L'Educazione Difficile PDF
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Alma Mater Studiorum - Università di Bologna
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Questo documento presenta un'analisi della didattica nei contesti socioculturali e assistenziali, focalizzandosi sull'educatore in classe e sugli interventi di affiancamento individualizzato. Vengono descritti diversi casi di studenti con bisogni speciali e le strategie per favorire l'inclusione. L'obiettivo è di fornire un quadro teorico e pratico per gli educatori.
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L’EDUCAZIONE DIFFICILE LA DIDATTICA NEI CONTESTI SOCIOCULTURALI E ASSISTENZIALI CAPITOLO 1: L’EDUCATORE IN CLASSE. GLI INTERVENTI DI AFFIANCAMENTO INDIVIDUALIZZATO 1.1. L’ educatore all’interno della scuola All'interno dell'ambiente scolastico l'educatore può essere chiamato per condurre alcuni l...
L’EDUCAZIONE DIFFICILE LA DIDATTICA NEI CONTESTI SOCIOCULTURALI E ASSISTENZIALI CAPITOLO 1: L’EDUCATORE IN CLASSE. GLI INTERVENTI DI AFFIANCAMENTO INDIVIDUALIZZATO 1.1. L’ educatore all’interno della scuola All'interno dell'ambiente scolastico l'educatore può essere chiamato per condurre alcuni laboratori su temi specifici indirizzati all'intero gruppo classe. Questi progetti durano solo alcune ore durante periodi dell’anno scolastico. L'educatore può affiancare gli insegnanti per più ore la settimana, per tutta la durata dell'anno scolastico, per seguire individualmente bambini che manifestano difficoltà specifiche. L'interlocutore diretto della scuola sono i servizi socio educativi. Casi in cui l’educatore è chiamato ad operare: disturbi dell’apprendimento, disabilità quando l’intervento dell'insegnante di sostegno non risulta sufficiente, minori segnalati ai servizi competenti con esigenze particolari (es.: difficoltà a relazionarsi) 1.2 Promuovere contesti inclusivi L'educatore deve sapersi inserire nell'insieme intrecciato di relazioni tra compagni, insegnanti, personale non docente e la persona che segue. I problemi di relazione ricadono sui problemi di apprendimento e viceversa. Per questo l’educatore deve sempre conoscere bene il contesto in cui l'alunno si trova. CASO DI LORENZO: grave ipoacusia e intrattabile. Seconda elementare e non seguiva le regole di disciplina. Con l'insegnante c’era un bel rapporto e lo privilegia anche se non rispettava nemmeno lei. L'Insegnante chiede comprensione e gli alunni hanno imparato a dissimulare. Alla fine Lorenzo è stato escluso e non aveva amici. L'educatore deve ampliare lo sguardo per operare nella direzione del cambiamento del sistema-classe e delle relazioni che lo caratterizzano. CASO DI SILVIO: iperattivo. Rapporto con le maestre difficile e i compagni ne approfittano per prendersi dell'autonomia e creare confusione. Gruppo privo di contenimento. L'intervento educativo ha chiamato in causa tutti dunque e di dare supporto alle maestre. 1.3 Condividere il mandato formativo Si agisce sempre sul gruppo e l’intervento deve tenere in considerazione le richieste e i bisogni delle insegnanti e alunni. C’è un aumento dei bambini certificati ma spesso i bambini che preoccupano le insegnanti sono anche di più. All’educatore sono richieste funzioni diverse a seconda della situazione: insegnante di sostegno, “guardiano” e “magico riabilitatore". Alcuni insegnanti si aspettano che l’educatore porti via l'alunno a lui affidato per svolgere attività da soli. Qua entra in gioco l’esigenza di creare contesti inclusivi. 1.4 Stabilire alleanze educative Accogliere la domanda di supporto e valorizzarla per quella che è e partendo di quella, stabilendo delle regole per convivere. L’educatore accetta di scendere a compromessi rispetto alle richieste degli insegnanti (uscire dalla classe con il minore) ma lo fa portando uno sguardo altro, condividendo con gli insegnanti strategie di intervento, aiutando a introdurre nuove strade comunicative. Questo approccio può scatenare resistenze sia da parte dei bambini che degli insegnanti. Cercare di muoversi secondo una logica collaborativa sforzandosi di riconfermare costantemente l'alleanza educativa stabilita con gli insegnanti; comporta per l'educatore tenere in considerazione la possibilità che si verifichino dinamiche più o meno esplicitamente oppositive ed essere comunque disposto a ridefinire costantemente il proprio lavoro a ricontattare continuamente le proprie funzioni e azioni nell'interazione con gli attori. 1.5 Co-costruire il senso dell’intervento Partire dalla richiesta di aiuto degli insegnanti è fondamentale perché offre le chiavi per iniziare a entrare a contatto con la situazione. CASO LEO: bambino aggressivo e violento, dunque è stato chiamato un educatore ma la classe sembrava composta da un alto numero di bambini problematici (aggressività, iperattività…). Quindi si è lavorato per fare un quadro delle difficoltà di ognuno, tentando di trovare il modo di lavorare sull'intera classe. Per co-costruire bisogna essere convincenti e avere i dati di quello che si osserva. Creare un'alleanza con le maestre per affrontare il nuovo focus. 1.6 Storia in classe In prima battuta l'educatore deve trovare il proprio posto in classe, cercando di inserirsi nel gruppo anche da un punto di vista fisico. Per esempio: seduto accanto alla cattedra o in fondo all’aula oppure accanto ai bambini o ancora fuori dall'aula con il minore. PAGINA DI DIARIO PROFESSIONALE: educatore seduto tra i banchi insieme ai bambini. Osserva e ascolta, pone l’attenzione su Emilio. Emilio si distrae e perde tempo, con l'insegnante decidono di ignorare il comportamento per non rinforzarlo e così fanno. Se questo non funziona l’educatore deve intervenire e togliere l’oggetto di distrazione, Emilio rimane male e l’educatore risponde che sarebbe rimasto lì finché non avesse iniziato a fare il compito. I bambini mostrano i compiti all’educatore e lui mostra supporto. Passa anche vicino ad Emilio e gli dà attenzione senza dare suggerimenti e fa un po' Emilio e un po’ compagni. Interagisce con tutti ma un po’ di più su Emilio. DIARIO PROFESSIONALE: Paolo taglia la cartella di Veronica e dopo mostra che ha tagliato anche il suo. Paolo non risponde quando gli viene chiesto il perché di quel gesto ma la settimana prima Veronica era stata a casa perché ammalata e Paolo era per questi molto triste, parentesi è sentito abbandonato e infatti sembra voler dire qualcosa. Paolo era arrabbiato con lei ma anche con sé stesso perché non aveva trovato altro modo per esprimersi e perché aveva fatto un brutto gesto. L'educatore esce dall’aula con Paolo e Veronica e ne parlano e si esprimono e anche spiegato l'errore del gesto e "insegnando" un'alternativa, parlare. 1.7 Nodi critici - Piano della reazione tra scuola e sistemi socio-educativi: essere percepito come una figura intrusiva. In realtà è una funzione di raccordo, non pericolo. - Rischio di rimanere invischiato nei giochi relazionali del sistema scuola o rapporto tra scuola e servizi territoriali - Costruzione di un setting educativo che non è definito da coordinato spazio-temporali - Rapporti con le famiglie CAPITOLO 2: L’EDUCATORE IN STRADA. L’INTERVENTO CON I GRUPPI INFORMALI DI ADOLESCENZA 2.1 Uno scenario complesso Solitamente si ha un mandato preventivo-promozionale e ci si rivolge a gruppi informali di adolescenti. L'educativa di strada è un servizio che si propone di migliorare la qualità dell'aggregazione spontanea dei gruppi di adolescenti presenti in un determinato territorio. Rilevandone bisogni, interessi e richieste e allestendo percorsi finalizzati a promuovere lo sviluppo delle abilità sociali dei ragazzi. Lo SCOPO è quello di offrire una rete di supporto agli adolescenti, offrendo opportunità di ascolto ed eventuale accompagnamento a servizi del territorio. La coppia di educatori si trova a collaborare con un'ampia rete di servizi. 2.2 la prevenzione come sostegno alla crescita 2.2.1 adolescenza in strada La strada è vista in un duplice modo: come luogo in cui fare esperienze e come luogo della perdizione. Si ha una duplice lettura anche del rischio: come rischio positivo in quanto ingrediente dell'esplorazione, della ricerca e dell'avventura; come rischio negativo in quanto pericolo. 2.2.2 Educativa di strada e prevenzione Ha avuto un notevole successo. 2.2.3 Dal “venire prima" al “venire incontro" Con il termine “venire prima” si faceva riferimento a un “mostro” da combattere, ora questa prospettiva è stata superata. Ad oggi si predice maggiormente la possibilità di azioni di prevenzione in senso educativo, come avvicinamento ai soggetti nelle loro interazione abituali per offrire accompagnamento e sostegno. L'educativa di strada si configura come una pratica formativa di prossimità con gruppi giovanili spontanei, come intervento che consiste essenzialmente nello stare accanto ai ragazzi e alle ragazze che trascorrono sulle strade una parte del loro tempo libero per offrire ascolto e guida per comprendere le loro esigenze così da poterle orientare. è in gioco una strategia di base connotata dalla disponibilità ad andare verso gli adolescenti nei luoghi che essi hanno eletto come spazi per intrecciare la trama di relazioni nel gruppo di pari e dal saper cogliere l'occasione per provare a rispondere alle domande formative più ricorrenti più spesso implicite. L'educativa di strada si presenta come un'attività a bassa soglia. L'educatore di strada si pone come fattore di tutela e anche come elemento di promozione di crescita per i singoli e per il gruppo. è un intervento di mediazione. L’educativa di strada pone l'attenzione sulle relazioni all'interno del gruppo, all'ambiente esterno, interazioni tra gruppo e territorio, i servizi e le opportunità. Ad oggi fare prevenzione significa puntare sul rafforzamento della capacità di fronteggiare e gestire gli elementi di rischio, sviluppo di consapevolezza e criticità, rafforzare l’autostima e il senso di autoefficacia, migliorare le capacità comunicative e relazionali per imparare a chiedere aiuto. 2.3 I gruppi di adolescenti nello spazio/tempo dell'aggregazione informale La difficoltà dell'educazione di strada è quella della mancanza di un setting come ambiente intenzionalmente strutturato a fini educativi, è assente una domanda educativa esplicita, è difficile identificare un oggetto specifico sul quale sperimentare la relazione e la condivisione di un'esperienza di apprendimento. L'educatore deve essere in grado di muoversi nella “topografia” che connota l'aggregazione informale degli adolescenti. Per esempio: porte dell’oratorio, porte della biblioteca, entrata del centro di aggregazione, davanti al centro sportivo. Oppure gli adolescenti si possono trovare nei cosiddetti luoghi interstizi, ossia luoghi di passaggio che vengono trasformati, occupati a volte anche marchiati con segni e scritte. Es.: marciapiede, panchine, grandini scalinata, angoli di una piazza, fermata dell’autobus. Infine ci sono le tane, ovvero luoghi marginali, nascosti, abbandonati, spesso costituiti da strutture dismesse. In definitiva lo spazio di aggregazione informale tende ad essere un palcoscenico per i comportamenti degli adolescenti e dunque un ottimo strumento per gli educatori, non sono sempre facili né da trovare né da tracciare, chiuse affettivamente. Un'altra coordinata che rende difficile il lavoro degli educatori di strada è il tempo, in quanto gli spazi di aggregazione informale sono scanditi dall'alternarsi di occasionalità e ricorsività. Se si presta attenzione alla temporalità interna, essa sembra connotata dalla dinamica ricorsività/ attesa: gesti che si ripetono (saluti), rituali (scambiarsi la sigaretta)… 2.4 Le strade come setting Gli educatori inizialmente scrivono una mappatura dei gruppi, della loro modalità di fruizione del territorio, dei loro rituali e delle loro pratiche di socializzazione. Questo ha una funzione conoscitiva per ipotizzare le modalità di intervento. L'educatore parla con gli adulti che incontrano i ragazzi e a volte hanno anche scontri, queste testimonianze non sono mai imparziali ed è importante tenerne conto perché rilevano delle dinamiche. Contemporaneamente, si realizza una mappatura diretta, attraverso un'azione non partecipata, esplorando il territorio alla ricerca di conferme e scarti rispetto al quadro descritto dai testimoni privilegiati. Il terzo momento della mappatura è di carattere relazionale e comprende i primi contatti con i gruppi segnalati e osservati sempre perseguendo ed esplicitando l'intenzione conoscitiva che ne è alla base. La mappatura non è da intendere come un'indagine segreta, anzi è il primo elemento di legittimazione e di presentazione degli educatori ai gruppi. In ogni caso l'entrata deve essere fatta in punta di piedi, consapevoli dell'intrusione che si agisce. L'educatore che riesce immediatamente ad entrare all'interno del gruppo si trova di fronte ad un gruppo che ha assunto alcuni tratti di artificialità, cioè è un gruppo già mutato. Solitamente c’è un leader e il gruppo sceglie con quale “maschera” presentarsi all’educatore, questo fa già capire alcune delle dinamiche interne. Il fatto che degli adulti si avvicinano a delle barriere invisibili create dai gruppi crea stupore in loro. Più il gruppo è coeso, e spesso anche deviante, più è difficile che venga data la possibilità agli educatori di integrarsi. Il modo in cui si esprimono i ragazzi è spesso provocatorio ed è a quel punto che la loro relazione con l’educatore può trasformarsi e l’educatore deve coglierlo, si stabilisce se starà dentro o fuori. L’educatore non accetta passivamente le azioni provocatorie ma offre una disponibilità al dialogo, introduce la parola, restituisce sensazioni e significati, sollecita i ragazzi ad esprimere emozioni e il senso dei loro comportamenti. L'atteggiamento dell’educatore deve essere non giudicante. Dopo i primi incontri avviene un patto tra gli educatori e il gruppo: “Esplicita posso stare con voi se tutto ciò che accade durante il nostro incontro è qualcosa che potrebbe avvenire anche alla presenza di altri sguardi; a queste condizioni vi garantisco una completa libertà di espressione perché quanto ci diciamo rimane nei confini del gruppo”. Si esige una forte flessibilità all’educatore. è importante ritualizzare l’incontro con il gruppo, altrimenti si cerca di perdere tempo girando a vuoto per cercarlo. Per esempio: offrire tè d’inverno, distribuzione volantini con incontri culturali del periodo, frisbee d'estate. Si tratta di tempi brevi e occasionali che assegnano al rapporto tra educatori e gruppo i connotati tipici di una relazione al legame debole. Questa debolezza è la versa rissosa del lavoro in quanto spesso proprio per questi i ragazzi si raccontano e sono in gradi di chiedere aiuto. L'efficacia di un intervento educativo in strada è determinato dalla capacità di stabilire un legame, quindi dal saper comunicare riconoscimento, attenzione, fiducia ma anche dalla natura stessa di quel legame che deve essere caratterizzato dalla mancanza di vincoli stringenti. 2.5 Educare a stare in strada Educare in strada significa educare allo stare in strada in rapporto con la città, con i suoi limiti e le sue opportunità, con le sue regole, con la sua rete di servizi e di agenzie. L'educativa di strada dichiara la sua non autosufficienza facendone un punto di forza cercando collaborazioni per rispondere ai bisogni dei ragazzi e per permettere loro di fare esperienze di protagonismo nella città e nella vita. Infatti vengono stabilite alleanze educative a seconda dei bisogni con diverso servizio ma anche con gli adulti che entrano in contatto con il gruppo. 2.6 I possibili formati di azione Nei confronti del gruppo e delle sue dinamiche interne si può dire che l'educatore si propone come una sorta di “allestitore della ribalta” e di “fabbricante di specchi”. Lascia liberi gli adolescenti di esprimersi per auto-rappresentarsi o rappresentare qualcosa/qualcuno. Facilita dunque l’espressione di sè, anche facilitando l'apprendimento di nuovi linguaggi e modalità espressive (anche a livello di non verbale). Poi si propone con un funzione restitutiva. Questo scaturisce una riflessione narcisistica su “Come mi vedono gli altri?", l’adolesvente a modo di riflettere sulla propria immagine e quella di gruppo. L'educatore agisce anche come connettore, costruttore di reti, facilitatore di relazioni tra gruppi e contesto. 2.7 Nodi critici - "Vedo gente… Faccio cose…” Occorre avere una meta precisa da seguire perché c’è il rischio di “fermarsi” nella relazione una volta conquistata la fiducia. - “Fare… per fare” Questo approccio/errore trasforma dell'e in una sorta di intrattenimento. Si tratta di impegnare gli adolescenti a fare qualcosa per distrarre. - “Scusa ti posso dare un volantino” L'approccio di tipo informativo-trasgressivo che riduce l'attività educativa di strada alla distribuzione di materiale informativo e alla somministrazione di questionari. Tutte queste deviazioni possono essere fronteggiate se l'educatore di strada è in grado di riconoscere alcune radici sulle quali fondare la propria azione professionale: - riflessività - creatività CAPITOLO 3: L’EDUCATORE NEI CENTRI DI AGGREGAZIONE GIOVANILI 3.1 I CAG come luoghi educativi I centri di aggregazione giovanile sono un'offerta formativa extrascolastica nell'area dell'aggregazione e del tempo libero rivolta alla generalità degli adolescenti e preadolescenti. I CAG hanno fatto fatica a percepirsi ed essere riconosciuti come luoghi educativi. Ad oggi gli educatori che operano in questo servizio hanno studiato e hanno l’esperienza necessaria ma in passato non fu così. All’entrata di un GAG si può notare una certa confusione. Vari gruppi di varie dimensioni, qualche coppia, tutti a fare cose diverse. 3.2 I nuovi modi di stare insieme nel tempo libero Viene data molto importanza al rapporto tra pari, alla peer education. Per capire le funzioni educative del CAG richiamiamo la pedagogia interazionale, la quale valorizza la centralità dell’incontro e del processo comunicativo. L’educatore partecipa all’esperienza nei CAG e aiuta i ragazzi ad elaborarla mentre la stanno vivendo. L’educatore deve tenere conto dell’età che i principali utenti hanno. All'interno del CAG vengono messi in atto laboratori di teatro, musica danza, sport. Sono solo proposte, i ragazzi decidono dove indirizzarsi e se prenderne parte. 3.3 L’educatore e i gruppi Il lavoro dell'educatore in un CAG si costruisce a partire dai bisogni degli adolescenti. Solitamente i ragazzi arrivano a gruppetti con delle proposte che non sanno dove concretizzare, poi ci sono anche grupponi che hanno voglia di essere visti. L'educatore che lavora in un centro di aggregazione ha principalmente a che fare con un lavoro promozionale con i gruppi, ha nel suo gruppo il suo ambito privilegiato di investimento e di lavoro. Il CAG of si offre come una seconda sponda di secondo livello, che moltiplica gli effetti di quello “magico laboratorio sociale per il rispecchiamento”, si offre come palestra per gestire i conflitti facendo crescere i gruppi stessi. Gli educatori riconoscono i linguaggi di ogni compagnia e si pongono come facilitatori, restituiscono i gruppi l'immagine che colgono dall'esterno, li interrogano sui significati del loro modo di stare insieme, li coinvolgono nel fare esperienze e li accompagnano nelle dinamiche di convivenza tra i gruppi. La discussione e la negoziazione delle norme di uso e di gestione dello spazio con il ragazzi è un aspetto centrale dei CAG che proprio per questo non possiedono nella maggior parte un regolamento predefinito e scritto. Si possono anche creare nuovi gruppi sulla base di interessi trasversali. Spesso gli educatori si trovano a disgregare gruppi cristallizzati sulle loro dinamiche e la loro comunicazione. 3.4 Laboratori di cittadinanza Si intende aiutare i cittadini nel percorso di ricerca della propria collocazione nella società, all'interno dei CAG i giovani sperimentano proprio questo, ossia cosa possa significare essere soggetti attivi all'interno del proprio contesto di vita. All'interno del CAG vengono anche proposte attività che si proiettano fuori dal centro oppure possono fare entrare altri soggetti, per esempio adulti per un cineforum. Questo serve per far sentire protagonisti i giovani (di mostre, feste, vene, dibattiti…) e far conoscere i nuovi linguaggi alle generazioni più adulte e diminuire le loro ansia. I ragazzi dovrebbero vivere ripetute occasioni per interrogarsi sul proprio rapporto con il territorio, per costruire un senso di cittadinanza che sia orientata alla progressiva esplorazione della propria possibile collocazione nella società. 3.5 Un setting in movimento All'educatore che opera nella realtà di un centro giovanile è richiesta una competenza nell'allestimento dell'ambiente formativo, nella manipolazione delle coordinate spazio-temporali e fisico-materiali che ha a disposizione. Gli spazi dei CAG hanno solitamente spazi molto aperti e accessibili e i tempi non sono strutturati. Sia l’educatore che il ragazzo hanno un ruolo attivo nella loro relazione. 3.6 I significati dello spazio Ci sono comunque dei confini, banalmente è presente una struttura che definisce il “dentro” e il “fuori”. Inoltre ci sono orari e limiti d’età, ma i giovano sono liberi di decidere quando vogliono entrare ed uscire. Il CAG permette ai ragazzi di “nascondersi” dagli oggi dei genitori e frenare il tempo, permette di gestire liberamente il proprio tempo e di uno spazio privi di intenzione, protetto e personalizzabile. All’interno dei CAG ci sono luoghi dove nascondersi dagli occhi dell’educatore e dai compagni ma è allo stesso tempo un “palcoscenico” dove mostrarsi e sentirsi protagonisti. è uno spazio di transito che si frequentano durante l’arco della propria giornata e per un dato periodo della propria vita, si può anche decidere di rimanere sulla soglia della porta per prendersi del tempo per scegliere se entrare oppure no. Gli spazi devo connotare anche la vita interna e non solo un “dentro” e “fuori”. Infatti se, metaforicamente, facessi delle foto la dislocazione dei vari gruppi e delle coppie cambierebbe sempre. Per esempio una coppia in disparte potrebbe star trasmettono il bisogno di privacy e rimanda l'incontro con gli altri al dopo, il “fumatore” che sta sempre sulla soglia potrebbe comunicare timidezza e l’essere solitario, ha bisogno di un invito esplicito da parte dell’educatore. Lo spazio all’interno cambia grazie ad una continua negoziazione dovuta da interessi divergenti, per esempio muri vengono dipinti dai ragazzi insieme agli educatori per rappresentare al meglio l’utenza del periodo, i mobili vengono spostati per le feste, viene ristrutturato il campo da calcetto… 3.7 La dimensione del tempo Può apparire come un tempo vuoto e disordinato in realtà la gestione del tempo è un tratto che caratterizza il lavoro educativo in un CAG. Il tempo del CAG è un tempo presente; racconta il passato, vive il presente e proietta verso il futuro. Un sapiente uso del tempo e nella scelta delle attività da svolgere permette di sollecitare capacità che vedono una potente maturazione del ragazzo e che sono da allenare per favorire quel processo di costruttiva proiezione nel futuro, di progressiva definizione del proprio progetto di vita. L'educatore partecipa all'esperienza dei ragazzi sostenendo la loro fatica e mostrando la propria, accogliendo i momenti di arresto e di regressione cercando di favorire l'elaborazione dei vissuti ma soprattutto valorizzando le risorse dei singoli e dei gruppi. L'educatore infine stimola a rileggere l'esperienza sottolineando i successi e sostenendo lo sviluppo del senso di autoefficacia accogliendo gli errori e aiutando ad analizzare lì imprevisti come tesoro da valorizzare in vista delle future occasioni. L'educatore insegna i ragazzi a vivere il proprio tempo libero traghettando in un tempo impegnato a progettare e costruire le condizioni per il proprio divertimento, a interrogarsi sul senso delle cose che si fanno e a sentire l'effetto che producono su di sé. Il tempo è ad intensità variabile: a volte ci sono attività, a volte viene lasciato del tempo libero da dedicare alla libera socialità. Anche i tempi destrutturati sono occasioni di crescita. Per l'educatore il tempo è uno strumento prezioso di gestione della relazione, deve saper cogliere la curiosità, l'apertura o la chiusura per gestirlo. 3.8 Il lavoro con i corpi ll corpo è centrale nella vita dell’adolescenze, viene mostrato oppure l’adolescente cerca di riappropriarsene. La distanza che l'educatore sa mantenere, quando è necessario e come, gli permette di fare da specchio i singoli e gruppi e anche sottoponendo al dubbio e alla critica i modelli ideali di corpo proposti dalla società. è un'azione che va compiuta con massimo delicatezza perché si corre il rischio di decostruire l'unica certezza che i ragazzi hanno acquisito. L'educatore permette da un lato ai ragazzi di esibire i loro corpi ma cerca di evitare il rischio di neutralizzare il corpo in un eccesso di visibilità. 3.9 Nodi critici - tra produttività esasperata e deriva spontaneistica: troppe attività, oppure ci si concentra troppo sul creare le situazioni “giuste”. - Il difficile equilibrio fra gruppo, gruppi e singoli e il rischio di selezionare l’utenza: concentrarsi solo su un ragazzo, privilegiare solo i gruppi con più idee lasciando andare tutti gli altri, quelli con meno risorse. - l'incontro tra i ragazzi e le compagnie difficili: necessario costruire alleanze educative in questo caso CAPITOLO 4: l’EDUCATORE E I MINORI STRANIERI NON ACCOMPAGNATI 4.1 Oltre l’accoglienza È un fenomeno in forte crescita, provengono solitamente dal Marocco, Egitto, Albania e sono maggiormente maschi di un'età compresa fra i 16 e i 17 anni. Sono considerati MSNA tutti quei minori che non non sono in possesso della cittadinanza italiana o di altri Stati dell'Unione Europea che, non hanno presentato domanda di asilo, si trovano per qualsiasi causa nel territorio dello Stato privi di assistenza e rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per lui legalmente responsabili in base alle leggi vigenti nell'ordinamento italiano. Si distinguono differenti tipologie di MSNA: - i minori richiedenti asilo o per i quali sono previste misure di protezione temporanea per motivi umanitari - i minori giunti in Italia per ricongiungersi ai loro genitori o ad altri parenti senza requisiti per poter avviare le procedure per un ricongiungimento familiare regolare - i minori sfruttati e giunti in Italia attraverso la criminalità organizzata Sono le Regioni e i Comuni a gestire queste situazioni, mentre il ministero dell’Interno gestisce le politiche migratorie. La fase della prima accoglienza (=identificazione e presa in carico) ha un’importanza cruciale. C’è un certa carenza organizzativa, per questo moltissimi MSNA si allontana dalle strutture di accoglienza e questo è grave. L’educatore incontra i MSNA nelle strutture di prima e seconda accoglienza presi in carico dal comune o dai servizi socio assistenziali territoriali. Per avviare una progettazione educativa individualizzata è necessario riferimento al quadro normativo, all'interno del quale l'educatore trova risorse ai limiti nella definizione del proprio mandato. Nella normativa vigente è sottolineata la necessità di tutela del minore, mentre le strategie di presa in carico ai fini educativi non sono chiaramente delineate, se non in termini di sostegno al minore. Le possibilità di intervento dell'educatore professionale nell'attuale cornice normativa sembrano pertanto a largo spettro: esse fanno riferimento alla predisposizione del percorso di inserimento-integrazione nel contesto di vita italiano (es.: corsi di italiano, corsi professionalizzanti). Molti minori non si presentano più all’ufficio minori perché sanno di non avere i requisiti e temono l'espulsione, Dunque rimangono clandestini. Funziona però il pronto intervento dove arrivano i minori portati dalle forze dell'ordine. L’educatore infirma il MSNA riguardo ai servizi a cui può accedere e che possono essergli utile, poi i suoi compiti si intrecciano con la sfera dei bisogni educativi di cui il minore è portatore. 4.2 L’educatore e i bisogni dei MSNA L'educatore si trova di fronte a una situazione poco chiara, e deve fare uno sforzo per mettere a fuoco i bisogni formativi del ragazzo. Al centro ci sono sicuramente la questione dell’identità già presente in tutti gli adolescenti ma in questi casi si genera anche una tensione legata al cambiamento. L'educatore lavora per tanto sull'asse della “risignificazione della propria identità”. È necessario guidare il ragazzo a una diminuzione del disagio dovuto dall'abbandono di certezze che aveva nel suo paese di origine per “buttarsi” nel buio del nuovo paese. Supporto nella gestione della propria vita. Favorire l’integrazione e l’autonomia (lavorativo, casa, inserimento culturale, orientamento dei servizi, scelta e decisione). 4.3 A che cosa formare? L'educatore è chiamato a proporre percorsi di rielaborazione delle esperienze vissute, in modo che il soggetto maturi auto consapevolezza di scelta e prospettiva. Il primo ampio ambito in cui agire è la ricostruzione dell’identità del minore in Italia che si concretizza nella dimensione relazionale. Le pratiche educative devono essere messe in atto in modo critico. Un secondo ambito di possibili oggetti educativi riguarda la prospettiva dell'educazione ai valori socialmente condivisi e alla cittadinanza. Fattori importante nell'educazione i valori sono la conoscenza e la possibilità di comunicazione in una lingua ponte e nella lingua italiana. È compito dell'educatore e la mediazione e la rielaborazione dello scarto tra le aspettative del minore e la realtà italiana, sia dal punto di vista di una ristrutturazione del proprio io-in-Italia sia motivando l'inserimento del MSNA in percorsi di studio. 4.4.1 I possibili luoghi dell’educare Sono diversificati, alcuni maggiorenti strutturati, ad esempio le comunità alloggio, altri mediamente strutturati che prevedono il semplice passaggio del minore qualità CAG, e altri altamente informali quali la strada, il parco, la stazione… La COMUNITA’ ALLOGGIO è l’ambiente in cui i ragazzi possono fare le esperienze di vivere e sperimentare giornalmente la costruzione e condivisione di valori tra gruppi etnici differenti. I vari momenti della giornata hanno una valenza formativa in quanto si strutturano routine e regole che via via farano proprie. L'educatore interviene secondo un doppio registro: da un lato la dimensione strutturata del setting gli permette di avvalersi di un approccio formativo più formale che si traduce nell'assunzione di un ruolo ben preciso e riconosciuto, dall’altro l'educatore gioca il proprio ruolo secondo un registro volutamente informale, cercando di favorire spazi spontanei di dialogo. Un secondo tipo di setting che può rappresentare uno spazio di azione è i CAG, sono seguiti da un educatore di riferimento che prende in mano il progetto specifico. Per quanto riguarda un luogo informale come la strada l'educatore che passeggia individuando angoli o panchine frequentati da MSNA può trasformare l'incontro in un momento educativo informale attraverso il dialogo, la proposta di attività. 4.5 Le strategie di intervento La questione delle modalità dovrebbero delinearsi come esperienze di esperienze, in quanto sempre mirata a sollecitare nel ragazzo qualche forma di rielaborazione di fatti, vissuti, significati. significati. Alcune pratiche che gli educatori possono utilizzare sono quelle: sportello d'ascolto, gruppi di discussione monotematici o interculturali, utilizzare metodologia autobiografiche. 4.5 Nodi critici - Gli educatori devono avere una formazione relativa alla cornice normativo-istituzionale - Rischio di fossilizzarsi solo un un aspetto specifico, di un bisogno es.: avere una casa, un lavoro… - “saper essere” dell’educazione può avere un elemento determinante CAPITOLO 5: L’EDUCATORE E LE SITUAZIONI DI SOSPETTO MALTRATTAMENTO E ABUSO AI DANNI DI MINORI 5.1 Tra supporto educativo, tutela e rilevazione L’educatore lavora attivamente assieme all’assistente sociale, lavorano insieme nelle varie fasi. Il supporto si attiva quando viene segnalato dalle insegnanti preoccupate per un alunno nello specifico, oppure sono situazioni già conosciute dai servizi, altre volte sono i genitori a chiedere aiuto. 5.2 L’avvio dell’intervento come problema La presenza di emozioni difficili da gestire la complessità della situazione di fronte al sospetto di maltrattamento o abuso portano spesso gli educatori a cercare scorciatoie emotivo-progettuali: queste da una parte aiutano a tollerare la complessità semplificando la virgola dall'altra questi interventi possono fallire. 5.2.1 L’educatore come riparatore del bambino Questa posizione rischia di svilupparsi quando emerge in modo particolarmente evidente una sofferenza del bambino connessa alle condotte inadeguate dei genitori. L’educatore offre sostegno, vicinanza e stimoli e tali azioni possono avvenire squalificando il genitore visto come causa della sofferenza del minore. Questo atteggiamento rischia di limitare gli obiettivi dell'intervento, in quanto l'educatore può perdere di vista l’osservazione del rapporto tra genitore e bambino. CASO DI FRANCESCO: 10 anni, centro educazione in un centro educativo a seguito di una segnalazione da parte delle sue insegnanti. I genitori si sono separati e la mamma lo ha "Abbandonato", ne è conseguito un calo del rendimento scolastico, apatia e tristezza. Dopo i primi mesi al centro si evince che il dolore è profondo, sintomi dell’abbandono. Vengono investite molte energie nel sostegno del bambino e poco con i genitori che si dimostrano molto arrabbiati e risentiti per la situazione. Il malessere del bambino aumenta e i nonni comunicano che l’anno seguente Francesco non frequenta più il centro e sarà seguito da un'insegnante privata. 5.2.2 L’educatore come sponsor del genitore Questa posizione può attivarsi soprattutto nei casi in cui ai genitore stesso a chiedere aiuto, mettendosi in una posizione di persona bisogno. L'educatore tende a identificarsi con i genitori a investire nella relazione di sostegno; spesso attiva iniziative di promozione e supporto alla genitorialità. L'educatore dunque si pone lontano da ogni logica di tutela del minore, dedicandosi in modo particolare ai genitori abusanti e maltrattanti. Man mano che la situazione va a definirsi l’educatore può sentirsi tradito dai genitori e può arrivare ad escluderli e a sostenere l’inefficacia dell’intervento. Oppure possono essere i genitori a sentirsi traditi ed escludono l’educatore dalle dinamiche familiari. CASO DI MARCO E LUCA: inseriti in un centro educativo diurno perchè la mamma si rivolge all’assistente sociale perché ha bisogno di aiuto, in quanto i bambini sono particolarmente agitati e ingestibili. La mamma si dimostra disponibile, frequenta ogni appuntamento fissato e mostra con fierezza i progressi. Con il passare del tempo, però, il disagio dei bambini emerge sempre di più. All’inizio gli educatori pensano che i bambini siano semplicemente molto vivaci e abbiano bisogno di impatare una ferrea discilìpiba. dopo un paio di anni, però, apprenderanno che i bambini sono stati allontanati dal servizio sociale a seguito della segnalazione della maestra: i bambini ricevevano severe punizioni corporali dal padre e la madre era d’accordo. 5.2.3 L’educatore come investigatore in incognito È una posizione facile da assumere nella situazione in cui esiste già un rapporto controverso tra servizio sociale e famiglia. Qualora l'educatore si cali nel ruolo potrà sviluppare pregiudizi che rischiano di indurre controproducenti atteggiamenti di distanziamento e rifiuto. In questi casi sia la famiglia che il bambino possono percepire l'educatore come emotivamente lontano. CASO DI GIORGIO: La sua situazione fa pensare che ci siano i presupposti per una segnalazione al tribunale per i minorenni. Viene chiesto però all'educatore assegnato a Giorgio di indagare maggiormente. Si mobilità per avere tutte le informazioni possibile sul caso ma sia la famiglia che Giorgio si distaccano da lui. Giorgio accusa l’educatrice dicendo “Da quando ci sei mia mamma è sempre più stressata e se la prende con me. Hai peggiorato la situazione”. L'educatrice si rende conto di essere lei stessa la causa del disagio che stavo osservando. Quando arriverà il momento di segnalare al tribunale la situazione, l'educatrice si rifiuterà di firmare la relazione congiunta con l'assistente sociale, chiedendo di essere trasferita di servizio. 5.3. Mettere a fuoco il contesto Potremmo definire il contesto come “Campo nel quale si realizza, prende forma e significato un comportamento umano” oppure “Come l'insieme delle regole in cui una persona si trova immersa”. Il contesto si caratterizza per una dimensione oggettiva, ovvero condivisa da tutti i partecipanti e caratterizzata da aspetti quali il luogo, la situazione relazionale e la storia e una dimensione soggettiva. Rifacendosi alla dimensione soggettiva, si può sottolineare che un determinato contesto dovrebbe definire una certa distribuzione dei ruoli e sollecitare, tra coloro che comunicano, finalità, propositi aspettative conformi alla situazione contestuale. Il concetto di metacontesto: che significa conoscere e far conoscere esplicitamente intorno al contesto: si tratta di conoscere in quale tipo di contesto hanno origine i significati e le transazioni in atto tra i partecipanti. Un educatore, secondo questo imposizione, deve interrogarsi sul contesto all'interno del quale si trova ad agire e chiedersi se esista una condivisione con gli altri attori in gioco delle caratteristiche del contesto stesso. Si lavora con minori in situazioni di disagio si possono identificare due possibili contesti di lavoro che gli operatori dei servizi hanno imparato a conoscere e a differenziare: 1) Il contesto di aiuto/sostegno: valgono queste regole quando le famiglie hanno bisogno di sostegno dal punto di vista sociale, educativo e psicologico ma non sussiste pregiudizio ai danni del minore. sono situazioni di inadeguatezza genitoriale. Questo genere di interventi può comportare una notevole fatica da parte dell'educatore. 2) il contesto di tutela: in questo caso esiste una situazione di pregiudizio per il minore: Gli operatori in questi casi sperimentano spesso sentimento di impotenza, rabbia, paura. Nei casi di presunto abuso è maltrattamento è Arduo conoscere esattamente in che cornice ci si muova: non si sa in anticipo se ci si trovi di fronte a una situazione di pregiudizio o di inadeguatezza genitoriale. L'educatore come sponsor dei genitori si comporta come se si trovasse in un chiaro con testo di sostegno, pur non avendo elementi sufficienti a confermarlo. L'educatore investigatore si sposta in modo confuso da un contesto all'altro. Modalità di intervento che: - sia coerente con le preoccupazioni degli operatori e dei segnalanti - non si limiti a perseguire obiettivi di comprensione ma si ponga anche obiettivi di trasformazione - perfetta evoluzioni coerenti sia in interventi di tutela che gli interventi di sostegno della genitorialità 5.4 Definire finalità e strategie di partenza Il primo passo da fare è focalizzare un obiettivo di base: collaborare con altri operatori della rete per comprendere se ci si trovi di fronte a un caso di inadeguatezza genitoriale o di pregiudizio. Mettiamo a fuoco i principali passaggi sembrano importanti: 5.4.1 Presentare l’intervento ai genitori Passaggi da seguire insieme ai genitori: 1) Devono essere esplicitate le preoccupazioni da parte del servizio sociale nei confronti del minore facendo riferimento ai segnali all'osservazione dirette degli operatori del servizio 2) Devono essere comunicate ai genitori le finalità che si sta perseguendo e quella di comprendere 3) Si deve riconoscere i genitori il loro ruolo, coinvolgendoli nella ricerca di una risposta al quesito: “ Come possiamo comprendere insieme a voi Come far star meglio vostro figlio?” 4) Non si devono proporre immediatamente connessioni tra il disagio del figlio e le condotte dei genitori 5) Non si devono accettare direttamente le spiegazioni proposte dai genitori per motivare il disagio del bambino, ma si deve far prevalere un atteggiamento che esprima che “ dobbiamo prenderci del tempo per capire“ Il contesto deve essere trasparente e i genitori devono essere considerati parte integrante del progetto. In questa prima fase può essere utile accogliere eventuali condizioni proposte dai genitori. 5.4.2 Presentare l’intervento al bambino è molto utile chiarire in quali rapporti sono i genitori e i servizi. Il lavoro di chiarificazione ricerca di trasparenza può aiutare il minore a decodificare la complessa situazione in cui si troverà coinvolto. 5.5 Il lavoro con il bambino Il lavoro con il bambino deve essere pensato e progettato su due livelli: 1) scenario educativo 2) processo di rilevazione 5.5.1 Lo scenario educativo È opportuno realizzare iniziative educative coerenti e concrete rivolte al bambino. è importante supportare il bambino, che può ricevere una prima forma di aiuto e stimoli adeguati alla propria crescita, e di offrire ai genitori la possibilità di tranquillizzarsi rispetto all'operato dell'educatore, poiché anche a loro sarà chiaro che questi lavora per il benessere del figlio. Sono sconsigliate attività esclusivamente tra educatore-bambino. 5.5.2 Il processo di rilevazione Non bisogna mai dimenticare le finalità dell'intervento. L'educatore dovrà mettere in campo il proprio bagaglio di competenze relazionali ed emotive nella costruzione di una relazione all'interno della quale il bambino possa sentirsi compreso. La capacità dell'educatore di empatizzare e di entrare in contatto con la sofferenza potrà aiutare il bambino a comunicare le proprie difficoltà anche attraverso la verbalizzazione. possiamo identificare due diversi livelli di lavoro: 1) quello dello scenario educativo 2) quello della cura del processo di rilevazione CASO DI MARCO: inserito in un centro diurno dopo che la scuola ha riscontrato alcune difficoltà a livello scolastico Come è possibile indicatore di maltrattamento e abuso. I genitori all'inizio oppongono delle resistenze ma poi si convincono a farsi aiutare e si instaura una bella alleanza. Marco alterna momenti di assenza a momenti di rabbia, Gli educatori lo sgridano e riferiscono tutto i genitori dunque il padre lo punisce. Però Marco si stava concentrando molto sulla scuola e stava recuperando. Anni dopo gli educatori vengono a conoscenza del fatto che Marco era abusato sessualmente da parte del padre, solo durante gli anni dell'adolescenza Marco è riuscito a rompere il muro del silenzio. In questo caso gli educatori sono stati rinforzati dai successi connessi allo scenario educativo e hanno puntato precocemente un'alleanza con i genitori, perdendo così di vista il processo di rilevazione. CASO DI PAOLO: in classe sembra incontenibile, l'assieme sociale contatta i genitori che le riconoscono ma attribuiscono la colpa alla scuola. Dunque viene affiancata a Paolo un educatore. L’educatrice accompagna il bambino al parco due volte alla settimana in cui si mostra molto vivace, ad un certo punto Paolo esclama: “ Tanto non ti dirò niente, brutta spia della polizia!”. viene dunque detto ai genitori di lasciare esprimere maggiormente il bambino ma i genitori ovviamente rispondono di non aver mai fatto pressione su di lui. Nei giorni seguenti il padre si rifiuterà di lasciare il bambino all’educatrice e farà terminare l'intervento. In questo caso il problema è: gli educatori non hanno il compito di far parlare il bambino. CASO DI LUCIA: è aggressiva soprattutto con i pari, è la mamma a chiamare l'assistente sociale la quale la farà inserire in un centro diurno in cui Lucia svolgerà attività di socializzazione e laboratori mirati alla gestione dell’aggressività. ha esiti disastrosi perché si agita lei e agita gli altri. Quindi si decide di seguire Lucia individualmente in un rapporto due a due ma lei aggredisce anche fisicamente l’educatrice. La bambina dopo l’ennesima crisi racconta dei violenti scontri a cui assiste ogni sera ormai da molti mesi tra i genitori. Una volta rientrata a casa e la bambina a dire di aver raccontato tale cosa, Successivamente la mamma dichiarerà di avere paura per se stessa e per la bambina a causa del marito che perde il controllo. 5.6 L’azione rivolta alla famiglia L'approccio del sostegno/aiuto come test appare particolarmente funzionale per almeno tre motivi: 1) il concetto di test è coerente con le finalità dell'intervento 2) il fatto di provare ad aiutare permette di tutelare l'educatore da collusioni con i genitori sia sul piano operativo che sul piano emotivo 3) l'educatore viene liberato da una posizione di osservatore/investigazione che è incongrua per il ruolo di aiuto che dovrebbe svolgere Solo tentativi determinati e coinvolti da parte dell'educatore potranno produrre successi nella logica dell'aggancio e della costruzione di una relazione d'aiuto. È necessario riuscire a collocarsi in una posizione equilibrata, l'educatore deve darsi un tempo in cui investire nel tentativo di aiuto, affrontando difficoltà, risolvendo crisi e sbloccando e empasse. 5.7 Il processo in atto Di seguito il possibile funzionamento di un buon intervento. L'educatore: 1) affronta il disagio manifestato dal bambino utilizzando il proprio bagaglio professionale e con gli strumenti a disposizione ne approfondisce la natura e la gravità 2) accogliere i genitori eventuali elementi problematici ma anche gli aspetti che possono costituire risorse 3) si confronta con gli operatori del territorio per condividere informazioni e strategie di intervento 4) restituisce ai genitori le osservazioni raccolte sia sul bambino che i suoi genitori stessi, coinvolgendoli nella ricerca di soluzioni 5) verifica l'esito delle proprie azioni al minore nel rapporto diretto con lui e nell'ambito dei contesti con le altre agenzie educative, riprogetta gli interventi su minore e riconsidera i rimedi da dare ai genitori È molto importante definire ciò che si aspetta dai genitori, in riferimento al loro coinvolgimento nel processo di aiuto a sostegno del minore. è possibile individuare quattro scenari a seconda del rapporto che si cerca di instaurare tra operatori e genitori: 1) rapporto di delega: l'educatore aiuta a sostenere il minore in una o più aree nelle quali il genitore incontra difficoltà E quest'ultimo autorizza e accetta tali interventi 2) rapporto di affiancamento: l'educatore propone al genitore strategie per affrontare di comune accordo alcune attività del minore e il genitore accetta e rispetta l'alleanza educativa 3) rapporto di condivisione: l'educatore evidenzia difficoltà e problemi inerenti al minore che necessitano di ulteriori interventi, il genitore riconosce i problemi e accetta altre forme di aiuto per affrontare le criticità segnalate. Quindi, più grande è il livello di sofferenza del minore, tanto maggiore dovrà essere il coinvolgimento dei genitori nel processo di aiuto. 5.8 Nodi critici Il modello di lavoro descritto è piuttosto complesso da utilizzare. Infatti l'educatore dovrà continuamente porre la propria attenzione al mantenimento di un equilibrio tra differenti polarità: - Agire per aiutare osservare l'effetto dell'aiuto offerto - Porre cure nel processo di rilevazione costruire uno scenario di intervento educativo coerente - Rispettare l'alleanza educativa con i genitori mantenere la vicinanza emotiva al bambino - Tollerare le difficoltà nell'agganciare i genitori avere tempismo nella segnalazione della situazione al tribunale CAPITOLO 6: L’EDUCATORE E LA FAMIGLIA DEL DISABILE INTELLETTIVO ADULTO. L’INTERVENTO NEI CENTRI DIURNI 6.1 La famiglia come campo di azione Considerare la famiglia della persona disabile come contesto di intervento educativo ha una duplice ragione: La prima è di natura antropologica per cui le viene attribuito un ruolo centrale, la seconda è di ordine politico-legislativo. Le implicazioni sul piano delle pratiche educative si possono ridurre in alcuni aspetti essenziali: - individuare i destinatari del lavoro educativo. La famiglia rappresenta un interlocutore nel suo complesso. la famiglia viene interessata dell'intervento formativo secondo un approccio integrato - compiere una scelta valoriale - privilegiare un insieme di strategie di tecniche di lavoro educativo fortemente centrate sulla promozione di processi di interazione sociale costruttivi per la crescita delle persone 6.2 Oltre l’approccio individualistico-sommativo Dal lavoro educativo rivolto alla persona disabile adulta, al lavoro con la persona disabile e la sua famiglia, al lavoro con la famiglia. Una chiave per spiegare questo progressivo spostamento ed accogliere nell'evoluzione del mandato professionale dell'educatore in relazione al cambiamento dell'assetto dei servizi sociali e delle loro funzioni. È stato un lungo percorso ma gradualmente si fa strada la consapevolezza della necessità di attribuire più ampi spazi alla famiglia nella gestione degli interventi educativi. Questa dinamica di progressiva apertura verso le famiglie dei disabili, può essere spiegata anche in relazione all'influenza dell'epistemologia sistemica del lavoro sociale. Ad un certo punto iniziano a diffondersi progetti e iniziative a favore delle famiglie quali gruppi di autoaiuto, riunioni per la partecipazione dei soggiorni, incontri di presentazione dei PEI ecc. Ai giorni nostri la famiglia delle persone disabili viene inclusa nella sfera di azioni ma non è sufficiente parlare di semplice coinvolgimento delle famiglie, in quanto si è applicata una logica sommativa, cercando di offrire risposte alla persona disabile e alla sua famiglia. In questo modo si è mantenuto un approccio individualistico e non sistemico, di presa in carico della famiglia con vari componenti tra cui anche uno con disabilità. 6.3 Educare in famiglia L'educatore deve mantenere costante l'attenzione sui movimenti familiari, considerati come un campo dinamico interconnesso. 6.3.1 Le basi e i processo di sviluppo di un’alleanza di lavoro In primo luogo è importante conoscere quali idee si sono strutturate nella famiglia intorno alla disabilità del proprio componente. Può esserci una negazione delle difficoltà del figlio, in altri casi si possono riscontrare comportamenti iperprotettivi. L’alleanza che è bene instaurare è un equilibrio mobile, dunque possono esserci momenti di crisi. è importante considerare i motivi di tale vulnerabilità della famiglia. Le possibili trappole relazionali è un errore di strategia. Per esempio quando si verifica una escalation simmetrica, che fa entrare la relazione educatore-famiglia troppo precocemente nelle maglie di conflitto scarsamente regolato. Un'altra possibilità consiste nel ritirarsi eccessivamente e persistentemente dal confronto (=evitare il conflitto). Un altro insidie è connessa al rischio di trascurare un comportamento specifico. 6.3.3 In situazione Elenchiamo alcuni esempi concreti dei problemi sopra esposti. C’è la possibilità di incontrare la famiglia in un momento critico, in questo caso si deve tenere conto di un eventuale restrizione di disponibilità verso la persona disabile. Per esempio i genitori si oppongono alla partecipazione del proprio figlio a intervenire in attività fino a quel momento abituali, come i soggiorni. CASO DI GIULIA: Giulia soffre di epilessia e ha avuto una caduta epilettica in prossimità dei soggiorni dopo un periodo di stabilizzazione del quadro neurologico. in questo caso si può valutare la possibilità di ospitare in soggiorno anche un familiare, oppure si potrà cercare di rendere più flessibili le regole relative alle telefonate, O ancora proporre una chiacchierata insieme al neurologo che segue Giulia. 6.4 Il centro diurno come setting Alcune coordinate di lavoro: Le attività: sono la principale etichetta identificativa di un centro diurno. La famiglia può essere integrata in relazione alla sua tipologia, ossia dal coinvolgimento leggero fino a un coinvolgimento diretto. Per esempio se viene proposta l'attività di fisioterapia alla persona disabile, si possono mostrare gli effetti benefici della fisioterapia anche su tutti gli altri membri della famiglia. Infatti spesso i caregiver presentano problemi di natura fisiatrica legati al protrarsi quotidiano dei compiti di accudimento del proprio parente disabile. Quindi andare in seduta insieme, in un ambiente rilassante e accogliente. 6.5 Il gruppo e il counselling Alcuni strumenti messi a punto in questi anni sono utilizzati in relazione alla singola famiglia, altri sono rivolti a gruppi, in ogni caso si tratta di strumenti dichiaratamente rivolti al contesto di vita del disabile. Ai GRUPPI partecipano i membri di più famiglie, è uno strumento molto utile ma di non facile gestione. Il rischio è di diventare cassa di risonanza di dinamiche critiche, luogo di amplificazione della rabbia o di incremento di difese contro il cambiamento. Il lato positivo è che può essere vissuto come un contesto accogliente, che promuove il rispecchiamento e la partecipazione. Nel COUNSELING si offre uno spazio per considerare insieme una difficoltà, una fase di crisi è per comprendere come ridefinire il problema in modo che sia affrontabile attraverso le risorse della rete educativa e sociale a disposizione. CASO DI PAOLA: i genitori sono molto tesi, l'incontro con la capa referente non è andato bene. Dunque parlano con il capo di struttura, lui si mette in posizione d’ascolto e recepisce che da un po' il carico familiare è molto alto. C’è la sorella giovane che fa tardi tutte le sere e la zia è peggiorata molto (soffre di demenza senile). Vengono proposte sedute di counselling per la coppia e a volte vengono invitate anche le figlie. 6.6 Il PEI come testo interattivo Il PEI è uno strumento che individua bisogni-obiettivi-azioni-indicatori di verifica e sembra inseguire l'idea che ciò che si progetta possa cogliere in maniera esaustiva la realtà della persona disabile e anticipare i suoi percorsi trasformativi. È uno strumento utile per la funzione di supporto e per la negoziazione delle rappresentazioni dei problemi. Ha una consegna annuale. La condivisione del PEI diventa un momento di ascolto, una sorta di colloquio semistrutturato con la famiglia della persona adulta disabile. Il rischio è un'eccessiva autocentratura dei caregiver, è possibile invece sperimentare anche vere e proprie modalità di co-progettazione con il disabile. 6.7 Nodi critici Alcuni noti che rimangono ancora aperti: - Lavorare con la famiglia assorbe energie sottrae a un possibile lavoro più specifico con la persona disabile oppure una modalità di incanalare e gestire diversamente una serie di problemi che entrerebbero comunque dalla finestra? - Come riuscire a sostenere un lavoro dei progetti ma anche le dinamiche relazionali che possono innescarsi nell'equipe dei centri che sono attraversate da momenti di tensione - L'educatore che si rivolge alla famiglia secondo l'approccio da noi triggerato, rischia di sottovalutare competenze tecniche specifiche a favore della valorizzazione di interventi di mediazione-counseling-facilitazione di processi di comunicazione? CAPITOLO 7: PER COMPRENDERE L’INTERVENTO DEGLI EDUCATORI PROFESSIONALE 7.1 Oltre i rischi di frammentazione, una pista per la ricerca Si nota l'eterogeneità delle pratiche descritte, eppure sono esclusi molti altri ambiti. Quando ci si interroga su cosa faccia l'educatore quando educa le conoscenze teoriche disponibili sembrano ancora parziali. Il rischio di questo è che appaia come una figura professionale debole e incerta quando invece dovrebbe risultare il contrario. Di seguito si intende offrire una prospettiva unitaria delle pratiche didattico-formative degli educatori di professione, accolta a partire da diverse manifestazioni operative. 7.2 Perché si educa. Le intenzionalità educative e le direzioni trasformative La categoria dell'intenzionalità costituisce un fondamento del discorso pedagogico e didattico. L'azione educativa si struttura all'interno di una intenzione, quindi può essere compresa in quanto costituita a partire da una sorta di prefigurazione e ha degli obiettivi precisi. 7.2.1 Tra aiuto e mandato educativo Il primo fondamento professionale è costituito dall'offrire supporto di fronte alle difficoltà, dall'organizzazione di esperienza che favoriscono nelle persone occasioni di rielaborazione dei fatti, di eventi, di situazioni, gli stati oggettivamente problematici o soggettivamente percepiti come tali. In definitiva, si tratta di non rinunciare a offrire ai destinatari del proprio intervento opportunità di potenziamento di sé, occasioni di riconoscimento dei limiti che sono di impedimento alla crescita personale, supporto all'individualizzazione delle possibilità di superamento e alla messa in campo di sforzi consapevolmente attivi. 7.2.2 Differenziare i traguardi formativi Un tratto che caratterizza l'azione educativa-didattica riguarda la relativa differenziazione dei traguardi. L'educatore professionale si trova di fronte a una molteplicità di bisogni e di richieste che spesso sono intersecate tra loro, dunque deve essere in grado di riconoscere il raggiungimento dei traguardi anche se interconnessi ad altri bisogni non ancora pienamente soddisfatti. Non è facile, soprattutto quando si è di fronte a dei gruppi. Bisogna sempre tenere conto delle variabilità. 7.2.3 Mantenere l’intenzionalità educativa La relativa indefinitezza delle condizioni entro le quali l'educatore opera può richiedere di mettere in discussione le ipotesi assunte. Le difficoltà ad ancorare l'azione a una chiara intenzionalità educativa possono essere legate anche alle dinamiche negoziali che l'educatore deve mettere in atto con i soggetti coinvolti. 7.3 Chi si educa. Tra soggetto, soggetti, sistemi Nel discorso pedagogico-didattico la centralità è posta sul soggetto educando. Non si ignora che nella realtà si ha a che fare con una persona inserita in un contesto e che fa parte di un sistema di relazioni: si ritiene che il tratto strutturante di base in riferimento al quale può essere spiegata e gestita qualsiasi azione educativa sia costituito dal sistema educatore-contenuto-educativo -soggetto-educando. 7.3.1 Rivolgersi al singolo e al contesto L'educatore è spesso chiamata intervenire a proposito di un caso individuale. Si deve considerare che ogni persona è inserita in sistemi di relazioni che ne influenzano le scelte, i vissuti e le emozioni. Quindi gli interventi educativi che tendono a promuovere cambiamenti a livello individuale finiscono con l'interessare anche il contesto di appartenenza (persona disabile → famiglia / bambino in classe → classe). Spesso le persone accanto al soggetto vengono inserite nel percorso educativo. 7.3.2 Lavorare con i gruppi, tra dinamiche interne ed esterne Alcune tipologie di intervento hanno come destinatari i gruppi, per esempio una classe scolastica. L'educatore quando Individua il soggetto da educare si rivolge spesso a collettività precostituite. Per l'educatore sono risorse fondamentali la possibilità di disporre di un repertorio metodologico specifico e il possesso di capacità comunicativa-relazionali idonee. Gli interventi rivolti ai gruppi sono motivati dalla necessità di promuovere i movimenti favorevoli e/o di correggere eventuali dinamiche disfunzionali. 7.4 A che cosa si educa. Gli oggetti educativi La gestione degli oggetti educativi può essere considerato un elemento costitutivo di ogni azione formativa. Un intervento professionalmente educativo dovrebbe caratterizzarsi per una qualche tematizzazione dell'oggetto intorno al quale si propone di far fare esperienza. Tra le caratteristiche che possono considerarsi proprie di interventi formativi gestiti da educatori sembra da sottolineare la non arbitrarietà dei contenuti proposti. 7.4.1 Differenziare le proposte Un tratto da segnalare è costituito dalla differenziazione dei contenuti educativi di cui l'educatore può avvalersi allo scopo di promuovere esperienze di crescita nei soggetti-gruppi a cui si rivolge. L'esplosione di possibili messaggi richiede all'educatore di selezionare i contenuti idonei a seconda dei casi e dei bisogni. 7.4.2 Definire (e ridefinire) i contenuti Il tentativo di definire a che cosa si intende educare non esclude che la scelta dei contenuti educativi vada intesa sempre come ipotetica, ammettendo la necessità di un processo di ridefinizione in azione. È infatti difficile mettere a fuoco una volta per tutte le situazioni dei soggetti e le domande educative intorno alle quali si giustificano le scelte in ordine ai messaggi da proporre. 7.5 Dove, quando e con che cosa si educa. Il setting La strutturazione del setting costituisce un elemento che si ritiene connotativo delle azioni educative a carattere professionale. Queste presuppongono un'attenzione nell'organizzazione e gestione delle condizioni spazio-temporali, socio-relazionali, materiali e simboliche entro le quali si sviluppa l'esperienza formativa. Un allestimento attento del setting può favorire l'efficacia dell'azione formativa. Elementi che possono ritenersi strutturanti un setting formativo: 7.5.1 Modulare l'ambiente formativo Può rendersi necessaria una maggiore o minore strutturazione degli elementi, fino ad arrivare anche a momenti di relativa destrutturazione del contesto; possono essere utili e rimodulazioni frequenti per mantenere condizioni educative sensibili ai soggetti la variabilità dei possibili setting che l'educatore deve saper gestire è evidente. Per quanto riguarda gli spazi, essi possono presentarsi da relativamente chiusi (scuola), ad aperti (CAG). All'interno dei setting possono essere strutturate attività pratiche formative specifiche, a polivalenti; possono essere connotate in senso affettivo simbolico a relativamente neutre. 7.5.2 Rappresentarsi rappresentare la situazione educativa Il setting può presentare un carattere marcatamente immersivo, talvolta si può indurre una sorta di temporanea sospensione della continuità esperienziale con la ritualizzazione dei momenti. 7.5.3 Negoziare lo spazio/tempo dell’azione Spesso l'educatore si trova a dover creare un setting nell'ambito di contesti già strutturati in direzione formativa secondo orientamenti che non sono sovrapponibili al proprio. Negli interventi educativi non formali può venirsi a creare la necessità di una vera e propria strutturazione di setting nel setting, che può comportare problemi nella negoziazione di tempi, spazi, modalità di impiego delle risorse materiali. In certi casi l'educatore può incontrare difficoltà a ritagliarsi un vero e proprio setting. 7.6 Come si educa. il formato delle attività Un intervento educativo professionale dovrebbe contraddistinguersi anche per una gestione delle azioni improntata scelte di carattere metodologico consapevolmente fondate, facendo anche riferimento a modelli e tecniche didattico-educative, considerate scientificamente accreditati. 7.6.1 Perseguire il metodo La messa in atto del metodo didattico-educativo deriva da meticciamenti fra modelli e approcci, si compone di combinazioni spesso inedite di tecniche. Può verificarsi la necessità di scelte impreviste e di continue modificazioni. La complessità dei problemi è oggettiva difficoltà nel mettere a fuoco gli scenari di intervento possono far correre rischi di spontaneismo. 7.6.2 Modulare strategie di intervento Un aspetto che è tipico di qualsiasi azione didattico-educativa riguarda le esigenze di riadattare continuamente le strategie di lavoro, per renderle sensibili a situazioni la cui lettura e interpretazione può modificarsi anche sensibilmente nel corso delle attività punto. Si possono adottare approcci relativamente organizzati, in cui è leggibile il riferimento schemi operativi che possono assumere talora la valenza diviene proprio i modelli didattico educativi; si può lavorare per sequenze relativamente identificabili, anche con l'uso di tecniche educative per le quali sono previste specifiche condizioni di impiego. Tuttavia può sembrare necessario affidarsi a strategie che appartengono prima di tutto alla sfera dell'informale, lasciando ampi margini interpretativi all'educatore, con le implicazioni positive ma anche con i rischi che ne derivano.