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TriumphantNovaculite8373

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Università degli Studi di Torino

Prof. Barchi

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plant breeding genetic improvement plant genetics plant diversity

Summary

These lecture notes cover plant breeding, focusing on the identification of genetic variability within plant species and the selection of desirable traits. They discuss methods like mass selection and lineage selection, as well as the concept of biodiversity and centres of origin in various plant species. The notes also mention the role of gene banks and the importance of maintaining genetic diversity.

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LEZ. 10 13/11/2023 Prof. Barchi BIODIVERSITÀ E MIGLIORAMENTO GENETICO MIGLIORAMENTO GENETICO Il miglioramento genetico (plant breeding) consiste nell’identificazione in natura o creazione artificiale di variabilità genetica dentro una specie e selezionar...

LEZ. 10 13/11/2023 Prof. Barchi BIODIVERSITÀ E MIGLIORAMENTO GENETICO MIGLIORAMENTO GENETICO Il miglioramento genetico (plant breeding) consiste nell’identificazione in natura o creazione artificiale di variabilità genetica dentro una specie e selezionare all’interno di questa variabilità le piante che presentano i caratteri più interessanti e che possono essere ereditati in maniera stabile. L’obiettivo del miglioramento genetico è individuare e selezionare le piante migliori, mantenerle e utilizzarle per la costituzione di nuova varietà (ad esempio l’origine dei frumenti, dove l’uomo ha portato avanti un processo di selezione e addomesticazione). Esso è nato proprio quando l’uomo ha cominciato a raccogliere i frutti e selezionare le piante che davano risultati migliori / caratteristiche migliori. Le varietà hanno caratteristiche diverse in relazione al sistema riproduttivo della specie: Nel miglioramento genetico delle piante autogame e allogame si ricorre molto all’utilizzo di ibridi F1, che originariamente erano utilizzati nelle piante allogame partendo da linee inbreed (piante allogame fecondate per più generazioni che, inizialmente, vanno incontro a una forte depressione da inbreeding ma poi portate in omozigosi e incrociate tra di loro per ottenere un ibrido F1 permettendo di sfruttare il fenomeno dell’eterosi). L’esempio più comune delle piante ibride F1 coltivate in eterosi sono le piante di mais. La legislazione riguardante le varietà vegetali, l’ottenimento e la costituzione, si basa sui principi di Distinguibilità, Uniformità e Stabilità. La varietà consiste nel fatto che dentro una specie abbiamo degli individui o un insieme di individui che presentano le stesse caratteristiche e devono essere distinguibili, uniformi, nel senso che le piante della stessa varietà devono essere identiche (le varietà di quella pianta devono produrre un frutto con certe caratteristiche) e stabili, nel senso che nelle generazioni successive deve essere identica. Se non ci sono nessuno di questi 3 parametri, o ne manca 1, non avremo una varietà stabile. L’ottenimento di varietà è un procedimento molto lungo (attualmente ci vogliono dai 5 ai 10 anni per immettere una nuova varietà) per questo è molto importante salvaguardare economicamente le proprie varietà. La costituzione varietale, fine ultimo del lavoro di miglioramento genetico, si basa su: Il concetto di biodiversità è stato introdotto da Vavilov, tra il 1916 e 1930 e ha visto che la variabilità genetica delle specie sulla terra non è uniforme. Ha introdotto il concetto di centri di origine della specie: le specie coltivate hanno dei centri di origine che sono i punti in cui si sono originate e diversificate. Tendenzialmente sono dei centri in cui una specie ha tantissima variabilità. Se usciamo fuori dai centri di origine, per ogni singola 74 specie, la variabilità tende a ridursi, ad esempio, i centri d'origine sono fondamentalmente visti in una fascia tropicale ad altitudine tra i 300 e 1000 metri con una distinzione tra stagione secca e stagione umida. Vavilov ha raccolto molti campioni in giro per il mondo, valutava da dove arrivava questo materiale e la distribuzione di sottospecie, per arrivare alla conclusione che i centri di origine della maggior parte delle piante sono questi in figura. Si è scoperto che una stessa specie può avere più centri di origine, successivamente si è visto che una grande variabilità di forme spesso non corrisponde al suo centro di origine. Per quanto riguarda la melanzana, la sua domesticazione e grossa diversificazione sembrerebbe essere l’India, ma non è così, perché con i dati molecolari si è visto che fondamentalmente la melanzana non è proprio indiana (è il centro di origine secondario), ma è più del Sud est asiatico, quindi Thailandia, dove la variabilità è molto elevata. I centri di origine secondari sono presenti quando una specie si è allontanata dal suo centro di origine primario ed è arrivata in un'altra parte in cui quella variabilità ha permesso di diffondersi molto bene. EROSIONE GENETICA Il problema è che, quando abbiamo tutta questa variabilità, con il miglioramento genetico, si tendono a selezionare poche varietà con le caratteristiche che cerchiamo: in questo modo perdiamo molta variabilità. Ad esempio, per il mais vengono coltivate alcune varietà locali tipiche del Piemonte, come il pignoletto e ottofile, ma sono coltivati su pochissimi terreni, perché si coltivano maggiormente gli ibridi F1 che producono tanto. Il punto di partenza è la disponibilità di variabilità genetica dentro una specie, con cui si può ripartire per fare miglioramento genetico. Quindi, quello che si considerano tanto, è cercare di accumulare tutta la variabilità genetica presente in una specie, perché può tornare sempre utile in futuro. Ad esempio, il pomodoro ha tanta variabilità fenotipica, ma è controllata da 4-5 geni. La variabilità genetica presente nelle specie vegetali è indispensabile per la sopravvivenza e adattamento alle variazioni dell’ambiente e rappresenta un serbatoio a cui attingere geni utili per migliorare quantitativamente e qualitativamente la produzione di specie di interesse agrario. Le forme e le dimensioni del frutto sono sotto il controllo di pochi geni, ad esempio il pomodoro sono 5-10 geni. La selezione della variabilità naturale parte dallo sfruttare le accessioni di una specie, che sono conservati in strutture dette banche del germoplasma (una di queste strutture è stata dedicata a Vavilov): in pratica sono strutture che conservano semi di varietà di molte specie. Vi è anche un deposito sotterraneo globale di semi (Svalbard global seed vault) costruito dentro un fianco di una montagna: i semi devono essere messi sottovuoto e tenuti a –20 °C in congelatore (più stanno al freddo e più durano, però più passa il tempo e più non germineranno). Le banche del germoplasma hanno il problema che ogni tot anni devono rinnovare le accessioni (ogni 10/15 anni): aprono i contenitori dei semi, li fanno germinare, li mettono in campo, 75 autofecondano, raccolgono il seme e li rimettono sottovuoto a -20°C. Questo funziona bene se ci sono poche accessioni, quando diventano numerose, il sistema risulta costoso: per questo le banche sono, in parte, finanziate dagli Stati. In realtà, quella delle Svalbard, è un backup delle gene bank. Se voglio lavorare su una specie, compro, o mi mandano gratis per le ricerche, i semi dal gene bank diverse a seconda di quale specie voglio studiare. Il concetto di ideotipo esprime le caratteristiche che la varietà deve avere. L’ideotipo cambia a seconda dell’ambiente e anche se in teoria ci sono ideotipi per ogni ambiente, in realtà i costitutori cercano di individuare degli ideotipi che meglio si adattano a più ambienti. Il concetto di ideotipo cambia con il passare degli anni: Il frumento all’inizio del ’900 aveva come ideotipo piante alte 1,50 metri perché producevano molta paglia, che veniva spesso utilizzata; adesso l’ideotipo del frumento ha un’altezza di 80 cm perché a noi non interessa più la produzione della paglia così ora posso avere piante più piccole che posso seminare con maggiore densità e questo mi permette di aumentare la resa di granella per ettaro. Sono state migliorate altre caratteristiche, quali lo stay green, ovvero le foglie rimangono verdi il più possibile in modo tale da fotosintetizzare di più, foglie erette per prendere più luce, etc. Per il frumento abbiamo 2 ideotipi diversi (tenero e duro): duro ha alta resa alla macinazione per fare la farina, il tenero ha il glutine per fare il pane. Ci sono 3 modalità di selezione che si fanno con la variabilità naturale (sono metodologie vecchie): si fanno su piante che non sono mai state migliorate o in paesi in via di sviluppo. 1 SELEZIONE MASSALE (per piante autogame) La selezione massale è la selezione più semplice, per le piante autogame, in cui ho piante della mia specie che voglio migliorare: faccio selezione esclusivamente fenotipica sulle piante migliori, scartando i genotipi peggiori e mantenendo i migliori. Successivamente si raccolgono i semi che vengono mescolati tra di loro e così il costitutore fa un ciclo di moltiplicazione in coltivazioni in dimensioni di campi normali e genera una nuova varietà Esiste una versione modificata della selezione massale dove prima di fare il Bulk il seme delle piante viene mantenuto separato, poi viene fatto un test nella stagione successiva e vengono scelte le piante più vicine all’ideotipo e infine anche con questa variazione il seme viene mischiato e venduto come nuova varietà. La differenza tra la massale originaria e quella migliorata è che, in quest’ultima, si fa un test separato l’anno successivo e tengo i semi separati delle piante. - Nella selezione massale spesso viene fana una selezione negajva dove io vado ad eliminare i fenojpi peggiori che non rispenano l’ideojpo, ovvero il 30 – 40% delle piante di partenza. - I risultaj della selezione massale sono legaj fondamentalmente al livello di ereditabilità di un caranere (i caraneri quanjtajvi sono caraneri controllaj da molj geni e sono influenzaj dall’ambiente). Se abbiamo dei caraneri dove l’ereditabilità, quindi la componente genejca, gioca un ruolo piunosto basso nel fenojpo così che è l’ambiente che ne determina il fenojpo, una selezione su questo caranere è una selezione che ha dei risultaj ridou perché noi selezioniamo quelle piante che hanno dei fenojpi dovuj alla componente ambientale e non alla componente genejca. - È una selezione conservatrice perché vuole mantenere le variabilità esistenj ma sopranuno rende più omogenea una popolazione già esistente di linee pure. - Questa selezione ci permene di menere in commercio una nuova varietà senza fare valutazioni agronomiche perché andando ad eliminare i fenojpi peggiori guadagniamo un po’ di valore fenojpico. - Impiegando 1-2 anni oneniamo già una nuova varietà. 76 2 SELEZIONE PER LINEA PURA / GENEALOGICA / INDIVIDUALE (per piante autogame) Nella Fase 1 partendo da 10 000 piante (linee pure) il costitutore ne seleziona un 10% che sono più vicine all’ideotipo e hanno caratteristiche migliori, considerando la valutazione fenotipica in un anno, autofecondo (il genotipo non cambia perché sono linee pure) e tengo il seme di ogni pianta separato, perché voglio seguire le diverse linee. Si chiama selezione per linea pura perché sono tutte linee pure. Nella Fase 2 le piante vengono valutate in piante-fila, si prende il seme raccolto e l’anno successivo pianto e semino i semi di questa linea in queste piante-fila (mettendone anche 20-30). L’obbiettivo è di selezionare un 10% di linee migliori perché il costitutore valuta le 1000 piante sulla base dei figli, questo porta a ridurre del 10% il numero di individui di piante selezionate e così si eliminano ulteriormente i genotipi negativi (quelli che il costitutore ha selezionato all’inizio ma che poi l’anno successivo manifestano caratteristiche peggiori rispetto a quello che ci si aspettava perché forse erano influenzate dall’ambiente). Nella Fase 3 si tengono così 100 linee che in 2-3 anni vanno incontro a valutazione agronomica e confronto con varietà commerciali in diversi ambienti (non sempre una pianta ha delle performance ottimali in tutti gli ambienti; anche 2 anni diversi in uno stesso luogo sono visti come ambienti diversi, perché cambieranno per forza le condizioni climatiche). Questo porta alla identificazione di una o più piante che rappresentano una nuova varietà, essendo piante autogame tutti i semi che raccoglieremo saranno uguali così questo fa si che noi abbiamo già disponibile una nuova varietà. Alla fine dalle 100 linee pure selezioniamo i figli di 1 linea pura che va a costituire la nuova varietà (considerati i migliori tra 10000). Con la selezione pura non sto creando nuovi genotipi, sto riducendo moltissimo la variabilità genetica in una popolazione naturale. Nella riduzione massale riduco moltissimo la variabilità genetica, partendo da 10000 piante selezionerei la mia linea pura, che se questa linea pura che ho selezionato è vantaggiosissima corro il rischio di perdere variabilità genetica in coltivazione e alla fine non posso fare nuovi miglioramenti genetici perché ormai la mia variabilità genetica di quella linea non c’è più. Questo può risultare dannoso per la pianta se diventa suscettibile a un patogeno e diventa difficile trovare delle resistenze, perciò bisogna fare dei miglioramenti genetici. La selezione per linea pura ha un grosso vantaggio, la nostra varietà è omogenea, infatti tutti i semi che otteniamo per autofecondazione sono sempre identici però è molto fragile. Questa tecnica è ancora valida per specie poco selezionate. 3 SELEZIONE RICORRENTE SEMPLICE (per specie allogame) In questa selezione vengono fatti ripetuti cicli di selezione massale in cui si cerca di aumentare le frequenze geniche favorevoli entro delle popolazioni da migliorare; l’obbiettivo è quello di migliorare, tramite selezione fenotipica, delle popolazioni a larga base genetica. Fase 1: Partendo da 10000 piante vengono identificati le piante con il carattere che ci interessano e queste piante vengono autofecondate 77 Fase 2 : con il seme ottenuto si ottengono delle piante-fila e queste piante vengono lasciate incrociare liberalmente tra di loro o si fa anche un incrocio manuale. Fase 3 : Nel terzo anno il seme ottenuto dagli incroci viene mescolato e viene seminato per ottenere una nuova popolazione dalla quale si scelgono di nuovo le piante migliori che vengono ancora selezionate e autofecondate. Nel quarto anno si procede allo stesso modo (i semi ottenuti vengono messe in piante file, le piante vengono lasciate incrociarsi liberalmente tra di loro e ho ottenuto dei nuovi semi), con i semi ottenuti posso riseminarli e riselezionare le piante, autofecondarli e rifarli incrociare l’anno dopo; di nuovo prendo popolazione con più piante, riseleziono le migliori, le autofecondo e l’anno successivo vado a interincrociarli tra di loro. Questa selezione è più lunga perché c’è ampia variabilità e fenotipi diversi; l’obiettivo era di arrivare ad avere individui genotipicamente abbastanza simili, ma con caratteristiche identiche per i caratteri voluti. La selezione ricorrente semplice può andare avanti per diversi cicli fino a quando non arriviamo ad ottenere una fissazione dei caratteri da migliorare, ovvero fino a quando non riusciamo ad ottenere un miglioramento dei caratteri che ci interessano. Abbiamo altri metodi tradizionali che invece si basano sullo sfruttamento della variabilità genetica creata dall’uomo: 1) Mutagenesi 2) Autoimpollinazione controllata 3) Strategie di incrocio e selezione MUTAGENESI Fondamentalmente è una metodologia che si basa sull’utilizzo di agenti mutageni (raggi x, raggi gamma o sostanze chimiche) che hanno come obbiettivo quello di generare delle mutazioni nei semi e ottenere dei nuovi fenotipi. La mutaganesi può portare all’utilizzo diretto, quindi facendo una mutagenesi sui semi ottengo delle piante mutate per un carattere che mi interessa e posso utilizzarle per costituire delle nuove varietà; oppure le piante mutate posso incrociarle con delle linee già esistenti per introdurre nella varietà commerciale il carattere mutato. La mutagenesi sfrutta la variabilità creata dall’uomo. 78 In genere abbiamo delle mutazioni puntiformi, spesso usando agenti chimici come l’etilmetansolfonato (EMS) ed è molto efficiente questa mutazione chimica perché genera tantissime mutazioni nel genoma quindi noi possiamo avere una mutazione che va a interessare un gene di interesse ottenendo una nuova varietà. In genere agenti chimici causano mutazioni puntiformi. La mutagenesi da agenti fisici è una mutagenesi che può ricorrere a raggi gamma (i più utilizzati), X, ultravioletti, particelle alfa e beta. I raggi gamma sono radiazioni abbastanza potenti e causano delle rotture dei cromosomi portando a inversioni, delezioni, traslocazioni; molti mutanti ottenuti con i raggi gamma spesso sono mutanti in cui è presente una perdita di funzione e possono danneggiare molto i geni, di conseguenza sono mutazioni molto importanti. Si può fare una mutagenesi inserzionale con agenti biologici, si sfrutta una mutagenesi con i trasposoni facendo tagging che permette l’inserimento di trasposoni nel genoma permettendo di fare mutagenesi di trasposoni; spesso l’inserimento di trasposoni comporta la perdita di funzione dei mutanti. La mutagenesi è stato un metodo di miglioramento genetico che negli anni 60’ e 70’ ha spopolato e sono stati ottenute centinaia di varietà di frumento (ad esempio a Roma è stata fatta mutagenesi col cobalto 60), oltre a questo vanno aggiunte le specie e le varietà ottenute per poliploidizzazione indotta (per esempio il triticale) Il CRISPR/Cas è considerato in Europa alla stregua dell’OGM, la mutagenesi invece non è considerata OGM ma più come una metodologia naturale di miglioramento genetico. Come già detto moltissime mutanti di frumento sono state prodotte con mutagenesi, per la mutagenesi con cobalto si utilizzano o piccoli strumenti che lanciano raggi gamma sui semi di frumento (irradiando pochi semi) oppure delle serre/campi con cobalto che irradiano una quantità molto più ampia di semi. AUTOMIPOLLINAZIONE CONTROLLATA Si tratta di un’altra metodologia che sfrutta la variabilità creata dall’uomo, dove autofecondando andiamo ad aumentare l’omozigosi e otteniamo alla fine una pluralità di linee pure. Nelle specie prevalentemente autogame non sono presenti particolari problemi, mentre nelle specie allogame bisogna tenere conto che le piante (con le loro strutture) non sono predisposte all’autofecondazione e quindi dovremmo isolare le piante o i fiori spazialmente. 79 Dovremo così costruire delle strutture che impediscano l’arrivo del polline di altre piante sulle nostre piante interessate; per autofecondare una pianta da frutto in un campo, devo creare delle strutture per evitare che arrivi il polline dall’esterno; invece per la pianta di mais, che ha i fiori maschili separati da quelli femminili, devo raccogliere il polline o tolgo l’infiorescenza maschile per isolare le piante. Il mais presenta fiori maschili (sul pennacchio) e fiori femminili (sulla “pannocchia” anche se in realtà è una spiga) e per autofecondare la pianta raccogliamo il polline dal fiore maschile e autofecondiamo manualmente il fiore femminile e lo insacchettiamo così che non ci sia polline di altre piante che fecondi la pannocchia. Ø IBRIDAZIONE INTRASPECIFICA Metodologia che permette di generare nuova variabilità incrociando due piante tra di loro per permettere di ottenere degli ibridi F1 sfruttando l’eterosi oppure per valutare delle piante madri sulle caratteristiche della progenie. L’ibridazione intraspecifica ha una difficoltà crescente: Le piante monoiche autocompatibili con fiori ermafroditi sono quelle che hanno una maggiore difficoltà nell’ibridazione intraspecifica tra piante diverse, perché di solito tendono ad autofecondarsi. La difficoltà si legge in 2 sensi: incrociare piante con sessi separati, da un lato è difficile perché devo prendere le 2 piante, ma dall’altro, non ho problemi nelle piante femminili di autofecondazione e, infatti, tendono molto ad autofecondarsi. Per queste piante, per fare l’autofecondazione come vogliamo noi dobbiamo ricorrere alla demasculazione (togliere gli stami) dei fiori che vogliamo utilizzare come fiori femminili, questa demasculazione si fa precocemente quando il fiore è ancora chiuso perché è probabile che quando il fiore si sia già aperto del polline sia arrivato e sia così avvenuta la fecondazione. Prendiamo un fiore dalla pianta i cui petali sono ancora ben chiusi, lo apriamo ed eliminiamo le antere così che rimanga solo il pistillo e preleviamo il polline dalla pianta impollinante e lo posiamo sullo stigma facendo avvenire la fecondazione, aggiungiamo poi un sacchetto di carta e per sicurezza dopo qualche giorno possiamo riaggiungere del polline e alla fine otterremo il nostro frutto derivante dalla pianta femminile e quella autoimpollinante. - IBRIDAZIONE INTERSPECIFICA Posso ibridare intraspecifico, quindi nella stessa specie, e interspecifico, ovvero tra specie diverse. Specie: insieme di individui interfertili che danno origine a progenie illimitatamente feconde. Il problema degli incroci interspecifici (quindi incrociando specie diverse) è che non sempre le nostre progenie sono fertili, quindi non sempre riusciamo ad ottenere il seme fertile. Negli ibridi interspecifici la difficoltà di ottenere ibridi fertili aumenta a mano a mano che noi prendiamo specie più lontane. Con specie con un gene pool (concetto che indica quanto siano vicine o lontane le specie) primario (specie molto vicine) è molto più facile fare incroci perché i nostri individui risultano fertili. Con specie 80 del gene pool secondario abbiamo una parziale sterilità dove le cose cominciano a complicarsi, mentre con un gene pool terziario abbiamo le specie che sono molto distanti e otteniamo degli ibridi spesso sterili. L’ibridazione interspecifica spesso è molto ricercata perché alcune specie presentano un adattamento delle condizioni climatiche e resistenze a patogeni che la nostra specie non ha, quindi si ricorre a questa ibridazione per trasferire queste determinate caratteristiche nella nostra specie coltivata. Per superare queste barriere di incompatibilità con specie diverse si possono utilizzare c. specie ponte, come: Nico0ana repanda incompajbile con N. tabacum N. tabacum compajbile con N. sylvestris N. sylvestris compajbile con N. repanda Trasferimento di geni per la resistenza ai nematodi da N. repanda a N. tabacum passando per N. sylvestris Solanum lycopersicum incompajbile con S. peruvianum S. peruvianum compajbile con S. chinense S. chinense compajbile con S. lycopersicum Trasferimento di geni ujli di S. peruvianum prima su S. chinense e da questo su S. esculentum d. Possiamo oppure individuare dei genojpi adau, infau ci sono alcuni individui che hanno una maggiore facilità di ibridizzazione rispeno ad altri. e. Un altro metodo per superare le barriere di incompajbilità è modificare il livello di ploidia. Incroci tra Brassica olarecea (2n=2x= 18) e B. campestris (2n=2x=20) quasi impossibili a livello diploide, risultano effenuabili a livello tetraploide La patata (Solanum tuberosum 2n=4x=48) si incrocia con altri Solanum solo se si porta a livello diploide f. Un altro metodo è l’ujlizzo di parjcolari tecniche di impollinazione. - rimozione dello sjgma per facilitare la germinazione del polline - applicazione di sostanza ormonali alla pianta portaseme - impollinazione in successione (prima con polline compajbile devitalizzato e poi con polline incompajbile) g. L’ uljmo metodo prevede l’ibridazione somajca, ovvero la fusione dei protoplasj tra specie diverse. Le strategie di incrocio e selezione devono tenere conto delle specie con cui noi lavoriamo, per esempio lavorando su specie autogame (o altamente omozigote) la variabilità è presente tra le linee pure ma non nelle linee pure, in genere gli alleli recessivi deleteri sono dominati, tollerano l’autofecondazione e sono adattate molto bene a quell’ambiente ma con scarsa flessibilità; diversamente le specie allogame sono spesso eterozigote e hanno una variabilità distribuita tra tutti gli individui, gli alleli recessivi sono nascosti negli eterozigoti, tollerano male l’inbreeding ma hanno una grande adattabilità. 81 STRATEGIE DI INCROCIO E SELEZIONE IN SPECIE PREVALENTEMENTE AUTOGAME La cosMtuzione varietale nelle specie autogame Si basa principalmente sull’incrocio di specie autogame. La ricombinazione permette di creare nuova variabilità con l’obiettivo di combinare insieme i geni presenti in diversi genotipi. Partendo da due linee pure (omozigoti a tutti i loci) e andandole ad incrociare, si ottiene una F1 uniforme. Da esso ottengo tutti individui eterozigoti. Questo vale per i tre loci ma anche per tutto il genoma. Talvolta si può anche avere un incrocio tra due linee pure identiche (es. AA x AA), in ogni caso, però, si ottiene una F1 tutta uguale e in quasi completa eterozigosi. Quindi, la F1 è uniforme. Questa, però, non è solo una caratteristica delle specie autogame ma di tutti gli incroci tra linee pure. Attraverso l’autofecondazione di F1 si ottengono degli individui F2 e si inizia il processo di selezione. A seguito dei ripetuti cicli di autofecondazione, le piante selezionate raggiungono l’omozigosi e si ottengono, a seguito di ricombinazione, delle linee pure che sono superiori ai genitori che le hanno generate. Precedentemente, si era detto che teoricamente è possibile ottenere un numero di 2n linee pure a seconda di quanti sono i loci considerati: se ho due geni ci possono essere 4 diverse linee pure, mentre se ho 40 geni allora ci possono essere 240 diverse linee pure (circa mille miliardi). Un grosso problema è dato dal fatto che tramite l’autofecondazione di F1 si ottengono un numero grandissimo di ricombinanti che non possono essere controllati, quindi si ottiene un successo con l’ibridazione e la successiva selezione delle ricombinazioni che dipende da molti fattori: - Scelta dei parentali; - Schemi di selezione; - Rapidità nel valutare e selezionare; - Capacità del miglioramento genejco (breeder); Esistono tre grosse metodologie di costituzione varietale nelle specie autogame che sono il metodo pedigree, il metodo per la popolazione riunita e il reincrocio. 82 I metodi pedigree e popolazione unita sono molto utilizzati per caratteri quantitativi poligenici come ad esempio la produzione. Il reincrocio, invece, è molto utilizzato per caratteri qualitativi monogenici come, ad esempio, la resistenza ai patogeni. 1. METODO PEDIGREE È il primo metodo di miglioramento nelle specie autogame e funziona bene per i caratteri quantitativi. I pedigree sono le note che ci permettono di sapere “chi deriva da chi”, come è stato incrociato e tutte le caratteristiche fenotipiche interessanti. La selezione si basa sulla metodologia di allevare ed incrociare delle piante per ottenere la F1. Con questo metodo, non si sfrutta la variabilità genetica che c’è, ma la si crea: incrocio 2 linee pure e ottengo la generazione F1 formata da 150-300 piante, ma devo essere sicuro che i semi che raccolgo non derivino da autofecondazione. Per fare ciò si possono utilizzare dei marcatori morfologici che permettono di capire se le piante sono ibridi F1. Per quanto riguarda il frumento, ad esempio, ci sono delle varietà aristate (mm) utilizzate come piante portaseme e delle varietà mutiche (MM) che non presentano le ariste utilizzate come piante impollinanti. Gli ibridi (F1) saranno quindi eterozigoti (Mm) e quindi, dato che la varietà mutica è dominante, saranno tutte mutiche. Se ottengo delle F1 con piante che presentano le ariste significa che i semi non derivano dall’incrocio ma dall’autofecondazione. MM x mm à Mm Attualmente, però, si possono utilizzare anche dei marcatori molecolari. Osservando il seguente schema, se il parentale femminile ha una banda mentre quello maschile ne ha un’altra, tutta la progenie deve avere entrambe le bande. Se ci sono delle piante che presentano una sola banda, significa che esse derivano da autofecondazione, quindi vanno scartate. I marcatori molecolari rappresentano delle bande che sono porzioni di DNA. Unendo due individui omozigoti si ottengono tutti individui eterozigoti tranne quelli che derivano da autofecondazione. Il metodo pedigree è piuttosto lungo. Incrociando due linee pure si ottengono 150-300 piante F1 e le si fanno autofecondare. Da queste si raccolgono i semi e li si utilizzano l’anno successivo. Normalmente si utilizzano tra le 10 000 e 20 000 piante. Quando si autofeconda una F1 ci sono milioni di ricombinanti possibili, però se ne vede solo una parte, infatti, ne vengono testati 10 000. La selezione in F2 viene fatta da parte del costitutore ed è una selezione negativa, infatti, si eliminano tutte le piante che non si avvicinano al miglior tipo. Si mantiene solo il 10% delle piante. Le piante selezionate (1000 o 2000) vengono autofecondate e il seme raccolto viene mantenuto separato. I semi raccolti dalle F2 autofecondati, che diventano i semi delle piante F3, l’anno successivo vengono messi in piante-fila (30/40 piante spaziate). Ogni fila presenta i semi derivanti dalla stessa pianta della F2. 83 Dopodiché, si selezionano le 3/5 piante migliori per ogni pianta fila, si fa quindi una selezione dentro alla famiglia scartando le famiglie peggiori. A questo punto, le 3/5 piante vengono autofecondate e in F4 ed F5 si fa un’altra selezione che però è principalmente tra le diverse linee di piante. Nella F4, infatti, il costitutore comincia a confrontare le diverse piante fila oltre a selezionare le migliori piante all’interno di una stessa famiglia. Questo perché ad ogni ciclo di autofecondazione aumenta l’omozigosi e, mano a mano che autofecondo, le piante tendono ad essere simili tra di loro, quindi, si riduce la variabilità presente dentro la pianta fila ma aumentano le differenze tra le diverse famiglie. Ancora di più nella F5 si confrontano le diverse piante-fila. Questo porta ad avere nella F6 200/300 linee che vengono seminate e valutate in condizioni normali. Il seguente grafico mostra come, aumentando l’autofecondazione si arrivi all’omozigosi. In F6, quindi, non si seleziona più la singola pianta ma la linea e il seme che si raccoglie viene mescolato per ogni linea. Dopodiché si fa un’ulteriore selezione delle linee per visualizzare solamente le 20/25 migliori in F7. Queste, vengono poi valutate in F8 e in F10 in ambienti ed anni diversi confrontandole con le varietà più diffuse (V) per identificare le linee migliori. Si sfruttano 10 generazioni per valutare le linee pure migliori e, immaginando una generazione all’anno, ci vogliono 10 anni per selezionare le linee migliori con il metodo pedigree. Dato che il metodo pedigree è molto lungo, spesso viene utilizzato un pedigree modificato in cui la valutazione agronomica non viene fatta in F8 ma in F5/F6 in modo tale da risparmiare due tre anni. Questo è possibile grazie al fatto che il livello di omozigosi in F5 è già abbastanza elevato, quindi le piante all’interno di una famiglia sono già sufficientemente simili tra di loro. Il metodo pedigree si chiama così perché venivano prese delle note sugli incroci che permettevano di capire la genealogia degli individui o di tutte le linee di una data generazione. Vantaggi: - Porta alla generazione successiva solo i genojpi che mostrano le desiderate combinazioni geniche e che hanno una diversa genealogia; Limiti: - Il cosjtutore deve selezionare il 10% delle piante in F2, quindi deve essere bravo; - In F2 vengono testaj solo 10000/20000 ricombinanj dei milioni che se ne formano. Quindi, molj genojpi che potrebbero essere interessanj vengono scartaj in F2, in quanto il materiale è altamente eterozigote; - L’allevamento a piante spaziate determina una forte interazione genojpo-ambiente e un cambiamento della normale situazione di coljvazione; - La selezione per alcuni caraneri, come resistenza al freddo, altezza della pianta, precocità, allenamento, strena da caldo (patologia nel frumento), può avere efficienza diversa in annate climajcamente diverse. Ad esempio, diventa difficile valutare la resistenza al freddo in un inverno che non è particolarmente freddo. 84 2. METODO PER POPOLAZIONE RIUNITA È simile al metodo pedigree per quanto riguarda l’attività ma concettualmente è totalmente diverso. In questo metodo, il seme F1 viene miscelato e raccolto e in F2 si utilizzano 100/200mila piante in un’unica parcella e con una densità comune. Il seme viene raccolto in blocco e se ne estrae un campione che viene seminato per dare la generazione F3. Si procede in modo analogo fino alla generazione F6 affidandosi a selezione naturale ed effettuando una selezione negativa. In F7 il costitutore va a selezionare gli individui migliori che in essa hanno già raggiunto degli alti livelli di omozigosi. In F8 si costituiscono le piante fila e si selezionano le linee migliori. In F9 e in F10 si fa la solita valutazione delle linee pure selezionate con quelle commerciali per identificare le linee migliori. In questo caso la selezione tramite il metodo per popolazione riunita è differente da quella tramite il metodo per pedigree. Il tempo di durata è lo stesso, però, mentre nella selezione a pedigree è il costitutore che seleziona l’inizio, qui si fa fare tutto alla selezione naturale. La selezione naturale è molto importante, però, talvolta essa non seleziona ciò che si vuole. Ad esempio, nei cereali essa tende a favorire le piante alte perché esse riescono a prendere meglio la luce. Però, ai costitutori del frumento, le piante alte non vanno bene perché generano molta paglia e occupano molto spazio. Quindi, in questo caso il breeder va ad eliminare le piante elevate tramite selezione negativa. 85 LEZ. 11 14/11/2023 Prof. Barchi Esiste anche una metodologia chiamata single seed descent (SSD) fondata su un seme per pianta che cerca di combinare i vantaggi del metodo per pedigree e per popolazione riunita. Nel metodo pedigree, quando viene fatta la selezione nelle F2, gli individui sono molto eterozigoti, quindi si possono perdere degli individui favorevoli perché quel materiale viene scartato. Al contrario, il limite del metodo per popolazione riunita è che la selezione naturale non sempre seleziona chi vogliamo. Per ovviare a questi problemi è stato quindi sviluppato il SSD in cui a partire dalla F2 si raccoglie un seme per pianta e si va avanti così fino alla F5/F6 (circa 100000/200000 individui). Nella F6 le piante hanno raggiunto un alto livello di omozigosi e quindi si fa la selezione da parte del costitutore. Si scelgono poi 100/150 piante, si creano le piante file e in F7 si selezionano 20/25 linee che poi vengono valutate. Questo metodo è simile a quello per popolazione riunita perché si fa fare quasi tutto alla selezione naturale, però fino alla F6 si sceglie casualmente un seme per pianta. Quindi, il caso può determinare l’eliminazione di un genotipo che non si vuole. 3. REINCROCIO (backcross) È molto adatto per conferire resistenza e arricchire una varietà molto buona di uno o pochi geni che controllano un carattere qualitativo (es. resistenza) o un carattere quantitativo ad elevata ereditabilità. Generalmente è applicato per un carattere qualitativo. In questo metodo, il genitore che fornisce il gene di interesse è detto donatore, mentre il parentale che lo riceve è detto ricorrente (è la varietà da migliorare, quella che riceve il gene). L’F1, che si ottiene dall’incrocio tra il parentale donatore e il ricorrente, viene re-incrociata ripetutamente con il ricorrente con la seguente metodologia: BC1 = 1° generazione di reincrocio (=generazione backcross) Il genitore donatore, in genere è l’impollinante, ed è una varietà che ha una grande resistenza. Il donatore dona in gene ma non è produttivamente importante. Dopo n reincroci con il ricorrente, la proporzione del genoma del donatore è (1/2)n, quindi si riduce del 50%. Il donatore è spesso l’impollinante perché si vuole tenere anche il citoplasma del ricorrente. Esempio: Dopo aver fatto 5 reincroci, si ha 1/64 del genoma donatore, viene cioè recuperato il 98% del genoma ricorrente. Il reincrocio determina anche un aumento di omozigosi. Ogni reincrocio equivale, quindi, ad un ciclo di autofecondazione del ricorrente ad eccezione per i geni da trasferire. Il reincrocio ha come obiettivo quello di trasferire una porzione spesso ridotta del genoma, che porta un gene di interesse. Si vuole, però, trasferire solamente il gene di interesse e ricostituire il genoma del ricorrente. Ad esempio, se ho una pianta che produce tantissimo ma non è resistente ad un patogeno si può inserire la resistenza nel genoma del ricorrente. L’obiettivo è quello di limitare al massimo il genoma del donatore che rimane nella varietà. CASO 1: il carattere d’interesse è dominante 86 In questo caso, il genitore ricorrente (aa recessivo) viene incrociato con il genitore donatore (AA dominante) e si ottiene una F1 Aa resistente. Si iniziano i backcross andando quindi ad incrociare la F1 con il ricorrente e si ottiene una generazione BC1 con il 50% degli individui resistenti (Aa) e il 50% degli individui suscettibili (aa). Per selezionare solamente gli individui resistenti è sufficiente fare delle inoculazioni così le piante suscettibili muoiono e si selezionano solo quelle resistenti. Eseguo un altro reincrocio tra BC1 e il genitore ricorrente e recupero il 75% dei geni. Anche qui, quindi, seleziono dal genoma solo gli individui resistenti. Dopo aver ottenuto BC2 si esegue un altro reincrocio e si recuperano l’87,5% dei geni. Si selezionano solamente gli individui resistenti e si effettuano altri reincroci fino ad arrivare a BC5 in cui è stato ricostituito praticamente tutto il genoma del ricorrente, mantenendo però il gene resistente nel genoma. Ho quindi ottenuto delle piante resistenti che sono in eterozigosi su un genoma che ormai è in omozigosi come il ricorrente. Nel momento in cui si autofeconda la pianta BC5 essa non segrega per le regioni genomiche ad eccezione della regione in eterozigosi (Aa) e questo è un problema. Per risolverlo, si autofecondano le piante backcross (Aa x Aa) e si ottiene: 50% Aa, 25% AA, 25% aa Quelle omozigoti recessive si eliminano perché non sono resistenti. Per capire quali, tra le rimanenti, sono omozigoti e quali eterozigoti vado ad autofecondare gli individui: se si autofeconda AA si ottengono tutti individui AA, mentre se autofecondo Aa ottengo la stessa proporzione di prima, quindi anche individui recessivi (come si vede nell’immagine di fianco). Andando a vedere come si comportano i figli, si può capire quali sono le piante omozigoti dominanti (AA) di interesse. A questo punto, scarto le piante eterozigoti e mantengo solamente quelle omozigoti dominanti. I tempi comunque sono piuttosto lunghi: circa 6/8 anni. 87 Esempio caso 1: CASO 2: il carattere di interesse è recessivo In questo caso, la resistenza è recessiva. Si parte sempre da genitore ricorrente e da genitore donatore. La F1 è in eterozigosi ed è completamente suscettibile, quindi si esegue un backcross della F1 e si ottengono delle piante che vengono autofecondate. L’autofecondazione serve per portare in omozigosi recessiva l’allele. Infatti, si ha una segregazione per resistenza e le piante AA ed Aa vengono eliminate. A questo punto, le piante aa vengono backcrossate con il genitore ricorrente e si ottiene la BC2 in F1 che a sua volta può essere o backcrossata o autofecondata. Generalmente, lo schema è backcross à autofecondazione à selezione delle piante resistenti à backcross à backcross. 88 Esempio caso 2: Trasferimento del gene per la resistenza di ariste in frumento. Il ricorrente è una varietà senza ariste, mentre il donatore presenta le ariste. Il donatore è recessivo. Si incrociano i due genitori e si ottiene una F1 eterozigote che viene backcrossata con il ricorrente. Dopodiché viene fatta un’autofecondazione e si individuano gli individui con le ariste, tutti gli altri vengono eliminati. Si esegue un altro backcross tra gli individui con le ariste e il ricorrente e si ottiene la BC2-F1 che può andare incontro o ad un’autofecondazione oppure ad un backcross mantendo solo gli individui con le ariste. Si continua così fino alla fine. I backcross sono molto lunghi e richiedono parecchi anni. Talvolta, vengono fatti più backcross per trasferire più geni. Ad esempio, in frumento sono stati eseguiti dei cicli di backcross per la resistenza alla carie da una varietà Martin in Big Club. Dopodiché, la resistenza è stata trasferita ad un altro patogeno e da un’altra varietà. Infine, è stata inserita un’ulteriore resistenza alla ruggine da un’altra linea. Sono stati eseguiti, quindi, cicli e cicli di backcross. Di solito, comunque, sono necessari 6/7 reincroci per recuperare quasi completamente il genoma del genitore ricorrente. Un problema che può capitare è che l’allele favorevole A di un donatore sia legato ad un allele sfavorevole b di un gene molto vicino e che esso non si riesca ad eliminare. Se i geni sono lontani questo problema non si verifica. STRATEGIE DI INCROCIO E SELEZIONE IN SPECIE PREVALENTEMENTE ALLOGAME Nelle piante allogame, ci troviamo di fronte a delle popolazioni delle linee inbred, ovvero piante che vengono autofecondate ma che vanno incontro al fenomeno della depressione da inbreeding che è più o meno marcata a seconda delle specie. Normalmente, nelle piante allogame ci sono delle popolazioni in cui si migliorano le frequenze degli alleli positivi. Di conseguenza, le varietà delle specie allogame sono meno uniformi con l’eccezione di quando si utilizzano delle linee inbred per ottenere degli ibridi F1. La costituzione varietale nelle specie allogame può essere fatta secondo dei metodi basati sulla: 89 - Selezione fenojpica: si ha una presenza di alta variabilità di origine addijva (=caraneri con ereditabilità medio-alta), dunque con la selezione fenojpica è probabile che si onerranno gli effeu desideraj a livello genojpico; - Selezione genojpica: applicabile per i caraneri con bassa ereditabilità o quando si ujlizzano delle piante parentali scelte mediante la selezione basata sulla valutazione fenojpica della progenie (=Progeny test). In questa selezione si valuta chi incrociare tenendo conto delle performance delle progenie grazie ai progeny test. 1. SELEZIONE FENOTIPICA Esistono vari tipi di selezione fenotipica: - Selezione tra ed entro ecotipi e varietà locali; - Selezione massale (per via materna); - Selezione fenotipica (massale per via materna e paterna); - Selezione ricorrente semplice; - Reincrocio; L’unica che verrà trattata nel corso è la selezione fenotipica massale per via materna e paterna. In questa selezione, nel primo anno si vanno a selezionare delle piante che vengono poi lasciate incrociare con un polincrocio nel secondo anno e infine, al terzo anno si fa la semente di base. In questo caso si esegue una doppia selezione in quanto vengono selezionate sia le piante maschili sia quelle femminili. Questa selezione è molto simile alla selezione massale per via materna, la differenza è che in questa c’è, appunto, una forte selezione sulla fonte pollinica. 2. SELEZIONE GENOTIPICA Sono più interessanti e più moderne e sono basate sull’utilizzo di piante parentali, infatti, si parte da individui e si selezionano quelli parentali. Per fare ciò si utilizzano delle valutazioni sulle progenie. Il progeny test permette di valutare il genotipo di un individuo sulla base dell’analisi delle progenie che lo hanno originato (10-50 piante). Se si hanno 10 piante madri diverse e vengono tutte impollinate con lo stesso polline, quindi si utilizza un’unica linea di piante maschili, le differenze tra le varie progenie sono dovute unicamente alle piante madri. Le prove di progenie permettono di correlare il fenotipo al genotipo e di ricavare informazioni sull’attitudine alla combinazione. L’attitudine alla combinazione si divide in: - Autudine generale alla combinazione (ACG) che è il comportamento medio di un genojpo nelle sue combinazioni ibride. Quindi, un genojpo è dotato di una buona ACG quando dà sempre origine a delle progenie di buona qualità, in termini di miglioramento genejco, indipendentemente dalla linea impollinante ujlizzata; - Autudine specifica alla combinazione (ACS) che è il comportamento specifico di un genojpo con un altro genojpo, vi è, quindi, una buona integrazione di due specifici genojpi; 90 PROGENY TEST Ho varie linee inbred (A, B, C, D, E). Si eseguono tutti i possibili incroci, si raccolgono i semi e si esegue un progeny test. Quindi, si prendono tra i 10 e i 50 semi per ogni incrocio, si piantano e si fanno delle valutazioni che permettono di valutare sia ACG che ACS. In che modo? Come parametro si ha tonnellata/ettaro per granella. Quando si incrociano la linea A con la linea B si ha una produzione media di t/ha granella di 11 (si parla di mais). AxC=9; AxD=12; AxE=8; la media della linea A è di 10. Questi valori si riportano per tutti gli incroci come si vede nella tabella. Il valore medio permette di capire per ciascun genotipo la sua ACG: la linea A è quella che presenta il valore più alto, questo significa che essa, indipendentemente dall’altro parentale dell’incrocio, permette di avere una produzione media molto elevata. Quindi, la linea A è quella che ha un ACG migliore. Se invece si vuole capire qual è l’incrocio che un una migliore ACS si osserva qual è l’incrocio con il valore più alto che corrisponde ad una maggiore produzione. In questo caso AxD. Di conseguenza, si può affermare che l’ACG mi permette di capire quale linea si comporta meglio, mentre, l’ACS mi permette di capire qual è il miglio incrocio all’interno della linea migliore. Le valutazioni dei progeny test stanno alla base dell’ottenimento delle varietà ibride. Queste sono piante e semi F1 ottenuti dall’incrocio tra due linee pure, due linee inbred o cloni. Essendo che le specie sono allogame si parla di linee inbred che derivano da ripetuti cicli di autofecondazione degli individui. Gli ibridi F1 sono ricercati perché mostrano eterosi e sono uniformi. FENOMENO DELL’ETEROSI Ad esempio, nel mais ho due linee inbred A e B e il loro incrocio che è un ibrido F1 più grande. Il fenomeno dell’eterosi è stato scoperto nel 1916 da George Shull ed è definito come la superiorità dei genotipi eterozigoti rispetto ai corrispondenti omozigoti. Quindi, un ibrido F1 è migliore rispetto alle linee inbred che lo hanno originato. Il fenomeno dell’eterosi, però, non può essere fissato, infatti se ho un ibrido F1 esso non può essere fissato perché, dal momento che si autofeconda, si ha tutta la segregazione e si perde il fenomeno dell’eterosi. Però, l’eterosi può essere riprodotta tutte le volte rifacendo gli incroci tra i parentali. 91 L’eterosi è stato il più grande impulso per la produzione delle sementi ibride che garantiscono maggior vigore vegetativo, produttivo, maggiore qualità del prodotto, resistenza a stress abiotici e biotici, robustezza della pianta, etc. Inoltre, gli ibridi sono tutti uguali, quindi non c’è variabilità genetica. DEPRESSIONE DA INBREEDING Se si prende una pianta allogama e la si autofeconda di va in depressione da inbreeding (DI) che è il meccanismo per cui autofecondando una pianta allogama, nel primo ciclo di autofecondazione si ottengono delle piante brutte. La DI è massima all’inizio, quindi nelle prime generazioni, perché autofecondando la pianta si manifestano anche i caratteri recessivi. Il fenomeno dell’eterosi è correlato negativamente al fenomeno della depressione da inbreeding, infatti, tanto più è forte la DI e tanto maggiore sarà l’eterosi che si manifesta con l’incrocio. La depressione da inbreeding si affievolisce man mano che si autofeconda e quindi che l’omozigosi progredisce. Non tutte le specie allogame presentano depressione da inbreeding. Esistono due teorie che spiegano la depressione da inbreeding e l’eterosi: - Ipotesi della dominanza: afferma che, nel momento in cui si genera un ibrido, si portano tanj geni in condizione di eterozigosi mascherando l’allele recessivo. Il grado di eterosi, però, secondo quest’ipotesi, è in funzione dei genojpi dei parentali dell’ibrido F1. Ciò spiegherebbe perché la scelta dei parentali è fondamentale per la riuscita del miglioramento genejco. Consideriamo questo esempio: P1 contribuisce con due alleli dominanj così come anche P2, però, quest’uljmo contribuisce con due alleli diversi di quelli di P1. Nel momento in cui si genera un ibrido, il P1 da gamej A, b, C, d mentre P2 da gamej a, B, c, D. La F1 sarà quindi: Aa, Bb, Cc e Dd. Si portano quindi quanro loci eterozigoj. Se si incrociasse P1 con una P2 che dà i seguenj gamej a, b, c, D sarebbe un problema perché nella F1 ci sarebbe il locus bb che è in omozigosi recessiva. Secondo l’ipotesi della dominanza, quindi, dovrebbe essere possibile onenere l’eterosi accumulando alleli dominanj e si possono onenere linee inbred vigorose quanto gli ibridi F1. Ovvero, se si guardano i prodou dell’autofecondazione e li si autofecondano, è possibile casualmente che si onengano delle linee inbred dominanj a tuu i loci, quindi, vigorose quanto gli ibridi F1. - Ipotesi della sovradominanza: afferma che l’eterosi è dovuta al fano che gli eterozigoj sono superiori agli omozigoj, e che il vigore aumenta all’aumentare dell’eterozigosi. Aa > AA Aa > aa 92 Come già deno, non si possono conservare gli ibridi F1, infau, nelle F2 le dimensioni delle piante non sono più uniformi ma si ha variabilità e si perde l’eterosi. Esempio del mais Le dine semenjere vendono ibridi F1 ad un prezzo maggiore ed obbligano l’agricoltore a comprare ogni anno la semente. Questo viene ripagato dal fano che l’ibrido F1 di mais produce 15 tonnellate/enaro di granella. Il caso del mais Il fenomeno dell’eterosi è stato ampiamente sfruttato nel mais inquanto è la specie che ha fornito i risultati più eclatanti. Gli ibridi possono essere a 2 vie, a 3 vie o a 4 vie. Quando si parla di ibridi a 2 vie si intende gli ibridi che derivano dall’unione di due linee inbred A e B. Questo tipo di ibrido è quello che massimizza l’eterosi però, il problema di essi, è che le linee inbred sono poco vigorose e scarsamente produttive. Infatti, la pianta A porta seme non produce tanto seme e si ha anche una scarsa produzione di polline anche se è un fattore meno limitante. Per ovviare a questo problema si è pensato di generare degli ibridi a 4 vie. Si parte da quattro linee inbred (A+B e C+D) e si ottengono due ibridi (AxB e CxD). Il secondo ibrido viene utilizzato per impollinare il primo. Tutto ciò comporta una riduzione dell’eterosi del 20%, però, il vantaggio è che l’ibrido AXB dal quale si raccoglie il seme è a sua volta un ibrido, quindi non soffre di depressione da inbreeding e produce tantissimo. Questo ha comportato una drastica riduzione del costo della semente. à Negli ibridi a 3 vie (↓), invece si parte da tre linee inbred (A, B e C), si ottiene l’ibrido AxB che è un ibrido, quindi, produce molto seme e si utilizza il polline di C. Questo fa si che l’eterosi si riduca solamente del 10% permettendo così sia una grande produzione di seme che un elevato livello di eterosi. Il grosso problema è che per mantenere tutte queste piante si necessita di molto spazio, infatti, se si fanno gli ibridi a 4 vie sono necessari sette campi di cui quattro per il mantenimento delle linee ibride, due per la produzione degli ibridi a 2 vie e uno per la produzione dell’ibrido a 4 vie. 93 Inoltre, quando si generano dei semi ibridi c’è anche il problema dell’autofecondazione sulle piante porta seme. Si può tagliare l’infiorescenza maschile sulle piante porta seme per eliminare il rischio dell’autofecondazione, altrimenti si potrebbe sfruttare la maschiosterilità genetico-citoplasmatica con la seguente metodologia: In questa linea a quattro vie ho AxB in cui A è maschiosterile mentre B è maschiofertile senza gene ristoratore (R) e CxD (devono dare origine all’impollinante) in cui C è maschiosterile mentre D è maschiofertile con il gene ristoratore omozigote dominante. Dagli incroci ottengo un ibrido AB maschiosterile e un ibrido CD maschiofertile ed eterozigote per il ristoratore. Dall’incrocio di AB e CD si ottiene un ibrido ABCD in cui il 50% sarà maschiosterile (non produce polline) e il restante 50% maschiofertile che permette l’impollinazione in campo. 94

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