Tecnologie per l'Educazione - Rivoltella PDF
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Summary
Il documento esplora l'evoluzione dell'educazione digitale, dalla scrittura all'era di internet e delle tecnologie odierne. Si analizzano i cambiamenti nella comunicazione digitale, nella relazione tra umano e ambiente tecnologico e il rapporto tra uomo e macchina. Il documento analizza inoltre l'impatto delle nuove tecnologie sulla didattica e sull'insegnamento.
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Giulia Pierico TECNOLOGIE PER L’EDUCAZIONE – Pier Cesare Rivoltella Introduzione Prima → Scrittura → Internet Prima dell’avvento della scrittura si poteva comunicare solo condividendo tra emittente e ricevente lo stesso luogo e tempo: da un...
Giulia Pierico TECNOLOGIE PER L’EDUCAZIONE – Pier Cesare Rivoltella Introduzione Prima → Scrittura → Internet Prima dell’avvento della scrittura si poteva comunicare solo condividendo tra emittente e ricevente lo stesso luogo e tempo: da un lato si poteva cogliere il feedback dei destinatari, ma essi erano limitati. Con la scrittura, non vi è più la necessità che i comunicanti siano nello stesso luogo e tempo = sganciamento rispetto a spazio e tempo, accentuato esponenzialmente con l’avvento di Internet: si è raggiungibili anytime e everywhere. Dal punto di vista antropologico, vi è la possibilità di una vita sullo schermo che si libera del peso del corpo: non è richiesta la presenza fisica. Nel corso del tempo, però, non si è sviluppata una sempre più marcata separazione tra reale e virtuale, bensì una progressiva e sempre più forte interpenetrazione delle due dimensioni → onlife (Floridi, 2017) = non siamo noi a essere online, ma i media a essere onlife. In questa prospettiva, vi è un’inversione di tendenza: la tecnologia aumenta la nostra corporeità, non si basa più sull’abbandono del corpo. Per la generazione Z (nati dopo il 2000) la presenza onlife della tecnologia è la norma: parliamo non più di una società dell’informazione, ma di una società informazionale (Floridi). Fondamentale è il concetto di trasversalità (e non di separatezza), su cui si concentra il post- antropocentrismo → visione sistemica della tecnologia. Oggi la relazione tra umano e ambiente avviene quasi totalmente attraverso l’interfaccia della macchina. Il digitale propone la ricorsività tra conoscenza e azione in forme nuove e modifica il rapporto tra conoscere ed esperire: oggi l’esperienza avviene durante l’attività, il mondo in cui si esperisce è lo stesso che si sta costruendo => concetti “in formato corporeo” (Caruana, Borghi), “simulazione incarnata” (Gallese) Analizzando la prima pagina dei quotidiani del secolo scorso rispetto a quelli odierni, il cambiamento fondamentale è che prima il lettore si orientava tra alcuni articoli (meno di 5) e ne costruiva il senso. Oggi, più che articoli sono input, molto numerosi (anche più di 20) e somigliano a un riquadro, come se fossero l’icona dell’articolo; il lettore, esplorando i riquadri-icone, elabora il senso producendo una rete tra essi: egli diventa agente attivo nella costruzione della rete tra i frammenti, in questo processo entra in gioco la sua personale visione del mondo: non produce una verità assoluta e universale, perché il significato costruito è legato alla storia da cui è emerso e dal suo punto di vista personale. → passaggio da una lettura come decostruzione a una lettura come aggregazione (Kress) dei testi multimodali = presenza di più linguaggi e interazione di multipli processi/tipologie di azione. Questa iper-testualizzazione descritta per quanto riguarda i quotidiani, comprende anche i manuali scolastici (blocchi/riquadri, immagini, richiedono di effettuare operazioni senso-motorie). Elevata complessità, data dalle informazioni e dal loro ritmo di crescita. Scuola e insegnanti si trovano di fronte a questa situazione complessa, gli studenti si trovano di fronte alle informazioni con difficoltà come predisporre una ricerca efficace e attribuirne paternità. Sono venute meno le grandi narrazioni, sostituite da micro-racconti coincidenti con il punto di vista individuale; ciò non si è tradotto con un aumento delle possibilità di scelta, ma con un disorientamento totale. └> Levy parla di un nuovo diluvio universale, ossia il diluvio delle informazioni = il problema non è più cercare le info, ma di scegliere quali, come nuovi Noè, portare nell’arca. Ne scaturisce il problema di ricerca e selezione delle informazioni, di uso critico delle fonti, e la necessità di rendere 1 Giulia Pierico ricercabili in maniera efficace le informazioni al tempo delle memorie estese = dispositivi che permettono di archiviare info (pendrive USB, disco rigido, cloud). Esse rappresentano una grande opportunità, ma al tempo stesso comportano alcuni problemi come: indicizzazione dei dati, univocazione dei criteri di ricerca, e la necessità di ritrovarli nell’archiviazione. Serres fa un riferimento all’educazione: testa ben piena (nozionismo scolastico) → testa ben fatta è l’obiettivo, anche se oggi il rischio è la testa ben vuota, perché avendo archiviato la loro conoscenza nelle memorie estese, non hanno conservato nulla. Ciò che conta non sono tanto le info, quanto più il modo in cui le si ricerca, seleziona, gestisce e valuta → Information Literacy. Altra conseguenza importante riguarda i contenuti didattici: oggi sembra passato il tempo del manuale come forma compiuta del sapere, così come il self publishing da parte degli insegnanti. Tra queste due vie, la terza fa leva sulle open libraries disponibili in rete (nuovo modo di pensare l’insegnamento e l’apprendimento). Nuove finalità educative Superamento del classico criterio della orthotes (= corrispondenza tra rappresentazione e referente) Diversa interazione tra conoscenza e azione In educazione si passa dalla focalizzazione sugli obiettivi alla focalizzazione sulle competenze = capacità di orchestrare valori, conoscenze e abilità per costruire strategie innovative utili a risolvere problemi. “The Flat World and Education” Darling-Hammond 2010 abilità che studenti devono sviluppare e insegnanti favorire: › Abilità di collaborare e comunicare efficacemente in molti formati › Abilità di identificare e collocare le info, trasformarle in nuova conoscenza › Abilità di identificare problemi e sviluppare nuovi percorsi e soluzioni › Abilità di operare sulla propria identità professionale per un continuo miglioramento Superamento della separazione natura-cultura determina nell’educazione il superamento della divisione tra cognitivo, emotivo e valoriale → approccio olistico. Il docente assume il ruolo di tutor che supporta i processi e la riflessione; da lavorare da solo, diventa un insegnante che opera in una comunità: più figure intervengono nel processo, e il confronto è con una comunità spesso non locale. Va ripensata quindi la formazione dei docenti, e va favorito il possesso di una professional vision capace di analizzare i vissuti da una prospettiva olistica; viene privilegiato un lavoro continuo di riflessione e confronto sull’azione didattica. La costruzione di conoscenza diventa un percorso attivo, il digitale favorisce la riflessione, la partecipazione e la condivisione, oltre a creare continuità tra il tempo d’aula ed extra-aula, si alternano fasi di ascolto a fasi di riflessione e confronto con i pari. VALUTAZIONE DELLA TECNOLOGIA 1) Ottimismo ingenuo → l’introduzione della tecnologia può produrre il cambiamento; vi è un’eccessiva fiducia nella capacità della macchina di fare a meno del fattore umano (insegnante) 2) Criticismo → strutturale diffidenza nei confronti della tecnologia, sulla base del principio vetero- marxista (la tecnologia è l’estremo tentativo del mercato di avere ragione sull’uomo, tenerla fuori dalla scuola significa salvarla dal mercato e difendere democrazia e cultura), e del presupposto umanista (la tecnologia rappresenta una minaccia ai valori della cultura occidentale, tenerla fuori dalla scuola significa salvaguardare la capacità di pensare degli studenti e i valori della cultura alta) 3) Interpretazione critica della Evidence Based Education → non è possibile dimostrare che le tecnologie a scuola migliorino l’apprendimento, quindi è meglio non introdurla. 2 Giulia Pierico La presenza della tecnologia X garantisce il raggiungimento degli obiettivi? La risposta più accurata è dipende, perché bisogna analizzare anche come viene utilizzata e in quali dispositivi scolastici viene inserita. RAPPORTO DELLA TECNOLOGIA CON LA DIDATTICA Fase 1 (fino agli anni ’70): pedagogia classica → si vuole trovare nella tecnologia la cifra del pedagogico. Fase 2 (anni ‘80-‘90): media e tecnologie didattiche vengono sempre più riconosciuti di una loro specificità, si emancipano dalla pedagogia e danno vita a una neo-scienza dell’educazione, la Tecnologia dell’educazione (o TIA); radicale separazione tra didattica che fa uso della tecnologia e non. Fase 3 (oggi): se lo sviluppo dei media li rende indistinguibili dalla nostra vita e dalle nostre relazioni, è difficile pensare a una didattica che ne rimanga priva → oggi non si può pensare a una didattica senza tecnologia, ma nemmeno a un uso della tecnologia emancipato dalla didattica e dalla pedagogia = approccio socio-tecnologico (VS tecno-centrato – tecnologia è separata dal resto). Parte prima: Le tecnologie dell’educazione Capitolo 1 – La didattica al tempo del digitale (Rossi) Principali caratteristiche di un artefatto digitale ▪ Aggregazione di componenti differenti e autonome ▪ Connessione degli artefatti in rete ▪ Morphing = possibilità di modificare il livello di zoom e la granularità dei concetti └> Floridi chiama l’unione di questi concetti infosfera = una realtà in cui lo scambio di dati digitali crea un ambiente dove l’informazione è il nucleo fondante ma anche il valore aggiunto; può essere anche utilizzato come sinonimo di realtà, essa diventa un’ibridazione tra il mondo percepito con i sensi e quello prodotto dai dati. Il mondo digitale è costituito dall’interazione di 3 elementi: società, cultura e tecnologie. FRAMMENTI = sono espressione della complessità e sono tra loro irriducibili; ognuno ha la sua identità e specificità, è complesso e leggibile con logiche multiple (es: ogni personaggio in un talk show, ogni articolo e notizia nel quotidiano). Sono distanti tra loro, ma interagiscono senza perdere le loro caratteristiche, come? Concetto di ambiguità + logica del non-uno + teoria del terzo spazio → evitare l’alternativa, superare i dualismi. LAYOUT = non è solo un organizzatore che supporta la conoscenza, ma è azione: si naviga, si sceglie, si scrive, si ricevono input e sono richieste scelte e operazioni. L’azione permette di semplificare la complessità del pensiero → “semplessità” (Colville) = fusione di un’ampia complessità del pensiero con la necessaria semplicità dell’azione. La stessa centralità dell’azione si trova nel concetto di multimodalità di Kress: i modi connettono l’artefatto all’uso sociale, propongono e suggeriscono modalità operative, superano la rappresentazione come visione separata del reale e si collocano in uno scenario tridimensionale (artefatto, soggetto, contesto sociale). Le app richiedono l’azione: concettualizzare è maneggiare i concetti come se fossero oggetti per costruire nuove idee, infatti molte app permettono di operare manualmente/fisicamente su frammenti concettuali; queste operazioni sono topologiche, ossia senso-motorie (collegare, trascinare, inserire). Quando il compito cognitivo è molto complesso o l’elaborazione è nella fase 3 Giulia Pierico iniziale, si utilizza il formato corporeo; poi quando i processi, ripetuti più volte, sono compresi e acquisiti, diventano ‘oggetti’ mentali incorporati. Concetto (Caruana, Borghi) = è una colla che unifica sensazioni, emozioni, parole; l’approccio è multimodale, embodied sia in relazione ai concetti concreti che quelli astratti. Un’azione è multimodale quando coinvolge a livello neuronale dei substrati sia per l’azione, che la percezione; azione e percezione sono integrate a livello del sistema motorio stesso (Gallese). Il sistema motorio contribuisce alla comprensione del linguaggio astratto → il digitale generalizza e rende sempre più diffuso il processo del pensare in formato corporeo, in quanto crea uno spazio cognitivo in cui i concetti sono visualizzati e permette di manipolarli con attività senso-motorie. Cosa significa frammentazione in educazione? Nella formazione aziendale vi è molto interesse per il micro-learning = lavorare su segmenti circoscritti di contenuto, organizzando intorno ad essi delle attività brevi, di produzione, e incorniciare il tutto attraverso istruzioni brevi e riflessioni → brevità e necessità di cornici (layout). Rivoltella ha elaborato il metodo EAS (Episodi di Apprendimento Situato), in cui il docente ha il compito di fare emergere il sapere liquido, o non formale, degli studenti per poi sistematizzarlo. Il disorientamento non deriva dalla presenza di frammenti, ma dall’incapacità di aggregarli: i metodi di insegnamento attuali spesso propongono schemi rigidi incapaci di produrre aggregazioni situate coerenti con il sapere degli studenti. Quindi, il ruolo del docente cambia: più che fornire quadri concettuali da imporre dall’alto, opera come un tutor che accompagna lo studente nella costruzione di tali quadri. Ad oggi il micro-learning è efficace perché è uno spazio di azione delimitato che funge da layout, e con i dispositivi multimodali lo studente opera sulle proprie conoscenze, le confronta e costruisce sintesi condivise. Nell’azione didattica si potrebbe semplificare così: frammenti = discipline, obiettivi, contenuti, lezioni layout = attività, competenze e compiti autentici Oggi le singole attività intrecciano livelli importanti: disciplinare, intra e inter soggettivo. micro-learning (possiede una sua autonomia e finitezza, indipendente dai livelli macro) ≠ micro-teaching (il micro riproduce la logica del macro con una logica riduzionista) Difficoltà del micro-learning potrebbe essere la difficoltà di visualizzare l’aggregazione; in questa situazione il digitale fornisce un aiuto. Flessner propone il terzo spazio come luogo per le ibridazioni tra dualismi (connessione tra frammenti). Terzo spazio = spazio ibrido che promuove un apprendimento significativo, una zona collettiva di sviluppo prossimale; è un luogo di apprendimento trasformativo che crea punti di accesso multipli, sia per i linguaggi che per le modalità operative. Connette presenza e distanza, formale e informale, è uno spazio in cui interagiscono significati, processi, esperienze, riflessioni, teoria e pratica. Esempi: aggregare note e la scrittura collaborativa (alcuni tool digitali aggregano frammenti di varie sorgenti, stabiliscono relazioni sia verso l’interno che l’esterno – tag, link; nella scrittura collaborativa vi è la possibilità di intervenire in tempi diversi ma anche operare contemporaneamente) stratificazione dinamica di documenti digitali e tracciamento in itinere (la documentazione non è più alla fine del processo, ma in maniera sincrona e ricorsiva) progettazione tramite app (spazi di mediazione tra docenti e studenti) 4 Giulia Pierico ambienti blended (spazi intermedi tra le pratiche in aula e le esperienze esterne, funzione di ponte che garantisce l’emergere di una prospettiva diversa) Il digitale è un terzo spazio quando permette a docenti e studenti di raccogliere materiale differente, recuperato da rete, produzioni in classe, e poi organizzarlo costruendo quel sapere situato e condiviso che è il prodotto dell’agire didattico. Il digitale come terzo spazio produce innovazione in quanto i frammenti sono sempre ricomponibili secondo logiche differenti, grazie al loro legame leggero, topologico. CAPITOLO 3 – Le tecnologie per la progettazione didattica e la gestione dell’aula (Sarracino) Importanza di una progettazione articolata ed esplicita nel contesto didattico odierno; le tecnologie hanno spostato l’attenzione da una relazione diretta docente-discente a una triangolare in cui il terzo elemento sono gli ambienti e gli artefatti digitali. Il ricorso al digitale fornisce schemi e percorsi guidati che indirizzano la produzione, per esempio, di documenti progettuali. Prima fase anni ’90 → diffusione dei percorsi di formazione online. SCORM (Shareable Content Object Reference Model) utile a guidare la progettazione di oggetti didattici riutilizzabili, tracciabili e catalogabili, il limite era la necessità di molte indicazioni tecnologiche, quindi il progettista non aveva una guida sul piano pedagogico. 2000 → IMS LD (Learning Design) risolve il problema del modello precedente, cioè guida il docente nella realizzazione di percorsi didattici anche sul piano pedagogico, però risulta praticabile solo per percorsi complessi che sarebbero rimasti immutabili. API (Application Programming Interface) nuovo modello di progettazione ricorsivo ed interattivo, permette di far dialogare componenti di diversi applicativi al fine di produrre aggregazioni di materiali. Web 2.0 parole chiave e tag permettono di organizzare i materiali senza le strutture troppo rigide quali quelle richieste da IMS e SCORM. Seconda fase Nuova attenzione alla progettazione didattica supportata da applicazioni digitali che non ha riguardato solo la creazione di percorsi online, ma la didattica nel suo complesso. Gruppo di lavoro Learning Design Group 4 progetti: 1. EML (Educational Modelling Language) – Paesi Bassi 2. SoURCE Project – Regno Unito 3. Learning Design Project del Consiglio d’insegnamento delle Università australiane 4. LAMS (Learning Activity Management System) – Australia Hanno in comune la visione che il miglioramento di insegnamento e apprendimento passi attraverso lo sviluppo di framework descrittivi dei processi e dell’azione didattica, per esempio Laurillard (2) propone una scansione delle azioni per permettere una strategia interattiva tra docenti e studenti. La possibilità per il docente di distanziarsi dal proprio artefatto e dialogare con esso permette di attivare i processi di simulazione dell’azione, anticipazione e previsione con cui testare il processo stesso. Lo sviluppo di spazi web all’interno dei quali poter organizzare, gestire e condividere materiali didattici ha portato allo sviluppo di ambienti nei quali aggregare materiali per poi condividerli con la classe, come facevano i LMS anche se il loro utilizzo era legato a una didattica online o blended. 5 Giulia Pierico Per esempio, Edmodo è una web app che permette al docente di organizzare le risorse multimediali selezionate in rete e di condividerle all’interno della classe, virtuale o in presenza. ✓ Facoltà di aggregare di media differenti ✓ Possibilità di manipolare e modificare gli artefatti stessi Stessa funzione hanno i Graphic Organizer, che permettono di aggregare contenuti diversi ma anche suggerire una relazione tra gli stessi. L’artefatto progettuale dovrebbe: supportare il docente nell’elaborazione del percorso orientare gli studenti e fornire loro una visione organica del percorso didattico e dei materiali da utilizzare per lo svolgimento delle attività L’artefatto digitale assolve a una doppia funzione: Contenitore flessibile → non va inteso come un serbatoio nel quale conservare gli oggetti digitali per un successivo utilizzo così come sono. L’aggregatore può essere utilizzato in classe per organizzare i materiali di studio da sottoporre agli studenti, dare le consegne, archiviare i prodotti delle attività ecc.; è quindi un organizzatore grafico che può essere costantemente modificato in azione, sia da parte del docente che degli studenti, per esempio con le loro restituzioni. Dimensione reticolare → espande la progettazione del docente sia in termini di apertura verso contenuti esterni (contesto sociale, rete), sia in termini di correlazione tra punti di vista diversi provenienti da approcci disciplinari differenti; ciò permette anche un’estensione in dimensione inclusiva attraverso la possibilità di personalizzare i percorsi, infatti permette una visione multiprospettica (scambio di opinioni, peer to peer, confronto = dimensione partecipativa). Le tecnologie sono utili, quindi, per supportare l’INCLUSIONE. Personalizzare ↓ ≠ realizzare percorsi differenti per ogni studente, non sarebbe didatticamente sostenibile e inoltre l’apprendimento è un processo sia individuale che sociale, che prende avvio dalle interazioni che avvengono nella classe. = predisporre dispositivi unici, ma aperti, all’interno dei quali ciascuno studente possa agire in modo diverso in base alle proprie abilità, competenze e bisogni; questi dispositivi inclusivi devono riuscire a far dialogare traiettorie differenti attraverso un complesso processo di progettazione. Per fare ciò le tecnologie digitali possono essere di aiuto perché permettono di: » erogare lo stesso contenuto in formati diversi » avere app differenti a seconda delle proprie abilità e caratteristiche (es: banche dati di risorse come mappe concettuali per DSA, app per recupero in ortografia) » costruire gruppi di lavoro in cui ciascun utente dà il suo contributo, per esempio percorsi di scrittura collaborativa (co-writing) – modalità di peer evaluation e self-assessment » interagire con altri attori del processo formativo attraverso le applicazioni online (forum, blog, chat, wiki) └> porre attenzione alla dimensione inclusiva significa realizzare un artefatto che coniughi macro (percorso annuale, moduli) e micro (singole attività didattiche delle lezioni), generale e particolare, personalizzando in funzione dei bisogni di ciascuno. Dispositivi BYOD (= Bring Your Own Device) ampliano la funzione di libro e quaderno: contengono tutti i materiali e sono organizzati secondo il senso con il quale il docente ha strutturato il percorso, ma sono anche strumenti di lavoro e possono contenere oggetti mediali realizzati in classe. Si tratta di un prodotto che ha le caratteristiche del concetto “colla”: l’artefatto aggregatore 6 Giulia Pierico funge da ponte tra il sapere sapiente e i frammenti che vengono realizzati in classe. Grazie al BYOD si crea un terzo spazio sempre più vissuto e abitato anche dagli studenti. Si tratta di dispositivi che favoriscono l’interazione sociale, caratterizzati da flessibilità e multifunzionalità, sia in termini di lettura che di produzione e manipolazione (sono dispositivi autoriali ma anche calcolatrici, fotocamere ecc); sono facilmente usabili, intuitivi e sempre connessi, caratterizzati da leggerezza e portabilità. Sono always on, infatti de Souza e Silva definiscono lo spazio didattico uno spazio ibrido, in cui il confine fra fisico e digitale è sempre più sfumato. All’interno degli spazi scolastici stessi, i dispositivi tecnologici hanno perso quella connotazione di eccezionalità, diventano normalità. Lo spazio ibrido diventa terzo spazio quando è connotato in chiave didattico-pedagogica. Necessità di porre sempre più attenzione alle differenze presenti all’interno della classe porta il docente a dover esplicitare agli studenti il filo rosso che connette macro e micro, e condividere con loro e negoziare il senso del percorso. Se si rivede lo sviluppo degli artefatti digitali in supporto alla didattica dagli anni ’90 ad oggi si coglie come siano cambiate contemporaneamente le prospettive pedagogico-didattiche e le tecnologie adottate ↓ uso Prima della lezione Durante Dopo È necessario vede l’e-learning semplicemente come learning, puntare sulla Digital Literacy significa promuovere l’alfabetizzazione al digitale come competenza chiave per stare nella società attuale → digitale come aggregatore del sapere e delle relazioni, consente di superare la frammentazione odierna. Parte seconda: La Media Education CAPITOLO 9 – Media Education (Rivoltella) La storia della comunicazione umana risponde a due logiche: Logica burocratica (facilita le pratiche, le rende più efficaci) → la burocrazia è istanza organizzativa, possibilità di mettere ordine; la comunicazione, e in particolare la scrittura, in questa logica è il tentativo dell’uomo di dotarsi di qualcosa che gli consenta di sostenere la memoria: nei primi tempi la scrittura serve all’economia agricola e ai commerci, per risolvere problemi e gestire le occupazioni. Logica educativa (favorisce la trasmissione culturale) → scrivere significa lasciare traccia di informazioni, per il futuro, in un’ottica anche di trasmissione intergenerazionale che permette la socializzazione degli individui e la trasmissione culturale (due istanze dell’educazione). In passato la trasmissione culturale avveniva per modellamento (imitazione) e attraverso la 9 Giulia Pierico comunicazione orale: il contenuto di questa comunicazione orale era per i greci l’ethos (comportamenti, usanze) e il nomos (leggi); quando tutto ciò diventa troppo ampio per essere tramandato oralmente, viene introdotta la scrittura. Quindi, la comunicazione è strutturalmente ed essenzialmente educazione. La Media Education nasce con la comunicazione stessa, perché è intesa come il corretto uso dei sistemi di comunicazione. Il “Fedro” di Platone può essere considerato il primo saggio di Media Education della storia perché l’autore, nelle vesti del protagonista, solleva le stesse preoccupazioni che oggi caratterizzano la riflessione educativa sui media: paura che comportino una qualche forma di decadimento cognitivo superficialità rischio che chi ne fa uso non ne abbia le competenze rischio del fraintendimento e dell’incomunicabilità Novecento: l’avvento e diffusione di alcuni mezzi di comunicazione (radio, cinema, televisione) fa scattare un doppio livello di riflessione sulla comunicazione e i suoi risvolti educativi ↓ 1. Media di massa, totalitarismi e irrazionalità Radio e cinema sono i primi media veramente di massa; la stampa a caratteri mobili aveva avuto un’ampia diffusione, ma in tempi lunghi e non completa, perché vi era il problema della competenza alfabetica, che radio e cinema superano perché non richiedono nessuna competenza particolare. Questa caratteristica spiega l’interesse dei totalitarismi novecenteschi (fascismo, comunismo, nazismo), infatti le immagini trasmettono un messaggio a colpo d’occhio e accendono l’emozione dello spettatore (si crea una pedagogia popolare che rischia di manipolare). 2. Orientamento visivo della cultura Occidentale Questi nuovi media (televisione e cinema) elevano la vista a senso privilegiato per la conoscenza: si conosce qualcosa quando la si è vista, è un discorso molto razionale. I media espongono allo sguardo dello spettatore i corpi e le cose, mostrando quello che si ritiene si possa vedere e anche quello che si ritiene non si possa vedere: modellano, chiamano in causa i valori e li ridefiniscono. La Media Education nasce ufficialmente negli anni ’70, ma ha già avuto una storia recente (media dei primi anni del ‘900) e una preistoria (Fedro). Le istituzioni che fanno da mentore sono due: UNESCO → promozione dei diritti umani. Educare ai media significa sviluppare la capacità di riconoscerne i linguaggi e recepirne in maniera attiva e consapevole i messaggi. Ciò si rende importante soprattutto nei paesi in via di sviluppo, con un elevato tasso di analfabetismo in cui spesso sono presenti regimi illibertari o fortemente limitativi delle libertà individuali => accesso alla lingua e coscientizzazione (Freire – pedagogia degli oppressi, Don Milani). La coscientizzazione come pratica di liberazione dell’uomo è uno dei pilastri della Media Education: pensare criticamente significa non esporsi al rischio di essere manipolati e riscatta dalla massificazione. CONSIGLIO D’EUROPA → costruzione della cittadinanza. Diritti e doveri sono strettamente legati alla produzione e al consumo di media e tutti i grandi temi dell’educazione civica trovano nella Media Education uno spazio di efficace attualizzazione: rapporto tra controllo e libertà, diritto di accesso, dialettica tra spazio pubblico e privato, rispetto dell’altro. Educare e educare ai media finiscono per essere due compiti molto prossimi. Freinet è considerato il precursore della Media Education grazie alla sua intuizione della tipografia scolastica, la concettualizzazione dell’attività di scuola in termini di lavoro, la scrittura collaborativa, la stampa del giornale scolastico e la 10 Giulia Pierico corrispondenza tra scuole => a scuola non si apprende, si lavora e si impara il senso di partecipazione, si capisce cosa voglia dire scrivere, e quindi scrivendo esporsi con le proprie idee. La scuola è uno spazio politico nel senso di luogo di formazione degli studenti a farsi carico della polis = scuola di partecipazione e senso civico. MEDIA EDUCATION = ambito delle scienze dell’educazione e della comunicazione e del lavoro educativo che considera i media come risorsa integrale per l’intervento formativo. (Rivoltella, 2001) ⁕ è un ambito interdisciplinare, prende dalle scienze dell’educazione i metodi attivi e collaborativi, il problematicismo e la pedagogia critica; e dalle scienze della comunicazione i metodi di analisi del testo e del consumo. È anche un ambito del lavoro educativo = componente movimentista → la Media Education è vissuta dal lavoro di insegnanti, associazioni professionali, comunità autorganizzate dal basso (in Italia molto è stato fatto dalle associazioni di cultura cinematografica, legate al mondo dei circoli giovanili salesiani – CGS Cinecircoli Giovanili Socioculturali per la promozione della cultura cinematografica nella prospettiva dell’educazione). ⁕ risorsa integrale = educare con, ai, per, attraverso i media ↓ Educare CON i media: servirsi di prodotti educational, usare documentari a supporto della didattica (prospettiva strumentale) Educare AI media: sviluppare pensiero critico sui contenuti mediali (prospettiva testuale) Educazione PER i media: sviluppare competenze di scrittura mediale, educare l’espressività, creare le condizioni per un uso linguisticamente corretto dei media; comprende il lavoro di formazione dei futuri professionisti della comunicazione. Educare ATTRAVERSO i media: rendere i media trasversali alle diverse discipline del curricolo (es: si fa storia usando il cinema dell’epoca) Tradizionalmente la Media Education viene pensata come attività da svolgere a scuola (education = istruzione = contesto formale della scuola), e ciò è sostenuto dal fatto che anche i media hanno bisogno di un processo di alfabetizzazione: gli studenti devono sviluppare le competenze di Media Literacy (leggere e scrivere i media), i nuovi media non sono autoalfabetizzanti. Inoltre, la diffusa rappresentazione sociale di bambini e ragazzi è quella di soggetti indifesi rispetto agli adulti, che necessitano di particolari attenzioni per poter sviluppare la Media Awareness (= pensiero critico e responsabilità rispetto ai media). → compito della scuola di costruire la cittadinanza, anche attraverso i media nella società informazionale odierna. Quale spazio, all’interno della scuola? Curricolo disciplinare: Media Education come una materia, con il suo insegnante e le sue ore. Si tratta di una soluzione efficace per quanto riguarda il riconoscimento del tema e l’affidamento a una persona esperta, ma dall’altro lato si rischia di produrre meccanismi di delega da parte del resto del collegio docenti. Curricolo trasversale: non esiste una disciplina dedicata, ma ogni disciplina provvede, nell’ambito dei suoi traguardi di competenza e obiettivi di apprendimento, a prendersi in carico alcuni temi e problemi. È una soluzione più corretta dal punto di vista educativo, ma più difficile da sostenere perché richiede un livello di collegialità più alto della norma. La diffusione sociale del digitale e i suoi usi scorretti sta producendo attenzione per i temi mediaeducativi, estendendo la Media Education al di fuori dei confini della scuola, in 3 direzioni: 11 Giulia Pierico 1) Infanzia – tradizionalmente lo 0-6 viene considerato un’età precoce, si vuole promuovere una zona media free in cui il bambino abbia la possibilità di manipolare, fare esperienza, giocare con oggetti fisici. Così facendo, però, si sottrae al bambino la possibilità di ricevere educazione su questi temi, il bambino comunque si troverà di fronte a un libero accesso ai media. 2) Età evolutiva – Peer&Media Education: la peer education è molto usata nell’ambito della prevenzione, e consiste nello sfruttare l’efficacia dei pari perché in questo modo la comunicazione è più efficace (es: sostanze, comportamenti sessuali a rischio) 3) Età anziana – classici interventi di alfabetizzazione tecnologica funzionali a garantire all’anziano un accesso ai servizi e uno sviluppo del suo pensiero critico per difenderlo dalle truffe online. CAPITOLO 10 – Analisi dei consumi (Aroldi) Parlare di consumi mediali significa fare riferimento a una componente specifica del sistema industriale e dei media di massa, infatti nel Novecento grazie allo sviluppo delle tecnologie della comunicazione l’apparato produttivo ha offerto una mole crescente di prodotti comunicativi (film, programmi radiofonici e televisivi, giornali) e di apparecchi di ricezione/riproduzione (radio, televisori, computer, lettori mp3). A tale offerta crescente ha risposto una massa di individui che consumava questi prodotti, acquistandoli e dedicando loro parte del proprio tempo libero. Per qualunque impresa è fondamentale conoscere la domanda, cioè quanti e chi sono i consumatori, sapere i loro gusti e aspettative → per ottimizzare i processi di produzione, a ‘dare al pubblico ciò che vuole’ e quindi ridurre i rischi di insuccesso e incrementare i profitti. La conoscenza dei consumi è utile anche alla ricerca scientifica, soprattutto a carattere psicologico, psicosociale, sociologico e pedagogico: ci si interroga su effetti, funzioni, usi, significati individuali e sociali. La nozione di consumo deriva dalla sfera economica = fruizione e consumazione dei beni materiali e delle merci. Nel caso della comunicazione, simbolica e immateriale, parlare di consumo è metaforico: ciò che viene consumato non è l’oggetto di cui il consumatore fa uso, bensì il suo stesso tempo, è la sua vita ad essere consumata. Il consumo mediale perde ogni connotazione passiva e individuale e si rivela un processo sociale complesso. L’analisi dei consumi mediali è stata anche assunta come componente teorica e metodologica, oltre che dalla ricerca educativa sui media, dalla ricerca in Media Education. Analisi = esercizio di decostruzione e ricostruzione dei dispositivi mediali, con la ricostruzione se ne comprende il funzionamento. I testi dei media sono l’oggetto principale (linguaggi, retoriche), ma è altrettanto rilevante l’operazione di decostruzione e ricostruzione dei processi di consumo, delle pratiche sociali in cui essi si realizzano, dei soggetti collettivi che le animano → si problematizza ciò che viene dato per scontato. Primo livello di analisi: il destinatario → passaggio dal destinatario implicito al destinatario reale = lettore, fruitore, spettatore concreto e contestualizzato, individuale o collettivo che è chiamato a incarnare e attuare la logica testuale, oppure a prenderne le distanze in modo critico. Secondo livello di analisi: le strategie di marketing → le forze che articolano la domanda, l’esito delle strategie di marketing capace di produrre e dare forma al pubblico di un determinato prodotto. Terzo livello di analisi: l’autoriflessività → abitudini, gusti, pratiche quotidiane, diete mediali dei soggetti coinvolti nell’intervento formativo per riconoscerle come attività sociali dotate di senso. 12 Giulia Pierico Consente ai destinatari dell’intervento di Media Education di pensarsi riflessivamente e soggettivamente come pubblico (acquisire consapevolezza). Oggetti e metodi dell’analisi sono strettamente connessi: oggetti diversi richiedono metodi di rilevazione differenti e specifici, e a sua volta il metodo adottato contribuisce a dare forma all’oggetto; nel metodo si attiva una precomprensione dell’oggetto ma anche una proposta di relazione tra soggetto che analizza e oggetto analizzato. APPROCCI QUANTITATIVI e oggettivanti = volti alla misurazione del consumo mediale inteso come acquisto o fruizione individuale di un determinato prodotto comunicativo 1. Rilevazione statistica Strumento finalizzato a misurare un determinato fenomeno in un certo lasso di tempo, sulla base di rilevazioni periodiche in grado di restituirne l’andamento. Le fonti del dato possono essere diverse (questionari, bilanci di esercizio) ma generalmente hanno una natura istituzionale, esempio: statistiche culturali messe a disposizione dall’Istat; per ciascun ambito analizzato la tipologia del dato cambia, per esempio per i musei sono disponibili i numeri dei visitatori in un anno, mentre per il cinema il dato è la percentuale di individui con pari caratteristiche che hanno assistito almeno una volta nell’ultimo anno a uno spettacolo cinematografico o teatrale. Le statistiche relative ai consumi mediali e culturali interpretano il consumo stesso come una serie di comportamenti individuali, riconducibili ad alcuni indicatori oggettivi misurabili; molto difficile è invece avere un’idea di come le diverse pratiche di consumo siano realizzate da uno stesso individuo, o come si relazionino tra di loro in vere e proprie costellazioni. 2. Rilevazioni audiometriche Si caratterizzano per il proposito di misurare l’ascolto secondo un approccio positivista, cioè che sostiene un’idea di realtà osservabile, descrivibile e quantificabile in maniera neutra e oggettiva. Esempio: sistema di rilevazione del pubblico televisivo italiano (Auditel) nato a metà anni ’80, misura e descrive il pubblico dal punto di vista delle variabili socio-demografiche, delle scelte di visione e degli orientamenti di consumo. Radio (Audiradio), stampa (Audipress), Internet (Audiweb). Le rilevazioni audiometriche si basano su un campione rappresentativo della popolazione, e l’attività di consumo è rilevata in modo diverso a seconda dei media; per Auditel, per esempio, l’unità minima di analisi è il nucleo domestico, in quanto il consumo di televisione è stato interpretato come una pratica condivisa su base famigliare. Il dispositivo di rilevazione è il people- meter, un’apparecchiatura elettronica che: → rileva il canale sintonizzato → registra i dati relativi ai membri del nucleo familiare all’ascolto → li trasmette alla banca dati centrale consumo televisivo = semplice esposizione ad almeno un minuto di programmazione numero di contatti netti = individui che hanno consumato audience media = numero medio dei telespettatori di un programma share = rapporto percentuale tra gli ascoltatori di una certa emittente e totale degli ascoltatori che stanno guardando altri programmi └> questi parametri sono stati originariamente pensati per attribuire un valore economico agli spazi pubblicitari inseriti nei programmi tv, quindi si tratta di un dato funzionale al mercato televisivo più che un indicatore del successo di un programma. 13 Giulia Pierico 3. Survey Sono indagini che usano, di norma, lo strumento del questionario somministrato a un campione rappresentativo della popolazione; si tratta di domande corredate prevalentemente dalle possibili risposte pre-definite dal ricercatore e volte ad acquisire alcune informazioni utili per l’esplorazione di un dato fenomeno sociale. La somministrazione delle domande può avvenire in presenza o a distanza (invio postale, chiamata telefonica, rilevazione online). Le web surveys hanno la potenzialità di raggiungere velocemente una vasta platea di rispondenti e produrre in tempo reale analisi e report. Il principale vantaggio delle surveys applicate alla ricerca sui consumi mediali è che esse non si limitano a rilevare le dichiarazioni degli utenti, ma le domande generano una o più variabili della ricerca: ciò consente di verificare diverse ipotesi interpretative. Esempio: EU Kids Online mette in relazione le skills digitali degli adolescenti con il capitale culturale familiare, il tipo di scuola frequentato, il device con cui si accede a Internet e capire in che misura queste variabili aumentano o diminuiscono i rischi online. APPROCCI QUALITATIVI e narrativi = focalizzati sui soggetti consumatori, sulle pratiche sociali e sui significati soggettivi attribuiti alle pratiche e ai prodotti stessi. 1. Intervista Assume un taglio più narrativo rispetto al questionario, e un andamento più discorsivo. Finalità: comprensione di una realtà sociale vissuta e valutata in prima persona dai soggetti coinvolti. Fonti informative: la parola di tali soggetti che raccontano, descrivono, interpretano, giudicano la propria esperienza e il proprio vissuto. Rappresentatività del campione: è di norma molto contenuto, quindi non ha alcuna pretesa di rappresentare l’universo degli individui che fanno esperienze simili, ma semplicemente di far emergere il maggior numero di elementi significativi. Focalizzazione: il focus è sui soggetti stessi e sulla loro interpretazione della situazione. Il ricercatore, a sua volta, interpreta le interpretazioni altrui. L’intervista può essere semistrutturata (intervistatore segue una traccia che riporta gli argomenti da affrontare, orientando la conversazione) o non strutturata (intervistatore propone uno stimolo iniziale a carattere generale pertinente con l’oggetto di ricerca, e lascia che l’informatore sviluppi liberamente il proprio discorso, limitandosi a chiedere approfondimenti). Una forma particolare di intervista biografica è detta anche storia di vita. 2. Focus group Condivide con l’intervista l’approccio discorsivo, ma lo interpreta in un frame più ampio rispetto alla relazione tra intervistatore e informatore: gli informatori qui sono un piccolo gruppo, da 4 a 8 persone; in questo modo si introduce una dimensione sociale, grazie all’interazione tra essi. Tende a riprodurre in una situazione controllata le dinamiche di discussione che accompagnano naturalmente le pratiche di consumo mediale. 3. Etnografia Si basa sull’idea che sia necessario osservare da vicino alcuni processi → osservazione partecipante. Si tratta di una forma di immersione del ricercatore nel proprio campo di indagine, vantaggi: possibilità per il ricercatore di accedere direttamente alla scena sociale in cui si giocano i processi che intende studiare, senza riprodurli in maniera artificiale. L’introduzione del ricercatore nell’ambiente è un passaggio delicato, si basa sull’instaurazione di un rapporto di fiducia con il 14 Giulia Pierico gruppo dei soggetti osservati: per questo motivo solleva diverse questioni sull’etica della ricerca. Nell’ambito della ricerca mediaeducativa, può risultare utile l’autoetnografia = il ricercatore osserva le pratiche mediali in cui egli stesso è immerso. CAPITOLO 11 – Il virtuale: identità, relazioni, apprendimento (Fedeli) Il rapporto tra realtà e virtualità è stato oggetto di ricerca in diversi ambiti: scientifico-tecnologico – progettazione di dispositivi che potessero replicare l’esperienza ambientale/fisica antropologico-psicologico – ha investigato sugli effetti di specifiche esperienze virtuali filosofico-estetico – ha affrontato il tema dello statuto del corpo e del ruolo della corporeità per i processi di conoscenza La discussione è oggi resa più complessa dalla pervasività delle attuali tecnologie e dal legame di continuità che esse mantengono con la nostra esperienza quotidiana. Esempio: gli smartphone ci accompagnano ovunque, tecnologie wearable (orologi smart). Già dalle prime sperimentazioni di realtà artificiale degli anni ’70 Krueger aveva richiamato l’attenzione sulle componenti psicologiche e sociali dell’uso delle tecnologie, che portano alla necessità di superare la dicotomia reale/virtuale per assumere un’ottica di complementarietà. In quali modi l’uso della tecnologia si intreccia con l’esperienza quotidiana? Smartphone o tablet ci consentono facilmente e con costi contenuti un collegamento a Internet 24/7, e grazie alle numerose app è possibile accedere alla mail, all’account dei social e anche a diversi servizi per la creazione di contenuti (foto, video, mappe), che possono essere condivisi con la comunità di utenti con cui siamo in contatto. Indigine Istat “Cittadini, Imprese e ICT” 2017 mostra che il 44,6% degli utenti di Internet usa gli smartphone mentre è fuori casa o lontano dal posto di lavoro → le azioni non sono più limitate a uno spazio-tempo specifico, ma contraddistinguono ogni momento della giornata. Le interazioni che oggi hanno luogo attraverso i media sociali fanno parte della quotidianità, non rimangono circoscritte all’ambito del virtuale: risulta evidente come ciò possa influire anche sulla postura identitaria. Oggi il controllo sulla disseminazione dei propri dati biografici risulta un obiettivo molto complesso, è necessario controllare l’interazione con l’altro in rete proprio a causa della mancanza di confini netti e regole esplicite. Il passaggio da uno spazio-tempo dedicato a una continuità piena dell’uso delle tecnologie implica dal punto di vista pedagogico e didattico non solo un target molto giovane da educare, ma anche il mondo adulto in quanto i concetti che sono chiamati in causa sono l’identità, la cittadinanza e la cultura. Identità e virtualità Con l’avvento dei social media si evidenzia la sempre più profonda interconnessione tra mondo fisico e mondo virtuale, le relazioni investono sia la sfera personale che professionale. Il mondo dell’educazione ha bisogno di sviluppare buone pratiche in campo didattico in linea con il rapporto tra virtualità e identità: data la vastità di ambienti online, assistiamo a fenomeni di produzione di identità plurime = lo stesso soggetto è riconosciuto in ambienti diversi con nomi/nickname differenti; il soggetto rivendica la sua autonomia nell’uso di tali identità online in ambienti diversi, ciò accade perché l’utente ha acquisito una reputazione con la propria identità online. Nel 2012 Google+ aveva modificato le regole di registrazione di un account permettendo l’uso di altri nomi solo in caso di identità comprovata con un seguito significativo; nel 2014 però si è aperto alla 15 Giulia Pierico registrazione senza restrizioni per presentarsi come ambiente inclusivo: youtubers e avatar possono registrarsi liberamente con i loro nickname → l’utente chiede che la propria attività online sia inclusa nella sfera di significazioni della realtà. Il desiderio di autoaffermazione non si limita al nickname, ma comprende anche autonarrazioni in cui l’impatto espressivo ha valenza prioritaria: è il caso degli hashtag = parola chiave preceduta dal simbolo del cancelletto, che contrassegna l’argomento di cui si parla in maniera chiara e univoca (social che l’ha introdotto è Twitter nel 2007). Oggi l’hashtag si sgancia dalla sua funzione originaria per diventare un modo informale e divertente per catalizzare l’attenzione su qualcosa che ci rappresenta e desideriamo venga messo in evidenza: personalizzazione a effetto del messaggio, connotata da varietà dialettali o gergali. La regola è di scrivere le parole senza spazi, creando un’unica locuzione. Gli utenti del web si appropriano dei linguaggi dei social network e contribuiscono alla loro espansione. La presenza online consente di estendere la propria identità e le sue dimensioni, andando a ridefinire la propria presenza sociale in uno spazio di interrealtà → spazio sociale ibrido. In rete i soggetti costruiscono reti di contatti amicali e parentali (legami forti) e contatti generalizzati, amici di amici (contatti deboli); la comunicazione avviene in modo implicito (comunico qualcosa pubblicando una foto) o esplicito (comunico il mio pensiero scrivendolo), e il raggio di ampiezza del messaggio può raggiungere un numero di persone enorme. Necessità di ridefinire il confine dei propri ruoli per la sovrapposizione di formale e informale che caratterizza le interazioni in presenza e online → un docente conserva il ruolo di autorevolezza, che lo contraddistingue nel proprio contesto professionale, anche all’interno di un social network? Se all’interno dello spazio classe i ruoli sono chiari per tutti gli attori coinvolti, all’interno di ambienti online è necessario progettare la propria presenza alla luce delle funzioni che si intende svolgere. Le tecnologie sono un prodotto culturale e la scuola non può ignorarne l’esistenza: necessità di una formulazione adeguata da parte del docente + strumenti di riferimento che possano accompagnare un processo di lifelong learning. DigCompEdu (European Framework for the Digital Competence of Educators) = pubblicazione diretta ai docenti di ogni ordine e grado, senza escludere l’educazione professionale e i contesti non formali, infatti si rivolge agli educatori. Fornisce una struttura organizzata in 6 aree di riferimento, l’ultima sposta il focus su chi apprende e sulla capacità del docente di rendere lo studente autonomo nell’uso responsabile delle tecnologie digitali. Si fa esplicito riferimento al benessere fisico, psicologico, sociale e al legame con le tecnologie (rischi). Un recente studio sulla costruzione dell’identità online e sulle aspettative dei giovani mette in luce diverse prospettive con le quali ragazzi in età scolare si confrontano con la propria identità online: 1) intenzione di porsi in una posizione di continuità sull’asse della realtà fisica-realtà digitale 2) desiderio di mostrare tratti caratteriali o fisici che il soggetto valuta positivamente e vorrebbe avere 3) volontà del soggetto di rappresentarsi nel modo in cui desidera che gli altri lo percepiscano 4) determinazione nel voler creare una rottura tra l’asse della realtà fisica e quella digitale per costruire un’identità falsa e ingannevole └> la consapevolezza del docente di ciò può costituire un valido supporto per progettare attività didattiche di guida all’analisi dei comportamenti online, analisi che può essere accompagnata da simulazioni e discussioni aperte. Selezionare una discussione online tratta da chat, forum o social può consentire un’analisi a più livelli: rintracciare posture empatiche ed evidenziare tentativi di 16 Giulia Pierico mediazione. Anonimato, rischi e cyberbullismo → tema della credibilità e dell’affidabilità, può risultare utile una discussione aperta. Sicurezza e wellbeing sono centrali per la scuola e per tutte le agenzie educative; azioni sinergiche tra esse e il coinvolgimento dei pari nel processo di responsabilizzazione possono contrastare i rischi legati a comportamenti disfunzionali in rete. Ambienti immersivi 3D sono un ottimo esempio del potere di azione dell’utente nella sua interazione con la comunità e l’ambiente stesso. Sono utilizzati a scuola facendo riferimento a: mondi virtuali (MUVEs Multi User Visual Environments) giochi di ruolo (MMORPSGs Massive Multiplayer Online Role Playing Games) sandbox games └> condividono l’aspetto sociale legato a un profondo processo di immersione attraverso l’embodiment dell’utente in forma di avatar = non è solo una rappresentazione 3D, bensì un corpo intenzionale che agisce e percepisce. L’utente, attraverso l’avatar, si muove in uno spazio geometrico, mappabile e percorribile in diversi modi, crea oggetti e interagisce con altri utenti. Quando tali ambienti offrono esplorazioni e interazioni aperte le opportunità per il contesto educativo possono essere molteplici. Le caratteristiche principali dei due esempi sotto sono: l’utenza primaria a cui si rivolgono (bambini e ragazzi in età scolare) e la progettazione open-ended (ci si trova in un ambiente da abitare e costruire, no percorso prefissato) → la creatività è la spinta motivazionale, grazie alla dimensione ludica si apprende. 1) Minecraft – gioco sandbox nato nel 2009, ha avuto da subito grande successo soprattutto tra i più piccoli, grazie alla grafica semplice, a blocchi simili al LEGO e all’intuitività dei processi di interazione con l’ambiente. Successivamente è stata sviluppata una versione education, MinecraftEdu, che dal 2016 offre la possibilità al docente di disporre una piattaforma per la comunità degli educatori e di gestire l’ambiente in base alle esigenze dei propri alunni e gli obiettivi didattici. Si configura come una comunità di apprendimento, si possono individuare risposte a problemi attraverso ambienti di supporto come wiki e forum; i giovani utenti costruiscono tutorial e li postano su youtube. Uno dei punti di forza è la versatilità: accanto alla versione pc, è disponibile quella per dispositivi mobili → la possibilità di utilizzarlo su tablet ne ha favorito l’introduzione in didattica. La caratteristica che attira gli utenti è la possibilità di agire nel mondo, di costruire oggetti anche dinamici → sviluppo di connessioni con il coding attraverso il sistema Code Builder che consente allo studente di esercitarsi con il coding. 2) Edmondo – nasce in Italia, è un mondo virtuale 3D costruito su piattaforma OpenSim (open source); la caratteristica principale è la specificità dell’utenza a cui è indirizzato, ossia esclusivamente docenti e studenti (ciò rappresenta una sicurezza per gli utenti). È un ambiente gratuito che consente al docente di gestire gli account per i propri studenti, che possono essere coinvolti attivamente in progetti che investono macro aree educative, o progettazioni didattiche a livello micro con obiettivi disciplinari specifici. Sono presenti attività di simulazione attraverso roleplaying, particolarmente accattivanti grazie alla possibilità di manipolazione dell’ambiente e dell’avatar; nelle scienze grazie alla simulazione di fenomeni fisici o chimici lo studente è coinvolto nella scoperta tramite l’interazione con l’ambiente. 17 Giulia Pierico CAPITOLO 12 – Progettazione di percorsi di Media Education (Parmigiani) Il concetto di Media Education si è evoluto parallelamente allo sviluppo dei media stessi e delle tecnologie che li supportano: deve cambiare anche la progettazione, è diventata più complessa. Oggi si sono aggiunti nuovi concetti, come per esempio new media (Dovey e Kennedy) ↓ Media Studies New Media Studies Gli effetti della tecnologia sono socialmente La natura della società è tecnologicamente determinati determinata Pubblico attivo Utenti interattivi Interpretazione Esperienza Spettatori Immersione Rappresentazione Simulazione Media centralizzati Media ubiquitari Consumatori Partecipante/co-creatore Lavoro Gioco → l’immagine è quella del fruitore che → l’immagine è formulata da tanti elementi che osserva qualcosa, che sta di fronte a un interagiscono tra di loro, l’utente non è più solo oggetto mediale. spettatore ma è immerso nel contesto, agisce e partecipa creando artefatti mediali La Media Education era più facilmente riconoscibile in passato, quando i media erano oggetti distinti tra loro: radio, TV, cinema. All’inizio degli anni ’90 vennero creati i primi programmi televisivi tematici, che si occupavano di argomenti specifici come RAI Educational o RAI Storia (un insegnante poteva consultare il palinsesto e vedere se degli argomenti erano compatibili con il programma didattico, in modo da registrare la puntata e utilizzarla a lezione; poteva anche richiedere la messa in onda di una puntata già trasmessa). In questo contesto gli aspetti di Media Education erano palesi: i contatti con un network, l’utilizzo di filmati, la fruizione e la lettura di immagini. Nel 1995 venne avviato il primo Piano di Sviluppo delle Tecnologie Didattiche (PSTD): vengono architettati e costruiti i primi laboratori multimediali nelle scuole, e comincia a entrare la rete con l’ISDN (prima rete veloce); a scuola si elaborano i primi ipertesti, immagini digitali, video. Improvvisamente ci si rende conto che i media hanno iniziato a diffondersi e a ibridarsi con le diverse tecnologie: nel 2005 nasce YouTube, in cui si visionano, creano e condividono filmati autoprodotti. Progressivamente sono nate applicazioni che ci permettono di agire quotidianamente con i media, noi siamo completamente immersi in questa dimensione e spesso non ce ne accorgiamo → quotidianità mediale inconsapevole. Oggi tutti possono fare foto, video e condividerli; in passato chi faceva foto era solo il fotografo, oggi siamo tutti fotografi. Questo fenomeno di sviluppo apparentemente incontrollabile è dovuto alla convergenza dei media = unione di più strumenti di comunicazione, resa possibile dalla tecnologia digitale. In passato i media erano diversi, si basavano su tecnologie differenti e non dialogavano tra di loro; dagli anni ’90, in seguito alla progressiva digitalizzazione degli strumenti tecnologici, i media parlano lo stesso linguaggio (binario) e si basano sulla stessa tecnologia (smartphone). Di conseguenza, le attività di Media Education sono oggi mescolate in mezzo a tantissime attività quotidiane complesse. Vantaggio: possibilità di manipolare tanti oggetti mediali in modo relativamente semplice e rapido. 18 Giulia Pierico Svantaggio: rischio di banalizzare le azioni, relegandole ad attività meccaniche e automatizzate (invisibilità delle tecnologie, sono date per scontate e di conseguenza si perde la riflessione). Media → non sono semplicemente davanti a noi, ma intorno. Principali caratteristiche: media sociali indossabilità mobilità (vengono sempre con noi) cittadinanza digitale (rappresentano e declinano il nostro rapporto con la società) la loro azione si soda in molti ambienti e contesti (fra scuola e territorio) Education → progettare un percorso di educazione mediale significa far emergere la relazione che intercorre tra le persone e i media: per esempio, la consapevolezza dei soggetti. In questa relazione troviamo aspetti cognitivi, sociali, etici, estetici, narrativi e culturali (= digital literacies, competenze digitali). Tecnologie dell’istruzione = sono orientate maggiormente al ruolo che gli strumenti tecnologici hanno nei processi apprenditivi e nella loro organizzazione (app per valutare, registro elettronico). Media Education = si concentra e sottolinea gli aspetti culturali, sociali e di cittadinanza. Il documento istituzionale a cui fa riferimento in Italia è il sillabo per l’Educazione Civica Digitale (Miur, 2018): 5 aree principali di intervento in cui sono presenti riflessioni e azioni che possono essere sviluppate in ambiti educativi formali e informali ↓ 1. Internet e il cambiamento in corso 2. Educazione ai media 3. Educazione all’informazione 4. Quantificazione e computazione: dati e intelligenza artificiale 5. Cultura e creatività digitale Esempio: insegnante di storia utilizza articoli digitali contenuti in differenti quotidiani per affrontare questioni attuali che hanno molteplici riferimenti ad avvenimenti storici. Tecnologie dell’istruzione → imposta l’azione in funzione dell’identificazione delle informazioni rilevanti e di come collegarle tra loro. Gli strumenti sono finalizzati al supporto degli apprendimenti. Media Education → si sofferma sulla struttura degli articoli, la forma in cui vengono presentati, come vengono divulgati e chiede agli alunni di riflettere sulle diverse forme comunicative ed espressive, magari in funzione di idee politiche/sociali. I due approcci sono contigui, non si tratta di due cose completamente separate: la progettazione dell'azione è finalizzata alla focalizzazione di uno o più aspetti, si parla di un continuum ↓ Aspetti Aspetti Aspetti Aspetti Aspetti Aspetti cognitivi narrativi sociali etici estetici culturali Tecnologie dell’istruzione Media Education CHI progetta? Il Media Educator: è un ibrido fra un insegnante e un educatore. Da un lato l’insegnante non può limitarsi alle discipline perché la Media Education esce in modo quasi spontaneo dall’aula per toccare aspetti multidisciplinari; dall’altro, l’educatore non può limitarsi a focalizzare la propria attenzione e i propri sforzi educativi su aspetti trasversali come le competenze sociali o emozionali, perché le attività di Media Education impattano sui saperi disciplinari e sulla percezione di essi. Lo stile è contemporaneamente tipico dell’insegnante e delle azioni nel contesto 19 Giulia Pierico specifico dell’aula, e dell’educatore e delle azioni condotte in contesti destrutturati come il territorio. L’attività di Media Education si svolge in contesti e ambienti fluidi, il ruolo del conduttore è fare emergere le peculiarità dei contesti e condurre i partecipanti nella costruzione consapevole del mondo dei media. COME? La Media Education tocca sia aspetti disciplinari che quelli trasversali all’educazione (scienze dell’educazione, scienze sociali, discipline letterarie e scientifico-matematiche). Alle origini della Media Education (anni ’80-’90) l’attenzione era maggiormente rivolta ad aspetti contigui alle discipline ma esse non venivano direttamente coinvolte: per esempio, attività rivolte all’educazione alla salute, alimentare, alla cittadinanza e alla socialità. I progetti correvano il rischio di essere considerati come accessori e non fondamentali, perché la valutazione e il successo scolastico, alla fine si basavano sulle discipline. È importante che oggi i progetti di Media Education affrontino la sfida delle discipline, entrando nei loro campi specifici e facendo emergere le competenze digitali, il pensiero critico ecc., aspetti che accompagnano la crescita di un cittadino consapevole. Le principali architetture didattiche sono: esplorativa, a scoperta guidata, collaborativa; i modelli di progettazione più adatti sono quelli per mappe concettuali o percorsi di ricerca-azione (EAS Episodi di Apprendimento Situato in cui alunni e insegnanti riflettono, elaborano e costruiscono saperi). Il tempo: un percorso mediaeducativo ha bisogno di tempi distesi che facciano emergere i diversi aspetti, però allo stesso tempo deve essere inserito nel contesto scolastico, che presenta molti vincoli temporali e spaziali. È necessario bilanciare l’ideale svolgimento di un percorso con la sua fattibilità. COSA? Gli oggetti di un percorso di Media Education sono potenzialmente infiniti; ci sono aspetti specifici, legati direttamente ai media e alle loro caratteristiche (aspetti grafici, estetici o comunicativi): il rischio è che essi vengano interpretati come settoriali, cioè adatti solo per alcune discipline scolastiche di determinati percorsi formativi. Dal punto di vista educativo, però, rientrano in un percorso che è diretto e finalizzato a un possesso pieno, profondo e critico delle discipline. Gli aspetti specifici della Media Education non devono oscurare le discipline, anzi lo scopo è proprio farne emergere i punti fondamentali e critici. Non esiste un solo centro, bensì più centri interrelati tra loro che intendono supportare lo sviluppo degli aspetti relativi alle conoscenze disciplinari, alle abilità tecniche e alle competenze. DOVE? Teoricamente, un percorso di Media Education non ha in luogo specifico, ma piuttosto si sviluppa in ambienti ibridi; l’aula è il luogo comune, da cui si parte, ma non si può rimanere all’interno dei confini dell’aula in quanto la Media Education ha bisogno di confrontarsi con altri contesti educativi, sociali e culturali. Quindi, travalica le mura scolastiche per proiettarsi in ambienti ibridi = third space, composto di spazi, azioni e momenti dove studenti e insegnanti possono sperimentare svariati modi per creare apprendimento: in presenza, online, sul cloud. Il terzo spazio è un luogo di literacy events = luoghi per mettere in moto la competenza nei quali significati cognitivi, sociali e culturali sono condivisi. Fisicamente in percorso si svolge in classe, ma non rimane mai all’interno di queste mura, Soep parla di apprendimento civico informale. PERCHÉ? Questione tradizionale centrata sulle capacità di leggere e interpretare i media e i messaggi mediali (saper leggere criticamente) + capacità di produrre media e messaggi mediali. Quindi, leggere e produrre sono due azioni che trovano la loro piena esplicitazione nella 20 Giulia Pierico consapevolezza dell’agire mediale. In passato era più facile avviare un’attività di lettura, oggi la produzione è alla base dei nuovi media, produciamo tanti artefatti digitali ma abbiamo perso la significatività della riflessione sui media. Per questo progettare una situazione mediale significa proiettare la scuola e gli alunni in dimensioni variabili e sfidanti dove gli apprendimenti sono sempre al plurale: imparo più cose in modi diversi. CAPITOLO 13 – La Media Education in classe (Carenzio) 1) Dimensione contenutistica = costruire uno sguardo sul presente di bambini e ragazzi, ma anche sulle proprie letture del mondo La ME entra in classe con 3 proposte: Competenze tecniche – studente alfabetizzato al linguaggio dei media (media literate) Consapevolezza critica Dimensione autoriale – in passato l’interfaccia d’uso sollecitava la fruizione e il consumo, mentre oggi la logica è di tipo espressivo: le persone sono invitate a scrivere, produrre, commentare, condividere, esportando così i contenuti nella logica del prosumer (producer e consumer) Prensky, 2009 parla di saggezza digitale, stupidità e scaltrezza (digital wisdom, digital dumbness, digital cleverness); la scuola non può fermarsi alle competenze tecniche digitali senza pensiero critico. Attualità → in Francia viene proposta la settimana della stampa nelle scuole, si gioca sull’attualità e si provano a costruire le competenze di lettura non solo del testo (a livello grammaticale), ma del mondo e delle circostanze (occasione di pensiero critico e di dibattito). Ragionare sui consumi mediali degli alunni permette di entrare nel presente, capire mode e scelte condivise, pratiche contemporanee e di conseguenza riflettere sul linguaggio e sul messaggio. Empowerment → rendere il soggetto capace di scelta è il fine ultimo della ME. Questa caratteristica permette al soggetto di poter scegliere senza accontentarsi, oggi la capacità di scegliere all’interno di ambienti di content delivery così ampi e sfaccettati diventa una chiave essenziale per la costruzione e per l’esercizio della cittadinanza, anche online. Oltre a esercitare il potere di scelta, significa anche sollecitare il potere di espressione, infatti media = megafoni, strumenti per esprimersi e dare voce ai propri pensieri (parola come strumento di libertà – Freire, Don Milani). 2) Dimensione linguistica = viene introdotta una pluralità di linguaggi Portare i media in classe significa accedere a un mondo di linguaggi composito, ibrido, in evoluzione e che vive di continui rimandi reciproci. Tisseron: cultura del libro trova la sua organizzazione nella successione delle parole, delle righe del testo, di pagine e paragrafi; adotta un modello lineare, costruito sulle relazioni di temporalità e causalità cultura degli schermi supporta un pensiero circolare e in rete; adotta un linguaggio che gli studenti utilizzano al di fuori dell’aula e su cui non riflettono Multiliteracy (Cope e Kalantzis) → in un ambiente multiculturale, ricco di connessioni e di reti, l’idea di alfabetizzazione intesa in modo tradizionale (imparare a leggere e scrivere) non è più significativa perché non rende conto della complessità del presente. Multimedialità* + multiculturalità = la cornice comunicativa e linguistica che ne deriva necessita della capacità di negoziare i diversi significati che provengono da canali e medium diversi; entra in 21 Giulia Pierico gioco la scuola: per accompagnare la sperimentazione di tutti i linguaggi, oltre alla alphabetical literacy. *Multimedialità (Rivoltella) = dimensione tecnologica, testuale, culturale: testo ricco che unisce audiovisivo, scritto e forme grafiche; interattività che interpella l’orizzonte culturale in virtù della prospettiva immersiva, interattiva e di scambio che invita a comporre. Transmedialità (Jenkins) → l’approccio transmediale presume un compito di lettura compositiva, tipica del digitale. Comprensione additiva = processo di analisi, aggiunta e confronto tra i pezzi di un puzzle che stanno insieme attraverso il lavoro interpretativo del soggetto; leggere ed elaborare contenuti mediali permette di sviluppare abilità di lettura e di scrittura utilizzando diverse modalità di espressione e di maturare competenze su più livelli. I ragazzi sono abituati a leggere prodotti differenti in maniera circolare e reticolare, non come prodotti a sé ma come parte di un mosaico (il videogioco non è solo la rimediazione di un contenuto, ma aggiunge una sfumatura, qualcosa di più che rende più significativa la storia). Multimodalità = fa riferimento ai diversi modi di fare significato, che lavorano su diversi canali percettivi (conversazione, scritto, dialogo interiore). Funziona anche in chiave di comprensione dello stesso messaggio attraverso modi diversi: con la sola scrittura il messaggio sarebbe troppo complesso, invece l’uso combinato di scrittura, immagine e colore ha grandi vantaggi ↓ scrittura denomina ciò che sarebbe troppo difficile da mostrare (denomina) immagine mostra ciò che richiede troppo tempo per essere letto (mostra) colore evidenza aspetti specifici del messaggio (inquadra ed evidenzia) Trasmedialità a scuola significa abilitare la conoscenza di linguaggi diversi, ciò significa interpellare la ME: ogni media racconta una parte della storia, le competenze richieste sono molteplici sia a livello di comprensione del linguaggio tipico del singolo medium, sia a livello di lettura interpretativa. 3) Dimensione metodologica e architettonica = produrre riflessioni attraverso la pratica e il confronto in piccolo gruppo, che riportano in primo piano il tema della trasposizione didattica Riflettere sugli spazi, sulla riorganizzazione della classe e sull’integrazione di proposte metodologiche integrate. I media si possono insegnare, ma non solo a parole; si può fare pratica, fare media e pensare ai media: si pone maggiore attenzione al fare, presenza più forte della pratica rispetto alla teoria, quando in realtà pratica e riflessione sono connesse ed entrambe necessarie. Esempio: percorso finalizzato a discutere di bullismo e cyberbullismo, non si può affrontare il tema attraverso un incontro frontale; è necessario dotarsi di strumenti di intervento attivi, basati sul coinvolgimento e sulla partecipazione, l’insegnante diventa supervisore più che conduttore. Si tratta di vivere questi contenuti, fare esperienza, immergersi nelle store proprie e altrui. Tre attenzioni peculiari della ME (Masterman): › accento posto sulla comprensione del sistema dei media e sui processi, piuttosto che sull’accumulo di informazioni e dati complessi › incoraggiamento dato alle attività pratiche come strumento di esplorazione e rafforzamento della comprensione concettuale › promozione del pensiero autonomo, piuttosto che la riproduzione delle idee dell’insegnante Il sostegno teorico è dato dall’opera di Freinet (pone le basi per una riscoperta del valore della prassi) e dall’apprendimento per scoperta (in antitesi rispetto all’apprendimento per ricezione). 22 Giulia Pierico Spazio come terzo educatore (compagni + insegnante + spazio) → necessità di rimodulare lo spazio fisico, funzionale al lavoro mentale. Quando la ME entra in classe, la classe diventa laboratorio e si organizza in maniera funzionale al momento di lavoro proposto: o classica e frontale quando l’insegnante fornisce le coordinate di lavoro o uno stimolo per l’attivazione o circolare nel caso di un brainstorming o confronto tra punti di vista o a isole nel lavoro di piccolo gruppo o in modalità palcoscenico quando si valutano i prodotti dei compagni esposti in plenaria L’arredamento leggero e mobile rende molto più agevole le varie modalità, Montessori definisce lo spazio d’aula polifunzionale: per consentire lo studio individuale e di gruppo, la comunicazione interpersonale ecc. 4) Dimensione tecnologica = quali dispositivi servono materialmente in classe 1. Dotazione tecnica in school → prevede un investimento da parte dell’istituzione; la scuola oggi ha in dotazione una strumentazione tecnica importante, però non supportata da un accompagnamento tecnico e metodologico. La dotazione scolastica consente di non preoccuparsi del recupero dei dispositivi, però non sempre si tratta di infrastrutture performanti o di dispositivi aggiornati, e spesso si è vincolati alla disponibilità dei device per tutti: è il caso delle aule informatiche o delle aule attrezzate con dispositivi mobili, che vanno prenotate e dunque richiedono un impegno di programmazione e coordinamento con i colleghi. 2. Bring Your Own Device (BYOD) → prevede che gli studenti portino il proprio dispositivo, senza una convergenza di marche e modelli, e che lo usino in chiave didattica nel corso delle lezioni. Vantaggi: Aspetti problematici: ✓ riduzione dei costi di investimento definizione di policy d’uso ✓ maggiore cura da parte dei soggetti compatibilità delle app interessati disuguaglianza tra studenti con ✓ minori costi di aggiornamento possibilità di acquisto diverse ✓ familiarità con i dispositivi connettività ✓ maggiore flessibilità organizzativa resistenza di molti genitori Il BYOD implica da un lato il superamento della barriera della disponibilità materiale degli strumenti, favorisce la libertà didattica dell’insegnante ma a patto che vi siano delle chiare azioni di accompagnamento educativo → creazione di un contratto pedagogico. Questione della distribuzione dei dispositivi: one to one, per gruppo, per ruolo (classe allestita in maniera blended, chi con dispositivi, chi con carta e matita a seconda del ruolo nel lavoro). 3. Media Education carta e matita → è il caso di percorsi attraverso i quali si vuole promuovere consapevolezza critica sulle logiche dei social media sotto i 14 anni, età limite per l’accesso. Non possiamo eludere la questione dei media fino ai 14 anni e poi mettersi a tavolino a parlarne; in ogni caso, i ragazzi vivono i media in maniera mediata, attraverso i dispositivi dei genitori per esempio. Si può affrontare il tema del rispetto, come quello del linguaggio delle immagini, e ciò può fare la differenza nel comportamento consapevole dei ragazzi, per attivare la riflessione e la presa di decisione responsabile. 23 Giulia Pierico Parte terza: Percorsi e strategie CAPITOLO 14 – Social teachers, social families: le tecnologie nelle comunità di docenti e nel rapporto con le famiglie (Pacetti) Le trasformazioni del web hanno notevolmente ampliato le possibilità di comunicazione, interazione, condivisione e collaborazione tra gli utenti, senza vincoli di luogo e tempo: un aspetto di cui la formazione si deve occupare è proprio come vivere la rete in modo attivo e partecipativo ed essere sempre connessi con gli altri, deve essere creata questa competenza perché il rischio è creare divario digitale e penalizzare chi non la possiede. Terzo millennio = società della conoscenza. La rivoluzione telematica e informatica ha permesso potenzialmente a chiunque il raggiungimento delle informazioni e, di conseguenza, moltiplicato le occasioni di apprendimento. Società della conoscenza ↓ avere a che fare con identità, relazioni, modi di comunicare, luoghi e contesti del tutto diversi da quelli che caratterizzavano le epoche precedenti concetto di apprendimento si evolve nel lifelong learning: non è più legato all’età della scolarizzazione, ma incrocia anche sviluppo professionale e personale; i nuovi strumenti digitali ampliano le opportunità di apprendimento continuo e di partecipazione civica Le tecnologie da sole, tuttavia, non garantiscono lo sviluppo e l’apprendimento continuo: è necessaria una formazione all’uso delle ICT e una riflessione continua. Cittadinanza digitale → siamo tutti cittadini digitali, ma ciò non significa che basti usare le tecnologie per essere responsabili, attivi e partecipativi: 2010 Agenda Digitale Europea 2020 – alfabetizzazione e competenze digitali come priorità per (ri)qualificare l’esperienza formativa e professionale, per l’inclusione sociale, per promuovere conoscenza e partecipazione attiva + necessità di migliorare le infrastrutture e l’accessibilità. 2013 Quadro Europeo di competenze digitali per i cittadini (DigComp) – progetto internazionale della Commissione Europea, è uno strumento in evoluzione che nel 2017 è arrivato alla versione 2.1; obiettivo è migliorare le competenze digitali di tutti i cittadini europei, offrire un framework di riferimento comune per pianificare interventi di formazione su gruppi target. Essere competenti a livello digitale non significa solo saper usare gli strumenti, ma anche avere capacità critiche e relazionali, di discernimento e consapevolezza (digital literacy). FAMIGLIA → comportamenti e consumi molto diversi a seconda di età, status socio-familiare e capitale culturale. I social media vengono anche utilizzati per mantenere i legami familiari (gruppo whatsapp 80% delle famiglie); in percentuali più basse, però, i genitori danno regole ai figli sull’utilizzo e sulla pubblicazione di contenuti, ne parlano poco. Il rapporto CIRF 2017 (Centro Internazionale Studi Famiglia) evidenzia scarse capacità critiche e competenze digitali delle famiglie italiane, anche se c’è una maggiore propensione a comunicare e ricercare info nei social e nei gruppi online. INSEGNANTI → l’utilizzo dei social media rimane una questione critica della loro professionalità: è in aumento l’utilizzo delle tecnologie in ambito scolastico nella comunicazione con le famiglie (registro elettronico è obbligatorio) la comunicazione è però limitata a contesti digitali ufficiali, nei quali gli insegnanti si sentono più a proprio agio e possono monitorare i contenuti (spesso i genitori utilizzano i canali informali come i gruppi whatsapp con gli insegnanti in maniera superficiale) 24 Giulia Pierico Anche gli insegnanti hanno scarsa consapevolezza delle opportunità date dai social media rispetto alla comunicazione con genitori e alunni, ma anche delle potenzialità di partecipazione attiva e di coinvolgimento reciproco. Acquisire competenze digitali è possibile esercitandosi e sperimentando la cittadinanza digitale, sentendosi parte di una comunità: comunità collaborative = desiderio di costruire nuovi significati del mondo attraverso l’interazione con altri; diventa un mezzo per conoscere ed esprimere sé stessi. Nel DigComp 2.1 le competenze sono 6 e riguardano: interazione, condivisione, impegno, collaborazione, netiquette e gestione dell’identità digitale. La comunicazione digitale ha mutato radicalmente le modalità di comunicazione e relazione tra i soggetti; aumento esponenziale della circolazione di informazioni computerizzate, rendendo potenzialmente ogni individuo in grado di comunicare con tutti (soggetto passivo → attivo). L’influenza della rete si è manifestata soprattutto nel linguaggio, nella lettura e nella scrittura. La comunicazione mediata dalle tecnologie non è solo un’alternativa alla comunicazione faccia a faccia, il canale è diverso e lo è anche il contesto; è influenzata anche dalle esperienze personali, dai contesti. La pervasività di questa comunicazione permette di abbattere la barriera tra virtuale e reale nelle pratiche quotidiane, la logica online privilegia la continuità dell’esperienza comunicativa (si entra e si esce senza vincoli). Diventa così un valore aggiunto alla comunicazione tradizionale, in cui i comunicanti sono immersi in un ambiente paritetico. L’ambiente online ha tutte le caratteristiche di una comunità, infatti le tecnologie non sono semplici strumenti per distribuire conoscenza e saperi, ma veri e propri ambienti per la costruzione attiva e significativa delle conoscenze (lavorare insieme, condividere compiti per creare qualcosa di nuovo attraverso un processo collaborativo deliberato e strutturato ≠ semplice scambio di info). Comunità collaborative virtuali I social network consentono di: › definire, organizzare e ampliare le proprie reti sociali › confrontarsi e analizzare le identità degli altri › comunicare ed esprimere sé stessi › creare una rete sociale online e un ambiente equo collaborativo Caratteristiche delle comunità online: o interazione – sincrona o asincrona o flessibilità d’impiego – alta o bassa (forum vs mailing list) o livello di coesione tra i membri – alto o basso (gruppo whatsapp vs facebook) o organizzazione – top-down o bottom-up (ambiente formale vs informale) o conoscenza dei membri 25 Giulia Pierico Trentin, 2003 Mentre si indaga molto sui social teachers (lo schema nasce facendo riferimento al contesto degli insegnanti, ma si adatta anche alle famiglie), gli studi sulle social families sono limitati. 1. Gruppo di lavoro → adesione formale dei suoi membri alla comunità stessa, orientato al compito e caratterizzato dall’alternanza di incontri in presenza e di comunicazioni/lavori a distanza. I membri del gruppo si conoscono e utilizzano le tecnologie per facilitare la comunicazione o lo scambio di documenti. Spesso si perde di vista l’oggetto primario del gruppo, e diventa difficile gestire la comunicazione in modo efficace e condividere obiettivi. Esempio: gruppi whatsapp, mailing list e cloud di genitori o insegnanti. 2. Comunità di pratica → sono luoghi reali o virtuali in cui la crescita professionale è data da una continua condivisione di esperienze, idee, consigli; sono percorsi che si creano grazie all’aiuto reciproco e all’individuazione collaborativa delle migliori strategie operative. Si crea una rete di relazioni basate su risorse condivise e uno stesso modo di affrontare gli ostacoli: i partecipanti sono legati dalla voglia di apprendere e condividere esperienze, avviando così processi di rinnovamento grazie all’appoggio di colleghi più esperti in materia, accrescendo così la propria identità professionale. Tipicamente, molte comunità di pratica sono l’evoluzione di comunità di apprendimento, cioè un gruppo che rimane in contatto dopo aver frequentato un corso di formazione. I membri si conoscono e condividono obiettivi, il senso di identità è molto forte. Uno strumento molto utilizzato è il gruppo chiuso su Facebook o Edmodo. Esempio: oltre a quello già citato, gruppi parentali che mantengono relazioni stabili al di là di distanze geografiche, genitori di una stessa scuola che si uniscono nei Comitati Genitori. 3. Comunità delle migliori pratiche → comunità numericamente molto vaste, nate allo scopo di condividere buone pratiche in ambito professionale o genitoriale, valorizzando le specificità di ognuno dei membri e socializzando le esperienze “migliori”. Si possono utilizzare format specifici che comprendono documenti testuali, audio, video, interviste, racconti ecc. dei vissuti. Questo materiale può essere consultato da semplice consumatore, ma l’intento principale è quello di partecipare attivamente condividendo le buone pratiche. 26 Giulia Pierico Esempio: Edutopia.org, Insegnantiduepuntozero raccolgono esperienze reali, testimonianze di genitori e ricerche che si configurano come punto di incontro tra educazione formale e non formale. 4. Gruppo d’interesse → riuniscono individui che condividono un interesse comune e che desiderano diffondere informazioni, sostenersi a vicenda e consigliarsi; può essere presente un moderatore, per evitare di andare fuori tema o superare conflitti. I social media così inaugurano discorsi e facilitano incontri sociali. Di norma vi è un numero molto alto di partecipanti, che aderiscono ad alcune regole esplicitate come manifesto del gruppo stesso e chi non le rispetta viene escluso. Esempio: gruppi frequentati da insegnanti su Facebook (Insegnanti 2.0), da docenti e ricercatori universitari (Academia.edu), da genitori sempre su FB (Essere genitori, Genitori consapevoli). 5. Condivisione via web → comunità maggiormente diffuse in rete per il loro carattere informale e allargato. Troviamo siti, piattaforme, gruppi Facebook dedicati alla circolazione di informazioni, documenti e materiali tra professionisti o famiglie. Le interazioni sono più basse, così come il livello di partecipazione attiva: i membri sono più spettatori e fruitori di contenuti che attivi protagonisti, ma che contribuiscono ad ampliare l’audience attraverso le condivisioni (repost, retweet). Esempio: blog di insegnanti, di genitori che non solo raccontano la loro esperienza, ma la arricchiscono con informazioni su tematiche specifiche. Alla base di tali pratiche vi è un senso di responsabilità sociale nei confronti della comunità che spinge gli utenti a mettere a disposizione degli altri qualcosa di proprio; obiettivo non è farne profitto, ma creare, mantenere e allargare la comunità → l’interesse del soggetto si realizza insieme a quello degli altri, in questo modo si crea una vera community. CAPITOLO 16 – Le competenze digitali per la formazione dei cittadini (Ranieri) Sviluppo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) ha prodotto una vera e propria metamorfosi della nostra società: dagli anni ’80 con l’avvento dei personal computer assistiamo a una rapida digitalizzazione di gran parte delle nostre attività. La portata di queste trasformazioni ha indotto a ripensare la nozione di literacy = tradizionalmente associata alle conoscenze e abilità di base (leggere e scrivere), oggi si sta ampliando → competenze digitali. COMPETENZA DIGITALE è stata introdotta nel lessico istituzionale europeo 2006 nella Raccomandazione del Consiglio e Parlamento europeo, relativamente alle competenze chiave per l’apprendimento permanente. Il documento è una svolta per i sistemi istruttivi in quanto modifica il quadro delle competenze di base, innalzando il numero delle competenze base da 3 (leggere, scrivere, far di conto) a 6, tra cui la competenza digitale = viene definita come la capacità di utilizzare senza incertezze e in modo critico le TIC in una varietà di situazioni; comporta una buona conoscenza delle opportunità che le tecnologie digitali offrono nella vita quotidiana, e in particolare delle potenzialità di Internet per lo scambio di info in rete, la collaborazione, l’apprendimento e la ricerca. L’uso delle TIC richiede un atteggiamento critico e riflessivo, cioè un’attenzione per quanto riguarda la validità e l’affidabilità delle info, e un interesse a impegnarsi in comunità per fini culturali, sociali, professionali → la competenza digitale non coinvolge solo abilità di carattere tecnico-procedurali. Questo approccio è molto diverso da quello dell’ECDL (European Computer Driving Licence), dominante per un ventennio e orientato allo sviluppo di abilità informatiche di base. 27 Giulia Pierico Raccomandazione 2006 → UE afferma che la competenza digitale è un sapere di base che la scuola deve insegnare ai cittadini del futuro + visione più articolata che rimanda a dimensioni cognitive ed etiche. COMPUTER LITERACY (IT Information Technology) anni ’60 Fase 1: Mastery – il computer è visto come un oggetto misterioso e potente, l’enfasi è posta sull’acquisizione di conoscenze e abilità relative al funzionamento del computer e alla programmazione. Fase 2: Application – evoluzione delle interfacce tecnologiche, divenute sempre più utilizzabili (programmi di videoscrittura, disegno, archiviazione, calcolo ecc.), il focus si è spostato sullo sviluppo di abilità procedurali. Fase 3: Reflective – bisogno di una nozione più olistica e riflessiva, si fa strada una visione più articolata delle literacy necessarie per un uso appropriato delle ICT. Per esempio, negli Stati Uniti si parla di Fluency in Information Technology (FITness), identificata con: contemporary skills = abilità di utilizzare risorse hardware o software per svolgere compiti di elaborazione dell’informazione concetti fondamentali = idee basilari su computer, reti e sistemi informativi, pensiero algoritmico e programmazione, limiti delle TIC e il loro impatto sociale capacità intellettuali = capacità di integrare specifiche conoscenze nel campo delle TIC con problematiche relative agli interessi personali del soggetto (capacità intellettuali trasversali) Viene evidenziata la natura riflessiva della computer literacy: non può essere primariamente identificata con la padronanza delle abilità tecniche, il concetto deve essere ampliato per includere anche capacità critico-cognitive (pensiero critico, problem solving). INFORMATION LITERACY (IL) anni ’80 Coinvolge soprattutto le associazioni di bibliotecari in ambito statunitense: 1989 American Library Association ha messo a punto un documento fondamentale in cui viene offerta una prima definizione del concetto di IL = insieme delle abilità necessarie all’individuo per riconoscere i propri bisogni informativi e per localizzare, valutare e utilizzare efficacemente le informazioni di cui ha bisogno. Più recentemente, nel 2016 sono stati proposti nuovi standard sintetizzabili nei seguenti principi: ❖ l’autorità è costruita e contestuale (le risorse informative riflettono l’expertise e la credibilità di chi le ha prodotte) ❖ la creazione di informazioni come processo (l’info viene prodotta per trasmettere un messaggio ed è condivisa tramite una determinata modalità di erogazione) ❖ l’informazione ha un valore (è un bene scambiabile sul piano commerciale) ❖ ricerca come investigazione (la ricerca è iterativa e dipende da domande sempre più complesse che ne generano altre) ❖ ricerca come esplorazione strategica (è non lineare, richiede la valutazione di una serie di fonti di informazione e la flessibilità mentale per perseguire strade alternative) ❖ scholarship come conversazione (studiosi, ricercatori e professionisti hanno nuove intuizioni risultanti nel tempo dal confronto di varie prospettive e interpretazioni) L’informazione non è più una componente valutabile singolarmente, ma è un elemento inscindibile dalla sua stessa interpretazione, frutto di un processo di ricerca e contestualizzazione orientato a un fine. 28 Giulia Pierico MEDIA LITERACY (ML) fine anni ’80 Si riferisce alle conoscenze e capacità necessarie per poter usare e interpretare i media, in particolare quelli audiovisivi come cinema e televisione. Buckingham, 2006 due modi per vederla: ottica funzionale: ML consiste nel dotare gli individui di una “cassetta degli attrezzi” costituita da conoscenze e abilità in grado di rendere le persone capaci di comprendere e utilizzare i media; ottica critica: l’accento è posto sulle capacità di analisi, valutazione e riflessione critica → implica lo sviluppo di un metalinguaggio in grado di descrivere il linguaggio dei media, le forme e le strutture delle diverse modalità di comunicazione; comporta la comprensione dei contesti sociali, economici e istituzionali della comunicazione. Include la capacità di uso consapevole e interpretazione dei media, ma anche una comprensione più profonda legata ad aspetti sociali, culturali ed economici (→ Media Education). Livingstone, 2003 la definisce = abilità di accedere, analizzare, valutare e creare messaggi in una varietà di contesti ↓ accesso (disponibilità di media/tecnologie e capacità degli individui di aggiornare costantemente le dotazioni hardware e software) analisi (capacità di tipo analitico tra cui la comprensione di categorie, tecnologie, linguaggi, rappresentazioni e audience) valutazione (dimensioni politico-ideologiche difficili da affrontare) creazione del contenuto (gli individui conseguono una maggiore e più profonda comprensione dei media se hanno esperienza diretta di produzione di contenuti) Il primo a parlare di digital literacy (o digital