Filosofia del Dialogo Interculturale PDF

Summary

Questo documento presenta note su Filosofia del Dialogo Interculturale, analizzando il multiculturalismo e il dialogo interculturale, con uno sguardo particolare alla gestione delle differenze culturali e alla relazione tra queste e i diritti umani. Il testo si concentra su come la crisi dei rifugiati del 2015 abbia evidenziato le sfide implicite nell'integrazione.

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lOMoARcPSD|6166064 Filosofia DEL Dialogo Interculturale Filosofia Del Dialogo (Università Cattolica del Sacro Cuore) Scansiona per aprire su Studocu Studocu non è sponsorizzato o supportato da nessuna università o ateneo. Scaricato da Camilla...

lOMoARcPSD|6166064 Filosofia DEL Dialogo Interculturale Filosofia Del Dialogo (Università Cattolica del Sacro Cuore) Scansiona per aprire su Studocu Studocu non è sponsorizzato o supportato da nessuna università o ateneo. Scaricato da Camilla Mazzolin ([email protected]) lOMoARcPSD|6166064 FILOSOFIA DEL DIALOGO INTERCULTURALE - Introduzione. La questione filosofico-politica delle differenze culturali - Modelli di gestione delle differenze culturali: Multiculturalismo e Dialogo interculturale + Case studies INTRODUZIONE. LA QUESTIONE FILOSOFICO-POLITICA DELLE DIFFERENZE CULTURALI Studio del multiculturalismo e del dialogo multiculturale, dove dialogo come assaggio successivo al multiculturalismo. Negli ultimi anni backlash del modello multiculturale. Dal 2008 in avanti, cambia la narrativa: multiculturalismo diventa catalizzatore di moltissime critiche. Da multiculturalismo si passa a dialogo interculturale. Novità che si presenta come contro narrazione: il multiculturalismo regge tra anni 70 e 90, ma dal 2001 in avanti non regge più come modello: aveva come obiettivo l’integrazione, che tuttavia non si riesce a realizzare senza l’assimilazione. Il terrorismo a partire dal 2001 è risveglio traumatico di come le società non stiano funzionando. Cultural differences and human rights Power point, fotografie iniziali della crisi dei rifugiati del 2015 (uno dei due fotografi è Sperakis): Grecia, frontiere Ungheria e Serbia, migranti dalla Siria. Violazioni sistematiche dei diritti umani, monitoraggio delle frontiere diventa violazione dei diritti umani pessima gestone da parte dell’Europa del problema dell’emigrazione. Art 6 dichiarazione dei diritti umani: everyone has the right to be recognized as a person everywhere before the law. Nelle foto studiate, l’art 6 viene palesemente violato: indignazione necessaria per contrastare l’ingiustizia: la passione dell’indignazione rappresenta classicamente l’indizio fondamentale della propria postura etica. E d’altra parte l’indignazione nei confronti dell’ingiustizia è fondamentale: se non ci indigniamo di fronte all’ingiustizia come possiamo combatterla? La questione della crisi dei rifugiati del 2015 è una situazione in cui l’Europa ha mostrato tutta la sua debolezza. Infatti il relatore speciale delle Nazioni Unite ha detto che il sistema di gestione europeo dei flussi migratori ha prodotto sistematiche violazioni dei diritti umani, il che significa che ogni volta che viene messo in pratica il monitoraggio alle frontiere questo comporta la violazione dei diritti umani. Queste foto ci mostrano quanto sia importante tenere a mente il profondo nesso che sta tra la questione delle differenze culturali e il rispetto dei diritti umani, altrimenti il dibattito sui diritti umani diventa un dibattito da salotto. È necessaria una risposta politica alle problematiche che emergono dalle foto che abbiamo visto. Questione delle differenze culturali e i diritti umani Testo: statement on human rights, 1947. Inviata alla Commissione dei diritti umani delle nazioni unite (commissione presideuta da E. Roosevelt, che ha redatto la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo) dall’executive board dell’American anthropological association, in cui si fa presente la violazione di alcuni diritti umani. Attenzione: una convention se ratificata diventa vincolante giuridicamente, a differenza di una dichiarazione. Questo statement è una dichiarazione, quindi non è giuridicamente vincolante. In questa dichiarazione ci sono tre punti importanti: embeddedness; razzismo scientifico; il relativismo culturale. Scaricato da Camilla Mazzolin ([email protected]) lOMoARcPSD|6166064 1. Embeddedness (“incastonamento”). “The problem is thus to formulate a statement of human rights that will do more than just phrase respect for the individual as an individual. It must also take into full account the individual as a member of the social group of which he is a part, whose sanctioned modes of life shape his behavior, and with whose fate his own is thus inextricably bound” (American Anthropological Association, 1947). La preoccupazione che si pone è: fate attenzione quando scrivete la dichiarazione universale dei diritti umani che se parlate di un individuo astratto non state parlando a nessuno, perché non esiste l’individuo astratto ma esiste l’individuo incastonato dentro un contesto culturale e dunque quello che voi ritenete universale non è detto che valga in tutti i contesti. Questo individuo deve essere dunque considerato come membro del gruppo sociale di cui fa parte e i cui modi accreditati all’interno di quel gruppo accreditati come modi di comportamento giusti all’interno di quel contesto danno forma al suo comportamento: il destino di questi individui è legato al destino di quel gruppo. Si tratta di un documento redatto appena finita la Guerra, dopo che si è chiaramente dimostrato quello che può accadere quando l’uguaglianza tra le persone non viene rispettata. Si cerca quindi di riaffermare il fatto che ciascuno a prescindere dal contesto culturale in cui si trova, deve essere riconosciuto come membro della medesima famiglia umana. Difatti art 1 della dichiarazione dei diritti umani stabilisce che tuti gli uomini nascono liberi e uguali, sono dotati di ragione e coscienza e edono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza. Secondo l’antropologia l’individuo astratto non esiste, quindi si parla sempre di individui relazioni alla loro società in cui vivono. Gli antropologi americani scrivono lo statement anche perché sono preoccupati da una deriva di culturalismo coloniale, dal cosiddetto “cultural colonialism”: “how can the proposed declaration be applicable to all human beings, and not be a statement of rights conceived only in terms of the values prevalent in the countries of Western Europe and America?” La dichiarazione va calata infatti anche nei singoli contesti e va applicata per tutti, altrimenti si cade nel relativismo del singolo paese che deve gestire i singoli diritti. Forte critica: la dichiarazione universale contiene al suo interno i diritti che in Occidente avete stabilito per conto vostro e avete la pretesa di applicare a tutti. Questo rischio magari c’è nel senso che effettivamente esiste tutto un dibattito e una serie di critiche da parte di non occidentali a questa dichiarazione, ma nel rafting della carta ci sono tante sensibilità culturali e non solo quella occidentale. Esempio: ai lavori di stesura della carta partecipa anche Gandhi. Quindi, questa critica è ingenerosa ma è vero anche che ci sono effettivamente dei problemi di applicazione quando stabiliamo dei principi universali a vari contesti culturali è vero ed è chiaro che la dichiarazione di per sé da sola non vive, va calata nei vari contesti e questo spetta a noi che siamo i depositari e i destinatari di questi principi. L’alternativa sarebbe il relativismo: ogni paese decreta i propri principi e ogni paese non può mettere il becco sui principi dell’altro. Nel testo compare anche il “respect for cultural differences”: “the individual realizes his personality through his culture, hence respect for individual differences entails a respect for cultural differences”. Quando si parla di rispetto dell’individuo, bisogna pensare al fatto che anche la cultura di quell’individuo va rispettata, con il problema che si pone di conseguenza del “fino a quale punto”, ad esempio il problema delle mutilazioni genitali femminili: pratica che confligge con il diritto umano all’autodeterminazione corporea. La motivazione che sottosta a questa pratica è che si vuole controllare la sessualità femminile da parte del genere maschile. Il vero problema è che poi in molti contesti, non solo africani, si dice di bandire questa pratica operata in maniera clandestina e con elevatissimi rischi di morte e si propone invece di medicalizzarle. Il punto è che il problema rimane e infatti la posizione delle Nazioni Unite è di “zero tolerance”. Scaricato da Camilla Mazzolin ([email protected]) lOMoARcPSD|6166064 Quindi, ci chiediamo fino a che punto vada rispettata la cultura. Vale tutto? In questo senso ci serve avere almeno un piccolo nucleo di diritti, come quelli incastonati nella dichiarazione universale, che ci permettono di orientarci. 2. Razzismo scientifico (punto 2). “Respect for differences between cultures is validated by the scientific fact that no technique of qualitatively evaluating cultures has been discovered”. Il razzismo scientifico non è assolutamente scienza ma solo ideologia. Si basa sull’eugenetica: le prove generali dei campi di concentramento i tedeschi le hanno fatte in Africa all’inizio del Novecento quando hanno massacrato in Namibia intere tribù sulla base di studio del cranio della popolazione nera: si riteneva che questo fosse chiaramente indizio di inferiorità rispetto alla popolazione bianca. L’argomento portato dagli antropologi è che non è stata scoperta nessuna tecnica che possa valutare dal punto di vista qualitativo le differenze culturali. Dunque, eugenetica non è scienza è ideologia. E in relazione a questo facciamo riferimento alla importantissima dichiarazione dell’Unesco sulla razza e sull’etnia in cui si ribadisce questo concetto. 3. Pericolo del relativismo (punto 3) «3. Standards and values are relative to the culture from which they derive so that any attempt to formulate postulates that grow out of the beliefs or moral codes of one culture must to that extent detract from the applicability of any Declaration of Human Rights to mankind as a whole. » «Ideas of right and wrong, good and evil, are found in all societies, though they differ in their expression among different peoples. What is held to be a human right in one society may be regarded as anti-social by another people, or by the same people in a different period of their history. » Al terzo punto della statement la posizione è criticabile. La posizione nella dichiarazione è che ci sono standard e valori che sono relativi al contesto culturale, e difatti è vero che ci sono standard e valori relativi ai vari contesti culturali. Ma cosa si deriva dal fatto che le culture differiscono? ha come conseguenza che ogni tentativo di formulare postulati che scaturiscano dalle credenze e dai codici morali di una cultura di pari passo diminuisce la possibilità di applicare quegli standard e quei valori ad una dichiarazione universale. In sostanza essi insistono sulla particolarità inesauribile e indefettibile di una cultura: è una posizione relativistica molto forte, posizione intenibile. Che le culture siano diverse è ovvio, ma se insisto sulla particolarità di una cultura, più si porta al rischio che i diritti non siano applicabili su tutti la posizione della dichiarazione però è rischiosa: un eccessivo relativismo è pericoloso. Dovremmo dire che in certi contesti culturali le donne dovrebbero accettare la loro condizione di totale subordinazione agli uomini, esse non dovrebbero ribellarsi perché starebbero facendo appello a valori che non sono incastonati nella loro cultura. Questa posizione dunque costituisce una delegittimazione totale di qualsiasi battaglia per i diritti umani. Esempi: le proteste delle donne musulmane iniziano appena viene instaurata la repubblica islamica nel 1978 e arrivano fino ai giorni nostri. Un altro esempio è quello delle primavere arabe in cui ragazze e ragazzi protestano per pane, giustizia e lavoro che sono cose che legittimamente tutti desideriamo e dobbiamo poter desiderare. Si può fare battaglia comune rispettando le differenze, ma avendo punti di contatto sul rispetto della dignità umana. Se una legge è sbagliata, va contrastata. Ricorda la posizione di prima femminista inglese Mary Wallstonecraft nel 1792: “quando finalmente ci sarà un uomo abbastanza intelligente da capire che la battaglia per i diritti delle donne è una battaglia per i diritti umani?”. Non è solo questione che riguarda le donne. Scaricato da Camilla Mazzolin ([email protected]) lOMoARcPSD|6166064 Si può benissimo fare battaglia una comune, rispettando tenendo conto delle differenze, ma avendo dei punti di contatto fondamentali di rispetto della dignità umana: se una legge disumanizza le persone, è una legge sbagliata. La questione immigrazione: focus USA ¥ Tema dell’immigrazione: quando nell’800 inizia il flusso migratorio verso gli USA, non ci limiti all’ingresso. Alla fine dell’800 il servizio sociale nasce come sostegno agli immigrati negli USA, che impoveriti hanno bisogno di sostegno. Nel DNA degli stati uniti da sempre vi è la diversità culturale, ma ciò non significa che la situazione sia armoniosa. ¥ 21 novembre 2014: ordine esecutivo di riforma dell’immigrazione promossa da Obama. No dei punti cardine era la riforma di immigrazione nel programma di Obama, ma che non si realizza. Ordine esecutivo di riforma che riguarda più di 10 milioni di immigrati irregolari, metà dei quali Latinos. Perché Obama ricorre allo strumento giuridico dell’ordine esecutivo? Ha perso le lezioni di mid term, quindi non ha sostengo del Congress; quindi, teoricamente non può fare nessuna legge. Il presidente senza sostegno del congresso non può fare nulla. Vuole farlo lo stesso perché è uno dei punti del suo programma elettorale. L’amministrazione di Obama teneva molto alla riforma dell’immigrazione, uno dei punti di forza (ma in realtà sta facendo questo per riottenere un consenso che ha gradualmente perso questa è la posizione della critica, ma in realtà si sa che questo era suo punto fondamentale che davvero voleva portare a termine). Vero però che chiede comunque al Congress di fare lo stesso la riforma. L’idea è non deportare i genitori irregolari di bambini nati negli States. 26 paesi repubblicani fanno appelli alla corte federale, la questione finisce alla corte suprema, dove è appena morto Scalia, giudice della corta suprema, democratico: la questione finisce 4 a 4 e la riforma non passa. ¥ 27 gennaio 2017: Donald Trump alla presidenza, ordine esecutivo chiamato Muslim Ban: bando all’ingresso negli states di persone da paesi a maggioranza musulmana. Nel secondo ordine esecutivo, anche inclusi paesi con cui gli States hanno rapporti da sempre, come Egitto e Arabia Saudita. La posizione di Trump è sempre stata chiara nei confronti delle differenze: spregio verso le differenze culturali ¥ 20 gennaio 2021: Joe Biden revoca il “Muslim Ban” Anche in un paese nato sulle differenze culturali, grava il peso di queste. Problema drammatico in quello che sembra da fuori un contesto florido, del sogno americano. Interculturalità, vita buona e buon governo Al di là della politica americana: con-cittadinanza, come spazio di concordia tra i “diversi”: affresco dell’allegoria del buon governo Situazione storica: ¥ Affresco, “Allegoria del buon governo” di Ambrogio Lorenzetti. Anni 30 del 1300, Lorenzetti è pittore ufficiale di Siena. 1338, forte influenze dantesche chiare. Idea della convivenza democratica, della con-cittadinanza. ¥ L’affresco si riferisce a ciò che accade nel cuore dell’Europa e nel nord Italia circa nel 1100: rappresentazione simbolica dell’età dei comuni. Il sacro romano impero è indebolito, lotta per le investiture, papato e impero non sono più allineati, debolezza dell’impero è incarnata dalla figura dell’imperatore (al momento Corrado terzo di Svevia) e va di pari passo con una abbozzata emancipazione dei rapporti feudali. Man mano che si ritrae la mano dell’impero nascono prime forme di auto organizzazione, appunto i comuni. Scaricato da Camilla Mazzolin ([email protected]) lOMoARcPSD|6166064 ¥ Intanto momento di grande espansione economica, ascesa della nuova classe sociale della borghesia che rappresenta una imprenditorialità nuova, che spacca in maniera diretta la rigidità e assenza totale di mobilità sociale tipica dell’ordinamento gerarchico feudale. Espansione economica porta a aumento demografico e nascita di grandi agglomeramenti urbani, agglomerati che sono aperti all’incontro di culture diverse, in quanto rappresentano centro di smistamento di tratte internazionali del commercio. A Siena arrivano mercanti da ogni parte del mondo, e portando le merci portano la propria cultura. Centri cosmopolitici. L’allegoria del buon governo è esemplificazione dell’allegoria di questo momento storico. Lettura dell’affresco da sinistra in alto ¥ Tre donne. La più alta è la sapienza, in alto perché è in mano di dio (contesto dantesco, alcune cose sono proprie di dio e non degli umani). La donna sottostante è la giustizia umana, che deve fare il suo corso. Giustizia intesa in due modi: come Temis, degli dei, ma che ha bisogno anche di giustizia umana, la Dike, meno forte, che è anche umana, che è concordata. Sapienza divina, quindi, ha bisogno anche della giustizia umana. Impero è debole e questa raffigurazione iconografica del rapporto con la sapienza immediatamente ci fa vedere la distanza tra questa concezione e la concezione imperiale, secondo cui è l’imperatore a coincidere con la giustizia e la sapienza. La rappresentazione iconografica del rapporto con la sapienza fa vedere la distanza tra la concezione trecentesca e quella hegeliana, dove giustizia e sapienza coincidono. Qua invece, la giustizia guarda in alto verso qualcosa che non può afferrare. La distinzione è ancora più marcata anche dalla scritta latina “diligit iustitiam, qui iudicatis terram”(amate la giustizia voi che governate la terra): primo versetto nel primo libro della Sapienza (Bibbia e anche capitolo 18 della divina commedia). La frase si rivolge ai governanti, che se vogliono governare bene devono avere un rapporto con la sapienza e la giustizia come un rapporto d’amore, ovvero qualcosa su cui non si può mettere le mani, e non possono afferra la sapienza e farla propria (visone Platonica, ciò che si ama non può afferrare). Giustizia e sapienza quindi devono rimanere serpate. La giustizia è presentata con la bilancia, senza la solita benda sugli occhi dell’imparzialità e senza la spada, per punire: non ha la benda perché la giustizia vede la sapienza, che è ciò di cui necessita per giudicare. Guardiamo come è raffigurata la giustizia: è raffigurata dal simbolo della bilancia, dalla spada, ma non ha la benda, come a significare per giudicare bene deve riferirsi a qualcosa superiore a sé e infatti guarda verso la sapienza. Sulla sinistra della bilancia, giustizia retributiva: giustizia penale. C’è un angelo che con una spada disarma il malvagio e con l’altra mano premia il buono. Non è solo punitiva ma anche premiale. Lato destro, giustizia commutativa, delle leggi civili: angelo consegna strumenti di misura ai mercanti. Anche gli sviluppi economici hanno bisogno di leggi che contraddistinguono i rapporti mercantili. La distinzione tra le due giustizie è tipicamente aristotelica. Dai due piatti della bilancia partono due corde, che si uniscono nelle mani della terza donna, la Concordia. Concordia come cum cordis, quando il cuore batte all’unisono, ovvero quando si è in equilibrio: tema della convivenza civile. Tema dell’armonia civile, quando le persone riescono a concordare regole di convivenza: diventa buon governo che genera concordia e armonia nel basso della società civile. Amore per la giustizia genera una forte armonia. In mano la concordia tiene la pialla, che serve a smussare le punte della contraddizione, la pialla livella le opinioni estreme per convergere su delle opinioni comuni. Ricorda: l’espressione “buon governo”, “eunomia”, deriva da Aristotele, necessario per vivere bene. Scaricato da Camilla Mazzolin ([email protected]) lOMoARcPSD|6166064 ¥ La corda passa di mano in mano ai 24 personaggi che stanno al di sotto: sono i consiglieri del comune di Siena. Siamo lontani dal vincolo feudale che soggiogava i sudditi rispetto al sovrano. Qua invece c’è una concertazione civile. Passandosi la corta di mano in mano, in mezzo, parlano tra di loro. C’è dialogo nel consiglio comunale, ovvero sembra decidano assieme ciò che è meglio per la comunità. Al centro del consiglio, individui che cercano il contatto visivo. Sguardi rivolto al volto dell’altro, ripresa del concetto della Boulé. ¥ La corda passa poi in mano a un signore anziano, che rappresenta proprio il comune di Siena. La corda, che è la santa virtù, è quella che mette insieme il rispetto della diversità con la necessità di mettere insieme il popolo: simbolo anche dell’unità che è invito a fare con-cittadinanza. Il signore di Siena, quindi, è il bene comune. Concezione del bene comune, e questo affresco nasce proprio per celebrare questo esperimento democratico. ¥ Sopra il bene comune, ci sono le tre virtù teologali e accanto le virtù cardinali: atre due donne, che sono fortezza e pace. La donna più vicina alla giustizia è la pace, sotto la quale ci sono le armi deposte. Giustizia che contrariamente alla visione della donna che punisce con la spada, qui è una giustizia che guarda ad un ordine superiore a se e punta a stabilire la pace. La pace nasce da una giustizia non auto riferita ma che accetta il senso del limite. Lorenzetti, in questo modo, sembrerebbe dire che la pace non nasce dal nulla ma nasce da una giustizia combinata con il pudore, cioè la consapevolezza del proprio limite. Accanto alla pace c’è la Fortezza: raffigurata come donna corazzata e che tiene uno scettro in mano. Sembra rappresentazione violenta, quasi contraddittoria resilienza, uso della forza per proteggere se stessi. Deve saper leggere i contesti di quanto è opportuno usare la propria forza a beneficio di altri. Generosità, capacità che le persone forti hanno di soccorrere i più deboli. Il buon cittadino deve tenere uniti la cura per sé e anche per l’altro È immagine che deriva da Cicerone in cui nel De officis c’è caratteristica fondamentale del buon cittadino, che è appunto la fortezza, rappresentata da Cicerone secondo due versioni unite: la prima è quella che chiama animositas, che possiamo tradurre con resilienza, la capacità di resistere in condizioni avverse: uso della forza per proteggere se stessi. Ma questo non è sufficiente: la fortezza deve saper cogliere le occasioni e leggere i contesti e quando è opportuno usare propria forza a beneficio di altri, che è la generositas: capacità che i forti hanno di proteggere i più deboli. Persona che è solo una o l’altra cosa rischia di essere uno spericolato oppure un sentimentale e questo non va bene. Il buon cittadino deve essere entrambe le cose. Vedi Socrate: buon governatore deve essere il più bello possibile (cioè bello dal punto di vista dell’anima). Nella modernità c’è il rovescio punto per punto di quello che abbiamo detto fino a questo punto e possiamo vederlo nel Leviatano di Hobbes. Effetti del buon governo in campagna e in città Altro affresco di Lorenzetti: effetti del buon governo. Nell’affresco sono rappresentanti commerci, artigiani, costruzione delle case che simboleggia l’espansione demografica, donne che danzano (armonia), ragazza che sti sta sposando (costruzione di legami). Le cose sostanzialmente stanno andando bene grazie al buon governo, che permette alle persone di infilarsi nella dinamica del reciproco scambio. Questo affresco confina con un altro affresco che rappresenta gli effetti del buon governo in campagna: fa convivere bene, il buon governo, la città con la campagna, che reciprocamente fanno prosperare bene l’una e l’altra (diverso da quanto sosterrà Marx nel 1848: la Città ha soggiogato la campagna). Armonia che non nasce dal nulla, ma dalla capacità umana di convenire e contrattare attraverso la democrazia, su regole che diventano buone per tutti e condivise. Figura dell’angelo nudo (prima volta, nudo prima rappresenta il dannato) che Scaricato da Camilla Mazzolin ([email protected]) lOMoARcPSD|6166064 rappresenta la sicurezza, che non proviene come noi moderni pensiamo da una istanza superiore che taglia le teste, ma la sicurezza proveniva da esercizio armonioso della realtà dentro il contesto civile. Sicurezza come esito della armonia civile siccome le persone intrattengono rapporti pacifici e rispettandosi tra loro: da questo nasce capitale fiduciale sulla base del quale prospera la vita sia in campagna che in città. La campagna è molto popolata, c’è prosperità. Grande lavorio, le campagne sono antropizzate. Il bene comune è l’esito della concertazione civile, e non è pre ordinato. Non p una idea preconfezionata che applichiamo a un contesto socio-politico, ma esito dell’interscambio tra prospettive diverse che conviene dopo un lavoro. Esito del DIALOGO. Per questo il bene comune è sempre provvisorio. Essendo lavoro paziente tra esseri umani finiti, può sempre essere modificato. L’imposizione di una certa idea di bene che bypassa un dialogo democratico rischia sempre la deriva totalitaria. Un modello opposto: il Leviatano e l’ademìa C’è nella modernità un’immagine che si oppone punto per punto a quello che abbiamo visto nell’affresco studiato: il Leviatano. 1651, Hobbes scrive “The Leviathan or the Matter, Forme and Power of a Common Wealth Ecclesiastical and Civil”. Il levitano, che rappresenta lo stato, è ritratto come formato da uomini, i sudditi. Sono tutti rivolti verso l’autorità suprema dello stato, e nessuno guarda l’altro: sparita l’assemblea, il consiglio. È totalitario, il leviatano, in maniera criptica. Quando Hobbes parla delle associazioni civile, le descrive come vermi che insidiano lo stato e che vanno evacuate. Uno stato totalitario teme l’associazionismo, perché? Si evita il confronto e si evita un’associazione che contrasti il potere. Non si formano gruppi di pressione. La gente unita forma resistenza rispetto al potere, un singolo invece può essere controllato. Non c’è alcuna concertazione civile. Con il leviatano, rinuncia alla libertà in cambio della sicurezza: più sicurezza c’è, meno libertà c’è. Il leviatano in mano tiene infatti la spada, che taglia la testa a chi defeziona. “I patti senza la spada non valgono niente”. Nella allegoria del buon governo i patti reggono perché io mi fido di te, e mi conviene così tutti prosperiamo. Qua invece rispetto il patto perché so che se defeziono verrò punito. Si rispettano le regole no perché siano buone per noi, ma per paura della punizione. Tiene in mano anche il pastorale, che rappresenta il potere spirituale, mentre spada potere temporale. Il leviatano, quindi, accentra su di sé tutto il potere, non c’è amore, ma solo identificazione totale dell’istanza politica con l’istanza del potere e dell’uso legittimo della violenza. Anche in Lorenzetti c’è la violenza, ma qua è tutto, è molto più presente. Anche qua citazione biblica, capitolo 41 libro 18 di Giobbe: non esiste potere sulla terra comparabile al Suo. La sensazione è ovviamente quella di paura; questa dinamica di potere che si crea è quella su cui si basa l’intera concezione politica di Hobbes. L’armonia civile lascia il posto alla PAURA. Gli esseri umani si rispettano non perché chiedono nella uguaglianza e nella reciprocità, ma perché hanno paura di morire. Solo perché esiste il leviatano alla quale si sacrifica la libertà che i sudditi riescono a sopravvivere. Il pensiero di Hobbes deriva anche dagli avvenimenti contingenti: peste, morti, crisi. Come prima opera, traduzione di Tucidide della guerra del Peloponneso. In particolare, rimane colpito dalla anomia, dal concetto dell’assenza di leggi o comunque della mancanza di rispetto di queste. Le persone, che sanno di morire per la peste, si lasciano andare a trasgressioni delle leggi. Hobbes è terrorizzato, per questo pensa ad una istanza superiori che garantisca l’ordine anche nel più grande caos. Scaricato da Camilla Mazzolin ([email protected]) lOMoARcPSD|6166064 Sotto il leviatano, rappresentata una campagna, ma che è vuota. Tuti sono rinchiusi nelle interiora dello stato. Anche la città Hobbesiana è deserta. Gli unici che girano sono gendarmi, e non è un caso. L’istituzione politica più importante dello stato Hobbesiano sono polizia ed esercito, che devono garantire l’ordine al prezzo della Ademia, l’assenza di popolo. Assenza ulteriormente accentuata dall’esistenza di due figure nella rappresentazione: interpretazione è che siano i medici della peste. Supposizione, oltre all’accentramento di potere e alla ademizzaizone progressiva della società civile, aggravata la situazione da una sorta di lockdown ante litteram epidemico Due opposti, buon governo e leviatano: sicurezza come frutto dell’armonia civile e all’affermazione feroce dello stato flagello che punisce chi no rispetta le regole al costo della libertà e della dinamica stessa del dialogo. La visione moderna è figlia di quella Hobbesiana, da cui siamo tutti profondamente influenzati. Le relazioni internazionali funzionano su una logica Hobbesiana Jefferson begins with dialogue «Some men look at constitutions with sanctimonious reverence, and deem them like the arc of the covenant, too sacred to be touched. They ascribe to the men of the preceding age a wisdom more than human, and suppose what they did to be beyond amendment. I knew that age well; I belonged to it, and labored with it. It deserved well of its country. » «I am certainly not an advocate for frequent and untried changes in laws and constitutions. [...] But I know also, that laws and institutions must go hand in hand with the progress of the human mind. As that becomes more developed, more enlightened, as new discoveries are made, new truths disclosed, and manners and opinions change with the change of circumstances, institutions must advance also, and keep pace with the times.» Il punto di partenza è Thomas Jefferson, che si ritiene sia stato uno degli estensori materiali del lavoro di drafting della dichiarazione di indipendenza. Partiamo da lui anche perché egli era uno scienziato, il primo ad aver immaginato la questione del diritto d’autore e del brevetto, come a dire che la ricerca scientifica deve andare a beneficio di tutti e proprio perché deve essere universalmente condivisa è necessario sapere da dove le scoperte scientifiche provengano. In questo senso ci stiamo avvicinando al suo modus operandi in ambito scientifico che analogamente ci fa immaginare che politicamente lui avesse questa idea per cui le verità che scopriamo a mano a mano che procediamo nella nostra procedura dibattimentale, nel nostro confronto scontro di visioni contrapposte del mondo, quelle verità provvisorie e rivedibili devono essere condivise. Citava sempre Ennio, che aveva questo motto che era molto caro a Jefferson e tipico dell’impresa scientifica, che non è mai impresa di uno solo ma di una comunità intera di scienziati che si appoggiano sulle ricerche di coloro che sono venuti prima di loro e quindi non devono rifare tutto da capo. Questa idea della condivisione Jefferson l’aveva in mente proprio quando citava Ennio e in particolare un passaggio in cui Ennio dice: se tu incontri per strada qualcuno che ha perso la via di notte e la sua lanterna è spenta mentre la tua è accesa, non ti farai particolari problemi se lui ti chiede di accendere la sua con il tuo lume, anzi lo farai perché logicamente e razionalmente ti accorgerai che due lumi fanno più luce di uno solo e la tua luce non diminuisce per il fatto di aver acceso quella dell’altro. Fuori dalla metafora significa che l’impresa del trovare e ricercare le verità della condizione umana non diminuisce ma anzi si accresce insieme. Questo Ennio lo impara a sua volta da tutta la tradizione classica: pensiamo ad esempio a Cicerone, il quale sostiene che il buon cittadino deve usare la propria forza per soccorrere gli altri. Pensiamo che il tema del soccorso non è una semplice generosità sentimentale, ma è una questione di costruzione del sapere, che non è Scaricato da Camilla Mazzolin ([email protected]) lOMoARcPSD|6166064 mai un’impresa del singolo. Questa cosa, trasposta politicamente, aveva davvero in Jefferson trovato la strada di una modalità che oggi oseremmo chiamare democratica. In fondo, le procedure dibattimentali attraverso le quali il sapere viene costruito assieme, sono quelle che stanno tipicamente alla base del parlamentarismo e l’idea degli indipendentisti americani, con a capo Jefferson era proprio questa: che dovesse in qualche modo procedere per prove ed errori esattamente come si fa nella ricerca scientifica. Vedi lettera che Jefferson scrive nel 1816 riguardando indietro a tutto il percorso: ¥ “ci sono alcune persone che guardano le costituzioni come se fossero sacre come l’arca dell’alleanza (arca in cui Javè mette le tavole della legge e se si tocca questa arca dell’alleanza viene incenerito all’istante; quindi quello che qui si vuole dire è che ci sono persone che considerano le costituzioni troppo sacre per essere toccate). ¥ Definizione di costituzione: legge fondamentale, infrastruttura giuridica sulla quale poggiano le leggi positive. In un certo senso la metafora regge perché è chiaro che se guardiamo il pasticcio che succede tutte le volte che si dice riformiamo la costituzione italiana, è come se si toccasse l’arca dell’alleanza: la costituzione non si tocca. ¥ L’atteggiamento dello scienziato è quello per cui nulla si considera come intoccabile, non c’è nulla di stabilito una volta per sempre tra noi esseri umani e quindi nemmeno le costituzioni possono ritenersi la riparo dall’evoluzione o dalla rivoluzione: quelli che considerano la costituzione come intoccabile è come se attribuissero agli uomini che l’hanno scritta una sapienza più che umana e suppongono che quello che hanno fatto scrivendo la costituzione sia al di là di ogni possibile correzione (emendment). ¥ Conosco bene quell’epoca in cui si ascriveva agli uomini questa capacità sovraumana al di là di ogni possibile correzione. Grande riconoscimento per i padri fondatori per quello che hanno fatto. Jefferson ha una formazione non solo scientifica ma anche classica: quando scrive la dichiarazione ha in mente il De officiis di Cicerone. Attenzione: il fatto che lui non ritenga sacra la costituzione, non significa che allora la si possa cambiare da un giorno all’altro. Cioè ribadisce di non essere affatto un sostenitore del cambiamento per il cambiamento. Ma sa anche che le costituzioni, essendo un prodotto di procedure dibattimentali e di confronto tra esseri umani, si evolvono nel tempo a misura che gli esseri umani scoprono cose nuove, a misura che il progresso della mente umana va avanti, bisogna tenere il passo con i tempi. La costituzione deve andare hand in hand con il progresso umano, a misura che le nuove verità che vengono scoperte. Jefferson sta applicando la logica scientifica anche al campo della politica. Non possiamo pensare che le costituzioni siano intoccabili perché a misura che ci confrontiamo, il progresso della mente umana diventa più sviluppato, più illuminato (dietro c’è chiaramente la forte spinta dell’illuminismo). ¥ Tutto questo discorso punta direttamente per Jefferson su un luogo, che è il dorum dibattimentale: come si fa a a far progredire la mente umana? Se pensiamo al progresso scientifico e a come questo avviene, non è che uno va avanti da solo ma si appoggia alla ricerca di altri. Tutto questo per Jefferson si traduce nella creazione di luoghi dove le persone possano incontrarsi e discutere di che cosa è bene per la città e per il paese (dietro a questa idea c’è dietro sicuramente il De officis di Cicerone e dietro Cicerone c’è Platone con l’idea della comunità e della comunanza del partecipare a discorsi e ragionamenti su ciò che è utile per la città e quindi la polis. L’idea chiave qui dietro è quella della bulè, assemblea legislativa che proponeva a cittadini le modifiche da fare dal punto di vista legislativo e l’ecclesia, l’assemblea dei cittadini, rimbalzava le proprie valutazioni alla bulè che poi ne prendeva atto e reagiva di conseguenza. Questo andirivieni della parola dentro Scaricato da Camilla Mazzolin ([email protected]) lOMoARcPSD|6166064 uno spazio dibattimentale non è altro che quello che abbiamo visto nell’allegoria di Lorenzetti con i consiglieri al centro dell’affresco). ¥ Egli dice, concludendo la lettera del 1816: una volta che riusciamo a stabilire la possibilità che le persone si confrontino allora succede che la voce di tutto il popolo senza lasciar fuori nessuno sarebbe così giustamente e lealmente e pacificamente espressa. C’è forte l’idea di evitare il conflitto, il che non vuol dire non confrontarsi e scontrarsi con l’opinione altrui, Jefferson pensa ad un mondo al di là della guerra, dove non si accede più al dialogo. Attenzione, non c’è solo l’espressione delle differenti opinioni, ma quella messa in comune delle visioni arriva ad una composizione provvisoria e rivedibile. È il tema classico della concordia discorde, cioè dell’armonia discordante, che non fa fuori la diversità ma trova un frame più ampio e potente, che possa essere sufficientemente inclusivo da tenere dentro tutte le visioni. ¥ Bene comune come risultato della contrattazione democratica (visto nell’allegoria del buongoverno) ¥ Attenzione: c’è un caveat importante: prudenza, perché la voce del popolo non è sempre così limpida; dunque, andrebbe opportunamente filtrata per canalizzarla nella direzione del bene comune, altrimenti questa potrebbe essere strumentalizzata. Es: partito nazionalsocialista è stato eletto con elezioni democratiche dal punto di vista formale, perché poi nella pratica in realtà ha fatto fuori molti avversari politici. Attenzione: democratici e repubblicani non corrispondo alla nostra destra e sinistra, è più complessa la situazione. Possiamo dire che la Dichiarazione di indipendenza è un punto di riferimento per i democratici, mentre la costituzione lo è per i repubblicani. Diciamo che il tono e lo stile della dichiarazione è più simpatetico con i liberaldemocratici piuttosto che con i repubblicani. Ricordiamo le prime tre parole della costituzione americana: “We the people”, quindi il protagonista della costituzione è il popolo. È “noi”, che però attenzione è sempre un pronome pericolosissimo, perché c’è rischio altissimo di omologazione (Vinass, filosofo ebreo diceva: quando dici noi ricorda sempre di dire tu, non dimenticarti mai di avere di fronte a te un individuo, una persona perché se dici noi dimenticandoti che hai di fronte delle persone, quell’amalgama che viene fuori è una deriva potenziale di massificazione e tutte le volte che il noi fa massa, quello è l’inizio di una deriva totalitaria possibile. Certo è che dentro la storia americana questa enfasi sul noi è molto forte, deve essere un noi che comprende le diversità (ecco perché essi hanno quel motto “pluribus unum”, cioè dai molti si arriva all’uno, ma non è l’uno massificante che toglie i molti, ma che li tira dentro in una armonia discordante, sempre provvisoria proprio perché discordante. Facciamo caso al fatto che è un sintomo di deriva totalitaria tutte le volte che l’armonia all’interno di una società sequestra e disarma il pluralismo. Quando all’interno di una società il pluralismo non è più garantito quello vuol dire che la democrazia non sta bene. Dichiarazione di indipendenza, 4 luglio 1776 We hold these truths to be self-evident, that all men are created equal, that they are endowed by their Creator with certain unalienable Rights, that among these are Life, Liberty and the pursuit of Happiness.— That to secure these rights, Governments are instituted among Men, deriving their just powers from the consent of the governed,— That whenever any Form of Government becomes destructive of these ends, it is the Right of the People to alter or to abolish it, and to institute new Government, laying its foundation on such principles and organizing its powers in such form, as to them shall seem most likely to effect their Safety and Happiness. Scaricato da Camilla Mazzolin ([email protected]) lOMoARcPSD|6166064 “Hold”, verbo che significa tenere fermo, stare sopra, mettere la mano e starci sopra. Qui vediamo di nuovo emergere la cultura classica mediata dall’attività scientifica di Jefferson: in greco scienza si dice episteme, che letteralmente vuol dire qualcosa che sta sopra, che non ha bisogno di essere dimostrato, lo abbiamo stabilito assieme e va bene così, possiamo casomai migliorare quello che abbiamo stabilito, ma mai tornare indietro. Questa è la premessa della Dichiarazione: fissiamo una linea al di sopra della quale il progresso è infinito, ma al di sotto di essa si torna indietro, si torna in un’epoca di barbarie. Attenzione: in tutte le dichiarazioni troviamo questa tonalità ed ecco perché tutte le dichiarazioni, compresa la dichiarazione universale dei diritti umani, finiscono con la cosiddetta clausola di salvaguardia, che è l’ultimo articolo dove si dice, più o meno in tutte le dichiarazioni, che tutto quello che c’è scritto nella dichiarazione non potrà essere negato o tolto per qualunque motivo. Naturalmente potrà essere migliorato con aggiunte, che comunque non devono contraddire ciò che sta scritto. Riteniamo queste verità “to be self-evident”: questo è aggettivo chiave, che significa auto evidente. Attenzione: auto-evidente non significa ovvio. Vuol dire invece che non ha bisogno di essere dimostrata, si attesta da sola. Quali sono queste verità self-evident: 1. That men are created equal (ma attenzione: nel 1776 dobbiamo tenere presente un aspetto che ci fa immediatamente capire che questa cosa non è affatto ovvio: c’è ancora la schiavitù, e persino Jefferson ha schiavi in casa). Prima colonia di schiavi che si ribella e fonda la prima repubblica nera al mondo è Haiti, dopo la Rivoluzione francese. Haiti è la più grande e più redditizia colonia francese e ad un certo punto, vuoi perché nasce il femminismo e vuoi perché si mette in evidenza che si proclamano diritti nella madrepatria e si trattano poi però i coloni come degli schiavi, allora questi alzano la testa e fanno la prima repubblica nera. È una guerra sanguinosissima che La Francia impiegherà cinquant’anni a riconoscere. È la cosiddetta storia dei “giacobini neri”, che impugnano la dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino per dire “se vale per voi vale anche per noi”. Dal 1776 al 1865 quando l’abolizione della schiavitù sarà legalizzata, ce ne passa ancora. E non è che dopo l’abolizione della schiavitù tutto finisce (guardiamo il disastro per la battaglia dei diritti civili, a cui si opponevano i democratici in quanto erano i più grandi proprietari terrieri nel sud dell’America che non avevano affatto voglia di liberare gli schiavi che lavoravano nelle piantagioni e, attenzione, questa cosa non è affatto ovvia neanche oggi. 2. Sono dotati dal loro Creatore di certi diritti inalienabili, cioè che non possono essere ceduti perché appartengono intrinsecamente a ciascuno di noi in quanto essere umano. Questo è il cambio di paradigma rispetto all’Ancien Regime, in cui i diritti sono attribuiti dallo stato a chi lo stato decide è meritevole di averli, qui le istituzioni devono obbligatoriamente riconoscere dei diritti che precedono l’istituzione politica stessa. Quali sono questi diritti? Il fatto che siamo degli esseri umani al pari degli altri. Questo principio è prepolitico e deve essere riconosciuto da un’istituzione, che voglia essere democratica, come ciò che la precede. Mentre nell’Ancient regime nulla precede l’istituzione politica ed è l’istituzione politica che fa essere gli uomini umani, dotati di diritti, oppure no. È un cambiamento colossale. Tra questi diritti ci sono: vita, libertà e ricerca della felicità. Questa triade viene dal “Trattato sul governo” di John Locke, in cui però la triade life, liberty e property. Jefferson sostituisce con pursuit of happiness. Cos’è il diritto alla ricerca della felicità? È il diritto ad avere i mezzi per realizzarsi come persona. Non è il diritto ad essere felici, perché uno stato che pretendesse di garantire la felicità di fatto metterebbe becco nel modo di essere felici: ti dico io come essere felice e tipicamente questa cosa, dice Kant, non è uno stato democratico, ma un’altra Scaricato da Camilla Mazzolin ([email protected]) lOMoARcPSD|6166064 cosa: uno stato etico che detta la regola su come devono comportarsi le persone. Uno stato liberaldemocratico, invece, deve consentire che le persone trovino il loro modo di essere felici dentro una cornice di rispetto reciproco dove tutti possano accedere a quel minimo di paniere di beni necessari per provare a realizzare se stessi (la fioritura e non l’affermazione di sé) e tipicamente in questo momento non si fiorisce da soli ma dentro la comunità). Vediamo due coordinate importanti: 1. Uguaglianza: siamo tutti uguali perché tutti abbiamo diritto alla vita e alla libertà, che ci serve a fare le scelte e giocare la nostra partita nel tentativo di realizzare ciò che siamo. 2. Valorizzazione della differenza tra di noi, perché non tutti cercheremo allo stesso modo, lo stesso ideale di vita e lo stesso modo di fiorire come essere umano. Il bello del pluralismo culturale è esattamente questo: che ciascuna persona dentro il contesto culturale in cui si trova cerca il suo modo e tipicamente a volte a segue l’embeddedness e a volte invece lo contesta. Non dovrebbe esistere da nessuna parte nel mondo una società che detta le regole su come ci si deve comportare per essere accettabili e decenti. Qui c’è una dignità umana che è valorizzata nella sua capacità di diversità entro i limiti del rispetto, che attenzione non è la semplice tolleranza, ma è molto più esigente della tolleranza. Deriva da respicere, che significa soffermarsi con lo sguardo a guardare che l’altro è un essere umano come te. E’ una chiave di lettura interessante: Jefferson vuole tenere insieme uguaglianza e differenza. In tutta la storia della politica abbiamo esempi in cui l’uguaglianza diventa preminente a spese della diversità, con il rischio dell’omologazione totalitaria, oppure ci sono fasi in cui l’enfasi posta sulla diversità fa perdere di vista ciò che abbiamo in comune e genera quella che si chiama della balcanizzazione della società, cioè la sua frammentazione. Questo termine “balcanizzazione” deriva dalla guerra nella ex Jugoslavia quando le varie etnie entrano in conflitto tra loro. La dichiarazione di indipendenza è bella perché è un laboratorio di filosofia politica in tempo reale. Il bello della politica è che deve trovare una tessitura (metafora de “il Politico” di Platone, immagine di quello che dovrebbero fare i politici: tenere insieme il fatto che siamo esseri umani uguali e il fatto che ciascuno di noi cerca il suo modo di essere felice, cioè di realizzare questa umanità in una maniera talvolta talmente diversa da quella di un altro che diventa scioccante). Per assicurare tali diritti, cioè garantirli a tutti, i governi sono istituiti tra gli uomini (non ABOVE men, come nel modello del Leviatano). Qui c’è una istituzione che nasce dal basso, ma attenzione questo non significa che non ci siano delle istituzioni che nascono dall’alto, ma il punto sorgivo del potere arriva dal basso. Harendt sosteneva che il potere non nasce dall’alto ma nasce quando le persone agiscono di concerto e nel concerto non si va necessariamente tutti d’accordo, ma si cerca faticosamente un’armonia provvisoria. Da dove deriva il fatto che il potere sia giusto? Deriva dal fatto che i governati acconsentono: siamo d’accordo che questo modo di stare insieme con queste regole ci sta bene perché lo abbiamo deciso noi. Qui entra la questione del contratto. Quindi, nella tradizione contrattualistica è tutto contratto, mentre in quella di Jefferson che si ispira a Locke, c’è un diritto naturale, che appartiene all’essere umano prima che faccia il contratto. In questo senso le istituzioni non sono un artificio come per Hobbes, ma sono il prolungamento di ciò che ci dobbiamo reciprocamente come esseri umani nella forma legislativa adeguata che protegga la natura umana. Sono proprio due tradizioni diverse. Qui non c’è assenza del contratto ma il contratto interviene solo in un secondo tempo (questa è la differenza tra tradizione dei diritti naturali e contrattualismo, per cui invece esistono solo leggi che contrattiamo tra noi). Scaricato da Camilla Mazzolin ([email protected]) lOMoARcPSD|6166064 Se i governi non fanno più questo lavoro per cui li abbiamo immaginati e disegnati, cioè difendere questi diritti, allora è nel diritto del popolo alterare, modificare o abolire e istituire nuovi governi. Logica della modificazione dei governi e delle istituzioni, compresa la costituzione, se non ci proteggono più. Se ci rendiamo conto che ci sono dei governi che non hanno più come fine quello per cui li abbiamo concepiti, allora è nostro diritto provare a modificarli oppure addirittura abolirli nella forma della rivoluzione, perché obiettivi sono liberty, safety e happiness. In sostanza, bisogna accettare il fatto che sul lungo periodo nessuna società democratica è al riparo dal cambiamento, ma allo stesso tempo nessun cambiamento è compatibile a meno che non avvenga dentro il frame di liberty, happiness e safety. Perché rispettare la regola? Nel mondo di Hobbes si rispetta la regola perché si ha paura della sanzione, qui invece dobbiamo pensare che il rispetto della regola è venir via dalla schiavitù, dall’indipendenza della madrepatria: idea è che siamo esseri umani come voi e quindi abbiamo il diritto di ricercare il nostro modo di essere felici. Dunque, il rispetto di quella regola deriva dal fatto che quella regola l’abbiamo stabilita noi per essere artefici del nostro destino. Dunque, in questo caso il rispetto della regola deriva dal fatto che tale regola è frutto di un accordo comune volto a darsi la possibilità di rendersi indipendente dalla madrepatria, di determinare il proprio destino. Attenzione: il fatto che i governi americani abbiano preso questa dichiarazione come l’autorizzazione a fare i poliziotti dell’umanità (tema dell’esportazione della democrazia), questo è chiaramente una certa interpretazione violenta ed aggressiva di queste verità: cioè pretesa che queste verità vengano prese e accettate da tutti altrimenti ti faccio fuori. Questa è la contraddizione. La pretesa di queste verità è ovviamente la pretesa di un’estensione universale. L’esportazione della democrazia è chiaramente un modo degenerato di pensare a quell’idea di fare un pezzo di strada assieme e scoprire assieme che quelle verità corrispondono a ciascuno. Possiamo dire che dalla pretesa astratta e universalistica di questi principi, poi quando si arriva giù succedono tante cose e vedremo che l’America non è affatto il territorio dell’applicazione trasparente di questi principi, soprattutto nella gestione dell’immigrazione. C’è un’evidente contraddizione tra la pretesa universalistica e la pratica della schiavitù, ad esempio. Però non possiamo comunque dire che il principio non ci sia: è come quando Pericle inventa la democrazia ma non vuole che nessuno straniero abbia diritti se non quelli nati da genitori ateniesi. Allora vediamo che l’invenzione della democrazia vale a prescindere dall’applicazione assurda per noi che ne fa Pericle. E qual è l’invenzione? Che tutti possono prendere la parola e hanno il coraggio e il dovere di dire tutto ciò che hanno in testa. Quella cosa lì è un punto di non ritorno e tutte le volte che la storia, le civiltà e le società vengono via da quella roba lì succedono i disastri, ma questo non vuol dire che quella cosa lì ci garantisce dalle nefandezze più bieche. La questione è che nella Dichiarazione c’è qualcosa che deve essere messo in gioco, applicato. Poi, come è messo in gioco dipende da ciascuno, pensiamo ad esempio a Trump e Obama, due modi opposti di applicare. A Joke in the new yorker Vignetta comparsa sul New Yorker in cui è rappresentato Jefferson tutto fiero di aver scritto la dichiarazione di indipendenza, con alle spalle gli schiavi che aveva in casa, a segnalare una palese contraddizione tra i principi affermati e la prassi standard, considerata normale. Il vero punto è chiuso nella battuta: “If you take those truths to be self-evident, then why do you keep harping on them so much?” Il punto è non disertare mai, avere sempre il coraggio di rimanere dentro uno spazio difficile di contrattazione e di messa in discussione. Laddove usciamo anche imbracciando questi principi dal confronto con l’altro, questi principi si possono trasformare Scaricato da Camilla Mazzolin ([email protected]) lOMoARcPSD|6166064 in violenza e quindi non garantiscono nulla al di fuori del confronto leale con l’altro e il confronto con l’altro non è affatto una cosa semplice, anzi è qualcosa di emotivamente impegnativo. Un’idea antica Epitaffio scritto dopo il primo anno di guerra del Peloponneso per celebrare i caduti fino a quel momento. Discorso bellissimo dove Pericle celebra la magnificenza di Atene rispetto e tutto il resto del mondo. Egli è il padre della democrazia, l’inventore leggendario della democrazia ed infatti Tucidide nella sua opera la Guerra del Peloponneso lo fa parlare: «Siamo noi stessi a prendere direttamente le decisioni o almeno a ragionare come si conviene sulle circostanze politiche: non riteniamo nocivo il discutere all'agire, ma il non rendere alla luce, attraverso il dibattito, tutti i particolari possibili di un'operazione, prima di intraprenderla.» (Tucidide, Guerra del Peloponneso, II, 40) Pericle sta dicendo che il forum, il confronto con l’altro è un filtro necessario prima di passare all’azione. È una procedura deliberativa (deliberare significa prendere una decisione), è il processo in cui assieme ci si confronta e si soppesano le ragioni e vince non chi ha il fucile ma chi ha la ragione logicamente più stringente e riesce dunque a tenere insieme la complessità dei fattori in gioco. Naturalmente qui si vede benissimo che Pericle sta dicendo: prima di agire bisogna pensare. Il punto è che non ci sta dicendo l’azione da intraprendere. Tucidide riporta più avanti il Discorso degli ateniesi ai meli, in cui Atene, campionessa della democrazia nel mondo allora conosciuto, cosa fa con la piccola isoletta dei meli che non voleva schierarsi tra Atene e Sparta? Blocca il porto dell’isola (analogia con guerra degli anni Ottanta in Libano) e dice: araldo ateniese scende a terra e si mette a parlare con i meli dicendo “siamo più potenti di voi, non siamo qui a discutere e dunque sono due le opzioni: 1. Vi arrendete 2. Vi facciamo fuori tutti. Potremmo discutere alla pari se voi aveste una potenza militare pari alla nostra, ma siccome non ce l’avete, fate quello che diciamo noi, che esattamente il modello con cui funzionano le relazioni internazionali. Pensiamo alla dialettica che c’è sulla guerra in Ucraina: la questione è essere più forti di Putin e convincerlo a non usare l’arma atomica perché altrimenti lo spazziamo via dalla terra: giochiamo a chi ha la bomba più grande. Questo è esattamente il gioco degli ateniesi. I meli, però, non rinunciano alla loro libertà e dunque gli ateniesi reagiscono massacrandoli tutti. Attenzione: spesso l’epitaffio di Pericle viene utilizzato come simbolo di celebrazione della democrazia dai partiti di sinistra, ma in realtà non è esattamente entusiasmante dal punto di vista dell’apertura all’altro, se lo leggiamo nella traduzione corretta di Tucidide (ad esempio Pericle è chiaramente un misogino). Pensiamo anche al fatto che per esempio Pericle era ossessionato dalla purezza del sangue e dall’appartenenza alla terra che, non a caso, sono tutti segnali che troviamo nel Mein Kampf di Hitler. Questo non significa che Pericle sia un nazista ante-litteram, però non è strano che a Hitler piacesse. In ogni caso, l’idea per cui prima di agire è bene pensare è una buona idea. È talmente una buona idea che il filosofo di origine ebrea Walter Benjiamin dice nel suo testo “Illuminazione”: «La cosa più pericolosa è mettere all’opera ciò che si è deciso da sé, senza lasciarlo prima passare al setaccio attraverso discorsi e controdiscorsi, come in un filtro» [W.Benjamin,Illuminationen,1980] Metafora bellissima e tipicamente socratica: importanza del passare al setaccio della discussione, la metafora deriva dal fatto che si passava al setaccio la ghiaia per trovare pagliuzze d’oro. È un’ottima metafora perché prima di trovare le pagliuzze d’oro passi per tanto fango che nella metafora sono le discussioni, le incomprensioni, cioè la fatica nel trovare la via del compromesso, Scaricato da Camilla Mazzolin ([email protected]) lOMoARcPSD|6166064 mentre l’oro è quando si riesce a trovare un punto di comunanza, ma prima di arrivare lì bisogna mangiare tanto fango attraverso discorsi e contro discorsi: il filtro del setaccio deve includere non solo il mio discorso ma anche ciò che l’altro dice contro la mia opinione, la contro narrazione. Il filtro è anche una metafora che viene utilizzata in democrazia per spiegare come l’opinione pubblica debba essere filtrata, attraverso opportune procedure affinché si raffini e possa diventare una decisione. Altrimenti se l’opinione pubblica arriva direttamente al potere legislativo, c’è rischio di fare pasticcio. Per questo c’è una lungaggine necessaria affinchè l’opinione possa essere formata, ma oggi purtroppo non ci sono più i formatori dell’opinione pubblica perché basta lanciare un tweet per diventare opinionisti. Una volta, perché l’opinione di qualcuno potesse arrivare all’attenzione delle istituzioni c’era tutto un iter, che esiste ancora ma è molto indebolito perché oggi questi meccanismi di mediazione non ci sono più, c’è un processo che va sotto il nome di disintermediazione per cui non si passa più dai canali normali di confronto. C’è problema di meccanismo di disintermediazione a livello politico: perché devo fare la fatica di sottopormi alla discussione con gli altri nella scuola del partito? Meglio lanciare la mia sparata sugli altri e divento per qualche ora il campione di una certa idea politica. Si vive nella disintermediazione con un effetto disastroso in termini di formazione dell’opinione pubblica, che invece richiede tempo e lavoro di passaggio al setaccio di tanto “fango”. Chiunque oggi può fare la sparata. Il prezzo del dialogo L’incontro con l’altro, che è il primo filtro della nostra vita, cioè è il primo scontro con qualcosa che non siamo noi. Ciascuno di noi nasce un po’ narcisista, centrato su di sé. Freud diceva che la perversione è l’uccisione dell’altro, quando tu pensi di non aver di fronte nessuno e di poter fare come vuoi, esattamente come fanno i bambini piccoli, ma prima o poi bisogna rendersi conto del fatto che le cose non sono così, altrimenti è un pasticcio. Hoffmann, grande scrittore romantico che Freud cita sempre, per esempio nel suo saggio “Il perturbante”. L’Opera di Hoffmann da cui è tratto questo estratto è “L’ospite sinistro”: «In una piccola cerchia familiare, serena, accogliente, mentre si stavano raccontando storielle di fantasmi, è entrato all’improvviso un forestiero (ein Fremder); era un tipo apparentemente comune, insignificante, eppure ha suscitato in tutti un senso di turbamento e di orrore (unheimlich)» (Hoffmann, L’ospite sinistro, 1819). Cosa rappresenta per noi la cerchia famigliare serena e accogliente? Quelli che la pensano come me, del mio gruppo. Problema del gruppo: fisiologicamente tende a trincerarsi, reazione fisiologica per cui a mano a mano che strutturano il proprio modo di interpretare il mondo, quel mondo lo difendono. La cerchia famigliare è serena e accogliente perché è la comfort zone, fatta delle persone che conosco, che quindi so come reagiscono, tutto fila liscio. Cosa sono le storielle di fantasmi? Tradizionalmente in tutte le culture i fantasmi rappresentano qualcosa fuori dalla nostra zona di comfort, ciò che non ci aspettiamo. Perché “storielle”? perché è il nostro modo di immaginare tutto ciò che non siamo noi, ma non è reale, è la proiezione di quello che ci fa paura, che noi ci immaginiamo potrebbe accadere, ma tanto siamo nella cerchia serena, famigliare e accogliente. Questo raccontino ci spiega come funziona la mente del razzista. Arriva l’evento scatenante, la sorpresa, quella che non ti aspetti ed è reale: “è entrato all’improvviso un forestiero”: questo è un fatto reale. Perché abbiamo paura del diverso? Cosa ci fa paura dello straniero? Quello che veramente ci fa paura è che al di là della diversità è proprio uguale a noi e questa cosa per un razzista è inaccettabile. Il razzista proietta la diversità dell’altro, usandola come pretesto per ripararsi dall’orrore supremo di ammettere che l’altro che lui considera inferiore, è esattamente come lui. Scaricato da Camilla Mazzolin ([email protected]) lOMoARcPSD|6166064 Parola chiave è Orrore: Unheimlicheit, parola tedesca che letteralmente significa heim, cioè casa, cerchia famigliare. Il vero punto interessante di tutta questa questione è che l’altro una volta che tu ammetti anche inconsciamente che è come te, ti fa uscire dalla tua cerchia famigliare “discasa” (termine che in italiano non ha alcun senso, termine italiano che più si avvicina è “spaesamento”, cioè quando sei spaesato è perché non sei più nel tuo paese, dove paese è la famigliarità con le coordinate geografiche che ti rendono abituale il modo di comportarsi delle persone che hai intorno). Quindi il punto chiave è proprio questo: era comune, era come noi. Dunque, vedere nella diversità dell’altro la comunanza di umanità è proprio il punto chiave della filosofia del dialogo interculturale. Più al fondo dell’inconscio di così non si può andare. Ecco perché l’inconscio occidentale, quello colonialista, che quando arriva a scoprire l’America si trova di fronte all’altro e come reagisce? Uomo europeo del Cinquecento quando si trova di fronte all’indios ha reazione di shock: non siamo gli unici sulla faccia della terra, cioè mi rendo conto che la casa che ho costruito, l’Europa, non è l’unica casa ma ce ne sono altre, e poi ho una seconda reazione: conquisto, massacro. Quindi, tratto l’altro, che è come me, come inferiore. Interessante notare che il dibattito sui diritti umani nasce all’indomani della scoperta dell’America perché a qualcuno viene in mente di porre la questione: non è che l’altro che stai soggiogando, pensando che sia un animale, è esattamente umano come te. Non a caso questo dibattito è innanzitutto un dibattito teologico: è nelle scuole di teologia che si discute dell’umanità degli indios, e non a caso, di nuovo, le persone più vulnerabili dentro la conquista sono le donne, usate come gadget sessuali (vedi diari di Amerigo Vespucci o Cristoforo Colombo: sono le donne che andando in giro mezze nude è evidente che vogliono essere prese). Vediamo che la risposta della violenza è una risposta seconda che copre e maschera e rimuove la verità fondamentale che il razzista non vuole accettare: l’altro è esattamente come te e quindi se è come te non gli puoi mettere le mani addosso. E siccome invece io voglio metterci le mani addosso perché sono dominato dalla mia libido di potere, maschero e rimuovo questa verità fondamentale. Se c’è un progresso nella storia della civiltà umana è quando abbiamo smesso di trattare l’altro come inferiore a noi. È quello che possiamo chiamare inconscio coloniale, che riguarda non solo gli occidentali ma ciascuno di noi ogni volta che siamo attraversati dal pensiero per cui l’altro vale meno di me. Questa immagine fornita da Hoffmann, quindi, è potentissima perché ci rivela la verità che dovremmo scoprire, verità che non ha bisogno di essere dimostrata, ma su cui dobbiamo comunque insistere perché è facilissima da rimuovere perché è costosa: perché se l’altro, lo straniero è esattamente come me, questo ha delle conseguenze sociali e politiche colossali nel mio modo di interpretare il mondo. Vuol dire che il mondo così come l’ho concepito è finito e devi pensare un altro mondo insieme a quella persona. Questo è il bello della democrazia: pensare un altro mondo e non essere attaccato a quello di prima. «Je est un autre» (rimbuad) «L’Io si sente a disagio, incontra limiti al proprio potere nella sua stessa casa, nella psiche. Appaiono improvvisamente pensieri di cui non si sa da dove provengano; e non si può far nulla per scacciarli. Questi ospiti stranieri sembrano addirittura più potenti dei pensieri sottomessi all’Io e tengono testa a tutti quei mezzi, pur già tante volte collaudati, di cui dispone la volontà; non si lasciano turbare dalla confutazione logica, non li tange la testimonianza opposta della realtà». (S. Freud, “Una difficoltà della psicoanalisi”, 1916,) Se andiamo al fondo della questione freudiana, il primo altro con cui noi abbiamo a che fare quando veniamo al mondo è noi stessi e non la finiremo mai di avere a che fare con l’alterità che noi siamo rispetto a noi stessi. È vero che la rimozione di questa verità fondamentale inconscia è la Scaricato da Camilla Mazzolin ([email protected]) lOMoARcPSD|6166064 costruzione dell’impalcatura narcisistica: il narcisista è colui che dice io sono quello che sono e quello che ho deciso di essere e non, io sono un altro da me, che se vogliamo è una “pazzia” normale in ciascuno di noi. Pensiamo ad esempio al fatto che tutti noi abbiamo atto l’esperienza di ritrovarci in situazioni in cui ci siamo comportati in un modo che non abbiamo riconosciuto. Nessuno di noi può dire di avere una padronanza assoluta sulla propria vita, perché il primo altro con cui abbiamo a che fare è esattamente noi stessi, cioè quella parte inconscia di noi che tutte le volte ci presenta il conto. Pensiamo al lapsus: la divaricazione che c’è tra soggetto dell’enunciazione che pretende si essere pretende di essere presente a sé stesso e soggetto dell’enunciato è esattamente l’esperienza normale dell’incontro con l’alterità che noi stessi siamo rispetto a noi. Stesso discorso si può fare per il sogno: sogno qualcosa che non volevo sognare, ma sono comunque sono io ad averlo sognato. La divisione del soggetto, quando il soggetto si sente diviso, la spaltung diceva Freud, è sintomo che il soggetto è reale e sta bene, significa che è sano. Mentre invece ci hanno insegnato che qualsiasi tipo di spaccatura che attraversano la nostra esistenza non vanno bene, che dobbiamo fare di tutto per compattarci, che dobbiamo essere tutti di un pezzo. Questa cosa qui è l’inizio della psicosi. Non siamo tutti di un pezzo: nessuno di noi può tenere insieme tutti i pezzi della nostra vita. Freud dice questo: se impari a non sentirti padrone nemmeno in casa tua, la tua casa si apre. Noi invece, tendiamo a fare di tutto per tenerci la nostra roccaforte, poi ci dicono che per essere democratici dobbiamo aprire quella roccaforte e allora un pochino qualche spiraglio lo apriamo. Questi ospiti stranieri sembrano addirittura più potenti dei pensieri sottomessi all’io: le storielle di fantasmi le domino perché sono io a farli, mentre l’altro, che è reale, lo domino. Ma lo spaesamento, ci sta dicendo Freud, è benefico perché è la porta di ingresso al confronto con l’alterità. Non c’è possibilità di politica, di democrazia, di allacciamento e di conciliazione senza passare attraverso la stretta porta dello spaesamento. Insomma, noi facciamo di tutto per tenere a distanza lo straniero, quando invece il primo straniero con cui abbiamo a che fare siamo noi stessi. Se capissimo questa cosa, avremmo un rapporto con l’altro decisamente diverso, la violenza verrebbe disarmata perché ci incontreremmo con la condizione umana che è sempre una questione condivisa, mai sequestrabile da nessuno. C’è un antidoto all’orrore dello spaesamento? C’è un antidoto? Avere a che fare con un’alterità che non dominiamo perfino in casa nostra è faticoso emotivamente. L’antidoto c’è e l’ha inventato Socrate: Socrate dice al suo allievo non ti sto mettendo in dubbio perché sono sadico, ma perché io stesso sono nella tua stessa condizione. E quindi cosa possiamo fare? Cosa fanno gli esseri umani quando si rendono conto di essere fragili e deboli? Si aiutano. «Desidero ricercare e indagare con te» (Platone, Menone). Ricercano insieme la verità della condizione umana. La pace nasce da qua: da questo desiderio di ricercare e indagare insieme agli altri, proprio quegli altri che ci sembrano diversi perché quelli portano lo specchio dell’umanità dentro il quale la tua stessa vulnerabilità viene alla luce. Altrimenti, se continui a contornarti di persone che riflettono quello che pensi tu prima o poi ti viene l’idea di essere onnipotente. Farmacon è sia antidoto che veleno. È antidoto perché ci ripara dall’angoscia, ma è anche veleno perché annienta e contamina quella presunzione malatissima di essere padroni a casa nostra. È malatissima perché diventa violenta: tutte le volte che pensiamo a questa padronanza c’è il rischio di sentirsi superiore, quindi l’altro non lo facciamo entrare e lo respingiamo (es: reazione Europa all’arrivo dei siriani nel 2015: Fortezza Europa). Scaricato da Camilla Mazzolin ([email protected]) lOMoARcPSD|6166064 Dialogare, ma a che fine? Ma che cosa ricerchiamo, insieme, attraverso il dialogo? Ricerchiamo la verità. Non si può ricercare semplicemente per il gusto di ricercare. La questione posta da Socrate è la questione della verità e la verità della condizione umana è che siamo tutti fragili, questa è la verità che dovremmo cercare insieme. Questo è l’enigma della condizione umana. Siamo in un momento in cui si parla piuttosto di post-verità in cui la verità sembra essere irrilevante Pericolo: la parola, il discorso, il dialogo, senza scopo possono pervertirsi La metodologia socratica di disinnesco dell’angoscia, di scoprire che la condizione umana è una condizione di finitezza, abitata da un’alterità non dominabile, deve puntare alla verità di ciò che siamo, a non nascondere il fatto della finitezza umana, che è la verità antropologica attorno a cui gira anche la polis. La storia di Socrate è esattamente la messa a morte di qualcuno che non ha accettato di parlare se non per affermare la verità. Durante la sua arringa difensiva dice: “da me non udirete altro che la verità”, come a dire che una delle caratteristiche fondamentali della democrazia è la parresia, vale a dire il coraggio di dire la verità anche a costo della vita e questo nella concettualizzazione di Socrate è emblematicamente rappresentato dalla sua decisione di andare fino in fondo alla resa dei conti con i governanti di Atene rispetto ai quali egli rappresenta un personaggio piuttosto scomodo. Estratto del film V for Vendetta: ci serve per porre la questione della verità come una questione centrale anche per la politica. Teniamo presente tutto il dibattito che c’è ancora oggi sul tema della post-verità, cioè l’idea per cui in ambito politico che sia vero o falso non ha alcuna importanza, purché convinca, mentre invece nella mentalità classica se la democrazia e il processo dibattimentale di confronto tra le persone, viene via da questo impegno e da questo coraggio per dire la verità, la politica stessa si trasforma in un gioco di potere, quindi aperto a dinamiche di corruzione. La maschera fa riferimento ad un fatto realmente accaduto in Inghilterra il cinque novembre del 1605, alla congiura delle polveri quando alcuni cattolici tentarono di far saltare la camera dei Lords per dimostrare la loro contrarietà a Giacomo I re protestante. La maschera è diventata emblema di protesta in giro per il mondo abbastanza trasversale: tanti ragazzi la usano ad esempio Fridays for Future, rivolte di Hong Kong, anche Anonymus, il famoso gruppo di hacker, la usa come suo simbolo. Punti da evidenziare dello spezzone: ¥ Il personaggio usa le parole che ritroviamo all’interno della dichiarazione di indipendenza (equità, giustizia e libertà): egli dice che non sono solo parole, non sono solo concetti o bei principi ma sono molto di più, cioè prospettive. Dobbiamo pensarle come delle visioni che aprono un mondo. È chiaro poi che è responsabilità di ciascuno venir meno a quella prospettiva e lasciarsi andare, oppure combattere affinchè si affermino. Questo richiede il coraggio e la responsabilità di ciascuno. ¥ Altro punto socratico: la maschera dice: dice se desiderate cercare, come sono io alla ricerca, allora facciamo qualcosa insieme. Questo è esattamente quello che Socrate dice a Menone impaurito dal non saper più cosa dire: si mette alla pari nella impresa comune di capirci qualcosa dell’esistenza umana: ricerchiamo insieme. È una forma di militanza resistenziale, perché è chiaro che tutto il potere sta dalla parte di chi imbraccia i manganelli, ma lui dice che i manganelli non hanno mai soffocato la parola, purché ci sia sempre qualcuno in grado di non lasciar morire questa prospettiva. Tutte le volte che siamo di fronte ad un movimento eversivo, rivoluzionario e insurrezionale di questo tipo, cioè in nome di una verità taciuta che invece dovrebbe essere condivisa. Attenzione: il Scaricato da Camilla Mazzolin ([email protected]) lOMoARcPSD|6166064 tema dell’accesso alle informazioni è un tema cruciale per la democrazia, laddove invece ci sentiamo sempre più sottratti a questa possibilità di accedere a questa ricerca comune della verità, allora quello è l’inizio della fine. Quello che resta da fare contro lo strapotere è quello di scendere in piazza e protestare, come peraltro si sta facendo in giro per il mondo. Punto interessante: parole che possono diventare motivo per agire, questo è il punto interessante. Attenzione: Mondiacult2022, conferenza internazionale dell’Unesco (prima Mondiacult è del 1982, poi un’altra nel 1998 e ora quella del 2022). Il documento risultato da questa conferenza riguardava il rapporto tra cultura e sostenibilità e vi hanno partecipato circa 150 ministri della cultura dei paesi della comunità internazionale, c’era anche l’autorità più alta a livello culturale russa e, siccome la Conferenza si teneva in Messico, e quasi tutti i ministri appartenevano a paesi che hanno condannato l’invasione russa dell’Ucraina, quando è intervenuto il russo molti si sono alzati e usciti e lui ha sua volta ha denunciato il clima russofobo dell’Unesco lanciando critiche molto pesanti. Per la prima volta in questo documento viene affermato che la cultura è un bene pubblico globale, importantissimo perché a questo si agganciano le policies. Il fatto di riconoscere la cultura come bene pubblico globale è un grandissimo punto di partenza perché da lì si possono immaginare delle politiche di sostegno alla cultura interpretata come ciò che ci accomuna. Dar parola al dolore Studio di due personaggi che ci permettono di analizzare il tema del rapporto tra sofferenza e politica, questo perché abbiamo già visto diverse volte quanto il rapporto tra culture sfocia in una tensione dolorosa, vuoi perché il potere a volte non sopporta la manifestazione della diversità anche culturale, vuoi perché le culture non si capiscono e quindi non riescono ad entrare pacificamente in contatto le une con le altre e quindi la questione di giustizia dentro il rapporto tra le culture diventa una questione cruciale per la politica internazionale. Foucault, famoso sociologo e filosofo francese degli anni Settanta. Leggeremo documento che lesse a Ginevra durante una conferenza stampa a favore dei rifugiati vietnamiti (era l’epoca dei cosiddetti boat people); Vittorio Arigoni. Vik: Vitttorio Arigoni. Ucciso da gruppo sciita presumibilmente legato ad Al Qaeda, era un attivista e scrittore, scriveva per Il Manifesto, che va attraverso una ONG sulla striscia di Gaza, uno dei posti al mondo più controverso. Era militante e attivista pro palestinese e tuttavia era per la soluzione bi nazionalista e quindi criticava anche Hamas, che aveva un operato autoritario e teocratico. Famoso per il suo appello “restiamo umani”, che poi è diventano un libro che raccoglie articoli che scriveva durante l’offensiva israeliana famosa per essere stata nominata “operazione piombo fuso”, nel 2008. Il suo è un appello a non dimenticarsi che siamo parte della stessa famiglia umana, questo è l’aspetto interessante e commovente dell’opera di Vik. Perché nel 2008 parte l’operazione piombo fuso? Perché dal 2001 al 2008 Hamas lancia centinaia di missili su Tel Aviv provocando in otto anni una quindicina di morti, con tutto il carico di paure che questo comporta. Nel solo primo giorno di bombardamenti Israele fa 300 morti palestinese. Da Hamas questo è stato chiamato un massacro e Vik era lì, con un’altra decina di internazionali a fare reportage, fornisce racconti e video che manda e pubblicati su youtube. Vik, in un contesto di impossibilità, in cui le belle parole come libertà, giustizia, verità che non sembrano più non solo prospettive, ma nemmeno concetti praticabili, ricorda che si può ancora non uccidere il desiderio che le parole come giustizia, uguaglianza, ecc… diventino reali. Scaricato da Camilla Mazzolin ([email protected]) lOMoARcPSD|6166064 Nel 2011 viene catturato e ucciso. La sua morte è stata strumentalizzata: Hamas e Israele si sono accusate a vicenda. Non si sa bene come siano andate le cose, si pensa che sia stato ucciso da un gruppo vicino ad Al Qaeda. Il punto di partenza di Vik: dare parola al dolore. Riprendiamo frase di Shakespeare, dalla sua opera “Macbeth”: “Give sorrow words; the grief that does not speak Whispers the o’er-fraught heart and bids it break”, “date parola al dolore”: in fondo a cosa serva la riflessione filosofia, a cosa serve la riflessione politica se non per far passare il dolore nelle parole, poter dare al dolore una forma comunicabile. Ovviamente sappiamo bene che non tutto il dolore di una persona può passare attraverso il filtro del linguaggio, ma è importante che ci proviamo perché altrimenti, dice Shakespeare, “il dolore che non parla bisbiglia al cuore sovraccarico (spiegazione: tante persone che soffrono se non trovano la via di rendere il dolore una parola scambiabile, il dolore si sovraccarica) e gli intima di spezzarsi (e quando il cuore si spezza è troppo tardi perché le persone non ce la fanno più)”. Questa è un’istruzione politica: il compito della politica è questo: trovare il modo creativo, aperto all’immaginazione di ciascuno di noi, per soccorrere chi si trova in situazione di dolore e provare ad aprire una dinamica di ascolto (attivo), una delle qualità fondamentali del dialogo: se non c’è ascolto non c’è dialogo. Compito della politica è questo: dare parola al dolore, soprattutto laddove la tensione tra culture porta ad un clash così dirompente che le persone rinunciano alla parola e quello è sempre l’inizio della violenza, situazioni in cui le differenze culturali sono tali per cui le divisioni provocano morte, scontro sanguinoso. Il cuore spezzato di Shakespeare è una persona che ormai è disposta a tutto, anche a eliminare l’altro perché non ha più nulla da perdere. Ecco allora che bisogna evitare questa situazione, questo è il compito della politica: deve essere attenta, sveglia, pronta a intervenire. Se leggiamo la dichiarazione universale con questo spirito per cui la priorità fondamentale è proprio quella di evitare il male, evitare la sofferenza, questo lo capisce anche un bambino. Forse facciamo una grande fatica a capire se siamo in grado di fissare dei beni comuni, ma su cosa è male facciamo meno fatica a concordare, è un concetto che riusciamo a concepire come più universale, mentre per quanto riguarda ciò che è bene per me e per te è più difficile da individuare. Ecco che l’obiettivo della dichiarazione universale non è tanto quello di concordare su un bene, ma è quello di individuare ed evitare il male comune, da cui tutti devono essere protetti. Vedi quadro di Munch: è rappresentata la madre morta e in primo piano c’è una bambina, che si tappa le orecchie, ma nessuno sta urlando. È come l’urlo silenzioso della morte che travolge questa bimba che per non esplodere si tappa le orecchie. Ecco che in una situazione del genere dar parola al dolore significa poter permettere a questa bimba di abbassare quelle mani e di poter comunicare a qualcuno quel dolore che ha dentro, perché altrimenti l’unica cosa che le resta da fare per non esplodere è quella di tenersi le orecchie impedendo al silenzio della morte di entrare e di farla esplodere. Dar parola al dolore è il cuore stesso del dialogo interculturale, altrimenti diventa una fiera. Teniamo insieme questi due punti: ¥ Restare umani. ¥ Condizione per restare umani consiste nel trovare il modo di disarmare il dolore, perché il dolore è un’arma a doppio taglio che può ucciderti oppure scatenare un’aggressività contro l’altro che diventa ingestibile. Michel Foucault Siamo nel 1981 e Foucault è insieme ad amici e colleghi parigini dell’università, c’è anche Sartre e lì scrive questo testo i cinque minuti prima della conferenza stampa che ha come scopo il tenere a Scaricato da Camilla Mazzolin ([email protected]) lOMoARcPSD|6166064 battesimo un comitato internazionale contro la pirateria insieme ad alcune ONG come Amnesty International, e varie altre, per fronteggiare la questione dei boat people, cioè i rifugiati del Vietnam che lasciano il paese. Succede infatti che il Vietnam del nord, comunista, invade il Vietnam del sud e comincia a massacrare chi ritiene non adeguato al nuovo regime. Stiamo parlando di un fenomeno che riguarderà in questi anni 800 000 persone. Foucault è lì anche per sensibilizzare l’opinione pubblica francese che di questo non sa un granchè. Succede che molti cominciano a prendere questi barconi senza nessuna speranza, si imbarcano nella speranza di incrociare la rotta di qualche nave per poi venire salvati, quindi non hanno nessuna meta. Accade spesso che invece vengano affondati dai pirati che se ne approfittano, oppure sono travolti dal maltempo nel golfo della Thailandia. Questo testo viene dunque scritto proprio nei cinque minuti prima di entrare nella conferenza stampa, dove lo leggerà. Il suo discorso contiene tante cose molto potenti sul senso della politica e sul nostro prendere parola. Egli dice: “non siamo qui se non come uomini privati (non abbiamo nessun ruolo istituzionale, cioè non è che ci ha mandati qualcuno, l’abbiamo fatto di nostra spontanea volontà perché è nel nostro diritto) e non abbiamo altro titolo a parlare se non per il fatto che siamo degli esseri umani (in quanto esseri umani abbiamo il diritto di parlare, è un diritto base, self-evident e qui torna la dichiarazione d’indipendenza), siamo qui per parlare assieme (è l’idea della social catena nella Ginestra di Leopardi) e siamo qui anche per via di una certa difficoltà che sentiamo a sopportare quello che sta succedendo (cioè siamo arrivati ad un livello di inaccettabilità per quello che sta succedendo ai nostri fratelli e sorelle pur dall’altra parte del mondo, che non riteniamo più sopportabile. Dunque, vediamo che questa difficoltà comune a sopportare quello che succede è proprio ciò che spinge ad uscire dal silenzio). Io so bene, e bisogna arrendersi all’evidenza: le ragioni per cui uomini e donne preferiscono abbandonare il proprio paese piuttosto che viverci, noi non ci possiamo fare molto. La questione è al di fuori della nostra portata”. Sa che il fatto di essere qui a parlare non farà una grande differenza per le persone che in questo momento stanno morendo dall’altra parte del mondo, cioè donne e uomini che decidono di prendere la via del mare senza nessuna speranza. Il fatto che sta accadendo è al di là della nostra portata (e tuttavia possiamo provare a fare qualcosa, non stiamo zitti, sarà poco? È un po’ come Madre Teresa di Calcutta quando le dicevano che la sua azione in India, che vive in una situazione disastrosa, è come una goccia nell’oceano. E lei rispondeva sì però se non lo facessi l’oceano avrebbe una goccia in meno). Siamo persone “Chi ci ha detto di stare qua? Nessuno. E il fatto che nessuno ce lo abbia detto è proprio il motivo che fonda il nostro diritto di stare qui (perché siamo degli esseri umani e dall’altra parte del mondo ci sono degli esseri umani che stanno morendo, dunque non possiamo più stare in silenzio: il dolore che passa attraverso la parola. Quelli non li ascolta nessuno e allora almeno portiamo la loro voce in un contesto istituzionale come quello di Ginevra)”. Serie di punti importanti: 1. Contro gli abusi di potere: “Esiste una cittadinanza internazionale (la cittadinanza internazionale consiste nel fatto di sentirsi parte di una comunità che va al di là delle bandiere e dei confini, è chiaro che non esiste formalizzata giuridicamente una cittadinanza internazionale, ma sta facendo riferimento ai principi classici settecenteschi del cosmopolitismo, cioè il sentirsi, oltre che cittadini nazionali nel paese in cui si risiede, cittadini del mondo) che ha i suoi diritti e i suoi doveri. Questa cittadinanza internazionale, cioè questo sentimento di essere parte della medesima famiglia umana (che è esattamente il punto di Vik) ha i suoi diritti di elevarsii (diritto innanzitutto di non tacere e i suoi doveri, cioè di fare qualcosa) con chiunque siano gli autori che abusano del potere e chiunque siano le vittime di Scaricato da Camilla Mazzolin ([email protected]) lOMoARcPSD|6166064 quell’abuso di potere (Cioè non è che intervieni solo se quelli che sono oppressi sono d’accordo con te. No. Un abuso di potere è un abuso di potere e una vittima è una vittima). Siamo tutti dei governati e quindi siamo solidali rispetto ai governanti (cui sta addebitando l’abuso di potere: torna ancora una volta il concetto della social catena)”. Qui il punto di vista è: facciamo un passo indietro. Chiunque sia ad aver abusato del potere e chiunque siano le vittime da una parte e dall’altra noi abbiamo il dovere di fare qualcosa. 2. Tema dell’infelicità degli esseri umani: tema che si aggancia bene alla dichiarazione di indipendenza e alla formulazione del diritto alla ricerca della felicità, che non è il diritto ad essere felici, ma piuttosto dovrebbe essere la garanzia che ogni stato democratico dovrebbe dare ai propri cittadini di accesso a quel paniere dei beni minimi necessari per provare a realizzare la propria vita. Riferimento rispetto a questo paniere minimo è l’articolo 25 della Dichiarazione universale dei diritti umani, laddove si parla dello standard di vita adeguato, che comprende casa, lavoro, vestiti, cibo, che a noi sembrano cose scontate, ma in tanti paesi questa cosa non è affatto scontata. Questo articolo potrebbe dunque essere pensato come quel paniere dei mezzi necessari per provare ad essere felici. Guardiamo cosa è diventata la felicità quando Foucault scrive. “Siccome pretendono di occuparsi della felicità delle società, i governi si arrogano il diritto di fare la conta dei profitti e delle perdite dell’infelicità degli uomini, che le loro decisioni provocano o che la loro negligenza permette (come a dire io società faccio una politica e questa politica avrà degli effetti collaterali, dunque qualcuno starà male. È un costo che posso sostenere? Si. E allora faccio quella politica. Ecco cosa p diventato il diritto alla ricerca della felicità: che qualcuno fa spese di politiche scellerate semplicemente perché i governanti si sono arrogati il diritto di occuparsi della felicità degli esseri umani e delle società. Cosa è scomparso? È scomparso il motivo per cui avevamo inventato i governi. I governi among men sono stati istituiti per garantire l’accesso a quei beni che poi ciascuno doveva poter utilizzare liberamente per cercare il proprio modo di essere felici. Qui siamo passati ad un livello superiore in cui i governi non si occupano più di garantire l’accesso ai beni primari per tutti in maniera paritaria, ma si sono arrogati il diritto di decidere chi è felice e chi no e chi non è felice è scartato come un effetto collaterale. Pensiamo alla fame nel mondo: più di 700 milioni di persone secondo di dati FAO. Se pensiamo alla fame nel mondo abbiamo ancora questa reazione immediata per cui pensiamo che la fame colpisca alla ceca (cioè: poveri gli affamati del mondo che sono nati nel sud del mondo, gli è andata male), ma il relatore speciale per il diritto al cibo nei primi anni Duemila, Siglèr, è un genocidio, nel senso giuridico del termine perché è provocato da scelte politiche scellerate di alcuni paesi. Il 90% e oltre delle carestie sono frutto della scelta politica. Quello che dice Foucault allora è: ma di cosa stiamo parlando quando ci viene in mente il vecchio diritto alla ricerca della felicità? Non c’è più quella cosa lì, ma piuttosto c’è un abuso di potere per cui i governanti decidono chi è felice e chi no e gli scarti della macchina messa in piedi sono un danno collaterale. Finché il gioco vale la candela, allora lo si continua a fare. Pensiamo oggi quanto fa fatica a passare l’idea che ci dovrebbe essere una sostenibilità in grado di modificare il modello di business che sta alla base dell’Europa e non solo, mentre invece si fa sostenibilità solo se questo fa aumentare il profitto: nessuno vuole abbassare il profitto cambiando il modello. Altro riferimento molto potente: discorso di Robert Kennedy, 1967: discorso sul PIL all’università di Chicago. Dice: il PIL ci serve per misurare se sta bene un paese, ma non misura un sacco di altre cose, non riesce a catturare un sacco di cose, per esempio, la qualità della nostra educazione, del nostro dibattito pubblico, la bellezza della nostra poesia, l’opinione che ciascuno ha del proprio paese. Insomma, egli dice che il Pil misura tutto tranne le cose per cui vale la pena di vivere nel nostro paese. Da lì comincia un dibattito importantissimo su come si misura il benessere di un paese. Torniamo a discorso di Foucault: Scaricato da Camilla Mazzolin ([email protected]) lOMoARcPSD|6166064 “il benessere delle persone è diventata una questione di puro calcolo. È un dovere di questa cittadinanza internazionale di far valere agli occhi e alle orecchie dei governi, la sofferenza degli uomini di cui non è vero che loro non sono i responsabili (La tua politica produce infelicità. Non è vero che è un danno collaterale, ma ne sei responsabile. È un’accusa molto forte e sta dicendo anche alla comunità internazionale che se non interviene per la questione dei profughi vietnamiti sarà responsabile della loro sofferenza)”. “La sofferenza degli uomini non deve mai essere un rimasuglio muto della politica”. (Questo si lega bene a quanto abbiamo detto prima: date parola al dolore: noi tutti cerchiamo il modo di fare in modo che questa sofferenza trovi la via della parola e diventi un appello alla giustizia, ma non che resti muta, dove la politica non è più in grado di parlare alle persone che soffrono (questo è un punto interessante che troviamo potentissimo anche in Antonio Gramsci, che scrive dal carcere fascista: “i politici sono inetti perché non sanno cosa vuol dire provare la fame” e dunque come possono occuparsi del tema della povertà: accusa molto forte, pesantissima). “Questo dolore che chiede di essere parlato, di passare attraverso la forma della denuncia e dell’indignazione, fonda questo diritto assoluto ad alzarsi in piedi (è il diritto assoluto di stare in piedi e di fare resistenza, tema molto trattato da Bob Marley nelle sue canzoni). Il punto chiave è questo: un resto muto della politica, cioè quando la politica smette di fare quello per cui è stata pensata perché più in basso di così non si può andare in quanto dopo quello c’è la guerra. 3. Rifiutare il ruolo teatrale della pura e semplice indignazione. “Normalmente questo è quello che ci viene proposto, la divisione del lavoro, che va rifiutata, questa divisione del lavoro va rifiutata: agli individui di arrabbiarsi e di parlare, ai governi di riflettere e di agire. Non accettiamo questa divisione, non ci va bene. E’ vero, i buoni governi amano la santa indignazione dei governati, purchè questa resti puramente lirica, fittizia e quindi va bene se rimane puramente lirica, fittizia perché non disturba (pensiamo al fatto che all’inizio persino il fascismo garantisce una contropropaganda, come a dire guarda quanto siamo liberal, ma ovviamente non è affatto così). Noi rifiutiamo questo ruolo della santa indignazione puramente lirica.Credo che occorra rendersi conto che molto spesso sono i governanti che parlano, non possono e non vogliono fare altro che parlare. L’esperienza mostra che si può e si deve rifiutare il ruolo teatrale della semplice indignazione che ci propongono”. Non siamo qui per fare teatro, per consentire poi ai governanti di dire che sono democratici in quanto danno spazio alle voci, ma poi la realtà dei fatti è che ignorano tutto quanto, lasciano sbraitare (es: così si faceva all’inizio con i movimenti femministi). Quindi Foucault in questo passaggio mette in guardia da questo gioco del potere: vuoi parlare, allora parla ma tanto poi io ti ignoro. 4. Diritto di intervenire. “Amnesty International, Terres des hommes sono delle iniziative che hanno creato questo diritto nuovo: quello degli individui comuni a intervenire effettivamente nell’ordine delle politiche e delle strategie internazionali”. Sta dicendo che gli strumenti ci sono, ci sono tutta una serie di patti internazionali che consentono anche agli individui di fare appello alla comunità internazionale, solo che noi quando pensiamo a questi patti internazionali, pensiamo che sono cose che riguardano gli stati e invece sono strumenti che possono essere usati da ciascuno di noi. “La volontà degli individui deve inscriversi in una realtà i cui governi hanno voluto riservarsi il monopo

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