Sbobine Istologia e Citologia - 30/09/2024 - Paroloni Silvia PDF

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Università degli Studi di Brescia

2024

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These notes cover an introductory lecture on histology and cytology, including details on the course structure and organization, microscopy techniques, tissue preparation, and relevant examination methodologies. The document mentions different types of microscopes and the importance of cell and tissue preservation.

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Sbobinatore: Fabiana Cacioppo Revisore: Alberto Armanni Materia: Istologia e citologia Docente:...

Sbobinatore: Fabiana Cacioppo Revisore: Alberto Armanni Materia: Istologia e citologia Docente: Paroloni Silvia Data: 30/09/2024 Lezione n°: 1 Argomenti: Introduzione al corso, cenni di immunità, il microscopio INTRODUZIONE AL CORSO E INFORMAZIONI GENERALI ORGANIZZAZIONE DEL CORSO Il corso comprende una parte di citologia, una di istologia e una di embriologia; è importante ricordare l’importanza della citologia all’interno del nostro corso in quanto ci aiuterà ad analizzare e comprendere i tessuti istologici che verranno affrontati. È sulla citologia che si basano molte malattie genetiche e metaboliche, diverse tecniche di immunoterapia sono possibili grazie all’utilizzo di reagenti ed anticorpi basati su studi citologici. Quello che è importante capire è che la citologia risulta essere fondamentale per l’istologia. LIBRI DI TESTO: ISTOLOGIA "ISTOLOGIA" a cura di P. Rosati e R. Colombo, Editore: Edi-Ermes "ISTOLOGIA" di V. Monesi, Editore: Piccin Nuova Libraria "ISTOLOGIA" di L. P. Gartner e J.L. Hiatt, Editore: EdiSES "CITOLOGIA, ISTOLOGIA E ANATOMIA MICROSCOPICA" di Zaccheo e Pestarino, Ed. Pearson "CELLULA E TESSUTI" di Colombo, Olmo, Edi- Ermes "BIOLOGIA DEI TESSUTI" e "BIOLOGIA DELLA CELLULA" a cura di R. Colombo e E. Olmo, Editore: edi-ermes “ELEMENTI DI ISTOLOGIA” a cura di Bloom & Fawcett, Casa Editrice CIC Edizioni Internazio Per un ulteriore approfondimento di citologia (da considerare in prospettiva di un futuro interesse del singolo per la medicina molecolare): "LA CELLULA, un approccio molecolare", G.M. Cooper, R.E. Hausmann, Editore: Piccini EMBRIOLOGIA “Embriologia medica di Langman”, Sadler, editore: Elvesier Masson. Testo storico, uno dei primi. “Lo sviluppo prenatale dell’uomo, embriologia ad orientamento medico” Persaud, editore: EdiSES “Embriologia umana, morfogenesi, processi molecolari, aspetti clinici” De Felici, Boitani ed altri, editore: Piccin. “Embriologia umana”, Larsen, editore: Idelson-Gnocchi. LIBRI CONSIGLIATI COME LETTURA PER INTERESSE PERSONALE: Vittorino Andreoli, Homo stupidus stupidus. L’agonia di una civiltà. Durante il percorso scolastico, l'uso del cellulare e l'esposizione ai campi elettromagnetici portano a una riduzione graduale della capacità di attenzione e concentrazione, soprattutto tra i più giovani. Giuseppe Cruciani, I fasciovegani. Libertà di cibo e di pensiero. In medicina, esistono una serie di medicinali, esami e procedure, tutt’ora ottenuti e perfezionati tramite test sugli animali. CONVALIDE 1 La professoressa richiede che venga evitata la comunicazione via e-mail, saranno garantiti degli orari di ricevimento in cui potrà fornire chiarimenti riguardo delle possibili convalide. L’esame di istologia svolto alla facoltà di farmacia non verrà convalidato in quanto trattato in maniera superficiale. Sarà necessario stampare e compilare i documenti per la convalida da consegnare alla professoressa. Una volta valutata la possibile convalida deve essere ritirato dallo studente il modulo cartaceo firmato dal docente e caricato in comunità didattica MODALITÀ D’ESAME L'esame sarà orale e includerà domande su tutte e tre le parti del programma: citologia, istologia e embriologia. Verrà inoltre richiesto il riconoscimento di un vetrino istologico. Le domande si baseranno su ciò che verrà trattato e spiegato a lezione. ADE (ATTIVITÀ DIDATTICHE ELETTIVE) Ci verrà fornito un elenco dei corsi che potremo frequentare nel corso dell’anno, al termine dei quali ci verrà rilasciato un attestato che dovremo caricare in comunità didattica, con la quale verrà data un’idoneità se avremo totalizzato grazie ai corsi 1 cfu. Oltre agli attestati, dovrà essere caricato anche il nostro libretto personale compilato e firmato. Alla mancanza di almeno uno tra libretto o attestato l’identità non sarà conferita. MICROSCOPIA Cercheremo di capire come e attraverso cosa quello che studieremo è stato analizzato. Esistono differenti caratteristiche morfologiche dei tessuti che affronteremo, analizzate attraverso apparecchiature sofisticate come ad esempio i microscopi. Per farlo è necessario avere acquisito un senso delle misure con cui andremo a lavorare, con la citologia siamo in un campo definito “ultrastrutturale”; andremo infatti a studiare delle strutture cellulari che vanno oltre il potere di risoluzione del microscopio ottico. Il microscopio ottico fu ideato da Galileo Galilei in quanto si rese conto che l’occhio umano aveva un potere di risoluzione di circa 0,1-0,2 mm. Quello che andremo ad utilizzare sarà proprio il microscopio a luce diretta (ottico) con un potere di risoluzione di 0,2 μ (millesima parte del mm). Se noi volessimo osservare tutte quelle strutture che vanno al di sotto dei 0,2μ, come ad esempio la membrana plasmatica, il microscopio ottico non sarà più sufficiente, ma avremo bisogno di quello elettronico, con un potere di risoluzione di 0,1/0,2 nm. Il problema che sorge dall’utilizzo del microscopio ottico e di quello elettronico è il fatto che è necessario attuare una serie di tecniche di “colorazione” che ci permettono di osservare e riconoscere un tessuto, senza questo contrasto cromatico tutto questo non sarebbe possibile. In figura 1 ad esempio possiamo osservare un epitelio stratificato non cheratinizzato che potrebbe essere un esofago, è possibile osservare delle “macchiette” che sono i nuclei. Queste se non fossero state contrastate non sarebbero state visibili. PREPARAZIONE DEL TESSUTO DA ANALIZZARE Un tessuto, per essere analizzato deve essere prima preparato attraverso alcuni passaggi: Fissazione Disidratazione Diafanizzazione Inclusione Sezionamento o taglio, in quanto è necessaria una sezione sufficientemente sottile che permetta ai raggi di 2 luce di passare, altrimenti vedremmo tutto buio. Per poter sezionare ad esempio dei tessuti molli è importante indurirli e successivamente creare delle sezioni sottili (dai 3 ai 6/7 micron) Montaggio Colorazione Fissazione Quando vogliamo osservare delle cellule o dei tessuti è necessario capire come fissarli e come conservarli nel tempo, in modo che queste non si deteriorino. Questa può essere di due differenti tipologie: Chimica (metodo migliore): formalina tamponata (in modo da non alterare il ph e la struttura del tessuto), liquido di Bouin, acido acetico, alcool, parafolmaldeide Fisica: congelamento in azoto liquido, con temperatura di congelamento di -170 gradi (congelamento migliore) oppure congelamento in freezer a -80 gradi. , 3 Sbobinatore: Doaa Abouisteit Revisore: Eleonora Garatti Materia: Istologia e Citologia Docente: Parolini Silvia Data: 01-10-24 Lezione n°: 2 Argomenti: preparazione del tessuto da analizzare, tipi di microscopi e tecniche di colorazione. La professoressa inizia la lezione ricollegandosi alla precedente, stiamo quindi parlando di come valutare dal punto di vista tecnico le cellule (ossia i tessuti) che poi vengono utilizzate per diversi motivi, tra cui diagnosi o ricerca. PREPARAZIONE DEL TESSUTO DA ANALIZZARE Fissazione: Esistono due tipi principali di fissazione dei campioni biologici: Fissazione chimica: è la colorazione più “comoda” in quanto permette di conservare il campione per lunghi periodi. Fissazione fisica (congelamento): permette di mantenere la cellula viva o preservare la struttura biologica senza l'uso di agenti chimici. Tuttavia, il problema principale del congelamento è legato all’espansione dell’acqua, che può danneggiare le cellule. Per evitare questi danni, si utilizzano sostanze specifiche che evitano le criofratture. Il processo di congelamento può causare la morte di alcune cellule, riducendo così la resa del campione. Ad esempio, congelando 1000 cellule, al momento dello scongelamento si potrebbero recuperare solo 600 cellule, a causa dei danni subiti durante il processo. In alcuni casi, si esegue una diagnosi istologica su tessuto congelato, soprattutto quando si richiede una risposta rapida durante un intervento chirurgico. Se durante un'operazione il chirurgo si trova davanti a una situazione inaspettata, può chiedere un'analisi istologica intraoperatoria. In questo caso, viene prelevata una biopsia e inviata in anatomia patologica (dove viene immediatamente congelata con dei provettoni di isopentano che vengono messi in azoto per limitare le criofratture), sezionata tramite un criostato per creare un vetrino che subisce colorazione: questo processo in 15 minuti può essere svolto. Questo tipo di analisi fornisce informazioni rapide, ma la qualità delle sezioni congelate è inferiore rispetto a quelle ottenute con fissazione chimica e inclusione in paraffina. Un altro caso in cui si applica il congelamento avviene per tessuti che in cui qualche modo risentono dei reagenti che vengono utilizzati chimicamente: quando si fissa chimicamente un tessuto poi viene fatta una disidratazione con delle scale di alcol, l’alcol scioglie però certe sostanze come i grassi, per cui ad esempio il tessuto adiposo non può essere analizzato. Il congelamento viene utilizzato anche quando si desidera preservare antigeni specifici, cioè proteine presenti nei tessuti che possono essere riconosciute dagli anticorpi. Alcuni antigeni possono essere alterati dalla fissazione chimica, quindi la crioconservazione è preferibile per mantenere intatta la loro struttura e funzione. Esistono comunque anticorpi che funzionano anche su tessuti fissati chimicamente e inclusi in paraffina, permettendo di ottenere buoni risultati in termini di immunoistochimica, poiché la fissazione chimica preserva la morfologia del tessuto nel tempo. 1 Taglio e sezione: Per ottenere sezioni istologiche da osservare al microscopio, si possono utilizzare tessuti congelati o tessuti inclusi in paraffina. La paraffina è una cera raffinata con un punto di fusione di circa 58°C. Agisce come una cera da candela: è solida a temperatura ambiente e può essere fusa per avvolgere il tessuto (vedi fig. 1). Una volta che la paraffina si è raffreddata, solidifica e forma un blocco che contiene il tessuto. È importante mantenere la temperatura di fusione della paraffina al di sotto di 58°C per evitare la degradazione delle proteine nel campione. Figura 1 Disidratazione e diafanizzazione Prima di includere il tessuto nella paraffina, si esegue una disidratazione del campione, utilizzando soluzioni di alcol in gradazione crescente. Questo passaggio è fondamentale per rimuovere l'acqua, che altrimenti impedirebbe alla paraffina di penetrare correttamente nel tessuto. Per facilitare l'inclusione della paraffina, si usa anche lo xilolo, un solvente efficace ma potenzialmente tossico e considerato cancerogeno. Tuttavia, grazie a rigorose misure di sicurezza, il suo utilizzo in laboratorio è regolamentato. La paraffina deve penetrare nel tessuto, il tessuto deve essere completamente disidratato, vuol dire che tutto quello che è di natura lipidica si scioglie. Una volta che il blocco di paraffina si è solidificato, si procede con la sezione del tessuto tramite un microtomo, nel caso il tessuto fosse stato congelato si procede con il criostato (che è un microtomo messo a freddo, il taglio di solito avviene a -20/-25°. Il procedimento della fissazione, dell'inclusione, del taglio, preparazione del vetrino senza colorazioni dura più o meno 5 giorni, con la colorazione si passa a 15/20 giorni. Colorazione La sezione deve essere quindi colorata, in realtà quando abbiamo un tessuto e dobbiamo capire come si presenta si fa sempre una colorazione ematossilina-eosina che si basa su un colorante basico e un colorante acido. Le colorazioni classiche ci permettono di capire se il tessuto è in buona condizione e, in quella a inclusione, si esegue una sezione di un certo tipo: si considera anche l'orientamento perché i tessuti e gli organi sono strutture tridimensionali, ma quando prepariamo dei vetrini, otteniamo immagini bidimensionali. Quindi, possiamo vedere il pezzo in un certo modo, ma non è detto che lo stiamo tagliando dal punto di vista giusto (vedi fig. 2). Possiamo mettere in ordine le sezioni per ricostruire un'immagine tridimensionale del tessuto. Prima della colorazione, dobbiamo rimuovere la paraffina e disidratare il tessuto, e poi reidratare la sezione per permettere al colorante di penetrare adeguatamente. Figura 2 Perché si usa un colorante acido e basico? Si utilizza un colorante basico per colorare gli acidi nucleici, che tendono ad essere più acidi, e un colorante acido per colorare il citoplasma, che tende ad essere più basico. Esistono anche altri coloranti (vedi fig. 3): i nostri tessuti non sono costituiti solo da cellule ma anche da matrice extracellulare: ad esempio la miscela Azan Mallory colora la matrice cellulare di azzurro, la matrice extracellulare è importante perché ci dà un'idea della struttura della cellula e dell'architettura del tessuto. Possiamo avere anche il problema di mettere in risalto zuccheri neutri: si usa l'acido periodico di Schiff per colorare le sostanze neutre. 2 Riassumendo, i coloranti più utilizzati sono: - Ematossilina-Eosina, Base-Acido - Coloranti metacromatici come il Blu di Toluidina - Miscela Azan Mallory - Acido periodico di Schiff Colorazioni come ematossilina-eosina si basano sull’affinità acido-base ma abbiamo colorazioni come l’ematossilina ferrica o l’acido di Schiff che non sono colorazioni classiche ma sono colorazioni istochimiche, queste colorano specificamente alcune componenti chimiche, come le molecole di zucchero o la matrice extracellulare… l’ematossilina ferrica si lega ad esempio nella mioglobina o alle proteine che troviamo nei globuli rossi. Esistono colorazioni chimiche specifiche, come quella di Giemsa e Wright per le cellule del sangue e del midollo osseo: in questo caso, si utilizzano tre coloranti: uno acido, uno basico e uno neutro, perché le componenti delle cellule ematiche (come gli eritrociti) possono essere acide, basiche o neutre, e dunque si richiede un pannello di coloranti che permetta di evidenziare i vari componenti cellulari. Figura 3 MICROSCOPIAi (vedi fig. 4) Galileo Galilei fu il primo a concepire l'idea di un microscopio, inizialmente si utilizzavano delle lenti per ingrandire gli oggetti, ma queste non permettevano un grande ingrandimento: si pensò allora di creare un sistema di lenti (lenti sopra e lenti sotto collegate da un tubo), che è alla base del microscopio moderno. Se si pone una lente a livello dell’obbiettivo e una a livello dell’oculare, entrambe da 10 x, l’ingrandimento sarà 10 x 10: il salto di qualità è notevole. I microscopi col tempo sono stati migliorati sia come fonti di luce che per l'analisi, e oggi possono utilizzare luci di diverse lunghezze d'onda, come la luce UV e la luce fluorescente, oggi i microscopi possono anche essere collegati al computer per proiettare l'immagine sullo schermo. Figura 4 La luce nel microscopio proviene dal basso, e il vetrino con una sezione sottile permette ai raggi luminosi di attraversarlo. I microscopi ottici di oggi utilizzano diversi tipi di luce (luce diretta, UV), ma hanno un limite di risoluzione dovuto alla diversa lunghezza d'onda della luce. Per superare questo limite, si utilizza il microscopio elettronico, che impiega un fascio di elettroni con una lunghezza d'onda molto inferiore, permettendo di aumentare il potere di risoluzione. I microscopi ottici sono dotati di sistemi di condensatori, diaframmi e filtri per migliorare la qualità della luce e concentrare il raggio sul vetrino. Il microscopio elettronico ha due sistemi di lenti che creano un sistema di accelerazione (determinata da un anodo e un catodo), il flusso di elettroni colpisce il campione. Le immagini prodotte non sono colorate ma appaiono in diverse gradazioni di grigio, poiché il bombardamento del campione con elettroni genera zone più o meno dense: 3 ad esempio, le proteine tendono ad essere più dense di elettroni rispetto ad altri componenti. Il sistema è collegato ad un computer che proietta le immagini, permettendo di analizzarle. Esistono due tipi principali di microscopio elettronico: Microscopio elettronico a trasmissione (TEM): - Richiede sezioni sottilissime, intorno ai 200-500 nm. - La sezione viene bombardata dagli elettroni e come al microscopio ottico fornisce immagini bidimensionali. Microscopio elettronico a scansione (SEM): - Si utilizza la tecnica di freeze-fracture (congelamento e frattura), che comporta il congelamento della cellula o di un gruppo di cellule e la successiva frattura a livello della membrana o del nucleo. Successivamente, si bombardano le superfici esposte con sali metallici, si crea un piccolo stampo che segue l'andamento delle cellule e si analizza il tutto con un flusso di elettroni, ottenendo immagini tridimensionali. Un esempio di utilizzo per quanto riguarda questo microscopio è l'analisi della struttura del coronavirus. Microscopio a contrasto di fase È un microscopio relativamente semplice, dotato di un diaframma di fase costituito da un anello e un cerchio centrale, il pregio di questo microscopio è che i raggi luminosi arrivino in modo obliquo, questo è particolarmente utile per osservare cellule o tessuti che non possono essere colorati. Grazie all'illuminazione obliqua, si aumenta il contrasto, permettendo di visualizzare meglio le strutture cellulari. Microscopio rovesciato In questo tipo di microscopio, la luce proviene dall'alto (a differenza del classico dove viene da sotto) e colpisce l'oggetto che viene osservato, si può utilizzare per osservare le cellule. Microscopio confocale a scansione laser È molto importante nella ricerca scientifica per la sua precisione, la sua caratteristica principale è quella di rilevare solo sostanze fluorescenti, che si legano a determinate strutture (ad esempio proteine), il problema è che sono visibili solo al buio. Ha un potere di risoluzione maggiore e permette di ottenere immagini più nitide, avendo diversi piani focali grazie al computer è possibile creare un'immagine dai vari strati della cellula, un po' come accade con una TAC. TECNICHE ISTOCHIMICHE E IMMUNOCHIMICHE Le tecniche di evidenziazione possono essere di due tipi: Isto-citochimiche: si basano sull'attività degli enzimi, su reazioni chimiche e su altri fenomeni chimico-fisici legati al costituente che si vuole evidenziare. Possono mettere in risalto diverse sostanze chimiche, strutture, organi e tessuti. Immunoistochimiche: permettono di utilizzare anticorpi specifici per un determinato antigene o marker di una cellula e mettere in evidenza dove si trova il determinato marker. Si usano anticorpi specifici per molecole specifiche. Le sostanze fluorescenti si usano raramente; solitamente, gli anticorpi sono associati a materiali cromatici che si vedono come se fosse una colorazione normale. Questo tipo di colorazione viene visualizzato in campo chiaro e non in campo scuro, facilitando la diagnosi e permettendo l'uso degli anticorpi per rilevare specifiche molecole. 4 Quando si cerca di diagnosticare un tumore, ad esempio, si può usare l'immunoistochimica per rilevare una proteina espressa a livello del tumore. Se i risultati non sono chiari, si può ricorrere a tecniche come l'ibridazione per rilevare molecole di mRNA, verificando se la proteina viene codificata a livello delle cellule. Per ottenere gli anticorpi, si utilizzano animali come i topi, la proteina d'interesse viene iniettata nell'animale, e poi si estrae la milza per creare ibridomi, cellule che producono anticorpi specifici per quella proteina. ii (vedi fig. 5) Gli ibridomi sono linfociti B ibridati con cellule di mieloma murino (che essendo tumorali sono immortali) per creare cellule immortali che continueranno a produrre anticorpi specifici: questa è la produzione di anticorpi monoclonali. Se si utilizzano animali di dimensioni maggiori (coniglio, maiale, ecc…), questi vengono immunizzati, si preleva il sangue e si può notare che sono stati prodotti anticorpi policlonali. Il vantaggio dell’ibridoma è che una volta selezionato da un animale non c’è più bisogno di sacrificare altri animali in quanto l’ibridoma può essere congelato e scongelato e continuare a produrre anticorpi. È importante che l’anticorpo sia marcato con una sostanza cromatica o fluorescente che è possibile vedere al microscopio. Figura 5 Citofluorimetria La citofluorimetria è una tecnica che analizza le cellule attraverso un sistema idraulico che utilizza tubicini: si fornisce un tubicino con le cellule, il citofluorimetro possiede diversi laser a lunghezza d’onda diverse che colpendo le cellule possono rilevare le dimensioni delle cellule, se sono fluorescenti o meno, vive o morte. (vedi fig. 6) L’utilizzo di questo strumento è importante nelle analisi sanguigne, può rilevare ad esempio le diverse popolazioni cellulari. Le caratteristiche della citofluorimentria sono: - Analizza l'intensità della fluorescenza. - Sistema molto preciso. - Può analizzare moltissime cellule (fino a 10.000) in pochi secondi, quindi può analizzare centinaia di campioni al giorno. - Fornisce risultati rapidi. - Identifica cellule con specifici marker e le separa. Figura 6 i La professoressa dice che ne parleremo spesso ma introduce due cose importanti da fare quando utilizziamo un microscopio: partire sempre con l’obiettivo più piccolo e regolare la distanza oculare. ii La professoressa accenna che sono presenti metodi diretti o indiretti, essendo il metodo indiretto complicato non approfondiremo più di troppo: utilizziamo sistemi di anticorpi che permettono di amplificare il segnale. 5 Sbobinatore: Annalisa Chiarolini Revisore: Greta Gulotta Materia: Istologia e citolgoia Docente: Silvia Parolini Data: 04-10-2024 Lezione n°: 3 Argomenti: Citofluorimetria, cellula procariotica ed eucariotica, istologia, citologia, componenti organiche. Domanda dello studente: chiarimento sulla differenza tra tecniche di colorazione di immunoistochimica e immunofluorescenza. Noi abbiamo visto che le sezioni devono essere colorate, per questo conosciamo tecniche di istologia classica, in cui ci si basa su coloranti che hanno affinità elettrostatica, acido-base, come l’ematossilinaeosina, e che ci permettono di contrastare nuclei e citoplasmi. Poi c’è anche la citochimica o istochimica, che permette di mettere in risalto delle sostanze chimiche: ad esempio la reazione di Feulgen che mette in evidenza il DNA; la reazione con l’acido periodico di Schiff che mette in risalto il glicogeno, quindi le componenti glucidiche; le reazioni enzimatiche che danno un substrato alle cellule per vedere se ci sono enzimi che utilizzano quel determinato substrato. Quindi la citochimica e l’istochimica usano dei coloranti specifichi per delle sostanze chimiche. D’altra parte, le tecniche di immunoistochimica, immunocitochimica e immunofluorescenza utilizzano sempre degli anticorpi specifici per una determinata proteina che ha proprietà antigeniche. La differenza fra immunoistochimica e immunofluorescenza sta nel fatto che nel caso della seconda usiamo degli anticorpi coniugati a sostanze fluorescenti e come tali possono essere evidenziate solo in un campo buio, mentre l’immunoistochimica utilizza sempre degli anticorpi che però sono coniugati a degli enzimi (come la perossidasi) che sono in grado di fare precipitare delle sostanze cromatiche che noi possiamo vedere in un campo chiaro. Fondamentalmente l’immunoistochimica e l’immunocitochimica (di cui la maggior parte sono tecniche di immunoperossidasi) vengono utilizzate soprattutto per il microscopio a luce diretta: quando noi guardiamo qualcosa al microscopio, infatti, è più facile osservarlo con un microscopio a luce diretta piuttosto che a fluorescenza, perché è molto più comodo. E anche i tessuti e gli organi è meglio averli in visione cromatica, così da avere una visione più completa della sezione. Infatti, se in figura (Fig. 1) avessimo usato la tecnica dell’immunofluorescenza (Fig. 2) vedremmo solo le linee di contorno senza vedere i nuclei, e il tutto sarebbe visibile solo al buio. Fig. 1 Fig. 2 1 CITOFLUORIMETRIA È un modo più computerizzato di analizzare le cellule che ci anche delle statistiche; però deve analizzare delle cellule disperse in un terreno: non possiamo mettere dei blocchetti di tessuto al citofluorimetro perché analizza cellula per cellula, ha un sistema idraulico di tubicini molto delicato. Per chi volesse fare delle analisi di citofluorimetria ci sono dei sistemi di disgregazione del tessuto per rendere le cellule distaccate e ci sono, appunto, dei sistemi enzimatici (dei kit) che permettono di disgregare il tessuto per poi andare ad analizzarlo. Si perde qualcosa con questi sistemi? Si, si perde molto, ma dipende insomma da cosa uno vuole andare a cercare. La professoressa specifica di non volersi fermare più di tanto sulle tecniche, già viste nella lezione precedente. COMPONENTI ORGANICHE CELLULA PROCARIOTA ED EUCARIOTA La cellula procariota (Fig. 3) viene paragonata dalla professoressa ad una casa in cui c’è una stanza e quella stanza contiene tutto, perché non abbiamo nucleo, sistema membranoso e una scompartimentazione interna, come invece è per la cellula eucariota (Fig. 4), paragonata ad una casa con diverse stanze, che grazie allo scompartimento interno ha permesso di poter raggiungere delle specializzazioni e degli organismi più evoluti rispetto alle cellule procariotiche. Dunque, se da una parte la cellula procariota ha una struttura molto semplice, d’altra parte nella cellula eucariota possiamo evidenziare la membrana, il nucleo, il citoplasma e i vari organuli. Noi parleremo di organuli che sono stati studiati dal punto di vista ultra strutturale della microscopia elettronica, che si differenzia dalle semplici strutture, perché le ultra strutture riguardano tutte quelle cellule che possono essere analizzate solo in microscopia elettronica, e che quindi vanno oltre il potere di risoluzione del microscopio ottico. Dunque, quando parliamo di strutture, parliamo di strutture che chiaramente possono essere osservate al microscopio. La professoressa consiglia di guardare le dispense perché non vuole soffermarsi troppo sulle cellule. Fig. 3 Fig. 4 VIRUS La professoressa salta l’argomento dicendo che ce ne avrebbero parlato a biologia. Accenna solo al fatto che sono cellule che infettano, e non cellule autonome, quindi sono microrganismi che infettano altre cellule per potersi riprodurre. ISTOLOGIA Istologia = studio dei tessuti. Noi faremo una parte di citologia per capire istologia e da lì avremo modo di classificare i vari tessuti (epiteliali, connettivi, ecc…), per trattarli in modo internazionale, così che li sappiamo classificare come fanno in ogni parte del mondo, andando a valutarli in base alle loro caratteristiche morfologiche e funzionali. Daremo anche attenzione al fatto che i tessuti vanno incontro ad un continuo ricambio, ma ogni cellula può usufruire di un numero limitato di replicazioni, infatti le nostre cellule, una volta differenziate, vanno incontro ad un invecchiamento, cosa che nelle cellule tumorali non succede in quanto hanno perso il controllo della replicazione e continuano a replicarsi. 2 La professoressa si sofferma su un concetto importante Perché tra le forme tumorali sono più numerosi i carcinomi? Perché sono quelli che si replicano più facilmente. Ma a livello epiteliale, che ha un veloce ricambio, le cellule, man mano che si replicano, generano anche delle cellule staminali che continueranno a riprodurre e a ricambiare il tessuto. Quindi quando parliamo di cellule proliferanti intendiamo la capacità di rinnovamento e differenziamento, ma nel replicare si avranno delle replicazioni asimmetriche che danno origine a delle cellule staminali, cioè: una cellula basale staminale comincia a differenziarsi, ma una volta duplicata, una delle due cellule rimane come staminale e l’altra va a differenziarsi, quindi: ha più cellule staminali un bambino o un anziano? Un anziano, perché ha un ciclo di differenziamento più rallentato. Precisazione: una delle due cellule rimarrà staminale, mentre quella che si differenzierà darà origine a sua volta a delle divisioni però di tipo simmetrico. Per quanto riguarda l’aspetto morfologico e funzionale delle cellule, l’aspetto morfologico rispecchia sempre l’aspetto funzionale, perché sono due cose collegate: se noi guardiamo un neurone, i suoi aggrovigliamenti ci suggeriscono che lui deve collegarsi attraverso essi ad altre cellule. Dalla morfologia di cellule tondeggianti, invece, possiamo capire che il loro ruolo è quello di viaggiare nei vasi sanguigni e che quella è la morfologia migliore che gli permette di farlo, così come l’osteocita crea una serie di canalini per entrare in comunicazione con le altre cellule. (Fig. 5) Fig.5 3 Da questo schema (Fig. 6) si può vedere come vengono classificati tutti i nostri tessuti. Che si dividono in epiteli (di rivestimento, ghiandolari esocrini, ghiandolari endocrini…), connettivi (di sostegno, propriamente detti…), tessuti muscolari e tessuti nervosi. Fig. 6 COMPONENTI ORGANICHE L’acqua è la fonte della nostra vita, la nostra materia organica è composta in gran parte da essa. I nostri composti organici sono fondamentalmente composti da 4 elementi che sono H, C, N, O. Abbiamo poi una piccola percentuale costituita da elementi come cloro, potassio, magnesio. Percentuali di biomolecole nel nostro corpo: acqua 60%, sali minerali 4%, glucidi 1%, lipidi 17%, peptidi 18%. Le molecole della cellula in acqua possono formare diversi sistemi, noi abbiamo sistemi che possono essere soluzioni, sospensioni, e colloidi. Detto questo, il concetto di base è che tutte le molecole sono collegate all’acqua, che di particolare ha il fatto di essere in grado di creare legami ponti a idrogeno ed è fondamentalmente bipolare, perché ha una carica negativa e una positiva che gli permettono di stabilire una serie di interazioni elettrostatiche. Detto questo facciamo una carrellata di sostanze organiche Zuccheri Sono molecole presenti in piccola percentuale nell’organismo (es. glucosio e glicogeno)e hanno funzione di riserva energetica: su di essi infatti si basano i sistemi metabolici (ma non si basano solo su zuccheri: anche sulle proteine per esempio). Gli zuccheri li troviamo presenti sulla membrana plasmatica, oltre che nelle molecole di RNA e DNA, ma sono anche una componente fondamentale della maggior parte di proteine, perché noi abbiamo soprattutto glicoproteine nel nostro organismo (è difficile trovare delle proteine da sole), quindi un sistema di molecole proteiche, che, a parte alcuni enzimi, sono sempre glicosilate: ad esempio gli zuccheri sulla membrana plasmatica hanno un ruolo antigenico molto importante perché vanno a costituire gli antigeni di istocompatibilità. Tutte le nostre cellule esprimono queste molecole (antigeni di istocompatibilità), che sono quelle che fanno in modo che le nostre cellule si riconoscano e siano riconosciute dal nostro sistema immunitario. E la componente glucidica in questo caso ha un ruolo fondamentale in questo riconoscimento. 4 Gli zuccheri possono essere monosaccaridi, come il glucosio, disaccaridi, come il saccarosio, o polisaccaridi, come il glicogeno. Lipidi L’altra componente importante sono i lipidi, costituiti da acidi grassi che vanno a combinarsi con il glicerolo per creare molecole più complesse che hanno anche la caratteristica di costituire molecole anfipatiche che troviamo a livello di tutte le membrane sia plasmatiche che quelle degli organuli all’interno del citoplasma. Tra i lipidi abbiamo una famiglia di acidi grassi che si combinano a gruppi fosfati o a gruppi carboidratici, quindi anche qua è difficile trovare dei singoli lipidi. Le molecole che vanno ad associarsi con dei composti che creano una testa idrofilica sono definite molecole anfipatiche, cioè che hanno un gruppo non lipidico che può stabilire dei contatti con un sistema acquoso e le due catene degli acidi grassi che invece sono la componente idrofoba. Vedremo come si organizzano. Queste molecole anafipatiche sono alla base delle caratteristiche della membrana cellulare. La membrana plasmatica è costituita da un doppio strato di fosfolipidi che circondano le cellule, e la particolarità dei lipidi è che la parte idrofila viene a contatto o con l’ambiente acquoso intracellulare e con quello esterno. I lipidi vanno poi a formare delle strutture che servono come riserva energetica, accumulandosi nel tessuto adiposo, costituito da adipociti, che hanno una grossa gocciola all’interno che non sono altro che lipidi immagazzinati sotto forma di trigliceridi (Fig. 7). Oltre che come riserva energetica i lipidi servono anche a stabilire la disposizione degli organi interni e a completare la Fig. 7 struttura dei vari organi (come la pianta dei piedi). DNA e RNA Il DNA è la componente dei nostri cromosomi ed è a doppio filamento, mentre l’RNA, a singolo filamento, ha diverse funzioni per la sintesi e il trasporto di proteine. La professoressa non si sofferma troppo sull’argomento in quanto ritiene che dovremmo già conoscerlo. Proteine Come dicevamo prima gli amminoacidi vanno a costituire le catene polipeptidiche. Gli amminoacidi sono di diverso tipo, si legano attraverso legame peptidico per formare una catena polipeptidica, ovvero una proteina. Il legame peptidico si instaura tra il gruppo carbossilico e il gruppo amminico dell’amminoacido con la perdita di una molecola d’acqua. La Struttura dell’amminoacido è data da un gruppo amminico, un gruppo carbossilico, un H e un gruppo radicale diverso a seconda dell’amminoacido che consideriamo (Fig. 8), e la diversità delle proteine dipende dalla sequenza primaria, cioè dal tipo di amminoacidi che la costituiscono. Ma l’altra particolarità è che è difficile che la proteina non abbia componenti glucidiche. Quindi ricordiamoci che parliamo sempre di glicolipidi, lipoproteine, glicoproteine, che quindi sono Fig. 8 sempre coniugati, e difficilmente da soli. Ci sono diversi sistemi per catalogare gli amminoacidi: oggi si usano le lettere per descrivere la sequenza di una proteina, e si fa perché dal tipo di amminoacidi presenti noi possiamo capire la struttura della proteina: ad esempio, se ha componenti idrofobici piuttosto che idrofilici. Strutture: primaria; secondaria, che può essere ad alfa-elica (α-elica) o a beta-foglietto (β-foglietto) (strutture tipiche di tutte le proteine); struttura terziaria, che può essere globulare o fibrosa. Noi abbiamo dei sistemi di proteine fibrose tipo collagene o cheratina e globulare tipo l’emoglobina. Conoscere una determinata proteina, oltre che poter indicare tante caratteristiche di una cellula, può anche aiutare a capire se è una proteina recettoriale piuttosto che enzimatica o fibrosa: avendo dei dati e delle analisi biochimiche possiamo capire tanto sulle sue funzioni, perché non basta solamente individuare una proteina: è importante anche avere delle analisi biochimiche che dicono che ruolo abbia. La professoressa fa due differenze tra l’approccio cellulare istologico e quello genetico: quando noi facciamo una ricerca spesso partiamo da una nuova proteina e da lì cerchiamo di capire qual è il gene, dove si trova, quando è espresso e quando no. Il genetista, invece, parte dall’individuazione di certi geni compiendo delle analisi 5 fantastiche, ma se poi gli si chiede a cosa servono certi geni non sempre sa dare una risposta: da qua si capisce che quelle istologiche e quelle genetiche sono competenze e visioni molto diverse. Noi a livello genetico abbiamo sequenziato tutto il DNA, ma di quel DNA noi conosciamo una piccolissima parte delle sue funzioni, perché sappiamo molto poco di come viene regolato, attivato, disattivato e di tutto ciò che comporta l’attivazione e la disattivazione dei geni. L’istologo invece guarda l’effetto di una certa proteina su un certo tessuto e fa poi un discorso genetico, però intanto parte da quella proteina, guarda che funzione ha, a che cosa serve, e che ruolo ha: sono due approcci diversi, modi diversi di fare le ricerche, ma non c’è solo genetica. Se noi ora abbiamo dei farmaci, non è che li hanno trovati dal punto di vista genetico, in realtà sono state trovate certe funzioni con certe proteine e dopo di che si è cercato di bloccare quelle proteine o di bloccare certe funzioni, però capite che c’è un approccio diverso. Essenzialmente: a livello istologico si parte dalle proteine e poi si va a monte ad analizzare il gene, mentre il genetista parte dalla conoscenza dei vari geni che possono essere più o meno espressi in certi organi, ma noi non sempre sappiamo a cosa servono quei geni. La professoressa fa un esempio riguardo alle immunodeficienze congenite: in alcuni casi si è sicuri che il bambino ha tutte le caratteristiche per avere quel difetto genetico, ma se si va a sequenziare il gene e non si trova la mutazione, allora viene naturale dire che c’è qualcosa che non quadra, ma in realtà c’è semplicemente qualcosa che ancora non consociamo. Quindi l’aspetto genetico molte volte non è sufficiente: un altro esempio è quello della sindrome proliferativa, dove si sapeva che una certa proteina era mutata ma non si sapeva che era associata ad una serie di recettori, cosa che diversamente, con un’immagine istologica si sarebbe potuta capire. Membrana cellulare Le membrane plasmatiche, pur avendo una struttura unitaria (unitaria perché l’architettura della membrana è uguale anche per tutti gli organuli interni, così come tutte le case hanno una struttura architettonica, poi ovviamente c’è la casa di legno o quella di cemento…) avranno degli aspetti funzionali, recettori e delle caratteristiche diverse, cosi come glicoproteine e recettori espressi a livello di membrana che sono diversi da cellula a cellula e che hanno diverse funzioni. Quando sono state individuate le caratteristiche della membrana? Quando è stata fatta un’analisi col microscopio elettronico a trasmissione e si è osservato una specie di foglietto trilaminare (Fig. 9) e lì si è visto che tutte le cellule ce l’avevano, dove le due zone più dense erano proteine o glicoproteine e la parte più chiara e interna era costituita da lipidi. Quando è stata vista questa immagine negli anni 40/50 si era visto che questo involucro aveva uno spessore di 7/10 nm, che la composizione era analoga a quella degli organuli interni, e che aveva la funzione di separare l’ambiente extracellulare da quello intracellulare, anche se col tempo ci si rese conto che le funzioni erano non solo la separazione dei due ambienti, ma permetteva anche scambi fra di essi, il controllo della moltiplicazione cellulare, il controllo delle interazioni delle cellule e anche la maturazione di messaggi. (Fig. 10). Fig. 10 Fig. 9 La concentrazione dei lipidi e delle proteine può cambiare così tanto perché se noi andiamo a vedere la membrana plasmatica di una cellula gliale nel tessuto nervoso vediamo che abbiamo un 80% di lipidi e un 20% di proteine, in quella mitocondriale, invece, abbiamo un 30% di lipidi e un 70% di proteine, perché le membrane che svolgono una notevole funzione recettoriale o enzimatica hanno una componente proteica molto 6 più importante: per esempio, nelle cellule di Schwann abbiamo un 80% di lipidi perché hanno un effetto isolante che permette la non dispersione dell’impulso elettrico. Fondamentalmente, quando abbiamo visto il foglietto trilaminare, prima di capire che la membrana era coinvolta in tutte quelle funzioni che abbiamo visto, si pensava che fungesse solo come separazione dall’ambiente extracellulare, infatti, al tempo, si pensava che gli strati più densi fossero costituiti da proteine fibrose, cioè che creavano due strati compatti come se fosse un panino, solo che una struttura come questa non avrebbe combinato con il concetto di scambi, di interazione tra cellule, di controllo della moltiplicazione cellulare, e di trasporti di sostanze, quindi un sistema di proteine fibrose non andava bene e per questo negli anni ‘70 Singer e Nicholson capirono che quelle proteine erano globulari, e non fibrose, perché per spiegare quelle funzioni della membrana, le proteine devono potersi muovere attraverso il doppio strato fosfolipidico (cosa che potevano fare le proteine globulari), mentre delle proteine fibrose appoggiate non potevano dare la possibilità di tutte quelle funzioni della membrana: è stato così definito il modello di membrana a mosaico fluido, e non rigido come si pensava. 7 Sbobinatore: Jaifia Kumar Revisore: Komaldeep Kaur Materia: Istologia Docente: Parolini Silvia Data: 07/10/2024 Lezione n°: 4 Argomenti: la membrana plasmatica e i trasporti di membrana La professoressa riprende l’argomento della storia della membrana plasmatica. Il modello proposto da Davson e Danielli (1953) formato da proteine di tipo fibroso disposte sul versante citoplasmatico (rivolto verso l’interno della cellula) e sul versante esterno della cellula non quadrava con quello che erano le funzioni della membrana, ovvero non conferivano plasticità alla membrana plasmatica. Solo successivamente si capisce che si tratta di una composizione bilayer fosfolipidica. LA MEMBRANA PLASMATICA E I TRASPORTI DI MEMBRANA LA COMPOSIZIONE DELLA MEMBRANA PLASMATICA Si ipotizzò il concetto di foglietto trilaminare della membrana plasmatica: vi sono zone elettrondense, dove sono situate le proteine e zone più chiare, che è costituita da lipidi. Solo successivamente si capisce che la membrana plasmatica è composta da un bilayer fosfolipidico a cui si associano le proteine globulari che fluttuano nella membrana stessa, e presentano una componente glucidica associata che è rivolta verso l’ambiente esterno della cellula. Si tratta di un modello a mosaico fluido di Singer e Nicolson del 1972). La componente glucidica dei polisaccaridi è rivolta verso l’ambiente esterno. Osserviamo l’immagine della membrana: essa è costituita da un bilayer fosfolipidico costituto dal doppio foglietto di fosfolipidi (molecole anfipatiche) in cui le code idrofobiche dei fosfolipidi sono rivolte verso l’interno e le teste idrofiliche rivolte verso l’esterno e interno. Le proteine possono passare da un versante all’altro, la parte rivolta verso l’esterno presenta delle catene glucidiche e la parte rivolta verso l’interno non le presenta. Se sollecitiamo una cellula ad un polo, i recettori coinvolti nel riconoscimento della sollecitazione, si spostano a quel polo della cellula: ciò significa che il bilayer fosfolipidico è una struttura molto fluida. Il fibroblasto è una cellula che produce la matrice extracellulare dei tessuti connettivi, ha circa 40% di lipidi sulla membrana cellulare e circa 60% di proteine. Invece, le membrane mieliniche rappresentano circa l’80% di lipidi poiché fanno da isolante e sono costituite da circa 20% di proteine. La componente carboidratica si trova sulla parte esterna della cellula, sugli eritrociti si trova in percentuale maggiore, 8%, poiché presenta una serie di molecole antigeniche. La membrana mitocondriale è ricca di fattori proteici perché svolge un ruolo importante di ATP sintetasi, La componente lipidica è rappresentata da fosfolipidi, sfingolipidi, glicolipidi e colesterolo (garantisce rigidità alla membrana e quindi meno fluidità). I fosfolipidi sono la specie prevalente e si divide in: fosfatidilserina, fosfatidiletanolammina, fosfatidilcolina e sfingomielina. La struttura e la composizione di queste molecole fa sì che 1 1 esse siano anfipatiche ovvero dotate di una porzione polare idrofila (testa) e una parte idrofoba (la coda). Inoltre, abbiamo glicolipidi e glicoproteine che vanno a completare la composizione della membrana. I principali fattori che influiscono sulla fluidità della membrana sono le caratteristiche delle code alifatiche dei fosfolipidi. Le teste polari sono formate per lo più da glicerolo legato a composti azotati (colina, serina, etanolamina) mediante un ponte fosfato. La presenza di un doppio legame introduce un ripiegamento nella catena di acidi grassi e ciò determina un ingombro sterico della coda, favorendo la fluidità della membrana. I fosfolipidi ricchi di acidi grassi saturi formano, invece, doppi strati molto compatti e non fluidi. Un lipide fondamentale nel regolare la fluidità delle membrane è il colesterolo. Intercalandosi tra i fosfolipidi, il colesterolo limita la fluidità e conferisce maggiore rigidità alla membrana. Un fattore importante di fluidità della membrana è la temperatura: siamo degli organismi omeotermi, la nostra temperatura di 36,5-37% °C conferisce fluidità alla membrana. La componente proteica è una componente fondamentale nella composizione delle membrane. Esse conferiscono alle membrane funzionalità specifiche grazie ad attività enzimatiche. La professoressa fa esempio del recettore- ligando, un sistema recettoriale di proteine riconoscono un certo ligando. La componente proteica è costituita da proteine globulari: le proteine estrinseche o periferiche sono associate solo con la superficie esterna o interna della membrana, quelle transmembrana invece la attraversano. Esse rappresentano amminoacidi con carica all’esterno in grado di interagire con l’ambiente acquoso, mentre all’interno della membrana ci sono amminoacidi neutri capaci di interagire con un ambiente idrorepellente. Le proteine transmembrana si possono distinguere in: single-pass, attraversano la membrana una volta, e multi- pass o serpentine, attraversano più volte la membrana, un esempio sono le acquaporine che sono dei canali che permettono il passaggio di molecole di acqua. Le proteine di membrana svolgono diverse funzioni: 2 1 La componente carboidratica è associata a lipidi e proteine ed è costituita da glicoproteine e glicolipidi. I carboidrati si trovano solo sulla faccia non citosolica della membrana per cui nella parte esterna, nelle membrane degli organuli cellulari sono rivolti verso il lume del compartimento. Una delle funzioni importanti è il riconoscimento cellulare. (esempio: quando si mette un linfocita vicino ad una cellula tumorale, il linfocita cerca di riconoscere la cellula, tutti i recettori coinvolti nel riconoscimento si posizionano nel punto di contatto con la cellula tumorale. Quello spostamento è dovuto alla fluidità della membrana e il citoscheletro interno). Esempio di proteina legata al foglietto esterno della membrana plasmatica per mezzo di ancore di glicosilfosfatidilinositolo (GPI). Le proteine di membrana sono legate ad essa tramite GPI che vengono legate alla proteina nel RER. Le proteine adese sul lato interno vengono sintetizzate sui ribosomi liberi nel citoplasma e poi modificate con l’aggiunta di lipidi e tramite questi spesso si ancorano alla membrana. La professoressa fa un esempio: i marcatori per linfociti natural killer, cd56 positive hanno le GPI adese all’esterno per attaccare una cellula infettata da un virus e creano così dei sistemi di adesione e di riconoscimento. I rafts lipidici sono delle isole in cui vi è un accumulo di colesterolo e di GPI e quindi una maggiore rigidità della membrana e diminuisce la fluidità. Sono importanti per i processi di endocitosi e il riconoscimento mediato da recettore. Tutti i sistemi che endocitano delle sostanze specifiche sono delle GPI fanno dei sistemi selettivi, il recettore riconosce solo determinate sostanze che vengono endocitate. Dimostrazione sperimentale della natura fluida del doppio foglietto lipidico della membrana: la professoressa ribadisce il concetto di fluidità facendo esempio dell’ibridoma, se prendiamo due cellule e le fondiamo per formare un ibridoma, se una di esse ha il recettore e l’altro non presenta lo stesso recettore esso va a distribuirsi in maniera omogenea successivamente sull’ibridoma. 3 1 I TRASPORTI DI MEMBRANA Le funzionalità della membrana sono molte, non si può parlare di un sistema rigido, ma di un sistema in cui le proteine hanno un ruolo centrale e determinano la specificità della cellula e ciò lo vediamo negli studi delle ricerche di antigeni e recettori su cellule tumorali, servono per aspetti terapeutici, farmacologici e diagnostici. Sappiamo che la membrana presenta una permeabilità selettiva, segue le regole dell’osmosi e ci permettono di capire quali molecole possono passare. Quindi attraversano la membrana ioni: Mg2+, K+, Ca+, Cl-, Mg2+, H2O; possono attraversare la membrana le piccole molecole (glucosio, acidi grassi, amminoacidi, glicerolo) e prodotti del catabolismo cellulare e alcune proteine. L’acqua ha un sistema proprio, principalmente attraversa la membrana grazie alle acquaporine. Il trasporto può essere passivo, senza consumo di energia, oppure attivo, con consumo di energia. Osservando l’immagine A vediamo che la cellula (la professoressa fa l’esempio dell’eritrocita) è immersa in una soluzione ipertonica e tende a restringere. Se la cellula è immersa in una soluzione ipotonica (figura B) l’eritrocita tende a scoppiare, l’acqua tende ad entrare attraverso la membrana. Il plasma è una soluzione tamponata e isotonica. I liquidi interstiziali del nostro organismo devono essere ad un determinato tampone e devono essere isotoniche. Se la cellula si trovasse in una soluzione isotonica la concentrazione rimane uguale e non comporta cambiamenti alla cellula. La permeabilità fisiologica delle membrane plasmatiche delle cellule va ben oltre la semipermeabilità perché attraverso il plasmalemma passano non soltanto il solvente (acqua), ma anche molte molecole in essa disciolte. Il sodio è più concentrato nell’ambiente esterno rispetto all’ambiente interno, ciò vuol dire che la cellula controlla la quantità di sodio all’interno e quello in eccesso viene portato fuori. Il potassio è più concentrato nell’ambiente interno rispetto a quello esterno. La membrana plasmatica stabilisce le differenze di concentrazione delle molecole. La diffusione passiva è un trasporto che dipende dalla presenza di un gradiente di concentrazione attraverso la membrana. I gas, piccoli lipidi e molecole solubili nei lipidi passano liberamente attraverso la membrana. La diffusione facilitata dipende da un gradiente di concentrazione e implica il trasporto di metaboliti idrofilici di maggiori dimensioni. La diffusione facilitata consente il passaggio di sostanze idrosolubili non cariche relativamente grandi, come il glucosio e amminoacidi, grazie a proteine vettrici, e ioni che sono piccoli ma sono dotati di carica elettrica, grazie alle proteine canale. La professoressa fa esempio del glucosio: la velocità di entrata cresce con l’aumentare della concentrazione, raggiunge un livello di saturazione e tutto questo avviene grazie alla molecola carrier, GLUT1, proteina integrale transmembrana. La diffusione facilitata è caratterizzata da specificità di substrato e presenta fenomeno di saturazione. 4 1 Il trasporto attivo è caratterizzato da un meccanismo contro gradiente e prevede il consumo di energia, associato ad un sistema ATP-dipendente. Per capire al meglio il sistema di cotrasporto, simporto e antiporto, la professoressa fa esempio della pompa sodio/potassio. La differenza ionica viene sfrutta dalle membrane plasmatiche per facilitare il passaggio di altre sostanze. Nelle cellule dell’epitelio intestinale o dei tubuli renali, le proteine trasportano zuccheri o amminoacidi contemporaneamente al sodio, cioè la proteina vettrice accoppia al movimento di uno ione verso gradiente (il gradiente del sodio è stabilito dalla pompa sodio/potassio) il trasferimento di altre molecole contro gradiente (esempio il glucosio). Esempi di simporto e antiporto: Simporto: sodio/glucosio presente in tutte le cellule che consente l’ingresso di sodio secondo gradiente e conseguente ingresso del glucosio contro gradiente Cotrasporto: il sodio entra passivamente, secondo gradiente e lo ione calcio, fuoriesce contro gradiente. il calcio è uno ione fondamentale dei sistemi di traduzione intracellulare e omeostasi del calcio. La maggior parte di canali idrofili non sono costantemente aperti, esistono i canali di sbarramento, per esempio i canali a controllo di ligando che si aprono in risposta a molecole leganti neurotrasmettitori; canali a controllo di potenziale che si aprono in risposta a cambi di potenziale elettrico; canali a controllo meccanico che sono epiteli cigliati, e stereociglia dell’orecchio interno (l’orecchio umano sente le vibrazioni grazie all’epitelio sensoriale dotato delle ciglia che vibrano e aprono il canale di sbarramento). Potenziale di membrana Il potenziale di membrana è costituito dalla differenza ionica dei due ambienti separati dalla membrana plasmatica nel citoplasma si trovano macromolecole non diffusibili (proteine) dissociate come anioni (cariche negativamente). L’eccesso di cariche negative è compensato dall’ingresso di cationi che risultano più concentrati nel citoplasma. Da notare che la concentrazione plasmatica del sodio è molto bassa. 5 1 Sbobinatore: Alice Invernizzi Revisore: Giulia Di Tria Materia: istologia Docente: Parolini Silvia Data: 08/10/2024 Lezione: 5 Argomenti: i canali idro li, il glicocalice e i sistemi di trasporti di membrana All’inizio della lezione la professoressa introduce il nuovo argomento riprendendo parti di ciò che è stato trattato nella lezione precedente. Abbiamo una diversa concentrazione di ioni tra ambiente esterno e interno ed essa è determinata dai trasporti attivi, che creano una di erenza di potenziale (che può essere sfruttata ad esempio per il tessuto nervoso o il tessuto muscolare) e creano la condizioni per permettere altri trasporti insieme a questi ioni come ad esempio il sodio che è concentrato nell’ambiente extracellulare e il potassio che è concentrato nell’ambiente intracellulare. Alcune molecole, come il glucosio, possono entrare passivamente ma essendo molecole di grosse dimensioni serve un sistema di carrier, e questo sistema di carrier (cioè proteine di membrana) è associato al fatto che il sodio entra passivamente perché viene mantenuto più concentrato all’esterno. Abbiamo quindi dei sistemi associati a dei trasporti passivi perché il sodio entra ma viene portato fuori attivamente tramite la pompa. Dal momento che la cellula usa e spreca una certa energia, essa sfrutta la possibilità del trasporto passivo del sodio che entra nella cellula per portarsi dietro anche il glucosio, evitando così altro dispendio energetico. In questi sistemi di parla di simporto ad esempio con il glucosio che entra nella stessa direzione del sodio, che entra passivamente; si parla invece di antiporto se vanno nei due sensi opposti e quindi per esempio quando con l’entrata del sodio viene portato fuori il calcio. Tutto questo avviene per esempio ai livelli del tessuto epiteliale nei microvilli: I CANALI IDROFILI Bisogna considerare che la maggior parte dei canali idro li non è costantemente aperta. Possiamo trovare: Canali a controllo di ligando: si aprono in risposta a molecole leganti neurotrasmettitori Canali a controllo di potenziale: si aprono in risposta a cambi di potenziale elettrico Canali a controllo meccanico: epiteli cigliati, streociglia dell’orecchio interno fi ff fi Esistono poi una serie di canali idro li in cui gli ioni possono passare passivamente come ad esempio il sodio che tende sempre a entrare passivamente attraverso canali idro li e il potassio che invece fuoriesce. Pompa sodio-potassio Ma abbiamo anche sistemi di canali idro li che sono regolati perché per esempio quando parliamo della pompa sodio-potassio (che per ogni 3 ioni sodio portati fuori ne porta 2 potassio dentro) essendo questa un canale idro lo per il potassio, permette la fuoriuscita del potassio secondo gradiente. Questi passaggi, anche passivi, sono importanti per mantenere l’equilibrio della di erenza di potenziale di membrana (circa -75 mV). Il fatto che ci sia una fuoriuscita di potassio abbassa la concentrazione cationica del citoplasma, come anche l’entrata di sodio e questo permette di mantenere come la funzionalità della pompa protonica un equilibrio perché non può sempre funzionare solo la pompa sodio-potassio sennò avremmo concentrazioni elevate di sodio all’esterno e di potassio all’interno. Il funzionamento della pompa sodio-potassio è dunque riequilibrato anche dal passaggio passivo attraverso i canali idro li. Il fatto che abbiamo la pompa sodio-potassio e la presenza di canali di fuga secondo gradiente di concentrazione del potassio tende sempre a far rimanere più negativo il versante interno della membrana rispetto a quello esterno. Dunque tendiamo ad avere una carica negativa sul versante interno citoplasmatico rispetto alla carica positiva sul versante esterno. Canale di fuga per il K+ LE PROTEINE G Abbiamo altri sistemi ricettoriali importanti che trasducono segnali citoplasmatici poiché l’informazione dal recettore al citoplasma spesso avviene attraverso molecole traduttrici. Un recettore nel riconoscere il suo ligando riceve un segnale che deve trasmettere all’interno e molti recettori transmembrana sono collegati a complesso de nito proteina G, la quale si lega ad un complesso guaninico, e se la molecola segnale si lega al recettore abbiamo delle modi cazioni che comportano lo spostamento di questa proteina G per deconformazione e questa proteina G va a sua volta ad attivare altre molecole e ettrici. Abbiamo dunque recettore, ligando (o molecola segnale), sistemi di trasduzione (in questo caso la proteina G, che è esterna associata alla membrana) e sistemi di molecole e ettrici. ff fi fi ff fi fi fi ff fi fi La proteina G è il sistema di trasduzione che attiva altri sistemi di molecole e ettrici, cioè dei sistemi di segnale che vengono introdotti e vanno nella cellula tra cui troviamo per esempio l’AMP ciclico—> sono sistemi denominati e ettori. La cosa interessante dei sistemi di trasduzione ed e ettori è che ampli cano il segnale che hanno avuto, rendono il sistema attivo ampli cando la risposta che devono dare. La proteina G è un sistema di trasduzione associato a molti recettori. La trasduzione è come la proteina G e come altri sistemi di trasduzione associati a recettori di membrana trasmettono segnale all’interno, che però non si ferma ma innesca altre molecole e ettrici che ampli cano il segnale. Abbiamo vari tipi di proteine G perché i recettori della proteina G non sono tutti di tipo stimolare (Gs), ma ci sono anche inibitori (Gi) e trasduttori (Gt). Possiamo dunque avere dei sistemi di attivazione o inibizione a seconda del sistema di trasduzione che attivano. Abbiamo delle proteine G che possono già trasdurre il segnale o altri sistemi di porteine G che possono attivare o inibire per esempio l’adenilato ciclasi che produce il sistema e ettive dell’AMPciclico da ATP. Il cAMP attiva poi le protein chinasi (discorso complesso che non approfondiremo). Quando abbiamo delle molecole di attivazione (ad esempio la proteina G) ad un sistema di attivazione deve sempre corrispondere un sistema di inibizione. Anche a livello immunitario, di qualunque tessuto, serve avere fattori di stimolazione ma a cui corrisponde sempre anche un fattore inibitorio. Ad esempio quando il sistema immunitario si attiva e lo rimane per troppo tempo porta a dei danni tissutali, ecco perché servono fattori inibitori (ad esempio con il covid, non si moriva per il patogeno ma per la reazione immunitaria che non si arrestava e danneggiava i polmoni). La proteina G così chiamata perché si lega ad un nucleotide guaninico: quando il ligando si lega al recettore, si veri cano delle modi cazioni di conformazione, queste a loro volta attivano il complesso della proteina G-guanina difosfato (GDP) a guanina trifosfato (GTP). Si rende libera la subunità α della proteina G che agirà su altre molecole denominate e ettori (Da slide 43 del le “membrana plasmatica) IL GLICOCALICE Quando guardiamo la membrana plasmatica è facile che abbia strutture microvillari perché abbiamo un sistema di trasporti, il che vuol dire che abbiamo un aumento di super cie rispetto a una struttura lineare, dunque aumenta la super cie di scambio poiché la cellula ha bisogno di scambiare tante cose con l’ambiente esterno. Non abbiamo solo trasporti attraverso recettori o proteine canali ma ci sono anche dei trasporti che implicano la formazione di vescicole a livello della membrana plasmatica grazie anche ai microvilli che tendono a formarsi. Sulla super cie cellulare abbiamo un sistema glicoproteico chiamato anche glicocalice o cell coat (costituito anche da ff fi ff fi fi fi ff fi fi fi fi ff fi ff ff proteoglicani) che formano un rivestimento sulla membrana plasmatica, spesso legato con quella componente carboidratica presente sul versante esterno. Il glicocalice è diverso a seconda delle cellule che analizziamo, ma è uno strato polisaccaridico costituito da glicolipidi, glicoproteine e zuccheri, lo troviamo solo sul versante esterno e coadiuva la membrana plasmatica nelle sue funzioni. È coinvolto: - nell’attività enzimatica come nel caso di alcuni assorbimenti a livello di alimenti; - nei meccanismi di riconoscimento a livello cellulare o di ligandi che vengono favoriti dalla presenza del glicocalice; - in tutte le proteine di adesione sulla super cie cellulare che sono presenti a livello del glicocalice; - ha anche ruolo di protezione facendo da barriera e da ltro per la membrana plasmatica (es zona intestinale e apparato respiratorio). Nei sistemi di adesione delle cellule epiteliali il glicocalice è soprattutto costituito da proteoglicani; gli eritrociti sono cellule che nché non invecchiano hanno una carica negativa per la presenza di acido sialico, che forma uno strato negativo in cui è coinvolto anche glicocalice. La carica negativa è importante perché gli eritrociti si devono respingere tra loro e non devono agglutinare; quando l’eritrocita invecchia perde l’acido sialico sulla super cie, allora viene riconosciuto ed eliminato dai macrofagi. Il glicocalice dunque è sempre presente ma ha caratteristiche diverse a seconda dei tessuti. Il sistema esterno della cellula è sempre collegato al sistema interno, infatti le componenti glicoproteiche sono sempre associate al citoscheletro della cellula (come si vede nell’immagine 4.15). Infatti quando parliamo di recettori e sistemi di trasduzione parliamo di associazione anche con la riorganizzazione del citoscheletro interno che permette alla cellula di e ettuare le sue funzioni. Individuare le componenti del glicocalice o delle proteine di membrana o i recettori di molecole che non si conoscevano non è stato semplice; ad esempio per individuare i recettori di una determinata cellula bisogna prendere le cellule, immunizzarle in un animale e procurarsi gli anticorpi prodotti; in questo modo si trovano anticorpi che riconoscono le proteine di fi fi fi fi ff membrana delle cellule di partenza. Tutte queste conoscenze sui recettori dunque sono state individuate attraverso il sistema di immunizzazione degli animali e degli anticorpi che riconoscevano. Se abbiamo delle cellule, ne individuiamo i recettori e abbiamo gli anticorpi, e grazie a questi si possono isolare i recettori, riconoscere la molecola e arrivare a capire quali geni e cromosomi sono presenti. Un altro tessuto istologico con un glicocalice particolarmente sviluppato è l’epitelio di transizione che troviamo a livello delle vie urinarie e della vescica, che è sempre a contatto con l’urina che è ipertonica e determinerebbe la fuoriuscita di acqua dalle cellule, dunque la disidratazione e danni all’epitelio. Il glicocalice in questo epitelio crea quindi uno strato impermeabile che protegge l’epitelio. Figura 2-7 microscopia elettronica a trasmissione sono 2 membrane plasmatiche di due cellule epiteliali separate solo da un piccolo strato. Quando abbiamo le cellule epiteliali, che sono adese tra di loro per la barriera di protezione degli organi, lo spazio tra le due membrane plasmatiche è glicocalice, che ha un e etto cementato. Figura 2-10 microscopia elettronica a scansione in cui viene evidenziata adesione perfetta tra 2 cellule distinte. ff TRASPORTI DI MEMBRANA Endocitosi ed esocitosi A livello della membrana avvengono una serie di meccanismi di trasporto ad esempio per sistemi di endocitosi (vescicole che portano dentro materiale) o esocitosi (vescicole in uscita). Questi sistemi si formano quando serve materiale più concentrato e in maggior quantità perché i sistemi di carrier vanno subito in saturazione e sono abbastanza limitati. Si può, quindi, dire che la membrana è in grado di creare un sistema vescicolare in entrata e in uscita, che è collegato ad organi interni della cellula ed è coordinato dal citoscheletro. A livello della membrana plasmatica, quindi, avvengono una serie di meccanismi di trasporto che possono essere, riassumendo, senza modi cazioni morfologiche e di tipi attivo o passivo. Invece, certe molecole come il ferro, polisaccaridi, polinucleotidi e il colesterolo utilizzano metodi di trasporto de niti come endocitosi ed esocitosi, che richiedono ampi movimenti della membrana e la formazione di vescicole. Tali sistemi di formazione di vescicole, endocitosi ed esocitosi, non si trovano solo a livello della membrana plasmatica, ma anche nell’ambiente intracellulare. Come già visto nei sistemi di transito attivo e passivo, si tratta di sistemi controllati: sono sistemi veicolati e innescati da meccanismi di riconoscimento di vescicole che avvengono sia all’interno che all’esterno della cellula (Se quindi non ci fosse il riconoscimento non ci sarebbe nemmeno l’associazione con le molecole e le componenti del citoscheletro). Questi sistemi di ingesso e di sicura di materiale dalla cellula sono estremamente importanti per il sistema di riciclo della stessa: la cellula attua un sistema di riciclo per evitare l’accumulo di una quantità di ri uti che non riuscirebbe a gestire. I meccanismi di endocitosi ed esocitosi avvengo grazie ad un sistema di vescicole ricoperte o rivestite che permettono di veicolare le vescicole e portarle dove devono andare; quindi le vescicole non entrano a caso nella cellula ma si collegano a sistemi trasporto che le portano nella direzione giusta. Questo è importante anche perché può essere che certe vescicole contengano delle sostanze danni e/o cito tossiche e sia quindi necessario separarle dalle restanti. Quando parliamo di un sistema di esocitosi, ci stiamo riferendo ad sistema vescicolare, come quello che possiamo trovare all’interno di una ghiandola. Le ghiandole, infatti, sono costituite da un epitelio secernente, costituito da vescicole che devono riversare il loro secreto all’esterno, come nel caso delle ghiandole salivari, delle ghiandole endocrine, che riversano nel sangue una serie di ormoni o quelle a livello del colon; si può quindi dire che sono costituite da un sistema di vescicole che attuano esocitosi. Abbiamo visto che le vescicole che devono andare verso la membrana e riversare il loro secreto sono veicolate da sistemi di trasporto e, una volta che arrivano a livello della membrana, la riconoscono. A tal proposito, ci sono sistemi di Bilayer Adherence in cui la vescicola è rivestita da una membrana che ha la stessa struttura della membrana plasmatica e permette l’adesione tra le due e sistemi di Bilayer Joining, che garantisce invece la fusione tra la membrana della vescicola e la membrana plasmatica. Questi sistemi permettono quindi che la membrana della vescica aderisca e si fonda con la membrana plasmatica, cosicché essa vada a formare ha sorte integrante della membrana plasmatica stessa, permettendo la fuoriuscita verso l’ambiente esterno del secreto. Nel caso invece del meccanismo opposto, quello di endocitosi, si ha la formazione di una conca e successivamente di una chiusura che permette alla vescicola di staccarsi. È importante ricordare che sia per l’esocitosi che l’endocitosi abbiamo due sistemi proteici che permettono questi passaggi e, soprattutto, che i due processi tendono a bilanciarsi: infatti se continuiamo ad avere vescicole che vanno verso la membrana, continua ad aumentare la super cie stessa ed è quindi fondamentale la presenza di un sistema di riciclo delle parti che servino per la formazione delle vescicole. Quindi se la cellula è coinvolta in sistemi di esocitosi ci sarà un sistema di compensazione di endocitosi. Esiste, poi, un particolare caso di secrezione, chiamata secrezione apocrina, a livello delle ghiandole sudoripare e della ghiandola mammaria, che, creando un sistema di secrezione, vanno fi fi fi fi a formare uno strato di gemmazione, ovvero permettono che la cellula venga lasciata andare, cosa che comporta il recupero, la ristrutturazione e la riformazione della membrana plasmatica. Per cui è chiaro che nei sistemi di secrezione non sempre il secreto viene rilasciato all’esterno. Durante quindi Il processo di gemmazione, si ha la formazione di una estro essione della vescicola in cui al contrario di quanto accade nel l’esocitosi non avviene un aumento della super cie della membrana plasmatica. Quando si parla di una ghiandola o di un sistema ghiandolare, bisogna tenere presente che ciascuna di esse elabora un secreto di erente che dipende dal tipo di ghiandola e viene elaborato a livello dei sistemi membranosi che comprendono il RER, REL e l’apparato di Golgi. Infatti, tutti i sistemi di esocitosi e quindi il coordinamento delle vescicole che contengono il secreto sono coordinate dall’apparato di Golgi, che ha un ruolo fondamentale nel coordinare e veicolare le vescicole di secrezione. Inoltre, la secrezione per poter avvenire richiede anche dei sistemi citoscheletrici che comprendono microtuboli e a livello della membrana i micro lamenti di actina; in particolare, ciò che permette di superare la barriera dei micro lamenti di actina e permette l’adesione con la membrana plasmatica è la variazione della concentrazione di calcio. Quindi quando la cellula attua un meccanismo di esocitosi ha bisogno di un aumento di calcio che favorisca questi sistemi di secrezione; in particolare, il calcio è improntate perché tende ad attivare le acting-severing proteins che permettono di aprire un varco tra i lamenti actina e di riversare il contenuto all’esterno. La cellula ha quindi sin dall’inizio del processo un completo controllo sull’elaborazione e secrezione del secreto: sono infatti presenti una serie di strutture membranoso che attuano dei processi di fusione e riconoscimento per il trasporto delle vescicole, specializzate anche per queste funzioni enzimatiche ho avvengono secondo una sequenza ben precisa: sintesi della proteina, clivaggio, glicosilazione, rielaborazione nell’apparato di Golgi e formazione delle vescicole. In particolare, con il termine clivaggio di una proteina di incede la formazione di una proteina più lunga rispetto a quella che poi sarà e ettivamente la sua nel momento dell’utilizzo. Questo processo ha un duplice signi cato: rendere inattiva la proteina perché al momento non deve funzionare e permetterci controllare i vari passaggi che la porteranno ad essere secreta e attiva. Quindi le cellule non attuano non solo un estremo controllo nella formazione delle vesciche, ma anche del contenuto delle stesse. Le caratteristiche del processo di secrezione si possono così riassumere: Vettorialità; Interazioni tra membrane in modo in casuale e mantenendo la loro individualità; Interazione conservativa ( riciclaggio delle membrane); Formazione di strutture pentalaminari: esse si vanno ad ancorare in punti speci ci della membrana plasmatica; La membrana dei vacuoli di secrezioni viene sempre riciclata attraverso piccole vescicole di endocitosi ammantate e dopo aver perso il rivestimento si consono con le membrane del Golgi. Le vescicole di secrezione hanno, grazie all’osservazione del microscopio elettronico, un rivestimento elettrondenso simile alla clatrina, ovvero un rivestimento proteico che permette l’ancoraggio al citoscheletro. Il citoscheletro, tutti i sistemi di clatrina, i sistemi di actins severing protein possono essere coinvolti in malattie genetiche, causando gravi de cit che si riscontrano a livello immunologico. I tipi di secrezione: La secrezione può essere di due tipi: costitutiva e regolata. La secrezione costituiva è un processo contro e lento che avviene in tutte le cellule; la secrezione regolata, invece, avviene a livello delle ghiandole sudoripare, acidi pancreatici, enzimi a livello dello stomaco ecc.. e permette l’accumulo del secreto. Diversi tipi di esocitosi: L’esocitosi può avvenire in maniera solubile oppure su un supporto solido, chiamata secrezione mirata. In questo caso la secrezione avviene solo in determinate condizioni delle cellula e riguarda ad esempio quelle cellule che si occupano dell’eliminazione di cellule tumorali (cellule citossiche)... Ed endocitosi: Per quanto riguarda, invece, l’endocitosi, essa si può distingue in: pinocitosi, che permette ad esempio l’ingresso dell’acqua nella cellula mediante micro vescicole, endocitosi ( che comprende i meccanismi sopra descritti) e fagocitosi, tipica solo delle cellule immunitarie, come nel caso della fagli un macrofago. È importante ricordare che come in tutti i tuoi di endocitosi, anche nel caso fi fi ff fi ff fi fi fi fl fi della fagocitosi, il batterio o qualsiasi tipo di materiale è completamente circondato dalla membrana vescicolare. Un altro importante esempio di endocitosi è l’endocitosi mediate da recettori, i quali si trovano sulla membrana plasmatica e vanno a legarsi a molecole speci che (ligando) che devono essere trasportata all’interno della cellula e alle proteine citoscheletriche, che ne permettono il movimento. Quando inizia l’invaginazione della fossetta, si nota un rivestimento spinoso e tali fossero prendono il nome di “ammantate”. Il materia che riveste la fossetta è di natura proteica, di cui il più comune è la clatrina, formata da tre catene polipeptidiche pesanti e tre leggere, che, grazie alla formazione di strutture geometriche, porta alla formazione di un cestello, che verrà portato all’interno della cellula grazie anche al citoscheletro. Il materiale spinoso, in particolare, è formato da code citoplasmatiche a cui si lega la clatrina indirettamente attraverso molecole chiamate adaptine. Questi sistemi sono gli stessi che ci permettono di direzionare le vescicole, una volta entrate all’interni della cellula, perché possano raggiungere la corretta destinazione. Vescicole ricoperte: Durante la pinocitosi, parti della membrana cellulare stessa vengono continuamente trasportati all’interno della cellula e in secondo momento vengono rimpiazzati tramite processi dí esocitosi. Il tutto comincia in parti specializzate della membrana dette “Coated Pits” che hanno l’apparenza di invaginazioni della membrana che verso l’interno sono caratterizzate da un ispessimento detto “bolloso”. Queste Coated Pits si formano in speci che zone della membrana plasmatica dove i recettori sono più concentrati, ovvero a livello dei raft lipidici, formati in prevalenza da colesterolo, che creano una zona adibita a formare la vescicola. fi fi Sbobinatore: Shams Sadaf Revisore: Piva Sofia Materia: Istologia e citologia Docente: Parolini Silvia Data: 11-10-2024 Lezione n°: 06 Argomenti: Trasporto di membrana, endocitosi, comunicazione e giunzione cellulare RIASSUNTO LEZIONE PRECEDENTE (numero 5) Nella lezione scorsa si è fatta una carrellata di meccanismi importanti, anche dal punto di vista farmacologico e patologico. Si è, quindi, compreso che la membrana plasmatica è molto di più di una semplice struttura che avvolge la cellula: partecipa in modo attivo al ciclo cellulare attraverso vie di trasporto e sistemi di endocitosi ed esocitosi che permettono il passaggio di molecole grosse, di una serie di messaggi attraverso proteine e recettori. Si è fatto l’esempio dell’esocitosi che fa parte di tutte le cellule, però è soprattutto importante a livello ghiandolare poichè tutte le ghiandole epiteliali usano tale meccanismo. Questi sistemi di endocitosi ed esocitosi sono sempre altamente regolati dalla cellula. Non è solo un controllo di supervisione, ma è anche un controllo di regolazione passo per passo mediato da un sistema di riconoscimento a livello delle membrane e delle proteine che veicolano queste vescicole, permettendo ad esse di aderire al citoscheletro. Il citoscheletro, dunque, direziona queste vescicole. 1)L’ENDOCITOSI L’endocitosi è un meccanismo di ingresso all’interno della cellula di sostanze grosse(porzione di membrana e materiale extracellulare) con formazione di vescicole endocitiche che permettono l'internalizzazione di tali sostanze. Avviene in tre fasi: Invaginazione coalescenza e fusione a livello della membrana della gemma che si è formata separazione di un vacuolo indipendente Le dimensioni dei vacuoli di endocitosi dipendono dal tipo di processo 1a)ENDOCITOSI MEDIATA DA RECETTORI Gli studiosi sono disaccordi su tale argomento: c’è chi pensa che tutti i sistemi di endocitosi siano regolati da recettori, invece chi pensa che ci siano anche dei sistemi che non lo sono. Però si sa che questi sistemi sono altamente regolati dalla cellula, che non è solo una supervisione, ma è un controllo passo per passo mediato da tutto un sistema di riconoscimento a livello della membrana e a livello di proteine che veicolano le vescicole formate. Inoltre tali strutture sono agganciate al sistema citoscheletrico che le direziona in modo vettoriale, così che non ci sia dispendio energetico. (figura 1) (figura 2) 1 Nei sistemi di endocitosi mediata dai recettori, i recettori stessi coadiuvano la membrana per la formazione di vescicole. Alcuni di questi recettori sono la clatrina, la caveolina e altri secondari. 1)endocitosi mediata da clatrina La clatrina è una molecola costituita da tre catene leggere e tre pesanti, che vanno a costituire un polimero che da origine ad una struttura “spinosa” ed esagonale. Spesso la clatrina è associata all’actina, componente citoscheletrica fondamentale che favorisce i processi di esocitosi ed endocitosi. L’actina permette i movimenti ameboidi delle cellule, permettendo per esempio alle cellule immunitarie di raggiungere il sito infiammatorio grazie ai processi di polimerizzazione e depolimerizzazione. L’actina è inoltre coinvolta in malattie geniche e patologie. Quando il ligando (molecola segnale) si lega al recettore, le molecole di clatrina sono pronte a organizzarsi e a polimerizzarsi nella struttura esagonale. Questa struttura lega le code dei recettori dopo che questi sono entrati in contatto con il ligando. Il ligando viene così internalizzato e si forma la vescicola. (figura 3) Ma procediamo passo per passo. Dopo la formazione del legame tra ligando e recettore, quest’ultimo trasduce un segnale che determina l’infossamento della vescicola di endocitosi. La polimerizzazione della clatrina fa sollevare la membrana e permette la formazione della vescicola rivestita. La clatrina è quindi pronta ad assumere e a organizzarsi nella forma esagonale. Quando si parla di vescicole rivestite si intende che c’è un rivestimento, in questo caso di clatrina. La formazione delle vescicole necessita della presenza di altre molecole di membrana, le adaptine che sono in grado di riconoscere il carico da trasferire. Esse rappresentano i sistemi di controllo per le vescicole che vengono internalizzate. La coda citoplasmatica del recettore si associa, poi, alla clatrina tramite un sistema di adaptor protein ed è importante nel coinvolgimento del citoscheletro. Nei vari punti, il sistema di clatrina e il sistema di vescicole ricoperte sono quelli che regolano attraverso gli adaptor protein tutti i trasporti vescicolari della cellula. In base ai colori abbiamo un adaptor protein di tipo 1, 2, 3, 4 e 5, quindi la specificità del trasporto è controllata dalla cellula attraverso tali sistemi (AP-1 è coinvolta nei trasporti e nei fenomeni anche a livello nervoso). (vedi figura 4) Successivamente, la vescicola, aumentando le proprie dimensioni, si stacca dalla membrana mediante l’intervento della dinamina. ovvero una proteina che permette il riconoscimento e il distacco. Quindi le vescicole attraverso il citosol e il citoscheletro vanno incontro alla cellula bersaglio, dopo di che la clatrina si depolimerizza e viene riciclata. (figura 4) 2 La clatrina quando viene portata dentro si depolimerizza. Una volta che la vescicola si è formata con il contenuto, la membrana cerca di recuperare il recettore (riciclo cellulare). Quei recettori di membrana che veicolano certe molecole, come il ferro o vitamine, nei sistemi di endocitosi, vengono riciclati. Ma non sempre il recettore viene riciclato, tutto dipende dalla sua reazione e dalla sua importanza. Infatti la vescicola separa il ligando dal recettore e così si forma una vescicola con recettore, tale recettore libero può seguire due vie. Ciò come detto dipende dalle necessità della cellula, dal danno che comporta a livello della cellula, dalla funzione del recettore e in quale meccanismo viene usato. Le due vie sono: essere concentrati in una ristretta area di membrana e ritornare alla membrana plasmatica (riciclaggio dei recettori), così che la cellula non debba sintetizzarlo di nuovo. Vengono riciclati in particolare i recettori che devono portare dentro la cellule le sostanze; essere eliminati determinando la scomparsa dei recettori in superficie tramite un processo definito “down regulation”. Questi recettori vengono distrutti poichè determinano degli stimoli molto forti(ci sono dei recettori che attivano la cellula, come quelle delle cellule immunitarie, che poi va incontro a un processo di apoptosi, quindi per evitare ciò il recettore viene downregolato). Mentre la vescicola che porta il contenuto si fonde con il lisosoma, con un conseguente abbassamento di pH. Questo distacco ligando-recettore è usato in laboratorio per valutare ligando e tutto: quindi quando le vescicole arrivano nel sistema di compartimento endosomiale precoce1, questo tende ad avere delle pompe protoniche all’interno della membrana che favoriscono l’abbassamento del ph (intorno a 6) e quindi il distacco ligando-recettore e il recupero del recettore da parte della membrana. Poi si ha anche un compartimento endosomiale tardivo che porta alla fusione con il lisosoma. (vedi figura 5) Per riassumere 1)legame ligando recettore 2)polimerizzazione clatrina 3)formazione vescicola rivestita, presenza di adaptine 4)distacco della vescicola grazie alla dinamina 5) disassemblaggio, formazione vescicola con i contenuti all’interno, fusione con i lisosomi, riciclo recettori down regulation.(figura 5) Domanda studente: Che cosa determina la depolimerizzazione e il distaccamento del rivestimento? Risposta: Ne parleremo quando parleremo di lisosomi. Tutte le vescicole di endocitosi devono poi fondersi, andare nel compartimento lisosomiale, che è “lo stomaco della cellula”, quindi prima di fondersi con il compartimento perdono la clatrina e ci sono dei passaggi che determinano questo. 2)Endocitosi mediata da caveolina Le cellule possiedono anche vie di endocitosi indipendenti dalla clatrina, per esempio quelle che implicano l’assorbimento di molecole in Caveolae che sono piccole invaginazioni della membrana organizzate dalla Caveolina.Le Caveole si formano in corrispondenza di regioni della membrana plasmatica, ricche di colesterolo e sfingolipidi (zattere lipidiche). 3 Le Caveole, inoltre, sono rivestite dalla Caveolina,una proteina dimerica in grado di determinare soprattutto delle micropinocitosi (sistemi di piccole vescicole usate dalla cellula per “bere”, ovvero portare dentro delle quantità di acqua), quindi tale proteina forma queste piccole invaginazioni. Si dice che le caveolae a livello infrastrutturale siano leggermente diverse dalla clatrina, però in tutti e due è presente il compartimento di early endosome, ovvero quel compartimento che prepara la fusione della vescicola con il lisosoma. (figura 6) 3) Altri esempi di endocitosi mediata da recettori Transferrina, un sistema di riciclaggio, che recupera le molecole di ferro che vengono riportate a livello delle cellule dove ne hanno più bisogno. C’è una proteina, che fa un pò da trasportatore, che è in grado di legare le molecole di ferro. Per esempio al livello del fegato, il ferro assorbito con gli alimenti viene concentrato nel fegato e si lega alla apotransferrina (ferrotransferina quando ha formato i legami), per poi legarsi al recettore. Il ferro poi diffonde nel citosol dove viene immagazzinato legandosi alla ferritina. Il ligando, la apotransferrina, viene liberato nel fluido extracellulare per riprendere la funzione di trasportatore; (vedi figura 7) (figura 7) Endocitosi LDL (low density lipoprotein), è attuata da una lipoproteina che porta all’assunzione di colesterolo. Si forma, attraverso un sistema proteico, una grossa particella che contiene circa 1500 molecole di colesterolo unite ad acidi grassi, l’involucro esterno contiene fosfolipidi

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