PDF La psicologia sociale di Leone, Mazzara e Sarrica

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2013

Giovanna Leone, Bruno M. Mazzara, Mauro Sarrica

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psicologia sociale comunicazione cultura processi mentali

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Questo libro, "La psicologia sociale", scritto da Leone, Mazzara e Sarrica, esplora i processi mentali, la comunicazione e la cultura. Il testo, pubblicato nel 2013 da Editori Laterza, copre una vasta gamma di argomenti, dalla percezione del mondo alle relazioni nei gruppi. Il libro analizza temi chiave della psicologia sociale.

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Manuali di base 00 LeoneMazzaraSarrica.indd 1 15/10/13 15:22 LeoneMazzaraSarrica.indd 2 15/10/13 15:22 Giovanna Leone Bruno M. Mazzara...

Manuali di base 00 LeoneMazzaraSarrica.indd 1 15/10/13 15:22 LeoneMazzaraSarrica.indd 2 15/10/13 15:22 Giovanna Leone Bruno M. Mazzara Mauro Sarrica La psicologia sociale Processi mentali, comunicazione e cultura Editori Laterza LeoneMazzaraSarrica.indd 3 15/10/13 15:22 © 2013, Gius. Laterza & Figli www.laterza.it Prima edizione novembre 2013 Edizione 1 2 3 4 5 6 Anno 2013 2014 2015 2016 2017 2018 Proprietà letteraria riservata Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari Questo libro è stampato su carta amica delle foreste Stampato da SEDIT - Bari (Italy) per conto della Gius. Laterza & Figli Spa ISBN 978-88-420-9923-9 È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l’autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura. LeoneMazzaraSarrica.indd 4 15/10/13 15:22 Indice I. Natura e obiettivi della psicologia sociale di Bruno M. Mazzara 3 Di che cosa si occupa la psicologia sociale 3 Quale ruolo per la dimensione sociale, p. 5 - Qualche tentativo di defi- nizione, p. 6 Uno sguardo alla storia e alle grandi teorie 9 La base biologica del comportamento, p. 10 - Il ruolo delle dinamiche inconsce, p. 13 - Il comportamento come reazione a stimoli, p. 14 - La prospettiva cognitiva, p. 17 - La prospettiva gestaltista, p. 20 Il sociale nella mente: gli orientamenti costruzionisti, interazionisti e culturalisti 23 Il mondo come costruzione condivisa e negoziata, p. 24 - Mente, comu- nicazione e cultura, p. 27 - Verso una nuova psicologia sociale, p. 32 II. Dalla percezione del mondo alla comprensione di sé di Mauro Sarrica 38 Gestalt, approccio ecologico e «New Look» 39 Le Gestalt percettive, p. 39 - L’approccio ecologico, p. 41 - Il «New Look», p. 42 La percezione degli altri, le prime impressioni 44 La percezione degli altri, le attribuzioni causali, p. 47 Il Sé 49 La persona come totalità dinamica, p. 50 - Il Sé come schema, p. 52 - Sviluppi: Sé possibili, Sé indipendente e Sé interdipendente, p. 54 - Pragmatismo, interazionismo e le svolte costruzioniste e narrative, p. 56 LeoneMazzaraSarrica.indd 5 15/10/13 15:22 Indice VI III. Dagli atteggiamenti alle rappresentazioni sociali di Mauro Sarrica 63 Rappresentazioni in-azione, p. 63 Gli atteggiamenti, tra processi cognitivi e pratiche discorsive 64 Gli atteggiamenti, un costrutto centrale e sfaccettato, p. 64 - Atteggia- menti e comportamenti, p. 70 - Le critiche costruzioniste, p. 74 Le rappresentazioni sociali, tra processi cognitivi e pratiche discorsive 75 Le rappresentazioni sociali, un costrutto centrale e sfaccettato, p. 75 - Rappresentazioni sociali, fondamenti teorici, p. 77 - In quali condizioni si formano le rappresentazioni sociali, p. 80 - La genesi delle rappre- sentazioni sociali, p. 83 - Funzioni delle rappresentazioni sociali, p. 84 - Sviluppi della teoria, p. 86 IV. L’incontro tra le persone di Giovanna Leone 90 Cosa si intende con incontro interpersonale 91 Vedersi, ma non incontrarsi: esempi di incontro interpersonale manca- to, p. 91 - La complessità del concetto di persona, p. 95 Le relazioni intime 97 La relazione con l’altro come condizione di sopravvivenza: il bisogno di attaccamento, p. 97 - La capacità di incontrare l’altro come traguardo di sviluppo, p. 101 - Gli strumenti storico-culturali di interpretazione delle interazioni sociali, p. 106 L’inquadramento sociale delle relazioni tra le persone 109 Le rappresentazioni sociali delle relazioni tra le persone, p. 109 - Persone dominanti, gruppi dominati, p. 112 - Uno, nessuno, centomila: la moltepli- cità dei modi di relazione negli incontri quotidiani, p. 115 V. La comunicazione interpersonale di Giovanna Leone 118 Continuità e discontinuità tra comunicazione animale e comunicazione umana 119 Animale e uomo: comunicazioni diverse, ma entrambe complesse, p. 120 - L’ipotesi dell’altruismo spontaneo , p. 125 L’apprendimento della comunicazione 129 L’importanza della relazione precoce tra neonati e adulti, p. 129 - Il «baby talk» e il «fine-tuning» come precursori del linguaggio, p. 132 - L’apprendimento del linguaggio e la multimodalità della comunicazione umana , p. 135 - L’ottica psicologica: la comunicazione come relazione, p. 139 - L’ottica psicologica in confronto con le altre ottiche di studio, p. 140 - A che gioco giochiamo? La comunicazione come gioco relazionale costruttivo o distruttivo, p. 145 VI. Le relazioni nei gruppi di Mauro Sarrica 149 Tra produzione d’équipe e dinamiche di gruppo 149 L’evoluzione del gruppo 152 Struttura, ruoli e status 155 Le norme 157 La leadership 159 LeoneMazzaraSarrica.indd 6 15/10/13 15:22 Indice VII Comunicazione nel gruppo 165 Dinamiche interpersonali in una prigione simulata, p. 165 - «Groupthink», p. 168 - Le comunità di pratiche, p. 172 VII. Pregiudizi, stereotipi e relazioni tra gruppi 176 La forza dell’identità sociale 177 La categorizzazione come sistema di ordinamento del mondo, p. 178 - «Bias» e comportamento intergruppi, p. 182 - Muzafer Sherif e gli esperimenti nei campi estivi, p. 184 - Henri Tajfel e gli effetti della pura categorizzazione, p. 186 La forza di stereotipi e pregiudizi 189 Le molte possibili cause del pregiudizio, p. 190 - Pregiudizi e stereotipi come strumenti cognitivi, p. 191 - Pregiudizi e stereotipi come costru- zioni socio-culturali, p. 193 - Le manifestazioni del pregiudizio e degli stereotipi, p. 195 L’incontro tra i gruppi e tra le culture 201 Gli scenari dell’incontro tra i gruppi, p. 202 - L’incontro interculturale, p. 205 - Le modalità del contatto interculturale, p. 208 - La comunicazione interculturale, p. 214 VIII. La dimensione storica e culturale dei processi psicologici di Giovanna Leone 220 Una parte per il tutto: lo studio delle dimensioni storiche e culturali dei processi di memoria 220 Alla base dei processi di memoria: le associazioni e i riflessi, p. 222 - La complessità della memoria individuale: memoria procedurale, memoria episodica e memoria semantica, p. 223 - La convenzionalizzazione della memoria: il ruolo delle norme e delle aspettative sociali, p. 225 - Globa- lizzazione: verso una memoria interculturale?, p. 227 La memoria procedurale come informazione sociale: il caso dei riflessi 228 La memoria procedurale come informazione sociale: il caso degli «scripts» 230 Processi di memoria e comprensione delle emozioni 231 Davanti al «Mosè» di Michelangelo: le intuizioni di Freud sulla regolazio- ne nell’espressione delle emozioni, p. 232 - Quando la mancata condi- visione degli «scripts» è un problema serio: il caso della modulazione culturale della regolazione emozionale, p. 235 - Le memorie sociali se- mantiche: il caso dei cambiamenti del lessico emotivo , p. 237 - Corpo e parole: due modi per comprendere le emozioni, p. 238 Le memorie difficili: il caso del ricordo delle guerre 240 Raccontare i crimini di guerra a chi è nato dopo: uno snodo importante della riconciliazione, p. 241 - Emozioni e riconciliazione tra i gruppi, p. 242 - Scelte comunicative e riconciliazione: l’ipotesi della «parrhesia», p. 244 Riferimenti bibliografici 247 Indice dei nomi 261 LeoneMazzaraSarrica.indd 7 15/10/13 15:22 LeoneMazzaraSarrica.indd 8 15/10/13 15:22 La psicologia sociale Processi mentali, comunicazione e cultura LeoneMazzaraSarrica.indd 1 15/10/13 15:22 LeoneMazzaraSarrica.indd 2 15/10/13 15:22 I. Natura e obiettivi della psicologia sociale Questo capitolo introduttivo punta a chiarire la natura del tipo di spiegazione del comportamento umano che la psicologia sociale è in grado di fornire. L’approc- cio specifico della psicologia sociale sarà presentato brevemente anche in chiave storico-critica, con riferimento da un lato ai diversi modelli teorici che si sono succeduti, e dall’altro al confronto con le spiegazioni del comportamento umano che vengono fornite da altre discipline. In particolare, sarà approfondito il ruolo crescente che nell’ambito della psicologia sociale è stato attribuito alle dinamiche di comunicazione e alla dimensione culturale, con un superamento delle imposta- zioni esclusivamente cognitive e una sempre più marcata caratterizzazione della disciplina in chiave genuinamente sociale. Di che cosa si occupa la psicologia sociale In un articolo che è diventato un riferimento obbligato, non solo da un punto di vista storico, per qualsiasi discussione sulla natura e sui compiti della psicologia sociale, si trova questa celebre definizione: Con poche eccezioni, gli psicologi sociali guardano alla loro disciplina come un tentativo di comprendere e spiegare in che modo i pensieri, i sentimenti e le azioni degli individui sono influenzati dalla presenza reale, immaginata o implicita di altri esseri umani. Il termine «presenza implicita» si riferisce alle molte attività che l’in- LeoneMazzaraSarrica.indd 3 15/10/13 15:22 La psicologia sociale. Processi mentali, comunicazione e cultura 4 dividuo mette in atto in ragione della sua posizione (ruolo) in una struttura sociale complessa e della sua appartenenza a un gruppo culturale (Allport 1954a, p. 5). In questa definizione, che ha registrato ampio consenso, ma anche molte critiche, sono contenuti alcuni spunti interessanti per riflettere sulle poten- zialità di questa disciplina, sui modi anche molto diversi di intenderne il ruolo e il significato, e sui suoi rapporti con le altre scienze umane. La prima cosa da notare, che costituisce per alcuni un pregio e per altri un limite, è il fatto che si tratta di una definizione individualistica, che as- sume cioè l’individuo come punto focale della propria osservazione, esami- nando le conseguenze delle relazioni sociali (reali o immaginarie, presenti o passate) sul suo pensiero e sul suo modo di essere e di agire. La dimensione sociale, in altri termini, è concepita come una delle possibili variabili in grado di condizionare lo sviluppo e l’azione dell’individuo, le altre essendo quelle relative alla sua storia personale o alla sua specificità motivazionale, emozionale e caratteriale, anche biologicamente fondata. Per molti studiosi, questa accentuazione della dimensione individuale costituirebbe la ragion d’essere della psicologia complessivamente intesa, disciplina generale nella quale la psicologia sociale si collocherebbe come un ambito sub-disciplina- re. Secondo tale impostazione, sarebbe proprio l’assunzione dell’individuo come focus di indagine che distinguerebbe la psicologia, e dunque anche la psicologia sociale in quanto parte della psicologia, da discipline quali la sociologia o l’antropologia. Su questa linea si è mossa la gran parte degli stu- diosi e delle correnti di pensiero che hanno costruito nel tempo il bagaglio di conoscenze con il quale la psicologia sociale ha contribuito allo sforzo di comprendere e spiegare il comportamento umano. Come vedremo tra bre- ve, nella maggior parte dei casi gli psicologi sociali hanno utilizzato modelli teorici che, pur essendo molto diversi tra loro, sono risultati tuttavia coe- renti con questa impostazione individualistica, mutuando tali modelli dalla psicologia generale e applicandoli al caso specifico delle relazioni sociali. Senonché tale modo di intendere la psicologia sociale, ancorché mag- gioritario, si è confrontato, fin dall’inizio della storia della disciplina, con un punto di vista diverso, che mirava a considerare la dimensione sociale non come uno dei possibili campi applicativi della psicologia generale o co- me una delle possibili variabili in grado di condizionare il comportamento degli individui, bensì come una dimensione costitutiva della mente, che entra nella strutturazione di tutte le dinamiche psicologiche e dalla quale non si può mai realmente prescindere. In effetti lo stesso Allport, allorché fa riferimento come elemento di possibile influenza anche alla «presenza LeoneMazzaraSarrica.indd 4 15/10/13 15:22 I. Natura e obiettivi della psicologia sociale 5 implicita» degli altri, definendo quest’ultima in termini di ruoli sociali e appartenenze culturali, delinea la vita mentale come inscindibilmente legata alla dimensione sociale. Posto infatti che quasi tutta la nostra vita si svolge in interazione reale con gli altri, e che l’altro è comunque spesso presente almeno a livello immaginativo, se a ciò si aggiunge anche la «presenza im- plicita», che si esprime nelle modalità di pensiero e di azione socialmente e culturalmente connotate, si può tranquillamente concludere che non esi- ste di fatto una vita mentale che possa essere studiata prescindendo dalla dimensione sociale. In maniera ancora più chiara tale concetto era stato peraltro espresso diversi anni prima da John Dewey, uno dei padri fonda- tori della psicologia americana, che era pienamente consapevole del ruolo fondativo per il pensiero umano dell’esperienza del mondo e delle relazioni sociali, tanto da poter asserire, in un saggio dal significativo titolo La ne- cessità della psicologia sociale, che «dal punto di vista della psicologia del comportamento, tutta la psicologia è o psicologia biologica o psicologia sociale» (Dewey 1917, p. 63). Quale ruolo per la dimensione sociale Il dibattito sul ruolo della dimensione sociale, vale a dire l’idea che essa si possa considerare alla stregua di altri possibili fattori di condizionamento dei processi psicologici oppure come un fondamentale elemento costitu- tivo della mente umana, ha accompagnato l’intera storia della psicologia sociale. Si tratta di un dibattito che ha conosciuto momenti molto intensi, rinviando necessariamente alla specificità della disciplina e ai suoi rapporti con le altre scienze umane, e che ha costituito – come si vedrà meglio più avanti – uno dei nodi della riflessione critica che ha interessato di recente la disciplina stessa. È chiaro infatti che nel momento in cui si adotta un’ottica individualistica e si concepisce la psicologia sociale come una sub-disciplina della psicologia, si conferma la sua diversità rispetto a discipline di deriva- zione sociologica, che hanno appunto la dimensione sociale come proprio oggetto di studio; d’altro canto, però, si rinuncia alla sua autonomia rispetto alla psicologia complessivamente intesa. Viceversa, se si accentua il ruolo dei processi sociali si persegue una maggiore indipendenza rispetto alla psicologia generale, ma si rischia di rendere difficilmente distinguibile la propria analisi da quella delle discipline più marcatamente socio-culturali. In relazione a tale contesa, ad un certo punto si è pensato che fosse opportuno distinguere tra due diverse forme di psicologia sociale: una psi- cologia sociale psicologica, concepita come sub-disciplina della psicologia e avente come focus d’indagine i processi mentali individuali, e una psico- LeoneMazzaraSarrica.indd 5 15/10/13 15:22 La psicologia sociale. Processi mentali, comunicazione e cultura 6 logia sociale sociologica, considerata come sub-disciplina della sociologia e avente come focus d’indagine i processi sociali (Stryker 1997). Tale distin- zione tra le due «anime» della psicologia sociale si è caratterizzata spesso anche in termini di temi maggiormente trattati (ad esempio la personalità, le motivazioni e gli atteggiamenti da un lato e l’interazione, i ruoli e la co- municazione dall’altro); la differenza più importante, tuttavia, riguarda non tanto i fenomeni esaminati, quanto piuttosto il modo in cui i fenomeni stessi sono interpretati e studiati. Ad esempio, un tema come il Sé può essere concettualizzato come l’esito di percorsi personali e privati oppure come il risultato di una continua interazione con gli altri; e, di contro, un tema come l’influenza sociale può essere letto in chiave di cambiamento degli atteggiamenti individuali oppure come processo di costruzione collettiva e negoziata delle immagini del mondo. Si tratta di una questione che ha accompagnato l’intero sviluppo della disciplina, a partire dai suoi albori e fino ai dibattiti più recenti. Nel 1908 furono pubblicati due volumi che per la prima volta (almeno negli Stati Uniti) contenevano nel titolo la locuzione «psicologia sociale», e che per questo sono tradizionalmente considerati come l’inizio ufficiale della disci- plina (McDougall 1908; Ross 1908). Tali volumi presentano in embrione la dicotomia della quale stiamo parlando. William McDougall imposta infatti la nuova disciplina a partire da un punto di vista strettamente individuale, concentrandosi in particolare sugli istinti, sulle emozioni, sulle condizioni di suggestionabilità delle persone, mentre Edward Ross esplora il versante psicologico di temi quali l’agire della folla, la diffusione delle abitudini e delle convenzioni, l’opinione pubblica, la conflittualità sociale. La storia successiva ha visto, insieme alla maturazione dei nuovi più importanti mo- delli teorici (agli inizi del Novecento le uniche grandi teorie disponibili era- no quelle istintualiste e psicofisiologiche), una sistematica riproposizione dell’interrogativo di fondo: se il funzionamento della mente e il comporta- mento umano si possano interpretare alla luce di caratteristiche e disposi- zioni individuali oppure di dinamiche di tipo sociale. Qualche tentativo di definizione Di tutto ciò si dirà meglio più avanti nel corso del testo. Per il momento, in fase di prima approssimazione e allo scopo di individuare la definizione del campo disciplinare più adatta ai nostri scopi, può essere utile riflettere sulla convenienza di mantenere la distinzione fra le due diverse versioni del- la psicologia sociale. Come si è visto, in entrambi i casi la psicologia sociale si trova infatti ad essere subordinata a una disciplina più importante – la LeoneMazzaraSarrica.indd 6 15/10/13 15:22 I. Natura e obiettivi della psicologia sociale 7 psicologia oppure la sociologia – che fornisce i modelli interpretativi da applicare poi a campi specifici. Come conseguenza di tale appiattimento sulle discipline più generali, si finisce per perdere di vista la specificità della spiegazione psico-sociale, correndo inoltre due rischi diversi e complemen- tari, entrambi in grado di ostacolare un’approfondita comprensione del legame fra dinamiche psicologiche e processi sociali: da un lato il rischio del riduzionismo psicologistico, vale a dire la tendenza a spiegare fenomeni complessi come i comportamenti umani in termini di processi psicologici elementari; dall’altro il rischio del determinismo socio-culturale, vale a dire l’idea che l’individuo, con le sue disposizioni, intenzioni e motivazioni, ri- sulti pressoché completamente determinato nel suo modo di essere e nelle sue azioni dalle condizioni esterne nelle quali vive. In entrambi i casi viene a perdersi un territorio di estremo interesse, vale a dire l’intersezione tra le due dimensioni, che risulta difficile da leggere, ma che sola consente di va- lorizzare appieno la specificità della mente umana, che è radicata tanto nelle processualità psicologiche quanto nei condizionamenti sociali, e pertanto non può essere appiattita su alcuna delle due polarità. In questo senso, dunque, possiamo provare a pensare alla psicologia sociale come allo studio delle dimensioni sociali della mente umana, ossia delle modalità di articolazione tra gli aspetti individuali della vita psicolo- gica – legati alle sue specifiche modalità di funzionamento, biologicamente fondate, ma anche alla storia delle persone e agli elementi irripetibili di sog- gettività – e il livello della vita sociale, inteso in termini di interazioni tra le persone ma anche in termini più ampi di contesto socio-culturale. Scegliere come ambito della disciplina non uno dei livelli, bensì l’intersezione tra di essi, significa non limitare la scelta degli oggetti di studio ad alcuni temi, considerabili propri dell’uno o dell’altro livello, ma piuttosto sforzarsi di elaborare un modello di interpretazione che, proprio in quanto tiene conto di entrambi i livelli, risulta applicabile ai fenomeni più diversi. In questo modo può essere impostata in maniera più produttiva anche la relazione tra le diverse discipline che si occupano del comportamento umano, e in particolare tra psicologia generale, psicologia sociale e sociologia; la distin- zione tra di esse, infatti, non si pone in relazione ai temi trattati, ma al tipo di approccio scelto per interpretare i fenomeni. Ad esempio, tematiche come la percezione, la memoria o le emozioni si possono considerare argomenti di stretta pertinenza della psicologia generale allorché siano studiati nella loro processualità funzionale; ma LeoneMazzaraSarrica.indd 7 15/10/13 15:22 La psicologia sociale. Processi mentali, comunicazione e cultura 8 diventano oggetto della psicologia sociale allorché se ne evidenzi il legame con i processi di interazione e con il contesto socio-culturale. Allo stesso modo, un fenomeno come le dinamiche di gruppo costituisce un tema di interesse sociologico per tutto ciò che riguarda aspetti come l’interdipen- denza e la differenziazione, i rapporti di potere, i sistemi di norme, la stra- tificazione sociale, ecc.; mentre diventa oggetto di studio della psicologia sociale laddove si considerino i correlati psicologici delle appartenenze, facendo riferimento a temi come l’identità sociale, gli stereotipi, o le co- gnizioni condivise. Lo stesso schema concettuale si può utilizzare per la spiegazione dell’in- tera gamma dei comportamenti umani. Prendiamo ad esempio il compor- tamento di consumo: esso può essere interpretato alla luce di una gamma molto vasta di variabili di tipo sociale, oltre che ovviamente di tipo pro- priamente economico (distribuzione del reddito, dinamiche produttive, sviluppi tecnologici, stili di vita, ecc.), e in questo senso è oggetto di studio della sociologia e dell’economia. Tuttavia, per una comprensione piena di quel comportamento, anche a fini di previsione e controllo, è necessario aggiungere una chiave interpretativa ulteriore, quella psicologica, che rende conto del modo in cui quelle variabili di tipo socio-economico sono perce- pite e integrate dalle persone nella dinamica della loro vita mentale, e per questa via tradotte negli atti concreti che si vogliono comprendere. Oppure pensiamo ai gravi conflitti che insanguinano molte parti del mondo. Essi devono essere certamente studiati come espressione di dinamiche di tipo storico, politico ed economico, sulle quali si innesta spesso (a volte in modo palesemente forzato) una caratterizzazione etnico-culturale o religiosa. Ma è indubbio che per comprendere a fondo quei fenomeni e poter eventual- mente intervenire in modo efficace non si può non tener conto del fatto che i comportamenti di cui essi si sostanziano sono profondamente segnati da dinamiche di tipo psicologico, quali le modalità con cui si costruisce la pro- pria identità radicandola nelle appartenenze, i sistemi simbolici e valoriali, le memorie collettive e le rappresentazioni sociali. In tal modo, unendo il livello psicologico agli altri livelli di interpreta- zione dei fatti umani si ottiene una conoscenza più approfondita ed efficace del comportamento, evitando d’altro canto quel rischio di riduzionismo di cui si è detto e che spesso è stato rimproverato alla psicologia. In pratica, si può dire che sarebbe un errore pensare di poter spiegare fenomeni così complessi e saturi di valenze di tipo socio-economico o storico-politico ri- correndo esclusivamente a categorie interpretative di tipo psicologico; ma al LeoneMazzaraSarrica.indd 8 15/10/13 15:22 I. Natura e obiettivi della psicologia sociale 9 tempo stesso si può affermare che sarebbe un errore altrettanto grave tenta- re di spiegarli senza tener conto della dimensione psicologica, che costitu- isce comunque un importante elemento del quadro complessivo, quello in definitiva più vicino, in termini di causalità immediata, al comportamento che si vuole studiare. In definitiva, ciò che caratterizza la psicologia sociale è il riferimento alla mente in quanto principio organizzatore dei vissuti, delle esperienze e delle intenzioni delle persone, e dunque in quanto elemento causativo imprescindibile del comportamento umano. Ciò che distingue la psico- logia sociale dalla psicologia generale, invece, è l’attenzione per l’origine sociale della maggior parte dei contenuti mentali, i quali possono essere veramente compresi solo in relazione alle dinamiche sociali delle quali l’individuo partecipa. La consapevolezza di tale legame tra la vita mentale e il tessuto delle relazioni sociali ha conosciuto, nel corso degli anni, vi- cende alterne; presente, come si è visto, fin dagli albori della disciplina, è stata in alcuni periodi oscurata da un eccessivo ripiegamento sulla dimen- sione individuale e processuale, spesso proprio per lo sforzo di marcare la specificità dell’apporto della psicologia, ancorché sociale, rispetto alle discipline sociologiche. Negli ultimi anni, a seguito di una riflessione molto intensa anche di tipo epistemologico e metodologico, tale consapevolezza si è affermata in modo sempre più netto, portando a una forte accentuazione, nell’ambito della psicologia sociale, di due tematiche che sono strettamente legate ma che meritano tuttavia di essere considerate ciascuna per suo conto: la comunicazione, intesa come luogo di effettiva costruzione della struttura fondamentalmente sociale della mente, e la cultura, intesa come sedimen- to di tale costruzione collettiva della conoscenza e dei significati condivisi. L’intreccio di queste due tematiche costituisce la specifica lettura della psicologia sociale che questo volume vuole fornire; ad esse, e soprattutto alla loro interconnessione, faremo rapidamente riferimento nel seguito del capitolo. Uno sguardo alla storia e alle grandi teorie Al fine di chiarire bene il possibile contributo della psicologia sociale alla grande impresa delle scienze umane, sarà opportuno far riferimento, LeoneMazzaraSarrica.indd 9 15/10/13 15:22 La psicologia sociale. Processi mentali, comunicazione e cultura 10 sia pure rapidamente, ad alcuni grandi modelli teorici di spiegazione del comportamento umano che si sono sviluppati nel corso del Novecento. Tali modelli hanno preso forma, nel loro nucleo essenziale, nell’arco di due-tre decenni a cavallo fra Ottocento e Novecento, come parte dell’intensa fio- ritura intellettuale che ha portato allo sviluppo delle scienze umane, in fe- condo rapporto con lo sviluppo delle scienze naturali e con la maturazione del positivismo. Si tratta di modelli molto generali, che hanno dato vita a sistemi teorici anche molto complessi e articolati, ma che hanno tuttavia alla base una specifica e talvolta abbastanza semplice idea della natura umana e delle possibili motivazioni del comportamento. Originatisi spesso proprio in ambito psicologico, questi modelli sono stati poi utilizzati largamente, con opportuni adattamenti, anche nelle altre scienze umane, proprio per il fatto che esse tutte hanno in definitiva in comune l’obiettivo di comprendere il comportamento. Di seguito ne presenteremo alcuni in modo molto sintetico, mettendo in conto un’inevitabile ipersemplificazione e rinviando ai tanti testi disponibili per una più approfondita panoramica delle teorie psicologiche e del contesto storico-culturale nel quale esse si sono sviluppate (ad esempio: Legrenzi 1992; Mecacci 1992; Smith 1997). L’esame sia pure sommario dei nuclei fondativi di tali orientamenti teorici consentirà di comprendere me- glio il modo in cui si pone la psicologia sociale rispetto ai quadri concettuali della psicologia complessivamente intesa, ma anche la caratterizzazione della specifica versione della disciplina che qui proponiamo. La base biologica del comportamento Una prima importante risposta che le scienze umane hanno dato alla domanda sull’origine del comportamento è quella che fa riferimento alle caratteristiche e alle dotazioni biologiche degli esseri umani, che derivano dal lungo passato evolutivo della specie e ne indirizzano in modo sostanziale l’azione. All’origine di questa concezione ci sono le grandi scoperte dell’e- voluzionismo darwiniano, che a partire dalla metà dell’Ottocento hanno costituito uno dei principali momenti di svolta nella storia del pensiero umano, con conseguenze che sono andate ben al di là delle scienze natu- rali. L’idea di fondo, che transitò velocemente dalle scienze naturali alla psicologia, era che i tratti comportamentali, le motivazioni e le disposizioni personali fossero soggetti allo stesso processo di selezione per adattamen- to che governa l’evoluzione delle caratteristiche morfologiche e funzionali degli esseri viventi. In altri termini, così come noi possiamo spiegare una caratteristica funzionale della specie Homo sapiens (ad esempio l’opponi- bilità del pollice o la stazione eretta) in relazione ai vantaggi evolutivi che LeoneMazzaraSarrica.indd 10 15/10/13 15:22 I. Natura e obiettivi della psicologia sociale 11 essa ha portato, allo stesso modo si può pensare che un determinato tratto comportamentale (ad esempio l’aggressività, la tendenza a fare gruppo e a riconoscersi nei propri simili, il gregarismo, la sottomissione all’autorità, la disponibilità a farsi influenzare dagli altri, l’altruismo, le cure parentali, ecc.) sia anch’esso il risultato di un lungo processo evolutivo, nel corso del quale quel tratto sia stato selezionato come utile alla sopravvivenza. Questa impostazione ha marcato profondamente, anche se in modo più o meno visibile, non solo la psicologia, ma il complesso delle scienze umane, a partire dai primi decenni fondativi e fino ai nostri giorni. Nei primi anni, tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, ebbero molta fortuna gli orientamenti di tipo psicometrico, che puntavano a misurare in mo- do accurato le potenzialità intellettive, evidenziandone la base ereditaria e dunque la possibile correlazione con l’appartenenza alle cosiddette «razze» umane, e perfino a gruppi etnici e nazionali. Coerentemente con questo approccio, si andavano affermando concezioni istintualiste, che tendevano cioè a ricondurre i diversi comportamenti a specifici «istinti», sviluppatisi nell’essere umano proprio per la loro funzione adattiva. E d’altro canto il principio della sopravvivenza del più adatto veniva spesso esteso e applicato al campo sociale, nell’ottica del darwinismo sociale, che spiegava in termini di selezione per adattamento gli alti livelli di competizione tra individui e gruppi, considerando dunque migliori, in quanto più adatti, i vincitori di tale competizione. In generale, a seguito della diffusione della prospettiva biologica, si è andato consolidando, in psicologia e nelle altre scienze uma- ne, un approccio di tipo funzionalista, teso cioè a valorizzare il ruolo svolto da ogni specifico oggetto di studio (singole funzioni psichiche, motivazioni, comportamenti, ma anche gruppi sociali, istituzioni, credenze, norme, ecc.) ai fini dell’equilibrio e dello sviluppo del sistema in cui esso si inserisce. Più recentemente, la sensibilità per la base biologica del comportamento si è espressa in correnti di studio quali la sociobiologia e l’etologia umana che, basandosi sui progressi tanto delle scienze sociali quanto della biologia evolutiva, hanno proposto modelli sempre più complessi e integrati di inter- pretazione dell’agire umano in quanto condizionato dalle sue antiche radici di tipo adattivo. Nel campo della psicologia si è avuto lo sviluppo della cosid- detta psicologia evoluzionista, che esamina i diversi processi psicologici come risultato della selezione naturale e dunque in funzione della loro utilità per la soluzione dei problemi di adattamento (Crawford, Krebs 1998). In questa chiave si propone di leggere praticamente tutti i processi psicologici: la per- cezione, la memoria, le emozioni, le capacità di ragionamento e di inferenza, la consapevolezza di sé, ma anche le abilità e le motivazioni di natura sociale, LeoneMazzaraSarrica.indd 11 15/10/13 15:22 La psicologia sociale. Processi mentali, comunicazione e cultura 12 quali la capacità di inferire gli stati d’animo degli altri e la propensione ad agire cooperativamente in gruppo, fino agli ambiti specificamente umani del linguaggio, della comunicazione e della produzione di cultura. Nei confronti di questi orientamenti sono state sollevate obiezioni anche molto forti, centrate soprattutto sulla loro natura eccessivamente determi- nistica. Pur potendosi condividere le valutazioni sull’origine e sulla funzio- nalità adattiva di molte delle nostre abilità e propensioni, non appare plau- sibile ipotizzare che esse determinino, in modo automatico e necessario, le modalità concrete con le quali gli individui agiscono e con le quali le società umane si organizzano. Viene dunque criticata una decisa ipersemplificazio- ne delle ragioni dell’azione umana, dal momento che tutti i comportamenti, anche i più complessi e variegati, verrebbero ricondotti in ultima analisi a poche fondamentali motivazioni di base, tutte centrate intorno al tema della sopravvivenza: la ricerca di cibo, l’aggressività, la territorialità, la ri- produzione sessuale, l’esercizio del potere. Inoltre, viene spesso rimprove- rato a questo tipo di spiegazioni un intrinseco conservatorismo sul versante socio-politico: il principio della sopravvivenza del più adatto, tanto al livello degli individui quanto al livello delle forme di organizzazione sociale, può portare infatti a considerare come ottimale e in qualche modo inevitabile ciò che esiste, inclusi gli aspetti più deleteri della vita sociale quali violenza, guerre e diseguaglianze, rinunciando dunque a progetti di cambiamento anche eticamente fondati. Rispetto a tutto ciò si può confermare quanto già detto sopra a proposito del rapporto tra la spiegazione psicologica e quella socio-economico-culturale dei fatti umani: come in quel caso, anche qui si può dire che sarebbe un errore tentare di spiegare l’intera gamma del comportamento umano riferendosi esclusivamente (o anche solo principalmente) alle cause di tipo biologico; ma che sarebbe un errore altrettanto grave non riconoscere la funzionalità delle motivazioni di quel tipo, e la forza che a loro deriva dal nostro lungo passato evolutivo. L’esistenza e le modalità di funzionamento di quelle caratteristiche specificamente umane che sono il linguaggio, la capacità simbolica e la capa- cità di produrre cultura, pur se anch’esse dotate di una loro funzionalità in relazione all’evoluzione biologica, fanno sì che il mondo umano non possa in alcun modo essere interpretato in chiave deterministica e con riferimento alle sole motivazioni di base relative alla sopravvivenza. E in effetti, come vedremo meglio più avanti, il rapporto tra la base biologica dell’essere umano e la sua caratteristica dimensione culturale si può considerare come uno dei temi più interessanti e affascinanti che la psicologia (e a maggior ragione la psicologia sociale) si trova a dover esplorare. LeoneMazzaraSarrica.indd 12 15/10/13 15:22 I. Natura e obiettivi della psicologia sociale 13 Il ruolo delle dinamiche inconsce Un altro grande orientamento teorico che ha prodotto importanti rispo- ste alla domanda sulla natura degli esseri umani e sulle cause del loro com- portamento è quello che si è concretizzato nel variegato arcipelago della psicoanalisi. Sviluppato dalle geniali intuizioni di Sigmund Freud, per molti versi in continuità con le impostazioni di tipo evoluzionista e istintualista, l’orientamento psicoanalitico tende a spiegare tanto l’individuo, con le sue caratteristiche, disposizioni e motivazioni, quanto le relazioni interperso- nali e la società nel suo complesso, facendo riferimento prevalentemente a dinamiche inconsce. Se Darwin ha compiuto una prima grande rivoluzione presentando l’essere umano in quanto parte della natura biologica, Freud ha completato tale rivoluzione evidenziando come il suo comportamento sia riconducibile, in larga misura, all’esito di processi che si svolgono al di sotto del livello di consapevolezza degli individui, in un mondo spesso oscuro e misterioso al quale si può accedere solo in modo molto parziale, con le tecniche messe a punto nella pratica psicoanalitica. In questo mondo incoscio si svolge una lotta costante tra le pulsioni (intese come somma delle energie vitali, con al centro la pulsione sessuale) e i vincoli che il mondo esterno pone alla realizzazione di tali pulsioni, primo fra tutti l’esistenza di altre persone, che competono per gli stessi obiettivi, e della società, con le sue regole e le sue istituzioni. L’esito di tale lotta ottiene di strutturare, a partire dai primi anni infantili e con l’importante mediazione delle figure genitoriali, la personalità e il modo di essere dell’individuo, i quali prendo- no forma in pratica intorno a una serie di meccanismi di difesa nei quali si esprime di fatto il suo agire quotidiano (per un’ottima introduzione, anche di tipo storico, cfr. Vegetti Finzi 1990). Nata come pratica terapeutica, centrata per sua natura sull’individuo, la prospettiva psicoanalitica si è rapidamente e validamente diffusa al di là di quest’ambito, diventando una delle più importanti modalità di inter- pretazione del comportamento umano in quanto tale – e dunque non solo di quello patologico, che esprime un disagio più o meno grave e necessita di cure, ma anche di quello «normale», nel quale si realizzano livelli tutto sommato ottimali di adattamento – e della società nel suo complesso, le cui caratteristiche e modalità di funzionamento possono essere interpreta- te anche in relazione alla loro utilità rispetto alle dinamiche inconsce che governano la vita degli individui. In questo senso, nell’ambito della stessa psicoanalisi si sono sviluppati, già negli anni di fondazione e qualche volta in aperta polemica con lo stesso Freud, filoni che hanno approfondito i correlati sociali dei processi psicologici profondi. Si pensi ad esempio alle LeoneMazzaraSarrica.indd 13 15/10/13 15:22 La psicologia sociale. Processi mentali, comunicazione e cultura 14 riflessioni, molto sature anche di riferimenti politici, di autori quali Wilhelm Reich o Herbert Marcuse, che hanno evidenziato il legame tra la repressio- ne sessuale e le caratteristiche del sistema socio-economico e della società di massa, ponendosi l’obiettivo di perseguire attivamente la realizzazione di una società che fosse al tempo stesso più giusta sul versante sociale e meno repressiva sul versante istintuale e affettivo. Oppure si pensi ai filoni della psicoanalisi culturalista e della psicoanalisi interpersonale (con il contributo di autori come Adler, Horney, Sullivan, Fromm, Ferenczi), che valorizza- no gli aspetti relazionali e la dimensione comunicativa nella strutturazione della personalità dell’individuo, sottolineando il legame inscindibile tra le dinamiche inconsce e quelle di tipo culturale che definiscono l’ambiente sociale nel quale l’individuo vive. Oltre a questi sviluppi interni al movimento, l’approccio psicoanalitico alla spiegazione dell’essere umano e della società è diventato un punto di riferimento per le scienze umane, con la creazione di interessanti territori di collaborazione interdisciplinare. Ad esempio il filone detto di cultura e perso- nalità o più in generale di antropologia psicologica (con il lavoro di studiosi co- me Malinowski, Roheim, Margaret Mead, Kardiner, Linton, Benedict e molti altri), che ha esplorato il ruolo della cultura, delle modalità di organizzazione sociale e delle pratiche di allevamento e di socializzazione nella strutturazione della personalità dell’individuo, con la possibilità di riconoscere in ciascun sistema socio-culturale l’esistenza di una «personalità di base» o «personalità modale» coerente con le esigenze funzionali del sistema stesso. Similmente, sul versante più propriamente sociologico, si trova una costante riflessione sulle relazioni tra struttura sociale, cultura e personalità, dalle prime formula- zioni di Sorokin a quelle di Parsons, di Riesman, di Gerth e Wright Mills. Con un riferimento più o meno esplicito e più o meno marcato all’impostazione psicoanalitica, anche nell’ambito della sociologia si è riflettuto sul modo in cui in ciascuna società si realizza un’articolazione stretta e indispensabile tra il livello delle strutture e delle istituzioni socio-economico-politiche e il livello della personalità e del «carattere» di coloro che in quelle strutture agiscono, il quale si forma come risultato dell’interazione tra le necessità del sistema e le specificità di funzionamento della vita psichica profonda. Il comportamento come reazione a stimoli Negli stessi anni in cui Freud andava costruendo in Europa le fonda- menta di quello che sarebbe diventato l’edificio della psicoanalisi, negli Sta- ti Uniti prendeva forma il comportamentismo, che diventerà una delle cor- renti più importanti della psicologia per tutta la prima metà del Novecento, LeoneMazzaraSarrica.indd 14 15/10/13 15:22 I. Natura e obiettivi della psicologia sociale 15 con una capacità di influenza anche in questo caso molto al di là dei confini della psicologia. Tale corrente ha derivato la sua forza dal fatto di fondere spunti e sensibilità provenienti da diversi filoni di pensiero e di ricerca che andavano maturando tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento: il successo degli orientamenti teorici e delle pratiche di ricerca empirica di derivazione positivista, specie per quanto riguarda il ruolo cruciale della sperimentazione; le scoperte dell’evoluzionismo, che rendevano plausibile una comprensione del comportamento degli esseri umani a partire dallo studio di quello degli animali; le acquisizioni della nascente psicofisiolo- gia, con particolare riferimento ai risultati della riflessologia russa di Ivan Sechenov e di Ivan Pavlov; l’attenzione del funzionalismo per le modalità con le quali si realizza concretamente il valore adattivo del comportamen- to degli organismi; l’interesse del pragmatismo per il ruolo dell’esperienza nella strutturazione della conoscenza. Tutto ciò, unitamente al peculiare carattere della società statunitense nei primi anni del Novecento, determinò un clima socio-culturale particolarmente favorevole all’accoglimento della teoria comportamentista, che diventò in breve tempo largamente diffusa nel campo della psicologia accademica, guadagnandosi anche il favore dei media e del grande pubblico, pur trattandosi, in realtà, di una teoria che di fatto rinunciava programmaticamente a studiare i fenomeni psichici. Secondo questa teoria, la psicologia doveva qualificarsi a pieno titolo come una scienza naturale, abbandonando il riferimento a costrutti di tipo mentalistico (quali stati di coscienza, credenze, volontà e in generale pro- cessi di pensiero) e riferendosi invece ai soli dati direttamente osservabili ed empiricamente rilevabili, che sono appunto i comportamenti (da cui l’etichetta che la teoria si è data). Come per gli animali, anche per gli esseri umani il comportamento può essere spiegato come reazione agli stimoli che provengono dall’ambiente (dal che deriva l’altra espressione con cui spesso ci si riferisce a questa teoria: psicologia S-R, vale a dire Stimolo-Ri- sposta). Gli stimoli possono essere distinti fra quelli antecedenti all’azione, che definiscono l’oggetto rispetto al quale l’organismo è chiamato ad agire, elicitando diverse possibili risposte, spesso a base prevalentemente fisiolo- gica, e quelli conseguenti all’azione, vale a dire le reazioni che l’individuo ottiene dall’ambiente in risposta alla sua azione, le quali vengono definite rinforzi. A seconda del valore positivo o negativo di tali rinforzi (in termini di vantaggi o svantaggi, premi o punizioni, successi o insuccessi) aumenta o diminuisce la probabilità di ripetizione di uno specifico comportamento, e si realizza in pratica, attraverso un graduale percorso di prove ed errori, l’apprendimento dei comportamenti più vantaggiosi per l’organismo. LeoneMazzaraSarrica.indd 15 15/10/13 15:22 La psicologia sociale. Processi mentali, comunicazione e cultura 16 Anche il comportamentismo, come la psicoanalisi, ha conosciuto nella sua lunga storia una varietà di punti di vista e di approcci, dal «manifesto» fondativo di Watson (1913), agli sviluppi sistematici di Skinner, alle molte- plici revisioni critiche nell’ambito del cosiddetto «neocomportamentismo», fino alla dissoluzione, in modo molto complesso, nella nascente prospettiva cognitiva intorno alla fine degli anni ’50 del Novecento. Il nocciolo del dibattito (e dunque anche della differenziazione tra le diverse anime del movimento) riguarda la maggiore o minore radicalità con la quale si sostie- ne l’idea di una connessione diretta, immediata e meccanica tra Stimolo e Risposta, tale da escludere ogni riferimento a dinamiche di tipo mentale. Sul versante più radicale si collocano quanti ritengono tale riferimento non solo inutile per la comprensione del comportamento, ma decisamente fuorvian- te, dal momento che i costrutti mentali non sono correttamente definibili né indagabili con metodi scientifici; la mente, secondo la celebre definizione di Skinner, resta per noi una «scatola nera», dentro la quale non possiamo guardare, ma la cui conoscenza di fatto non ci interessa, visto che possiamo arrivare a comprendere, prevedere e controllare il comportamento sempli- cemente osservandone le sue manifestazioni esterne. Rispetto a tale posizione sono state avanzate, all’interno dello stesso campo comportamentista (ad esempio da parte di autori quali Hull o Tolman), importanti proposte di revisione del modello in alcuni dei suoi assunti fondativi. Innanzitutto l’idea che il comportamento debba essere studiato non al livello «molecolare», vale a dire con riferimento ai singoli atti elementari nei quali può essere scomposto un comportamento com- plesso, bensì al livello «molare», vale a dire con riferimento a insiemi in- tegrati di comportamenti, che sviluppano il loro rapporto di efficacia con l’ambiente proprio in relazione alla loro organizzazione complessa. Ma soprattutto l’idea che tra Stimolo e Risposta possano frapporsi, con fun- zione di mediazione, delle «variabili intervenienti» relative all’organismo che agisce (abitudini, preferenze, intenzioni), sicché il modello teorico si trasforma da S-R a S-O-R, dove O rappresenta appunto l’organismo con la sua più o meno ampia potenzialità di variegare il rapporto tra Stimolo e Risposta. Il riconoscimento da parte di Tolman che il rapporto tra Sti- molo e Risposta possa essere mediato, tra l’altro, da quelle che definisce «mappe cognitive», aprirà di fatto la strada ai successivi sviluppi della teoria cognitiva. LeoneMazzaraSarrica.indd 16 15/10/13 15:22 I. Natura e obiettivi della psicologia sociale 17 La prospettiva cognitiva A partire dalla metà degli anni ’50 del Novecento prende corpo quello che è diventato negli ultimi decenni l’orientamento prevalente della psico- logia, vale a dire l’approccio cognitivo. Il punto di partenza è l’idea che il comportamento dell’individuo possa essere efficacemente interpretato solo partendo dalla comprensione dei processi di funzionamento della mente umana. Utilizzando spesso una metafora di tipo computazionale, che richia- ma una stretta analogia tra la mente umana e gli elaboratori elettronici, gli stimoli provenienti dal mondo esterno vengono concettualizzati in termini di «informazioni», che la mente elabora secondo regole precise, finalizzate a rendere quanto più efficace possibile il rendimento del sistema cognitivo. Il problema fondamentale, per la comprensione del comportamento uma- no, è dunque quello della conoscenza del mondo: ci si rapporta infatti agli elementi del mondo esterno (oggetti materiali, persone, gruppi ma anche fatti, eventi o idee) non solo e non tanto in relazione alle loro caratteristiche oggettive, quanto piuttosto in relazione al modo in cui tali caratteristiche sono percepite, memorizzate, messe in rapporto tra loro e rielaborate in una «rappresentazione» del mondo, la quale costituisce di fatto il reale ambien- te nel quale la nostra azione si svolge. L’enfasi sul problema della conoscenza e dello scarto possibile (e di fatto inevitabile) tra le caratteristiche oggettive del mondo e la sua rappresenta- zione mentale costituisce in effetti il dato più qualificante dell’approccio psicologico, con la pur rilevante eccezione degli orientamenti comporta- mentisti radicali di cui si è appena detto. L’aspetto caratterizzante dell’ap- proccio cognitivo, a questo riguardo, consiste nell’aver concentrato l’at- tenzione sulle specificità operative dei processi mentali, le quali sarebbero fondate in ultima analisi sulla necessità di realizzare il massimo risultato con il minimo sforzo, economizzando il più possibile le risorse cognitive disponibili, che, pur essendo in assoluto tutt’altro che trascurabili, risultano tuttavia insufficienti rispetto alla quantità di informazioni in arrivo. Questo tipo di impostazione ha dato luogo, negli ultimi decenni, a uno sviluppo notevolissimo di modelli teorici e di ricerche empiriche, di tipo prevalentemente sperimentale, che nel complesso definiscono l’approccio cognitivo come uno dei settori più vitali e autorevoli della psicologia, con importanti ricadute anche nel campo delle scienze umane complessivamen- te intese. Sono state analizzate così le diverse fasi del percorso di trattamento delle informazioni: la percezione, con particolare riferimento ai processi di selezione, organizzazione, categorizzazione e schematizzazione; la memo- ria, a breve e a lungo termine; i processi decisionali e la soluzione di proble- LeoneMazzaraSarrica.indd 17 15/10/13 15:22 La psicologia sociale. Processi mentali, comunicazione e cultura 18 mi, ponendo attenzione costante all’interazione tra livelli di elaborazione più consapevoli ed espliciti e livelli invece più inconsapevoli e automatici. Di tali processi sono state illustrate in dettaglio le modalità operative, ma anche i limiti e gli errori sistematici, dovuti appunto allo scarto tra le risorse di cui il sistema dispone e il compito cui deve far fronte. In effetti, si può ben dire che una parte consistente dei risultati dell’approccio cognitivo ha riguardato proprio gli errori o distorsioni sistematiche (detti bias) nei quali i processi cognitivi abitualmente incorrono. Sul versante specifico della psicologia sociale l’approccio cognitivo si è tradotto nel vasto settore della cognizione sociale, che si occupa in particolare delle modalità con le quali si realizza la conoscenza degli altri e del mondo sociale in genere. Hanno assunto così importanza notevole alcune tematiche che, rielaborando alla luce di questo approccio una serie di spunti classici della disciplina, costituiscono una parte significativa della psicologia socia- le attuale, la quale risulta nel complesso fortemente caratterizzata in senso cognitivo. Fra tali temi ricordiamo: la percezione di persone, con particolare enfasi sui processi di integrazione dei diversi elementi di conoscenza in un tutto organizzato e sui processi di inferenza, che ci consentono di avere un’i- dea degli elementi di cui non abbiamo conoscenza a partire da quelli di cui abbiamo esperienza diretta; gli stereotipi, intesi come insiemi strutturati e tendenzialmente stabili di aspettative e credenze nei confronti delle persone in funzione del gruppo sociale al quale appartengono; le attribuzioni causali, che ci orientano nel giudicare gli eventi (e dunque anche le azioni degli altri) come dovuti a cause interne, relative alle caratteristiche e alle scelte delle persone che agiscono, oppure a cause esterne, relative alle condizioni nelle quali l’azione si svolge; gli schemi, intesi come forme predefinite di struttu- razione della conoscenza, che ci guidano nella raccolta e nell’elaborazione delle informazioni, con precise aspettative circa le relazioni spaziali, tempo- rali e funzionali tra i diversi elementi di conoscenza che stiamo acquisendo; le euristiche di giudizio, che si configurano come scorciatoie di pensiero che ci consentono di arrivare alla soluzione di problemi (e dunque a decisioni di azione) in modo rapido e soddisfacente pur in assenza di dati e di risorse sufficienti per un’elaborazione completa (Arcuri, Castelli 2000). Un bilancio della prospettiva cognitiva Il giudizio che si può dare sulla validità del modello cognitivista e sui suoi rapporti da un lato con il compor- tamentismo e dall’altro con gli orientamenti interazionisti, costruzionisti e culturalisti (di cui parleremo tra breve) costituisce uno dei nodi teori- ci più importanti e delicati del dibattito attuale sulla natura e sui compiti LeoneMazzaraSarrica.indd 18 15/10/13 15:22 I. Natura e obiettivi della psicologia sociale 19 della psicologia sociale. Non c’è dubbio, infatti, che l’insieme dei risultati di ricerca e dei modelli teorici sviluppati secondo questo approccio abbia rappresentato un decisivo incremento delle potenzialità di comprensione del comportamento umano che la psicologia sociale è in grado di mettere in campo. Nello stesso tempo sono stati messi in evidenza diversi limiti di quest’ottica, per i quali la stessa, pur potendosi ritenere importante e signi- ficativa, non può tuttavia svolgere quel ruolo pressoché egemonico che ad essa è stato spesso riconosciuto negli ultimi anni. Un primo aspetto problematico riguarda il rapporto ancora molto mec- canico e deterministico tra gli elementi del mondo esterno e le azioni dell’in- dividuo. Tale determinismo ha costituito, come si è visto, uno dei limiti più evidenti del comportamentismo, specie nelle sue versioni più radicali: dato un certo stimolo o un certo rinforzo non può che seguire una certa risposta. Rispetto a questo schema, l’ottica cognitiva amplia a dismisura quel ruolo di mediazione che già gli ultimi comportamentisti assegnavano ai processi mentali individuali; ma non ne altera nella sostanza la natura: dato un certo stimolo (concettualizzato in termini di informazione) e date le caratteristi- che del sistema cognitivo (considerate fisse e connaturate al sistema stesso), non può che seguire una certa elaborazione e dunque una certa risposta comportamentale. Un secondo aspetto problematico riguarda la decisa prevalenza, nei mo- delli cognitivi, degli aspetti di stabilità e conservazione rispetto a quelli di novità e di cambiamento. Dal momento che i processi cognitivi sono mossi principalmente dall’esigenza di risparmio di risorse cognitive, ne consegue che le informazioni in arrivo tenderanno ad essere armonizzate con quelle già possedute, e che le diverse modalità di organizzazione della conoscenza (categorizzazioni, schemi, stereotipi, attribuzioni, ecc.) tenderanno a sta- bilizzarsi e a riprodursi indefinitamente, a causa di processi di percezione selettiva e di elaborazione parziale e distorta. Ma l’aspetto più problematico, specie dal punto di vista della psicologia sociale, è che si tratta di un approccio decisamente individualistico. Il pro- cesso conoscitivo che si studia, considerandolo giustamente fondamentale ai fini della comprensione del comportamento umano, è concepito come un rapporto diretto e immediato fra due entità: da un lato il soggetto, con le sue caratteristiche date e anche biologicamente fondate, e dall’altro il mondo esterno, considerato nelle sue caratteristiche oggettive. Senonché l’essere umano non si rapporta mai al mondo esterno (per conoscerlo e per poter poi agire in maniera efficace) in modo individuale e diretto, bensì sempre con la mediazione delle relazioni sociali. In questo senso si può LeoneMazzaraSarrica.indd 19 15/10/13 15:22 La psicologia sociale. Processi mentali, comunicazione e cultura 20 ritenere che il modello cognitivo, insieme alle altre grandi teorie che han- no strutturato nel tempo il contributo della psicologia alla comprensione del comportamento umano, vada integrato in un orizzonte più ampio, che metta al centro dell’analisi la caratteristica più tipica dell’essere umano, che è quella di costruire la propria visione del mondo e le proprie strategie di azione sulla base di un incessante scambio con i propri simili, centrato sui processi di assegnazione di significato e sulla continua negoziazione delle possibili interpretazioni degli eventi. La prospettiva gestaltista Come si è visto, nei primi decenni del Novecento si sono andati affer- mando diversi approcci teorici che in modo diverso e complementare hanno rappresentato proposte di attuazione in ambito psicologico dell’ideale co- noscitivo di derivazione positivista. Due aspetti in particolare di tale eredità hanno caratterizzato i primi sviluppi della psicologia, impostando temi dei quali ancora oggi si discute. Il primo è l’idea che si possa avere, tanto della realtà esterna quanto del mondo psicologico interno, una conoscenza diretta e completa, corrispondente alle caratteristiche «oggettive» di queste realtà. Il secondo è che tale conoscenza può avvenire in maniera ottimale solo scom- ponendo le realtà complesse in unità più semplici, tali da poter essere studiate in modo approfondito e con metodi sperimentali, con la convinzione che le caratteristiche delle entità complessive che si studiano (processi mentali, motivazioni, bisogni, comportamenti) derivino da una sommatoria delle ca- ratteristiche e delle modalità di funzionamento dei loro elementi costitutivi. A questa impostazione, che sottolinea una stretta continuità tra la psico- logia e le scienze fisico-naturali, hanno aderito molti degli approcci teorici che abbiamo esaminato. Certamente vi aderiscono l’approccio biologico- evolutivo, il cui legame con le scienze naturali è del tutto evidente, e quello comportamentista, con la sua enfasi sulla conoscenza oggettiva, basata sulle misurazioni empiriche e sulla scomposizione dei comportamenti complessi in risposte elementari. Allo stesso modo la prima ricerca introspettiva, con la quale Wilhelm Wundt diede avvio al progetto di trasformare la psicologia in una scienza sperimentale, si basava sulla scomposizione dei fatti psichici in elementi costitutivi più semplici; ma anche l’approccio cognitivo, per diversi aspetti, può considerarsi nella stessa linea. È pur vero infatti che esso assume come proprio oggetto di studio la rappresentazione che le persone si fanno della realtà esterna, con ciò riconoscendo la problematicità del rapporto tra il mondo com’è e il mondo come noi lo conosciamo; ma in definitiva lo sforzo è sempre quello di comprendere e cercare di risolvere LeoneMazzaraSarrica.indd 20 15/10/13 15:22 I. Natura e obiettivi della psicologia sociale 21 questo scarto attraverso un accurato studio delle modalità di trattamento delle informazioni, e la via maestra per farlo resta pur sempre quella di un’analisi dei processi nelle loro unità costitutive di tipo funzionale. Rispetto a queste posizioni, negli stessi anni (agli inizi del Novecento) in cui si andavano sviluppando lo strutturalismo di derivazione wundtiana e il comportamentismo nelle prime formulazioni di Watson, prese corpo un orientamento che ha avuto notevole importanza per lo sviluppo successivo della psicologia, e in particolare della psicologia sociale, ponendosi come significativa alternativa alle impostazioni di più o meno diretta derivazio- ne positivista. Si tratta del movimento gestaltista, che si è affermato in un primo tempo con gli studi sulla percezione, estendendo poi la sua influen- za a tutti gli ambiti di ricerca e restando in proficua quanto problematica relazione con l’orientamento cognitivista (Kanizsa, Legrenzi 1978). L’idea di fondo (come si vedrà meglio nel capitolo 2) è che la conoscenza, tanto degli oggetti fisici quanto degli eventi psicologici, delle persone o dei fatti sociali, non avviene per sommatoria di elementi, bensì come percezione di un tutto unitario, le cui caratteristiche e proprietà non possono derivarsi dalle caratteristiche dei singoli elementi, bensì dal modo in cui gli stessi so- no organizzati. Nei confronti della conoscenza, di conseguenza, i gestaltisti sostennero una posizione di tipo fenomenologico, molto vicina alle sensibi- lità dell’omonima corrente filosofica con la quale il movimento tenne sem- pre un rapporto molto stretto. Il nostro sforzo di conoscenza non deve (e non può) indirizzarsi a comprendere la vera essenza del mondo, ponendosi l’obiettivo di andare oltre le apparenze; al contrario, deve partire proprio dal modo in cui il mondo ci appare, e dal modo in cui noi ne facciamo esperienza. Da questo punto di vista la posizione gestaltista – e in generale quella fenomenologica – può considerarsi come diretta antecedente di quel- la opzione costruzionista che – come vedremo – tanta parte ha nel dibattito contemporaneo sulla natura della psicologia sociale. Intorno a queste idee si sviluppò a Berlino, nelle prime decadi del Nove- cento, grazie all’impegno di autori quali von Ehrenfels, Wertheimer, Köhler, Koffka, un movimento molto attivo e coeso, che si opponeva decisamente sia alla pretesa comportamentista di escludere la mente dal campo della psicologia, sia all’elementismo strutturalista di derivazione wundtiana, pur condividendo con entrambe le correnti la fiducia nel metodo sperimentale. Verso la metà degli anni ’20, tuttavia, questo gruppo di studiosi fu costretto a lasciare la Germania per motivi di persecuzione razziale e si rifugiò negli Stati Uniti, e questa circostanza si rivelerà di grandissima importanza per LeoneMazzaraSarrica.indd 21 15/10/13 15:22 La psicologia sociale. Processi mentali, comunicazione e cultura 22 gli sviluppi successivi della psicologia sociale. In un saggio nel quale rico- struisce lo sviluppo storico della disciplina fino a quel momento, Cartwright (1979) afferma che se gli fosse stato chiesto di individuare la persona che più di tutte ha contribuito a strutturare la psicologia sociale nella sua forma attuale avrebbe indicato Hitler; e ciò sia perché la guerra fu un potente sti- molo alla formulazione delle domande alle quali la disciplina stava cercando di rispondere, sia perché l’emigrazione forzata negli Stati Uniti di tanti stu- diosi, e in particolare dei gestaltisti, aveva consentito di mettere in contatto tradizioni di ricerca e sensibilità diverse, sviluppando sintesi originali che hanno costituito per molti versi l’impalcatura concettuale e metodologica della disciplina nei suoi anni fondativi. Gli stimoli e l’eredità di Kurt Lewin Di particolare rilievo, al riguardo, è la figura di Kurt Lewin (1890-1947). Anch’egli, come i suoi colleghi dell’Isti- tuto di Psicologia di Berlino, emigrò per sfuggire alle persecuzioni, e dopo il suo trasferimento negli Stati Uniti si dedicò ad applicare le acquisizio- ni fondamentali del gestaltismo alla comprensione dei fatti sociali. Al suo nome è legata l’introduzione in psicologia sociale del costrutto di campo, mutuato dalla fisica, che esprime bene l’idea che qualsiasi fenomeno può essere compreso non sulla base di relazioni causali semplici e lineari, bensì come effetto di una molteplicità di fattori interdipendenti, che si influenza- no reciprocamente in un’ottica di sistema (Lewin 1951). È in questo modo che deve essere concepito anche il rapporto tra l’individuo e l’ambiente, ed è questa la ragione per la quale Lewin può essere considerato come uno dei più importanti fondatori della psicologia sociale, anche se il suo contributo non è spesso adeguatamente riconosciuto (Amerio 1982). Quello che Lewin chiama lo «spazio di vita» è infatti un sistema dinamico in cui sono inscindi- bilmente legati la persona (a sua volta costituita da un insieme interrelato di «regioni») e l’ambiente nel quale la persona vive e di cui la persona stessa si fa una specifica rappresentazione. Di particolare importanza, a tale riguar- do, è quella che Lewin chiama la «zona di frontiera», vale a dire il territorio di confine, in cui i fatti dell’ambiente sono tradotti in eventi dotati di senso e di importanza per la vita psichica dell’individuo, entrando così a far parte del suo spazio vitale (cfr. capitolo 2). Questa concezione fu utilizzata da Lewin in molti ambiti, corrispondenti non solo a tematiche di interesse tipiche della psicologia sociale, ma anche a dimensioni problematiche della vita sociale concreta, dando così un no- tevole impulso allo sviluppo delle possibili applicazioni della disciplina, secondo un principio di stretta relazione tra teoria e pratica che diventerà LeoneMazzaraSarrica.indd 22 15/10/13 15:22 I. Natura e obiettivi della psicologia sociale 23 uno dei tratti distintivi dei filoni di ricerca da lui ispirati. «Non c’è niente di così pratico come una buona teoria», amava dire Lewin, secondo quanto riferisce Marrow nell’appassionata e documentata biografia del suo maestro (Marrow 1969, p. 2 trad. it. 1977). Dietro questa affermazione c’era la con- vinzione che nessun intervento possa raggiungere realmente i suoi obiettivi se non si dispone di un’efficace teoria sulla genesi del fenomeno che si sta studiando e sulla relazione tra le variabili che vi sono implicate; ma anche la convinzione che l’elaborazione delle teorie necessiti del continuo banco di prova della verifica empirica sul terreno reale. Ciò ha portato allo svilup- po di quella che è stata definita ricerca-azione o ricerca-intervento, che è andata acquistando nel tempo una crescente importanza diffondendosi in diversi contesti (Colucci et al. 2008). Fra gli ambiti di applicazione ispirati dalle idee di Lewin e dei suoi collaboratori si possono ricordare la dinamica di gruppo (cfr. capitolo 6), il conflitto sociale e la cooperazione, l’influenza sociale, il potere e la leadership, i livelli di aspirazione, le scelte di consumo, il pregiudizio e la condizione delle minoranze, la questione ebraica. Il suo lavoro fu interrotto dalla morte precoce, nel 1947, ma la sua influenza si può riconoscere in una lunga lista di allievi più o meno diretti, che negli anni successivi hanno strutturato la psicologia sociale nelle forme che oggi co- nosciamo, come Festinger, Deutsch, Kelley, Heider, Pepitone e molti altri. Il sociale nella mente: gli orientamenti costruzionisti, interazionisti e culturalisti L’idea che per la comprensione dei processi mentali sia necessario far rife- rimento all’integrazione tra l’individuo e l’insieme delle sue relazioni sociali, e che proprio da questa integrazione emerga quella realtà complessa che chia- miamo «mente», è molto antica e costituisce, come si è visto, una delle ragioni più autentiche della psicologia sociale. Già Wundt (1832-1920), unanime- mente riconosciuto come uno dei fondatori della psicologia per aver avviato a Lipsia, negli anni ’60 dell’Ottocento, il primo laboratorio di psicologia spe- rimentale, dopo aver impiegato molti anni nello studio dei processi mentali al livello individuale, ritenne necessario avviare un vasto programma di ricerca, al quale dedicò gli ultimi venti anni della sua vita, volto a indagare la natura sociale e culturalmente fondata dei processi mentali. Tale programma fu da lui denominato Völkerpsychologie, termine che è stato tradotto solitamente con l’espressione «psicologia dei popoli», laddove invece sarebbero risultate LeoneMazzaraSarrica.indd 23 15/10/13 15:22 La psicologia sociale. Processi mentali, comunicazione e cultura 24 più aderenti alle sue intenzioni le espressioni «psicologia culturale», oppure proprio «psicologia sociale». Wundt era convinto, infatti, che si potessero studiare al livello individuale e con tecniche sperimentali solo i processi psi- cologici elementari, a base prevalentemente fisiologica, mentre per i processi mentali superiori occorresse tener conto del contesto storico e culturale nel quale essi si realizzano, dal momento che si manifestano in concreto in quanto strumenti di relazione sociale. Questa idea della natura intrinsecamente sociale dei processi mentali è stata poi sempre presente nel corso della storia della psicologia, affiancan- dosi costantemente, anche se spesso in forma sotterranea e non esplicita, alle interpretazioni più diffuse e note, nelle quali è risultato prevalente un approccio di tipo individualistico. Di seguito faremo rapidamente cenno ad alcuni ambiti teorici, autori e correnti di pensiero nei quali si sono poste con maggiore forza le fondamenta di quella specifica versione della psicologia sociale che in questo volume intendiamo illustrare e di cui i singoli capitoli presenteranno i diversi contenuti. Come si è detto, il quadro teorico di riferimento sarà costituito dall’intreccio fra la comunicazione, quale luo- go di elaborazione dello sguardo condiviso sul mondo, e la cultura, quale risultato organizzato, ma incessantemente ristrutturato, dei processi di co- struzione collettiva della conoscenza. Il mondo come costruzione condivisa e negoziata Come si è visto, una delle caratteristiche qualificanti del contributo che la psicologia può dare alla comprensione del comportamento umano è l’at- tenzione per come si realizza la conoscenza e la sottolineatura delle possi- bili differenze tra le caratteristiche oggettive del mondo e il modo in cui esso viene percepito e rappresentato dagli esseri umani. Le diverse teorie si distinguono tuttavia tra loro nella valutazione dell’entità di tale scarto, e in definitiva nella valutazione della stessa possibilità di pervenire a una conoscenza piena e oggettiva del mondo, nella sua «verità». Si tratta di un problema molto antico, che ha attraversato l’intera storia del pensiero umano, trovando espressione in filosofia nel grande tema del confronto fra realismo e antirealismo. A partire dalle prime formulazioni dei sofisti circa la natura convenzionale e socialmente costruita di ogni forma di conoscen- za, il pensiero filosofico ha visto alternarsi posizioni di maggiore o minore fiducia nella possibilità di ottenere una conoscenza accurata del mondo, e conseguentemente di minore o maggiore accentuazione del ruolo di «co- struzione» che la mente umana svolge in tale processo. Su questo tema si è articolato anche il dibattito epistemologico che ha LeoneMazzaraSarrica.indd 24 15/10/13 15:22 I. Natura e obiettivi della psicologia sociale 25 accompagnato, nel corso del Novecento, lo sviluppo delle scienze umane, le quali hanno oscillato a lungo (e per certi versi tuttora oscillano) tra l’ideale conoscitivo cui tendono le scienze naturali (raggiungere una conoscenza oggettiva del mondo, fatta di «leggi» universalmente valide, che consen- tano di prevedere e in certa misura controllare lo sviluppo degli eventi) e la consapevolezza che il proprio oggetto di studio, vale a dire il comporta- mento umano, può essere compreso solo in quanto fenomeno storicamente definito, come d’altro canto altrettanto storicamente definito risulta essere lo stesso processo di conoscenza. Nel caso della conoscenza del mondo umano, infatti, il soggetto conoscente non può mai considerarsi del tut- to indipendente dall’oggetto di conoscenza, essendo egli stesso parte del mondo che si propone di conoscere. Ciò significa che i margini di interfe- renza soggettiva sono decisamente più alti e che la conoscenza del mondo umano può essere considerata non come un progressivo avvicinamento a una «verità» del mondo, quanto piuttosto come un incessante processo di organizzazione, interpretazione e assegnazione di significato agli elementi costitutivi della realtà. L’assegnazione di significato come processo sociale A tale consapevo- lezza del carattere costruttivo e storicamente definito della conoscenza, va- riamente diffuso in gran parte della psicologia, occorre tuttavia aggiungere un’altra considerazione cruciale: la convinzione che il processo di assegna- zione di significato non avviene come un’impresa individuale, che si risolve in un rapporto tra il soggetto conoscente e il suo oggetto di conoscenza, bensì sempre come un’impresa collettiva, che l’individuo attua tenendosi in costante contatto con i suoi simili, nella forma dei rapporti interindivi- duali faccia a faccia, delle relazioni all’interno dei gruppi e tra i gruppi, ma anche nella forma più ampia del radicamento nei contesti e nelle dinamiche di tipo culturale. In questo senso, come si diceva all’inizio del capitolo, la dimensione sociale si può considerare non come una delle possibili fonti di condizionamento «esterne» dei processi mentali, oppure come una delle possibili aree di applicazione operativa, bensì come un elemento costitutivo della mente umana, la quale risulta in ultima analisi strutturata proprio in funzione di dinamiche di confronto sociale, a partire dal primo, fondamen- tale momento, che è la conoscenza del mondo. Questo tipo di impostazione, recuperata e approfondita negli ultimi decenni anche come reazione a una crescente caratterizzazione in chiave individualistica dell’orientamento cognitivista, è stata sempre presente nell’ambito della psicologia, ancorché in forme non del tutto esplicite e LeoneMazzaraSarrica.indd 25 15/10/13 15:22 La psicologia sociale. Processi mentali, comunicazione e cultura 26 in ambiti disciplinari di confine con la filosofia (specie di derivazione fe- nomenologica), con la sociologia (specie nella sua versione interazionista) e con l’antropologia (specie nella sua anima «interpretativa»). Un autore chiave, a questo riguardo, è sicuramente George H. Mead (1863-1931), che aveva avuto peraltro occasione di seguire gli insegnamenti di Wundt negli anni in cui nasceva il suo interesse per la dimensione socio-culturale dei processi psicologici, e che elaborò agli inizi del Novecento una serie di importanti riflessioni poi confluite nel cosiddetto «interazionismo simbo- lico», una corrente di pensiero a cavallo tra sociologia e psicologia sociale. Amico personale di Dewey e figura chiave del pragmatismo americano, Mead concettualizzò in maniera esplicita la mente come processo sociale, dal momento che essa è strutturata come incessante scambio di simboli significanti, e dunque come risultato dell’interazione con i propri simili, mediata dal linguaggio, e concretizzata in atti che rappresentano l’essenza della relazione tra l’individuo e l’ambiente. E in effetti è proprio il tema dell’attribuzione di significato che rap- presenta la ragione più solida a sostegno dell’idea di una natura essenzial- mente sociale della mente umana. Nel momento in cui si pone il problema della conoscenza del mondo come punto di partenza imprescindibile per la comprensione del comportamento umano, si constata facilmente che ta- le conoscenza del mondo, per gli esseri umani, è essenzialmente fondata sull’attribuzione di significati agli eventi, il che è un processo inevitabilmen- te sociale, in quanto presuppone sempre un altro con il quale il significato stesso è condiviso e negoziato. In questo senso, il problema della natura essenzialmente sociale della mente umana non è affatto estraneo alla sen- sibilità cognitivista, ma anzi se ne può considerare un aspetto qualificante per diversi motivi. In primo luogo perché l’attività di rappresentazione del mondo si svolge essenzialmente per mezzo di simboli ed è dunque costan- temente intessuta di significazione; in secondo luogo perché il carattere intrinsecamente selettivo e costruttivo dei processi cognitivi non può non risentire dei sistemi di valore e delle convenzioni legate alle appartenenze di gruppo; infine perché, come è stato dimostrato, le capacità cognitive superiori emergono come risultato di un confronto con gli altri e si basa- no sulla nostra capacità di inferire gli stati mentali dell’interlocutore. Per questi motivi, a partire dalle prime intuizioni di Bartlett sulla natura sociale della cognizione, passando per il ricco filone degli studi sul conflitto socio- cognitivo e fino agli orientamenti più recenti che sottolineano la dimensione necessariamente contestuale e situata dei processi cognitivi, si può ben dire LeoneMazzaraSarrica.indd 26 15/10/13 15:22 I. Natura e obiettivi della psicologia sociale 27 che la psicologia, anche nella sua matrice cognitiva, sia stata largamente consapevole della natura sociale della mente. Nella stessa direzione vanno peraltro anche gli sviluppi più recenti di prospettive apparentemente lontane dall’impostazione psico-sociale, quali la neuropsicologia e la psicologia evoluzionista. Nello studio delle modalità con le quali la mente emerge dal cervello umano, anche questi filoni di stu-

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