IGIENE E SICUREZZA NEI LUOGHI DI LAVORO PDF
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This document discusses the epidemiology of infectious diseases in workplaces. It provides information on human cells and various types of microorganisms, including bacteria, virus, fungi, protozoa, and worms, and their characteristics. The document describes the relationship between the human body and microorganisms, and how the balance can be affected.
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IGIENE E SICUREZZA NEI LUOGHI DI LAVORO EPIDEMIOLOGIA DELLE MALATTIE INFETTIVE Le cellule umane hanno dimensioni di circa 100 μm. La cellula umana è una struttura immensa perché all’interno della...
IGIENE E SICUREZZA NEI LUOGHI DI LAVORO EPIDEMIOLOGIA DELLE MALATTIE INFETTIVE Le cellule umane hanno dimensioni di circa 100 μm. La cellula umana è una struttura immensa perché all’interno della cellula ci sono migliaia di organuli, recettori, secondi messaggeri, proteine… quindi la cellula rappresenta un ecosistema enorme. Nelle cellule più affamate di energia (neuroni, muscolo cardiaco…) ci sono circa: 10.000 mitocondri (che consumano circa 500 milioni di ATP ogni minuto), 10 miliardi di fosfolipidi sulla membrana, 200.000 RNA messaggeri che codificano continuamente il DNA in proteine, 12 miliardi di proteine che si assemblano e muovono continuamente, parliamo quindi di circa 19.000 geni che contengono circa 6 miliardi di basi. Nel corpo umano ci sono circa 37.000 miliardi di cellule, tra cui 35 miliardi di globuli bianchi. Nel nostro corpo, ci sono 5-10 volte più cellule batteriche (più piccole) di cellule umane (> 100.000 miliardi). Il cosiddetto “microbiota”, nel solo intestino, contiene oltre 1000 specie diverse di batteri. Ogni respiro comporta l’entrata nell’organismo di circa 1800 batteri diversi eppure siamo sani. Nel corpo umano ci sono circa 37.000 miliardi di cellule. In ogni cellula, vi sono circa 19.000 geni, che contengono circa 6 miliardi di basi. Poiché solo il 2% del genoma è attivo (circa 120 milioni di basi), ne consegue che nel nostro corpo ci sono 37.000.000.000.000 · 120.000.000 = 4.440.000.000.000.000.000.000 = 4 mila 400 miliardi di miliardi di basi che vengono codificate regolarmente, anche più volte al secondo. Anche assumendo che, ogni secondo, ogni base venga codificata una sola volta, ogni giorno nel nostro corpo vengono codificate (dagli RNA) 4.440.000.000.000.000.000.000 · 86.400 (sec.) = 383.616.000.000.000.000.000.000.000 = 384 milioni di miliardi di miliardi di basi. Questo processo avviene senza errori definitivi (gli errori vengono riparati), ovvero senza mutazioni genetiche (tumorali o meno): da un punto di vista statistico, il nostro corpo ha un efficienza superiore a quella di un super computer, e la nostra sopravvivenza negli anni è eccezionale. AGENTI EZIOLOGICI Per malattie infettive e parassitarie si intendono alterazioni peggiorative dello stato di salute provocate da microrganismi o macroparassiti. Queste 2 tipologie di agenti eziologici, cioè causali, comprendono diverse classi di organismi viventi: 1. Virus (es. influenza): dimensioni 20-400 nm, sono organismi subcellulari, i più piccoli organismi viventi e incapaci di replicarsi senza le strutture della cellula aggredita 2. Batteri (es. salmonelle): dimensioni 0.3-1.5 μm, organismi unicellulari dotati di parete esterna, oltre alla membrana cellulare 3. Funghi o miceti (es. candida): dimensioni 10-50 μm, uni e pluricellulari, simili a piante 4. Protozoi (es. toxoplasma): dimensioni 1-70 μm, unicellulari, più complessi dei batteri 5. Elminti, ovvero i cosiddetti vermi (es. Tenia Solium, anche nota come “verme solitario”): dimensioni 1mm-8m, pluricellulari, molto complessi RAPPORTO CON L’UOMO La malattia infettiva, inevitabilmente, si verifica dopo il contagio e l’infezione da parte del microrganismo. Il contagio (contaminazione) è la presenza del microrganismo all’interno del nostro corpo (o sulla cute). L’infezione è l’impianto e l’attiva moltiplicazione del microrganismo nel nostro corpo, sebbene non vi siano ancora segni (es. febbre) o sintomi (es. dolore). La malattia infettiva è l’evoluzione dell’infezione verso una condizione morbosa, caratterizzata da sintomi e/o segni di patologia. Ovviamente, e fortunatamente, non tutte le interazioni tra uomo e microrganismo evolvono verso la malattia: nella stragrande maggioranza dei casi alla contaminazione non segue l’infezione, ed all’infezione non segue la malattia. Il nostro sistema immunitario, infatti, riesce quasi sempre a fermare il microrganismo prima che possa replicarsi o a limitarne la replicazione, evitando l’insorgere della malattia. Inoltre, molti microrganismi non sono patogeni o non sono dannosi se non a contatto con specifiche parti del nostro corpo. EQUILIBRIO TRA UOMO E MICRORGANISMI Da quanto esposto, risulta chiaro che uomo e microrganismi interagiscono e sono in un difficile equilibrio. Normalmente l’equilibrio pende a favore dell’uomo, ma il verificarsi di una malattia infettiva sta ad indicare che qualcosa nell’equilibrio si è alterato ed il microrganismo ha avuto la meglio. I fattori che alterano l’equilibrio possono essere: a) Patogenicità del microrganismo: capacità dei microrganismi di causare danni all’ospite (uomo o animale). Dipende da: a. Invasività: capacità di penetrare nell’ ospite b. Contagiosità: capacità di passare da un ospite all’altro c. Virulenza: capacità di moltiplicarsi e causare danni all’ospite direttamente o tramite la produzione di tossine d. Carica o dose infettante: numero di microrganismi necessari per causare un’infezione (ciò può variare a seconda della suscettibilità dell’ospite) b) Caratteristiche dell’ospite: a. Barriere naturali: cute, mucose e secrezioni b. Immunità: globuli bianchi, in particolare granulociti, macrofagi, linfociti e anticorpi prodotti da quest’ultimi c. Condizioni igieniche c) Caratteristiche ambientali: a. Temperatura: le temperature vicine a 36° favoriscono la replicazione dei microrganismi, mentre le basse temperature riducono l’attività delle barriere nella mucosa respiratoria (ciglia) favorendo l’infezione di alcuni virus (es. influenza) b. Condizioni igieniche IMMUNODEFICIENZA NEGLI ATLETI Sebbene la competizione sportiva sia una condizione recante benefici alla salute, possono anche esservi alcuni problemi a causa di diversi fattori, quali: o Comparsa dopo la prestazione sportiva molto intensa di un quadro transitorio che ricorda le immunodeficienze (>infezioni) o Uso di sostanze farmacologiche, non ammesse dall’etica sportiva, per migliorare le prestazioni agonistiche Immediatamente dopo lo sforzo fisico si ha un aumento di linfociti (leucocitosi), soprattutto CD8+ (suppressor), con alterazione del rapporto CD4+/CD8+, a causa di: - Emoconcentrazione per dispersione di liquidi extracellulari - Secrezione di adrenalina - Incremento dei livelli sierici di cortisolo TIPO DI INTERAZIONE CON L’UOMO A seconda del tipo di interazione che instaurano con l’uomo, i diversi microrganismi vengono classificati come: ✓ Saprofiti → Il loro habitat è l’ambiente: quando entrano in contatto con l’uomo non provocano alcun danno (ad esempio i funghi) ✓ Commensali → Il loro habitat naturale è l’uomo (o l’ animale): essi sono solitamente nelle zone più esterne (cute, mucose) e non causano danni (es. Escherichia Coli) ✓ Opportunisti → Il loro habitat naturale è l’uomo (o l’animale): essi risiedono stabilmente in alcune zone specifiche (tipicamente l’intestino), dove non provocano alcun danno. Tuttavia, se vengono in contatto con altri ambienti (es. le mucose genito-urinarie) possono causare infezione/malattia. Il nome deriva dal fatto che “si approfittano” della nuova situazione (es. Coliformi fecali) ✓ Parassiti → Sfruttano qualsiasi tipo di habitat, sia interno che esterno all’ospite: a contatto con l’uomo (o l’animale) in numero sufficiente, essi tendono a causare sempre infezione/malattia (es. Nematodi) DIFFUSIONE NELLA POPOLAZIONE Quando un microrganismo riesce a vincere le difese immunitarie dell’ospite e a causare una malattia, questa si può diffondere o meno alla popolazione. A seconda di come e quanto si diffondono nella popolazione, volta per volta, le malattie infettive vengono definite: ▪ Sporadiche: si verificano pochi casi in tempi lunghi, solitamente isolati ▪ Endemiche: in un luogo si verifica un numero costante, superiore alla media, di casi di malattia (es. epatite C in Abruzzo: ogni anno si registra un incidenza superiore alla media nazionale, ma tale incidenza è costante) ▪ Epidemiche: si verifica un aumento anomalo del numero di casi in un luogo ed in un periodo di tempo definito (es. 100 casi di influenza in una settimana in Abruzzo, quando di solito ve ne sono 10…) ▪ Pandemiche: si verifica un epidemia in almeno 2 continenti (pandemia) ▪ Ubiquitarie: sono presenti ovunque nel mondo (endemiche nel mondo), potendo causare epidemie o pandemie MODALITÀ DI TRASMISSIONE Le malattie infettive possono avere le seguenti modalità di trasmissione: I. Trasmissione orizzontale diretta (uomo-uomo): contatto diretto (via sessuale o meno), via parenterale (sangue), via aerea (goccioline di saliva), via oro-fecale (ingestione) II. Trasmissione orizzontale indiretta (uomo-veicolo/vettore-uomo): veicoli (oggetti, ma anche aria, alimenti), vettori (insetti: zanzare, artropodi: zecche) III. Trasmissione verticale (madre-feto/neonato): via transplacentare (attraverso la placenta), parto (scambio di sangue durante il parto) Conoscere la via di trasmissione di un microrganismo è essenziale per poterne prevenire l’infezione. Se, ad esempio, sappiamo che l’epatite A si trasmette per via oro-fecale, ossia tramite cibi (o acqua) contaminati dalle feci di persone malate, una efficace misura per prevenirla sarà bollire l’acqua o cuocere a lungo i cibi. Ancora, se sappiamo che l’HIV (il virus dell’AIDS) si trasmette tramite i rapporti sessuali, usiamo profilattici... SORGENTI E PORTATORI ❖ Serbatoio d’infezione: è l’habitat naturale del microrganismo, e può essere un animale/vegetale come pure un materiale organico ❖ Sorgente d’infezione: è quell’elemento, vivente o meno, dal quale il microrganismo si diffonde per poi contaminare l’ambiente o l’ospite umano La sorgente può essere un animale infetto o malato, un uomo infetto o malato, o la persona stessa (nel caso dei microrganismi opportunisti, se questi passano da un tessuto all’altro). Quando l’uomo che elimina il microrganismo è infetto, ma non è (o non lo è più) malato, viene chiamato “portatore”. Il portatore può essere: Precoce: quando elimina il microrganismo già nel periodo d’incubazione Convalescente: quando il portatore elimina il microrganismo anche mentre sta guarendo Sano: quando l’infezione non causa sintomi/segni di malattia, né danni ai tessuti Cronico: quando il portatore non ha segni/sintomi, ma l’infezione continua e causa danni ai tessuti PROFILASSI DELLE MALATTIE INFETTIVE Prevenzione e profilassi possono essere considerati sinonimi, tali termini essendo riferiti a quell’insieme di norme ed azioni che tendono a proteggere l’uomo dalle malattie (in questo caso specifico, infettive). Esistono 3 tipi di profilassi/prevenzione: 1. Prevenzione primaria: ha come obiettivo impedire l’insorgere delle malattie nelle persone sane (cerca, quindi, di prevenire sia il contagio che il passaggio da contagio ad infezione) → Metodi: eliminazione delle sorgenti o serbatoi, rimozione dell’esposizione, potenziamento delle difese dell’organismo (vaccini, immunoprofilassi, eugenetica) 2. Prevenzione secondaria: ha come obiettivo scoprire e guarire le infezioni prima che evolvano in malattie (persone con l’infezione, ma non ancora la malattia), come pure scoprire e guarire i casi in cui la malattia è già in atto ma non è stata ancora diagnosticata (persone già malate che non sanno di esserlo) → Metodi: screening e terapia 3. Prevenzione terziaria: ha come obiettivo impedire che in persone già malate si verifichino le complicanze più gravi (evoluzione a fasi avanzate) → Metodi: migliore accesso alle cure, riabilitazione, terapia In base alle modalità di attuazione, la profilassi/prevenzione può anche essere definita: Aspecifica diretta: se si interviene direttamente su un caso di malattia con azioni generiche, valide per tante malattie (es. isolamento) Aspecifica indiretta: se si modifica l’ambiente in modo da renderlo meno ospitale per vari microrganismi e migliore, in generale, per l’uomo (es. fognature efficienti) Specifica: se si interviene con azioni mirate su uno specifico microrganismo, ad esempio con farmaci appositi o tramite vaccini o immunoglobuline (anticorpi) In seguito ad un caso di malattia, quindi dovrebbero essere messe in atto una serie di azioni di profilassi diretta, tra cui: la denuncia del caso (notifica) alla ASL, l’accertamento diagnostico del caso (con gli esami opportuni), l’inchiesta epidemiologica (domande su come sia potuto avvenire il contagio, dove e da chi), l’isolamento del soggetto malato se contagioso, la disinfezione o disinfestazione dell’ambiente nel quale egli è stato a contatto. Teoricamente, queste azioni andrebbero svolte ogni volta che si riscontra una malattia infettiva. Tuttavia, inevitabilmente, a causa delle risorse limitate (e, a volte, del buon senso), esse si adottano solo in casi di patologie particolarmente gravi (es. coronavirus, colera...). DISINFEZIONE E STERILIZZAZIONE Esistono differenti procedure atte all’allontanamento dei microrganismi da un substrato: Detersione: rimozione dello sporco grossolano Decontaminazione: disinfezione preliminare per proteggere gli operatori Disinfezione: eliminazione di tutti i microrganismi patogeni da un substrato inanimato Asepsi: mantenimento della disinfezione Sterilizzazione: eliminazione di ogni forma di vita Sanificazione: diminuzione della carica microbica entro specifici standard di sanità pubblica Disinfezione La disinfezione è la distruzione di tutti i microrganismi patogeni (e solo quelli) in un ambiente. La disinfezione può essere svolta tramite mezzi fisici (calore, ebollizione o esposizione tramite microonde) o mezzi chimici. Ovviamente, la natura del materiale da disinfettare influenza la scelta del metodo (ad es. alcuni disinfettanti sono solventi e deteriorano i materiali plastici; non si sottopone una ferita a ebollizione...). In effetti, non si disinfetta allo stesso modo una sala operatoria ed il cavo orale… Alcuni microrganismi sono in grado di formare speciali cellule replicative, dette spore, che hanno enorme resistenza a condizioni ambientali avverse. Se si sospetta vi siano spore, occorre usare metodi più potenti (es. aldeidi). Tra i mezzi chimici, i più comuni sono: o Cloro (ipoclorito o ipocloroso): il “principe dei disinfettanti, usato per le acque potabili e non o Iodio (per ferite, vie aeree) o Alcool (a concentrazioni almeno del 60-70%, non efficace se anidro, per iniezioni…) o Perossido di idrogeno (acqua ossigenata, molto efficace per le ferite) o Saponi (acido stearico, palmitico, oleico...) o Detergenti sintetici (Clorexidina, uno dei disinfettanti più utilizzati) o Aldeidi: ottime per eliminare le spore, ma corrosive per mucose e cancerogene (formaldeide nell’allestimento dei vaccini, glutaraldeide per gli endoscopi) Le spore sono particolari forme di microrganismo vegetative, in cui il microrganismo che si trova in un ambiente ostile si trasforma, si rinchiude all’interno di una parete molto resistente (anche a 100° per pochi minuti o a temperature bassissime per anni). Sterilizzazione Più radicale della disinfezione, la sterilizzazione è la distruzione di tutti i microrganismi (non solo quelli patogeni) presenti in un ambiente (ogni forma di vita, spore comprese). Tuttavia, oggi la sua definizione è passata ad un concetto probabilistico, ovvero un substrato è definito sterile quando la probabilità di trovarvi un microrganismo è inferiore ad uno su un milione. La sterilizzazione è di essenziale importanza per gli strumenti chirurgici, così come nell’assistenza a persone immunodepresse, che potrebbero ammalarsi anche in seguito al contatto con microrganismi solitamente non patogeni. La sterilizzazione si attua solitamente con mezzi fisici, essendo i mezzi chimici meno utili o più tossici. La sterilizzazione è regolata in Italia dal D.L. 46/97 (che ha recepito la direttiva 93/42/CEE). I principali metodi impiegati sono: − Calore (fiamma viva, calore a secco con stufe, calore umido con vapore saturo a 121°/30 min. in autoclave di classe B, raggi infrarossi). L'autoclave è una particolare caldaia, dotata di una o più porte di accesso per il carico e lo scarico del materiale da sterilizzare, in cui si produce vapore sotto pressione per raggiungere alte temperature per lungo tempo − Raggi ultravioletti (tuttavia hanno poca penetrazione) − Raggi γ (ottimi, ma di solito solo per materiale a perdere) La sterilizzazione attuata con mezzi chimici, assai meno frequente, viene chiamata sterilizzazione a freddo. Essa viene solitamente attuata mediante acido peracetico, mentre una modalità innovativa utilizza il gas plasma, sfruttando le proprietà del quarto stato di aggregazione della materia. DISINFESTAZIONE La disinfestazione è l’eliminazione di tutti gli insetti e roditori. Essa si attua tramite l’impiego di insetticidi e rodenticidi (i più comuni dei quali: warfarin e cumarolo). Tra gli insetticidi, i più comuni sono: ▪ Piretrine: estratti da fiori Crysanthemum), non sono tossici ed infatti sono i componenti del comune “Baygon” contro mosche e zanzare ▪ Carbammati: anch’essi tipicamente usati in ambito domestico contro scarafaggi, zanzare e pidocchi) ▪ Clorurati organici: DDT-DDD, oggi meno utilizzati per la loro tossicità sulle cellule germinali e la capacità di accumulo nell’organismo ▪ Organofosforici: Malathion, Parthion, ma anche nervini, Sudan 3, tutti molto efficaci ma altrettanto tossici per uomo e animali, perciò poco usati IMMUNOPROFILASSI L’immunoprofilassi è quella metodologia che cerca di prevenire le infezioni/malattie tramite il potenziamento del sistema immunitario, ovvero solitamente tramite anticorpi specifici contro un dato microrganismo. Essa può essere passiva se si fonda su anticorpi esterni (già prodotti da altre persone o animali), o attiva se basata su anticorpi prodotti dal nostro stesso organismo. L’immunoprofilassi passiva consiste in: a) Sieri immuni eterologhi: anticorpi specifici efficaci contro un microrganismo, estratti dal sangue di animali che ne hanno in abbondanza, e concentrati. Tali anticorpi sono già formati e pronti e vengono somministrati ad una persona che rischia di aver contratto quella malattia in modo da aiutare in suo sistema immunitario a sconfiggerla prima che si manifesti clinicamente (usate tipicamente per morbillo, varicella, tetano...). Sono impiegati anche contro alcuni veleni. b) Sieri omologhi o immunoglobuline (IG): identici ai precedenti ma estratti dall’uomo. Non causano reazioni avverse, ma più complessi da ottenere. Entrambi i preparati sono attivi in 24h e durano circa 2-4 settimane. I sieri possono provocare effetti indesiderati, come reazioni anafilattiche locali o sistemiche (febbri, artralgie, eritemi, etc.), fino alla cosiddetta malattia da siero (orticaria, edemi, febbre alta) e, in casi rarissimi, uno shock anafilattico (broncocostrizione e collasso cardiocircolatorio). La immunoprofilassi attiva consiste invece nei vaccini, tramite i quali il sistema immunitario dell’uomo ricevente viene stimolato a produrre attivamente gli anticorpi specifici contro un certo microrganismo. Vi sono diversi tipi di vaccini; in generale, comunque, tutti sono composti da parti o dall’intero microrganismo in questione, che è stato inattivato o proprio ucciso, e che viene inoculato nell’uomo. Sebbene il microrganismo, così trattato, non sia più in grado di creare un danno, esso viene riconosciuto dalle cellule immunitarie del nostro organismo, inducendole a produrre gli specifici anticorpi. Questi, una volta prodotta, saranno in seguito immediatamente efficaci in caso di contagio col microrganismo “vero”, impedendone l’infezione/malattia. Es. il vaccino contro il morbillo non è altro che il virus del morbillo vivo ma attenuato (con vari procedimenti), inoculato per via sottocutanea, il quale induce la produzione di anticorpi contro il virus del morbillo stesso. Come detto, nei vaccini i microrganismi possono essere vivi attenuati, uccisi, sotto forma di soli antigeni (le parti che vengono riconosciute). In certi casi, quando il danno non è prodotto dal microrganismo stesso, ma dalla tossina da questo prodotta, il vaccino non è composto solitamente dal microrganismo, ma dalla tossina stessa (chiaramente, anch’essa inattivata). È il caso, ad esempio, del tetano e della difterite. I vaccini vengono somministrati per varie vie (orale, endovena, sottocute, intramuscolo) e possono avere effetti indesiderati di vario genere e gravità (frequenti: edemi, dolore, eritemi; molto rari: encefaliti, shock). Ovviamente, poiché presumono una buona reazione da parte del sistema immunitario, essi sono controindicati nei soggetti immunocompromessi e nelle persone con patologie acute, oltre agli allergici ad alcuni componenti del vaccino. Infine, ovviamente, non esistono vaccini per tutti i microrganismi e, anche i vaccini esistenti, non hanno mai un’efficacia pari al 100%, per cui una piccola quota di soggetti vaccinati si può ammalare lo stesso. Il grosso vantaggio dei vaccini rispetto alle Ig è che la loro azione è enormemente più duratura, potendo in certi casi durare tutta la vita (es. antipolio). Lo svantaggio è che, per funzionare, i vaccini hanno bisogno di almeno 2 settimane, mentre le Ig agiscono subito. Queste ultime sono quindi l’unica possibilità d’intervento nei soggetti per cui si ipotizza il contagio di una malattia molto grave (i cui sintomi potrebbero verificarsi nel giro di pochi giorni) o in casi di avvelenamento (tutti i casi già infettati/malati o urgenti). In Italia, il DL n. 73 del 7 giugno 2017 ha aggiornato l’elenco dei vaccini obbligatori per tutti i nuovi nati, a partire dal 3° mese di vita: 1. Anti-poliomielite 2. Anti-difterica 3. Anti-tetanica 4. Anti-epatite B 5. Anti-pertosse 6. Anti-Haemophilus influenzae tipo B 7. Anti-morbillo 8. Anti-rosolia 9. Anti-parotite 10. Anti-varicella Di questi, i primi 6 vengono somministrati in un unico vaccino combinato (definito esavalente) in 3 dosi (al 3°, 5°, 11° mese); gli altri 4 in un vaccino combinato (quadrivalente) in 2 dosi (la prima nel 2° anno di vita, la seconda a 6 anni). Sono inoltre raccomandati i seguenti 4 vaccini: I. Anti-meningococco B II. Anti-meningococco C III. Anti-pneumococco IV. Anti-rotavirus Infine, restano obbligatorie diverse vaccinazioni per alcuni gruppi di popolazione, ad esempio: a) Antitifica e anti-meningococcica per i militari di leva b) Antitubercolare (BCG) per gli studenti in medicina e gli allievi infermieri; per tutto il personale sanitario e per chiunque operi, a qualunque titolo, in un ambiente sanitario ad alto rischio di contagio; per i conviventi di soggetti con tubercolosi in fase contagiosa IL CASO DEI VACCINI Su circa 42.500 anziani vaccinati, seguiti per una media di 4 anni: ✓ Vaccinati: 747 casi di polmonite ✓ Non vaccinati: 787 casi di polmonite In totale, negli anziani, il vaccino previene 10 casi all’anno: non significativo. Tuttavia, 13 eventi avversi gravi in più (3 l’anno): non significativi. Costo del vaccino + somministrazione: una dose da €110 per il Prevenar © + altri costi (personale, ore perse) circa €130 a persona, per un totale di circa €5.525.000. Costo per anziani in Emilia-Romagna circa €165.500.000 Al meglio, il costo di ogni polmonite evitata (in 4 anni) = 5.525.000 / 40 circa €138.000 ** (non considerato costo eventi avversi) Negli anni, questa cifra può ridursi, ma per bambini/adulti il costo è molto maggiore (perché < polmoniti): stima di costo totale plausibile. DALLA SARS AL CORONAVIRUS: RISCHI E MISURE DI CONTROLLO I Coronavirus “normali” si trasmettono per via aerea e per contatto, sono diffusissimi e causano “normali” raffreddori o bronchiti. Il “nuovo” Coronavirus (SARS-CoV-2), mutato presumibilmente da un virus animale (pipistrello?), è stato segnalato nel dicembre 2019 nel mercato del pesce di Wuhan (Cina). Esso penetra nelle cellule dell’apparato respiratorio tramite il recettore per l’enzima II di conversione dell’angiotensina. Si replica senza sintomi per circa 3-5 giorni, e l’infezione può durare 15-40 giorni. I sintomi tipici sono raffreddore, tosse, febbre, fatica e mialgie, potendo arrivare a polmonite e insufficienza respiratoria acuta (8-15 giorni). Le misure di controllo sono rappresentate da: 1. Lavati spesso le mani 2. Evita il contatto ravvicinato con persone che soffrono di infezioni respiratorie acute 3. Non toccarti occhi, naso e bocca con le mani 4. Copri bocca e naso se starnutisci o tossisci 5. Non prendere farmaci antivirali né antibiotici, a meno che siano prescritti dal medico 6. Pulisci le superfici con disinfettanti a base di cloro o alcool 7. Usa la mascherina solo se sospetti di essere malato o assisti persone malate 8. I prodotti MADE IN CHINA e i pacchi ricevuti dalla Cina non sono pericolosi 9. Contatta il numero verde 1500 se hai febbre o tosse e sei tornato dalla Cina da meno di 14 giorni 10. Gli animali da compagnia non diffondono il nuovo Coronavirus Alcune strategie alternative proposte nei confronti del lockdown totale è quella dell’inverse quarantine che afferma che anziché bloccare tutti, siccome la malattia è molto poco letale nelle persone giovani, si ipotizzava di far circolare loro che lavorano e producono, andando invece a bloccare la circolazione degli anziani e delle persone con patologie. Il vaccino è un’importante misura di controllo e solitamente impiega 12-18 mesi per essere prodotto ed essere testato in modo che sia sicuro. Aspettando il vaccino contro il Coronavirus, molti politici e esperti volevano mettere obbligatorio il vaccino anti-influenzale e anti-pneumococco. Il vaccino anti-influenzale riducendo il numero dei malati per influenza aiuta i clinici a svuotare gli ospedali e a fare una diagnosi che escluda l’influenza, ma il vaccino anti-influenzale ha un’efficacia introno al 50%, quindi nessun medico esperto escluderebbe la diagnosi d’influenza solo perché il malato è vaccinato. Inoltre esistono altre patologie con sintomatologia simile e sono gli altri Coronavirus e virus di altro tipo. Non ci sono molti studi al mondo che hanno verificato se la vaccinazione anti-influenzale riduce la probabilità di contrarre il Coronavirus. In un campione di persone vaccinato con vaccino anti- influenzale vi è stata una probabilità del 36% più alta di contrare i vecchi Coronavirus. In uno studio condotto su 115 bambini è stato visto che anche in questo caso, i bambini vaccinati contro l’influenza avevano un rischio maggiore di altre infezioni virali, tra cui anche il Coronavirus. La scienza afferma che il vaccino anti-influenzale è consigliato ed efficace per gli anziani e le persone fragili, ma altrettanto sicuramente non ci sono i presupposti scientifici perché sia reso obbligatorio. La temperatura corporea è molto variabile, infatti la definizione internazionale di febbre è rappresentata da un aumento di 2 gradi rispetto alla temperatura corporea normale. Il problema è che la temperatura corporea normale varia molto, infatti ci sono persone la cui temperatura corporea normale si aggira introno ai 34-35 gradi e altre con 37-37.5. Perciò il termoscanner è del tutto inutile. EPATITI VIRALI E AIDS Per epatite si intende un’infiammazione del fegato, che avviene solitamente quando il fegato viene danneggiato. Tuttavia, non tutte le volte che il fegato è danneggiato si parla di epatite vera e propria, ma questo termine viene usato solo quando la patologia colpisce primariamente il fegato (se, ad esempio, un tumore dà luogo a metastasi epatiche, si può avere un’infiammazione, ma non viene comunemente definita epatite). Le epatiti sono, quindi, malattie che hanno il fegato come organo bersaglio principale, e possono essere causate da microrganismi (quindi, essere malattie infettive vere e proprie) o da altri agenti (ad es. le epatiti autoimmuni, non infettive). In questa sede, ovviamente, ci occupiamo delle sole epatiti derivanti da microrganismi, che sono quasi sempre dei virus. Questi virus sono comunemente identificati con le lettere dell’alfabeto (A, B, C, D, E, e altre): il virus A è stato il primo ad essere scoperto, il B il secondo... Ormai dappertutto, anche in Italia, questi virus sono definiti con una sigla inglese: il virus A è chiamato Hepatitis A virus → HAV; il virus B è definito Hepatitis B virus → HBV, il virus C è detto Hepatitis C virus → HCV, il virus D è nominato Hepatitis D virus → HDV... EPATITE A Il virus dell’epatite A è chiamato HAV (tecnicamente, è un Picornavirus - a RNA – 25 nm). È resistente al calore ed ai comuni disinfettanti. Vi sono molti punti in comune tra le diverse epatiti (A, B, C...) Ad esempio, le manifestazioni cliniche sono abbastanza simili, per cui, ai fini di questo corso, è opportuno richiamarle brevemente ora, e ricordare che sono valide per tutte le epatiti Manifestazioni cliniche (sintomi e segni) delle epatiti Tutte le epatiti possono avere un decorso clinico molto vario, possono essere del tutto asintomatiche oppure talmente gravi da risultare mortali in pochi giorni (in questi casi, si dice che l’epatite è stata fulminante). Esistono, quindi, diverse forme cliniche che, in base alla gravità, si definiscono: fulminanti, acuta, subacuta, cronica o silente. Quindi, per tutte le epatiti, occorre sapere che esse possono portare a sintomi molto gravi, come pure a forme relativamente innocue. Tutti questi virus, una volta penetrati nell’organismo attraverso varie vie, arrivano al fegato e vi si stabiliscono. A questo punto, cominciano a distruggere le cellule epatiche (epatociti), direttamente o tramite l’induzione di meccanismi autoimmunitari (ovvero inducendo i nostri stessi anticorpi ad uccidere gli epatociti). Ovviamente, a seconda di quante cellule distruggono per unità di tempo, essi danno luogo alle forme acute, subacute, fulminanti, o croniche. I sintomi derivano dal danneggiamento epatico, e sono purtroppo quasi sempre molto generici: nausea, febbre, malessere, astenia (affaticamento), artralgie (dolori alle articolazioni), mialgie (dolori ai muscoli), più raramente vomito e ingrossamento o dolorabilità del fegato (epatomegalia dolente o meno). Questi sono i sintomi più tipici e, come è facile intuire, poiché sono comuni ad un numero enorme di altre malattie non è assolutamente semplice fare una diagnosi di epatite dai sintomi (si usano comunemente, infatti, gli esami del sangue, ricercando il virus o gli anticorpi specifici). Più raramente, si hanno forme molto acute in cui il danno epatico è così ampio da causare un ittero (ovvero l’ingresso nei tessuti dei sali biliari, altamente tossici, che provocano un tipico colorito olivastro della cute). Per epatite cronica si intende una epatite non risolta dopo 6 mesi, che può durare anche decine d’anni. Le epatiti croniche possono essere di 2 tipi: attive o non attive, oltre che sintomatiche e asintomatiche. Nelle forme attive il virus continua a danneggiare il fegato lentamente, nel corso degli anni, fino a provocare un danno tanto vasto che occorre il trapianto di fegato (per insufficienza epatica) – essa può essere sintomatica, con un continuo malessere e febbricola, ma spesso anche essere del tutto asintomatica (più pericolosa perché il soggetto non sa di averla e non si cura). Nelle forme passive il virus non riesce ad essere eliminato, ma il danno causato è talmente minimo che non porta all’insufficienza epatica (naturalmente, esistono tante vie di mezzo tra questi 2 estremi). Quando il fegato è molto danneggiato, se il danno è avvenuto in modo continuo per molti anni, le cellule epatiche possono essere state sostituite da tessuto connettivo fibroso, del tutto inerte. Questo processo è chiamato cirrosi ed avviene tipicamente negli alcolisti, a causa del continuo danno causato dall’alcol negli anni. Come accennato, quanto detto sulla clinica è valido, con una buona approssimazione, per tutti i virus epatici. Ciò che, invece, è molto differente per ogni virus, è la quota di persone che sviluppano la forma clinica acuta o quella cronica... Ad esempio, l’epatite A è quasi sempre benigna, ovvero asintomatica, e solo una quota ridotta di persone sviluppa la forma acuta o, (rara) la forma fulminante. Inoltre, l’epatite A non cronicizza mai, ed una volta guariti si è immuni per tutta la vita. Come vedremo, queste quote sono molto diverse per gli altri virus epatici, in particolare il B e il C. Tornando alla sola epatite A, essa è solitamente più grave negli adulti, rispetto ai bambini, ed il periodo di incubazione è di circa 30 giorni (15-45). L’epatite A è diffusissima in tutto il mondo, e si calcola che oltre l’80% della popolazione italiana adulta l’abbia già avuta. È semplice intuire la distribuzione geografica mondiale e la sua profilassi, una volta che sono note le vie di trasmissione, le quali possono essere: I. Via orale, tramite l’ingestione di cibi o acqua contaminati (o anche dal contatto con le feci degli infanti – cambio pannolini...) II. Assai più raramente, tramite il contatto stretto con un malato È facile comprendere, quindi, come la malattia sia più diffusa nei paesi in cui le condizioni igieniche sono peggiori. Come si può notare dalla figura, il virus è eliminato in grande quantità con le feci, e se il personale che maneggia i cibi non si lava correttamente le mani, questi rischiano la contaminazione (o se le acque fognarie entrano in contatto con l’acqua dell’impianto idrico o quella usata per pulire i cibi...). La profilassi si fonda su alcune misure generali, comuni a tutte le malattie a trasmissione oro-fecale, e sulla immunoprofilassi specifica, ovvero le Ig ed il vaccino. Le misure da adottare per evitare il contagio di tutte le malattie a trasmissione oro-fecale sono: Corretto smaltimento delle acque e dei rifiuti Mantenimento di adeguate condizioni igieniche ambientali Educazione sanitaria della popolazione relativamente al lavaggio delle mani prima del contatto con cibi, ed alla cottura e bollitura adeguata dei cibi e delle acque a rischio Come è facile intuire, i soggetti a più alto rischio di infezione sono gli operatori sanitari esposti alle feci o comunque a stretto contatto con i pazienti. In caso di esposizione professionale, per prevenire il contagio l’operatore deve: Lavare e disinfettare le mani Usare le protezioni di barriera (guanti, camici) Evitare di mangiare e bere nelle aree di cura dei pazienti Vaccinarsi se inserito in aree ad alto rischio (dipartimento pediatrico) In presenza di sospetta infezione dell’operatore occorre disporre: Esonero immediato dalla cura diretta dei pazienti Accertamenti diagnostici Somministrazione di Ig specifiche In caso di infezione confermata, ovviamente, si esonera il soggetto dalla cura per almeno 7 giorni dopo l’inizio dei sintomi. Va detto che il vaccino è efficace e le Ig devono essere date a tutti coloro che rischiano di essere stati contagiati ed alle persone che sono state a stretto contatto coi malati. EPATITE B Il virus dell’epatite B è chiamato HBV (tecnicamente, è un Hepadnavirus - DNA – 42 nm). È estremamente resistente ai comuni agenti chimici e fisici, tanto da sopravvivere nell’ambiente per mesi. Dei sintomi abbiamo già accennato. Anche questa malattia decorre in modo solitamente asintomatico, ma può dare forme acute o fulminanti. Diversamente dall’epatite A, però, l’epatite B cronicizza nel 5-10% dei casi, e dopo alcuni anni in una quota rilevante di questi malati cronici (20%) si può avere una cirrosi con grave insufficienza epatica, tale da richiedere il trapianto (viceversa è letale). Non solo, una quota rilevante di cirrotici svilupperà il tumore del fegato. Infine, se la malattia è contratta da giovani, le probabilità di cronicizzazione sono enormemente più elevate (80% dei neonati cronicizza). È ovvio, quindi, come l’epatite B rappresenti un danno maggiore in un’ottica di popolazione, rispetto all’epatite A. Come per tutte le epatiti, la diagnosi viene solitamente posta tramite esami di laboratorio (anticorpi o virus nel sangue). La malattia è diffusa in tutto il mondo, ove si calcola vi siano centinaia di milioni di malati cronici. In Italia, si calcola che il 40% della popolazione sia stato infettato. Le vie di trasmissione sono rappresentate da: o Via parenterale, ovvero tramite scambio di sangue – trasfusioni, siringhe, ferite, tatuaggi, rasoi... o Via sessuale. ovvero tramite liquidi organici: sperma, secreto vaginale; ma anche tramite microferite nelle mucose durante il rapporto o Via transplacentare, ovvero da madre a figlio attraverso la placenta o per scambio di sangue durante il parto Sapendo le vie di trasmissione, è semplice comprendere quali sono i soggetti a maggior rischio di contrarre l’infezione, così come le misure generali di prevenzione. Soggetti a rischio: prostitute/i, tossicodipendenti, conviventi di soggetti malati, operatori sanitari, politrasfusi, emodializzati, omosessuali maschi (a causa di rapporti sessuali anali – più rischiosi, di una maggiore frequenza e di un uso meno frequente del profilattico). La profilassi, oltre alle misure generali, che sono comuni a tutte le malattie a trasmissione parenterale e sessuale, consta delle Ig (da somministrare a tutti i soggetti che rischiano di aver contratto l’infezione ed ai contatti) e di un vaccino efficace, dal 1999 obbligatorio per tutti i nuovi nati in Italia. Misure generali di profilassi per tutte le patologie a trasmissione sessuale e parenterale (tra cui anche HCV e AIDS): 1. Uso del profilattico, di guanti e mascherine per gli operatori sanitari 2. Impiego di siringhe monouso o aghi monouso per i tatuaggi, e/o sterilizzazione di ogni strumento che viene a contatto con i liquidi organici 3. Esclusione dalla donazione di sangue di tutti i malati (tramite screening) 4. Eliminazione dei rifiuti organici in contenitori chiusi, in modo protetto EPATITE C Il virus dell’epatite C è chiamato HCV (tecnicamente è un Hepacavirus – RNA - 50 nm). Clinicamente, l’epatite C è la più subdola, poiché dà luogo a forme di malattia acute o fulminanti ancora meno frequentemente dell’epatite B, e tuttavia essa cronicizza in un numero di soggetti molto maggiore, fino all’80% di coloro che vengono contagiati. Come accennato, il 20% dei malati sviluppa negli anni una cirrosi ed un’insufficienza epatica, e molti di questi anche l’epatocarcinoma. Anche l’epatite C è ubiquitaria, e si calcola che, nel mondo, i malati cronici siano centinaia di milioni. Fortunatamente, negli ultimi anni sono usciti farmaci molto efficaci. Le vie di trasmissione sono identiche all’epatite B e, ovviamente, anche i soggetti a rischio e la profilassi coincidono, con la differenza che un vaccino efficace non è ad oggi ancora disponibile. EPATITE E Un brevissimo cenno, infine, al HEV (tecnicamente, è un Calicivirus - RNA – 30 nm). L’epatite E è molto simile all’epatite A (ma assai meno diffusa): ha trasmissione oro-fecale e non cronicizza mai. Tuttavia, ha una quota molto più elevata di forme fulminanti (fino al 12%) e, soprattutto nelle donne al primo trimestre di gravidanza, è letale nel 30%-40% dei casi. Ovviamente, essendo a trasmissione oro-fecale, è diffusa soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, e la profilassi è identica a quella dell’epatite A (con la differenza che non esiste ancora un vaccino efficace). Il virus D (HDV) colpisce solamente coloro che sono già malati di epatite B, e la sua trattazione esula dalle finalità del corso. HIV/AIDS Il virus che causa l’AIDS è chiamato HIV → Human Immunodeficiency Virus (tecnicamente, è un retrovirus - RNA – 100 nm). Molto labile nell’ambiente esterno. Il nome esatto dell’AIDS è “Acquired Immuno-Deficiency Syndrome”. In estrema sintesi, l’HIV uccide le cellule del sistema immunitario, causando una enorme suscettibilità alle infezioni e ad alcuni tipi di tumori. Dopo il contagio, si ha una prima infezione (asintomatica o simile ad un influenza), per poi evolvere in AIDS dopo un periodo di tempo molto variabile da persona a persona (da poche settimane a diversi anni). L’AIDS vero e proprio è caratterizzato da danni diretti ad alcuni organi, ma soprattutto da infezioni di ogni genere, che non guariscono nemmeno con la terapia (candidosi, micobatteriosi atipiche, polmoniti...), nonché da tumori normalmente rari (sarcoma di Kaposi, linfomi...). Le vie di trasmissione sono sostanzialmente identiche a quelle dell’epatite B e C, come pure (ovviamente) i soggetti a rischio e le misure generali di profilassi (sebbene non esistano né vaccini né Ig specifiche). Come si può notare nella figura, anche l’AIDS è una patologia diffusa ovunque, ma soprattutto in Africa. Per chiudere, 3 punti interessanti: − Le probabilità di trasmissione del HIV in seguito a rapporto sessuale (vaginale) non protetto sono circa 1 su 400, contro 1 su 5000 in caso di uso del profilattico − Nonostante esista oggi una terapia combinata che ha allungato enormemente la sopravvivenza dei soggetti malati (terapia che prevede comunque costi elevati, 10 pillole al giorno a vita ed effetti collaterali), la patologia ha ancora una letalità molto alta, soprattutto nelle zone povere ove i farmaci, costosi, non arrivano − In Italia, il test per sapere se si è malati è anonimo e gratuito (attenzione, tuttavia, ai numerosi falsi positivi) INFLUENZA L’influenza è causata da un virus (precisamente, un orthomixovirus - RNA - 100 nm). È molto sensibile al calore, UV e disinfettanti comuni. Il virus è distinto dal WHO in 3 tipi (A, B e C), che cambiano continuamente la configurazione antigenica. Quando questi cambi sono ampi (drift), i virus non vengono più riconosciuti dai nostri anticorpi e causano una nuova epidemia. Questo è il motivo per cui ci ri-ammaliamo di influenza ogni anno. Quando, circa ogni secolo, il virus subisce un cambio sostanziale della configurazione antigenica (shift), il nostro sistema immunitario è completamente indifeso e si rischia una pandemia con effetti disastrosi. Questo è il motivo alla base della preoccupazione ciclica su influenze aviarie o suine, poiché si teme che il virus di altri animali possa cambiare a tal punto da infettare l’uomo, che non riconoscendolo minimamente risulta del tutto indifeso. Se il virus rimanesse stabile, una volta guariti noi saremmo immuni per la vita; ci riammaliamo perché il virus muta. La clinica è nota a tutti: febbre, malessere, astenia, cefalea, coriza (raffreddore), faringodinia (mal di gola), mialgie, artralgie, tosse. Negli adulti sani, la clinica si limita ai sintomi generali sopra-indicati nel 99% dei casi, mentre negli infanti, negli anziani e nei soggetti debilitati da malattie croniche, non è raro che insorgano complicanze (quasi sempre polmoniti batteriche o virali, anche letali – molto raramente). Questo fatto, oltre alla enorme diffusione della malattia (che è ubiquitaria, come tutti sappiamo), spiegano perché l’influenza sia comunque fonte di preoccupazione, nonostante sia una patologia comunemente lieve. La diagnosi è solitamente clinica, sebbene per essere certi che sia realmente influenza dovremmo svolgere alcuni esami di laboratorio sul sangue (ricercando gli anticorpi) o su un tampone faringeo (ricercando il virus). Spesso, infatti, viene posta diagnosi di influenza quando in realtà i sintomi sono dovuti ad altri microrganismi o ad altri fattori non infettivi. È ovvio, in effetti, che i sintomi dell’influenza sono talmente aspecifici che è molto difficile distinguere la clinica dell’influenza da quella di un epatite subacuta, o da un forte raffreddore, o da una mononucleosi lieve, o da un virus parainfluenzale... Ad esempio, è quasi impossibile ammalarsi più di 2 volte di influenza in un anno, poiché i virus circolanti non sono mai più di 2, e una volta guariti si è immuni. L’influenza si trasmette per via aerea, tramite goccioline di saliva nebulizzate durante il respiro, tosse o starnuti. Come tutti sappiamo, è estremamente contagiosa, ed ovviamente è più frequente durante l’inverno, dato che si tengono le finestre chiuse, l’aria circola meno, e poiché con il freddo l’epitelio respiratorio è meno attivo nel respingere gli agenti esterni. Sapendo le vie di trasmissione, le misure di profilassi generale sono ovvie: disinfezione ed aerazione degli ambienti chiusi; isolamento degli infetti. Oltre a ciò, per i soggetti a rischio di complicanze, può essere utile una profilassi con farmaci antivirali (Amantadina, Zanamivir), nonché la vaccinazione (raccomandata per gli operatori sanitari, le persone con patologie croniche invalidanti e tutti gli anziani). Sull’opportunità di vaccinazione quale strumento contro il coronavirus, vi sono controversie. TETANO Il tetano è causato da un batterio, precisamente il Clostridium tetani (5 μm). È mobile, anaerobio, sporigeno, non molto virulento e non particolarmente resistente, ma le sue spore possono resistere anni nell’ambiente esterno, e sono molto resistenti anche ai comuni metodi di disinfezione. Normalmente, il Clostridium risiede nell’intestino dell’uomo e degli animali domestici senza causare alcun danno, e viene eliminato sotto forma di spore con le feci (si trova di conseguenza nel terreno, nelle acque, nel pulviscolo, ed è ubiquitario). Per l’appunto, ingerire le spore con il terreno o acque contaminate non causa alcun danno, poiché per quanto le spore riescano a resistere al pH acido ed agli enzimi dello stomaco, nel tratto digerente il tetano non causa problemi. Diverso è il caso in cui ci si ferisca e la ferita sia contaminata con il terreno o con ruggine o altro. Soprattutto se la ferita è profonda (oltre che “sporca”, non disinfettata, si crea una condizione di anaerobiosi (ovvero mancanza di O2) in cui le spore si riattivano ed il Clostridium comincia a replicarsi. Di per se, questo non è un problema, il danno deriva dal fatto che il batterio, durante la replicazione, produce una tossina potentissima. La tossina si diffonde nel circolo sanguigno e nei linfonodi e arriva al SNC, dove blocca i nervi motori in contrazione continua impedendo qualsiasi movimento, in tempi molto rapidi (2-3 giorni, ma anche alcune settimane). I primi muscoli a bloccarsi in spasmo sono quelli innervati dai nervi più corti: masticatori, mimici…, la morte si verifica per il blocco dei muscoli respiratori (10% morti in adulti, 90% in persone debilitate). L’espressione tipica del viso, dovuta alla forte e dolorosa contrazione contemporanea di tutti i muscoli, è nota dall’antichità con il termine di riso sardonico. La modalità di trasmissione principale è il contatto tra ferite, ulcere, ustioni e substrati o ambienti contaminati (terriccio, ma anche strumenti non ben disinfettati). La profilassi si basa su alcune misura generiche ed altre specifiche (immunoprofilassi). Le misure generiche sono relativamente ovvie: Sterilizzare gli strumenti usati nella pratica medica Disinfettare attentamente le ferite, soprattutto se profonde, ed evitare un eccesso di anaerobiosi L’immunoprofilassi consta di un vaccino efficace e di Ig specifiche A causa dell’elevata letalità, dal 1965 la vaccinazione antitetanica è obbligatoria per tutti i nuovi nati. Tuttavia, negli adulti, la vaccinazione deve essere ripetuta ogni 10 anni, per essere sicuri di essere protetti. Nel caso di ferita sospetta, è utile effettuare un richiamo vaccinale e assumere le Ig specifiche. In caso di incidente: o Soggetti vaccinati: ❖ Con ferita pulita: una dose di vaccino entro 24 ore nei soggetti vaccinati da più di 10 anni ❖ Con ferita sporca: una dose di vaccino entro 24 ore nei soggetti vaccinati da più di 5 anni o Soggetti non vaccinati: ❖ Somministrazione intramuscolo di immunoglobuline umane entro 24 ore ❖ Uso del siero antitossico equino solo se non disponibili le immunoglobuline umane ❖ Vaccino per entrambi, successivamente TORCH Con il termine TORCH si identificano una serie di malattie molto differenti, che hanno però in comune il fatto di potersi trasmettere da madre a figlio durante la gravidanza, o attraverso la placenta o durante il passaggio nel canale del parto. Queste malattie sono: ▪ T = Toxoplasmosi ▪ O = Other (altre, meno diffuse) ▪ R = Rosolia ▪ C = Citomegalovirus ▪ H = Herpes Simplex Virus La toxoplasmosi è causata dal Toxoplasma Gondii, un protozoo intracellulare, che vive normalmente all’interno dell’uomo e di diversi animali, tra cui in particolare il gatto. Toxoplasmosi Il Toxoplasma ha un ciclo replicativo abbastanza complesso. Esso penetra nell’organismo mediante l’ingestione di carni di animali infetti o di tracce di terreno contaminato (sotto forma di spore, che possono resistere molto a lungo), o anche tramite il morso di un gatto che si è pulito con la bocca dopo la defecazione. La trasmissione è quindi oro-fecale e una volta all’interno del nostro corpo, si replica nei linfociti, nei muscoli, nel sistema nervoso e nella retina, causando solitamente danni limitati (febbre, sintomi generali). Infatti, di solito, in seguito alla reazione immunitaria la replicazione viene bloccata, ed il protozoo rimane però sotto forma di cisti nei tessuti citati (in particolare nei muscoli, ecco perché ingerendo carni crude o poco cotte – le cisti sono molto resistenti - ci si può infettare). I problemi sorgono nei soggetti immunocompromessi e nelle donne gravide. Negli immunodepressi la malattia può evolvere ad una fase sistemica, con polmoniti, meningiti... (tipiche nell’AIDS conclamato), a causa della riattivazione degli organismi contenuti nelle cisti. Nelle donne in gravidanza, la toxoplasmosi può essere trasmessa al feto perché il parassita può attraversare la placenta. La probabilità che sia trasmessa al feto aumenta con l’avanzare dell’età gestazionale, mentre la gravità delle lesioni aumenta, al contrario, col decrescere dell’età gestazionale in cui avviene la trasmissione. Se la donna si infetta nei primi mesi di gravidanza, si può avere: - Aborto spontaneo - Nascita di feto morto - Idrocefalo, calcificazioni intracraniche... La Toxoplasmosi è ubiquitaria e si previene tramite la cottura delle carni, lo smaltimento delle feci del gatto, il lavaggio accurato di frutta e verdura… Negli immunodepressi occorre assumere un farmaco efficace se si pensa di essere stati esposti (pirimetamina...). CITOMEGALOVIRUS (CMV) Il Citomegalovirus è un Herpes virus, ha diffusione ubiquitaria e tuttavia causa solo molto raramente delle infezioni sintomatiche nei soggetti normali. Tra gli immunodepressi esso può invece causare polmoniti, epatiti, enterocoliti... La maggioranza della popolazione viene infettata senza conseguenze, ma in alcune donne in gravidanza (non sono chiari i motivi), esso viene trasmesso per via transplacentare e causa gravi danni al feto (infezione generalizzata con danni a SNC e fegato, con possibile morte intrauterina o ritardo mentale, disturbi della motilità, insufficienza epatica cronica...). Il virus si trova nella saliva, nelle secrezioni vaginali, nello sperma, nelle lacrime e nel latte. L’infettività può durare anni. La profilassi si basa su Ig ed un vaccino, non particolarmente efficace. Essa è raccomandabile per le donne in gravidanza, per le quali sono indicati esami del sangue. HERPES SIMPLEX VIRUS (HSV) Altri Herpes Virus sono l’Herpes Simplex 1 e 2, ovvero i virus responsabili delle classiche vescicole erpetiche. L’Herpes Simplex 1 (HSV 1), comunemente detto Herpes, è il responsabile della gengivo-stomatite erpetica (ovvero le vescicole sierose labiali, pruriginose) nei soggetti sani, mentre può causare meningo-encefaliti o infezioni generalizzate negli immunodepressi. L’HSV 2 causa invece vescicole dolorose, generalmente più gravi ed estese, in sede genitale. In caso di infezione neonatale, esso può essere letale. Tutti gli Herpes Virus danno luogo ad una lesione primaria localizzata ed eventualmente, dopo un periodo di latenza variabile (anche molti anni), a recidive localizzate. Di solito ciò avviene in seguito a vari stimoli (stress), che portano alla riattivazione dell’infezione (es. vescicole a grappolo labiali). Gli Herpes Virus sono entrambi diffusi in tutto il mondo, sebbene il tipo 1 sia di gran lunga più comune. Vie di trasmissione: 1. HSV 1 è eliminato con saliva (e goccioline aeree) e con il liquido vescicolare, si trasmette, quindi, per via aerea e tramite il contatto tra le mucose (labbra, genitali, anali) con le labbra/saliva del malato 2. HSV 2 eliminato con il liquido vescicolare, per cui si trasmette tramite contatto tra le mucose (labbra, genitali, anali) con gli organi genitali del malato Entrambi si trasmettono al feto/neonato sia per via transplacentare che durante il passaggio nel canale del parto. La profilassi è relativamente ovvia: non avere contatti stretti durante il periodo della lesione erpetica (nel quale il paziente è infettivo), uso del preservativo, igiene personale, e per le donne infette negli ultimi stadi di gravidanza è consigliato il taglio cesareo. Gli operatori sanitari sono a maggior rischio d’infezione, per cui quando il neonato o il paziente è malato di Herpes, occorre molta cautela nella sua assistenza. ROSOLIA La rosolia è causata da un Togavirus, RNA, 65 nm, sensibile ai comuni disinfettanti, agli UV e al calore. Esso penetra dalle mucose respiratorie, da cui diffonde a tutti gli endoteli (pareti vasali), ove innesca meccanismi autoimmuni e provoca la formazione di eritemi, papule, macule, oltre a febbre, sintomi generali. Le macule-papule e l’eritema formano il caratteristico rush cutaneo (volto-tronco, in certi casi assente). L’evoluzione è benigna nel giro di 10 giorni, cui segue immunità permanente. Il problema, però, anche in questo caso, non è per i sani, ma per gli immunodepressi, e ancor più per i feti, poiché se la rosolia viene contratta da una donna entro il 5° mese di gravidanza, essa viene trasmessa al feto/embrione e può causargli una serie di danni gravissimi o anche la morte stessa (malformazioni congenite: cardiopatie, sordità, cataratta, malformazioni ossee, ritardo di sviluppo...). Il virus viene eliminato con le urine e con le secrezioni naso-faringee, e si trasmette (ovviamente) per via aerea, ma anche per via transplacentare. La rosolia è endemica in tutto il mondo, più frequente nei bambini, in inverno-primavera (come tutte le patologie trasmesse per via aerea). Il malato o portatore è contagioso da una settimana prima del rush fino a pochi giorni dopo, e nella forma neonatale l’infettività dura anche mesi, per cui occorre molta attenzione ad isolare i neonati malati dagli altri. La profilassi consta nell’isolamento e nella immunoprofilassi specifica: sono efficaci sia le Ig (da somministrare a donne in gravidanza che siano venute in contatto con un malato), sia il vaccino, che è raccomandato per tutti (in particolare per le donne in età fertile e per gli operatori sanitari), ed è obbligatorio per le reclute. L’effetto della vaccinazione dura solitamente 10 anni. PREVENZIONE: EVIDENZE SCIENTIFICHE E CONTROVERSIE In Emilia Romagna: “Il corso si prefigge di formare un professionista che abbia la capacità di operare nell'ambito delle cure primarie, ponendo al centro l'individuo, con l’approccio tipico della medicina generale per problemi, olistico, continuo e trasversale, orientato alla comunità. Si prefigge, inoltre, di comunicare al professionista il principio che la medicina generale deve occuparsi tanto delle donne malate quanto di quelle sane (con scopi preventivi). Il medico di Medicina Generale deve essere in grado di contribuire a sviluppare integrazione, alleanze e sinergie sia con l’assistito sia con gli altri professionisti e con la rete di integrazione socio-assistenziale. Egli, esperto nell’individuazione dei bisogni di salute rispetto alle domande espresse ed inespresse, è figura di snodo nel rapporto fra cittadino e sistema socio-sanitario facilitando gli accessi ai servizi”. COSTO DELLA PREVENZIONE Si dice che la prevenzione riduca i costi della sanità, in realtà non è proprio così. La prevenzione, se ben fatta, certamente allunga la vita, la migliora (vita libera da malattia), e può ridurre i costi del SSN nel medio termine. Tuttavia, non si può nemmeno sovrastimare la riduzione dei costi: se oggi si previene un decesso per infarto (e relativi costi), la persona continua a vivere e prima o poi avrà un’altra malattia, che avrà comunque un costo. In altri termini, il costo ci sarà, ma sarà più avanti nel tempo, e sarà da aggiungere l’eventuale costo dell’intervento preventivo. La prevenzione, quindi, deve essere considerata al pari degli altri interventi sanitari: non si utilizza perché fa risparmiare, si utilizza perché può allungare/migliorare la vita ad un costo ragionevole. Già nel 1990 si parlava che i programmi di prevenzione non dovrebbero essere soggetti ad uno standard più alto nei confronti di altri programmi di sanità, semplicemente ci si deve aspettare che questi portino ad un miglioramento e allungamento della vita ad un costo ragionevole. In uno studio condotto riguardo alla prevenzione primaria di tumori e malattie cardiovascolari, si è notato che il 34,9% degli interventi mostra evidenze di efficacia, mentre il 3,6% produce effetti avversi. Per l’Italia, l’unico studio disponibile è una survey del 2008 che ha censito 1501 di cui solo l’1% evidence-based, era stato condotto con una metodologia basata su evidenze scientifiche. Perciò la prevenzione non basta. Gli interventi di prevenzione efficaci sembrano pochi, e questi pochi con efficacia non enorme. Questo non deve stupire troppo: avviene, in parte, anche nella ricerca farmacologica. Esistono interventi efficaci e sicuri, che potrebbero e dovrebbero essere trasferiti nella pratica. Molti altri interventi non sono efficaci: non fanno danni, ma è uno spreco. Alcuni interventi, addirittura, hanno dimostrato di aumentare la frequenza del comportamento a rischio: se consideriamo che è stato coinvolto un soggetto sano, che non ha richiesto l’intervento, ciò è eticamente particolarmente grave. Sono necessari strumenti di supporto ai professionisti: il Network italiano di evidence-based prevention è stato proposto come azione centrale del Ministero per il supporto alle Regioni nella elaborazione dei PRP, ma non basta. “Gli effetti degli interventi singoli sembrano essere minimi. Solo un intervento composito (formazione da parte di professionisti, auto-motivazione, e follow-up con supporto protratto nel tempo), può portare ad un efficacia marcata". EVIDENZE SCIENTIFICHE E CONTROVERSIE I principali fattori di rischio delle malattie cardiovascolari possono essere: → Modificabili: fumo di sigaretta, obesità, ipertensione, ipercolesterolemia, scarsa attività fisica, stress cronico, basso stato socio-economico → Non modificabili: età avanzata, sesso maschile, storia familiare positiva (genetica) I principali fattori di rischio delle malattie cronico-degenerative sono: Abitudini personali: alimentazione, fumo di tabacco, alcool, droga, sedentarietà Contaminazione ambientale: inquinamento atmosferico, inquinamento idrico, contaminazione alimentare Il ruolo dell’attività motoria nella prevenzione del rischio cardiovascolare Le patologie cardiovascolari rappresentano la prima causa di morbilità e mortalità in tutti i paesi industrializzati. L’attività fisica ricopre un ruolo importante nella prevenzione cardiovascolare: la sedentarietà è ormai riconosciuta tra i principali fattori di rischio cardiaco (insieme al fumo, alla dieta, allo stress psicologico, al diabete, a colesterolo e pressione alti), e uno stile di vita attivo è ormai considerato come un vero e proprio intervento di prevenzione cardiovascolare, con efficacia simile ad una dieta specifica e ad alcuni farmaci molto diffusi. Vista la sua importanza, sia le linee guida europee che americane hanno inserito la pratica costante dell’attività fisica in tutti i programmi di prevenzione cardiovascolare primaria e secondaria. I benefici dell’attività fisica sono molteplici, e agiscono su diversi bersagli: peso corporeo, tono vascolare, metabolismo glucidico e lipidico. L’esercizio fisico determina un’azione benefica sul rischio cardiovascolare agendo sul tono e sul calibro della parete dei vasi sanguigni attraverso differenti meccanismi, tra loro strettamente connessi: ❖ Aumento della produzione di ossido nitrico (NO), una molecola ad azione vasodilatatrice, con conseguente riduzione della pressione arteriosa ❖ Inibizione dell’accumulo di lipidi nella parete vascolare, tappa iniziale della l’aterosclerosi, con conseguente miglioramento del diametro e della pervietà vascolare ❖ Miglioramento della distensibilità delle pareti delle arterie, con conseguente vasodilatazione e riduzione della pressione arteriosa ❖ Proliferazione dei capillari a livello muscolare, e miglioramento del trofismo dei muscoli L’esercizio fisico esercita un effetto positivo anche sul metabolismo lipidico perché induce: − Aumento della quota di colesterolo legato alle HDL (High Density Lipoprotein), con riduzione della formazione di placche aterosclerotiche − Elevato accumulo dei trigliceridi all’interno dei muscoli scheletrici; in questo modo, i trigliceridi verranno utilizzati per produrre energia, anziché accumularsi nel tessuto adiposo, con conseguente riduzione della massa grassa Il diabete rappresenta una delle principali cause di morbilità e mortalità: si stima siano circa 350 milioni le donne affette al mondo (in Italia, circa il 3%-4% della popolazione). È ormai arcinoto che il diabete di tipo 2 è associato a fattori di rischio comportamentali quali sovrappeso e sedentarietà. L’attività fisica si è dimostrata importante sia nel controllare il diabete già presente, sia nel prevenirne l’insorgenza. Il beneficio dell’attività fisica è tale che in tutti gli studi finora condotti, sia tra gli individui ad alto rischio di sviluppare diabete, sia tra quelli già diabetici, le modifiche agli stili di vita (+ dieta) hanno dato risultati più vantaggiosi e più duraturi rispetto alla terapia medica. L’American College of Sports Medicine (ACSM) e l’American Diabetes Association (ADA) raccomandano la pratica di almeno 150 minuti alla settimana di attività fisica per tutti (camminata a passo svelto …), diabetici e non. Alimentazione e salute Un’alimentazione corretta è essenziale per il mantenimento della salute, ed è riconosciuta come valido strumento di prevenzione per molte malattie. In Italia, come in buona parte del mondo, il sovrappeso e l’obesità sono in crescita: 3 adulti su 10 sono in sovrappeso e più di 1 su 10 è obeso (con gradiente Nord-Sud). Questo fenomeno non è più circoscritto ai Paesi industrializzati, ma si sta estendendo anche a quelli in via di sviluppo: in Europa più del 50% degli adulti è in sovrappeso e più del 20% obeso. D’altro canto, si stima che, dopo gli Stati Uniti, la Cina sia ormai il secondo paese al mondo per numero di obesi. La proporzione del fenomeno è tale che è stato coniato il termine “globesity” (obesità = problema globale). Il rischio di morte a 10 anni cresce del: 10% se BMI > 30 24% se BMI > 33 38% se BMI > 35 100% se BMI < 18 Secondo il WHO, l’alimentazione non corretta e la sedentarietà sono tra le cause maggiori dei 17 milioni di decessi annuali per eventi cardio- e cerebro-vascolari nel mondo. L’eccesso di grassi saturi e colesterolo gioca un ruolo rilevante nella patogenesi dell’aterosclerosi. L’alimentazione ha un ruolo di un certo rilievo anche sul rischio di cancro, in particolare i tumori dello stomaco e dell’esofago (favoriti da dieta ricca di carne rossa). Per alcune neoplasie del tratto gastroenterico esiste un rischio aggiuntivo di cancerogenesi determinato dall’eccesso di alcol, non bisogna tuttavia sovrastimare tali rischi. Nelle linee guida INRAN si evince che le calorie devono provenire per il 55%-60% dai carboidrati, il 28%-30% dai grassi, il 10-12% dalle proteine. Per quanto riguarda i carboidrati, si raccomanda il consumo di quelli complessi (amido contenuto in cereali, pasta, riso, legumi secchi, patate, fibre vegetali), limitando l’assunzione di zuccheri semplici (glucosio, saccarosio e fruttosio). Il 25% dei grassi assunti giornalmente dovrebbe essere essenziale insaturo e polinsaturo, tipico di oli di oliva, di semi e del pesce azzurro. Per quanto riguarda il sale, si raccomanda una dose massima di 5 g/die (mezzo cucchiaino da cucina). Infine, l’alcol: si raccomanda di non superare 2-3 unità alcoliche/die per gli uomini, e 1-2 per le donne (1 unità alcolica = 1 bicchiere da 125 ml di vino normale). L’importanza di quantificare In un campione di 27.000 donne seguite per 16 anni, si è visto un rischio di diabete: più alto con acidi grassi “pari” (es. strutto) e più basso con acidi grassi “dispari” e a catena lunga (latticini, burro, mozzarella …). Gli autori concludono che è sbagliato consigliare di ridurre il consumo di tutti gli acidi grassi, in maniera indistinta, come viene solitamente fatto nelle linee guida. Dai risultati di 167 studi, gli autori concludono che riducendo di 8 gr il consumo quotidiano di sale (equivalente ad un cucchiaino da cucina), la pressione arteriosa scende in media di 1,2 mmHg in soggetti normotesi, fino a 8-10 mmHg negli ipertesi. Anche in un’altra meta-analisi, gli autori concludono che non vi sono evidenze di riduzione degli eventi cardiovascolari o di morte per coloro che diminuiscono il consumo quotidiano di sale! Altri sul BMJ nel 2013 sono meno netti, ma rimangono dubbi. In una meta-analisi, gli autori concludono che non aumenta il rischio di morte se si beve caffè. Al contrario, bere 3 o 4 tazzine di caffè al giorno sembra ridurre del 15%-20% il rischio di morte! (anche in questo caso, da interpretare con buon senso). In una meta-analisi (>150.000 soggetti inclusi), gli autori concludono che consumare cioccolato riduce l’insorgenza di malattie cardiovascolari. Inoltre, maggiore è la quantità di cioccolato assunta, più grande sembra essere il beneficio. L’associazione tra alcol e mortalità non è lineare: fino a 40 g/die di alcol (3 bicchieri di vino), non aumenta il rischio di morte. Esposizione al fumo e salute Secondo il WHO, un fumatore è chi dichiara di aver fumato, nella sua vita, almeno 100 sigarette e di essere fumatore al momento dell’intervista (o di aver smesso da < 6 mesi). Alcuni sostengono che basti 1 sigaretta ogni 30 giorni, altri dicono 1 a settimana. Il fumo di sigaretta è associato con molte patologie, tra cui: o Molti tipi di tumore (polmone innanzitutto, ma anche laringe, esofago, vescica, rene, pancreas, colon-retto, stomaco…) o Tutte le malattie cardiovascolari (infarti, ictus...) o Broncopneumopatie croniche ostruttive (enfisemi, bronchiti, polmoniti) o Aborti, parti prematuri l rischio di tumore del polmone (40.000 l’anno in Italia) per i fumatori aumenta di: ~ 19 volte nelle donne, ~ 13 volte negli uomini, ~ 15 volte per chi fuma ≥ 20 sigarette al giorno, ~ 9 volte per chi ne fuma 10-19 e ~ 6 volte per chi ne fuma 1-9. Uno studio su più di 100mila donne, seguite per 7 anni, conclude che il fumo passivo aumenta di circa il 30% sia il rischio di tumore al polmone che di BPCO. Il rischio di infarti e ictus è 2-4 volte più alto nei fumatori. Anche in questo caso, c’è un’associazione lineare col numero di sigarette fumate. Secondo lo IARC, anche il consumo di sigari e/o pipe aumenta il rischio di insorgenza del cancro di: polmone (da circa 1,5 a 3 volte in più), bocca e faringe (~ 3), laringe (~ 2), esofago e stomaco (~ 1,5). La discussione è molto accesa: c’è chi chiede di bandirle, in quanto potrebbero essere uno stimolo ad iniziare a fumare le sigarette classiche, in assenza di evidenze scientifiche certe sulla loro sicurezza… Al contrario, altri sostengono che le sigarette elettroniche non sono un incentivo ad iniziare a fumare, e sono meno dannose delle sigarette tradizionali; pertanto, non dovrebbero essere bandite, ma anzi incentivate. Relazione tra inquinamento e tumori L’Associazione Italiana Registri Tumori (AIRT) nasce a Firenze nel 1966, include i dati di 7 registri regionali + 40 registri provinciali o comunali = 43 milioni di italiani. In un articolo, pubblicato a gennaio sulla prestigiosa rivista Science, si ipotizza per la prima volta che in 2 casi su 3 l’insorgenza dei tumori sia dovuta al caso, alla “cattiva sorte”. In questo modello, il peso dei fattori di rischio “modificabili” (dieta, fumo, attività fisica, Boby Mass Index) viene in parte ridimensionato. Ovviamente, l’articolo ha suscitato molto clamore, e le discussioni sono accese. Globalmente, il 66% delle neoplasie sono causate da errori casuali nella replicazione cellulare, ed associati ad un maggiore tasso replicativo.