Il Caregiving Nelle GCA 2024-25 PDF
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Prof. Umberto Bivona
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This document covers considerations on the psycho-educational support for caregivers of patients with GCA, including various types of caregivers (informal, formal, institutional). It also explores several critical aspects of caregiving in the context of GCA. The document discusses relevant factors influencing the therapeutic alliance.
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Corso di NEUROPSICOLOGIA COGNITIVA Prof. Umberto Bivona IL SUPPORTO PSICO-EDUCATIVO AL CAREGIVER DEL PZ CON GCA CONSIDERAZIONI GENERALI Perché è importante parlare della Famiglia del paz...
Corso di NEUROPSICOLOGIA COGNITIVA Prof. Umberto Bivona IL SUPPORTO PSICO-EDUCATIVO AL CAREGIVER DEL PZ CON GCA CONSIDERAZIONI GENERALI Perché è importante parlare della Famiglia del paziente con esiti di GCA? Fondamentalmente per due ordini di ragioni: 1) perché la Famiglia è coinvolta attivamente nel Progetto riabilitativo del proprio caro; 2) perché essa è coinvolta attivamente anche come vittima della malattia del proprio caro. Prima di addentrarci in entrambi gli aspetti citati, distinguiamo le tipologie di caregiver: a) Informale: è colui/colei che presta le cure senza essere professionista (Perlesz et al., 2000); b) Formale: può essere un assistente domiciliare privato o una persona retribuita dalla famiglia; c) Istituzionale: il professionista sanitario, sociale o l’amministratore di sostegno (figura giuridica della Legge 6/2004 a tutela del soggetto la cui capacità di agire risulti limitata o compromessa). Di seguito, ci riferiremo ai caregiver informali usando il termine generico “caregiver”, che sulla base del carico di assistenza (caregiving) si suddividono in (Perlesz et al., 2000): Primari: in netta prevalenza madri (53,7%) e mogli (27,7%), che si fanno costantemente carico della persona (dimostrano maggiore responsabilità); Secondari: padri (53,3%) e figlie (11,6%) che sono periferici (ma a rischio di psicopatologia); Terziari: di solito fratelli (40,9%) e sorelle (27,2%); hanno responsabilità molto limitate nella gestione della persona. 1 CRITICITA’ NEL CAREGIVING Alcuni importanti aspetti posso contribuire a mettere in crisi il sistema familiare (Silvestrin et al., 2008). Anzitutto, già dalla fase acuta, il primo elemento critico è costituito dalla drammaticità e dalla imprevedibilità dell’incidente, associate alla minaccia di vita per il proprio caro. All’arrivo in riabilitazione seguiranno l’incertezza per il futuro; la frustrazione legata ai tempi lunghi del ricovero e, in molti casi, del recupero. Molto frequenti saranno le difficoltà finanziarie legate al tempo necessario per il caregiving, che spesso impone il dover lasciare il lavoro o chiedere, ove possibile, un’aspettativa non retribuita. Nel tempo, non solo il paziente (a causa, ad es., dei cambiamenti di personalità) ma anche i caregiver tendono a rimanere isolati da parenti e amici, spesso per un insieme di concause che vanno identificate non solo nella società ma nel caregiver stesso, che sin dai primi tempi del ricovero in riabilitazione tende, ad es., a non rispondere alle frequenti telefonate i cui contenuti sono sempre i soliti, esclusivamente incentrati su come sta il paziente, che portano a “stanchezza” nel dover ripetere sempre le stesse parole. Anche i cambiamenti degli schemi e dei ruoli familiari sono molto frustrasti per un caregiver, non solo perché costituiscono una sorta di dito nella piaga (ricordando quanto e come la situazione sia cambiata a livello di vita quotidiana e, soprattutto, perché questo è successo), ma perché implicano, soprattutto nella vita di coppia, radicali cambiamenti che trasformano relazioni simmetriche (partner=partner) in relazioni nettamente sbilanciate (genitore>figlio, se non badante>paziente) con ripercussioni facilmente immaginabili, ad es., a livello dell’intimità nella relazione di coppia. Da notare che tali cambiamenti riguardano prevalentemente i caregiver che si occupano del paziente a casa (Frosch et al., 1997). Infine, un caregiver fa molta fatica a comprendere ed accettare la natura dei disturbi del comportamento del proprio caro. Nel tempo, proprio i pazienti con problemi comportamentali e cognitivi, e soprattutto coloro che soffrono un netto isolamento sociale, cominciano a giocare un ruolo maggiore nel livello di distress esperito dal caregiver (Marsh et al., 2002). Le donne, in particolare, devono spesso modificare il proprio stile di vita, rinunciare al proprio lavoro e sobbarcarsi tutto il carico che, nella situazione pre-morbosa, avrebbero condiviso con (se non demandato a) altri membri della Famiglia. 2 L’ALLEANZA TERAPEUTICA TRA OPERATORE E CAREGIVER Alcuni fattori possono contribuire a solidificare il rapporto tra operatore e caregiver, mentre altri possono essere di grande ostacolo. Vediamoli nel dettaglio. Fattori favorevoli I seguenti elementi, proposti da McLaughlin nel 1993, sono cruciali per costruire una relazione terapeutica efficace e supportiva: 1. Condivisione degli obiettivi: è fondamentale che la Famiglia e l'équipe riabilitativa abbiano un obiettivo comune, focalizzato sul recupero del paziente; 2. Integrazione dei bisogni familiari: è importante considerare i bisogni ei desideri della Famiglia all'interno del progetto riabilitativo; 3. Chiarire le aspettative: è essenziale chiarire le aspettative della Famiglia riguardo al percorso terapeutico; 4. Comprendere la predisposizione alla partecipazione: occorre capire che la Famiglia potrebbe non essere pronta a partecipare da subito e attivamente alla riabilitazione; 5. Atteggiamento realistico: sostituire un approccio eccessivamente ottimistico o pessimistico con uno realistico, che non comprometta la speranza del caregiver. Ostacoli I seguenti elementi sono invece potenziali ostacoli ad una relazione terapeutica efficace (McLaughlin, 1993): 1. La struttura di personalità pre-morbosa: essa può influenzare significativamente la dinamica familiare e l'approccio terapeutico. Si riferisce a tratti di personalità che possono predisporre il familiare a reazioni disfunzionali o maladattive di fronte a situazioni di stress o crisi. Questi tratti possono includere, ad es., la difficoltà ad affrontare l'ansia, il bisogno di controllo, o la tendenza a negare i problemi; 2. La situazione familiare pre-morbosa: la presenza di conflitti non risolti all'interno della Famiglia può aggravare la situazione, creando tensioni e ostilità. Questi conflitti possono derivare da differenze di valori, aspettative o stili di vita; 3. Aspettative e obiettivi irrealistici: i familiari hanno spesso il desiderio di tornare idealmente alla situazione pre-morbosa, senza riconoscere e accettare i cambiamenti e gli esiti della GCA. Questa attitudine può ostacolare il processo di accettazione e adattamento alla nuova realtà; 3 4. Meccanismi di difesa: il diniego degli esiti possono essere messi in atto inconsciamente per evitare di confrontarsi con la nuova realtà; 5. Una prognosi infausta o la cronicizzazione degli esiti: in assenza degli sperati miglioramenti, le difficoltà emotive e relazionali possono diventare croniche, portando ad un deterioramento della relazione caregiver-riabilitatore. 6. Il carico emotivo vissuto in fase acuta: durante le fasi acute i familiari possono sperimentare un'intensa gamma di emozioni, tra cui sgomento, angoscia, ansia, tristezza, rabbia e frustrazione, che possono influenzare il loro comportamento e la loro capacità di supportare il proprio caro e l’équipe riabilitativa. Affrontare queste tematiche richiede un approccio terapeutico sensibile e multifocale, in grado di coinvolgere adeguatamente il familiare per promuovere una maggiore comprensione e un sostegno reciproco. PRINCIPALI ESIGENZE DELLA FAMIGLIA Le esigenze della Famiglia di un paziente con GCA sono fondamentali per il benessere del paziente stesso e per il supporto globale della Famiglia. Ecco un'analisi delle principali esigenze della Famiglia secondo Smith e Smith (2000): 1. La ricerca di informazioni: i caregiver desiderano avere accesso a informazioni chiare e comprensibili riguardo alla condizione del paziente, alle opzioni di trattamento e alle risorse disponibili. In particolare, la Famiglia ha bisogno di sapere qual è la diagnosi, quali i sintomi e le prospettive di trattamento. Essa necessita anche di un orientamento ai servizi (informazioni su dove trovare aiuto e supporto, come centri di cura, gruppi di supporto e risorse comunitarie); Anche da un’indagine (non pubblicata) condotta dall’équipe del Prof. Bivona anni fa presso la Fondazione Santa Lucia, è emerso che la ricerca di informazioni era la principale esigenza dei familiari di pazienti con GCA intervistati. Fornire informazioni alla Famiglia può, in sintesi, ridurre lo stress e migliorare le strategie di coping (Friedemann-Sánchez et al,. 2008); 2. La ricerca di fiducia e di comprensione: le famiglie cercano un ambiente in cui possano sentirsi ascoltate e comprese. Questo implica, ad es., empatia da parte dei professionisti (ossia operatori che mostrino comprensione e rispetto per la loro situazione), e relazioni di fiducia attraverso un dialogo aperto e onesto; 3. La ricerca di supporto: il caregiver ha bisogno di supporto durante il percorso di cura, da un punto di vista psicologico (ad es., tramite la possibilità di accedere a counseling o terapie di gruppo 4 per affrontare le proprie emozioni negative) e concreto (es., aiuto nella gestione delle attività quotidiane, come la cura del paziente, le faccende domestiche e la gestione del tempo); 4. La necessità di parlare nell’interesse del paziente: i caregiver devono percepire che l’équipe sta lavorando difendendo e rappresentando sempre l’interesse del paziente. Questo implica la possibilità per il caregiver di esprimere le proprie preoccupazioni e desideri riguardo al trattamento e alle scelte per il paziente; un coinvolgimento nelle decisioni affinché essi si sentano parte integrante del processo decisionale, garantendo che le preferenze e i valori del paziente siano rispettati; 5. Navigare nel sistema ("navigating the system"): le famiglie desiderano sentirsi parte del progetto riabilitativo e avere una comprensione chiara di come muoversi nel sistema sanitario. Di conseguenza, necessitano di guida e orientamento (avendo accesso alle risorse che li aiutino a comprendere i vari passaggi del processo riabilitativo e a orientarsi in esso) e di un’integrazione nel processo riabilitativo, sentendosi coinvolti nelle attività riabilitative e avendo un ruolo attivo nel supporto del paziente. Conclusioni Le esigenze delle famiglie sono molteplici e complesse, e soddisfarle è cruciale per il successo del trattamento e per il benessere generale di tutti i membri coinvolti. I professionisti della salute devono riconoscere e affrontare queste esigenze attraverso strategie di comunicazione efficaci, supporto emotivo e opportunità di coinvolgimento. Questo tipo di approccio non solo migliora l'esperienza della Famiglia, ma può anche influenzare positivamente il percorso di recupero del paziente. IL CAREGIVER COME PARTE ATTIVA DEL PROCESSO RIABILITATIVO: UN MODELLO DI PRESA IN CARICO DELLA FAMIGLIA Come abbiamo visto, la Famiglia è coinvolta attivamente nel Progetto riabilitativo del proprio caro. Abbiamo anche visto quanto è fondamentale fornire informazioni alla Famiglia del paziente con GCA, in particolare per indirizzarla non solo su cosa e come fare, ma soprattutto su cosa e come non fare per evitare di ostacolare il percorso riabilitativo! Attraverso una comunicazione efficace, condotta all’insegna dell’ascolto attivo e dell’empatia, occorre fornire informazioni standardizzate, espresse con un linguaggio chiaro e comprensibile, che 5 aiuti a ridurre l’incertezza, l’ansia e lo stress della Famiglia (Bond et al., 2003). È dunque auspicabile che i contenuti, tramite un linguaggio semplice e non de personalizzante, siano esaurienti rispetto alla diagnosi e alla prognosi, così come per quanto concerne le risorse disponibili nel paziente. Non si dimentichi, però, che il coinvolgimento nel trattamento della Famiglia può essere molto stressante, sia a causa della richiesta di partecipazione al caregiver, sia per la non dimostrabile efficacia del trattamento. Per questo, la capacità della Famiglia di collaborare al trattamento deve essere chiaramente valutata prima di includere il caregiver, e lo stress della Famiglia deve essere monitorato durante il suo coinvolgimento. A questo scopo, gli operatori hanno un ruolo fondamentale nell’identificare e monitorare i livelli di distress della Famiglia (Quine et al., 1993). L’ingresso del Sistema "Paziente-Famiglia" presso un’Unità Post-Coma Gli obiettivi di un colloquio con la Famiglia di un paziente sono fondamentali per instaurare una relazione di fiducia e per garantire un supporto adeguato durante il percorso di cura. Dopo circa una settimana dall’ingresso del paziente in una Unità Post-Coma, è auspicabile convocare la Famiglia con i seguenti obiettivi: 1. Conoscere la Famiglia, da un punto di vista delle dinamiche relazionali e del contesto socio- culturale in cui essa vive, esplorandone la storia e i fattori di resilienza; identificare le risorse interne ed esterne che la Famiglia può mobilitare per affrontare le difficoltà; 2. Creare un’alleanza terapeutica: stabilire un rapporto di fiducia e rispetto reciproco, fondamentale per un'interazione efficace, favorendo un ambiente in cui tutti possano esprimere liberamente le proprie preoccupazioni e sentimenti, e coinvolgendo la Famiglia nel processo decisionale, rendendola parte attiva del piano di cura; 3. Individuare i possibili caregiver: identificare chi nella Famiglia è disposto e in grado di assumere il ruolo di caregiver, valutandone capacità e disponibilità, informando circa il carico emotivo e fisico che il caregiver potenziale potrebbe affrontare nel sostegno al paziente; 4. Valutare i possibili cambiamenti di ruolo: esplorare come la malattia del proprio caro possa influenzare i ruoli tradizionali all'interno della Famiglia. È importante anche identificare eventuali conflitti o difficoltà legati a cambiamenti di ruolo, come il passaggio di responsabilità tra i membri della Famiglia; 5. Indagare la qualità delle relazioni intra e inter-familiari: analizzare le dinamiche relazionali all'interno della Famiglia, inclusi i rapporti tra genitori, figli e altri membri, individuando eventuali conflitti irrisolti, specialmente tra la Famiglia d'origine e la Famiglia acquisita, che potrebbero influenzare il caregiving del paziente; 6 6. Creare le basi per un percorso di sostegno psico-educativo al caregiver: la Famiglia sarà informata sulla possibilità di ricevere un supporto psicologico e psico-educativo. Per favorire la presa in carico del caregiver (che naturalmente, per sua natura, non può essere “imposta”), si sottolineerà l'importanza del benessere psicofisico del caregiver per poter sviluppare insieme alla Famiglia un piano di intervento che includa momenti di supporto e formazione. Dunque, un colloquio ben strutturato e centrato sulla Famiglia può facilitare la comprensione delle dinamiche relazionali e il riconoscimento delle necessità, promuovendo un approccio integrato e olistico alla cura. Strumenti utilizzabili durante il primo colloquio: Durante il colloquio di accoglienza possono essere utilizzati i seguenti strumenti: 1. La Lettera di Accoglienza (descrizione delle figure dell’Unità Riabilitativa); 2. La Guida per il Familiare; 3. Il Questionario Psico-Sociale. La Lettera di Accoglienza Ha l’obiettivo di dare informazioni rispetto alla composizione del Reparto ed alla sua organizzazione funzionale. Essa contiene informazioni in merito al Primario, alla Caposala, al Cappellano, ai Medici, allo Psicologo clinico, al Neuropsicologo, ai coordinatori della Riabilitazione, ecc. La Guida per i Familiari del paziente post-comatoso: Si tratta di un opuscolo scritto dalla Dottoressa Rita Formisano, ex Primario dell’Unità Post- Coma della Fondazione Santa Lucia, e dal Presidente dell’Associazione Arco92, Maria Elena Villa, che si occupa di persone che sono state in coma. È un manuale scritto in un linguaggio semplice che permette al familiare di identificare alcune caratteristiche del proprio caro, attribuendovi un significato clinico importante e riducendo così il disagio legato al fatto di dover gestire sintomi e cambiamenti di cui fino a quel momento il familiare non aveva mai sentito parlare. La guida è disponibile gratuitamente su: http://www.arco92.org/guidaperifamiliari.html 7 Il Questionario Psicosociale È un questionario utile per raccogliere informazioni di tipo sociodemografico, clinico, anamnestico remoto e attuale, e sul network sociale del paziente e della Famiglia di origine e acquisita. Prevede note sul familiare intervistato in merito alle caratteristiche del paziente e dell’evento che ha determinato la GCA; notizie che riguardano la Famiglia e con chi ha vissuto il paziente fino al momento della malattia; chi è stato maggiormente presente nella fase acuta e chi lo è attualmente in Reparto (caregiver); notizie sulla rete sociale e soprattutto sugli hobby del paziente. Queste ultime potranno essere utilizzate da chi si occupa della riabilitazione cognitiva del paziente, laddove l’anosognosia (o comunque la scarsa consapevolezza di malattia) ostacoli la compliance al trattamento riabilitativo. EDUCAZIONE ALLA GESTIONE DEL PAZIENTE L’outcome del caregiver può dipendere dal tipo di deficit neuro comportamentali, dall’approccio adottato per fronteggiare lo stress (stili di coping). Dunque, un supporto adeguato alla Famiglia richiede una valutazione accurata dei fattori rilevanti per un coping efficace (Wells et al., 2005) Tipologie e strategie di coping Le abilità di coping sono fondamentali per affrontare le sfide e le difficoltà della vita, specialmente in situazioni di stress. La definizione di coping fornita da Folkman & Lazarus (1984) mette in luce diversi aspetti chiave di questo processo. In breve, il coping è definito come il processo messo in atto in una situazione valutata come personalmente significativa ed eccedente o comunque gravosa sulle risorse individuali per farvi fronte (Lazarus & Folkman, 1984). Si tratta di un processo che si modifica nel corso del tempo: le strategie di coping non sono statiche; esse evolvono nel tempo in risposta alle esperienze e alle circostanze. Con l'esperienza, le persone possono apprendere quali strategie funzionano meglio e adattarsi di conseguenza. Infatti, la natura e l'intensità dello stress possono cambiare, richiedendo un nuovo approccio o una ristrutturazione delle stesse strategie di coping. È necessaria una valutazione cognitiva della situazione stressante, come passo cruciale nel processo di coping. In altri termini, è fondamentale il modo in cui un individuo interpreta e valuta 8 una situazione stressante. Questa valutazione può essere sia positiva che negativa e influisce sulle scelte di coping. In questo senso, si parla di Appraisal primario, che riguarda il riconoscimento di una situazione come minacciosa, dannosa o sfavorevole, e Appraisal secondario, che riguarda la valutazione delle proprie risorse e capacità di affrontare la minaccia percepita. Il coping implica inoltre l’utilizzo di risorse personali, come la resilienza, l'autoefficacia e il supporto sociale, che influenzano la vulnerabilità di un individuo allo stress. Persone con risorse adeguate tendono a gestire meglio lo stress e a utilizzare strategie di coping più efficaci. Va anche notato che le convinzioni personali riguardo alla propria capacità di affrontare situazioni difficili possono influenzare il modo in cui si risponde allo stress. Infine, il coping implica la messa in atto di strategie variabili in funzione delle caratteristiche del soggetto: le strategie possono variare ampiamente in base a fattori come la personalità, le esperienze passate e il contesto culturale. Ad esempio, alcune persone possono essere più inclini a utilizzare strategie di coping attive, mentre altre possono adottare approcci più evitanti. La capacità di adattare le strategie di coping in base alla situazione e alle esigenze è fondamentale. Le persone che possono passare da un approccio a un altro tendono a gestire meglio lo stress. Tipologie di coping In generale si distinguono due tipologie di coping: Coping Disposizionale Le strategie di coping disposizionali si riferiscono a quei tratti o stili cognitivi stabili che influenzano il modo in cui un individuo affronta situazioni stressanti nel corso della vita. Queste strategie non sono necessariamente legate a un evento specifico, ma piuttosto rappresentano una predisposizione generale a reagire in determinati modi quando ci si trova di fronte a stress o difficoltà. Vediamo quali possono essere le caratteristiche principali delle strategie di Coping Disposizionali: - si basano su tratti di personalità e stili cognitivi relativamente stabili. Questi tratti possono influenzare il modo in cui una persona percepisce e affronta lo stress in diverse situazioni; - sono determinate dalle esperienze vissute. Ad esempio, se una persona ha avuto successo nell'affrontare difficoltà con un approccio attivo, potrebbe sviluppare una propensione a utilizzare strategie simili in futuro; 9 - anche se queste strategie sono relativamente stabili, possono interagire con il contesto e le specifiche situazioni. In altre parole, una persona potrebbe utilizzare una strategia più attiva in situazioni familiari, mentre in contesti lavorativi potrebbe adottare un approccio più evitante. Esistono, in particolare, alcune tipologie di Coping Disposizionali: 1. Coping Attivo: le persone con un alto livello di coping attivo tendono a cercare soluzioni e a impegnarsi attivamente per risolvere i problemi. Sono più propense a pianificare e a prendere iniziative per affrontare le difficoltà; 2. Coping Evitante: individui con una predisposizione a strategie di coping evitante possono tendere a ignorare o minimizzare i problemi. Questo può includere comportamenti come la negazione, il procrastinare o l'evitare di affrontare direttamente le difficoltà; 3. Coping Emotivo: alcune persone possono avere una propensione a utilizzare strategie di coping che si concentrano sulla gestione delle emozioni piuttosto che sulla risoluzione del problema. Questo potrebbe includere attività come la meditazione, l'espressione emotiva o la ricerca di supporto sociale; 4. Coping Flessibile: le persone con uno stile di coping flessibile sono in grado di adattare le loro strategie in base alla situazione. Possono passare da un approccio attivo a uno più emotivo o evitante, a seconda delle circostanze. I fattori che possono influenzare il Coping Disposizionale sono: - la personalità: tratti di personalità come l'apertura all'esperienza, l'estroversione o il neuroticismo possono influenzare le strategie di coping. Ad esempio, le persone con alti livelli di neuroticismo possono essere più inclini a utilizzare strategie di evitamento; - la storia familiare e culturale: le esperienze formative, le dinamiche familiari e le norme culturali possono influenzare le preferenze di coping. Le famiglie che promuovono l'apertura e la comunicazione, ad esempio, possono incoraggiare strategie di coping più attive e positive; - il supporto sociale: la disponibilità e la qualità del supporto sociale possono anche influenzare le strategie di coping. Persone con reti di supporto forti tendono a utilizzare strategie di coping più efficaci. In sintesi, le strategie di coping disposizionali giocano un ruolo significativo nel modo in cui gli individui affrontano lo stress e le difficoltà. Comprendere il proprio stile di coping può aiutare le persone a riconoscere le proprie tendenze e a sviluppare strategie più efficaci per gestire le sfide della vita. 10 Inoltre, la consapevolezza di come le esperienze passate, le caratteristiche personali e il contesto influenzano il coping può facilitare un approccio più proattivo e adattivo nella gestione delle difficoltà. Coping Episodico o Situazionale Si riferisce alle modalità di affrontare e gestire lo stress e le difficoltà in risposta a eventi specifici e definiti (ad esempio, una diagnosi medica, la perdita di un lavoro, un conflitto familiare). Queste strategie sono particolarmente importanti perché si attivano in situazioni di crisi o di cambiamento, e tendono a essere più immediate e contestualizzate rispetto alle strategie di coping disposizionali, che sono più generali e basate sulla personalità. Esse tendono ad essere reattive, ovvero vengono attivate in modo immediato in risposta a un evento stressante. L'individuo può non avere il tempo o la possibilità di riflettere a lungo su come rispondere, quindi le scelte vengono fatte in modo più istintivo. Possono inoltre variare notevolmente da un evento all'altro, poiché dipendono dalla natura dell'evento, dalle risorse disponibili e dalle esperienze passate. Questa flessibilità permette all'individuo di adattarsi a circostanze diverse. Naturalmente, alcune strategie possono rivelarsi molto efficaci in una determinata situazione, ma non necessariamente in altre. Ad esempio, affrontare un conflitto diretto con una discussione aperta può funzionare bene in una situazione, mentre in un'altra potrebbe essere più utile un approccio di compromesso o di evitamento. Infine, esse possono includere: - Affrontamento attivo: coinvolge l'adozione di misure concrete per risolvere il problema (ad esempio, cercare informazioni, fare un piano d'azione); - Ristrutturazione cognitiva: implica la modifica della propria percezione dell'evento stressante, cercando di vedere il lato positivo o riformulando i pensieri negativi; - Supporto sociale: consiste nel cercare aiuto e supporto da parte di amici, familiari, o professionisti (ad es., parlando dei propri sentimenti o chiedendo consigli); - Evitamento: in alcune situazioni, le persone possono scegliere di evitare di affrontare direttamente la questione problematica (ad es., negando il problema o tramite un distacco emotivo); - Gestione emotiva: comprende tecniche per gestire le emozioni, come la meditazione, l'esercizio fisico o altre attività che aiutano a ridurre lo stress. 11 In sintesi, le strategie di coping episodico sono un aspetto cruciale della nostra capacità di affrontare eventi complessi e stressanti nella vita quotidiana. La capacità di scegliere e implementare strategie appropriate in base alla situazione specifica può influenzare significativamente il benessere psicologico e la resilienza dell'individuo. Comprendere come funzionano queste strategie e come possono essere migliorate è essenziale per affrontare in modo più efficace una delle sfide della vita più impegnative e dolorose per un caregiver: il prendersi cura di un proprio caro. Strategie di coping Le strategie di coping possono essere classificate in due categorie principali: problem-focused (focalizzate sul problema) ed emotion-focused (focalizzate sulle emozioni). Entrambi gli approcci sono utilizzati per affrontare lo stress e le difficoltà, ma differiscono nel modo in cui si affrontano le situazioni. Strategie di Coping Problem-Focused Queste strategie mirano a risolvere direttamente il problema che causa lo stress, cercando di modificare la situazione stressante o le circostanze ad essa associate. Le strategie focalizzate sul problema sono generalmente più efficaci quando la persona ha il controllo sulla situazione e può influenzare l'esito. Esempi di questo tipo di strategie sono: - il problem-solving: identificare il problema, generare opzioni, valutare le alternative e implementare soluzioni pratiche; - la pianificazione: sviluppare un piano d'azione per affrontare una situazione stressante, stabilendo obiettivi chiari e passi da seguire; - la richiesta di aiuto: cercare supporto da amici, familiari o professionisti per ottenere consigli e assistenza nel gestire la situazione; - l’organizzazione: creare un elenco di compiti o priorità per gestire meglio le responsabilità e ridurre il carico di stress. Strategie di Coping Emotion-Focused Queste strategie si concentrano sulla gestione delle emozioni associate a una situazione stressante piuttosto che sulla soluzione del problema stesso. 12 Gli individui che adottano questo approccio cercano di ridurre il disagio emotivo e migliorare il proprio benessere psicologico. Le strategie focalizzate sulle emozioni sono spesso utilizzate quando il problema è al di fuori del controllo della persona o quando è necessario affrontare il disagio emotivo. Esempi di Strategie Focalizzate sulle Emozioni: - la riflessione emotiva: esprimere e riflettere sui propri sentimenti, ad esempio attraverso la scrittura in un diario o conversazioni con amici; - attività rilassanti: praticare tecniche di rilassamento come la meditazione, lo yoga o la respirazione profonda per alleviare lo stress; - la distrazione: impegnarsi in attività piacevoli o distrarre la mente da pensieri negativi, come guardare un film o praticare uno sport; - il supporto sociale: cercare conforto e comprensione da parte di familiari e amici, condividendo le proprie preoccupazioni e ricevendo supporto emotivo; - la ristrutturazione cognitiva: modificare il modo in cui si percepisce una situazione, cercando di trovare un significato positivo o di ridurre l'impatto delle emozioni negative. Strategie di coping utili in ambito neuroriabilitativo Secondo alcuni autori (Willer et al., 1991), quelle che seguono sono tra le migliori strategie di coping per un caregiver di un paziente con GCA: parlare con amici; partecipare a gruppi di supporto; essere coinvolti attivamente nella riabilitazione; vivere giorno per giorno; focalizzare l’attenzione su aspetti positivi; identificare e utilizzare le risorse della comunità; impegnarsi nella preghiera e meditazione; ritagliare del tempo per se stessi; curare l’aspetto esteriore. Conclusioni In sintesi, la scelta tra strategie di coping focalizzate sul problema e focalizzate sulle emozioni dipende spesso dalla natura della situazione e dal grado di controllo che la persona percepisce di avere. 13 In alcuni casi, come nella situazione che si crea nel doversi prendere cura di un proprio caro affetto da GCA, una combinazione di entrambi gli approcci può essere la più efficace. Infatti, può essere molto utile affrontare direttamente tutte le problematiche connesse al caregiving in riabilitazione mentre si gestiscono anche le emozioni associate a tale processo. La consapevolezza e la padronanza di quale strategia utilizzare in tali situazioni, grazie ad un adeguato supporto psico-educativo, possono migliorare significativamente la capacità di affrontare lo stress che il caregiving determina e promuovere il benessere psicologico di tutta la Famiglia che ruota attorno al paziente con GCA. Indicazioni per il caregiver per una corretta gestione del proprio caro In linea generale, alcune indicazioni possono essere utili ai caregiver, in maniera trasversale. Anzitutto è fondamentale rassicurarlo e potenziare le sue risorse, fornendogli supporto emotivo e aiutandolo a sentirsi più sicuro e competente nel gestire la situazione. Occorre quindi offrigli uno spazio in cui possa esprimere le proprie preoccupazioni e paure senza giudizio, fornirgli informazioni chiare e comprensibili sul disturbo del paziente, sui trattamenti disponibili e sulle risorse di supporto; aiutarlo a identificare le proprie risorse e capacità, incoraggiandolo a utilizzare queste competenze nel supporto al paziente; rassicurarlo sul fatto che non è solo in questa drammatica situazione e che esistono modi efficaci per affrontarla. Anche interpretare correttamente i segnali di responsività riferiti dal familiare è un modo per gestire correttamente il caregiver. Ad es., nel caso di pazienti con disturbo di coscienza, occorre istruire i caregiver a prestare attenzione ai segnali non verbali e verbali del suo caro, quando normalmente non sono visibili da parte degli operatori. Quando il familiare nota nel paziente segni di contatto con l’ambiente in assenza di operatori, lo si può invitare a girare dei video con il telefono cellulare affinché possano essere visionati dal team per una corretta interpretazione degli stessi. In tal modo si possono fornire feedback costruttivi e supportivi al caregiver, aiutandolo a sentirsi ascoltato e compreso. Molto importante è anche stimolare il familiare a stimolare il paziente. Si tratta di un modo efficace per incoraggiare il familiare a svolgere un ruolo attivo nel processo di recupero del paziente; in tal senso, si possono mostrare modelli di comportamento che il caregiver può utilizzare per stimolare il paziente, ad es., a riprendere contatto con l’ambiente quando il proprio caro è in uno SV o di minima coscienza. Il caregiver va inoltre guidato rispetto alle strategie migliori legate al caso specifico, tramite consigli pratici per evitare che egli ostacoli il percorso di autonomia del paziente. Si tratta di offrire 14 linee guida concrete su come stimolare e supportare l'autonomia del paziente, evitando comportamenti che potrebbero essere controproducenti (come l’essere iper-protettivi). Occorre anche assicurarsi che il caregiver comprenda il ruolo dell'équipe neuroriabilitativa, e come collaborare al meglio per il bene del paziente. In sintesi, supportare i caregiver richiede un approccio attento e strategico. Rassicurare, potenziare le risorse, interpretare i segnali e guidare il familiare sono tutte azioni cruciali per migliorare non solo il benessere del paziente, ma anche quello del familiare stesso. Un supporto adeguato può contribuire a creare un ambiente di guarigione e promuovere la resilienza in entrambi. Indicazioni per i caregiver “caso-specifiche” Vediamo adesso, nello specifico e a seconda del livello LCF del paziente, quali indicazioni poter fornire ai caregiver: LCF 1 (paziente in coma) – 2 (SV) -3 (SMC): spiegare sempre cosa si sta per fare (ad esempio: “ora ti metto un cuscino sotto la testa”); parlare con un tono di voce normale; essere brevi e semplici nelle frasi e nelle domande. Ad es., invece di “puoi girare la testa verso di me?” è meglio dire: “guardami”; dire chi siete quando arrivate, dove si trova, che giorno e che momento della giornata è, perché si trova in ospedale; limitare il numero dei visitatori (meglio 1 o 2 alla volta); portare oggetti personali, e foto di famigliari, o amici; aver pazienza nell’aspettare la risposta del paziente; non perdersi d’animo se non c’è risposta; rispettare periodi di riposo; il paziente in queste fasi si affatica rapidamente; non essere troppo incalzanti. LCF 4 (confuso/agitato): ricordare al paziente dove si trova e rassicurarlo sul fatto che è al sicuro; portare qualche oggetto personale da casa; 15 non scoraggiarsi o risentirsi se si mostra agitato, ostile o aggressivo, e neppure fargliene una colpa o “sgridarlo”; non forzarlo a fare qualcosa. Piuttosto è meglio dare ascolto a ciò che vuol fare e assecondarlo, a meno che non rischi di farsi male o di far male a qualcuno; accompagnarlo a fare brevi spostamenti se le sue condizioni lo consentono; parlargli con voce calma mentre si spinge la carrozzina, commentando i percorsi. LCF 5 (confuso/inappropriato) - 6 (confuso/appropriato): ripetere ciò che si è detto ogni volta che è necessario. Non pensare che ricordi ciò che gli avete detto; ricordargli che giorno della settimana è, la data, il luogo e il perché si trova in ospedale appena arrivati a vistarlo e prima di andare via; parlare in modo chiaro, breve e calmo, evitando di vezzeggiarlo; aiutarlo a organizzare e ad iniziare attività semplici adatte alle sue capacità fisiche (mangiare, bere, lavarsi i denti, sfogliare un album di foto...); concedergli periodi di riposo; non scoraggiarsi se le sue prestazioni calano nel tempo; è ancora facilmente affaticabile. LCF 7 (automatico appropriato) - 8 (finalizzato appropriato): trattare la persona da adulto (non in modo infantile), offrendogli guida e aiuto nel prendere le decisioni. Non scegliere per lui, se possibile; fare attenzione quando si usano giochi di parole o espressioni gergali, perché può fraintendere il significato; incoraggiarlo ad impegnarsi nella terapia; se tende a negare le sue difficoltà, non assecondarlo, ma cercare di farlo riflettere su di esse; incoraggiarlo a parlare delle sue sensazioni e di come si sente. Discutere delle cose che lo infastidiscono o lo fanno irritare, e di come poter affrontare queste situazioni incoraggiarlo a essere il più autonomo possibile nelle attività quotidiane; aiutarlo a riconoscere le sue difficoltà, sul piano fisico (debolezza, difficoltà di coordinazione...) e mentale (difficoltà di memoria, concentrazione...), senza drammatizzare e senza criticarlo. Spiegargli che tutto ciò è dovuto al suo trauma; aiutarlo a "riaprire i propri confini" all'altro, in primo luogo il caregiver: è importante che il paziente acquisisca non solo una sempre maggior consapevolezza del Sé, ma anche una parallela capacità di "entrare nel mondo dell’altro" (Prigatano , 2005). In 16 altre parole, occorre aiutare il proprio caro a riacquisire le proprie capacità di Cognizione Sociale (non solo la Theory of Mind ma anche e soprattutto l’empatia!). In relazione a quest’ultimo punto, nel 2015 Bivona e coll. hanno condotto uno studio volto ad indagare se la Qualità della Vita (QoL) dei pazienti con GCA e quella dei relativi caregiver fosse in relazione con le difficoltà esecutive o con i deficit di ToM degli stessi pazienti. I risultati di questo studio hanno dimostrato che mentre la QoL dei pazienti (in termini di soddisfazione) era in relazione con le proprie difficoltà esecutive, quella dei relativi caregiver era in relazione con le difficoltà di ToM degli stessi pazienti. Lo studio quindi sottolinea quanto le difficoltà emotivo-relazionali dei pazienti con GCA possano avere un impatto drammatico sulla vita di chi sta loro attorno, in primo luogo la Famiglia. L’impatto del caregiving sulla riabilitazione del paziente con GCA A supporto dell’esperienza clinica, che dimostra dopo decenni di attività in neuroriabilitazione quanto il caregiver possa essere un vero e proprio membro del team riabilitativo, ossia una figura fondamentale per un miglior recupero del paziente con GCA, uno studio di Bivona e coll. (2020) ha avuto l’obiettivo di indagare, in 24 pazienti con GCA e relativi caregiver, le relazioni tra (a) lo stato psicologico del caregiver, (b) le caratteristiche specifiche dell'assistenza percepite dal terapista cognitivo nella neuroriabilitazione, (c) l'approccio soggettivo dei caregiver alla neuroriabilitazione e (d) l'esito funzionale del paziente. Lo studio ha dimostrato che il benessere psicologico dei caregiver era associato alle caratteristiche del caregiving, all'approccio soggettivo alla neuro-riabilitazione e al recupero funzionale dei loro cari. Un approccio migliore dei caregiver alla neuro-riabilitazione è stato anche associato a un impatto complessivamente positivo del caregiving nella neuro-riabilitazione e a un migliore esito funzionale dei pazienti. In sintesi, dallo studio di Bivona e coll. (2020) è emerso un circolo virtuoso che coinvolge i caregiver all'interno del processo di neuroriabilitazione, secondo cui il loro benessere psicologico è strettamente associato a un migliore livello di assistenza e a un migliore esito funzionale dei pazienti che, a sua volta, potrebbe influenzare positivamente il benessere psicologico dei caregiver stessi. Sebbene preliminari, questi risultati suggeriscono l’utilità di uno specifico intervento psicoeducativo, mirato a migliorare il benessere psicologico dei caregiver e a facilitare la loro cura del proprio caro (il paziente con GCA). La controprova di questi risultati è emersa da un secondo studio (Bivona et al., 2022) condotto in piena emergenza COVID, ossia quando l’ospedale di riabilitazione è stato letteralmente blindato 17 ed ai caregiver non è stato concesso l’accesso in reparto, se non in rarissimi casi nei quali il caregiver, per specifiche e imprescindibili esigenze riabilitative, è stato autorizzato a rimanere in Reparto per assistere in presenza il proprio caro. L'esito funzionale alla dimissione è stato misurato in 25 pazienti ricoverati con GCA tramite la Disability Rating Scale (DRS), la Glasgow Outcome Scale (GOS) e la Levels of Cognitive Functioning Scale (LCF) dopo la riabilitazione neuropsicologica. Quattordici pazienti sono stati assistiti direttamente dai loro caregiver in presenza nel reparto di neuroriabilitazione, mentre 11 pazienti sono stati supportati indirettamente tramite connessione remota. Lo studio ha dimostrato che, benché entrambi i gruppi fossero migliorati dopo il trattamento, il miglioramento è stato maggiore nel gruppo assistito in presenza dai propri caregiver. In sintesi, i risultati hanno mostrato che, sebbene i caregiver assicurassero la loro presenza virtuale a distanza, la loro assenza fisica ha avuto un ruolo nell'ostacolare il risultato funzionale dei pazienti. Dunque, il ruolo del caregiver dei pazienti con GCA è stato ben sottolineato, non solo come colui che dispensa genericamente aiuto, cure e affetto, ma anche come parte integrante del percorso riabilitativo. IL SUPPORTO PSICOLOGICO ALLA FAMIGLIA, “VITTIMA SECONDARIA” DELLA GCA Già nel 1988 la Lezak parlava del danno cerebrale acquisito come di un “Family Affair”, ossia delle conseguenze del danno cerebrale sull’intero sistema familiare. Si sa, infatti, che tale evento è catastrofico per il benessere emotivo sia del paziente, sia dell’intero sistema familiare (Sander, 1996). La valutazione della persona con GCA ai fini della presa in carico riabilitativa richiede un dunque un approccio inter-disciplinare, che tenga conto dell’insieme delle problematiche che influiscono sulla condizione di salute del paziente e della sua Famiglia, compresi i fattori ambientali, secondo una prospettiva Bio-Psico-Sociale. Va sottolineato che il sostegno familiare e il supporto sociale sono elementi fondamentali per il benessere psicologico e la salute mentale degli individui. La loro importanza è stata ampiamente studiata in psicologia, e uno degli aspetti chiave è la percezione del proprio senso di auto-efficacia. Pennebaker (2004) ha esplorato queste dinamiche, evidenziando come l'espressione emotiva e la condivisione delle esperienze personali possano facilitare il processo di coping e migliorare il benessere psicologico. 18 Evoluzione del distress emotivo del caregiver Vediamo quali stati emotivi e processi psicologici rappresentano le fasi comuni del lutto reale e del processo di elaborazione del dolore a seguito di una perdita significativa, come la morte di una persona cara, una rottura affettiva. Tali fasi possono essere considerate anche le caratteristiche tipiche di un lutto “parziale”, ossia quello caratterizzato da perdite importanti di parti del Sé del paziente, determinate da una GCA, benché il paziente sia ancora in vita. Queste fasi possono variare da individuo a individuo, e non seguono necessariamente un ordine lineare. Ecco una breve descrizione di ciascuna fase: 1. Shock e Sgomento: è il primo stadio in cui la persona può sentirsi sopraffatta dalla notizia della perdita. Spesso si prova una sensazione di incredulità o un'intensa confusione; 2. Negazione: in questa fase, la persona può rifiutare di accettare la realtà della perdita. La negazione può servire come meccanismo di difesa per proteggere l'individuo dal dolore immediato; 3. Rabbia: la perdita può suscitare sentimenti di rabbia e frustrazione. La rabbia, in particolare, può essere rivolta verso se stessi, gli altri, la situazione o addirittura verso il paziente; 4. Paura/Depressione: la consapevolezza della perdita può portare a sentimenti di paura riguardo al futuro o a una profonda tristezza e depressione. È comune sentirsi sopraffatti dalla solitudine o dall'incertezza; 5. Tristezza: essa è una risposta naturale alla perdita e può includere il pianto, il ricordo dei momenti felici e il “lutto” per ciò che è stato perso; 6. Accettazione: nel tempo molte persone raggiungono una certa forma di accettazione, che non significa dimenticare la perdita, ma iniziare a integrare l'evento nel proprio vissuto; 7. Perdono: questa fase può comportare il perdono verso se stessi o verso gli altri per eventuali conflitti irrisolti o per sentimenti di colpa legati alla perdita; 8. Ricerca di Senso e di Rinascita: molte persone iniziano a cercare un significato nella loro esperienza di perdita, che può portare a una crescita personale e a una rinnovata comprensione della vita; 9. Serenità e Pace Ritrovata: in questa fase finale, l'individuo può sentirsi in pace con la propria esperienza, trovando un nuovo equilibrio e una nuova normalità dopo il dolore. Queste fasi sono parte di un processo complesso e altamente personale. È importante ricordare che ognuno affronta il lutto, anche quello “parziale”, a modo proprio e che non esistono tempistiche "giuste" per attraversare queste emozioni. Supporto sociale, terapia e pratiche di auto- cura possono essere utili per navigare attraverso queste fasi. 19 Di fatto, la forza del caregiver è connessa alla speranza e all’affetto per il paziente e per gli altri membri della Famiglia. Ma mentre mostra affetto per il proprio caro, la Famiglia lotta costantemente contro la propria sofferenza. Di conseguenza, è molto importante che qualsiasi riabilitatore presti la massima attenzione al livello di sofferenza della Famiglia (Jumisko et al., 2007). La GCA rappresenta spesso, per i caregiver, una forte limitazione alla libertà di vivere la propria vita in modo autonomo e indipendente (Ennis et al., 2013). Essi, infatti, spesso tornano (nel caso dei genitori), o imparano (nel caso dei partners), ad assumere un ruolo genitoriale emotivamente "nuovo" (Florian & Katz, 1991; Lezak, 1988). Ma mentre i partners posso "scegliere″ se mantenere un legame con il paziente, i genitori non hanno questa possibilità (Ennis et al., 2013). I caregiver primari, in particolare, sono spesso costretti a dedicarsi totalmente al proprio caro, rinunciando ad es., al proprio tempo libero, rispetto a quanto invece non avviene per i caregiver secondari (D’Ippolito et al., 2018). È noto anche che È noto che la GCA ha un impatto negativo (in termini di burden, a livello fisico, psicologico, sociale ed economico) maggiormente sui partners che sui genitori (Blais & Boisvert, 2005; Florian & Katz, 1991; Verhaeghe et al., 2005; Zeigler, 1999). Per quanto concerne, invece, i disturbi dell’umore, solo pochi studi hanno verificato che i partners, rispetto ai genitori, sono maggiormente depressi e ansiosi (Kreutzer et al., 1994a, 1994b; Gervasio & Kreutzer, 1997; cit. in Ennis et al., 2013), mentre molti altri studi hanno trovato alti livelli di ansia e depressione in entrambi i caregiver. Il caregiving nel caso di pazienti in SV o in SMC Soprattutto nei caregiver di pazienti con disturbi di coscienza (SV, SMC) si rileva un alto indice di distress psicologico (Leonardi et al., 2012; Moretta et al., 2014), caratterizzato da sintomi psico- fisiologici, ansia, depressione che, soprattutto nei più giovani sfocia nel cosiddetto Disturbo da Lutto Prolungato (Prolonged Grief Disorder - PGD). Il PGD Il PGD si manifesta in seguito alla perdita di una persona significativa, non limitandosi necessariamente alla morte. Le caratteristiche del PGD possono essere comprese attraverso il lavoro di diversi autori, tra cui Morina et al. (2010), Boelen e Prigerson (2007), e Chiambretto et al. (2008). Le caratteristiche del disturbo sono: 20 1. Evento Critico: la perdita di una persona significativa, che può includere non solo la morte, ma anche altre forme di separazione, come rotture affettive, il divorzio, o addirittura la perdita di una relazione significativa, ivi compresa una grave malattia come una GCA; 2. Distress da Separazione: la persona sperimenta un intenso distress emotivo legato alla separazione, che può manifestarsi in un senso di vuoto, nostalgia e un forte desiderio di riunirsi con la persona perduta; 3. Sintomi Emotivi, Cognitivi e Comportamentali: la persona può trovarsi a riflettere incessantemente sulla perdita, ripensando ai momenti trascorsi con la persona, ai "cosa se" e ai rimpianti. La persona con PGD può ritirarsi dalle interazioni sociali, evitando contatti con amici e familiari, e preferendo la solitudine. La perdita può generare pensieri intrusivi, che disturbano la vita quotidiana e rendono difficile concentrarsi su altre attività. Ci possono essere sentimenti persistenti di rimpianto per le cose non dette o non fatte, aumentando il senso di colpa e la sofferenza emotiva. La persona potrebbe percepire una diminuzione significativa nella qualità della propria vita, che può manifestarsi in cambiamenti nelle routine quotidiane, nella motivazione e nel benessere generale. Per tali motivi, il PGD è una condizione complessa che richiede attenzione e supporto. È importante riconoscere che non tutti coloro che affrontano una perdita sviluppano questo disturbo, ma per coloro che lo fanno, i sintomi possono essere debilitanti e influenzare significativamente la loro vita. Il trattamento può includere terapia psicologica, supporto sociale e, in alcuni casi, farmaci per alleviare i sintomi associati. La consapevolezza e l’educazione riguardo al PGD possono aiutare individui e famiglie a cercare e ricevere il supporto necessario per affrontare il lutto, anche quello “parziale”, in modo sano. Di fatto, nello SV (ma anche nello SMC) il caregiver vive quello che Stern (1988) definisce un “paradosso emozionale”: il paziente è al tempo stesso presente e assente (vivo e "morto")! Per questo è difficile poter elaborare questa forma di “lutto” (Lezak e O’Brien, 1988). Da un punto di vista della prevalenza in base alla prevalenza in base all’età, sono maggiormente soggetti a PGD i caregiver più giovani e coloro che assistono i pazienti più giovani (Chiambretto et al., 2008). Come assistere psicologicamente il caregiving Obiettivo principale del supporto psicologico ai caregiver di pazienti con GCA è stabilire assieme al familiare obiettivi raggiungibili, modulando le proprie aspettative legate ai bisogni, sulla base della situazione reale, e favorire il recupero della propria dimensione individuale. 21 È molto importante anche guidare il caregiver nell’identificare e soprattutto accettare le proprie emozioni (rabbia in primo luogo), “normalizzando” le emozioni, qualsiasi esse siano. Aumentare la conoscenza di sé, riscoprendo/rimodulando anche i propri bisogni può essere di grande aiuto, poiché si guida il caregiver a riappropriarsi della propria dimensione dell’"Io", rispetto a quella del "Noi", che essi vivono costantemente dal primo momento dell’insorgenza della GCA. Un aspetto molto importante è informare il caregiver sul rischio di "distorsioni empatiche" rispetto al paziente, per ridurne la sofferenza ("come si sentirà nelle sue condizioni? Quanto sarà disperato?"). in questo senso è di grande aiuto informare il caregiver sul fatto che, soprattutto i pazienti con un punteggio LCF inferiore a 7 (e a maggior ragione coloro che sono in SV o in SMC) non hanno la consapevolezza della propria condizione di malattia. Di conseguenza, non possono rendersi conto, a livello meta-cognitivo, di come stanno, ad eccezione ovviamente delle condizioni di sofferenza acuta, come ad es., del sentire il dolore fisico per tutta la durata dello stimolo nocicettivo, o il dolore emotivo per tempi molto limitati e strettamente connessi alla presenza dello stimolo a valenza emotiva. In altri termini, i pazienti stanno verosimilmente e paradossalmente “meno peggio” di quanto si possa immaginare dall’esterno, se ci si mette nei loro panni ma con un cervello integro (come, appunto, quello dei caregiver che si immedesimano in loro). Conclusioni L'intervento psicologico sui caregiver è un aspetto fondamentale della cura e del supporto ai pazienti, poiché i caregiver stessi possono sperimentare stress, ansia e altre difficoltà emotive nel loro ruolo. È essenziale che l'intervento di supporto sia “personalizzato” in base alla fase del percorso riabilitativo del paziente e alla gravità della sua condizione, nonché alle esigenze specifiche del caregiver. In questo senso possiamo distinguere i diversi aspetti e momenti: 1. Fase Sub-Acuta: nel primo periodo l'attenzione del caregiver è principalmente rivolta al paziente e alla sua situazione clinica. L'intervento mira dunque a fornire supporto al caregiver nell'affrontare le necessità primarie del paziente. È quindi cruciale offrire al caregiver un sostegno emotivo e pratico, aiutandolo a comprendere e gestire il decorso e le esigenze del paziente. Informare il caregiver riguardo alla condizione del paziente e alle modalità di cura può alleviare ansie e preoccupazioni; 22 2. Fase Cronica: una volta che la situazione del paziente è sufficientemente stabilizzata, si può iniziare a lavorare sull’identità e sul benessere del caregiver stesso. Qui ci si incentra sull’autocura e sull’importanza di mantenere una vita equilibrata, incoraggiando il caregiver a riflettere su se stesso e sulle proprie esigenze, promuovendo una maggiore consapevolezza delle proprie emozioni e del proprio stato di salute mentale. In questa fase, è utile insegnare tecniche di gestione dello stress, comunicazione e risoluzione dei conflitti, per migliorare la relazione tra caregiver e paziente; 3. Casi Più Gravi: nei casi in cui il caregiver assista una paziente grave e dunque viva un PGD, è fondamentale un intervento mirato e finalizzato all’elaborazione del lutto parziale. Questo può consistere nel guidare il caregiver a non confondere la parte (la perdita di una o più funzioni del paziente) con il tutto (il paziente nella sua totalità, come se fosse morto). Sono quindi utili tecniche di elaborazione del lutto per aiutare il caregiver a gestire la perdita e il cambiamento della relazione con il paziente, nonché un supporto per affrontare il dolore e la sofferenza emotiva. 4. Casi Più Fortunati: in situazioni più favorevoli, quando il paziente mostra un buon recupero, l'intervento può concentrarsi sulla ricostruzione del Sé del caregiver e sull'interazione tra paziente e famiglia. In sintesi, l'intervento psicologico sui caregiver deve essere adattato alle diverse fasi del percorso riabilitativo e alle specifiche esigenze del paziente e del caregiver. Un approccio flessibile e centrato sulla persona è cruciale per garantire un supporto adeguato e per promuovere il benessere sia del caregiver che, indirettamente, del proprio caro. La collaborazione tra tutto il team inter-disciplinare e caregiver è dunque fondamentale per creare un ambiente di cura che favorisca la resilienza e il recupero della famiglia, in un momento così delicato del proprio percorso di vita. 23