Fondamenti di Politica Economica PDF
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Università degli Studi di Macerata (UNIMC)
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Questo documento tratta i Fondamenti di Politica Economica. Presenta le basi teoriche della politica economica, descrivendo il concetto di economia politica e politica economica, discutendo i modelli microeconomici e macroeconomici, e approfondendo il modello keynesiano.
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FONDAMENTI DI POLITICA ECONOMICA: Prova esame 2 domande a risposta aperta (totale) Che cos’è la politica economica e dove si colloca all’interno della teoria economica? L’economia è una disciplina relativamente recente che nasce alla fine del ‘700 (Adam Smith), da “una costola della filosofia” fin...
FONDAMENTI DI POLITICA ECONOMICA: Prova esame 2 domande a risposta aperta (totale) Che cos’è la politica economica e dove si colloca all’interno della teoria economica? L’economia è una disciplina relativamente recente che nasce alla fine del ‘700 (Adam Smith), da “una costola della filosofia” finalizzata a descrivere il funzionamento di un sistema che ragiona attorno a dei concetti “profitto, lavoro, sviluppo”. L’economia non è una scienza, in quanto per essere tale dovrebbe essere “testata” empiricamente attraverso prove ripetute ma è una disciplina in continua evoluzione (dibattito fra ragionamenti differenti, visioni che si confrontano); c’è quindi molta comunicazione nell’economia. DISTINZIONE FRA ECONOMIA POLITICA E POLITICA ECONOMICA Che cos’è l’economia politica? Studia ciò che è, ossia il funzionamento del sistema economico così come si presenta allo studioso, che cerca di produrre delle teorie attraverso l’utilizzo di formule matematiche. Che cos’è la politica economica (policy)? Studia ciò che dovrebbe essere, ossia cosa dovrebbero fare le autorità di politica economica (governo, banca centrale) per migliorare lo stato del sistema se ritenuto insoddisfacente in quanto affetto da patologie (disoccupazione, debito pubblico, disavanzo, inflazione). MODELLI DI ECONOMIA POLITICA Microeconomia, si occupa dell’economia del piccolo, del comportamento cioè del singolo agente (consumatore, imprese, lavoratori) o di singoli mercati. Macroeconomia, si occupa dell’economia del grande, dell’intero sistema economico, cioè degli aggregati macroeconomici e degli equilibri di interi sistemi economici. I MODELLI MACROECONOMICI (RAGIONAMENTI FONDAMENTALI) Rappresentano in modo semplificato i sistemi economici Modello keynesiano (a croce/reddito spesa): Evidenzia l’esistenza di una spirale repressiva del sistema. E’ necessario l’intervento dello Stato. Rifiuta le teorie liberali in base alle quali si crede che il mercato si autoregoli (laissez faire/ mano invisibile). Il sistema funziona finchè la domanda aggregata è forte, quando questa di affievolisce il sistema economico si inceppa ed è necessario l’intervento dello stato. Il policy maker può rettificare tale situazione attraverso gli strumenti di politica economica che innescano nel sistema un meccanismo positivo. Secondo il modello keynesiano il sistema economico è un flusso circolare, cioè esistono degli operatori (imprese, famiglie) tra i quali avvengono degli scambi che hanno natura circolare. Le famiglie cedono alle imprese il fattore LAVORO in cambio di REDDITO da parte delle imprese. Le imprese producono BENI E SERVIZI (materiali e non) destinate alle famiglie. Le famiglie destinano un FLUSSO DI SPESA alle imprese, mentre un altro è destinato a RISPARMIO. Le imprese a loro volta necessitano di beni intermedi (materiali e non) per essere consumate internamente nel processo produttivo e di beni di investimento, acquistati da altre imprese. Sono beni che alimentano il capitale. Il capitale è l’insieme dei beni e servizi che servono a produrre nel tempo. L’investimento è un flusso di spesa in beni di investimento. Il flusso di spesa non fa nient’altro che aumentare il capitale. Beni e servizi sono soggetti a deterioramento che in ambito economico prende nome di ammortamento che fa diminuire il valore del bene. Quello che compone una parte del PIL è il flusso di investimento: spesa di beni e servizi fatta dalle imprese in un arco di tempo e non lo stock di capitale (l’insieme di beni e servizi che si possiede). Nel PIL è incluso l’ammortamento. L’investimento è lordo quando è incluso l’ammortamento; L’investimento è netto quando è escluso l’ammortamento. Richiamo al PIL: Capacità di un sistema economico di generare valore (beni e servizi nuovi) in un certo periodo. E’ il valore di tutto quello che è stato prodotto - il valore dei beni e servizi utilizzati per produrre i nuovi servizi: (beni intermedi) ciò è stato consumato per produrre. E’ un aggregato macroeconomico che ci dice se il sistema economico sia in grado di generare valore o meno. Manuale di contabilità nazionale: Modello eguale di misurazione del PIL, per gli stati appartenenti alle nazioni unite, che consente di confrontare l’economia dei vari Stati. ANALISI DEL SISTEMA ECONOMICO Studiare economia dal punto di vista economico significa porre l’attenzione su tre variabili: Produzione: Livello di produzione dell’economia (PIL); Tasso di disoccupazione: Si riferisce alla proporzione di lavoratori non occupati (che costituiscono risorse inutilizzate) e in cerca di occupazione; Tasso di inflazione: Tasso di crescita del prezzo medio dei beni calcolato sulla base del paniere dei beni ISTAT: insieme di beni presi come riferimento per calcolare e monitorare l’andamento dei loro prezzi. Che cos’è il prezzo? La moneta è uno strumento per scambiare beni e servizi. Nei mercati i beni e servizi vengono valutati sulla base della moneta. Il problema che segue è quello relativo allo stabilire il prezzo dei beni. Il prezzo proviene dall’incontro fra domanda e offerta. Tanto più cresce la domanda tanto più il prezzo cresce. Tale meccanismo non sempre funziona per via dell’oscillazione nominale dei prezzi. L’oscillazione dei prezzi non fa variare il valore intrinseco delle cose, bensì il potere d’acquisto. E’ perciò fondamentale per gli economisti tenere sott’occhio l’inflazione. LA PRODUZIONE (o PIL) La produzione aggregata PIL è il valore di tutti i beni e servizi nuovi prodotti dal sistema economico in un arco temporale. Valore perché non viene sommata la quantità di beni bensì il loro valore (prezzo x quantità). La produzione è intervallata (i vari settori si utilizzano a vicenda; es: INDUSTRIA: bottiglia di latte utilizza il latte prodotto dall’AGRICOLTURA); L’industria utilizza beni intermedi agricoli per produrre beni industriali. Come si arriva allora al calcolo del pil (valore di beni e servizi nuovi)? Si tiene in considerazione altri due fattori lavoro e capitale =valore aggiunto (NON BENI INTERMEDI) (è il valore aggiuntivo ai beni intermedi distrutti) che riproducono la propria capacità produttiva (es macchinario durata 20/30 anni). Il valore dei beni totale (e non pil) è data dalla somma dai valori intermedi e il valore aggiunto. I beni possono essere utilizzati per scopi produttivi o per scopi finali (dalle famiglie) che costituiscono la domanda finale del bene. La somma dei beni intermedi + domanda finale da il valore totale dei beni (e non pil). Il totale dato dalla somma dai valori intermedi e valore aggiunto eguaglia al totale derivante dalla somma dei beni intermedi e domanda finale. (TAVOLA INPUT OUTPUT). Ma quale è il pil? Tale schema permette di calcolare il PIL attraverso diverse metodologie: Produzione totale - totale dei beni intermedi (tutto ciò che è stato distrutto per produrre)= PIL Che non è nient’altro che la somma dei valori aggiunti (L, K) —>se dai 30 lavoro ricevi 30 denaro Il PIL equivale alla somma dei redditi che remunerano i fattori produttivi che hanno partecipato al processo produttivo imposte indirette: Nel sistema economico incide la pubblica amministrazione. Le imposte indirette sono le imposte che la pubblica amministrazione preleva dai processi produttivi, legate all’attività di produzione (irap). Tali imposte si considerano dei redditi. redditi da lavoro reddito da capitale o profitto (quanto riceve l’azienda) Il PIL equivale alla somma della domanda finale perché è il totale del reddito che possiedono le famiglie e che utilizzano per consumare Tra i tre metodi sopra citati quello del valore aggiunto potrebbe sottostimare il valore del PIL, se si ha molto lavoro nero. Tutto ciò che viene tracciato si può misurare, se ciò non avviene il valore del PIL avviene sottostimato. Ci sono delle attività che non vengono tracciate perché illegali ma che comunque generano reddito. Stesso problema proviene dal calcolo dei PIL dalla somma dei redditi. Tale problema viene arginato se il calcolo del PIL proviene dalla somma della domanda finale. PIL NOMINALE E PIL REALE Pil nominale: Valore dei beni e servizi finali valutati a prezzo corrente (prezzo che si osserva ogni anno nel mercato) €Yt= Q x Pc Il PIL nominale non dipende solamente dalla quantità effettivamente prodotta, bensì dal prezzo corrente associato ai beni. La crescita del pil nominale dipende da due fattori: ✔ Crescita della produzione nel tempo ✔ Aumento dei prezzi dei beni nel tempo Pil reale: Valore dei beni e servizi finali valutati a prezzo base (prezzo di un anno base). Yt= Q x Pb E’ più importante valutare il Pil reale che il Pil nominale perché, l’effetto prezzo o monetario è neutralizzato nel calcolo. Se il pil cresce, tale crescita dipenderà dalla quantità effettivamente prodotta (sono cresciuti beni e servizi) e non sulla crescita dei prezzi. PIL E TASSO DI CRESCITA E’ importante analizzare l’andamento del PIL, cioè il tasso di crescita (positivo o non) Crescita del Pil = (Yt-Yt-1)/Yt-1 : quanto vale la variabile oggi – quanto valeva la variabile ieri / quanto vale la variabile oggi. Se il rapporto è positivo allora si ha espansione; Se il rapporto è negativo allora si ha recessione; Espansione: Periodo di crescita positiva Recessione: Periodo di crescita negativa Quanto tale indicatore è negativo per due trimestri allora si parla di “Recessione tecnica”. LA COMPOSIZIONE DEL PIL: Nel modello keynesiano semplice o “a croce” la produzione (pil) deve essere uguale alla domanda aggregata (espressa da tutti gli operatori del sistema). La domanda aggregata è costituita da: Y=C+I+G Consumo (C): Beni e servizi acquistati dai consumatori Investimento (I): Valore dei beni e servizi destinati alla produzione. Beni a fecondità ripetuta. Spesa pubblica (G): Beni e servizi acquistati dallo Stato alle imprese. Non include i trasferimenti (contributi dati dallo stato senza contropartita, tali trasferimenti non si traducono nella spesa di beni e servizi ma si limitano ad incentivare determinati comportamenti) Il consumo nella Teoria keynesiana è il motore del sistema economico in quanto è il motore della domanda aggregata. Il consumo si compone di due componenti. Consumo di sussistenza: Livello di consumo minimo detto indipendente, in quanto svincolata dal reddito. Il consumo di sussistenza dei vari sistemi economici è relativo. Tanto più l’economia è sottosviluppata tanto più tale consumo è basso, tanto più l’economia è sviluppata tanto più tale livello è alto. ES: Per le economie sviluppate il consumo di sussistenza è la piscina in giardino; per le economie in via di sviluppo potrebbe coincidere con 1 euro al giorno. Propensione marginale al consumo: Livello di consumo che dipende dal reddito (C x y). Come si comportano le famiglie quando utilizzano il reddito per consumare. Tanto più è alta la propensione al consumo, tanto più le famiglie impiegano reddito per consumare. Se tale motore (propensione) si affievolisce, ciò vuol dire che le risorse create vengono solo in parte reimpiegate nel sistema economico (il meccanismo circolatorio dell’economia non ha luogo). Non tutto il reddito viene utilizzato per consumare, una parte è lasciata a risparmio (S). C= Co + C1 Y Co>0, 0obiettivo fisso; il reddito deve crescere in un certo arco di tempo -> obiettivo flessibile). Gli obiettivi flessibili si chiamano anche ottimi in quanto rientrano in una funzione di benessere sociale che il policy maker ha il compito di massimizzare. L’esistenza di tali obiettivi collettivi pone il problema di identificare le preferenze sociali. Gli obiettivi sociali sono molteplici; ai quali tendere dipende dalle preferenze sociali. Il problema delle preferenze si pone dal momento che si devono compiere delle scelte in relazione ai vari gusti, socio-economici- presenti nella società. Tali preferenze collettive le incamera il policy maker (legislatore). Le politiche economiche dovrebbero condurre alla massimizzazione di tali preferenze. Le scelte compiute dal policy maker dipendono da due elementi: Preferenze sociali Vincoli a cui le politiche economiche sono sottoposte (risorse) Non è detto però che gli obiettivi che il policy maker si pone siano per forza raggiungibili. La differenza fra quello che è l’obiettivo massimo e quello effettivamente raggiungibile dati i vincoli che derivano dal sistema economico è detta funzione di perdita. La funzione di perdita ci dice che quando gli obiettivi sono flessibili, il risultato di politica economica è un risultato vincolato alle risorse a disposizione. ASPETTI TEORICI E PRATICI INERENTI ALLA POLITICA ECONOMICA Nella realtà troviamo diversi responsabili della politica economica: legislatori, governi centrali regionali e locali, banchieri centrali, esponenti di lobbies; che possono andare incontro ad obiettivi fra loro contrastanti; Riguardo alle scelte di policy, i governi perseguono, oltre agli obiettivi di politica economica, diversi altri obiettivi “non economici” bensì sociali, ad es. ordine pubblico, istruzione, sanità; obiettivi che comunque hanno un costo e perciò hanno una ripercussione nel sistema in quanto possono essere confliggenti con i vincoli del sistema economico stesso (es: garantire a tutti un minimo livello di reddito nonostante la minima disponibilità di risorse); Fra gli obiettivi non economici assume importanza anche la “gestione o massimizzazione del consenso” per favorire un esito favorevole alla successiva tornata elettorale. Il policy maker perciò ha un ulteriore obiettivo e così facendo innesca un meccanismo attraverso cui cerca strumenti non tanto per massimizzare gli obiettivi economici e non, bensì per aumentare il proprio consenso. (es: reddito di cittadinanza). Il successo delle politiche economiche dipende anzitutto dai meccanismi elettorali (ossia nel modo in cui viene individuato il policy maker). Assume perciò particolare rilevanza la legge elettorale (come viene eletto il policy maker?); dai meccanismi di governo dell’operatore pubblico (decisioni e interventi); dal comportamento dei cittadini alle elezioni e dalla loro reazione alle politiche intraprese. I politici hanno un orizzonte temporale breve, mentre le scelte di politica economica richiedono “lungimiranza”. Per tale ragione il policy maker è portato ad intraprendere obiettivi che gli garantiscano una propria massimizzazione del consenso al fine di una successiva rielezione. Efficienza della pubblica amministrazione, che garantisce la contribuzione da parte di tutti i cittadini al fine di reperire risorse volte al raggiungimento degli obiettivi di politica economica. I FINI DI POLITICA ECONOMICA Secondo la tripartizione di Musgrave, si ritiene che la politica economica abbia tre finalità principali: 1 Funzione allocativa: che risponde al fatto di allocare efficientemente le risorse aventi a disposizione. 2 Funzione stabilizzativa: Che risponde al fatto di stabilizzare il sistema economico. Un esempio è offerto dalla politica monetaria che ha la funzione di rendere il sistema economico stabile; essa, infatti, ha il compito di arginare/limitare l’innalzamento dei prezzi al fine di evitare il fenomeno dell’inflazione. Ulteriore esempio è offerto dal tasso d’interesse (⬆i ⬇I🡪⬆stock di moneta da parte della BCE al fine di rendere invariato i). 3 Funzione redistributiva: Si intende una redistribuzione del reddito attraverso i trasferimenti (pensioni, reddito di cittadinanza…) Tali risorse provengono dal gettito dello Stato. PRINCIPALI AGGREGATI DELLA FINANZA PUBBLICA DEL SISTEMA ECONOMICO ITALIANO Dati prodotti dall’ISTAT. La differenza fra le entrate e le uscite prende il nome di indebitamento netto. Nel 2017 il peso dell’indebitamento netto sul PIL è inferiore rispetto agli anni precedenti. L’indebitamento netto (annuale) incrementa il debito pubblico. Il debito nel 2017 si è dimostrato essere 130 volte maggiore rispetto al PIL, ossia della capacità di creare reddito. Con il trattato di Mastricht l’Italia si è impegnata a mantenere il debito pubblico ad una percentuale inferiore del 60% rispetto al PIL. Tale indicatore perciò si è 𝐷𝐸𝐵𝐼𝑇𝑂 dimostrato maggiore rispetto all’accordo precedentemente firmato. 𝑃𝐼𝐿 : Se a parità di debito il PIL aumenta la situazione migliora in quanto il debito diminuisce; Se a parità di debito il PIL diminuisce la situazione peggiora in quanto il debito aumenta; La Commissione Europea ha affermato che misure come quota 100 e reddito di cittadinanza non portino ad una diminuzione del debito pubblico, dal momento che vengono considerate misure che non riescono ad innescare meccanismi di moltiplicazione del reddito in quanto trasferimenti. A ciò l’Europa potrebbe rispondere con l’avviamento della procedura di infrazione (stop ricorso al debito; procedimento volto a garantire l’adempimento degli obblighi UE). Gli interessi passivi rappresentano il costo delle risorse prese a debito. Gran parte delle risorse pubbliche (PIL) vengono utilizzate dal sistema per coprire il costo degli interessi passivi. La differenza fra le entrate tributarie e le uscite dello stato senza però considerare le uscite riferite al costo degli interessi è detta saldo primario. Tale differenza è positiva; tale fattore dimostra come lo Stato spenda meno di quanto entra effettivamente. Se non ci fosse il debito pubblico, allora, lo stato avrebbe risorse per incentivare il sistema economico effettuando investimenti. FALLIMENTI DEL MERCATO La teoria classica (Laissez faire), dominante fino ai primi anni del ‘900, riteneva che l’economia fosse in grado di funzionare in maniera autonoma in assenza dell’intervento dello Stato. Tale teoria si basava sul meccanismo della concorrenza perfetta, per cui tutto ciò che veniva prodotto all’interno di un sistema economico venisse allo stesso tempo venduto. La concorrenza perfetta rappresenta l’idea secondo la quale gli agenti del sistema economico sono perfettamente razionali, hanno cioè una razionalità di comportamento tale da permettere il raggiungimento di una situazione armoniosa e di equilibrio. Gli individui cioè, essendo totalmente razionali, sono in grado di comprendere quali siano i giusti prezzi di un determinato prodotto, per la qualità che esso offre. Tale concetto nasce da Adam Smith, economista secondo cui il sistema economico è dominato dal principio della mano invisibile: meccanismo secondo il quale, nonostante la presenza di obiettivi contrastanti fra i vari operatori, il sistema economico è in grado di trovare una compatibilità, una situazione di equilibrio. Fino agli inizi degli anni ’20 si ragionava sulla teoria sopra descritta per interpretare il sistema economico. L’avvento della grande depressione (1929), che ha portato ad un calo delle vendite e ad un aumento di disoccupazione, trova incompatibilità con la teoria classica. Si inizia perciò a teorizzare la situazione di fallimento di mercato per cui la concorrenza è un obiettivo a cui tendere ma non per forza realizzabile. Il prezzo dei beni di mercato è un prezzo di concorrenza. Per emettere giudizi sui prezzi dei beni, è necessario ragionare sulla forma di mercato. Nella forma di mercato monopolistica, in cui esiste un’unica impresa produttrice, il prezzo del bene risulterà più alto rispetto ad un bene prodotto da imprese in un mercato di concorrenza perfetta. La differenza di prezzo fra un bene prodotto da un mercato di monopolio e quello prodotto in un mercato concorrenziale è il margine di profitto che dipende da posizioni di dominio delle imprese. Ci sono diverse motivazioni per cui determinate imprese acquisiscono tali posizioni privilegiate: La proprietà della tecnologia: Alcuni beni per essere prodotti necessitano di tecnologie complesse, che permettono alle imprese produttrici di detenere un vantaggio competitivo rilevante. (Si pensi all’estrazione del petrolio) Modalità di produzione dei beni: Rendimenti di scala crescenti: Determinati beni per essere prodotti in maniera efficiente necessitano di una scala elevata. I processi produttivi perciò non funzionano in scala lineare bensì in scala crescente (la combinazione fra i fattori produttivi -lavoro, macchinario- segue dei meccanismi di velocizzazione che permettono una maggiore produzione. I fattori di produzione perciò possono essere utilizzati in maniera più intensiva (+ore lavorative) che garantiscono una maggiore produttività. Ad un certo livello di produzione però si manifesta il così definito fenomeno di affollamento: i fattori produttivi, se utilizzati in maniera più intensiva, rendono meno e la produttività decade. Attraverso i rendimenti di scala le imprese hanno la capacità di vendere i propri prodotti ad un prezzo inferiore rispetto a quello di mercato. Il concetto di concorrenza perfetta perciò si inceppa, dato il fatto che determinate imprese hanno la capacità di vendere prodotti a prezzi più bassi. (esempio: mercato italiano vs mercato cinese). Problema dell’informazione: Per scegliere in maniera razionale la teoria economica prevede l’esistenza “dell’informazione perfetta”. La concorrenza perfetta si instaura solo se “tutti sanno tutto” in relazione ad un determinato prodotto. Nel contesto informativo possono però: 1 Mancare informazioni (prezzo di un prodotto è più basso ma non ne sono a conoscenza); 2 Esistere informazioni nascoste (informazioni tecniche nascoste nelle caratteristiche del prodotto). Per tale ragione, i soggetti non hanno la possibilità di comportarsi in maniera razionale in quanto non hanno a disposizione le informazioni adeguate. Per le caratteristiche sopra elencate si può affermare che: Il mercato di concorrenza perfetta rappresenta una teoria idealistica ma non realizzabile; Possono venirsi a creare situazioni di fallimento di mercato. Il mercato può non funzionare in maniera armoniosa dal momento che la quantità scambiata risulta superiore o inferiore rispetto all’efficienza. Viene meno il concetto di allocazione, presupposto della concorrenza perfetta. I fallimenti di mercato rappresentano una situazione di normalità a cui i mercati tendono. Iniziano perciò ad istaurarsi quelle teorie macroeconomiche che ritengono che sia necessario l’intervento dello Stato al fine di ristabilire l’equilibrio nel sistema economico (Keynes). La sanità è un classico esempio di fallimento di mercato. Si domandano beni e servizi sanitari solo nella situazione in cui si è malati (condizione necessaria). L’intermediario che permette di capire la condizione di malessere dell’individuo è il medico, che ha la capacità di trasformare i sintomi in diagnosi per via dell’alta specializzazione. Tale passaggio è critico per la presenza di asimmetrie informative fra medico e malato: informazioni necessarie al dottore per prescrivere la cura che sono però nascoste nei sintomi del paziente ma che possono essere “ottenute” grazie a delle azioni compiute dallo specialista. La domanda di beni e servizi sanitari è una domanda indiretta in quanto effettuata non da chi ne ha il bisogno ma dall’intermediario. Tale meccanismo intermedio crea problematiche dal momento che il medico potrebbe agire sì in nome del paziente ma anche in nome dello Stato o di un altro agente inducendo il paziente ad acquistare certi prodotti anziché altri (fenomeno di free rider, cioè opportunismo da parte dell’intermediario). Tale fattore inceppa il meccanismo di mercato di concorrenza perfetta. Quando lo stato interviene nel sistema economico e soprattutto quando si sostituisce occorre domandarsi quali siano le preferenze dell’operatore pubblico. Lo Stato persegue un obiettivo sociale, a differenze delle famiglie e imprese che vanno incontro ad obiettivi personali e individuali. La teoria utilitaristica: Risponde al fatto che, dal momento che un sistema non in grado di autoregolarsi, è “utile” che lo Stato intervenga e si sostituisca all’operatore privato producendo beni e servizi. Caratteristiche dei beni pubblici: Assenza di rivalità nel consumo: Il consumo di un bene pubblico da parte di un individuo non implica l’impossibilità per un altro individuo di consumarlo allo stesso tempo (si pensi alle opere pittoriche). Non escludibili nel consumo: Una volta che il bene pubblico è prodotto, è difficile o impossibile impedirne la fruizione ai soggetti che non hanno pagato per averlo. (si pensi all’illuminazione pubblica). Le imprese perciò non sono incentivate a produrre beni pubblici. Dagli anni ’30 si assiste ad un crescente intervento dello Stato. Tale intervento si osserva nella spesa pubblica. Tale spesa, soprattutto a seguito della seconda guerra mondiale, ha un’impennata. Nasce il Welfare State: insieme dei servizi e prodotti che lo Stato produce o acquista per la collettività. In Italia, la spesa pubblica rispetto al PIL, è più che raddoppiata (1950-1980); Per poi ridursi dagli inizi degli anni ’90 -> inizio della fase di privatizzazione (esempio della sanità). Quali sono gli obiettivi del welfare state? Finalità redistributiva, in quanto redistribuisce risorse nel sistema economico: - Attraverso forme di previdenza (pensioni) e assistenza sociale (anziani); - Ai disoccupati; Tale modello di Welfare entra in crisi in quanto antagonista della recessione: in periodi di contrazione del reddito si assiste ad un restringimento delle risorse pubbliche e perciò di intervento pubblico. Si evidenziano delle importanti differenze fra la spesa pubblica effettuata in Italia e quella fatta negli altri paesi. Nei paesi europei, dagli inizi nel ’90 sino ai giorni nostri, tale spesa ha avuto una tendenza a ribasso rispetto al PIL (48,3%). In Italia la spesa è stata superiore rispetto alla media (49.6%). Nei paesi extraeuropei, come gli Stati Uniti, solo una minima parte delle risorse pubbliche viene impiegata ai fini collettivi (37,7%). Nella società italiana è auspicabile un incremento di Welfare, ma si deve sempre valutare se il PIL è in grado di garantirlo. TEORIE CONTRARIE ALL’INTERVENTO PUBBLICO La motivazione principale che sta alla base dell’intervento pubblico in economia è legata ai fallimenti del mercato (incapacità del mercato di agire in maniera efficiente). In questi casi lo Stato si sostituisce in maniera tale di indirizzare il funzionamento della domanda e dell’offerta verso condizioni di efficienza. Ancora oggi, soprattutto a seguito della crisi bancaria del 2009, si dibatte circa l’intervento dello Stato nel sistema economico. Dagli anni ‘70 la teoria dell’intervento dello Stato entra in crisi in quanto si verificano dei fallimenti dello Stato (default): incapacità del Governo di ripagare debiti ai suoi creditori. A seguito del default, l’apparato della spesa pubblica viene a mancare. Diverse sono le motivazioni che conducono numerosi economisti a ritenere non opportuno l’intervento dello Stato nel sistema economico: 1) A causa della possibilità di fallimenti dello Stato; 2) A seguito dell’intensivo accumulo di debito pubblico che di per sé rappresenta un problema intergenerazionale. Il debito pubblico, infatti, mina la possibilità delle generazioni future di accedere alla stessa tipologia di Welfare State. 3) Il policy maker (Stato) può avere non per forza motivazioni benevolenti nei confronti della collettività. Oltre alle preferenze sociali si delineano infatti le preferenze del policy maker legate alla successiva rielezione dello stesso. Le scuole di pensiero legate alla negazione di intervento dello Stato nel sistema economico affermano che il policy maker abbia un incentivo nel compiere una spesa corrente più ampia di quella che sarebbe desiderabile se si considerassero le preferenze intertemporali. Il policy maker può non avere tale senso benevolente nei confronti della società in quanto legato a preferenze di tipo politico legate al breve periodo (rielezione). Una delle scuole di pensiero più rilevanti è stata il Costituzionalismo fiscale. Il fiscal compact consiste in un provvedimento compiuto dall’Ue con gli stati membri sulla necessità di collegare parametri fiscali (deficit/PIL 3%; debito pubblico/PIL 60%) alla Costituzione (limitazioni dell’intervento pubblico). Il governo Monti ingloba, mediante una procedura aggravata, il Fiscal Compact all’interno della Costituzione Italiana (art 81). Numerose poi furono le politiche di austerity adottate, che consistono in una drastica riduzione della spesa pubblica, attuate in periodi di crisi per ottenere il risanamento economico. Tra le scuole contrarie all’intervento pubblico ricordiamo la scuola di Public Choice, le teorie del ciclo economico-politico, La supply side economics. La scuola di Public Choice (o delle scelte pubbliche) La scuola di Public Choice ha come obiettivo l’analisi dei processi politici e lo studio delle scelte di politica economica adottate dal policy maker, in vista del raggiungimento dell’equilibrio economico. Essa applica ai soggetti interessati (elettori, eletti, funzionari pubblici, partiti politici, lobbies) ipotesi di comportamento, considerando tali soggetti massimizzatori razionali dell’interesse personale (prestigio, ricchezza, potere). Gli economisti della Public Choice utilizzano la teoria dei giochi (teoria che studia come un giocatore tenendo conto delle azioni e reazioni degli altri concorrenti, cerca di massimizzare il proprio benessere) per analizzare i rapporti tra Banca Centrale, policy maker e lobbies. All’interno della Public Choice si colloca il teorema dell’elettore mediano, il quale afferma che una distribuzione asimmetrica del reddito è ravvisabile ad un aumento della spesa pubblica in quanto la maggioranza della popolazione, quella con reddito basso -e qui si colloca l’elettore medio-, tende ad eleggere politici che nel loro programma di governo inseriscono politiche redistributive e spesa pubblica. La scuola di Public Choice concentra l’attenzione sulle interazioni fra: Politici: che mirano ad essere rieletti; Burocrati: che vogliono disporre di un elevato potere e reddito personale; Gli elettori: organizzati in gruppi di pressione che mirano al soddisfacimento dei propri interessi. La conclusione a cui arriva la scuola della Public Choice è che: 1) Le lobbies riescono nel loro intento, ossia quello di indirizzare l’attore politico verso certe scelte anziché altre. Tali gruppi di pressione generano un’inefficiente allocazione di risorse pubbliche, che generano elevati costi sociali. 2) La formazione di eccessivi disavanzi pubblici è dovuta da fenomeni di “illusione fiscale”, tali per cui l’elettore guarda alla spesa pubblica in un’ottica miope di breve periodo (illusoria), sovrastimando le spese correnti e sottostimando i costi futuri in termini di debito pubblico. Le teorie del ciclo economico-politico Tale teoria afferma che la spesa pubblica tende ad avere dei picchi in relazione al ciclo elettorale di riferimento (la spesa pubblica risulta incrementata immediatamente prima al periodo elettorale). Il policy maker utilizza la spesa pubblica in maniera strategica in quanto mira alla rielezione. Gli elettori poco lungimiranti sono portati a rieleggere i governanti, non tenendo conto delle politiche restrittive che si renderanno necessarie dopo le elezioni. La supply-side economics (l’economia dell’offerta) Teoria che pone al centro della discussione il lato dell’offerta, come traino del sistema economico (in opposizione al pensiero keynesiano). Tale teoria afferma che non solo è necessaria una riduzione della spesa pubblica (minore intervento dello Stato) ma risulta indispensabile una minore pressione fiscale. Per il meccanismo di traslazione delle imposte, attraverso cui il contribuente (cosiddetto contribuente di diritto) trasla parte o l’intera quota del tributo ad un altro contribuente (contribuente di fatto) “scaricando” l’imposta sul prezzo, non si fa altro che creare inflazione. Inoltre, se la tassazione raggiungesse livelli elevati si creerebbe un disincentivo di produzione di beni e servizi. Tale visione del sistema economico ha portato ad un incremento della privatizzazione (spostamento della proprietà dal controllo statale al privato) e della deregolamentazione (snellimento di norme e procedure che disciplinano le attività economiche) 🡪 La curva di Laffer Laffer dimostra, all’interno della Supply sider economy, che esiste una relazione non lineare fra livello di tassazione e gettito fiscale. Quanto detto, è dimostrato dal fatto che, in un primo momento, ad una maggiore tassazione corrisponderà un maggiore gettito ma, una volta superato un certo livello di pressione fiscale (T/PIL), il gettito inevitabilmente decrescerà, dal momento che le imprese troveranno vantaggioso non lavorare o comunque evadere le tasse. La pressione fiscale, come si nota, non dipende solo dalla percentuale di prelievo effettuata dallo stato ma anche dal PIL. Quando il PIL diminuisce la pressione fiscale risulterà maggiore. GLI EFFETTI DI UN’ECCESSIVA TASSAZIONE 1 Disincentivazione alla produzione; 2 Incentivo ad un maggior utilizzo di lavoro nero; 3 Conseguente passaggio all’economia sommersa: L’insieme di tutte le attività economiche che contribuiscono al prodotto interno lordo, ma che non sono registrate e dunque regolarmente tassate. L’intervento pubblico è visto con negatività da una fascia consistente della popolazione, in particolare a causa di: Una crescente pressione fiscale; Per il formarsi di disavanzi pubblici (Soprattutto nell’UE, per i vincoli di Maastricht) Il contenimento della spesa pubblica rappresenta uno strumento di riduzione dell’intervento dello stato nel sistema economico. Negli anni infatti, numerosi sono stati gli sprechi e le inefficienze registrati dall’apparato pubblico. Spesso il policy maker ha attuato delle politiche di contenimento della spesa definite “tagli lineari”, attraverso le quali viene stabilita una percentuale fissa di riduzione della spesa nei diversi settori della pubblica amministrazione. (la spesa pubblica non può crescere più del 3%). Tale strumento però non consente al legislatore di identificare l’inefficienza della spesa e gli sprechi effettivamente registrati. Le azioni di contenimento della spesa, comunque, vanno a identificarsi nel fenomeno dei governi tecnici (indipendenti dal ciclo politico elettorale) o comunque in quelli che hanno una certa stabilità politica. DISOCCUPAZIONE E MERCATO DEL LAVORO La disoccupazione è una delle più gravi patologie che affligge numerosi paesi, sia sviluppati che in via di sviluppo. Una prima distinzione fondamentale contrappone due diverse categorie di disoccupazione: Disoccupazione ciclica: Livello di disoccupazione legato ad un basso livello di produzione del ciclo economico, che si può verificare in presenza di un “output gap”: tipica disoccupazione involontaria keynesiana che deriva dalla differenza tra prodotto effettivo e potenziale. Disoccupazione naturale: Livello di disoccupazione legato al reddito potenziale ottenibile nel sistema economico. Per reddito potenziale si intende il reddito che un sistema economico può produrre allo sfruttamento massimo delle sue capacità produttive in termini di lavoro e capitale. Se in un sistema economico si raggiungesse il massimo grado di sfruttamento del fattore lavoro e capitale (senza registrare inflazione) si registrerebbe comunque un certo livello di disoccupazione, nota come disoccupazione naturale. Perché la disoccupazione rappresenta una patologia del sistema economico? Per disoccupazione di intende un inutilizzo dei fattori produttivi (lavoro e capitale), che portano a elevati costi legati a sprechi di risorse, perdita di prodotto potenziale, effetti sulla crescita. La disoccupazione genera tuttavia effetti negativi sul capitale umano, che perde di valore se inutilizzato. CICLO E CRESCITA Il ciclo economico (andamento ondeggiante) è chiamato così in quanto le diverse fasi (espansione/recessione) tendono a ripetersi in maniera ciclica. Esso è definito da una fase iniziale, detta espansione del reddito (crescita del tasso di crescita del PIL) osservato per periodi ripetuti (di medio/lungo periodo). Tale fase ha un culmine a seguito del quale si osserva un livello di decrescita del PIL (fase di recessione) che termina in uno specifico punto minimo a seguito del quale si alterna una successiva espansione del reddito. Tali fluttuazioni avvengono attorno a quello che viene definito “trend” o andamento potenziale del reddito, ciò significa che il prodotto può crescere ad un tasso più o meno alto e da ciò si determina l’inclinazione della retta (senza che vada a generare pressioni inflazionistiche). Il ciclo economico oscilla attorno al trend, e il livello di reddito può essere tanto maggiore quanto tanto minore rispetto al trend. Il policy maker ha l’obiettivo di ridurre al massimo le fluttuazioni del ciclo economico; perciò la finalità di un sistema economico non è quella di espandere la produzione bensì di mantenere una crescita costante che non vada a generare picchi o punti di minimo. CONCETTO DI PRODOTTO Il prodotto naturale: E’ il prodotto a cui l’economia converge nel medio periodo (il trend fa riferimento al concetto di prodotto naturale). Il prodotto potenziale o di pieno impiego: E’ la produzione massima che l’economia può sostenere senza generare tensioni inflazionistiche e che può essere calcolato dalla funzione di produzione. Partendo dalla funzione di produzione (regola tecnica che mette insieme i fattori di produzione): 𝑌 = 𝐹(𝐾, 𝐿) 𝑌 𝑠𝑖 𝑐𝑜𝑛𝑠𝑖𝑑𝑒𝑟𝑎 𝑖𝑙 𝑟𝑎𝑝𝑝𝑜𝑟𝑡𝑜 𝑡𝑟𝑎 𝑌 𝑒 𝐿, 𝑑𝑜𝑣𝑒 𝑌 = 𝑁( 𝑁 ) Risulta che il livello del prodotto (Y) dipende: ✔ Dall’ammontare di occupati (N) ✔ Dalla loro produttività, ovvero il prodotto medio per occupato ( ) 𝑌 𝑁 Data la relazione precedentemente illustrata due sono i modi tali per cui un sistema economico può crescere dal lato dell’offerta: Aumentando in numero di occupati N: In questo caso si dice che l’economia sta seguendo un modello di crescita di tipo estensivo; Accrescendo il parametro ( ): In questo caso si presenta una crescita di tipo intensivo, 𝑌 𝑁 che si verifica quando si introducono nella produzione nuove tecniche produttive ed organizzative, quando si accumula capitale fisico o migliora il capitale umano. GLI INDICATORI DEL MERCATO DEL LAVORO Per misurare lo stato del mercato del lavoro si utilizzano alcuni indicatori; i più importanti sono: il tasso di disoccupazione, il tasso di occupazione, il tasso di partecipazione al lavoro. Prima di illustrarli, occorre chiarire il concetto di popolazione in età lavorativa: sottoinsieme della popolazione che è considerata idonea alla produzione (definito da vincoli normativi). In Italia la popolazione in età lavorativa corrisponde alla fascia d’età che rientra tra i 15 e 64 anni ed è composta dalla forza lavoro (FL), ossia persone che lavorano o che stanno cercando un lavoro (disoccupati) e dalla non forza lavoro (NFL), ossia la popolazione non attiva compresa tra i 15 e i 64 anni. 𝑃15−64 = 𝐹𝐿 + 𝑁𝐹𝐿 Detto ciò la FL= OCC + DIS (perché cercano lavoro) Si analizzano i tassi accennati in precedenza: Il tasso di partecipazione: 𝑇𝑃 = 𝐹𝐿/𝑃15−64 Tale tasso indica la percentuale di persone che lavorano e che potrebbero lavorare ma che non entrano a far parte della forza lavoro in quanto impegnate in altre attività, come la cura dei figli o degli anziani che rappresentano delle barriere alla partecipazione al lavoro. Il tasso di occupazione:𝑇𝑂 = 𝑂𝐶𝐶/𝑃15−64 Il tasso di disoccupazione: 𝑇𝐷 = 𝐷𝐼𝑆/𝐹𝐿 MERCATO DEL LAVORO Il mercato del lavoro è il luogo in cui chi cerca lavoro (le aziende, gli imprenditori, gli enti pubblici) si incontra con chi offre lavoro, cioè i lavoratori. Lavoratori e imprenditori hanno obiettivi fra loro contrastanti in quanto i primi mirano ad una massimizzazione del proprio guadagno mentre i secondi cercano di minimizzare il costo del fattore lavoro. Il prezzo di vendita stabilito dalle imprese dovrà inglobare il costo del lavoro. MODELLO WAGE AND PRICE SETTING (WS-PS) Il modello che si osserva prende il nome di modello WS-PS (WS → Wage Setting. [equazione dei salari] e PS → Price Setting [equazione dei prezzi]) e vede l’incontro fra chi offre e chi domanda lavoro. WAGE-SETTING (determinazione del salario) Si parte dalla constatazione del fatto che i lavoratori contrattano con le imprese un salario nominale, corrispondente alla quantità di moneta che il lavoratore riceve quale corrispettivo del lavoro prestato (esempio: 1h lavorativa eguaglia a 7 euro) 𝑊 = 𝑃𝑒 𝐹 (𝑢, 𝑧) Il salario nominale del lavoratore (W) dipende essenzialmente da tre fattori: Direttamente (+) dal livello atteso dei prezzi (Pe)-> Se chi fissa i salari ha aspettative di un livello maggiore dei prezzi, fisserà salari più elevati che comporteranno un aumento dell’inflazione attesa. A seguito di un aumento dei salari, i prezzi aumenteranno ulteriormente (ragionamento noto come “spirale salari prezzi salari”. Inversamente (-) dal tasso di disoccupazione (u) -> Se il tasso di disoccupazione è alto, ossia vi è un gran numero di disoccupati (tanti che vorrebbero lavorare) il prezzo del salario atteso sarà basso. Se il tasso di disoccupazione è basso (pochi che lavorano, pochi specializzati) il prezzo del salario atteso sarà alto. Direttamente (+) dai fattori di rinforzo salariale (z) -> ad esempio: salario minimo, sussidi di disoccupazione, procedure di assunzione… Nel breve periodo le aspettative sui prezzi sono corrette per cui P = Pe e, dividendo W per P, si ottiene l’equazione del salario reale W/P (relativo al prezzo; è cioè la quantità di beni e servizi acquistabili con il salario monetario). Si ottiene l’equazione del salario reale dal lato dei lavoratori 𝑊/𝑃 = 𝐹(𝑢; 𝑧) che implica: Una relazione negativa tra il salario reale (W/P) e il tasso di disoccupazione (u); Una relazione positiva tra salario reale e fattori di rinforzo salariale (z) PRICE SETTING (determinazione del prezzo di vendita) 𝑃 = 𝑊(1 + ℎ) La modalità di fissazione del prezzo da parte dell’impresa dipende dalla forma di mercato. Nella concorrenza perfetta, gli imprenditori non hanno la capacità di stabilire il prezzo di vendita dei beni prodotti, che è fissato invece dall'incontro della domanda e dell'offerta (né aumentarlo perché i consumatori andranno incontro a beni di altri imprenditori; né diminuirlo dal momento che il prezzo di produzione si limita a coprire i costi senza rendite di posizione -il guadagno è uguale per tutti perché tutti si trovano nella stessa posizione-). Nel monopolio, invece, l’impresa ha la capacità di fissare il prezzo autonomamente. Nel mercato in cui è possibile stabilire il prezzo del bene autonomamente, le imprese effettuano un ragionamento di applicazione di margine “MARK UP” (h): Percentuale di ricarico che si aggiunge ai costi di produzione del prodotto per determinarne il prezzo di vendita, dal momento che l’impresa non riesce a fissare il prezzo in base alla quota di mercato da essa posseduta. Si ottiene l’equazione del salario reale dal lato delle imprese 𝑊/𝑃 = 1/(1 + ℎ) (vedi come si esplicita foto telefono) Che: Diminuisce se markup (h) cresce Non dipende dal tasso di disoccupazione INCONTRI TRA LE DUE ESIGENZE DI OFFERTA E DI DOMANDA 1 Equazione di equilibrio sul mercato del lavoro: 𝑓(𝑢, 𝑧) = 1+ℎ La funzione del “wage setting” è una funzione inversa al tasso di disoccupazione salario (alto livello di disoccupazione, salario basso); La funzione del “price-setting” dipende invece da h, cioè da un margine di profitto che non varia al variare del tasso di disoccupazione. Se le imprese aumentano h, a parità di salario, i prezzi aumenteranno e la retta subirà una traslazione verso il basso; così facendo il tasso di disoccupazione risulterà maggiore. L’incontro fra le tue rette definisce l’equilibrio nel mercato del lavoro che mostra il livello del salario reale e che allo stesso tempo ammette un certo tasso di disoccupazione, cioè il livello di inutilizzo dei fattori, quelli che sono fuori dal mercato del lavoro. La disoccupazione è definita naturale, dal momento che la forza lavoro non riesce ad accedere al mercato del lavoro per via dei limiti interni del sistema economico. (Si tratta di un malfunzionamento interno al sistema.) RIGIDITA’ E DISOCCUPAZIONE NATURALE Le teorie economiche standard affermano che il mercato del lavoro è rigido in quanto i salari non sono sufficientemente flessibili o esistono una serie divincoli, di norme, che riducono la flessibilità nell'uso della forza lavoro, la possibilità di licenziare, la possibilità di ridurre i salari, la mobilità del lavoro. In questa prospettiva l’incontro tra domanda e offerta risulta difficile così come il raggiungimento di un livello di equilibrio. La rigidità può riguardare occupazione e salari. In particolare si ha rigidità dei salari nominali, quando: Non riflettono i livelli di produttività dei lavoratori; I salari sono scarsamente reattivi all’entità della disoccupazione: Il tasso di disoccupazione incide sul salario ma non in maniera così forte perché le rivendicazioni salariali non reagiscono in maniera immediata sulla disoccupazione. PRODOTTO, OCCUPAZIONE, PRODUTTIVITA’ Data una funzione di produzione aggregata 𝑌 = 𝐹(𝐾, 𝑁) Il livello di prodotto (Y) dipende: Dall’ammontare di occupati (N) Dalla loro produttività (Y/N); ovvero il prodotto medio per occupato. La produttività dipende da fattori tecnici ma anche da fattori economici legati alla motivazione del lavoratore (reddito che riceve). LA TEORIA DEI SALARI D’EFFICIENZA (legata al concetto di produttività) Il problema della produttività ha spinto la teoria economia a formulare dei modelli alternativi al price and wage setting. Quello che si ricorda è “la teoria dei salari d’efficienza”, per la quale si intende il livello dei salari in rapporto alla produttività del lavoro. Tale teoria si occupa di spiegare per quale motivo, in alcuni mercati, i salari sono più alti del livello che porta in parità domanda e offerta di lavoro. In particolare, mostra il fatto che alle imprese convenga corrispondere ai lavoratori salari più alti di quello di mercato, con lo scopo di aumentarne la produttività e l'efficienza. Infatti, un livello di salario inferiore ad una certa soia minima significherebbe minore produttività ed efficienza del lavoratore. IL MODELLO INSIDER-OUTSIDER (legato al concetto di produttività) Secondo questa teoria, il mercato del lavoro è segmentato da due categorie di lavoratori: Lavoratori occupati, gli insider Quelli in cerca di occupazione, outsider La teoria insider-outsider si occupa del conflitto di interessi tra gli insiders e gli outsider nel mercato del lavoro. Soltanto gli insider hanno qualche potere di contrattazione dei salari. L’esclusione dei disoccupati dal mercato primario può essere dovuta però non solo dal potere monopolistico degli “insider”, ma anche dalla presenza di costi di rotazione della manodopera o turnover. Tali costi comprendono i costi di assunzione, di addestramento, d’integrazione nell’organizzazione produttiva; essi includono anche i costi risultanti dagli effetti sul “morale”, sullo sforzo e sulla produttività dei lavoratori causati da un elevato turnover che disincentivano l’imprenditore ad assumere nuove categorie di lavoratori. L’EUROSCLEROSI Con il termine “Eurosclerosi” ci si riferisce al fenomeno dell’eccessivo costo del lavoro ed a tutte quelle rigidità, presenti in Europa, che disincentivano l’assunzione di nuovi lavoratori. Tra le rigidità più citate vi sono: La troppa fitta regolamentazione del mercato (salari minimi, sicurezza nel mercato del lavoro e tutte le altre norme a tutela dei lavoratori). La regolamentazione, oltre a salvaguardare i diritti dei lavoratori, pone allo stesso tempo delle rigidità, ossia dei limiti all’ingresso e all’uscita del mercato del lavoro. Ruolo eccessivo delle organizzazioni sindacali che si presentano come vere e proprie lobbies portando avanti interessi non tanto dei lavoratori bensì più generali. Il sindacato, a differenza del lavoratore che ha come obiettivo l’innalzamento il salario, ha come finalità principale l’incremento degli affiliati alla propria organizzazione sindacale. La presenza dello Stato, che la si vede sulla tassazione del lavoro. Il peso delle imposte sul lavoro può generare inefficienza nel momento in cui la tassazione risulta troppo alta rispetto a quella degli altri paesi europei; a discapito di uno dei principali obiettivi perseguiti dall’UE, che è quello dell’armonizzazione fiscale. Delocalizzazione delle imprese In un contesto globale le imprese scelgono sempre più di dislocare la propria attività in zone in cui il costo del lavoro risulta più basso e la regolamentazione meno rigida. Tale fenomeno spiega l’andamento differenziato fra il mercato europeo e quello americano e, soprattutto, si sofferma sull’andamento dei tassi di disoccupazioni che si mantengono alti e superiori rispetto a quelli statunitensi. Il tasso di disoccupazione della Comunità Europea ha un trend crescente (a partire dal 1965) e da ciò si osserva l’inefficiente economia comunitaria in un’ottica di lungo periodo. Gli Stati Uniti, caratterizzati da un mercato deregolamentato, riescono a mantenere costante e entro una certa soia il tasso di disoccupazione. LA TEORIA DELL’ISTERESI Le performance negative del mercato del lavoro tra gli anni ’80 e ’90, che mostrano una forte disoccupazione giovanile, ha portato gli economisti a formulare la teoria dell’ISTERESI: fenomeno per il quale una combinazione di fattori ha generato un tasso di disoccupazione strutturale (forma duratura di disoccupazione). CAUSE DAL LATO DELL’OFFERTA DI LAVORO: Le cause legate ad un alto tasso di disoccupazione deriverebbero da: Obsolescenza del capitale umano (perdita di valore delle capacità e competenze umane) Eccessiva pressione fiscale (che disincentiva gli imprenditori ad effettuare nuove assunzioni) Forti pressioni migratorie (che portano un incremento di disoccupazione). CAUSE DAL LATO DELLA DOMANDA AGGREGATA: La disoccupazione deriverebbe da un livello insufficiente di domanda aggregata, causato, soprattutto negli ultimi anni, da politiche monetarie o fiscali eccessivamente restrittive. Secondo la teoria dell’isteresi, per avere un contenimento di tale fenomeno, è necessario un mix di interventi, sia dal lato della domanda che da quello dell’offerta. Questi ultimi riguardano la formazione e riqualificazione dei lavoratori, aiuti per il reinserimento dei disoccupati nel mondo produttivo ecc… LA LEGGE DI OKUN Mostra la relazione che si innesca fra l’aumento della produzione dei sistemi economici (PIL) e la riduzione della disoccupazione. Non si osserva però una relazione lineare, in quanto si innescano dei ritardi per i quali ad un incremento del PIL non corrisponde un’immediata diminuzione del tasso di disoccupazione, per via della presenza di rigidità nel mercato del lavoro. INFLAZIONE (TERZA PATOLOGIA DEL SISTEMA ECONOMICO) Per inflazione si intende un aumento continuo e generalizzato del livello generale dei prezzi. Il tasso di inflazione può essere misurato sia in maniera diretta che indiretta. Quanto alla prima modalità, l’Istat rileva tre principali indici di misurazione dell’inflazione: l’indice dei prezzi al consumo (NIC) e l’indice dei prezzi al consumo per famiglie di operai e impiegati (FOI) e l’indice armonizzato dei prezzi al consumo (Ipca) ossia una misura dell’inflazione comparabile a livello europeo. La modalità indiretta si riferisce invece al fatto che tutte le macro variabili possono essere misurate in termini nominali, ossia a prezzi correnti, oppure in termini reali, cioè a prezzi costanti; il rapporto tra queste due grandezze è detto deflatore. Si ha così il deflatore del PIL, dei consumi delle famiglie, degli investimenti, delle esportazioni e così via. Nel caso del Pil, i deflatori consentono di deflazionare cioè “ripulire” la crescita del PIL dall’aumento dei prezzi (ovvero dall’inflazione). Le cause dell’inflazione sono varie: Inflazione da domanda o Shock di domanda: Al verificarsi di uno shock di domanda (rilevante incremento della domanda aggregata) si assiste ad un aumento dei prezzi. Qui rientra la critica al sistema keynesiano (+domanda -> +prezzi -> inflazione). Inflazione da costi o Shock di offerta: Nella fissazione dei prezzi, si deve tenere in considerazione che quest’ultimi devono coprire i costi di produzione e mark up; all’incremento dei costi di produzione si genera un incremento del prezzo di produzione e si crea inflazione. Inflazione da eccesso di moneta: Un incremento di moneta in circolazione può generare inflazione. Cause legate alle aspettative: I lavoratori tenderanno a richiedere un salario maggiore quando ritengono che i prezzi attesi superino una certa soia. A fronte di salari più elevati le imprese aumenteranno i loro prezzi di vendita e si causerà inflazione. I COSTI DELL’INFLAZIONE L’inflazione genera delle scelte di “portafoglio”. Con un’inflazione elevata si accresce “Il costo opportunità” di tenere moneta e diviene più conveniente detenere titoli. Ne consegue la necessità di recarsi più spesso in un istituto bancario e perciò si vedono aumentare i costi di transazione. Distorsioni fiscali. I sistemi impositivi fiscali tassano spesso i redditi nominali (fissati dal contratto del lavoro) invece che quelli reali (a seguito dell’inflazione il reddito reale è inferiore); perciò la pressione fiscale risulta maggiore. Es: imposte progressive sul reddito. Illusione monetaria. Legata all’incapacità degli individui di prevedere con correttezza l’andamento dei prezzi futuri e, per tale ragione, le persone tengono conto, nelle loro decisioni, delle grandezze nominali anziché reali. Ad esempio se ⬆W i lavoratori sono convinti di guadagnare di più, anche quando probabilmente ⬇W/P ossia i salari reali sono scesi a fronte di un aumento dei prezzi. LA CURVA DI PHILLIPS Phillips, in uno studio empirico del ’58, riscontrò una relazione inversa tra la crescita dei salari nominali e dei prezzi con il tasso di disoccupazione. La curva evidenzia un trade off (contropartita; la perdita di valore di una scelta costituisce un aumento di valore in un'altra) tra inflazione e tasso di disoccupazione: quando il tasso di disoccupazione è basso ( u ), il tasso di inflazione dei salari ( w ) e, di conseguenza, dei prezzi ( p ) è elevato; viceversa, quando il tasso di disoccupazione ( u ) è elevato il tasso di inflazione è basso. La ragione del Trade off, secondo Phillips, è che la politica economica non può perseguire contemporaneamente un obiettivo di riduzione dell'inflazione e della disoccupazione. Il policy maker deve scegliere se adottare una politica economica espansiva per ridurre il tasso di disoccupazione, al costo di una maggiore inflazione dei prezzi, oppure adottare una politica economica restrittiva per ridurre il tasso di inflazione, al costo di una maggiore disoccupazione. SPIEGAZIONE: La richiesta di aumentare il livello occupazionale, da parte del policy maker, crea una pressione sul mercato del lavoro che, nel breve periodo, genera un aumento dei prezzi. Incrementare l’occupazione genera, oltre ad un aumento del prodotto, un aumento dei costi di produzione che si riversa in un aumento dei prezzi dei prodotti e dei servizi finali, generando così inflazione. CRITICA MONETARISTA: Tale evidenza empirica è stata oggetto di dibattito da parte dei monetaristi all’interno della teoria economica. Dal momento che il livello del salario contrattato ingloba le aspettative sui prezzi, per i monetaristi il trade off non sussiste nel lungo periodo. (non importante) EFFETTI DELLA DISOCCUPAZIONE SULLA CURVA DI PHILLIPS (LEGATI ALLE CAUSE DI INFLAZIONE) Esaminando la Curva di Phillips, è possibile analizzare gli effetti della disoccupazione che per altro risultano legati alle cause stesse dell’inflazione (da domanda; da costi -offerta-) L’inflazione “da domanda”: Al verificarsi di uno shock di domanda (rilevante incremento della domanda aggregata) si assiste ad un aumento dei prezzi. Analizzando la teoria di Philipps tali shock si osservano come spostamenti lungo la curva al variare delle politiche effettuate (restrittive->⬆disoccupazione ⬇inflazione o espansive->⬆inflazione ⬇disoccupazione) (da A a B). I conseguenti effetti generati sono: l’innalzamento dei prezzi (inflazione) e abbassamento del tasso di disoccupazione. L’inflazione “da costi”: Al verificarsi di uno shock di offerta (rilevante incremento del prezzo di vendita dei beni) si assiste ad uno spostamento della curva (da Ph a Ph’). Lungo la curva si genera un trade off più costoso tra inflazione e tasso di disoccupazione (da A’ a B’). Tipiche cause scatenanti l’inflazione da costi comprendono: ✔ Aumento dei salari. Nel breve periodo, all’aumento dei salari nominali segue un aumento dei prezzi mentre, nel lungo periodo, si assisterà ad un aumento di disoccupazione. Nel primo caso, le imprese decideranno di scaricare la pressione di un più alto livello di salario sui prezzi di beni e servizi finali mentre, nel lungo periodo, all’aumento del costo del lavoro, l’impresa sceglierà di diminuire il personale a fronte dello stesso livello dei prezzi. Perciò, la curva di Philipps, mostra che nel lungo periodo a parità di tasso di inflazione si assiste ad un aumento di disoccupazione, dato che le imprese decideranno di sbarazzarsi di una parte dei lavoratori. ✔ Aumento dei prezzi delle materie prime. Nella stessa dinamica dei salari, se crescono i prezzi dei beni intermedi le imprese, nel breve periodo, aumenteranno i prezzi dei beni e servizi prodotti generando inflazione mentre, nel lungo periodo, scaricheranno l’aumento dei costi diminuendo il numero di occupati. Nel caso di materie prime importate si parla di “inflazione importata”. ✔ La dinamica degli oneri finanziari (connessi al livello del tasso d’interesse) e dei margini di profitto delle imprese (mark-up). CRITICHE La realtà economica non ha sempre confermato la curva di Phillips. Le analisi empiriche negli anni '60-'70 non hanno confermato sempre il trade-off descritto nella curva di Phillips. In diversi periodi di medio-lungo periodo si sono verificate congiunture con elevati valori sia del tasso di disoccupazione e sia del tasso di inflazione. Questa combinazione di eventi ha indotto a riconsiderare con scetticismo la curva di Phillips. Dal punto di vista teorico gli economisti della scuola monetarista (monetaristi) hanno sollevato diversi dubbi sull'affidabilità della curva di Phillips quale strumento di politica economica. POLITICHE MACROECONOMICHE IN ECONOMIA APERTA In una economia chiusa tutta la produzione viene venduta entro i confini nazionali; In una economia aperta una parte della produzione viene venduta entro i confini nazionali e una parte esportata e venduta all’estero. “economia aperta”, si intende un sistema economico che interagisce con altri sistemi economici esistenti. La transazione di beni, servizi (rapporti economici di natura commerciale) e di attività e passività finanziarie come gli scambi di capitale (rapporti economici di natura finanziaria) che avvengono in un certo periodo di tempo tra i residenti di un dato paese e i residenti nel resto del mondo vengono registrate nella bilancia dei pagamenti. Per “economia chiusa”, invece, si intende l’analisi di un sistema economico senza tener conto dei rapporti con gli altri paesi (essa fa riferimento ai modelli che abbiamo studiato in precedenza in cui i prezzi sono di natura costante) Il mercato nel quale si scambiano le diverse valute utilizzate nelle transazioni economiche e finanziarie che vengono registrate nella bilancia dei pagamenti è detto mercato valutario o mercato dei cambi. In questo mercato viene determinato il tasso di cambio, ovvero i prezzi di una o più valute in termini delle altre. Il “tasso di cambio” corrisponde al prezzo di una moneta in ragione di un'altra moneta (tasso anche detto bilaterale, cioè fra due monete). Un regime o sistema di cambio è un insieme di regole individuate da due o più paesi che riguardano lo scambio delle rispettive valute nazionali. I regimi di cambio sono due: Regime a cambi fissi: il tasso di cambio è mantenuto fisso dalle banche centrali dei rispettivi paesi che individuano un rapporto di scambio tra valute che non cambia nel tempo. Quando il tasso di cambio fisso tra due o più valute è pari ad un preciso rapporto di scambio si parla di sistemi di cambi fissi con parità puntuale; quando invece il valore individuato come cambio fisso costituisce un’unità attorno alla quale il rapporto di cambio tra le diverse monete può oscillare (seppur in modo limitato) si fa riferimento al sistema di cambi fissi con banda di oscillazione. Per difendere il cambio fisso occorrono adeguate “riserve di moneta” (-immissione o domanda di moneta-attraverso tale operazioni si genera un aumento o una diminuisce del tasso di cambio che è denominato rivalutazione e svalutazione): Regime a cambi flessibili: Il tasso di cambio può oscillare liberamente in quanto il rapporto fra le valute è stabilito dalle forze di mercato (incontro fra domanda ed offerta di valuta). Un aumento o una diminuzione del tasso di cambio è denominato apprezzamento e deprezzamento. BENEFICI DI UN REGIME A CAMBI FISSI ✔ Riduce l’incertezza nei pagamenti, dal momento che il tasso di cambio può incidere negativamente sulle transazioni economiche e portare perciò l’operatore economico a non effettuare la transazione. SVANTAGGI DI UN REGIME A CAMBI FISSI 🗷 Tenere il cambio fisso o aderire ad una unione monetaria (come la BCE) significa abbandonare la sovranità nazionale della politica monetaria. Le valute sono convertibili se possono essere scambiate liberamente sui mercati internazionali (si parla di non convertibilità dei bitcoin), secondo le regole stabilite in un determinato sistema di cambio. In riferimento alla convertibilità, definiamo il tasso di cambio nominale bilaterale (𝑒) come il prezzo di una valuta (ad esempio l’euro) in termini di un’altra valuta (ad esempio il dollaro). Calcolando la media ponderata di diversi tassi di cambio unilaterali (ad esempio, dollaro/euro, sterlina/euro, yen/euro, ecc.) si ottiene il tasso di cambio nominale effettivo, utilizzato per effettuare valutazioni generali circa i rapporti economici e finanziari che un sistema economico (ad esempio quello europeo) intrattiene con tutti gli altri sistemi economici. Il tasso di cambio risente però del livello dei prezzi nazionali ed esteri. Si prenda il caso di una lattina di coca cola prodotta negli USA che viene venduta a un importatore italiano -in dollari-. La lattina sarà poi acquistata nei supermercati dal consumatore finale -in euro-. L’importatore, perciò, dovrà far attenzione non solo al tasso di cambio ma anche al livello dei prezzi cioè al rapporto fra il prezzo della coca cola espresso in dollari e di beni simili prodotti in Italia (aranciata) espressi in euro. Il consumatore finale, infatti, confronterà i prezzi dei due beni e la scelta sarà fatta in base ai prezzi relativi (rapporto fra i prezzi) che rilevano il rapporto di competitività fra i due beni (quale è più conveniente). Per avere una misura complessiva della competitività nazionale rispetto ad un paese estero, perciò, si calcola il tasso di cambio reale bilaterale (𝑒𝑟) Il tasso di cambio reale bilaterale rappresenta, appunto, un indicatore di competitività che ci dice quanto vale la nostra valuta in termini di valuta straniera e perciò quanto è forte l’economia monetaria rispetto alle altre economie. Se invece calcoliamo lo stesso indicatore riferendoci al rapporto tra un dato paese e un gruppo di paesi esteri otteniamo il tasso di cambio reale effettivo. $ Tasso di cambio nominale (conversione fra monete) 𝑒= ϵ 𝑃 Tasso di cambio reale (rapporto di competitività fra beni stranieri e nazionali) 𝑒𝑟= 𝑒⋅ 𝑤 𝑃 P= prezzo dei beni nazionali in euro P*= prezzo dei beni esteri espressi in dollari Possiamo facilmente comprendere come per gli economisti risulta maggiormente rilevante il tasso di cambio reale, rispetto a quello nominale, per poter valutare la competitività del nostro paese. I tassi di cambio possono essere espressi in DUE MODI: a) CERTO PER INCERTO: è l’ammontare di valuta estera (incerto) ricevuta in cambio di un’unità di moneta nazionale (certo) (1 € = $ ???) -> quante unità di valuta estera (incerta) sono necessarie per acquista una unità di valuta nazionale (certa). b) INCERTO PER CERTO: è l’ammontare di moneta nazionale (incerto) ricevuta in cambio di un’unità di valuta estera (certo) (€ ??? = 1 $) -> quante unità di valuta nazionale (incerta) sono necessarie per acquista una unità di valuta straniera (certa). Nei regimi a cambi flessibili ci si riferisce ad un aumento o ad una diminuzione del tasso di cambio con i termini “apprezzamento” e “deprezzamento”. Si parla di “apprezzamento” del tasso di cambio quando il valore della propria valuta nazionale (ad esempio l’euro) aumenta rispetto alle altre valute (ad esempio il dollaro). Questo genera una perdita di competitività sul mercato internazionale, in quanto aumenta il prezzo delle merci nazionali espresso nella moneta estera rispetto ai prezzi del paese estero. Ciò sfavorisce le esportazioni ma contemporaneamente aumenta il potere d’acquisto, favorendo le importazioni. Naturalmente, nella definizione di certo-per incerto, l’apprezzamento della valuta nazionale risulterà un fatto positivo, in quanto, aumenta la quantità di valuta estera acquistabile con una unità di moneta nazionale. Al contrario, con la quotazione incerto per certo, l’apprezzamento della moneta nazionale risulterà svantaggioso in quanto aumenterà la quantità di valuta nazionale necessaria per acquistare una unità di valuta estera. Si parla di “deprezzamento” del tasso di cambio quando il valore della propria valuta nazionale (ad esempio l’euro) diminuisce rispetto alle altre valute (ad esempio il dollaro). Questo rende più onerose le importazioni, diminuendo il potere d’acquisto, ma favorisce le esportazioni, poiché i prezzi divengono più competitivi sul mercato internazionale. ANALISI DELLA BILANCIA DEI PAGAMENTI La bilancia dei pagamenti è un documento contabile (partita doppia) che fa parte della contabilità nazionale e che registra le transazioni di attività/passività finanziare (rapporti finanziari) e transazioni di beni e servizi (rapporti commerciali) del proprio paese con il resto del mondo. Nei rapporti internazionali incide il tasso di cambio per via dell’apprezzamento o del deprezzamento della moneta. Tecnicamente si parla di esportazioni (l’insieme dei beni e servizi prodotti in Italia e acquistati all’estero ma anche valore degli incassi) e importazioni (l’insieme dei beni e servizi prodotti all’estero che entrano nel sistema economico ma anche valore dei pagamenti). La bilancia dei pagamenti si compone di tre parti: (*)Conto corrente: che registra importazioni e esportazioni di beni e servizi; i trasferimenti di reddito (da lavoro - sistema economico italiano produce reddito anche negli altri s.e- e da capitale -dividendi per via di una partecipazione-); trasferimenti unilaterali (aiuti a paesi terzi; trasferimenti all’UE ecc.) (*)Conto capitale: che riguarda i trasferimenti di capitale (materiale -terreni, macchinari- e immateriale -software, brevetti, licenze). (*)Conto finanziario: che registra i movimenti di capitale (investimenti) e la variazione delle riserve ufficiali. *Conto corrente e conto capitale: conto commerciale o corrente ->I movimenti commerciali si muovono in direzione del tasso di cambio *Conto capitale -> I movimenti di capitale si muovono in direzione del tasso di interesse. La bilancia dei pagamenti illustra la posizione del proprio paese (creditoria o debitoria) nei confronti del resto del mondo. CONTO COMMERCIALE O CORRENTE La parte corrente è occupata in gran parte da esportazioni e importazioni che dipendono da: Fattori di domanda: Se la popolazione domanda più quantità di un determinato bene estero aumentano le importazioni; se la popolazione estera domanda più quantità di un determinato bene nazionale aumentano le esportazioni. Le importazioni dipendono dal reddito nazionale (pil), mentre le esportazioni dipendono dal reddito del resto del mondo (variabile esogena-> non è possibile incidere in termini di politica economica sul reddito del resto del mondo). Fattori strutturali: Fanno riferimento ai mezzi di comunicazione, mezzi di produzione, forze produttive. Le varie tecnologie hanno permesso di facilitare la transazione di beni e servizi da e verso del mondo. I fattori strutturali non si modificano nel breve/medio periodo (dotazione di materie prima, tecnologia ecc.) Fattori di competitività: 1. Di prezzo: Prezzo dei beni nazionali rispetto alla produzione estera. (tasso di cambio 𝑃 reale 𝑒𝑟= 𝑒⋅ 𝑤 ) in cui: 𝑃 -P= livello generale dei prezzi all’interno; 𝑤 -𝑃 = livello generale dei prezzi nel resto del mondo; -e= tasso di cambio nominale 2. Non di prezzo: Caratteristiche legate alla qualità del bene, alle condizioni di pagamento ecc. IMPORTAZIONI Le IMPORTAZIONI (M) - flusso di valore di beni e servizi in entrata (importazione) ma anche flusso monetario in uscita- dipendono dal tasso nominale (e), dal prezzo interno (P), prezzo internazionale ( 𝑤 𝑃 ), reddito o pil (𝑌) 𝑤 𝑀 = 𝑓(𝑒, 𝑃, 𝑃 , 𝑌) I principali fattori che influiscono sulle importazioni sono: Fattori di domanda: ⬆ Y -> ⬆M Fattori di prezzo: ⬆P ⬆->m ⬆M 𝑤 ⬆𝑃 ->⬇m ⬇M ⬆e (tasso di cambio sale-moneta nazionale più forte-) ->⬆m ⬆M ESPORTAZIONI Le ESPORTAZIONI (X) - flusso di valore di beni e servizi in uscita (esportazione) ma anche flusso monetario in entrata- dipendono dal tasso nominale (e), dal prezzo interno (P), prezzo internazionale ( 𝑤 𝑤 𝑃 ), reddito internazionale(𝑌 ) 𝑤 𝑤 𝑋 = 𝑓(𝑒, 𝑃, 𝑃 , 𝑌 ) I principali fattori che influiscono sulle esportazioni sono: 𝑤 Fattori di domanda: ⬆ 𝑌 -> ⬆X Fattori di prezzo: ⬆P -> ⬇X 𝑤 ⬆𝑃 ->⬆ X ⬆e (apprezzamento della propria valuta) ->⬇X SALDO DELLE PARTITE CORRENTI (CONTO CORRENTE/COMMERCIALE) 𝑤 𝑤 𝑃𝐶 = 𝑋 – 𝑀 = 𝑓(𝑒, 𝑃, 𝑃 , 𝑌 , 𝑌 ) Dove: 𝑤 𝑒, 𝑃, 𝑃 -> fattori di competitività (tasso di cambio reale) 𝑤 𝑌 , 𝑌 -> fattori di domanda Le politiche macro e micro economiche possono agire nel saldo commerciale in particolare: Le politiche microeconomiche: Agiscono nei fattori strutturali/ fattori non di prezzo Politiche macroeconomiche: Agiscono nei fattori domanda/ fattori di prezzo MODELLO MUNDELL-FLEMING (IS-LM-BP) Per far ciò viene utilizzato lo strumento della bilancia dei pagamenti che è rappresentata da una retta crescente (BP) inserita nel modello IS-LM, che ci condurrà allo schema IS-LM-BP (Modello Mundell-Fleming) per indicare il saldo della bilancia dei pagamenti di un paese nei confronti del resto del mondo in cui l’equilibrio è descritto da due variabili: tasso d’interesse e livello di reddito. Nel caso di afflusso di valuta estera, BP>0 si parlerà di avanzo della bilancia dei pagamenti (ESP>IMP); in caso contrario, BPESP). La bilancia dei pagamenti è in equilibrio nel caso in cui BP=0 e cioè il saldo fra esp e imp è pari a zero. Tutti i punti della curva BP rappresentano punti di equilibrio mentre i punti al di fuori di essa rappresentano una situazione di disequilibrio avanzo (sopra la retta) disavanzo (sotto la retta). La bilancia dei pagamenti rappresenta i due rispettivi conti: commerciale e capitale. Per assurdo: La b.d.p è ORIZZONTALE se si prende in considerazione solo la PARTE CAPITALE, quindi ad ogni tasso di interesse che varia si riscontra una variazione anche sulla retta BP. La p.d.p è VERTICALE se si prende in considerazione solo la PARTE COMMERCIALE. Il tasso di interesse non incide sulle transazioni perciò la BP risulta influenzata solo dal tasso di cambio. (Nella situazione di avanzo di valuta estera esp>imp, si sarà verificato un deprezzamento del tasso di cambio, mentre, nella situazione di disavanzo imp>esp si sarà verificata un apprezzamento del tasso di cambio) Da ciò si capisce che la curva BP è inclinata positivamente per via di una combinazione di effetti differenti dovuti ai trasferimenti commerciali e a quelli di capitale. Possiamo spiegare tale inclinazione della curva BP nel seguente modo: un aumento del reddito nazionale Y agisce sul conto commerciale, producendo un aumento delle importazioni, quindi un peggioramento delle partite correnti (imp>esp ->disavanzo). E’ possibile garantire il raggiungimento dell’equilibrio attraverso un aumento del tasso di interesse interno (politica macro-economica) che agisce sulla parte capitale favorendo gli investimenti finanziari dall’estero in Italia, al fine di mantenere in equilibrio la bilancia dei pagamenti. Possiamo concludere affermando che quando il policy maker effettua una politica espansiva del reddito crea una situazione di disavanzo commerciale che innesca un meccanismo per il quale il ritorno ad una situazione di equilibrio è possibile solo attraverso un aumento del tasso d’interesse.