Lessico, Semantica e Pragmatica - Claudio Iacobini PDF
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Roma Tre University
Claudio Iacobini
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This document explores the structure of words (morphology), and defines a word as the minimum combination of meaningful elements (morphemes) within a language. It looks at the criteria used to define words, such as the fixed order of morphemes, the potential pauses at word boundaries in speech, and the separability within written texts. The document also introduces the concepts of morpheme, allomorph, and morpho, with examples for Italian.
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LESSICO SEMANTICA E PRAGMATICA - CLAUDIO IACOBINI PRIMA PARTE: I LIBRO - la linguistica (capitolo 3) La morfologia (forma+studio) studia la struttura della parola, il suo ambito di azione è quindi la forma/struttura d...
LESSICO SEMANTICA E PRAGMATICA - CLAUDIO IACOBINI PRIMA PARTE: I LIBRO - la linguistica (capitolo 3) La morfologia (forma+studio) studia la struttura della parola, il suo ambito di azione è quindi la forma/struttura della parola. Le parole sono unità intuitive di una lingua, e sono portatrici di un valore DENOTATIVO = una parola è un elemento linguistico con la quale si può identi care un referente del mondo. * È molto complicato arrivare ad una de nizione di parola che sia applicabile con i suoi criteri a tutte le lingue del mondo (sia scritte e orali che solo orali). Possiamo de nire il prototipo “parola” come la minima combinazione di elementi minori dotati di signi cato ( i MORFEMI), costruita spesso attorno ad una base lessicale (cioè ad un morfema con un signi cato referenziale) che funzioni come entità autonoma della lingua e possa rappresentare isolatamente un segno linguistico compiuto, o comparire come unità separabile costitutiva di un messaggio. Possiamo elencare alcuni criteri di de nizione di una parola: 1. Il fatto che all’interno di una parola l’ordine dei morfemi che la costituiscono è rigido e sso. ESEMPIO: “gatto” “ogatt” i morfemi non possono essere invertiti o cambiati di posizione, così facendo si distruggerebbe la parola stessa. 2. Il fatto che i con ni di parola sono punti di pausa potenziale nel discorso. 3. Il fatto che la parola è di solito separabile nella scrittura moderna. 4. Il fatto che foneticamente la pronuncia di una parola non è interrotta ed è caratterizzata da un unico accento primario. È molto di cile trovare dei criteri di de nizione di una parola che vadano bene per tutte le varietà linguistiche, ad esempio de nizioni su criteri ortogra ci per cui è una parola ogni elemento che in testo scritto compare tra due separatori, sono applicabili soltanto a lingue che hanno una forma scritta. Sono distanti ad esempio dal concetto più tipico di parola gli elementi clitici, come l'articolo gli o il pron me lo: se da un lato non sono interrompibili e presentano un ordine sso dei morfemi, dall'a tro non hanno accento proprio né mobilità di posizione e da soli non possono c stituire un enunciato. Possiamo dire che “una parola è allo stesso tempo un'unità fonologica, s mantica e grammaticale (cioè morfosintattica): rappresenta sempre l'unione di una particolare combinazione di suoni ([‘a:mo]) con un particolare signi cato (“provo a etto, amore"), fi fi ffi fi o fi o fi l fi fi fi fi fi fi fi fi ff e suscettibile di un particolare uso grammaticale (prima persona del presente indicativo di amare). Il confronto tra lingue mostra però una così ampia gamma di tipi diversi di parola da indurre a considerare in termini graduali e non categorici la nozione stessa di parola. Si potranno così riconoscere alcune combinazioni di morfemi che rispettano tutti i criteri me zionati, e che quindi rappresentano in modo più tipico il concetto di parola, e altre che invece ne rispettano soltanto alcuni Si potranno quindi de nire delle parole in maniera meno tipica (che non rispettano tutti i criteri), che saranno “meno” parole di altre (che invece rispettano più criteri di de nizione. Nel prototipo 'parola' saranno compresi, oltre ai tratti coincidenti con i criteri di de nizione e riconosciment , anche proprietà come l'avere un signi cato lessicale, referenziale (le parole piene sono 'più parole' delle parole vuote), o per lingue come l’italiano, il fatto di essere soggette alla essione. MORFEMI è un’entità astratta che appartiene al piano della langue: (lingua intesa come sistema: astratta, sociale e stabile). Il signi cato di una parola è dato dalla somma e combinazione dei signi cati dei singoli morfemi che la compongono. Il morfema è l’unità minima di prima articolazione (corrispondenza tra forma e contenuto), è il più piccolo pezzo di signi cante di una lingua portatore di un signi cato proprio, di un valore e di una funzione precisi e individuabili, e riusabile come tale. Sono essenzialmente le forme più piccole alle quali viene associato un signi cato. Il signi cato di una parola, in l nea di principio, è dato dalla somma e combinazione dei signi cati dei singoli morfemi che la compongono ESEMPIO: DENTALE= Possiamo scomporre l'aggettivo dentale in tre morfemi: 1. dent-, col signi cato "organo della masticazione", 2. -al-, col s gni cato "relativo a”, 3. -e, col signi cato “singolare". La parola dentale è dunque formata da tre morfemi. In questo caso abbiamo una forma che ha un uso ricorrente (al) e una funzione ripetuta che è quella di formare aggettivi che si riferiscono al nome: settimana - settimanale. AL è quindi un morfema che serve per ricavare da nomi degli aggettivi (stradale, mortale, naturale…) La semplice presenza di parti di signi cante identiche nelle parole non vuol dire che si tratti di uno stesso morfema. In st dente non c'è a atto un morfema -dent-: la parola si scompone in stud-ent-e; così come in spalare non c'è a atto un morfema -al-: la parola si scompone in s-pal-are. Il morfema in causa deve ricomparire come isolabile con lo stesso signi cato, con lo stesso apporto al sign cato globale della parola che lo contiene. Il morfema si identi ca nella ripetizione con forma identica o simile in serie ripetute che producono gli stessi e etti semantici. n fi fi fi fi i fi fi fi fi o fi fl fi ff fi i fi u fi ff i fi fi ff fi fi fi COS’È IL PROCESSO DI COMMUTAZIONE? È il procedimento che si utilizza per scomporre la parola in morfemi. Nello studio della morfologia abbiamo una distinzione importante tra morfema, MORFO e ALLOMORFO: MORFO Il morfo è un morfema inteso come forma, dal punto di vista del signi cante, prima e indipendentemente dalla sua analisi funzionale e strutturale. ESEMPIO: "il morfema del singolare è realizzato dal morfo -e" In italiano, al contrario dell’inglese, la forma plurale/singolare avviene per SOSTITUZIONE, non per aggiunta, abbiamo quindi un morfema singolare ed uno plurale che si realizzano attraverso vari mor. Esistono processi additivi (inglese) e sostitutivi (italiano). Abbiamo quindi una rappresentazione della parola che distingue due parti: - radice - numero: Il morfema di numero può essere rappresentato da mor divers In molte varietà centro-meridionali succede che la distinzione essiva non è rappresentata dalla vocale nale, ma da una modi ca della vocale tonica “a ross” “o russ”, questo dipende dalla qualità della vocale nale. Esistono processi additivi (inglese) e sostitutivi (italiano). Il morfema è la classe di signi cati Il morfo è un singolo rappresentante ALLOMORFO L’allomorfo è la variante formale di un morfema: è ciascuna delle forme diverse in cui si può presentare uno stesso morfema, e che non determinano cambiamenti nel suo signi cato. Il criterio in base a cui possiamo dire che si tratti dello stesso morfema (e quindi stabilirne gli allomor ) è che l'elemento individuato abbia sempre lo stesso signi cato e si trovi nella medesima posizione nella struttura della parola. Le cause dei fenomeni di allomor a sono solitamente da cercare nella diacronia, vale a dire da riportare a trasformazioni avv nute nella forma delle parole e dei morfemi, spesso per ragioni fonet che, lungo l'asse del tempo: gran parte dei fenomeni di allomor a, di cui l'italiano è una lingua molto ricca, è dovuta ai mutamenti fonetici e alle diverse tra le con le quali le parole si sono trasme se dall'origine latina (o altra) all'italiano. Tale vicinanza fonica è dovuta dalla stessa origine o da fenomeni fonosintattici. ESEMPIO: 1. allomor a nel morfema grammaticale: -abil-, -ibil-, -ubil- sono allomor di uno stesso morfema, formano aggettivi con un signi cato di potenzialità (mangiabile, leggibile, solubile, ecc.) 2. allomor a nella radice: scuol-a, scol-aro, scol-astico fi fi fi fi fi i fi fi s fi fi fi e fi fl fi fi fi fi fi fi Se la parola è scomposta in elementi regolari riconoscibili è un morfema Se abbiamo più rappresentazioni lo chiamiamo morfo Se possono avere più rappresentazioni in base ai diversi contesti li chiamiamo allomor. SUPPLETIVISMO Si hanno dei casi in cui un morfema lessic le in certe parole derivate viene sostituito da un morfema (e quindi ra presentato da un morfo) dalla forma totalmente diversa (e spesso di di erente origine etimologica) ma ovviamente con lo stesso signi cato. ESEMPIO: nel nome acqua e nell'aggettivo idrico troviamo che il morfema lessicale per "acqua" si manifesta in due forme completamente diverse, acqu- e idr-, l'una proveniente dal latino e l'altra dal greco. Cavallo e equino, fegato e epatico ecc… Casi di questo g nere si hanno anche nei paradigmi verbali: ESEMPIO: il verbo andare (and-are) al presente indicativo presenta forme come vado-vai (vad-o, va-i), d versa provenienza. A tale fenomeno si dà il nome di SUPPLETIVISMO. Le forme suppletive sono per la formazione delle parole molto marginali, per la essione sono molto importanti. I segni linguistici sono biplanari (unione indissolubile): signi cante : la manifestazione sica di un segno (immagine acustica) signi cato : range di referenti del signi cante (o concetto, immagine mentale) *Non c’è un legame necessario tra le parole ed il mondo, la parola cane ad esempio può identi care sia il singolo elemento che l’insieme di tutti i cani. Come in questo caso, i nomi sono tipicamente sensibili al tratto grammaticale di numero, essi possono assumere forme diverse a seconda che si riferiscano ad uno o più individui di una determinata categoria. IN ITALIANO IL TRATTO DI NUMERO È BINARIO, altre lingue possono distinguere il tratto di numero tra: Singolare e duale (la coppia) Singolare e plurale (paucale) Il verbo amare, ad esempio ha tante forme possibili che vengono determinate dalle condizioni discorsive: Enunciatore Tempo Modalità Possiamo avere parole nuove formate da altre parole di base: libro—> librario, giornale—> giornalista. Abbiamo un modo funzionale per poter formare parole a partire da altre già esistenti: è un criterio di economia e predicibilità delle forme che aiuta sia chi parla ad esprimersi in maniera sintetica sia chi ascolta a capire il signi cato anche di parole mai sentite prima. La morfologia distingue le parole in due ambiti che concettualmente sono diversi: 1. Forme di una stessa parola: FLESSIONE o CONIUGAZIONE. Ha a che fare con il modo in cui venivano rappresentate le varie forme di una parola. La essione ha fi fi fi ff i e p fi fi a fi fl fi fl fi funzione di indicare con esponenti simili nuove parole e di esprimere in maniera sintetica una serie di valori espressi frequentemente nelle lingue. 2. Parole collegate fra di loro a partire da una radice comune e la cui modi ca avviene a partire da elementi che si ripetono: DERIVAZIONE o FORMAZIONE DELLE PAROLE. 3. La formazione delle parole può avvenire anche attraverso altri processi, come quello della COMPOSIZIONE: formazione di parole nuove ottenute dall’accostamento di due parole. ESEMPIO: “palla canestro” è formata dalla combinazione di due parole autonome, è un COMPOSTO. La morfologia studia quindi il modo in cui possono essere formate le parole: - Flessione. Ci sono lingue in cui la essione non è obbligatoria: l’inglese ad esempio non ha essione sull’aggettivo “red houses”. - Modelli regolari tramite cui si può, aggiungendo elementi non autonomi o combinando elementi autonomi, arricchire il lessico di una lingua (attraverso questi metodi economici e di immediata comprensione) La morfologia ha quindi una funzione di: coesione del discorso nominazione attraverso procedure regolari. TIPI DI MORFEMI Esistono due tipi di classi cazioni: 1. CLASSIFICAZIONE FUNZIONALE (in base alla funzione svolta, al tipo di valore che i morfemi recano nel contribuire al signi cato delle parole) 2. CLASSIFICAZIONE POSIZIONALE: basata sulla posizione che i morfemi assumono all'interno della parola e sul modo in cui essi co tribuiscono alla sua struttura. TIPI FUNZIONALI DI MORFEMI ESEMPIO: dentale: Dent- è un morfema che reca signi cato referenziale e denotativo, fa quindi riferimento alla realtà esterna rappresentata nelle lingue: è un morfema lessicale. Invece -al- -e recano un valore interno al sistema e alla struttura della lingua, previsto dalla grammatica: hanno signi cato funzionale e grammaticale. -al- serve a formare parole derivandole da altre parole già esistenti, attaccandosi ad un morfema lessicale o base di cui modi ca il signi cato: è un morfema derivazionale. -e ha il valore di marcare essionalmente la parola, indicando che si tratta di una forma al singolare, ma non modi ca il signi cato della base: è un morfema essionale. Nella classi cazione funzionale quindi la prima distinzione da fare è tra morfemi lessicali e morfemi grammaticali; i morfemi grammaticali a loro volta si suddividono in: Morfemi derivazionali Morfemi essivi fl fl fi fi fl fi fi fl fi fi fi n fi fi fl fi MORFEMI LESSICALI Stanno nel lessico, nel vocabolario di una lingua. Questi morfemi costituiscono una classe aperta, arricchibile di nuovi elementi in maniera non predicibile. MORFEMI GRAMMATICALI Stanno nella grammatica e costituiscono una classe chiusa, non suscettibile di accogliere nuove entità, i cui elementi in un dato momento sono tutti predicibili e si possono enumerare uno ad uno. Non sempre la distinzione fra morfemi lessicali e morfemi grammaticali è del tutto chiara e applicabile senza problemi: in italiano è questo il caso di molte 'parole funzionali' (o parole vuote), come gli articoli, i pronomi personali, le preposizioni, le congiunzioni (che sono morfemi SEMILIBERI), che fo mano classi grammaticali chiuse ma che di cilmente si possono de nire morfemi grammaticali a pieno titolo; alcuni degli elementi di qu ste classi di parole anzi sono scomponibili in morfemi. ESEMPIO: l’articolo: lo (l-o, per commutazione con la, le), uno (un-o, per comm tazione con una) Per questo di solito si fa una distinzione molto utile è quella fra: Morfemi liberi (lessicali) Morfemi legati (grammaticali). Questi non possono mai comparire in isolamento, ma solo in combinazione con altri morfemi. Per alcune lingue come l’inglese questa distinzione è molto utile, ma in italiano alcune parole come gatt-o hanno morfemi lessicali legati ad un altro morfema. DERIVAZIONE E FLESSIONE 1. La derivazione da luogo a parole regolandone i processi di formazione. 2. La essione da luogo a forme di una parola regolandone il modo in cui si attualizzano nelle frasi. QUESTI SONO I DUE GRANDI AMBITI DELLA MORFOLOGIA. la derivazione agisce prima della essione: - prima costruiamo parole - a cui poi appl chiamo le dovute essioni. Questa priorità della derivazione, unita alla caratteristica di 'non interrompibilità' delle parole, ha come conseguenza che: fl i fi fl fl r ffi u e di solito i morfemi essionali stanno più lontano da la radice lessicale rispetto ai morfemi derivazionali, che invece tendono a disporsi immediatamente contigui alla radice: can-e, con l'ordine radice lessicale-morfema essionale, e can-il-e, con l'ordine radice le sicale- morfema derivazionale - morfema essionale. Inoltre mentre la derivazione è opzionale, la essione è obbligatoria, si applica cioè a qualsiasi base lessicale ad essa soggetta. TIPI POSIZIONALI DI MORFEMI È una classi cazione basata sulle tecniche di combinazione di mor lessicali e mor grammaticali. I morfemi grammaticali si suddividono in classi diverse a seconda della collocazione che assumono rispetto al morfema lessicale o radice. Quando i morfemi grammaticali sono considerati da un punto di vista posizionale, essi possono essere globalmente chiamati AFFISSI: un a sso è ogni morfema che si combini con una radice. Esistono diversi tipi di a ssi: 1. PREFISSI: sono a ssi che nella struttura della parola si trovano prima della radice. 2. SUFFISSI: sono a ssi che nella struttura della parola si trovano dopo la radice. ESEMPI: Inutile, in- è un pre sso (in italiano sono solo derivazionali). Cambiamento, -ament- e -o sono su ssi il primo con valore derivazionale, l’altro con valore essionale. I su ssi con valore essionale, che in italiano sono sempre in ultima posizione, si chiamano desinenze. In altre lingue abbiamo altri tipi di a ssi (morfemi discontinui): Gli INFISSI: sono gli a ssi inseriti dentro la radice. I CIRCONFISSI: sono a ssi formati da due parti, una che sta prima della radice e l’altra che sta dopo la radice, e che quindi contengono al loro interno la radice. I TRANSFISSI: sono a ssi tipici della morfologia della lingua araba. TRASCRIZIONE MORFEMICA Si tratta di una rappresentazione dell’analisi in morfemi nella quale la forma dei morfemi si può scrivere tra gra e { }, indicando nella riga sottostante il loro valore. ESEMPIO: ALTRI TIPI DI MORFEMI Esistono morfemi i cui mor non sono isolabili segmentalmente, ad esempio: MORFEMI SOSTITUTIVI: si manifestano con la sostituzione di un fono ad un altro fono. Questi morfemi consistono in mutamenti fonici della radice, sono inseparabili da essa. ESEMPIO: foot —> feet goose—>geese Il plurale è reso dalla modi cazione della vocale della radice. MORFEMA ZERO: lo troviamo quando una distinzione obbligatoriamente marcata nella grammatica di una certa lingua viene eccezionalmente a non essere rappresentata in alcun modo nel signi cante. ESEMPIO: sheep SG —> sheep PLUR ffi fl fi ffi ffi fl fi ff fl fi ffi ffi ffi ffi fi fi fl ffi ffi fl fl l ffi fi s fi Il valore plurale non è marcato da alcunché nella forma fonica e viene segnalato dall’assenza di mor. MORFEMI SOPRASEGMENTALI: sono anche chiamati “super ssi” o “sopra ssi”in cui un determinato valore morfologico si manifesta attraverso un tratto soprasegmentale, come la posizione dell’accento o il tono. ESEMPIO: “import” importazione e “import” importare MORFEMI CUMULATIVI: sono morfemi grammaticali che recano contemporaneamente più di un signi cato o di un valore. ESEMPIO: buone, dove -e vale insieme sia femminile che plurale AMALGAMA: è un caso particolare di morfema cumulativo. Consiste nella fusione di due morfemi in maniera tale che nel morfema risultante non è più possibile distinguere i due morfemi all’origine della fusione. ESEMPIO: au in francese= à+le ma questi elementi costitutivi non sono più separabili e diventano invisibili, e tutto insieme au reca il signi cato multiplo della preposizione e dell’articolo determinativo. ESEMPIO: i in italiano è articolo determinativo plurale in cui si trovano fusi il morfo dell’articolo determinativo l- e quello del maschile plurale -i REDUPLICAZIONE È un processo non riducibile a speci ci morfemi segmentali, consiste nella ripetizione della radice lessicale (o di una sua parte). ESEMPIO: in indonesiano anak signi ca bambino, anak-anak signi ca bambini. CLASSI FLESSIONALI Una classe di essione raggruppa tutte le parole le cui forme esse si organizzano secondo uno stesso schema: ESEMPIO: le coniugazioni verbali, le declinazioni nelle lingue con casi, le classi nominali. In italiano esistono le classi essionali di nomi che terminano in -o al singolare e -i al plurale (libro-libri, mano-mani) o che terminano in -e al singolare e -i al plurale (pesce-pesci, funzione-funzioni), eccetera… MORFOMA Il morfoma è un’entità priva di forma fonologica concreta ed ha un signi cato esclusivamente morfologico, senza contro-parte semantico funzionale. Il morfoma sarebbe rappresentato unicamente da una regolarità strutturale astratta, o schema, ricorrente all’interno di paradigmi morfologici. È un caso di allomor a. CLASSI DI PARTIZIONE Sono schemi che regolano la distribuzione delle varie forme allomor che, o suppletive, nelle caselle del paradigma. ESEMPIO: possiamo confrontare le forme del presente di un verbo come nire ed andare Finisco Vado Finisci Vai Finisce Va Finiamo Andiamo Finite Andate Finiscono Vanno fi fl fi fi fi fi fl fl fi fi fi fi fi fi ffi Le forme con l'elemento antesu ssale -isc-, nel primo caso, e quelle con suppletivismo della radice, nel secondo caso, compaiono alla prima, seconda e terza persona singolare, e alla terza plurale: quattro caselle che costituiscono dunque una classe di partizione nella coniugazione verbale. DA DOVE VENGONO LE PAROLE ITALIANE? L’arricchimento del vocabolario italiano si realizza soprattutto secondo tre modalità: 1. DERIVAZIONE da una parola base già esistente in italiano (dente—>dentale) 2. COMPOSIZIONE di una parola dall’unione di due o più parole (capo+stazione —> capostazione) 3. PRESTITO da altre lingue (computer) MORFEMI DERIVAZIONALI I morfemi derivazionali mutano il signi cato della base cui si applicano, aggiungendo nuova informazione rilevante, integrandolo, modi cando la classe di appartenenza della parola e la sua funzione semantica, o sfumandone il senso. ESEMPIO: dormire—> dormitorio viene aggiunto al signi cato della radice lessicale di dormire il signi cato di “luogo in cui si fa” la cosa designata dalla radice lessicale. ESEMPIO: dormire—> dormicchiare viene aggiunta al signi cato della stessa radice lessicale la sfumatura di “fare la cosa” in maniera discontinua. I morfemi derivazionali svolgono una funzione molto importante: quella di permettere, attraverso processi di pre ssazione e di su ssazione, la formazione di un numero teoricamente in nito di parole a partire da una certa base lessicale. In ogni lingua esiste una lista in nita di moduli di derivazione che danno luogo a famiglie di parole. Una famiglia di parole (o famiglia lessicale) è formata da tutte le parole derivate da una stessa radice lessicale. ESEMPIO: parole costituite dalla base socio: TRAFILA DERIVAZIONALE: socio—>sociale—>socializzare—>socializzabile—>socializzabilità Soci: morfema lessicale (radice) AL: morfema derivazionale (su sso che forma aggettivi da nomi: socio—>sociale) fi fi fi ffi fi ffi fi ffi fi fi fi Iz: morfema derivazionale (su sso verbalizzatore che trasforma un nome o un agg in verbo: sociale—>socializzare) Abil: morfema derivazionale (su sso che serve a ricavare aggettivi da verbi: socializzare —>socializzabile) Ità: morfema derivazionale (su sso nominalizzatore: socializzabile—>socializzabilità) 0: morfema essionale zero (numero) VOCALE TEMATICA La vocale tematica è la vocale iniziale della desinenza dell’in nito dei verbi. ESEMPIO: mangiare, vedere, partire La vocale tematica ha un signi cato speciale, indica l’appartenenza della forma ad una determinata classe di forme della lingua (-a= verbo della prima coniugazione, -e= verbo della seconda, -i= verbo della terza; dove le coniugazioni sono classi essionali). Si potrebbe quindi scomporre ulteriormente -abil- in a e bil, che contiene la vocale semantica del verbo da cui deriva: socializzare. Possiamo quindi considerare -abil- unitariamente come un allomorfo del su sso che crea aggettivi deverbali con valore potenziale; oppure analizzarlo come formato da due morfemi, a uno dei quali, la vocale tematica, non corrisponde un signi cato che modi chi la base (morfema vuoto). Possiamo fare altri esempi di queste due alternative che abbiamo: ESEMPIO: cambiamento Cambi-ament-o con allomor a dei su ssi -ament- -iment- ecc… Cambi-a-ment-o Cambia-ment-o si considera la vocale tematica come facente parte della radice lessicale PREFISSOIDI ESEMPIO: sociologia—> socio-log-i-a In questo caso qual’è la base? socio rappresenta la radice lessicale che si comporta come un pre sso, attaccandosi davanti ad un’altra radice lessicale per modi carne il signi cato, che sono allo stesso tempo morfemi lessicali e derivazionali, radici e pre ssi. SUFFISSOIDI Sono morfemi con signi cato lessicale, come le radici, ma che si comportano come su ssi nella formazione delle parole. ESEMPIO: -logi(a) è un su ssoide -metr- in cronometro ffi fl fi ffi fi ffi ffi fi ffi ffi fi fi fi fl ffi fi fi fi fi LE PAROLE COMPOSTE Le radici lessicali che coesistono nella stessa parola mantengono entrambe il valore che avrebbero se utilizzate come parole autonome. ESEMPIO: nazionalsocialismo che equivale a tutti gli e etti a socialismo nazionale, in questo caso due parole si sono agganciate fra loro a formare un'entità unica in cui i due membri sono perfettamente riconoscibili e recano il loro signi cato lessicale normale. ESEMPIO: portacenere, apriporta, lavavetro, porta nestra, altopiano, asciugamano, cassaforte, pastasciutta, autostrada, eccetera… L’italiano in questo caso segue l’ordine modi cato-modi catore. COMPOSIZIONE Come la derivazione, anche la composizione permette la formazione di parole nuove a partire da una certa radice lessicale, un esempio di composizione sono ovviamente le parole composte. Mentre una parola derivata contiene una sola radice lessicale, una parola composta contiene più radici lessicali ciascuna delle quali suscettibile di comparire come parola autonoma. In italiano possiamo avere diversi tipi di parole composte, ad esempio: N+N pesce spada N+AGG camera oscura AGG+N bassorilievo V+N scolapasta V+V bagnasciuga PREP+N sottopassaggio V+AVV buttafuori AGG+AGG sordomuto AVV+AGG maleducato Fondamentale è il concetto di testa del composto, il costituente che funziona da testa assegna al composto la propria classe di parola. ESEMPIO: camera oscura - Nome perché camera è un nome - Conferisce al composto le proprie caratteristiche di signi cato (è una camera oscura) - Conferisce al composto i tratti della essione Per identi care la testa basta dire “è un…” Abbiamo doversi tipi di classi cazione in base alla posizione della testa del composto: Composti con testa a sinistra—> sono frequentissimi in italiano, capostazione, pesce spada Composti con testa a destra—> sono di solito di origine latina o vengono da altre lingue, terremoto, ferrovia. Composti senza testa—> bagnasciuga, buttafuori, scolapasta, il test “è un” non è applicabile. UNITÀ LESSICALI PLURILESSEMATICHE Sono costruite da sintagmi ssi che rappresentano un’unica entità di signi cato, non corrispondente alla semplice somma dei signi cati delle parole componenti, comportandosi quindi come se fossero una parola unica. ESEMPIO: gatto selvatico, che è una specie felina a sé gatto delle nevi, fare il bucato, essere al verde, partire in quarta… fi fi fi fl fi fi fi ff fi fi fi fi Esse costituiscono una varietà lessicale molto ampia e variegata che può comprendere classi diverse di elementi, anche i verbi sintagmatici (buttare giù, andare via, portare fuori) o i binomi coordinati (sale e pepe, usa e getta, anima e corpo, ecc…). UNITÀ LESSICALI BIMEMBRI Hanno una posizione intermedia tra le parole composte e le unità plurissematiche. ESEMPI: scuola guida, parola chiave, u cio concorsi, sedia elettrica, ecc… Queste unità lessicale sono essenzialmente unità lessicali in cui li rapporto tra le due parole costitutive giustapposte non ha raggiunto il grado di fusione tipico delle vere parole composte e i due elementi vengono rappresentati separatamente nello scritto. SIGLE O ACRONIMI Sono formate in genere dalle lettere iniziali delle parole piene che costituiscono un’unità purilessematica. ESEMPI: CGIL—>cigielle, TG—> telegiornale, SMS—> essemmeesse PAROLE MACEDONIA È l’unione di parole che viene accorciata. ESEMPI: cantautore—> cantante+autore, ristobar—> ristorante+bar, smog—>smoke+fog PROCESSO DI SUFFISSAZIONE In italiano è il più importante procedimento di formazione delle parole. Tra i su ssi derivazionali più comuni ricordiamo: -zion- (con i suoi allomor -azion- -izion- -uzion-) -ment- (con allomor -iment- -ument-) Entrambi formano nomi di azione o processo o risultato a partire da basi nominali o verbali -ier-, -a(r)i-, -tor- che formano nomi di agente/mestiere da basi nominali o verbali -ità- che forma nomi astratti a partire da basi aggettivali -abil-, -os-, -al-, -an-, -evol-, -es-, -ic- che formano aggettivi da verbi a nomi -izz- che forma verbi a partire da nomi o aggettivi L’ALTERAZIONE Nella categoria della derivazione su ssale rientra anche il processo di alterazione. Con i su ssi alternativi si creano parole che aggiungono al signi cato della base lessicale un valore valutativo associato a determinati contesti pragmatici che può essere: 1. Diminutivo: ESEMPIO: gattino, nestrella, -ett- -ott- -ol- 2. Accrescitivo: ESEMPIO: -on-, librone, ecc… 3. Peggiorativo: ESEMPIO: robaccia, -astr-, -icchi-, ecc.. PROCESSO DI PREFISSAZIONE Questo processo non muta la classe grammaticale (al contrario della su ssazione) di appartenenza della parola. ESEMPI: ffi ffi fi fi fi ffi ffi fi ffi OMONIMIA TRA MORFEMI DERIVAZIONALI ESEMPIO: in- come pre sso può avere valore di negazione come immobile, o di avvicinamento come immigrare. Come su sso -in- può essere un diminutivo come gattino, o di nome d’agente come postino. Quindi morfemi con stessa forma ma diverso signi cato. VERBI PARASINTETICI Dalla combinazione di pre sso e su sso intorno ad una base si formano i parasintetici, perlopiù verbi. ESEMPIO: impiantare, accoppiare, addensare, impastare, innervosire, sbriciolare, scalciare. Di questi verbi non esiste né la forma nominale o aggettivale pre ssata (impasta inteso come nome) né la forma verbale non pre ssata (pastare, coppiare). Molto più raramente sono aggettivi (assatanato) o nomi (decespugliatore). CRITERI DI DEFINIZIONE DI PAROLE DERIVATE Le parole derivate si possono de nire tenendo conto: 1. Del procedimento di derivazione: su ssazione/pre ssazione 2. Della classe lessicale a cui appartiene la parola derivata 3. Della classe lessicale della base da cui derivano ESEMPI: -lavaggio: su ssato nominale deverbale (il su sso aggi- applicato ad una base verbale fa ottenere un nome) -asociale: pre ssato aggettivale deaggettivale (un aggettivo ottenuto da un aggettivo mediante un pre sso) -polverizzare: su ssato verbale denominale CONVERSIONE ZERO Rientra anche questo nei meccanismi di formazione di una parola, la conversione, o derivazione zero, consiste in una coppia di parole, un verbo, un nome o un aggettivo, aventi la stessa radice lessicale ed entrambi privi di su sso derivazionale, non è perciò possibile stabilire quale sia la parola primitiva e quale quella derivata. ESEMPIO: lavoro-lavorare, stanco-stancare, ore- orire, cambiare-cambio, giocare-gioco ecc… Tuttavia, quando la coppia è costituita da un verbo e da un nome è spesso da assumere che la base sia il verbo, in quanto il nome indica l’atto del verbo. Quando invece la coppia è costituita da un verbo e da un aggettivo, il termine primitivo è l’aggettivo, in quanto il verbo indica l’azione di far assumere lo stato o la qualità denotata dall’aggettivo —> calmo-calmare Questo è il diagramma ad albero che rappresenta il processo di derivazione di una parola e ripercorre dal basso all'alto la successione delle operazioni applicate a partire dalla radice lessicale che ne costituisce la base di formazione ffi ffi fi fi ffi fi fi ffi ffi fi fi fi fi fi fi ffi ffi fi Box pag 112 (pos124) -Alcuni del principali pre ssi e su ssi dell'Italiano LA FUNZIONE DEI MORFEMI FLESSIONALI I morfemi essionali non modi cano il signi cato della radice lessicale su cui operano: la attualizzano nel contesto di enunciazione, speci candone la concretizzazione in quel particolare contesto. ESEMPIO: libro dice che di oggetti designati dalla radice lessicale ce ne è uno solo. mangiavamo dice dell’azione designata dalla radice lessicale che è stato svolta in passato e da più persone, compresa quella che sta parlando. Ma quali sono i signi cati veicolati dai morfemi essionali che danno luogo alle diverse forme in cui una parola può presentarsi? Ad esempio abbiamo l’aggettivo alto alto alta alti Alte Oppure il verbo mangiare mangio mangiate mangiò mangeremo mangiavano mangereste Ecc… I morfemi funzionali operano di fatti solo sulle classi variabili di parole, che sono appunto suscettibili di cogliere la essione. I morfemi essionali realizzano valori delle categorie grammaticali Un determinato morfema realizza il valore di una determinata categoria grammaticale, è la MARCA di quel valore. Le categorie grammaticali, a loro volta, collegano e danno espressione ad alcuni signi cati fondamentali, più comuni e frequenti, che diventano categorici per una determinata lingua e che devono obbligatoriamente essere espressi, in quanto previsti dalla grammatica. 'Obbligatorio va inteso nel senso che ogni volta che produciamo in una certa lingua una parola suscettibile di avere essione, per esempio un nome o un verbo, realizziamo anche le dimensioni semantiche elementari codi cate nella grammatica di quella lingua. LE CATEGORIE GRAMMATICALI FLESSIONALI Riguardano il livello dei morfemi stessi: ogni categoria è l'insieme dei valori che può assumere una determinata dimensione semantica basilare elementare, ciascuno rappresentato da un morfema. Si distinguono due grandi classi di categorie: Quelle che operano sui nomi (sostantivi, aggettivi, pronomi…) Quelle che operano sui verbi MORFOLOGIA NOMINALE Ha come categorie fondamentali il - GENERE - NUMERO - CASO (non è una categoria fondamentale, ma molto rilevante). fi fl fl fi fl fi fl fi fi fi fl ffi fi La categoria del GENERE in italiano si esprime con i due morfemi del maschile e del femminile, in altre lingue troviamo anche il genere neutro. La categoria del NUMERO in italiano si esprime con i due morfemi del singolare e del plurale: -o,-i ; -e,-i ; -a,-e; oppure alcuni nomi hanno solo la forma plurale: nozze. La categoria del CASO svolge la funzione di mettere in relazione la forma della parola con la funzione sintattica che essa ricopre nella frase. La essione di caso è presente ad esempio in: latino, russo o greco. In italiano esistono pochi esempi di essione causale, come nei pronomi personali dove abbiamo tu (soggetto) e te (oggetto) REGGENZA È il processo secondo il quale un verbo assegna il caso al suo complemento. Sempre nelle lingue che hanno casi, anche le proposizioni possono assegnare il caso. La nozione di reggenza si applica per estensione anche al rapporto fra verbi e preposizioni: ESEMPIO: vi sono verbi che richiedono determinate preposizioni —> pensare a, dipendere da, cambiare con, contare su, parlare di, ecc… I GRADI DELL’AGGETTIVO In molte lingue gli aggettivi possono essere marcati per grado: Comparativo Superlativo L’italiano a da alla essione soltanto l’espressione del superlativo, se accettiamo che la parola bellissimo sia una forma della parola bello, e non un’altra a parte. I comparativi di maggioranza, di minoranza o di uguaglianza sono invece realizzati con mezzi lessicali: ESEMPIO: bellissimo, più bello di Altre lingua marcano con morfemi appositi sui nomi: la DEFINITEZZA: ESEMPIO: al-maktabatu è la libreria, maktabatun è una libreria il POSSESSO: ESEMPIO: kardesim è mio fratello, kardesin è tuo fratello CATEGORIE DEL VERBO La morfologia verbale ha 5 categorie essionali principali: - IL MODO esprime la modalità, cioè la maniera nella quale il parlante si pone nei confronti del contenuto di quanto viene detto e della realtà della scena o evento rappresentati nella frase. ESEMPIO: mangio (certezza) vs mangerei (incertezza) Si possono distinguere anche ulteriori modalità: Assertiva (il treno parte) Dubitativa (il treno partirà?) Epistemica (il treno dovrebbe essere partito) fl ffi fl fl fl Deontica (il treno deve assolutamente partire) Evidenziale (il treno è partito, l’ho visto io) - IL TEMPO colloca nel tempo assoluto e relativo quanto viene detto ESEMPIO: presente: vedo, futuro: vedrò, passato: ho visto/vidi. - L’ASPETTO riguarda la maniera in cui vengono osservati e presentati in relazione al loro svolgimento l’azione o l’evento o il processo espressi dal verbo - AZIONALITÀ riguarda il modo oggettivo in cui si svolge nello sviluppo temporale l’azione o l’evento o il processo espressi dal verbo. Una distinzione importante da fare è quella tra i verbi Telici: che denotano un'azione o evento o processo dotato di un punto culminante, che ha una ne, un momento in cui si conclude: verbi di compimento o 'processo de nito', come invecchiare, e verbi di realizzazione o istantanei, come raggiungere) Atelici: che denotano un’azione senza un momento nale conclusivo: verbi di stato come sapere e verbi di attività come camminare. - LA DIATESI o voce, esprime il rapporto in cui viene rappresentata l’azione o l’evento rispetto ai partecipanti e al soggetto (attivo vs passivo). - LA PERSONA indica chi compie l’azione e collega la forma verbale al soggetto, si manifesta con morfemi deittici o di accordo. CATEGORIE LESSICALI Sono delle categorie che classi cano le parole raggruppandole in classi a seconda della natura del loro signi cato, del loro comportamento nel discorso e delle loro caratteristiche funzionali e essionali (vengono anche de nite parti del discorso). Nella grammatica tradizionale le parti del discorso sono 9: Nome o sostantivo (Giovanna) Aggettivo (bello) Verbo (passeggiare) Pronome (tu) Articolo (la) Preposizione (di) Congiunzione (dato che) Avverbio (facilmente) Interiezione (accidenti) Di molte parole non è de nibile l’appartenenza ad una classe determinata, dato che si pongono a cavallo fra più classi o presentano proprietà particolari: ESEMPIO: - il quanti catore tutto è ritenuto un aggettivo, perché si accorda col nome a cui si riferisce, ma al contrario degli aggettivi sta prima dell'articolo, e non dopo (tutti i libri). - Ecco è ritenuto un avverbio, ma ha anche una proprietà che pare esclusiva dei verbi, quella di poter reggere un pronome clitico: eccolo, eccomi qua (è stato pertanto de nito come un ‘paraverbo'). L’assegnazione delle parole a categorie o classi lessicali diverse avviene in base a 3 criteri fondamentali: 1. Un criterio semantico (il tipo di signi cato) fi fi fi fl fi fi fi fi fi fi fi 2. Un criterio morfologico (dato dal comportamento delle parole in relazione alle categorie morfologiche presenti in una lingua, al genere di marche che possono assumere e alla morfologia di accordo cui sono soggette) 3. Un criterio distribuzione e sintattico (dato dal contesto in cui le parole possono apparire, dalla loro collocazione all’interno delle frasi e dalle funzioni sintattiche che possono svolgere). L’insieme dei 3 criteri consente per lo più di stabilire l’appartenenza di ogni parola ad una classe, ma non mancano le eccezioni—> si creano sovrapposizioni di categoria lessicale. A volte anche nomi e verbi non sono ben di erenziabili, ad esempio i verbi possono funzionare come nomi: il mangiare diventa necessario. PARTITIVI È un altro esempio di sovrapposizione di categorie. ESEMPIO: le preposizioni articolate del, degli… possono funzionare sia come preposizioni (l’albero del giardino), sia come articoli partitivi indicanti una quantità imprecisa (prendo del pane). FUNZIONI SINTATTICHE Molte categorie grammaticali si individuano anche sull’asse sintagmatico dove si considerano le parole in rapporto con le altre del sintagma (a di erenza dell’asse paradigmatico dove le parole sono prese in isolamento). Sono: Soggetto Predicato Complemento oggetto Complemento di termine Complemento di speci cazione Complemento di luogo/di modo/di mezzo/di attributo ecc… A questo funzioni corrispondono i casi. LA FLESSIONE INERENTE La stessa distinzione fra sintagmatico e paradigmatico è rilevante anche per distinguere due diversi modi di funzionamento della morfologia essionale, troviamo: 1. La essione inerente 2. La essione contestuale La essione inerente riguarda la marcatura a cui viene assoggetta una parola in isolamento, a seconda della classe di appartenenza, per il solo fatto di essere selezionata nel lessico e comparire in un messaggio. ESEMPIO: in italiano ,o in inglese, un nome viene attualizzato o come singolare o come plurale, e la forma sotto cui compare deve presentare uno dei rispettivi morfemi essionali, previsti dalle due lingue (gatto—> gatti; cat—> cats). L'aggettivo può recare al marcatura di: -grado -il verbo -quelle di tempo -modo -aspetto. LA FLESSIONE CONTESTUALE Dipende dal contesto: speci ca una forma e seleziona i relativi morfemi funzionali in relazione al contesto sintattico in cui la parola viene usata, dipendendo quindi dai rapporti gerarchici che si insinuano nelle parole. fl fl fl fl fi fi ff fl ff Marca quindi rapporti di natura sintattica. In italiano, aggettivo e articolo devono assumere una forma che dipende da quella del nome a cui essi si riferiscono (una bella torta) e il soggetto e il verbo di una frase devono concordare quanto alle categorie essionali che realizzano, espresse dalla persona verbale (i giocatori corrono). Una tipica essione contestuale è quella di caso. IL MECCANISMO DELLA MARCATURA DI ACCORDO Prevede che tutti gli (o alcuni) elementi suscettibili di essione all'interno di un certo costrutto prendano le marche (i morfemi congruenti) delle categorie essionali per le quali è marcato l'elemento a cui si riferiscono o da cui dipendono. Come abbiamo visto in italiano è obbligatorio l’accordo tra verbo e soggetto e fra i diversi componenti di un sintagma nominale con marcatura plurima (le belle mele mature). Può anche convenire, nella morfologia contestuale, distinguere fra accordo e concordanza, il primo termine fa riferimento ai fenomeni di accordo fra gli elementi del sintagma nominale, e li secondo all'accordo delle forme verbali con elementi nominali, in particolare con il soggetto. II LIBRO - lessico e semantica CAPITOLO 1 - che cos’è la semantica? La semantica è il settore della linguistica che si occupa dello studio del signi cato. Il concetto di signi cato è uno dei più controversi della teoria del linguaggio, non si ha neanche una de nizione condivisa da tutti. Potremmo dire che il signi cato è l’informazione trasmessa da un’espressione linguistica o il contenuto associato a un’espressione linguistica. Queste de nizioni non chiariscono molto cosa sia il signi cato, intuitivamente noi tutti lo sappiamo, ma riuscire ad arrivare ad una de nizione chiara è un’altra storia. Questa di coltà dipende dal fatto che la nozione di signi cato si trova all’intersezione della relazione tra linguaggio, pensiero e realtà: chiedersi cosa sia il signi cato vuol dire chiedersi come gli esseri umani possano usare il linguaggio per parlare del mondo extralinguistico e per esprimere i loro pensieri. Un’interpretazione del concetto di signi cato ce la danno due studiosi, Ogden e Richards. Si tratta di un triangolo che mette in relazione i tre elementi della signi cazione: Simbolo (symbol) A Pensiero (thought) B Referente (referent) C Si possono avere diverse letture di questo schema, la prima è la seguente fl ffi fi fl fi fi fi fi fi fl fi fi fl fi fi fi 1. Un’espressione linguistica (A) si riferisce ad un’entità extralinguistica (C) tramite la mediazione di un concetto (B). Questa lettura assegna un ruolo essenziale al pensiero come intermediario tra il linguaggio e la realtà extralinguistica, ma non è l’unica possibile. 2. Secondo questa interpretazione c’è una relazione diretta tra A e C e dunque non occorre ipotizzare l’esistenza di un elemento concettuale che faccia da “ponte” tra il linguaggio e la realtà. 3. Secondo altri non solo l’elemento C è irrilevante, e il pensiero (B) non esiste come entità autonoma al di fuori della sua espressione linguistica, perché i concetti prendono forma solo tramite il linguaggio. A queste tre visioni possiamo associare i tre principali approcci alla semantica: L’approccio cognitivista—> il signi cato è il concetto al quale un’espressione linguistica è legata nella nostra mente. L’approccio referenzialista—> il signi cato scaturisce dalla relazione tra le espressioni linguistiche e la realtà extralinguistica cui si riferiscono. L’approccio strutturalista —> il signi cato è un’entità linguistica che si crea nel momento in cui la lingua dà forma ad un pensiero altrimenti non strutturato. Da questo primo quadro che abbiamo tracciato possiamo vedere due conseguenze: 1. Una prima conseguenza della di coltà di de nire in modo rigoroso la nozione di signi cato è la tradizionale di denza della linguistica verso la semantica: lo studio del signi cato si crede esponga la linguistica a cadere in ambiti come la loso a o la psicologia. La semantica non ha quindi mai avuto una posizione particolarmente centrale nella linguistica, appare ancora oggi una disciplina fragile. 2. Una seconda conseguenza è la grande frammentazione del panorama delle ricerche in semantica: si dovrebbe in e etti parlare di semantiche, dato che non esiste un’unica teoria del signi cato. Tutti i diversi modelli esistente divergono non solo nel quadro teorico e nel metodo, ma anche nella de nizione dell’oggetto stesso di indagine. Si tratta quindi non solo di teorie diverse, ma di teorie che parlano di cose diverse. SEMANTICA REFERENZIALE La ri essione sul problema del signi cato attraversa tutta la storia del pensiero, a partire dalla loso a greca, poi nella loso a medievale e moderna, per poi riproporsi nel 900, in forme nuove legate agli studi logici. È nell’ambito degli studi logici che nasce la loso a analtica del linguaggio, e con essa l’approccio referenziale alla semantica. La loso a analitica si è sviluppata principalmente in area anglosassone Concepisce la loso a non come costruzione di ampie sintesi teoriche ma come indagine minuziosa e basata su un’impostazione il più possibile oggettiva dei problemi loso ci. In questo contesto rientra un interessa per il linguaggio: essendo il linguaggio il principale strumento del pensiero, l’analisi linguistica è cruciale per comprendere il funzionamento del pensiero. fi fi fl fi fi fi fi fi fi fi fi fi ffi fi ff ffi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi Si deve a Frege la “svolta linguistica” che segna la nascita della loso a analitica del linguaggio: l’elemento che caratterizza di più le teorie semantiche analitiche è il loro referenzialismo. Al centro dell’interesse della semantica loso ca c’è la relazione tra il linguaggio e il mondo extralinguistico al quale esso si riferisce o che esso denota. Nella semantica referenziale il signi cato non è inteso come un concetto, ma come qualcosa di oggettivo che nasce dalla relazione tra il linguaggio e la realtà, tra le espressioni linguistiche e i loro referenti extralinguistici. Il signi cato non consiste nella capacità delle parole di rappresentare contenuti mentali, ma nella capacità di riferirsi ad entità esterne al linguaggio. ESEMPIO: Il nome Dante Alighieri ha signi cato l’oggetto del quale esso è il nome (ossia quella determinata persona in carne ed ossa). Il signi cato di La montagna più alta del mondo è l’oggetto che essa descrive (l’Everest). Quello che è importante è sapere quali condizioni dovrebbero veri carsi per poter dire che una frase è vera—> proprio in questo sapere risiede, secondo la semantica referenziale, la conoscenza del signi cato (conoscere il signi cato di una frase signi ca sapere quali condizioni la rendono vera o falsa) Il signi cato di una frase è il suo valore di verità, per questo la semantica referenziale prende anche il nome di semantica vero-condizionale. Secondo questo approccio l'obiettivo fondamentale di una teoria semantica deve essere elaborare una teoria della verità, cioè una teoria che descriva le regole tramite le quali le espressioni di un linguaggio si connettono in modo vero o falso al mondo al quale fanno riferimento. Come abbiamo visto, l’idea centrale della semantica referenziale è che le frasi hanno condizioni di verità, che a loro volta dipendono dal riferimento delle espressioni che vi compaiono—> in base al cosiddetto principio di composizionalità il valore di verità di un’espressione complessa si ottiene componendo i signi cati delle espressioni semplici che la costituiscono (idea della natura composizionale del signi cato di Ferge). La prima cosa da fare è descrivere le denotazioni dei vari tipi di espressioni semplici, per poter poi indicare le condizioni di verità, delle volte questo procedimento può risultare molto di cile: è complicati attribuire una denotazione ai casi in cui l’espressione contiene una quali cazione. ESEMPIO: ogni, tutti, qualche, io, oggi, qui, quello, è possibile/probabile, può essere… Tutti questi esempi variano dal contesto, danno quindi vita a frasi il cui valore di verità dipende dalla circostanze in cui sono dette. Un secondo compito sarà di descrivere le regole che assegnano un valore di verità a connessioni di frasi. fi fi fi ffi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi ESEMPIO: La congiunzione di frasi è vera se sono vere entrambe mangio e bevo è vera se faccio entrambe le cose. La disgiunzione è vera purché sia vera una delle due mangio o bevo è vera se faccio una delle due cose. Abbiamo anche il fenomeno della presupposizione. I fenomeni ai quali è interessata la semantica referenziale sono molto diversi da quelli di cui si occupa la semantica linguistica È interessata in primo luogo a descrivere i signi cati delle parole. Invece la semantica referenziale è interessata a descrivere il modo in cui si forma l’interpretazione di frasi complesse a partire dalle espressioni che le costituiscono, a prescindere dal contenuto di tali espressioni—> possiamo quindi de nire la semantica referenziale un approccio strutturale al signi cato, non sostanziale, signi ca che si propone di concentrarsi sulla struttura logica e interpretativa delle frasi indipendentemente dall’interpretazione particolare che possiamo assegnare alle parole che le costituiscono. ESEMPIO: il gatto è sul divano - il libro è sul tavolo importa poco la di erenza di contenuto tra le due frasi posto che esse abbiamo la stessa struttura logica e che la loro interpretazione sia ricavabile tramite le stesse regole logiche. SEMANTICA STRUTTURALE Secondo Bréal il termine semantica indica la scienza delle signi cazioni, ossia lo studio delle leggi che regolano i cambiamenti di signi cato delle espressioni linguistiche. Si tratta quindi di una concezione diacronica della semantica. La semantica ottocentesca ha come obiettivo principale lo studio diacronico del signi cato: Ossia l’analisi dei tipi di mutamento semantico che subiscono le parole nel corso della storia di una lingua o nel passaggio da una lingua all’altra e delle cause di tali mutamenti. I cambiamenti del signi cato sono classi cati in base alle conseguenze che producono, può trattarsi di: Un restringimento del signi cato (francese viande “cibo”—> carne) (inglese hound “cane” —> razza) (inglese girl “bambino/a” —> ragazza) Un ampliamento del signi cato (latino panarium “cesto del pane”—> italiano paniere “cesto” Una trasformazione in senso migliorativo o peggiorativo (francese crétin “cristiano”—> cretino) Le cause del mutamento semantico vengono rintracciate in fattori di ordine - Linguistico - Storico - Sociale - Psicologico fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi ff fi Nel novecento l’interesse per l’analisi sincronica delle lingue ha fatto passare in secondo piano lo studio del mutamento semantico. Con Ferdinand de Saussure il centro delle teorie semantiche strutturaliste diventa che: Il signi cato è un’entità puramente linguistica, ossia qualcosa che si crea all’interno del sistema linguistico nel momento in cui la lingua organizza un pensiero di per sé non strutturato (non è un elemento esterno al linguaggio). Questa concezione è una conseguenza del principio centrale della teoria saussuriana: l’arbitrarietà dei segni linguistici. Infatti l’errore più grande secondo lo studioso sta nel partire dagli oggetti, ossia nell’a ermare che ci sia una corrispondenza tra nomi e cose. Questa concezione referenzialista è per Saussure completamente sbagliata: non c’è prima l’oggetto e poi il segno che lo indica—> gli oggetti non hanno alcun ruolo nella genesi dei segni. Un segno linguistico è il prodotto dell’associazione tra due entità: signi cato (concetto) e signi cante (immagine acustica). Il principio dell’arbitrarietà consiste proprio in questo: il legame che unisce il signi cante al signi cato è arbitrario—> il segno linguistico è dunque arbitrario. Con arbitrarietà Saussure non intende il fatto che uno stesso concetto può essere espresso il lingue diverse da signi canti diversi, questa è la tesi del convenzionalismo che concepisce la lingua come un’istituzione grazie alla quale possiamo applicare nomi convenzionali a concetti già presenti nella mente. Il convenzionalismo è tanto erroneo quando il referenzialismo: Il primo assume che vi siano entità preesistenti nella lingua (i concetti) alle quali la lingua si limiterebbe ad attribuire delle etichette. Il secondo assume che gli oggetti vengano prima delle parole. Secondo Saussure prima dell’intervento della lingua il pensiero e il suono sono due masse amorfe, è la lingua che da forma a queste masse indi erenziate, creando in esse quelle unità fonico-concettuali che sono i segni linguistici. LA LINGUA ORGANIZZA QUINDI IL PENSIERO, OBBLIGANDOLO A STRUTTURARSI. Possiamo rappresentare la lingua come una serie di suddivisione contigue proiettate, nello stesso tempo, sia sul piano inde nito delle idee confuse (A) sia su quello non meno indeterminato dei suoni (B). Il ruolo della lingua di fronte al pensiero è di essere un intermediario tra pensiero e suono in condizioni tali che la loro unione sbocchi necessariamente in delimitazioni reciproche di unità (Ferdinand de Saussure). L’operazione con cui la lingua articola queste due masse amorfe è arbitraria: Le distinzioni che essa introduce sia sul piano del suono che sul piano del pensiero non dipendono da caratteristiche intrinseche dei suoni e dei concetti o da altri fattori esterni. fi ff fi fi fi fi ff fi fi Non c’è alcun motivo esterno alla lingua per cui in essa debbano esistere certi e non altri signi canti e signi cati, ed ogni lingua ha dei propri segni che sono diverse da quelli delle altre. Ciascuna lingua crea il proprio repertorio di signi cati articolando arbitrariamente la massa amorfa del pensiero—> in questo senso il signi cato è un’entità puramente linguistica per il quale esso nasce all’interno del sistema linguistico ed è un’entità linguisticamente autonoma. Quando diciamo che una parola ha un certo contenuto ci stiamo riferendo ad un valore creato dal sistema linguistico e che non esiste al di fuori di esso. Su questa nozione di valore Saussure fonda la sua concezione di erenziale e relazionale del signi cato: il contenuto di una parola non è determinato in positivo dal fatto che essa esprime un certo concetto, ma è determinabile solo in negativo confrontando quella parola con le altre le quali è in relazione, e alle quali si oppone, all’interno del sistema linguistico. ESEMPIO: il concetto di bianco di per sé non esiste, è un valore determinato dal rapporto con altri valori. Il compito della semantica è quindi secondo Saussure l’analisi delle relazioni intralinguistiche tra le parole senza fare ricorso ad elementi esterni alla lingua. Tutte le teorie semantiche sviluppate nell’ambiti della linguistica strutturale sono debitrici in forme diverse alle due tesi saussuriane viste sopra: Il signi cato è un’entità puramente linguistica, priva di basi oggettivi o psicologiche. Il signi cato è un’entità puramente di erenziale. SEMANTICA COGNITIVA È un approccio alla semantica opposto a quello strutturalista, e più che una singola teoria, è un insieme di studi sul signi cato sviluppati nell’ambito della corrente chiamata linguistica cognitiva. L’iniziatore è stato Noam Chomsky. La linguistica cognitiva deve il nome all’assunto di fondo che la caratterizza, cioè l’idea che vi sia una relazione imprescindibile tra il linguaggio e altri aspetti della cognizione umana. In questo approccio il linguaggio non è visto come un’entità autonoma, ma come una facoltà mentale le cui caratteristiche sono legate al complessivo funzionamento della mente umana. Secondo la linguistica cognitiva quindi i fenomeni linguistici non sono analizzabili restando all’interno del linguaggio: sia le caratteristiche delle lingue, sia la capacità di usare il linguaggio possono essere descritte solo in relazione alle altre facoltà cognitive, ed è impossibile tracciare una separazione tra i fenomeni linguistici e i fenomeni cognitivi. La comprensione dei fenomeni linguistici richiede dunque uno “sforamento” verso l’extralinguistico, e la linguistica non può fare a meno di servirsi dei dati provenienti da altre discipline (come la psicologia). Per l’approccio cognitivista questa relazione tra piano linguistico e piano concettuale è più forte proprio nella semantica. fi fi fi fi fi fi ff fi fi ff La semantica cognitiva intende il signi cato non come un fenomeno linguistico ma come il risultato di un processo cognitivo—> il signi cato ha una natura concettuale. A questo riguardo esistono posizioni molto diverse: Secondo una posizione più moderata, il piano linguistico mantiene una sua speci cità nel realizzare certi contenuti concettuali, e non c’è una corrispondenza uno-a-uno tra signi cati e concetti Secondo una convenzione più radicale, i signi cati delle parole non sono altro che “pezzi” del sistema concettuale associati, nella nostra memoria, a una veste fonologica e grammaticale. In tutti i casi si assume che i signi cati delle parole abbiano sempre una controparte concettuale—> cioè che dietro i signi cati linguistici vi siano dei contenuti mentali e che l’analisi semantica sia inseparabile dall’analisi dei processi con cui questi contenuti si costruiscono. Descrivere i signi cati linguistici signi ca descrivere quali contenuti concettuali sono espressi dalle parole, quali processi mentali hanno portato alla formazione di quei contenuti e quali processi mentali ne consentono la comprensione. Questo approccio mentalista distingue la semantica cognitiva dalla semantica referenziale e strutturalista. - Mentre la semantica strutturale ritiene che il piano linguistico sia totalmente autonomo da quello concettuale e anzi prioritario rispetto ad esso, la semantica cognitiva ritiene che i signi cati linguistici siano una delle forme in cui si manifesta un pensiero che esiste ed è strutturato già prima della sue espressione linguistica. - Altrettanto grande è la distanza tra semantica cognitiva e referenziale: quest'ultima considera il signi cato un'entità oggettiva, indipendente dagli stati mentali dei parlanti e che si de nisce in base alla relazione con una realtà extra linguistica altrettanto oggettiva; invece la semantica cognitiva ritiene che il signi cato sia un costrutto mentale e che la nozione di verità non abbia un ruolo centrale nella semantica. Usiamo con successo le espressioni linguistiche non in virtù di una relazione vera o falsa tra linguaggio e realtà, ma perché la nostra comprensione di quelle espressioni è coerente con la nostra esperienza della realtà. Un’altro punto fondamentale della semantica cognitiva è L’ipotesi secondo cui le strutture cognitive traggono il loro fondamento dal complesso dell’esperienza degli esseri umani e in particolare dall’esperienza corporea, sico-percettiva. La linguistica cognitiva assume infatti che non ci sia separazione tra mente e corpo, e ritiene che il nucleo essenziale del sistema concettuale scaturisca dall’esperienza corporea. Quest’ultima è intrinsecamente organizzata e strutturata anche prima dell’intervento dei concetti: tutta la nostra interazione sico-percettiva con l'ambiente da luogo ad una serie di schemi pre-concettuali basilari che a loro volta sono il fondamento del sistema concettuale. fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi Uno degli obiettivi di questo modello semantico (anche chiamata semantica esperenziale) è mostrare che molti aspetti della semantica delle lingue sono motivati da schemi (come su-giù, davanti-dietro, parte-tutto, controllo, legame, attrazione). Anche i concetti astratti, che non derivano direttamente dall’esperienza corporea, sono comunque legati ad essa grazie a processi immaginativi come la metafora. ESEMPIO: il concetto di conoscenza può essere rappresentato in modo metaforico in termini visivi, con espressioni come Non vedo il problema, La questione è chiara, La faccenda è oscura… In questi casi la rappresentazione mentale e l'espressione linguistica di un concetto astratto si basano su un concetto concreto, che a sua volta deriva dall'esperienza senso- motoria e dal ruolo che tale esperienza ha nella nostra esistenza. CAPITOLO 2 - tipi di signi cato Di solito per riferirsi al contenuto di un’espressione linguistica si usa semplicemente il termine signi cato, ma i linguisti e i loso del linguaggio utilizzano anche un altro termine: senso. Nel linguaggio corrente senso e signi cato sono usati come sinonimi per indicare il contenuto di un’espressione, ma nel loro uso tecnico essi indicano due entità diverse. La moderna distinzione tra senso e signi cato risale a Frege che introdusse in un saggio i termini Sinn e Bedeutung—> senso e signi cato. Il punto di partenza dell’analisi di Frege è risolvere un paradosso relativo alle a ermazioni di identità: A = A e A = B sono due a ermazioni diverse, ma come si può spiegare questa di erenza? ESEMPIO: Dante è Dante / Dante é l’autore della divina commedia Poiché Dante e l’autore della divina commedia sono la stessa persona potremmo sostenere che le due frasi dicono la stessa cosa, in realtà non è così. La prima frase è un esempio di tautologia: un’espressione di identità che è vera a priori e che non aggiunge nulla alle nostre conoscenze riguardo all’entità di cui stiamo parlando. La seconda frase ha un contenuto informativo: esprime qualcosa di cui potevamo non essere a conoscenza e che non avremmo potuto ricavare dalla semplice analisi logica della frase. Per rendere conto di questa di erenza Frege introduce la distinzione tra il senso e il signi cato di un’espressione: le due espressioni che abbiamo analizzato hanno lo stesso signi cato perché entrambe si riferiscono alla stessa entità, ma hanno un senso diverso perché ci rappresentano quell’entità in un modo diverso. Anche per Frege il signi cato coincide con il riferimento, ossia con la capacità di un’espressione di riferirsi ad una entità extralinguistica. IL SIGNIFICATO DI UN SEGNO LINGUISTICO È DUNQUE L’OGGETTO CHE QUEL SEGNO DESIGNA IL SENSO È IL MODO IN CUI QUELLA PARTICOLARE ENTITÀ CI SI PRESENTA, cioè il modo in cui la pensiamo e che ci consente di individuare quell’entità come l’oggetto che presenta certe caratteristiche. ESEMPIO: espressioni come l’autore del Convivio, il poeta che amò Beatrice fanno riferimento sempre alla stessa entità ma in modo diverso. La stessa entità può essere quindi pensata in modi diversi benché ad essa corrisponda lo stesso signi cato. ff fi fi fi fi fi fi ff fi ff fi fi fi fi ff Un punto importante è che il senso come lo intende Frege è qualcosa di oggettivo che non va confuso con la concezione soggettiva che ciascuno di noi può avere di una certa entità. Frege introduce un’ulteriore distinzione: tra il senso e la rappresentazione (Vorstellung): ciascuno può associare ad un’entità una rappresentazione mentale soggettiva, legata alle impressioni sensoriali che quell’entità ha suscitato o ai ricordi e ai sentimenti che essa evoca. ESEMPIO: l’entità gatto può essere associata per qualcuno a una rappresentazione del tipo “animale morbido e giocherellone” oppure “animale in do e inquietante”. Queste rappresentazioni appartengono alla sfera psichica dei singoli individui e vanno tenute distinte dal senso che è qualcosa di condivisibile tra più individui. SENSO: OGGETTIVO e garantisce la comprensione del linguaggio RAPPRESENTAZIONE: SOGGETTIVA ognuno di noi la ha in maniera diversa ESTENSIONE ED INTENSIONE È un’altra distinzione introdotta da Leibniz: L’estensione indica l’insieme delle entità cui è applicabile un’espressione L’intensione è l’insieme delle proprietà che individuano quell’entità ESEMPIO: gatto L’estensione di questa parola è data dall’insieme dei gatti, ossia la classe delle entità alle quali la parola è applicabile e che condividono tutte una certa proprietà. L’intensione è costituita dall’insieme delle proprietà che riteniamo essenziali per quali care un’entità come un gatto. La distinzione fregeana tra senso e signi cato è stata riformulata da Carnap nei termini della distinzione tra estensione e intensione: L’estensione di un’espressione è l’entità o l’insieme di entità cui essa si riferisce in un certo modo. L’intensione invece corrisponde al senso di Frege inteso come la funzione che ci permette di identi care quell’entità e associarla a certe estensioni. DENOTAZIONE E CONNOTAZIONE Secondo la tradizione loso ca la distinzione tra senso e signi cato e quella tra estensione e intensione sono equivalenti alla distinzione di Mill tra denotazione e connotazione. La denotazione di un termine corrisponde all’insieme degli oggetti che esso indica La connotazione è l’informazione concettuale che esso esprime ESEMPIO: virtuoso La denotazione è costituita dall’insieme delle persone virtuose La connotazione è la proprietà dell’essere virtuoso che attribuiamo a queste persone La coppia di termini introdotta da Mill non coincide esattamente con quella fregeana, perché secondo Mill non tutti i termini hanno una connotazione: I nomi propri non hanno una connotazione, sono puramente denotativi, non contengono infatti nessun riferimento alle proprietà dell’oggetto che denotano; parole come bianco o uomo sono sia denotative che connotative. In ambito linguistico la distinzione tra senso e signi cato non coincide esattamente con quella proposta da Frege. fi fi fi fi fi fi fi fi Nella semantica linguistica la distinzione tra signi cato e senso è usata per esprimere la di erenza tra il contenuto che un segno possiede all’interno del sistema linguistico e il contenuto che quel segno esprime quando è usato in un particolare contesto comunicativo. Per capire questo concetto bisogna fare riferimento alla distinzione che Saussure fece tra langue e parole, cioè tra il sistema linguistico astratto e le sue realizzazioni concrete. La langue è ciò che i parlanti sanno—> è l’insieme dei segni e delle regole che costituiscono il codice linguistico. La paro