi, è necessaria la creazione di condizioni di lavoro ottimali per il soddisfacimento dei bisogni superiori di stima e autorealizzazione e per indirizzare la motivazione alla crescita personale, non economica. 6. McGregor e le teorie X e Y → ogni comportamento è legato al soddisfacimento dei bisogni. Le aspirazioni sono ordinate gerarchicamente in livelli: - necessità fisiologiche → sopravvivenza dell’individuo e della specie; - esigenze di protezione → difesa dai pericoli, salvaguardia dalla paura; - bisogni sociali → desiderio di appartenere ad un gruppo. - esigenze egoistiche → necessità di autonomia, fiducia ed esigenza di essere riconosciuti. - bisogni di autorealizzazione → aspirazione ad attuare le proprie capacità potenziali, a migliorarsi. L’organizzazione è un sistema esterno che deve adeguarsi all’individuo. La teoria X considera solo i primi due tipi di bisogno ed è il modo tradizionale di concepire l’attività direzionale, come imbrigliamento delle energie individuali e loro impiego per il raggiungimento dei fini dell’organizzazione. La teoria Y riconosce l’esistenza di bisogni di livello più elevato e riscopre l’individuo nelle sue qualità e potenzialità. Le teorie del processo motivazionale 1. Teoria dell’aspettativa di Vroom → è possibile prevedere il livello di attivazione motivazionale connesso con una sequenza comportamentale attraverso l’analisi di tre variabili: - la valenza → quanto intensamente si desidera ricevere la ricompensa associata all’esecuzione di un’attività o al raggiungimento di un obiettivo. - le aspettative → la probabilità soggettiva di essere in grado di eseguire le attività o di raggiungere l’obiettivo. - la strumentalità → stima del legame tra l’esecuzione dell’attività o il raggiungimento dell’obiettivo da un lato e l’ottenimento della ricompensa dall’altro. Quindi: forza dell’aspettativa = valenza x aspettativa x strumentalità. Prevede che sia sufficiente che una sola delle variabili sia prossima allo zero per produrre un drastico calo dell’investimento motivazionale. 2. Teoria dell’equità di Adams → è importante sia il confronto tra impegno e risultato per sé stessi, sia l’osservazione di come questo rapporto si presenta agli altri. L’equity theory ipotizza tre processi riferiti a: percezione di equità nelle relazioni interpersonali; misurazione dell’equità in termini di allineamento vs scarto tra contributo fornito e risultato ottenuto; relativizzazione di tale equità per confronto con quanto accade ad altri soggetti. 3. Teoria del goal-setting di Locke → gli obiettivi influenzano il comportamento motivato poiché dirigono l’attenzione e la concentrazione, mobilitano lo sforzo sul compito, incoraggiano la persistenza di tale sforzo e facilitano l’elaborazione di strategie. Quindi, in presenza di obiettivi si agisce in modo più efficace sia in termini di processi di pensiero, sia in termini energetici. Questo vantaggio si ha quando gli obiettivi sono considerati importanti. Inoltre, sono più motivanti gli obiettivi chiari, specifici e sfidanti, ma non impossibili da raggiungere. Un obiettivo molto complesso e raggiungibile nel lungo termine è motivante sono se al raggiungimento seguirà un feedback sul risultato ottenuto e sul grado di avvicinamento all’obiettivo finale. 4. Modello richieste-risorse lavorative e il costrutto di engagement → elaborato da Demerouti, Bakker, Nachreiner e Schaufeli; Benessere e prestazioni sono influenzati dal livello di equilibrio tra caratteristiche positive e caratteristiche negative che qualificano il lavoro svolto dagli individui. Le richieste lavorative rappresentano gli aspetti fisici, sociali o organizzativi del lavoro che richiedono uno sforzo fisico o mentale, e che sono associati ad alcuni costi fisiologici e psicologici. Le risorse lavorative, invece, sono gli aspetti sociali, fisici o organizzativi del lavoro caratterizzati da uno o più dei seguenti aspetti: - sono funzionali al raggiungimento degli obiettivi lavorativi; - riducono le richieste lavorative e i costi fisiologici e psicologici associati; 3 - stimolano la crescita e lo sviluppo personale. Il modello ipotizza che richieste e risorse diano vita a due processi indipendenti: 1. processo di indebolimento della salute → eccessive richieste lavorative portano ad un’attivazione costante e all’eccessivo consumo delle risorse energetiche, che possono condurre fino all’esaurimento. 2. processo motivazionale → l’impegno e la motivazione da parte del lavoratore, che si lega a un incremento delle prestazioni; in mancanza di risorse il lavoratore mette in atto comportamenti di ritiro. Il work engagement è uno stato mentale collegato al lavoro, caratterizzato da vigore, dedizione e assorbimento, favorito dalla compresenza di richieste e risorse. Esercita un’influenza positiva sia sulla salute che sulle prestazioni. 5. Motivazione lavorativa ed esperienze di flow at work → quando vi è un elevato livello di sfide professionali, bilanciato da un elevato livello di abilità, gli individui possono sperimentare uno stato mentale di estremo coinvolgimento nelle cose che fanno, definito flow at work. La possibilità di sperimentare ciò può condurre a una riduzione della percezione di malessere psico-fisico, prevenire l’esaurimento e potenziare le prestazioni lavorative, anche se tali eventi positivi possono ridursi a lasciare spazio a fenomeni di decadimento della prestazione e di malessere qualora la condizione flow permanga per troppo tempo. 6. Emozioni e motivazione lavorativa → Weiss e Cropanzano hanno distinto tra comportamenti lavorativi guidati dalle emozioni (affect driven) e comportamenti lavorativi guidati dal giudizio (judgment driven). L’emozione esercita un’influenza sui comportamenti lavorativi soprattutto a breve termine. Le fluttuazioni quotidiane degli stati emotivi sono legate alle tre dimensioni del work engagement; le emozioni positive incrementano il senso di speranza, che a sua volta favorisce il work engagement. Quindi gli stati emotivi positivi hanno un effetto di miglioramento delle prestazioni. Secondo l’approccio neuroscientifico ogni dipendente ha un portafoglio emotivo che le organizzazioni devono catturare per sbloccare i veri motori della motivazione e prestazioni. 7. Motivazione lavorativa e caratteristiche di personalità → i differenti profili di personalità hanno un potenziale motivazionale che può essere attivato dal contesto, specificamente nel momento in cui risultano maggiormente presenti occasioni di gratificazione dei bisogni che ciascun profilo di personalità porta a percepire come più rilevanti; dall’altro, che la coscienziosità e la stabilità emotiva, in base alle ricerche sin qui svolte, sembrano essere le dimensioni di personalità che, a prescindere dal contesto, si associano a un maggior investimento di energie nel lavoro. Gli interventi in organizzazione 1. Progettazione del lavoro → Herzberg e Argyris hanno ispirato il Job enrichment, il Job enlargement, la Job rotation e il Job characteristic. Hanno evidenziato il potenziale di motivazione intrinseca presente nelle attività di lavoro e a sottolineare come questo venga spesso limitato a causa di errori nella progettazione dei compiti da assegnare; criticano la propensione di stampo taylorista. Quindi, propongono tre strategie di integrazione: - Job enlargement → strategia di integrazione di tipo orizzontale volta a promuovere la varietà delle attività; - Job enrichment → strategia di integrazione di tipo verticale volta a favorire un aumento di grado di responsabilità rispetto a ogni compito. - Job rotation → strategia di integrazione che si realizza nel corso del tempo con l’assegnazione a posizioni organizzative differenti. Hackman e Oldham hanno proposto una versione più attuale chiamata Job characteristic model: i fattori intrinseci motivanti di una mansione sono costituiti dalla significatività (l'individuo deve percepire il suo lavoro come degno di valore o importante per il suo sistema di credenze), dalla responsabilità (l'individuo deve essere certo di rispondere personalmente dei risultati ottenuti con i propri sforzi) e dalla conoscenza dei risultati (l'individuo deve essere in grado di de terminare se gli esiti del lavoro sono soddisfacenti oppure no). La contemporanea presenza di queste tre condizioni origina una carica motivazionale, interna alla persona, che a sua volta genera soddisfazione e disponibilità a impegnarsi. Questi, inoltre, riducono il turnover e l’assenteismo. Ogni mansione assegnata a una posizione organizzativa deve essere progettata in base a 5 caratteristiche: - varietà delle abilità richieste - identità del compito - significato del compito - autonomia nell’esecuzione - feedback ricevuti in relazione ai risultati raggiunti 4 2. Management by Objectives (MBO) → Secondo Drucker, quando i lavoratori vengono coinvolti nella definizione degli obiettivi e hanno un buon grado di autonomia nella scelta del corso di azione da seguire per raggiungerli, saranno più propensi a sentirsi responsabilizzati e ad investire energie nel lavoro; al contrario, uno stile direttivo basato sul “comando e controllo” può condurre a esiti di deresponsabilizzazione e disimpegno dei lavoratori. Una politica di MBO comprende quattro passaggi: - individuazione condivisa → confronto tra capi e collaboratori; - specificazione in termini misurabili → gli obiettivi assegnati sono un’illustrazione sintetica del risultato atteso (risultati misurabili, non vaghi); - assegnazione di un traguardo temporale → periodo specifico in cui l’obiettivo deve essere raggiunto; - monitoraggio e feedback → monitoraggio in itinere ad intervalli regolari. Queste caratteristiche sono sintetizzate nella sigla SMART objectives. Sono individuabili due differenze tra MBO e goal setting: 1. senza allineamento tra gli obiettivi individuali e quelli degli altri attori, la presenza di individui altamente motivati potrebbe non essere sufficiente a conseguire una maggiore efficacia organizzativa. 2. l’MBO si concentra maggiormente sull’individuazione condivisa degli obiettivi (ciò non è presente nel goal setting). 3. La giustizia organizzativa → ci sono quattro aspetti che partecipano alla creazione di un senso di giustizia (Colquitt): - giustizia distributiva → equità con cui le ricompense vengono assegnate; - giustizia procedurale → processo con cui le ricompense vengono assegnate; - giustizia interpersonale → qualità della relazione tar chi ha funzioni di controllo e valutazione e chi viene controllato e valutato; - giustizia informazionale → adeguatezza delle spiegazioni offerte sulla modalità di valutazione e sui suoi esiti. La prestazione lavorativa è associata positivamente alla giustizia distributiva e procedurale. 4. La selezione e la valutazione del personale → gli strumenti usati nei processi di selezione possono approfondire le inclinazioni motivazionali: - il colloquio → il selezionatore verifica le scelte passate e il grado di motivazione che ne è derivato, le ragioni che hanno portato alla candidatura. - i test di motivazione, interessi e valori professionali Inoltre, ci sono i processi di assessment rivolti al personale interno e usati per gestire la carriera. La ricerca in organizzazione Gli obiettivi della ricerca organizzativa in tema di motivazione sono: - individuare il livello di motivazione lavorativa, usando costrutti come il job involvement, l’organizational citizenship, il work engagement e l’organizational commitment. - riconoscere il campo di forze che influenza il livello della motivazione lavorativa. - individuare le priorità di intervento, ovvero i cambiamenti che possono essere promossi al fine di favorire la mobilitazione di energie positive orientate alla prestazione e all’appartenenza, attraverso questionari, interviste e focus group dai cui risultati derivano piani d’azione. I- Cap.2 Soddisfazione sul lavoro e affettività lavorativa Definizione e natura della soddisfazione lavorativa La soddisfazione lavorativa è una serie di risposte psicologiche multidimensionali al proprio lavoro. Queste risposte hanno componenti cognitive valutative e affettive emozionali. Si riferisce a valutazioni interne all’individuo della gradevolezza del proprio lavoro; possono rivelarsi all’interno (sentite) o all’esterno (verbalizzate). Inoltre, possono essere organizzaye lungo un continuum che vanno da buono a cattivo, da positivo a negativo. Possono essere quantificate usando tecniche di misurazione che colgono la valutazione di aspetti o caratteristiche del lavoro, le risposte emotive ad eventi che accadono sul posto di lavoro e, a seconda di come gli atteggiamenti sono definiti. L’originale definizione tripartita degli atteggiamenti che comprende elementi cognitivi, affettivi e comportamentali, è andata incontro ad un processo di progressiva erosione in psicologia del lavoro che ci ha lasciato con delle concezioni degli atteggiamenti verso il lavoro che li pongono alla stregua di valutazioni cognitive di oggetti sociali. In sintesi, quanto detto indica che l'inclusione della dimensione affettiva nella definizione della soddisfazione lavorativa ha profonde radici teoriche (è consistente con le classiche definizioni degli atteggiamenti sociali), ma la misurazione ed il significato teorico dell'inclusione della dimensione affettiva sono ancora poco compresi. E 5 tuttavia oramai chiaro come i disegni di ricerca tradizionali, gli storici modelli causali e le strategie di misurazione proprie di questo ambito di ricerca possano non essere in grado di catturare la natura affettiva della soddisfazione lavorativa. Soddisfazione lavorativa e comportamenti lavorativi La ricerca sulle relazioni tra soddisfazione lavorativa e specifici comportamenti ha generato risultati generalmente positivi. Gli atteggiamenti lavorativi sono correlati ad una larga varietà di specifici comportamenti lavorativi. Le relazioni tra soddisfazione lavorativa generale e misure aggregate di comportamenti lavorativa generale e specifici comportamenti. Se si vuole prevedere la messa in atto di uno specifico comportamento, si può fare affidamento su una misura dell’intenzione di impegnarsi in quel comportamento durante il periodo temporale di interesse. La presenza al lavoro, il ritiro psicologico ed i comportamenti prosociali sono manifestazioni di una famiglia generale di risposte, denominate ritiro dal compito, che riflettono tentativi di ritirarsi dai compiti lavorativi generali che caratterizzano un lavoro mantenendo però l'appartenenza all'organizzazione ed il ruolo lavorativo. La decisione di andare in pensione ed il turnover sono manifestazioni di una famiglia di comportamenti denominati ritiro dal lavoro. Gli atteggiamenti sono altamente personali e il proprio lavoro coinvolge il sé dell’individuo; inoltre, il lavoro è una fonte di autonomia. Questo livello di investimento personale nell'oggetto dell'atteggiamento è tipicamente assente dagli atteggiamenti sociali misurati in molte ricerche. Soddisfazione lavorativa e prestazione lavorativa Dati recenti suggeriscono che la soddisfazione lavorativa correla con la prestazione lavorativa. Alcuni comportamenti al lavoro risultano dalla soddisfazione lavorativa. Ancora, altri comportamenti possono essere sia cause che prodotti della soddisfazione lavorativa. Le relazioni temporali dinamiche tra questi costrutti e il comportamento deve essere ancora completamente chiarita. Modelli teorici della soddisfazione lavorativa 1. il modello Cornell degli atteggiamenti lavorativi → due prodotti di questa linea di ricerca sono il Job Descriptive Index (JDI), questionario più usato per misurare la soddisfazione lavorativa in uso, e il Retirement Descriptive Index (RDI). Questa figura mostra le fonti d’influenza sulle cornici di riferimento e come possono influenzare i costi dell’appartenenza al ruolo lavorativo e il valore dei risultati legati al ruolo lavorativo per i dipendenti, con gli effetti ipotizzati sulle relazioni tra job inputs, job outcomes e atteggiamenti verso il lavoro. Il modello Cornell si differenzia, nella sua formulazione originale (Smith, Kendall, Hulin, 1969), da altre teorie sugli atteggiamenti lavorativi per l'influenza assegnata alle cornici di riferimento sulle valutazioni degli esiti lavorativi (job outcomes), nella sua formulazione originale (Smith, Kendall, Hulin, 1969), e nella sua revisione effettuata da Hulin (1991) che ha incorporato il modello economico input/output degli atteggiamenti lavorativi di March e Simon (1958), anche sulle valutazioni dei job inputs. Le cornici di riferimento possono essere definite come gli standard che le persone utilizzano per valutare i risultati ottenuti tramite il proprio lavoro. Sono considerate dei moderatori degli effetti dei risultati del lavoro sui diversi aspetti della soddisfazione lavorativa, nel senso che se un certo livello di risultato è giudicato soddisfacente dipende in maniera fondamentale dagli standard posseduti dall'individuo. Questi standard individuali sono influenzati sia dalle passate esperienze dell'individuo, come pure la condizione economica presente, gli standard di vita, e i lavori. Esistono robuste correlazioni negative tra livello economico di una comunità e atteggiamenti verso il lavoro, e correlazioni positive tra la diffusione di condizioni abitative non ottimali nella zona e soddisfazione lavorativa; quindi, il vivere in comunità prospere con meno bassifondi, come pure i lavori degli altri individui appartenenti alla stessa comunità, possono influenzare le cornici di riferimento che gli individui utilizzano per valutare il proprio lavoro, le proprie condizioni lavorative e la paga; condizioni di vita migliori portano a più elevate cornici di riferimento e minore soddisfazione lavorativa. Le persone che vivono in comunità più povere tendono 6 a valutare positivamente il proprio lavoro perché le alternative potrebbero essere peggiori, oppure comportare il non avere per nulla un lavoro. Le alternative possibili rappresentano un’altra variabile fondamentale che agisce come moderatore degli input. La presenza di alternative, infatti, influenza come gli individui valutano e che valore danno ai costi ed agli investimenti che rappresentano il gli input. Le alternative possibili sono simili alle cornici di riferimento perché spesso ciascuna rappresenta le condizioni del mercato lavorativo locale. Tuttavia utilità e cornici di riferimento non sono concetti del tutto assimilabili. Le utilità agiscano sulla valutazione degli input, le cornici di riferimento sulla valutazione degli output. 2. Il value percept model → Locke definisce i valori come ciò che una persona desidera o considera importante. Il value percept model sostiene che la soddisfazione lavorativa risulta dal raggiungimento di valori ritenuti importanti: Si = (Vci – Pi) x Vi Si è la soddisfazione con una qualsiasi ith tra le caratteristiche del lavoro considerate; Vci è il valore della ith caratteristica; Pi è la quantità della ith caratteristica fornita dal lavoro come percepita dall’individuo; Vi è l’importanza della ith caratteristica per lo specifico individuo. Locke ipotizza che l'esistenza di discrepanze tra ciò che è desiderato dalla persona e ciò che è ricevuto dal lavoro è fonte di insoddisfazione solo se l'attributo è importante per l'individuo. Una discrepanza tra la paga percepita e la paga desiderata è ritenuta fonte di maggiore insoddisfazione per gli individui che danno importanza a livello di retribuzione percepito, che per coloro che attribuiscono alla paga percepita meno valore. La soddisfazione lavorativa complessiva viene stimata aggregando i risultati ottenuti per ciascuna delle sfaccettature. Quindi, il VPM esprime la soddisfazione lavorativa in riferimento ai valori dell'individuo e agli esiti percepiti del lavoro. 3. il Job Characteristics model → l'arricchimento di specifiche caratteristiche del lavoro e il fattore chiave per rendere le persone soddisfatte del proprio lavoro. Secondo Hackman e Oldham il modello specifica 5 caratteristiche di base che rendono il lavoro sfidante ed appagante e che rendono lavori che le forniscono più soddisfacenti e motivanti dei lavori che invece non le forniscono o le forniscono meno: - task identity → grado in cui una persona può seguire il proprio lavoro dall'inizio alla fine; - task significance → grado in cui il proprio lavoro è visto come significativo ed importante; - skill variety → grado in cui un lavoro permette alle persone di svolgere compiti diversi; - autonomy → grado in cui le persone hanno controllo e discrezione su come condurre il proprio lavoro; - feedback → grado in cui l'attività fornisce feedback rispetto a come l'individuo sta svolgendo il lavoro. Il JCM Ha ricevuto supporti sia diretti che indiretti. Quando si chiede alle persone di valutare l'importanza di aspetti diversi dal lavoro, come la paga, la possibilità di essere promossi, i colleghi, la natura del lavoro stessa emerge come la più importante tra le caratteristiche del lavoro. Per i ricercatori appunto la soddisfazione verso il lavoro in sé stesso è generalmente la caratteristica più fortemente correlata con la soddisfazione lavorativa generale o comunque il fattore ritenuto più importante. Alcuni studi metanalitici sulle relazioni tra le valutazioni fornite dalle persone rispetto alle caratteristiche del proprio lavoro e il loro livello di soddisfazione lavorativa hanno generalmente riportato a risultati positivi. Tuttavia, aspetti del lavoro diversi dal lavoro in sé sono risultati robustamente correlati a comportamenti importanti sia per gli individui che per le loro organizzazioni di appartenenza. La formulazione originale della teoria prevedeva che Le 5 caratteristiche intrinseche del lavoro fossero combinate dentro un motivating potential score (MPS). La formula secondo gli autori era: (𝑆𝑉 + 𝑇𝐼 + 𝑇𝑆) 𝑀𝑃𝑆 = 𝑥𝐴𝑥𝐹 3 Questa combinazione non è stata supportata da studi empirici che hanno dimostrato come la semplice somma delle 5 dimensioni abbia un valore predittivo maggiore. Il Growth Need Strength (GNS) Coglie la ricettività individuale rispetto alle caratteristiche sfidanti del lavoro. Rappresenta il desiderio di sviluppo personale, soprattutto in ambito lavorativo. Individui con un alto GNS desiderano che il proprio lavoro li aiuti a continuare la propria crescita personale; le caratteristiche del lavoro sono ritenute importanti soprattutto per gli individui con un alto GNS. La relazione tra caratteristiche del lavoro e soddisfazione lavorativa è più forte per le persone alte in GNS che per le persone basse in GNS. Quindi, il JCM, come il VPM, ipotizza che la soddisfazione lavorativa dipenda dalle caratteristiche stesse del lavoro e che le radici della soddisfazione risiedono all'interno dell'individuo, del lavoro e della loro relazione. 4. Core Self Evaluations → Inizialmente erano molto importanti le influenze disposizionali sulla soddisfazione lavorativa. Il Modello Cornell si basa in parte sull'idea che esistessero netturbini molto soddisfatti e dirigenti societari molto insoddisfatti e che questi livelli di soddisfazione "anomali" potessero essere spiegati in 7 qualche modo. Judge, Locke e Durham hanno preso in esame le Core Self Evaluations, cioè un set di convinzioni fondamentali rispetto a sé stessi, il proprio funzionamento e il mondo; rappresentano un costrutto gerarchico composto da un tratto generale. Judge, Heller e Klinger hanno trovato che di tre tassonomie (5 grandi fattori, PA/NA e CSEs) le CSEs risultavano il predittore più importante della soddisfazione lavorativa. Insieme le tre cornici teoriche spiegavano il 36% della varianza nella soddisfazione lavorativa autoriferita e il 18% usando misure fornite da altri significativi. Quindi il CSE è uno dei più importanti predittori della soddisfazione lavorativa. Confronto tra modelli teorici I risultati del lavoro sono giudicati in base ad una serie di standard: c'è un numero di influenze ipotizzate sugli standard coinvolti nella valutazione dei risultati del lavoro che vanno da influenze esogene alle caratteristiche proprie degli individui in termini di personalità e valori. Gli esiti del lavoro e gli standard sono processati attraverso un processo di comparazione e il risultato di questi processi cognitivi e la valutazione della propria soddisfazione lavorativa. Il modello integrativo è simile al modello Cornell; offre la possibilità di aggiungere al modello Cornell due componenti fondamentali: - La personalità (le core self-evaluations e gli altri tratti) e i legami tra la personalità e i fattori ambientali ai contributi e ai risultati del ruolo lavorativo. Il modello include anche legami tra la personalità e l'utilità e le cornici di riferimento. - Il processo di confronto è incluso come variabile a sé stante. Questo riflette l'importanza (probabilmente centrale) che tale processo di confronto riveste nel modello Cornell e nel Value-Percept model. Nuovi sviluppi teorici Uno degli sviluppi è la proposta di considerare altri atteggiamenti lavorativi, oltre alla soddisfazione lavorativa; un esempio è l’Employee engagement: Macey e Schneider proposto una distinzione tra absorption ed entusiasmo per i compiti lavorativi (motore della prestazione lavorativa) da una parte e sazietà ed appagamento dall'altra. Non è chiaro se l'employee engagement possa o meno spiegare varianza incrementale rispetto a criteri comportamentali quando si tiene in considerazione la soddisfazione lavorativa. Il work role affect → La de-enfatizzazione della componente affettiva degli atteggiamenti sociali è andata in parallelo con lo stesso trattamento riservato all'affetto o alle emozioni all'interno degli atteggiamenti lavorativi. Weiss e Cropanzano (1996) hanno proposto la teoria degli eventi affettivi (AET): enfatizza i legami tra eventi lavorativi e affettività lavorativa, ed ipotizza legami tra affettività lavorativa e comportamenti lavorativi. che sono indipendenti dai legami tra i tradizionali atteggiamenti lavorativi (valutazioni cognitive del lavoro) e i comportamenti lavorativi. Per affettività si intendono relazioni emotive degli individui ad aspetti del proprio lavoro e ad eventi che accadono mentre sono al lavoro. Gli Stati affettivi e i sentimenti innescati dagli eventi lavorativi, malgrado tutta la loro effimerità, hanno importanti conseguenze sui comportamenti lavorativi (dalla psicoanalisi sappiamo che l'aggressività porta alla frustrazione). L'AET si differenzia da altri approcci per: - le distinzioni tra struttura e caratteristiche del lavoro ed eventi lavorativi, sebbene le caratteristiche del lavoro (come, ad esempio, le politiche HR) possano verosimilmente influenzare la distribuzione degli eventi lavorativi; - l'enfasi sugli stati emotivi come componenti degli atteggiamenti; - le relazioni ipotizzate tra affetto sul lavoro e comportamenti influenzati dagli stati affettivi da una parte, e tra la soddisfazione lavorativa (valutazioni cognitive del lavoro) e i comportamenti influenzati dalle valutazioni cognitive del lavoro, dall'altra. L'ipotesi è che le disposizioni moderino il legame tra eventi e stati affettivi. Gli eventi lavorativi agiscono come alterazioni stocastiche del livello dell'affettività di base dell'individuo e dei suoi naturali cicli affettivi. Gli eventi lavorativi sono del tutto imprevedibili nella loro occorrenza al livello del singolo individuo; la loro influenza contribuisce alla natura dinamica dell'affettività esperita sul posto di lavoro. Questo problema ha trovato in parte risposta nell'utilizzo dei sistemi di rilevazione istantanea degli eventi (ESM), conosciuto come ecological momentary assessment, e l'applicazione di sofisticate tecniche di analisi multilevel che permettono di indagare separatamente ciò che accade al livello del singolo individuo piuttosto da quello che invece accade solo a certi individui. Valutazioni quasi in tempo reale degli stati affettivi lavorativi permettono l'analisi delle relazioni tra eventi lavorativi positivi e negativi e umore che occorrono all'interno del singolo individuo, dopo aver controllato per il livello medio d'umore misurato all'inizio della giornata lavorativa. Un aspetto importante di questo nuovo approccio multilevel allo studio degli atteggiamenti lavorativi è la possibilità di indagare l'esistenza di relazioni osservate al livello del singolo individuo, per esempio tra stati affettivi e comportamento, che possono essere diverse da quelle che si osservano quando si prende in esame un campione intero di individui. 8 Miner ha trovato che, a livello di analisi tra gli individui, coloro che esprimono livelli più alti di affettività positiva, tendono a mettere in atto un numero maggiore di comportamenti di cittadinanza organizzativa. A livello del singolo individuo la relazione è invece negativa; le persone riportano livelli più bassi di affettività positiva mentre sono impegnate ad aiutare qualcuno. Il punto generale è che non bisogna aspettarsi di trovare necessariamente le stesse relazioni oppure relazioni necessariamente opposte, e di entità molto diversa, a diversi livelli di analisi. Piuttosto, il punto generale è che non è possibile né si dovrebbe mai estendere una conclusione raggiunta da un qualsiasi livello d'analisi all'altro. A livello neurologico, l'affettività e le cognizioni potrebbero essere davvero inseparabili. Cognizioni ed emozioni sono connesse inestricabilmente nella nostra architettura psicologica. Quando le persone pensano al proprio lavoro, esse esperiscono stati affettivi generati da ciò che pensano. Gli stati cognitivi ed affettivi sono pertanto strettamente collegati, sia a livello psicologico che psicobiologico. The core self-evaluations job affect multilevel model (CSEJAM) → modello integrato centrato sul ruolo delle CSE considerate alla stregua sia di una variabile di stato, che una variabile di tratto. Iniziando dalla parte intra-individuale del modello CSEJAM, l'ipotesi fondamentale è che i diversi aspetti della vita e dell'ambiente individuale rappresentino una fonte importante delle CSE. La componente di stato delle CSE dovrebbe, a sua volta essere associata all'affettività lavorativa. Questa affettività lavorativa può riferirsi all'umore sul posto di lavoro, alle specifiche emozioni provate al lavoro, o alla soddisfazione lavorativa. Questi stati affettivi lavorativi dovrebbero condurre a comportamenti episodici da essi stessi generati. La parte inter-individuale del modello CSEJAM include gli effetti delle CSE di tratto sulle intercette. Queste influenze rappresentano la possibilità che le CSE possano rendere conto dei livelli medi. Di maggiore interesse sono gli effetti di moderazione ipotizzati, delle CSE di tratto sulle relazioni ipotizzate al livello in-tra-individuale del modello. Questi effetti rendono conto, ad esempio, dell'idea che il grado in cui specifici risultati lavorativi si traducano in CSE di stato vari in funzione del loro livello di CSE di tratto (o di base). La soddisfazione lavorativa al livello dell’utilità lavorativa → i ricercatori hanno cominciato a sviluppare un interesse nella soddisfazione lavorativa misurata quale variabile aggregata a livelli di analisi più alti, ad esempio quello organizzativo, quello relativo all'unità organizzativa, o del gruppo di lavoro. Nel parlare di soddisfazione lavorativa al livello dell'unità lavorativa, è necessario non incorrere nell'errore di antropomorfizzare l'organizzazione (ovvia-mente, le organizzazioni non possono essere di per sé soddisfatte o insoddisfatte), ma bisogna sforzarsi di pensare alla soddisfazione lavorativa come ad uno costrutto aggregato che deriva dall'aggregazione dei singoli livelli di soddisfazione espressi dai singoli individui che lavorano ed appartengono all’interno dell'organizzazione. Per esempio, un punteggio nella soddisfazione organizzativa a livello di unità di lavoro pari a 3 su una scala che varia da 1 a 5, può derivare da diversi processi individuali, tra i quali (ma non solo): (1) una distribuzione dei punteggi di tipo rettangolare, in cui un numero uguale di individui riporta punteggi pari a 1,2,3,4, e 5 (in questo caso il punteggio ottenuto al livello dell'unità lavorativa rifletterebbe quello del 20% degli individui), (d) una distribuzione bimodale dei punteggi, in cui metà degli individui riporta un punteggio di 1 e l'altra metà un punteggio di 5 (caso in cui il punteggio osservato a livello di unità lavorativa non rifletterebbe quello espresso da nessun individuo); (c) una "distribuzione" costante dei punteggi, in cui tutti gli individui riportano un punteggio pari a 3 (in questo caso, il punteggio osservato al livello dell'unità lavorativa rifletterebbe il punteggio vero). La misurazione degli atteggiamenti lavorativi La soddisfazione lavorativa → La misurazione dell'affettività al lavoro ha comportato numerosi problemi ai ricercatori. Le reazioni affettive sono di solito fugaci ed episodiche; rappresentano variabili di stato piuttosto che variabili stabili, simili ai tratti di personalità. Ma gli strumenti migliori sono: - Job Descriptive Index - JDI → sembra lo strumento più ampiamente e diffusamente utilizzato per la valutazione della soddisfazione lavorativa in uso al giorno d'oggi. Misura cinque aspetti della soddisfazione lavorativa (il lavoro in sé, la paga, le opportunità di promozione e le politiche, supervisione, colleghi) chiedendo ai rispondenti di descrivere il proprio lavoro in termini di presenza o assenza di 72 caratteristiche del lavoro in sé, dei colleghi ecc. - Minnesota Satisfaction Questionnaire - MSDQ → misura il grado in cui il lavoro viene percepito capace di fornire soddisfazione ad un numero importante di "bisogni di base" del lavoratore. - Job Diagnostic Survey - JDS→ misura il grado in cui il lavoro è caratterizzato da alcune caratteristiche importanti (offre ad esempio responsabilità, feedback sul proprio operato, richiede lo svolgimento di compiti significativi, ecc.). 9 - Index of Organizational Reactions - IOR → chiede ai rispondenti di valutare alcune caratteristiche del lavoro e assegna loro un punteggio su otto dimensioni della soddisfazione lavorativa (il lavoro in sé, l'organizzazione, la carriera futura e la sicurezza, la paga, ecc.). Affettività lavorativa, umore ed emozioni → L'affettività lavorativa, intesa come le emozioni esperite sul posto di lavoro presenta una differente serie di problemi concettuali e di misurazione. L'affettività e le emozioni al lavoro sono influenzate da eventi che accadono sul lavoro. Gli eventi esperiti da ciascun individuo sono verosimilmente infrequenti e difficili da predire. La natura dinamica del lavoro rende difficile l'uso di pratiche di ricerca basate su singole rilevazioni (one shot), basata sul classico utilizzo di questionari per la rilevazione degli atteggiamenti verso il lavoro. Le valutazioni computerizzate dove ai partecipanti alla ricerca completano le stesse misure in momenti diversi durante una stessa giornata lavorativa, durante più giornate lavorative nel corso di una intera settimana e per più settimane - facilita la raccolta di questo tipo di dati. Altri studi hanno utilizzato dispositivi palmari (spesso con il metodo degli intervalli contingenti), attraverso i quali si forniva un segnale ai partecipanti, in concomitanza del quale venivano presentati degli item, raccolti i dati ed immagazzinati nello stesso dispositivo con un livello di sicurezza accettabile. Questi dispositivi possono controllare l'orario (timing) delle risposte mantenendolo all'interno di intervalli temporali prespecificati e risultano più affidabili rispetto al metodo dei diari che invece non consente questo tipo di controllo. È meglio valutare gli stati emotivi esperiti al lavoro utilizzando le due dimensioni teoricamente ortogonali dell’affettività positiva (PA) e negativa (NA) o utilizzando le due dimensioni ortogonali e bipolari del hedonic tone e dell’arousal/activation? La figura presenta graficamente le differenti rotazioni possibili nel mood/emotion circumplex. Ad un livello concettuale, è difficile immaginare che un individuo possa otte nere verosimilmente punteggi elevati sia sulla dimensione PA che NA. Sebbene questa configurazione di punteggi sia teoricamente possibile poiché NA e PA sono teoricamente dimensioni indipendenti, essa sembra particolarmente problematica in riferimento alla misurazione dell'affettività di stato, perché in questo caso l'individuo dovrebbe esprimere punteggi alti su PA e NA in uno stesso momento o, almeno, all'interno di un intervallo temporale molto breve. I- Cap.3 Le emozioni nel contesto lavorativo Un modello multilivello per l’analisi delle emozioni in ambito organizzativo generale del costrutto Ashkanasy ha proposto cinque livelli di analisi per lo studio delle emozioni nei contesti organizzativi: - livello delle differenze intra-individuali (within person) → focus sulle variazioni temporali delle emozioni within person, cioè all’interno del singolo individuo nell’organizzazione. Riguarda quanto l’individuo si sente competente. - livello delle differenze inter-individuali (between person) → focus sulle differenze tra individui e sui loro atteggiamenti, ed è denominato livello degli effetti between person, ovvero tra gli individui, come ad esempio l'intelligenza emotiva, il commitment organizzativo e l'affettività di tratto (serve a discriminare tra gli individui per scegliere il candidato giusto). - livello delle relazioni interpersonali → comprende sia il lavoro emotivo, sia i vari aspetti della comunicazione emotiva, tra cui il riconoscimento di un'emozione attraverso il tono della voce e delle espressioni facciali (sortative marketing → tendenza a stare con gente simile). 10 - livello del gruppo → il focus si sposta sui gruppi e sulla leadership, includendo il tono affettivo del gruppo e il contagio emotivo. Kelly e Barsade hanno studiato come il contagio emotivo nei gruppi di lavoro influenzasse il tono affettivo e la prestazione del gruppo. - livello dell’organizzazione → prende in esame l'organizzazione nel suo complesso, ed è ispirato al concetto di clima emotivo, un costrutto che coglie un "fenomeno di gruppo 'oggettivo', ovvero che può essere chiaramente percepito; condiziona i comportamenti dei componenti. Il filo conduttore è la neurobiologia delle emozioni. Livello 1: variabilità emotiva intra individuale → si può capire meglio attraverso la teoria degli eventi affettivi (AET), che enfatizza gli effetti dell'umore positivo e negativo sul comportamento delle persone. Isen ha sottolineato come l'affettività positiva si associ ad un accurato processo di elaborazione delle informazioni, a più efficienti capacità di problem solving, all'apertura mentale e ad una maggiore persistenza nel raggiungimento di esiti desiderati; inoltre quando il compito è più complesso le persone tendono ad essere meno precise. È possibile che l'umore positivo sia in grado di aumentare la creatività e la flessibilità cognitiva in compiti lavorativi complessi, come la progettazione di prodotti o l'innovazione. Esistono evidenze empiriche che sostengono come per lo svolgimento di alcuni compiti lavorativi provare emozioni negative possa aumentare l'efficienza dei lavoratori: ne deriva l'ipotesi “più tristi, ma più saggi”; a proposito Forgas ha dimostrato come l'affettività negativa possa portare ad un monitoraggio più attivo degli stimoli ambientali, ad una minore suscettibilità alla persuasione e all'effetto delle distorsioni cognitive (bias); si parla di saggezza depressiva. Sempre Forgas parla dell’infusione dell’affetto le emozioni influenzano i processi decisionali impattano il giudizio delle persone contribuendo a determinare gli esiti di tali processi; suggerisce una stretta covariazione tra cognizioni e stati affettivi e che i giudizi sociali possono a volte dipendere dall'umore del momento. Secondo uno studio di Mittal e Ross, in condizioni di incertezza gli individui si dimostrano più disposti a correre rischi nel prendere, comunque, una decisione quando l'umore era positivo, piuttosto che negativo. Livello 2: variabilità emotiva inter individuale → a questo livello le differenze individuali determinano la frequenza, l'intensità e la durata delle esperienze emotive di umore, sia positive che negative. Weiss e Cropanzano hanno identificato come l'affettività di tratto si ha una caratteristica di personalità associata a stabili differenze tra individui nella regolazione affettiva generale. Per quanto riguarda il contesto organizzativo l'affettività di tratto positiva e negativa era un'utile predittore della prestazione organizzativa. Inoltre, l'affettività positiva di tratto prediceva la soddisfazione lavorativa complessiva a livello individuale. L'affettività negativa di tratto è stata indicata come mediatore dell'effetto degli stressor lavorativi sullo sviluppo dei sintomi dello stress; l'affettività negativa era associata alle percezioni di ingiustizia. Mayer e Salovey hanno definito l'intelligenza emotiva (EI) come il risultato di quattro abilità: 1. L'abilità di percepire le proprie emozioni e quelle degli altri; 2. L'abilità di assimilare le informazioni attraverso l'elaborazione cognitiva; 3. L'abilità di comprendere la funzione delle emozioni; 4. L'abilità di utilizzare e gestire le emozioni nei processi decisionali. I ricercatori che si sono occupati di intelligenza emotiva tendono ad inquadrarsi in tre correnti di ricerca: - la prima corrente di ricerca si basa sul modello dell'intelligenza emotiva intesa come abilità. Questi studiosi si servono per misurare l’EI di una misura di abilità, il MSCEIT. - la seconda corrente di ricerca si basa sulla stessa definizione di EI, ma fa ricorso a misure self-report o riportate dai pari. - la terza corrente di ricerca si basa su altre definizioni del costrutto e utilizza varie misure self report o riportate dai pari. Ashkanasy e Daus suggeriscono l'utilizzo dei dettami teorici e pratici delle correnti prima e seconda, mentre sconsigliano l'utilizzo di quelli offerti dalla terza corrente in quanto si sovrappongono con i concetti e con le misure utilizzate nello studio della personalità. Joseph e Newman hanno mostrato che le misure di abilità self report e il modello misto intelligenza emotiva self report avevano validità incrementale, ovvero contribuivano ad aumentare la precisione del modello statistico di previsione, in aggiunta alle abilità cognitive e i 5 fattori della personalità nel predire la prestazione lavorativa. Livello 3: emozioni a livello interpersonale → riguarda come le emozioni vengono mostrate e comunicate nelle interazioni diadiche; le emozioni svolgono un ruolo chiave nei processi comunicativi. Ekman ha dimostrato che molte espressioni facciali sono universalmente riconosciute in diverse culture, l'importanza per la comunicazione tutto nonostante alcune espressioni emotive siano presenti e riconoscibili in tutte le culture, Elfenbein e Ambady hanno notato che alcune persone erano più precise nel riconoscere le emozioni manifestate dai membri della loro cultura di appartenenza; quindi, i gruppi culturali potrebbero dunque avere un loro dialetto emotivo. Elfenbein 11 ha sviluppato un modello chiamato “inquadramento integrato dei processi interpersonali per le emozioni in ambito organizzativo”: si centra sul ruolo dell'interazione tra aspetti consapevolmente controllati nell'espressione delle emozioni e componenti automatiche; tale interazione conduce alla messa in atto di specifici comportamenti universali che a loro volta possono sollecitare reazioni di altre persone stimolare l'interazione. Essendo le emozioni dei processi con una specifica sequenza cronologica, il processo emotivo inizia quando: - è esposto a uno stimolo elicitante - lo elabora e attribuisce un significato - sperimentando gli Stati emotivi che determinano atteggiamenti, così come le espressioni facciali. La capacità di riconoscere le espressioni non verbali e rilevanti per l'esercizio della leadership trasformazionale (Rubin, Munz e Bommer) e per una supervisione efficace (Byron). Arlie Hochschild ha notato come molte organizzazioni richiedano i dipendenti di esprimere alcune emozioni verso i clienti o gli utenti nello svolgimento del loro lavoro in maniera controllata e adeguata al contesto; si parla di lavoro emotivo. I lavoratori svolgono un lavoro emotivo ogni volta in cui l'esercizio del loro ruolo professionale richiede la manifestazione di alcune specifiche emozioni verso clienti o utenti; in particolare descrive due tipi di lavoro emotivo: - recitazione di superficie → manifestare agli altri o emozioni non effettivamente provate. - recitazione profonda → i lavoratori tentano di sperimentare le emozioni che sono tenuti a mostrare. Secondo la teoria di Morris e Feldman’s il lavoro emotivo può essere concettualizzato in base alla sua frequenza, intensità, varietà e durata, e in base alle due tipologie della recitazione di superficie e profonda. Ashforth e Humphrey Hanno suggerito che le emozioni sperimentate in modo spontaneo e autentico presenti nonché se un modo per aderire alle regole di espressione emotiva e dovrebbero quindi essere considerate come una terza forma di lavoro emotivo. Alcuni studi hanno dimostrato che la recitazione di superficie, la recitazione profonda virgola e la manifestazione autentica di emozioni sono forme distinte di lavoro emotivo. Perciò Diefendorff e Gosserand hanno affermato che gli individui esprimono abitualmente le emozioni autentiche che solo quando queste non consentono di raggiungere gli esiti desiderati ricorrono alla recitazione di superficie profonda. Inoltre, in due campioni differenti, hanno notato come l'espressione di emozioni autentiche fosse più frequente rispetto alla recitazione di superficie profonda. Dahling e Perez hanno similarmente osservato che i lavoratori più anziani con più esperienza ricorressero più spesso alla recitazione profonda e alle espressioni di emozione autentiche virgola in meno alla recitazione di superficie. Hochschild Ha sostenuto che il lavoro emotivo può avere conseguenze particolarmente negative per chi opera nel settore dei servizi, perché l'espressione di emozioni non effettivamente provate può provocare dissonanza emotiva e sentimenti di non autenticità. Il percepire dissonanza emotiva espone i lavoratori a livelli più elevati di esaurimento nervoso. Invece, quando le persone si identificano con le emozioni richieste per lo svolgimento del proprio lavoro non sperimentano esaurimento emotivo. Livello 4: leadership e gruppi → ci sono due correnti di ricerca principale nella ricerca sugli effetti delle emozioni per la gestione della leadership e il funzionamento dei gruppi: - leader come gestori dell’umore → i dirigenti e i capi possono influenzare l'umore loro collaboratori o dei membri dei loro gruppi in diversi modi; i leader emergenti comprendono meglio come reagire a diversi eventi lavorativi carichi dal punto di vista emotivo e influenzano gli altri membri facendo loro da modello rispetto alla risposta emotiva corretta da adottare. I capi che adottano uno stile di leadership trasformazionale sono in grado di infondere sentimenti di ottimismo, incrementando così la prestazione e il raggiungimento degli obiettivi. Il contagio emotivo È uno dei metodi principali con cui leader possono influenzare l'umore dei loro collaboratori; avviene quando le emozioni si diffondono da una persona all'altra, spesso attraverso l’imitazione reciproca delle espressioni emotive, del linguaggio del corpo e del tono della voce. Goleman, Boyatzis e McKee, nel loro libro sulla leadership primaria, hanno affermato che uno dei principali modi in cui la leadership emotiva funziona e attraverso la creazione del contagio emotivo: i leader primari agiscono per stimolare una sincronizzazione emotiva attraverso la quale sia i leader che i collaboratori si avvicinano emotivamente. In seguito i leader utilizzano il loro legame emotivo con i membri del gruppo per produrre nuovi stati emotivi insieme ai loro collaboratori. - intelligenza emotiva e leadership Livello 5: l’organizzazione → a questo livello l'obiettivo principale è la comprensione dei fattori che determinano e mantengono un clima emozionale positivo, ovvero volto a sostenere le emozioni positive e a diffonderle a tutti i livelli dell'organizzazione. 12 Ashkanasy e Ashton-James sottolineano che il livello 5 è qualitativamente diverso dagli altri del modello, perché ciò che avviene in questo livello tiene conto anche delle interazioni dei livelli sottostanti. Dasborough e colleghi hanno descritto il contagio emotivo come un processo in grado di diffondere uno stato emotivo tra i diversi livelli organizzativi, determinando un'interazione tra le dinamiche emotive che avvengono a livelli diversi. Inoltre, Momeni ha notato che l'intelligenza emotiva dei superiori (livello 2) aveva un impatto diretto sul clima (livello 5). Questa complessità può essere ricondotta a due aspetti: - il clima emozionale → De Rivera ha introdotto e definito il concetto di clima emozionale come quel fenomeno di gruppo oggettivo che può essere chiaramente percepito. È un sottoinsieme del concetto di clima organizzativo. Tuttavia, si focalizza sull'umore collettivo dei membri dell'organizzazione rispetto al lavoro, dei loro colleghi, dell'organizzazione e dei vertici dell'organizzazione. - le regole di manifestazione delle emozioni → la cultura organizzativa ha una profonda influenza sulle politiche dell'organizzazione che regolano la manifestazione delle emozioni o il lavoro emotivo. Diefendorff e colleghi hanno analizzato l'interazione tra le regole di manifestazione delle emozioni e le variabili individuali e di contesto. Si pone l'enfasi sulla necessità di creare un clima emozionale positivo e di benessere. Cooper e Williams hanno osservato che le organizzazioni sane attribuiscono lo stesso livello di priorità al benessere dei lavoratori e ai risultati dell'organizzazione. Le organizzazioni che intendono promuovere il benessere dovrebbero cercare di limitare il più possibile gli eventi negativi dal punto di vista emotivo, evitando di richiedere lavoro emotivo eccessivo punto a tal riguardo Härtel, Hsu e Boyle prima e Kelly e Barsade poi, hanno evidenziato il fatto che le policy dell'organizzazione sono spesso le determinanti principali degli esiti emotivi individuali e di gruppo. II- Cap.8: selezione, performance management e valutazione del potenziale La selezione Analisi del contesto organizzativo → la selezione è un'attività sistematica di confronto tra candidati all'assunzione attività da svolgere in azienda, nel contesto culturale, temporale e sociale di riferimento. Le variabili organizzative più importanti da considerare che guidano l'analisi del contesto sono l'ambiente di riferimento, il mercato nel quale l'organizzazione opera, la struttura e la cultura condivisa. Costa propone cinque variabili che possono guidarci nell'analisi dell'ambiente organizzativo: - mercati degli input → varietà di rapporto con i fornitori; - mercati degli output → varietà dei prodotti, fatturato, competitors, etc… - tecnologia → investimenti in ricerca e sviluppo; - istituzioni → tipologia di istituzioni, rapporti con le istituzioni; - stakeholder → rapporto con gli azionisti, percezione esterna dell'azienda. L’analisi dell'ambiente organizzativo permette di prevedere il contesto in cui il candidato dovrà inserirsi e con cui dovrà interfacciarsi. Hatch elenca i parametri da tenere in considerazione quando si parla di struttura: dimensioni dell'organizzazione, complessità (verticale o orizzontale), standardizzazione, formalizzazione, centralizzazione, interdipendenza e divisione del lavoro. Dall’analisi della posizione alla definizione del profilo atteso → per Borgogni e Petito l'analisi e il passaggio preliminare e indispensabile per qualsiasi forma di valutazione. L’analisi della posizione consiste nella raccolta e analisi delle informazioni sulla posizione organizzativa per quanto riguarda le attività, i comportamenti e le responsabilità di lavoro. Per posizione si intende l'insieme di attività, responsabilità e finalità previste dalla posizione occupata nell'organigramma organizzativo e nel caso della selezione e il ruolo che la persona selezionata dovrà andare a ricoprire. Invece, il ruolo fa riferimento al modo in cui la persona interpreta un certo posto di lavoro, enfatizzando il modo soggettivo di interpretare la posizione. Per procedere alla Job Analysis si possono utilizzare molti approcci, raggruppati in due categorie: - task analysis → il focus sull'individuazione delle attività, dei compiti e delle responsabilità che l'organizzazione si attende rispetto allo svolgimento di una determinata posizione. La scelta di questo approccio è utile quando si devono descrivere i lavori molto standardizzati e stabili. Il risultato è la job description, un documento organizzativo che sintetizza i contenuti della posizione punto lo strumento privilegiato e l'intervista classica per l'analisi della posizione 13 - behavior analysis → il focus è sui comportamenti tipici e cruciali che caratterizzano la posizione di lavoro e che consentono di ricoprirla in maniera efficace punto è indicato per la descrizione di ruoli poco definiti e flessibili ed è più adatto per la valutazione della prestazione, del potenziale, la formazione e la selezione, dove è richiesto un focus sui comportamenti. Ne deriva la stesura di un modello di competenze, cioè una lista di comportamenti codificati e riferiti alle competenze distintive per svolgere la posizione con successo. Vengono usate interviste come la CIT e la BEI. Il testing psicologico nella selezione → i test psicologici sono lo strumento principale più diffuso nelle pratiche di selezione. Quelli utilizzati misurano variabili soggettive come i tratti di personalità, la motivazione, i valori, le abilità cognitive, poiché sono considerate variabili utili per una valutazione complessiva della persona, predittive della prestazione di successo e indicatori fondamentali di quanto l'individuo sia compatibile con la sua organizzazione. Cronbach distingue i tipi di test sulla base del contenuto che misurano: - test di comportamento tipico → valutano il modo abituale di comportarsi di una persona. - test di massima prestazione → valutano la prestazione massima che una persona può raggiungere dando il meglio di sé. I requisiti minimi che un test deve avere per essere considerato affidabile e veritiero sono: - il test deve essere valido, cioè deve misurare effettivamente e tradurre empiricamente il costrutto teorico che intende misurare; - deve essere validato su un'ampia popolazione, meglio ancora se in un contesto simile a quello oggetto di valutazione; - il test deve favorire previsioni utili e significative; - il test deve essere attendibile, cioè deve essere ripetibile e indipendente dall'errore casuale; - Ogni test deve essere ancorato a una teoria di riferimento scientificamente fondata che ci permetta di avere consapevolezza dei limiti nell'impiego dei test, su quali aspetti mette il focus e quali invece trascura. I vantaggi che ne derivano sono la velocità e la comodità nella somministrazione; inoltre, permettono di operare un confronto tra le persone e di poterle comparare con un campione standardizzato. Colloquio di selezione → il colloquio è lo strumento di intervento privilegiato dallo psicologo, poiché è presente e preponderante la dimensione di relazione che è oggetto di conoscenza squisitamente psicologica. Nell'ambito del colloquio di selezione sono sempre presente tre elementi: - chi realizza il colloquio (selezionatore) - l'altro (il committente o il candidato) - la relazione tra i due nella situazione. Le competenze relazionali dello psicologo diventano lo strumento che, insieme alle tecniche, consente di poter pervenire al prodotto professionale. Gli aspetti chiave della metodologia del colloquio di selezione possono essere riassunti in un'articolazione in fasi: 1. Preparazione al colloquio → fase di reclutamento delle candidature e screening dei curricula. 2. Setting → insieme di regole e di parametri invarianti che definiscono la situazione in cui si realizza il colloquio (spazi, setting, etc.). 3. Accoglienza → inizio del colloquio stesso; base per creare le condizioni di una reale conoscenza dell'altro. 4. Ricognizione → fase di realizzazione del colloquio in cui vengono esplorate le ragioni della candidatura, il curriculum scolastico e professionale, le motivazioni lavorative e le aspirazioni professionali. 5. Conclusione → evitare di concludere il colloquio frettolosamente con toni bruschi. Gli assessment center in selezione → secondo le linee guida internazionali con assessment center (AC) si intende un complesso metodo di valutazione del comportamento standardizzato è basato su molteplici input virgola in cui vengono usate prove situazionali che più osservatori addestrati osservano e valutano. La metodologia dell’AC parte dall'assunto che esponendo la persona ha delle prove che simulano la complessità di una reale situazione lavorativa, questa è una risposta comportamentale osservabile e valutabile rispetto all'attitudine a ricoprire il ruolo. Questa metodologia prevede la somministrazione al candidato di una molteplicità di strumenti, come test di abilità mentali e di profitto, questionari di personalità e di motivazioni, colloqui psicologico motivazionali. Le prove situazionali hanno il vantaggio di poter essere replicabili più e più volte; inoltre, possono essere individuali o di gruppo. Tra le prove di gruppo più usate ci sono: leaderless group discussion (discussione e risoluzione di un problema), business game (simulazione di una riunione), role playing di gruppo (assegnare ruoli organizzativi). 14 Gli esiti della selezione → La selezione è efficace quando la persona ha: - alte prestazioni - crescita personale - crescita aziendale Il performance management Per valutazione della prestazione si intende ciò che la persona ha fatto, ovvero i comportamenti messi effettivamente in atto nello svolgimento della propria attività. Il performance appraisal si riduce ha un momento conclusivo di un anno di lavoro che consiste nella descrizione sistematica di punti di forza e debolezza del valutato. Il focus è sulle difficoltà incontrate e sulle performance non conseguite; inoltre, è possibile prendere atto dei propri errori solo al momento della valutazione. Il performance management, invece, è finalizzato non solo alla valutazione della prestazione ottenuta dal valutato, ma un apprendimento delle proprie azioni accrescimento delle capacità e competenze; è necessario una gestione continua della prestazione che si attua attraverso un processo on-going. Quindi è un vero e proprio strumento per lo sviluppo dell'intera organizzazione, poiché favorisce monitora il raggiungimento degli obiettivi condivisi allineati a quelli strategici. Finalità dei sistemi di valutazione → le finalità dei sistemi di valutazione sono molteplici: - bilancio tra prestazione attesa dal collaboratore e risultati conseguiti; - raccolta di informazioni sui punti di forza e di miglioramento delle proprie risorse, utili per indirizzare i percorsi di formazione e migliorare la loro collocazione nell'azienda; - pianificazione del lavoro da svolgere attraverso un confronto tra capo e collaboratore e coinvolgendo il dipendente sulle attese che l'azienda nei suoi confronti; - il sistema di valutazione può essere finalizzato a facilitare il cambiamento organizzativo. Valutatori → la scelta su chi debba ricoprire il ruolo di valutatore oggi ricade sul capo virgola che sebbene non abbia sempre l'opportunità di osservare il collaboratore possa essere soggetto a bias, quando organizza colloqui di valutazione, la prestazione del collaboratore migliora sensibilmente rispetto a quando questi non hanno luogo. La fonte più attendibile di dati sulla prestazione è quella fornita dai colleghi. Strumento di valutazione → lo strumento vero e proprio per effettuare la valutazione della prestazione è la scheda di valutazione. La definizione di competenza è ancora oggi controversa e dibattuta: - la prima è stata fornita da McClelland che descrive come un complesso di schemi cognitivi e comportamenti operativi causalmente collegati al successo nel lavoro. - nella definizione di bandura, invece, c'è una netta differenza tra il possesso di conoscenze e abilità e il loro uso in maniera competente in diverse circostanze. Le scale di valutazione possono essere di tre tipi: - schede per fattori → valutano dimensioni qualitative; l'input, infatti virgola e l'analisi delle posizioni ed esistono differenti schede per differenti famiglie professionali punto le dimensioni sono anche in funzione della cultura organizzativa; è una scheda fortemente strutturata. - schede per obiettivi → riferimento dimensioni quantitative, gli obiettivi sono inseriti dal capo e la valutazione avviene in base al grado di raggiungimento degli stessi e al peso assegnato ad ognuno di essi; ha una bassa strutturazione. - schede miste → sono le più diffuse perché coniugano entrambe le tipologie di schede essendo divise in più sezioni: fattori, obiettivi e parte conclusiva aperta dedicata alla valutazione complessiva, commenti generali, indicazioni per lo sviluppo, eventuali commenti del valutato che firma di valutatore e valutato. 15 Assegnazione degli obiettivi → tramite MBO (Management by Objectives); una valutazione basata sugli obiettivi si collega al sistema di pianificazione aziendale virgola in quanto l'alta direzione definisce gli obiettivi generali dell'azienda in termini di piani operativi strategici. Formazione dei valutatori → affinché la valutazione sia affidabile è necessario che i valutatori siano formati punto, poiché l'oggettività e l'accuratezza del valutatore è spesso influenzata da altri aspetti come le differenze di personalità, l'umore negativo, le relazioni interpersonali, i favoritismi e ciò che viene definito come organizational politics, ovvero i rapporti politici nell'organizzazione. L'oggetto della formazione dei valutatori riguarda i criteri rilevanti della prestazione, gli aspetti tecnici relativi allo strumento, la gestione e l'uso del feedback, l'assegnazione degli obiettivi o le strategie per minimizzare gli effetti degli errori di giudizio. Un metodo è fare pratica attraverso dei video che mostrano i comportamenti che devono essere valutati e viene fornito un feedback sulla propria accuratezza nella valutazione degli stessi. Altro metodo efficace è tenere un diario e richiamare la memoria informazioni in modo strutturato. Un altro aspetto riguarda l'uso di strumenti più strutturati e meno aperti, poiché restano di difficile compilazione ed espongono più facilmente distorsioni di diversa natura. Infine, bisogna abituare i capi a prestare attenzione alla sorpresa, cioè un elemento che si discosta dal giudizio già consolidato e che può essere preso in considerazione come fonte di informazione. La valutazione del potenziale Potenzialità della persona → il processo di ricerca e valutazione dei talenti è fondamentale per il conseguimento dell'eccellenza organizzativa, per trattenere le risorse migliori nell'organizzazione, per rafforzare le capacità delle persone e per anticipare gli scenari futuri agendo trasformativamente sull'ambiente. Valutazione del potenziale → gli strumenti per la valutazione del potenziale più usati sono il colloquio di potenziale, condotto da valutatore esterno e specializzato, e gli assessment center, gestiti da un team di assessor sia interni che esterni all'azienda. II- Cap.7: apprendere per le organizzazioni: lo sviluppo delle risorse umane attraverso la formazione La formazione è un'essenziale strumento di costruzione delle competenze a livello individuale virgola di gruppo e organizzativo. Agisce su conoscenze (knowledge), competenze (skills) e atteggiamenti (attitudes). La formazione è un'insieme di azioni mirate a sviluppare le abilità lavorative di un individuo, da ampliare o aggiornare le sue conoscenze, a favorire l'adozione di comportamenti adeguati a un migliore svolgimento della propria pratica lavorativa o per il perseguimento degli obiettivi organizzativi, a promuovere lo sviluppo di capacità trasversali; anche azioni rivolte a gruppi di lavoro, per favorirne la coesione, rinforzare l’interdipendenza o sviluppare nuove pratiche. La formazione in ambito organizzativo è considerato un processo intenzionale rivolto alle risorse umane e pianificato secondo modalità utili a dare risposte ai bisogni dell'organizzazione. Da alcune definizioni emerge una funzione trasformativa: formare implica un intervento profondo e globale che provoca nel soggetto uno sviluppo che questo non sia sovrapposto alla struttura esistente, ma sia integrato in nuove strutture più generali, che consentono a ognuno di raggiungere un livello culturale multidisciplinare, capace di fargli meglio comprendere i fenomeni della vita. Secondo Avallone intende intervenire per modificare quelle strategie di comportamento stereotipate e favorire piuttosto una tendenza all'esplorazione, all'analisi, alla ricerca. In questo si sostanzia il cambiamento che la formazione induce a livello individuale e organizzativo. Complessivamente, la è un processo di apprendimento che si propone di promuovere il cambiamento nelle persone ma anche lo sviluppo organizzativo, attraverso il trasferimento degli apprendimenti nei contesti di lavoro e il loro impatto positivo sui processi lavorativi e il sistema organizzativo nel suo insieme. I paradigmi della formazione → Avallone individua quattro paradigmi della formazione virgola che racchiudono diverse concezioni dell'essere umano, dell'apprendimento e del ruolo del formatore: 1. formazione imitativa (proporre modelli) → l'apprendimento si verifica attraverso l'emulazione di un modello, cercando di raggiungere l'acquisizione di nuove abilità di tipo manuale, nell'ipotesi che esista un modo di svolgere i compiti lavorativi punto è un paradigma funzionale nelle organizzazioni che richiedono lo svolgimento di compiti specifici e parcellizzati. 2. formazione colmativa (trasmettere conoscenze) → esprime la necessità di trasferire un sapere istituito, conoscenze strutturate e modelli certi punto l'obiettivo e portare i discenti a un livello prefissato di conoscenza è considerato necessario per lo svolgimento di una specifica professione. È molto diffuso nelle organizzazioni che hanno necessità di riqualificare il personale e nelle organizzazioni scolastiche. 16 3. formazione integrativa (favorire l’integrazione) → serve a facilitare l'inserimento e l'adattamento dei singoli all'organizzazione virgola di fondere i valori e credenze virgola di contenere il peso dell'identità personale e delle differenze individuali in nome dell'integrazione sociale virgola di creare senso di appartenenza. Risponde alle esigenze dell'organizzazione di rinforzare la partecipazione e l'appartenenza dei lavoratori al sistema organizzativo. 4. formazione maturativa (facilitare lo sviluppo) → ha lo scopo di valorizzare la capacità di imparare ad apprendere più che l'apprendimento di specifici contenuti e di incrementare le potenzialità del soggetto. Non vengono forniti i contenuti, ma è istituito un setting che consente al partecipante di sviluppare meta-competenze. Il formatore è un analista della complessità virgola che offre un supporto metodologico fornendo strumenti per analizzare la realtà. Formazione e apprendimento organizzativo Considerando le fasi della socializzazione lavorativa, possono essere individuate diverse esigenze organizzative a cui la formazione può essere chiamata a rispondere: - relazione con il contesto, cioè la capacità di leggere i sistemi con cui il lavoratore interagisce e di definire il contributo del proprio ruolo professionale rispetto ad essi. - integrazione relazionale, cioè la competenza nel decodificare e riflettere sulle proprie emozioni lavoro virgola di gestire le relazioni sociali nel gruppo di lavoro e allargate. - sviluppo di conoscenze, competenze e abilità necessarie allo svolgimento della pratica professionale. - cultura organizzativa, cioè la condivisione del sistema simbolico e valoriale che fornisce gli schemi interpretativi della realtà e guida le pratiche professionali. → esempi di temi tipici di interventi di formazione, in relazione alla fase di socializzazione dei lavoratori. In gruppo, di gruppo → alcuni obiettivi formativi sono focalizzati specificamente sul livello di gruppo. Ad esempio lo sviluppo di capacità di interazione o il sostegno dell'allineamento verso obiettivi comuni o la promozione di letture condivise e schemi interpretativi dei fenomeni. Alcuni autori distinguono tra formazione “in gruppo” e “di gruppo”: nel primo caso al centro dei processi di apprendimento c'è l'individuo, il gruppo di formazione rappresenta il contesto entro cui il processo si svolge e le relazioni interpersonali sono un aspetto incidentale; nel secondo caso il gruppo costituisce l'entità di riferimento del processo formativo e il sistema di relazioni e oggetto e strumento di lavoro. Apprendere, apprendere nelle organizzazioni, apprendere per le organizzazioni → alcuni autori ritengono che si possa parlare di apprendimento organizzativo (organizational learning) quando l'apprendimento dei singoli costituisce un valore per l'organizzazione a un impatto sulle sue strategie o sui suoi valori; quindi, un'organizzazione apprende quando i suoi membri apprendono nel suo interesse, realizzando un processo di indagine che dà luogo ad un prodotto di apprendimento. Alcuni autori ritengono che la conoscenza possa in parte essere un attributo proprio dell'organizzazione virgola non riconducibile all'insieme delle conoscenze competenze dei singoli individui. Le organizzazioni scelgono di sviluppare le proprie conoscenze e competenze valutando se sia più conveniente acquisire dall'esterno nuove conoscenze oppure promuovere la generazione di diffusione di conoscenze al proprio interno. Infine, il processo di formazione è espressione dell'azione organizzativa solo quando rappresenta l'emergere divisioni ed esigenze organizzativa, cioè quando è frutto di scelte di politica organizzativa finalizzate a sviluppare l'organizzazione attraverso lo sviluppo delle risorse umane. 17 I ruoli del processo formativo I ruoli committente-partecipanti-formatore → la formazione in ambito organizzativo implica il coinvolgimento nel processo formativo di diversi ruoli: - committente → è colui che commissiona l'intervento, la persona che ha la motivazione il potere di richiedere un intervento virgola di decidere di avviarlo (es. L'imprenditore o i membri del CdA). Schein parla di sistema cliente distinguendo tra clienti iniziali, intermedi, primari e finali. I clienti iniziali sono i referenti dell'organizzazione che per primi contattano il formatore e danno avvio alla relazione di consulenza; i clienti intermedi sono tutte le persone che partecipano alle riunioni iniziali o alla pianificazione degli interventi successivi; i clienti primari sono coloro che hanno effettivamente il problema per cui ha chiesto il supporto, sono i veri committenti dell'intervento con cui il formatore potrebbe non avere mai a che fare; infine, i clienti finali sono i membri dell'organizzazione che fruiscono dell'azione formativa direttamente, cioè i partecipanti. - partecipanti → sono l'insieme degli individui che partecipano all'intervento formativo, in qualità di singoli discenti virgola di aggregati per ruolo o altra variabile organizzativa o di appartenenti ad un gruppo di lavoro. - formatore → chi gestisce professionalmente il progetto formativo nelle sue varie fasi; può essere definito come il facilitatore di cambiamento. Bruscaglioni individua quattro competenze di base che compongono in generale la professionalità del formatore, ma che sono usate con pesi diverse nelle varie specializzazioni che il ruolo può rivestire: 1. di contenuto: conoscenze disciplinari specifiche che esprimono la prospettiva teorico-metodologica del formatore; 2. di campo: capacità di conoscere e decodificare il contesto organizzativo e lavorativo i destinatari dell'azione formativa; 3. di metodo: conoscenza dei presupposti teorici e dell'applicazione delle metodologie didattiche; 4. di processo: competenza sui fattori che favoriscono o ostacolano l'apprendimento individuale e in gruppo. Gagliardi individua tre funzioni specifiche del formatore: 1. il formatore come manager dello sviluppo svolge una funzione di consulenza organizzativa; l'interlocutore principale del formatore manager dello sviluppo è il committente e questa funzione è svolta da professionisti interni all'organizzazione; 2. il formatore come progettista di interventi usa competenze di campo legate alle capacità di leggere l'organizzazione e formulare una diagnosi circa le sue esigenze di apprendimento, competenze legate al perseguimento degli obiettivi formativi e fattori di facilitazione ostacolo all'apprendimento e competenze organizzative nel definire le risorse professionali, temporali ed economiche necessarie all'attuazione dell'intervento; 3. il formatore come trainer è relativa alla fase realizzativa quando il formatore gestisce il processo formativo nella relazione con i partecipanti virgola che sono dunque i suoi principali interlocutori. Spesso è svolta da professionisti esterni all'organizzazione che hanno competenze di contenuto disciplinari o specifiche. I criteri di valutazione della formazione per il formatore trainer sono legati prevalentemente alla partecipazione-soddisfazione dei partecipanti e all'apprendimento dei contenuti o delle competenze proposte. Questa funzione può essere svolta con diverse modalità: - istruttore → addestra, attiva i processi di apprendimento; - animatore → attiva e orienta i processi di apprendimento; - esperto → trasmette contenuti specifici virgola non utilizzando regole e comportamenti definiti da altri ma attingendo alla propria cultura specialistica. Bellotto individua per il trainer i ruoli di: - istruttore → fuoco pedagogico-didattico, esperto di contenuti; - conduttore → fuoco su processi di gruppo, competenze metodologiche e psicologico-sociali; - animatore → fuoco su motivazione e partecipazione, qualità carismatiche; - terapeuta → fuoco su problemi e vissuti personali dei partecipanti, competenze analitiche ed empatiche. Il triangolo C-P-F: relazioni e possibili triangolazioni → rappresentare i ruoli coinvolti nella formazione in relazione tra loro consente di evidenziare alcuni aspetti: - rappresentare il sistema dei ruoli implicati nella formazione come una rete di relazioni tra i tre poli C-P-F, aiuta il formatore a comprendere quale sia il ruolo rivestito dai suoi interlocutori nel processo e quale rilevanza dare ai diversi stakeholders. - il processo formativo implica necessariamente il coinvolgimento di tutti e tre i poli virgola in quanto attori del processo. Il processo formativo 18 Fasi del processo formativo → il processo formativo si compone di tre fasi: - fase diagnostica → si rilevano e analizzano le informazioni utili a comprendere i bisogni formativi dal punto di vista dell'organizzazione e dei lavoratori (utenti della formazione); - fase realizzativa → che a sua volta include a) la progettazione di massima (es. scelta delle modalità formative, individuazione dei partecipanti), b) la progettazione di dettaglio dell'intervento (es. obiettivi specifici, metodologie, tempi, setting) e c) l'azione formativa vera e propria; - fase valutativa → in cui verificare in itinere e a valle dell'intervento la sua efficacia in relazione agli obiettivi iniziali (es. conoscenze acquisite, skill sviluppate, utilizzo delle competenze nel contesto lavorativo, ecc.). La fase diagnostica: l’analisi dei bisogni → L'analisi dei bisogni si qualifica in primo luogo come un'attività di ricerca finalizzata all'acquisizione di dati e informazioni utili e attendibili per proseguire o meno nelle tappe successive del processo formativo. Ha dunque una funzione esplorativa e usualmente prevede la raccolta di informazioni relative ai fabbisogni formativi da tre punti di osservazione: 1. dell’organizzazione → vanno raccolti dati relativi all'organizzazione nel suo insieme, quali la struttura, i modelli di divisione del lavoro e di integrazione dei compiti, priorità strategiche, eventuali eventi critici che possono aver generato disfunzioni, ecc. Vanno inoltre raccolti dati relativi alla formazione. Nello specifico, alcuni autori includono nella fase di ricognizione preliminare la "environmental readiness" come parte dell'analisi dei bisogni a livello organizzativo individuando alcuni fattori facilitanti o di vincolo per l'azione formativa. 2. del lavoro → A questo livello vengono analizzati, a diverso livello di scomposizione (task job), i compiti tipici della professionalità da coinvolgere nel processo formativo, al fine di desumere quali competenze bisogna implementare o acquisire affinché essi siano svolti efficacemente. 3. delle persone → A questo livello vengono rilevate competenze e attitudini, esperienze formative passate, aspettative ed esigenze dei lavoratori che saranno coinvolti nell'intervento formativo. Complessivamente l'analisi dei bisogni dovrebbe consentire, da parte della funzione risorse umane, la programmazione delle attività formative ossia l'individuazione dell'insieme degli obiettivi di apprendimento che l'organizzazione si propone di realizzare, degli investimenti economici e temporali complessivi e degli attori da coinvolgere. Consente la progettazione di massima degli interventi che si intende realizzare. È propedeutica alla definizione della progettazione di dettaglio dei singoli interventi formativi (obiettivi specifici, metodologie, tipologia dei partecipanti, ecc.). Infine, costituisce il punto di riferimento per la valutazione della loro efficacia. La fase realizzativa: scelte metodologiche → ci sono alcune scelte che può compiere chi progetta la formazione: - standard - non standard → la prima scelta riguarda il grado di standardizzazione dell’offerta formativa; la formazione può proporre conoscenze predeterminate e proposte collettivamente a tutti i partecipanti in modo omogeneo nelle modalità e nei tempi di erogazione; oppure proporre percorsi personalizzati in relazione alle caratteristiche dei partecipanti. - formale - informale → le alternative sono proporre conoscenze predeterminate e proposte collettivamente a tutti i partecipanti in modo omogeneo oppure proporre conoscenze personalizzate in relazione alle caratteristiche dei partecipanti. Le organizzazioni possono dunque promuovere azioni formative sostenendo intenzionalmente processi di scambio e generazione di conoscenza a bassa formalizzazione e in diversi luoghi per l'apprendimento, quali le comunità di pratica o altre pratiche riflessive. - on the job - off the job → Tradizionalmente la formazione si svolge in un luogo "terzo", ossia in un setting dedicato che ha proprio la funzione di sospendere il "fare" per favorire il "pensare". Tuttavia, per facilitare l'applicazione degli apprendimenti nei contesti lavorativi reali molte attività formative sono svolte nei luoghi di lavoro. La fase valutativa: livelli e fattori → chiude il processo formativo allo scopo di verificare l'efficacia dell'intervento svolto. Kirkpatrick propone di valutare quattro diversi livelli che costituiscono i principali esiti della formazione: - livello 1 → - le reazioni dei partecipanti relative al loro grado di gradimento e alle emozioni relative all'esperienza formativa; - livello 2 → l'apprendimento, ossia l'insieme dei cambiamenti cognitivi (es. apprendimento di conoscenze o principi), negli atteggiamenti e nei comportamenti (es. apprendimento di tecniche o di utilizzo di strumenti) che i partecipanti hanno realizzato grazie alla formazione; - livello 3 → il comportamento, ossia il trasferimento e l'utilizzo effettivo nel contesto di lavoro di quanto appreso durante la formazione; - livello 4 → i risultati ottenuti dall'organizzazione grazie all'intervento formativo (es. riduzione di costi o di turnover e assenteismo, aumento della produttività, miglioramento del morale). 19 Alcuni autori hanno suggerito di aggiungere un ulteriore livello relativo al grado in cui la formazione ha contribuito al successo organizzativo, sulla base di diversi criteri quali i benefici economici e umani ottenuti, il ROI (Return On Investment) o il valore societario. Quindi, il risultato della valutazione della formazione descrive cosa è accaduto in seguito all'intervento di formazione; il risultato della valutazione dell'efficacia della formazione consente di comprendere, in una prospettiva più ampia, perché questi risultati si sono verificati o meno e si propone di fornire indicazioni per il miglioramento degli interventi. I- Cap.5: i valori nel lavoro È molto importante conoscere quali sono gli elementi del lavoro a cui la persona dia importanza, cosa ritiene prioritario e su quali criteri basa le sue scelte e le sue azioni lavorative. I valori rappresentano una dimensione strettamente intrecciata con lo sviluppo della persona nel contesto organizzativo. Un valore rappresenta in generale una credenza stabile, secondo la quale una condotta è preferibile ad un'altra per un certo individuo o gruppo. A livello individuale, il "valore" si mostra soprattutto in ciò che egli aspira ad ottenere nella sua esperienza organizzativa, indirizzandolo verso determinate attività, contesti e percorsi e contribuendo a determinarne la soddisfazione ed il coinvolgimento. A livello organizzativo, invece, il "valore" si configura come una sorta di filosofia che si tramanda nel tempo ed è condivisa dalle persone che ne fanno parte, la quale riassume ciò in cui esse credono e impronta la logica di funzionamento dell'organizzazione. I valori nella dinamica organizzativa I valori rivestono un ruolo chiave nelle organizzazioni. Ad essi fanno ricorso i leader per assegnare obiettivi e per motivarli e giustificarli di fronte ai collaboratori e agli altri referenti organizzativi interessati, interni o esterni all'organizzazione: entrano così a far parte delle conversazioni organizzative, entro le quali veicolano criteri di comportamento privilegiati. I valori, inoltre, si palesano negli elementi più evidenti e tangibili, quali il linguaggio, i riti, le cerimonie, gli ambienti e le pratiche che si sviluppano entro il contesto organizzativo; si tratta di aspetti, di carattere peraltro piuttosto eterogeneo, che nel complesso rispecchiano e rendono manifeste le priorità dell'organizzazione, traducendole in termini concreti. Sul piano comportamentale, due sono le principali direttrici lungo cui i valori si manifestano: - da un lato si palesano nelle condotte di chi lavora nell'organizzazione, che tendenzialmente ne rifletteranno le priorità individuali; - dall'altro lato, i valori si esprimono nell'azione manageriale, andando a impattare sulle scelte gestionali e al contempo incoraggiando l'attuazione di condotte allineate con le aspettative organizzative. I valori concorrono a determinare la cultura organizzativa che, secondo Schein (1990), rappresenta il modo di percepire, pensare e agire condiviso entro l'organizzazione. Tale dimensione complessa include al suo interno tre diversi livelli di analisi, che vanno da quello più profondo e inconsapevole degli assunti di base (ossia le credenze che fondano i significati attribuiti al mondo e agli eventi), a quello intermedio dei valori (appunto, le convinzioni condivise in merito a quanto ritenuto auspicabile e preferibile) e, infine, a quello più tangibile e superficiale degli artefatti (vale a dire gli aspetti più osservabili come il linguaggio, l'abbigliamento, le pratiche organizzative, gli strumenti ecc.). All'interno di questo modello di cultura organizzativa, i valori rivestono dunque un ruolo centrale, in quanto sono proprio essi a fungere da fattore di congiunzione tra gli aspetti più profondi e quelli più superficiali. I valori organizzativi derivano innanzitutto dall'influenza esercitata dal contesto culturale nazionale; quest'ultimo, a sua volta, può ad esempio essere letto mediante la tassonomia dei valori nazionali proposta da Schwartz (1999), che prevede tre dimensioni bipolari, ognuna delle quali è riferita a tre temi ritenuti centrali in ogni società: - la prima dimensione riguarda la relazione o, al contrario, la separazione tra individuo e gruppo, e pone in contrapposizione il valore dell'appartenenza con il valore dell’autonomia. - la seconda dimensione concerne il modo prescelto per assicurare l'attuazione di comportamenti socialmente responsabili che mantengano l'ordine sociale, e mette in contrapposizione il valore della gerarchia (che propone la preferenza per un sistema prescritto e prescrittivo di ruoli che indirizzano e limitano il comportamento) con il valore dell'uguaglianza. - la terza dimensione si riferisce alla strategia di regolazione della relazione tra il genere umano e l'ambiente naturale e sociale, e vede contrapporsi il valore del controllo (che dà rilevanza all'intervento proattivo dell'uomo sull'ambiente per il bene del proprio gruppo) e il valore dell'armonia. Alla base dei valori organizzativi ci sono degli elementi di base: 1. valore dell’autonomia → le organizzazioni parte del contesto tendono a concedere maggiore autonomia ai loro membri e si aspetteranno che gene

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