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This document provides an overview of general psychology, exploring fundamental concepts, historical context, and key figures shaping the discipline. It covers the definition and subject matter of psychology, examining its evolution and various subdivisions. The document also touches on the history of psychology and the conditions that led to its emergence as a distinct science.
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Psicologia Generale Il termine Psicologia (deriva dal greco psyché (ψυχή) = spirito, anima e da logos (λόγος)= discorso, studio ed è letteralmente lo studio dello spirito o dell'anima. Nasce tra il XVI ed il XVII secolo. Si disputa se a coniare il termine sia stato Fil...
Psicologia Generale Il termine Psicologia (deriva dal greco psyché (ψυχή) = spirito, anima e da logos (λόγος)= discorso, studio ed è letteralmente lo studio dello spirito o dell'anima. Nasce tra il XVI ed il XVII secolo. Si disputa se a coniare il termine sia stato Filippo Melantone o Rodolfo Goplenio. Solo nella seconda metà dell’800 il termine comincia ad essere utilizzato per designare una disciplina scienti ca autonoma dalla loso a e dalla meta sica con un’accezione simile a quella moderna. Prima del termine “psicologia” si preferivano espressioni come “scienza della morale” (morale come insieme dei fatti psichici), “scienza dell’uomo” o “antropologia” (come studio che comprende aspetti siologici, psicologici e sociali). Che cos’è la psicologia? È lo studio dell’attività psichica individuale e sociale in rapporto all’ambiente in cui essa si manifesta. L’oggetto di studio è sia il comportamento , espresso dalla personalità (intesa come unità psico- sica) e dai processi psichici (sensazioni, percezioni, rappresentazioni, pensiero, sentimento…). La psicologia studia anche la formazione delle proprietà psichiche dell’uomo (esigenze, interessi, attitudini, capacità, abitudini, temperamento, carattere…). Questo perché gli aspetti somato-psichici sono considerati inscindibili. L’assunto di base è che l'attività psichica è sempre un ri esso della realtà oggettiva (ambientale, cioè naturale e sociale), ma è anche condizione indispensabile per l’azione del soggetto sulla stessa realtà oggettiva. Ovvero, attraverso l'azione psichica l'uomo può trasformare la realtà e, trasformandola, trasforma contemporaneamente se stesso. Dunque lo studio della psicologia è la conoscenza delle leggi dell’attività psichica, dello sviluppo della coscienza dell’uomo, della formazione delle qualità psichiche dell’individuo. Fino al 1870-80 la Psicologia è esistita come unica disciplina priva di sezioni ben de nite; in seguito si sono formate le seguenti sezioni: - p. generale, - p. dell'infanzia o evolutiva, - p. pedagogica, p. del lavoro, p. dell'arte, p. dello sport, p. delle anomalie (sordomuti, ecc.), p. patologica (nevrosi/psicosi), p. dei gruppi, ecc. Breve storia della psicologia La psicologia nasce u cialmente nell’Ottocento. Alcuni precursori sono: - Platone ipotizzò che la psiche fosse divisa in 3 parti. La prima, identi cata con il cocchiere di un carro, era pienamente cosciente e cercava di guidare le altre due parti: una dipendente dai valori etici e razionali (cavallo bianco, impeto) e l'altra dagli impulsi (il cavallo nero, istinto) (Mito del carro e dell'auriga). Questa distinzione assomiglia a quella di lo- Super lo- Es elaborata da Freud molti secoli dopo. - Ippocrate e Galeno cercarono invece di trovare delle relazioni tra fenomeni sici dell'organismo e fenomeni psichici dell'individuo che, seppur scienti camente infondate, hanno gettato le basi concettuali per lo sviluppo della psico siologia. Condizioni per la nascita della psicologia: - divisione mente-corpo (meccanicismo cartesiano) - passaggio dall'indagine sull'essenza della mente all'indagine sui suoi processi indipendentemente dalla sostanza che la compone (empiristi inglesi: Locke e Hume; associazionisti: Hartley, Mill, Bain) - passaggio dalla concezione di corpo come macchina a corpo come organismo animale La nascita convenzionale della psicologia è stata ssata al 1879, quando il siologo tedesco Wilhelm Wundt aprì il primo laboratorio di psicologia a Lipsia. I suoi studi erano legati ai principi dell'empirismo inglese, secondo il quale era possibile studiare la struttura dei contenuti della mente perché alla nascita la psiche è paragonabile a una tabula rasa. Quindi la mente è al principio vuota e si impara a percepire man mano che si fa esperienza del mondo esterno. Secondo Wundt, le percezioni sono formate da atomi (elementi più semplici) che si combinano assieme 1  fi fl fi fi fi ffi fi fi fi fi fi fi fi fi fi (associazionismo atomico); una sorta cioè di chimica mentale in cui la percezione di un oggetto è formata da un insieme di sensazioni differenti che vengono assemblate in seguito per formare il percetto (cioè l’esperienza soggettiva). Edward Titchener, allievo di Wundt, è considerato il fondatore dello strutturalismo. L'interesse di tale scuola è scoprire la struttura della mente in modo simile a quello degli studi di Wundt. Gli sperimentatori dello strutturalismo si esercitavano nell'introspezione esperta. Essa consisteva nella riduzione dei propri processi mentali in atomi, cercando di evitare l'errore dello stimolo (cioè attribuire ad una percezione complessa lo status di atomo), similmente a quanto faceva Wundt nei suoi esperimenti. Che cos’è la psicologia generale? Chiamata anche psicologia sperimentale, rappresenta la corrente principale della ricerca scienti ca sulle funzioni psicologiche di base e si pre gge di studiare con metodologia sperimentale la mente e il comportamento. Si devono contributi a: * Metodologie di derivazione comportamentista * Misurazione dei tempi di reazione o le tecniche psicometriche * Neuroscienze (tecniche elettro siologiche, di neuroimaging) Cosa studia la psicologia generale? L'organizzazione del comportamento e delle principali funzioni psicologiche (percezione, emozione, motivazione, memoria, apprendimento, pensiero e linguaggio) attraverso cui l'uomo interagisce con l'ambiente ed elabora rappresentazioni dell'ambiente e di se stesso. Studia, inoltre, la coscienza, la personalità, la comunicazione e l'arte. Comprende, in ne, le competenze relative sia ai metodi e alle tecniche della ricerca psicologica, sia ai sistemi cognitivi naturali e arti ciali e alle loro interazioni, sia alla storia della psicologia. La Psicologia Generale si occupa delle principali funzioni cognitive e mentali dell'essere vivente. Le informazioni che provengono dal mondo esterno, vengono percepite (percezione), ltrate (attenzione) e memorizzate (memoria). Alcune di queste informazione arrivano alla coscienza e altre no. Alcune vengono rielaborate in memoria e contribuiscono a produrre altra conoscenza (ragionamento, problem solving). Questo sistema di cose ci permette di muoverci all'esterno e interagire (linguaggio e comunicazione) e raggiungere degli scopi (motivazione) che ci possono soddisfare o meno. 2  fi fi fi fi fi fi 1ª Lezione - Psicologia Generale 15 ottobre 2024 Introduzione La psicologia generale si occupa dello studio della coscienza, della personalità, della comunicazione e dell’arte, utilizzando metodi e tecniche di ricerca psicologica. Le funzioni cognitive e mentali dell’uomo sono informazioni che arrivano dall’esterno e che vengono rielaborate (non tutte però arrivano alla coscienza). Ogni comportamento dell’uomo è mirato al soddisfamento di un bisogno e quindi alla base c’è una motivazione. La malattia richiama all’elemento della fragilità e richiama pensieri mortiferi. La paura non è una malattia, ma una emozione siologica. Tutti gli esseri umani provano paura, poichè essa fa attivare una serie di sistemi siologici del sistema simpatico e parasimpatico, stimolando la reazione di attacco e fuga. Le fobie invece hanno un signi cato clinico, che possono derivare magari da un’esperienza infantile che scaturisce in una fobia. Paura e ansia sono due cose diverse, l’ansia porta alla fobia. Le fobie possono essere comunque apprendimenti non consapevoli e possono essere curate attraverso vari modi, andando anche a capire il contesto sociale in cui il paziente vive. Il trauma è un esperienza che viene vissuta. Il DSM-5 dice che “il trauma è un’esperienza che porta la persona a pensare che la sua vita sia in pericolo, che sta per morire” (es: trauma di guerra/ stupro/incidente). Il trauma può derivare anche da un’ ESPERIENZA INDIRETTA, cioè vista e non vissuta in prima persona. Il cognitivo comportamentista ti dà gli strumenti per risolvere un problema/ curare una fobia, indagando la situazione. Ovviamente se viene risolto solo il sintomo, il problema alla base non verrà eliminato e per tanto potrebbe un giorno ripresentarsi. LA BASE DELLA PSICOTERAPIA E’ LA TRASFORMAZIONE TRAMITE IL CAMBIAMENTO. Comunicazione interpersonale nelle relazioni d’aiuto Le relazioni d’aiuto sono tutte quelle situazioni in cui una persona ha bisogno di aiuto e un’altra ha gli strumenti e i mezzi per diminuire la sua condizione di bisogno. Ciò che noi siamo dipende molto dalle nostre esperienze del passato (es: un bambino che cresce in un contesto sano sarà probabilmente una persona equilibrata, sapendo di essere una persona degna d’amore e in grado d’amare). L’amore, specialmente nelle relazioni madre- glio è fondamentale per lo sviluppo del bambino, ha una forte valenza evolutiva che genera vicinanza e calore ma dalla quale può scaturire la “teoria dell’attaccamento” (il bambino ha bisogno della vicinanza della madre per poter sopravvivere, cosa che Freud giusti cava considerando la madre come un oggetto). La relazione d’aiuto è una situazione complementare (poichè i due individui si completano a vicenda, una ha gli strumenti e l’altro no) e asimmetrica (poichè solo uno potrà dare aiuto, mentre l’altro avrà bisogno dell’aiuto, dunque i due individui non sono sullo stesso piano): una persona impotente e una invece che può porre ne alla sua situazione di bisogno. Ma bisogna creare un rapporto di ducia con il paziente, imparando a bilanciare le emozioni. Per poter instaurare un buon rapporto con il paziente l’infermiere deve considerare l’uomo come un’unità bio-psico-sociale, concetto grazie al quale viene valutata la sofferenza sia sica che psichica del paziente. Dell’unità bio-psico-sociale distinguiamo 3 livelli: - Livello biologico: dà rilievo al substrato anatomo-strutturale e sio-patologico della malattia; 3  fi fi fi fi fi fi fi fi fi - Livello psicologico: evidenzia gli effetti psicologici, motivazionali e di personalità che incidono sull’insorgere della malattia, ma anche sul suo evolversi e sul suo concludersi; - Livello sociale: valuta le in uenze micro-sociali e familiari, nonché, quelle macro-sociali, ambientali ed economiche, sull’esprimersi della malattia. Dunque è bene che l’operatore sanitario instauri un corretto rapporto con il paziente, che rappresenta un buono strumento di evoluzione e risoluzione del problema. La capacità di sviluppare un ef cace rapporto terapeutico operatore sanitario-paziente richiede una solida conoscenza della complessità del comportamento umano ed una rigorosa educazione alle tecniche d'ascolto della persona e di comunicazione interpersonale Il primo assioma della comunicazione è il linguaggio: è impossibile non comunicare, in quanto è ciò che ci differenzia dagli animali. La comunicazione ef cace all’interno di una relazione d’aiuto coniuga 3 dimensioni: -SAPERE: conoscere gli studi sulla comunicazione -SAPER FARE: conoscere le tecniche di comunicazione (nelle relazioni di gruppo o duali) -SAPER ESSERE: saper comunicare con sè stessi Dimensioni che sono indispensabili per l’autonomia nelle scelte di vita. Il Sapere: la teoria della comunicazione Un operatore impegnato in relazioni di aiuto al ne di padroneggiare i processi comunicativi attivi nel rapporto con l'utenza, dovrebbe conoscere gli studi sulla comunicazione perchè conoscere i processi che intervengono nelle dinamiche interpersonali può aiutare nel dif cile compito di gestirle in maniera attiva e propositiva Il Saper fare: le tecniche comunicative Chi opera nelle relazioni di aiuto dovrebbe anche padroneggiare alcune delle più importanti tecniche utili per favorire ed indirizzare le dinamiche comunicative, nelle relazioni duali e di gruppo Il Saper essere: comunicare con sé stessi La relazione di aiuto comporta, per l'operatore, la progressiva conoscenza di sé come primo strumento di intervento, basilare per de nire una buona relazione. Per chi opera nelle relazioni di aiuto è fondamentale avere una certa consapevolezza del proprio stile comunicativo 4  fi fi fl fi fi fi 2ª Lezione - Psicologia Generale 22 ottobre 2024 La Comunicazione Nella sua accezione più ampia è lo “scambio di messaggi/ informazioni tra organismi unicellulari, animali, macchine o uomini”. Dal latino “communis”: mettere in comune, condividere, prender parte. Il termine “comunicazione” è impiegato sul piano biologico, ecologico, etologico e umano per indicare quello scambio di messaggi che riguarda le piante, gli animali, le macchine e l’uomo. Possiamo considerare comunicazione qualsiasi evento, oggetto, comportamento che modi ca il valore di probabilità del comportamento futuro di un organismo. In questo modo la comunicazione assume rilievo in ogni ambito, in quanto tutto è comportamento ed una delle qualità di esso è che non esiste il suo opposto, non esiste cioè qualcosa che sia un “non comportamento”. Comunicazione è qualsiasi comportamento che avviene in presenza di un'altra persona, che ci sia intenzionalità o meno. L'attività o la non attività, le parole o il silenzio hanno tutti un valore di messaggio che in uenzano gli altri dai quali a loro volta sono in uenzati. Da ciò si deduce come il semplice fatto che non si parli o che non ci si presti attenzione reciproca costituiscano valore di messaggio, dunque anche la "non comunicazione" comunica qualcosa (non si può non comunicare: qualsiasi segnale, o il tono di voce, ma anche i silenzi o il modo di vestire sono comunicazione). La comunicazione è di tipo: - VERBALE: in cui il messaggio è af dato alle parole, le quali a loro volta possono essere trasmesse in modo scritto o orale. Il piano verbale presenta 2 sottoaspetti: quello del contenuto (i concetti espressi) e quello della forma verbale (intonazione, accento), che rappresentano il piano "sonoro" della comunicazione (l’intonazione ad esempio nelle frasi sarcastiche). È il pensiero che diventa parola, ma siamo ancora a livello razionale (poiché ci ragiono prima di dirlo); - NON VERBALE: In cui il messaggio è af dato a gesti, oggetti, immagini, ambienti, mimica facciale, atteggiamenti: tutto ciò trasmette qualcosa, in quanto "non si può non comunicare". (il linguaggio è spesso fonte di equivoci). La comunicazione: risponde a bisogni pratici (serve a conoscere e a farci conoscere, ad avere informazioni, ad educare, a curare...) è la modalità essenziale di collegamento tra gli uomini a partire da un bisogno profondo il campo verbale è soltanto la punta dell'iceberg dell'esperienza comunicazionale Alla ne degli anni '60, uno psicologo statunitense Albert Mehrabian ha condotto ricerche sull'importanza dei diversi aspetti della comunicazione nel far recepire un messaggio (quando si tratta di sentimenti e atteggiamenti) e notò che la comunicazione non verbale in uisce per il 55%, la comunicazione paraverbale (tono, volume, ritmo) per il 38% e le parole, il contenuto verbale incidono per il 7%. Comunicazione non verbale La comunicazione non verbale (analogica) comprende lo sguardo, la mimica, i gesti, la postura, i comportamenti paralinguistici, cinesici e prossemici, e ha la funzione di sostenere, completare, 5  fi fi fl fi fl fl fi rinforzare o contraddire (rivelando la sua ambiguità, come nella menzogna) il messaggio verbale differenziandosene per il suo maggior impatto. Rappresentano comunicazione verbale: abbigliamento: (visibilità: gli abiti possono essere letti a distanza maggiore di quella che serve per percepire altri segnali inviati dal corpo); i messaggi che l'abbigliamento ci invia riguardo a sesso, status, ruolo, ecc... ci mettono in condizione di adattare il comportamento molto prima di quanto non potrebbero permettercelo l'analisi dell'espressione del viso o del modo di parlare; postura: il modo in cui le persone si atteggiano quando sono in piedi o quando camminano ecc..; gli individui possono anche manifestare il diverso grado di accessibilità consentito all'altro tramite l'atteggiamento posturale (ad esempio tenendo le braccia aperte o conserte). orientamento spaziale: il modo in cui le persone si situano rispettivamente nello spazio è indice di atteggiamenti interpersonali (di fronte, laterale, ecc…) mimica facciale e sguardo: la funzione essenziale delle espressioni facciali è quella di rinforzare ciò che viene detto e fornito dai feedback quando sono gli altri a parlare. In alcune occasioni la disaccordo tra il messaggio verbale e non verbale viene utilizzato per forme di comunicazioni speci che come l'ironia o il sarcasmo. distanza interpersonale: Hall, nei suoi studi sulla prossemica, ossia sul modo in cui le persone per convenzione si dispongono nello spazio, ha individuato quattro diverse distanze: 1. la distanza intima (0-35 cm) 2. la distanza personale (45-120 cm): interazione tra amici 3. la distanza sociale (1-3,5 m): comunicazione tra conoscenti o insegnante allievo 4. la distanza pubblica (dai 3 m in su): pubbliche relazioni La distanza interpersonale varia anche in rapporto anche alla cultura, all’ambiente e alle situazioni. La trasmissione di informazioni, dovuta alla comunicazione, per trasformarsi in signi cazione, necessita di un’interpretazione che si attua attraverso un codice (cioè un insieme di regole convenzionali). LA COMUNICAZIONE ACCADE IN PRESENZA DI 6 FATTORI: 1. Emittente: colui che produce il messaggio 2. Codice: sistema di riferimento in base al quale il messaggio viene prodotto 3. Messaggio: informazione trasmessa e prodotta secondo le regole del codice 4. Contesto: situazione in cui avviene la comunicazione e comprende ambiente, partecipanti e scopo 5. Canale: mezzo sico-ambientale che rende possibile la trasmissione del messaggio 6. Ricevente: colui che riceve e decodi ca ed interpreta il messaggio ASPETTI DELLA COMUNICAZIONE EFFICACE: - Valori: ciò che è importante nella nostra vita (casa, famiglia, religione, partito politico) - Criteri: ciò che è importante in un dato contesto o momento - Predicati: sono le parole alle quali fare attenzione sia quando le ascoltiamo che usiamo Nelle relazioni di aiuto se si vuole comprendere ciò che gli altri comunicano, se si desidera comunicare bene e ricevere un feedback positivo, è necessario prestare attenzione a tutto ciò che viene comunicato dall'altro, anche l’apparente ‘non comunicazione’. (Chiedersi: Cosa stanno esprimendo?) La comunicazione interpersonale È basata sull'interdipendenza tra componenti verbali e non verbali e sull’importanza del linguaggio del corpo che trasmetti signi cati con i gesti, invia informazioni su di sé utilizzando l’abbigliamento, 6  fi fi fi fi fi il trucco, ecc…, esprime emozioni con il volto, la voce, la postura e comunica atteggiamenti nei confronti degli altri con la vicinanza sica e con lo sguardo. Della comunicazione non verbale distinguiamo inoltre: - Aspetti Cinesici: volto e mimica facciale, sguardo, movimenti del corpo e gesti - Aspetti prossemici: distanza interpersonale e postura - Aspetti paralinguistici: intonazione, ritmo, vocalizzazione Esempi di funzioni della CNV rispetto alla CV: - Ripetizione e complementazione: la postura assunta da una persona può rinforzare il senso di ciò che dice verbalmente. - Contraddizione: nel corso di un colloquio espressioni verbali di tranquillità possono essere contraddette da un tremore alle mani o dal tamburellare di un piede (ansia). - Sostituzione: uno stato d'animo triste può manifestarsi attraverso la mimica o postura senza che necessariamente si veri chi una sua verbalizzazione. - Accentuazione: es. il gesto della mano che accompagna l'espressione “Vai fuori!” - Relazione e regolazione: es. il cenno del capo, lo sguardo per iniziare Problematicità della relazione Il processo di de nizione della relazione è effettuato da due persone attraverso una serie di proposte de nitorie, dove ognuno dei due partecipanti afferma per proprio conto un primo messaggio “ecco come mi vedo io rispetto a te qui e ora” e “ecco come ti vedo rispetto a me qui e ora”. C’è la NECESSITÀ DI UNA CONTRATTAZIONE: “ecco come noi ci vediamo reciprocamente qui ed ora”. Questa contrattazione de nisce: -Che tipo di messaggi sono ammessi -Che tipo di comportamenti possono essere effettuati -Chi ha il controllo della relazione Nessuno si può sottrarre a queste regole in quanto ogni messaggio comporta un aspetto di “COMANDO-RICHIESTA” (controllo non vuol dire ‘comandare’ ma far rispettare la propria de nizione della relazione) Esistono due tipi di relazione: - COMPLEMENTARIETÀ: quando le due persone sono in una condizione di disuguaglianza (up- down) - SIMMETRIA: quando due persone si comportano come se fossero in posizione paritaria Il disaccordo produce una battaglia per la de nizione della relazione che viene denominata ESCALATION SIMMETRICA, dove due persone sono in lotta per de nirsi superiore all'altro. Non è una patologia tentare di avere il controllo della relazione, lo diventa quando si tenta di ottenerlo e allo stesso tempo si nega di farlo utilizzando una comunicazione confusa ed ambigua. Altro fenomeno di problematicità della relazione è la MISCELA ESPLOSIVA, cioè l’utilizzare gli elementi della comunicazione in maniera contraddittoria al ne di controllare la relazione senza dichiararlo, comportamento che viene effettuato anche senza l'intenzionalità ma all'interno di una rete di relazioni patologiche. Per realizzare una comunicazione autentica è necessario che l’emittente e il ricevente utilizzino lo stesso codice e che, non solo conoscano la stessa lingua, ma anche che il ricevente sappia decodi care il messaggio ricevuto secondo le istruzioni dell’emittente. Allo stesso modo se l'emittente vuole essere compreso deve adeguarsi alle capacità conoscitive del ricevente e deve tener conto delle sua pre-comprensione (es: comunicazione tra medici o tra medico-paziente). 7  fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi Nella fase di passaggio dalla CODIFICA alla DECODIFICA - fra emittente e ricevente - si possono veri care: perdite, eliminazioni, ampliamenti, trasformazioni e distorsioni di parte del messaggio, fra ciò che l'emittente vuole comunicare e ciò che il ricevente recepisce, per motivi di diversa natura, come il grado di comunanza o discordanza esistente tra i soggetti che interagiscono relativamente al codice, alle esperienze, all'istruzione che ciascuno ha, all'ambiente in cui ci si trova (rumori,...), есс. LA DISTORSIONE Avviene perché la comunicazione è costituita, oltre che dalla componente razionale, anche da quella emotiva ed è in uenzata dalle personalità diverse che si mettono in relazione e ai meccanismi della percezione e di difesa. Ogni soggetto ha il proprio sistema di riferimento legato al proprio sistema percettivo, al concetto di sé, alla storia personale, ai bisogni affettivi, alle capacità cognitive, alla cultura, ai valori, alle motivazioni, alle aspettative, ai ruoli sociali e professionali, ecc. Ma se non si è in grado di decentrarsi dal proprio sistema di riferimento non si riesce a comprendere quello dell'altro e ne risulta una comunicazione inutile e senza senso. Anche la percezione e l'attenzione giocano un loro ruolo. Per difenderci dagli input in entrata selezioniamo le informazioni che ci interessano attraverso ltri siologici, emotivi e culturali. Essi agiscono assieme ai meccanismi di difesa che utilizziamo inconsciamente (negazione, rimozione, razionalizzazione) che ignorano o distorcono le informazioni che vanno contro il nostro sistema di riferimento. I fenomeni di distorsione possono essere evitati: esprimendosi con un linguaggio comprensibile, secondo un percorso logico esercitando la capacità di sintesi non assumendo atteggiamenti autoritari o di superiorità predisponendosi all’ascolto dell’altro sospendendo giudizi e pregiudizi 8  fi fl fi fi 3ª Lezione - Psicologia Generale 05 novembre 2024 La Comunicazione e cace La comunicazione risulta ef cace quando: – vi è la ricezione del messaggio – si ha una codice condiviso – si ha un segnale di risposta – verbale e non verbale sono in armonia – vi è circolarità (ovvero nello scambio comunicativo ci deve essere circolarità, parlare e ascoltare) Lo scambio comunicativo è precondizione per il processo di di de nizione della relazione. La comunicazione ef cace aiuta a farsi comprendere e a comprendere meglio gli altri, a raggiungere i propri obiettivi e migliora la disponibilità degli altri nei nostri confronti, implica il riconoscere l’UNICITÀ e la DIVERSITÀ di ogni individuo e che il signi cato di una comunicazione non sta in ciò che noi pensiamo signi chi quel determinato messaggio inviatoci, ma nella risposta che otteniamo e nella reazione che provochiamo. Esiste sempre un aspetto di CONTENUTO e uno di RELAZIONE. Sullo sfondo rimangono i dati e le notizie, mentre, in primo piano, la PERSONALITÀ dei membri dello scambio. La comunicazione richiede capacità di: - Empatia: che per quanto riguarda la professione infermieristica è fondamentale, ma allo stesso tempo bisogna saper prendere le giuste distanze. - Ascolto attivo Empatia La capacità di identi carsi con un'altra persona in una determinata situazione, di sentire ciò che sente l’altro, di immedesimarsi con i suoi vissuti, pur mantenendo la giusta distanza. Ascolto attivo Un’attitudine che ognuno porta con sé, ma che dobbiamo imparare a sviluppare e ad utilizzare in modo cosciente. Se, infatti, impariamo a concentrare la nostra attenzione sui segnali che ci giungono dall’interlocutore, e non soltanto su ciò che ci dice, la nostra capacità di comunicare in modo positivo e corretto aumenterà enormemente. Saper “cogliere fra le righe” ad esempio la variazione del tono muscolare, il movimento della mano, il variare del tono della voce, il cambiamento di direzione di uno sguardo, fa sì che il messaggio che intendiamo inviare raggiunga l’obiettivo, perché risponderà al vero contenuto della comunicazione. “Saper ascoltare” Signi ca saper farsi “recettori” di tutto quello che un paziente “porta”, dunque anche come descrive il problema, quali vissuti emotivi ha di questo, quali sono le sue interpretazioni, che svantaggi ed anche, paradossalmente, vantaggi ne ricava, quali enfatizzazioni ha di un sintomo piuttosto che di un altro, quali sono le sue paure, le sue speranze, le sue delusioni, quanto investe emotivamente sulla risoluzione della malattia, quale è la sua vita (origini, istruzione, lavoro, famiglia, ambiente domestico…) insomma, quale è in de nitiva il suo “terreno globale” emotivo-affettivo-corporeo- sociale in cui “vive” ed è “vissuta” la malattia. Fondamentale quindi saper cogliere l’interezza/ la totalità del paziente, accompagnandolo nel suo percorso di cura. L’ascolto attivo richiede: - Attenzione: intesa non come attenzione di tipo tecnico, ma come reale e profonda capacità di percezione, motivata da un sincero interesse verso l’altro; 9  fi fi fi ffi fi fi fi fi fi - Chiarezza: che non è una “semplice” chiarezza dell’espressione verbale, ma che deve corrispondere ad una chiarezza di pensiero, ad un’esposizione corretta ed esplicativa che possa oltrepassare gli schemi mentali di ognuno e portare il “vero” messaggio; - Comprensione: insieme di imparzialità, lungimiranza e stima. L’ascolto attivo è una tecnica che esprime il linguaggio dell’accettazione e consta di 4 momenti: ASCOLTO PASSIVO (silenzio): permette all’altro di esporre, senza essere interrotto, i propri problemi; MESSAGGI DI ACCOGLIENZA: indicano al soggetto che l’altro lo segue e lo ascolta e dimostrano che si ascolta e si capisce quanto viene detto. Possono essere verbali (ti ascolto, sto cercando di capire) o non verbali (un sorriso, un cenno); INVITI CALOROSI: incoraggiano l’altro a parlare, ad approfondire quanto sta dicendo ("vuoi dire questo …?", "puoi chiarire questo? …"). Non valutano, non giudicano, incoraggiano una persona a continuare a parlare ("questo è molto interessante", "capisco", …); ASCOLTO ATTIVO: il destinatario “ri ette” sul messaggio dell’emittente, senza emettere giudizi personali. Il soggetto si sentirà oggetto di attenzione, non subirà valutazioni negative, coglierà accettazione e comprensione e sarà stimolato a trovare da solo la soluzione ai suoi problemi. Non rispecchia le parole, ma i sentimenti, l'essenza del messaggio. L’ascolto attivo facilita l’esternazione di sentimenti ed emozioni, aiuta la produzione di pensieri, fa assumere al soggetto la responsabilità di analizzare e risolvere i problemi, rende possibile un rapporto più stretto lasciando cadere le “barriere comunicative”. Af nché l’ascolto attivo funzioni, è necessario avere profonda ducia nella capacità degli allievi/ gli di risolvere i problemi, essere capaci di accettare sinceramente i sentimenti espressi dagli alunni/ gli/altri, essere disposti ad aiutare gli allievi/ gli e a trovare il tempo per farlo, sentirsi partecipe dei problemi che l'allievo/ glio sta attraversando (ma non al punto di immedesimarsi completamente), capire che gli allievi/ gli raramente riescono a con darsi e ad andare al nocciolo del problema (l'ascolto attivo aiuta loro a chiarire il problema) e rispettare la privacy e la natura con denziale di qualsiasi cosa che l'allievo/ glio riveli relativamente a se stesso e alla sua vita. Le 12 barriere della comunicazione Ordinare, comandare, esigere Avvisare, minacciare, mettere in guardia Fare la predica, rimproverare, moralizzare Consigliare, dare soluzioni o suggerimenti Ammonire, persuadere con la logica Giudicare, biasimare, criticare De nire, etichettare, ridicolizzare Interpretare, analizzare, diagnosticare Rassicurare, consolare Apprezzare, dare delle valutazioni positive Contestare, indagare, interrogare Cambiare argomento, minimizzare, ironizzare Con il diversi carsi della nostra società, l’ascolto attivo diventa una COMPETENZA SOCIALE di base indispensabile. Competenze relazionali Le competenze comunicativo-relazionali dell’operatore sanitario stanno oggi assumendo un’importanza sempre più signi cativa nella de nizione della professionalità. Le sole competenze tecnico-scienti che non sono infatti più suf cienti per attuare programmi di promozione della salute e per la cura della malattia. Inoltre, negli ultimi anni si sta assistendo a un cambiamento del rapporto medico-paziente e della modalità di comunicazione tra i due. Sempre più, rispetto al passato, i cittadini vogliono capire e partecipare alle scelte sulla loro salute. Spesso le dif coltà 10 fi  fi fi fi fi fi fi fi fi fl fi fi fi fi fi fi fi fi maggiori emergono proprio nel rapporto con persone colpite da malattie gravi, come quelle oncologiche, dove il contatto con la sofferenza dell’altro, il bisogno di verità e la paura della morte costringono il medico a doversi confrontare con se stesso. Abilità comunicative e competenze relazionali speci che diventano essenziali tanto per ascoltare l’altro, e per comprenderne esigenze e paure, quanto per imparare ad ascoltare se stessi e le proprie emozioni. Saper ascoltare e saper comunicare —> imparare a comunicare con le persone malate e con i familiari può migliorare la loro condizione rendendoli più partecipi e meno soli, ma può migliorare anche la condizione del medico accrescendo la soddisfazione per il recupero di un rapporto più consapevole e solidale. La comunicazione come arte Per comunicare è necessario interagire pienamente con l’altro, mettendosi in relazione con mente e corpo e mostrandosi essibili, aperti e accoglienti. Sono inoltre indispensabili intuizione, presenza e partecipazione. Quando ci si muove nella relazione professionale, dove i ruoli sono differenziati e il centro dell’intervento è la persona che chiede aiuto, la comunicazione richiede: accoglienza, ascolto, capacità di empatia, consapevolezza e sospensione del giudizio. Pertanto deve essere chiaro: - “a chi” si comunica (“chi” è l’altro e “chi” comunica) - “cosa”, cioè il contenuto della comunicazione - “come”, cioè la modalità dello scambio comunicativo - “quando”, relativamente ai tempi della persona e del medico - “dove”, cioè in quale setting Capacità comunicative e umanità sono le caratteristiche principali della professionalità, che si esprime nell’attenzione alla persona che si ha di fronte, nell’ascolto dell’altro nel “qui ed ora” della sua esistenza e nella sensibilità con cui viene comunicata la diagnosi. Imparare a comunicare Per comunicare al malato le verità sulla sua condizione è fondamentale trovare i modi migliori, nel rispetto delle esigenze e della complessità della singola persona che deve essere vista nella sua totalità psico- sica. Ma la modalità di comunicazione non può essere assolutamente improvvisata. In primo luogo è necessario che l’operatore sanitario abbia consapevolezza delle proprie competenze comunicative, individuando limiti e potenzialità. L’abilità comunicativa deve essere appresa attraverso un preciso percorso formativo che preveda, innanzitutto, un approfondimento degli elementi teorici: - Comunicazione verbale/non verbale - Tecniche per relazionarsi con sicurezza e essibilità nel colloquio 11  fi fl fl fi 4ª Lezione - Psicologia Generale 12 novembre 2024 Il rapporto operatore sanitario-paziente Una delle qualità essenziali è l’interesse per l’uomo, in quanto il segreto della cura del paziente è averne cura. Una buona relazione favorisce l’instaurarsi di quella che viene chiamata Alleanza terapeutica e migliora, inoltre, quella che viene de nita Compliance del paziente. Alleanza terapeutica—> particolare aspetto del rapporto operatore sanitario-paziente che permette a entrambi di collaborare al miglioramento o al mantenimento dello stato di salute del paziente Compliance del paziente —> grado con cui un paziente aderisce alle raccomandazioni cliniche del curante. Tale comportamento collaborativo favorisce il buon esito del trattamento. Primo incontro operatore sanitario-paziente La prima impressione è quella che conta. La relazione si gioca nei primi minuti dell’incontro, per cui occorre applicare delle tecniche adeguate. Aspetti da mettere in pratica: - Attenzione - Esperienza - Informazione - Osservazione - Umiltà Aspetti da evitare: - Giudicare - Interpretare - Fornire soluzioni - Lasciarsi coinvolgere - Interpretare - Indagare Dunque abilità comunicativa, competenze relazionali e capacità empatiche sono indispensabili al ne di instaurare un buon rapporto operatore sanitario-paziente (rapporto che tuteli entrambi gli individui). Rischi dell’operatore Così come il paziente, anche l’operatore non è esente dai rischi derivanti da un’inadeguata relazione interpersonale. Quella degli operatori sanitari è infatti un’area ad alto investimento psico- emotivo. In particolare, la professione dell’operatore sanitario si caratterizza per la necessità di un elevato livello di competenza tecnica e per un notevole impegno di energie mentali. L’ascolto dell’“altro che soffre” richiede inevitabilmente una quota di identi cazione, quindi il confronto con la propria morte e i propri limiti. Per questo motivo ciò che spesso avviene è che l’operatore si difenda, abbandonando l’ascolto e svolgendo un’attività centrata sull’agire che consente di evitare un coinvolgimento troppo intenso con la situazione ansiogena. Il lavoro di chi “cura”, se da un lato è grati cante, dall’altro è particolarmente esposto al disagio perché appesantito dalle stanchezze e dalle sofferenze altrui. Le strutture complesse (ospedali, cta...) si basano sull’incontro di diverse gure professionali, che solitamente non possono scegliere di lavorare insieme, di chi avere cura e di cosa occuparsi. Inoltre, l’operatore sanitario si trova spesso ad affrontare problemi relativi alla struttura degli ambienti, ai tempi e alla organizzazione del lavoro, oppure alle non infrequenti ambiguità e contraddizioni relative al ruolo ricoperto. Il lavoro dell’operatore sanitario non costituisce una semplice produzione di beni/servizi, ma un complesso di processi, di servizi, che si intrecciano necessariamente con i vissuti dolorosi del limite, dell'incertezza, e con il timore della malattia e della morte, ovvero dell'inutilità della propria opera. Nel lavoro sanitario, la sofferenza evoca nei pazienti istanze emotive primarie, richieste regressive, mentre al contempo negli operatori sanitari 12 fi  fi fi fi fi evoca desideri di "salvezza onnipotente", sentimenti di ostilità, insofferenza, angosce persecutorie ed aggressività. Tutti questi fattori possono condurre ad una condizione di stress che può giungere al cristallizzarsi in una vera e propria sindrome che prende il nome di BURNOUT. Il burn out può veri carsi sotto l'aspetto degli ambiti operativi sia nel lavoro subordinato (es. rapporto di lavoro contrattualizzato alle dipendenze di una azienda sanitaria), sia nel lavoro parasubordinato (es. rapporto convenzionale come medico specialista con una azienda sanitaria), sia nel lavoro non retribuito (es. il variegato mondo del volontariato). Lo stress Secondo la de nizione tradizionale è la "reazione biologica aspeci ca dell'organismo alla presenza di un agente stressante nalizzata a ristabilire la condizione preesistente" (Selye, 1937) La risposta allo stress attraversa tre step: 1) Allarme: comporta modi cazione di carattere biochimico ed umorale; 2) Adattamento: l'organismo si organizza in senso difensivo; 3) Esaurimento: le difese crollano e l'organismo non riesce ad adattarsi ulteriormente. Lo stress non è una malattia, ma un’esposizione prolungata allo stress può ridurre l’ef cienza sul lavoro e causare problemi di salute, è indotto da fattori esterni all’ambiente di lavoro e può condurre a cambiamenti nel comportamento e ridurre l’ef cienza sul lavoro. Tutte le manifestazioni di stress sul lavoro non vanno considerate causate dal lavoro stesso (l’incidenza causale del fattore lavorativo va anche esaminato alla luce di eventuali malattie o stressor pregressi). Lo stress è inteso come una “condizione di perturbata omeostasi a seguito di uno stressor psicologico, ambientale o siologico”; può rappresentare il meccanismo comune sotteso a diverse variazioni siopatologiche (attivazione dell’asse IIS, alterazioni neurovegetative, alterate risposte immunitarie e pro-in ammatorie) che si presentano nei disturbi depressivi, d’ansia, in alcune patologie neurologiche (es. ischemia, stroke, SM). Le risposte che i soggetti mettono in atto di fronte alle situazioni stressanti sul posto di lavoro sono speci che ed individuali e dipendono sia da condizioni oggettive (cioè dalle condizioni dell’ambiente circostante) sia da condizioni soggettive (cioè dalle percezioni individuali delle situazioni). Gli elementi rilevanti nella risposta allo stress sul posto di lavoro sono: la personalità del soggetto e la situazione speci ca. La valutazione è, quindi, il rapporto tra queste due componenti che devono, di volta in volta essere considerate. Condizioni stress-inducenti: - Quantità di lavoro assegnata eccessiva o insuf ciente - Mancanza di tempo per fornire una buona prestazione professionale - Divario tra responsabilità e poteri decisionali - Ruoli e/o istruzioni incerti - Assenza di sostegno, apprezzamento, ricompense, autonomia decisionale - Esposizione a violenza o minacce - Discriminazioni, vessazioni - Esposizioni ad agenti nocivi - Rischio di perdere il posto di lavoro Individuazione dei problemi di stress da lavoro I potenziali indicatori di stress sono tanti: assenteismo, lamentele, con itti, scadimento del rendimento e della qualità del lavoro svolto, cambiamenti del tono dell’umore, ritardi, permessi. Oltre ai sintomi psichici che in alcuni casi diventano eclatanti. La responsabilità di stabilire le misure adeguate da adottare spetta al datore di lavoro. Queste misure saranno attuate con la partecipazione e la collaborazione dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti. (Accordo europeo) 13  fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fl fi SINTOMI PSICOSOMATICI Attraverso il meccanismo della somatizzazione, si manifestano sintomi quali: - stanchezza cronica; - affaticamento psico sico; - (cefalea, dolori muscolari, ansia); - patologie cutanee (eruzioni cutanee); - gastralgie; - modi cazioni del comportamento alimentare; - tachicardia, extrasistoli e ipertensione arteriosa Il lavoro a turni può determinare malattie a prevalente genesi psicosomatica, che si manifestano a carico dell'apparato gastroenterico, del sistema nervoso centrale e di quello cardiocircolatorio. BURNOUT Il termine inglese “burnout” può essere letteralmente tradotto in “bruciato”, “fuso” e indica una risposta emotiva ad uno stress cronico. Si tratta di un fenomeno per cui l’operatore sanitario, dopo un periodo di intenso lavoro, svolto con impegno ed entusiasmo, si brucia, e non ha più niente da offrire al livello psicologico. Lo stress deriva proprio dal contatto continuo con persone portatrici di sofferenza, sia sica che psichica. Il rapporto operatore-paziente è caratterizzato infatti da investimenti emotivi molto forti e impegna gli operatori sul piano emotivo e personale. Innanzitutto occorre precisare che il burn out si distingue dallo stress - il quale eventualmente può costituirne una concausa - e si differenzia dalle diverse forme di nevrosi, in quanto non può essere considerato un disturbo della personalità, bensì del ruolo lavorativo. Diversi hanno evidenziato come, nella sindrome del burn out, non sia tanto lo stress ad assumere una valenza di barriera difensiva bensì la sua conversione in atteggiamenti di distacco emozionale e di meccanicità comportamentale dell'operatore. Sviluppo clinico del burnout: 1. Fase dell’entusiasmo idealistico è profondamente collegata alle motivazioni che hanno portato l’operatore a scegliere un lavoro di tipo assistenziale. Oltre alle motivazioni consapevoli (migliorare il mondo e se stessi, lavoro non manuale e di prestigio) vi sono quelle meno consapevoli (desiderio di approfondire la conoscenza di sé e di esercitare un potere o un controllo sugli altri), spesso accompagnate da aspettative di «onnipotenza», di soluzioni semplici, di successo generalizzato e immediato ecc... 2. Fase della stagnazione, l’operatore passa da un super investimento iniziale a un graduale disimpegno, dettato dalla consapevolezza che il lavoro non soddisfa del tutto i suoi bisogni. In questa fase si assiste ad una diminuzione delle prestazioni lavorative. 3. Fase della frustrazione, è quella più critica, caratterizzata da un diffuso senso di impotenza nei confronti dell’utente, spesso aggravata da scarso apprezzamento da parte dei superiori, oltreché dagli utenti stessi. 4. Ultima fase, caratterizzata dal disimpegno emozionale dovuto alla frustrazione, l’operatore si chiude in sé e sperimenta un senso di noia e fastidio per le richieste che gli vengono poste no all’apatia. Maslach parla del burnout come di una sindrome costituita da: - esaurimento emotivo: svuotamento delle risorse emotive e personali, sensazione di essere in continua tensione, sopraffatti, logorati, unito alla sensazione di non avere più niente da offrire a livello psicologico. - depersonalizzazione: atteggiamento negativo di distacco, cinismo, freddezza e basso coinvolgimento personale soprattutto nei confronti delle persone a cui sono rivolte le cure. - ridotta realizzazione professionale: percezione della propria inadeguatezza ed inef cienza al lavoro, la caduta dell’autostima e la sensazione di insuccesso nel proprio lavoro, che implica una caduta della stima di sé e del desiderio di insuccesso. In base a queste tre dimensioni è stato costruito il Maslach Burnout Inventory (MBI), lo strumento più usato per rilevare la presenza della sindrome e misurarne l’intensità. 14  fi fi fi fi fi La relazione con l’utenza perde la natura di relazione di aiuto e diviene una relazione di “servizio” che comporta: - La perdita dei sentimenti positivi verso l’utente e la professione; - La perdita della motivazione, dell’entusiasmo, del senso di responsabilità; - L’utilizzo di un modello lavorativo stereotipato con procedure standardizzate e rigide; - L’evitamento di visite, relazioni e telefonate; - L’indifferenza verso la sofferenza; - L’evitamento delle discussioni; - La dif coltà ad attivare processi di cambiamento. Le conseguenze del burnout possono essere distinte in tre ambiti: A) personale: somatizzazioni, dispersione di risorse, frustrazione e sottoutilizzo delle capacità B) interpersonale: il contatto con soggetti in stato di burnout può risultare frustrante, inef cace e dannoso C) organizzativo: compromissione della qualità delle prestazioni, con conseguente diminuzione della soddisfazione di clienti/utenti per i servizi ricevuti (nel contesto sanitario: riduzione della compliance dei pazienti). Livelli di intervento Azioni possibili a livello sociale: rafforzare le relazioni con amici e familiari allo scopo di compensare i sentimenti di fallimento e frustrazione legati alla vita lavorativa; rafforzare le relazioni positive con altri operatori da cui possono derivare riscontri positivi, sostegno, utili confronti. Azioni possibili a livello Istituzionale: promuover incontri con il personale dei diversi livelli per uidi care i rapporti e risolvere le con ittualità; riorganizzare il lavoro per renderlo più vario ed interessante. Interventi professionali Prevenire l’automedicazione (sigarette, dolci, farmaci, alcol, cibo, droghe, ecc..); Prevenire la visione negativa – spersonalizzata dell’utente; Valorizzare le situazioni che comportano lo sviluppo dell’autostima ed il senso di autorealizzazione; Promuovere la riduzione delle tensioni emotive legate al lavoro mediante tecniche individuali e collettive che facilitano l’esternazione, il confronto, la comprensione e la normalizzazione, in un contesto informale e solida. Disturbi d’ansia e Disturbi dell’adattamento Insorge come risposta disfunzionale ad un cambiamento di vita non tale da determinare un DPTS (disturbo post traumatico da stress), ma comunque signi cativo al punto da causare l’insorgenza di sintomi della sfera ansiosa, depressiva, comportamentale ed emotiva. Tende alla remissione spontanea ma può anche cronicizzare. Il mobbing Leymann de nisce “mobbing” un’azione – ostile e non etica – diretta in maniera sistematica da parte di uno o più individui generalmente contro un singolo che viene spinto in una posizione in cui è privo di appoggio e di difesa e lì costretto per mezzo di continue attività mobbizzanti. Perché si possa parlare di mobbing tale azione deve veri carsi con una frequenza piuttosto alta e per un congruo periodo di tempo (attacchi alla persona, all’immagine professionale, alla qualità della vita e economici). De nizione di Mobbing: “comunicazione con ittuale sul posto di lavoro tra colleghi o tra superiori e dipendenti, nella quale la persona attaccata viene posta in una posizione di debolezza e aggredita (direttamente o indirettamente) da una o più persone in modo sistematico, frequentemente e per 15  fi fl fi fi fl fi fl fi fi fi un lungo tempo, con lo scopo e/o la conseguenza della sua estromissione dal mondo di lavoro. Questo processo viene percepito dalla vittima come una discriminazione”. Fenomeno sul posto di lavoro, con durata di almeno 6 mesi e frequenza di almeno 1 volta a settimana, con lo scopo di danneggiare la vittima. Il soggetto “mobbizzato” (= vittima del mobbing) vive una prima fase caratterizzata da ansia reattiva nel tentativo di impostare una strategia difensiva. Qualora questa risultasse infruttuosa, l’ansia reattiva lascia il posto ad una sensazione di inadeguatezza ed alla tendenza all’auto- isolamento, no ad arrivare alla depressione. Per essere ritenuti affetti da disturbi psichici da costrittività lavorativa non è suf ciente essere vittime di una situazione vessatoria ingiusti cata, occorre anche avere sviluppato la patologia conseguente. È quindi necessario tracciare una netta distinzione tra il semplice disagio lavorativo ed i veri e propri fattori patogeni. Il disagio lavorativo è la percezione negativa, puramente soggettiva, che un lavoratore può avere di alcune situazioni presenti sul luogo di lavoro, senza per questo sviluppare patologie suscettibili di inquadramento nosologico. In una recente pubblicazione, l’OMS ha indicato la prevalenza delle molestie morali sui luoghi di lavoro nel 2000 in Europa pari al 10%. Dunque 1 persona su 10 sarebbe vittima di azioni potenzialmente mobbizzanti. Tra i settori lavorativi più interessati dal problema vi sarebbero la pubblica amministrazione, la difesa, la sanità, la scuola etc. 16  fi fi fi 5ª Lezione - Psicologia Generale 19 novembre 2024 Coscienza e attenzione La coscienza La Coscienza è la funzione psichica di base. È la condizione di consapevolezza del mondo esterno e del mondo interno: siamo consapevoli delle sensazioni che provengono dall’ambiente e dal nostro corpo, di essere consapevoli e capaci di piani care e controllare i nostri processi psichici e siamo consapevoli di ciò di cui gli altri sono o non sono consapevoli. Com’è organizzata? - Livello di vigilanza: stato generale di consapevolezza, che uttua fra attenzione, veglia rilassata, sonno - Correlati periferici della coscienza: modi cazioni somatiche che accompagnano il uttuare della vigilanza (apertura degli occhi, tono muscolare, risposta a stimoli dolorosi) - Attività elettrica cerebrale (EEG) - Contenuti di coscienza: l’insieme delle attività psichiche che occupano la mente (percezioni, sentimenti, pensieri) - Orientamento: nello spazio/tempo, rispetto all’altro e a sé - Memoria di sé: integrazione tra percezione dell’identità, tracce delle esperienza passate e nuove esperienze - Attenzione: focalizzazione della attività mentale su un determinato contenuto - Comportamento: cosa facciamo e cosa vogliamo fare (Mini Mental State Examination: Test per la valutazione delle funzioni cognitive di base) La coscienza ha una base nervosa distribuita: La formazione reticolare ascendente regola le uttuazioni della vigilanza, l’attività elettrica cerebrale e mantiene la veglia; le sue lesioni provocano coma Le proiezioni reticolari ascendenti attraverso i nuclei talamici, trasferiscono alla corteccia l’attività reticolare. L’attività reticolare è alimentata dalle afferenze sensoriali; lesioni diffuse o abbastanza estese provocano danno cerebrale o coma Le proiezioni reticolari discendenti contribuiscono alla regolazione dello stato di coscienza attraverso le connessioni con il ponte e il bulbo; le loro lesioni possono provocare la sindrome del locked in Alterazioni della coscienza - coma: perdita della coscienza di sé e dei rapporti con l’ambiente, con scomparsa o grave compromissione delle risposte a stimoli interni o esterni e impossibilità di risveglio; gli occhi sono chiusi - stato vegetativo: perdita della consapevolezza di sé e dell’ambiente, senza segni di attività mentale né di tendenza a comunicare e a esprimere intenzioni. La respirazione spontanea e la regolazione della circolazione sono conservate e vi sono fasi di apertura degli occhi - morte dell’encefalo: oltre alla perdita della coscienza vi è la perdita di tutti i ri essi del tronco e della respirazione spontanea. (Scala di Glasgow: è il più noto sistema di punteggio per la descrizione del livello di coscienza, nelle persone vittime di gravi traumi cerebrali e non, in coloro che sono in stato di coma e in tutti i pazienti ricoverati in Terapia Intensiva) - delirium: contenuto delirante frammentario che si manifesta nel corso di uno stato confusionale 17  fi fl fi fl fl fl - Delirium tremens: sindrome dell’astinenza alcolica associata a tremori, allucinazioni micro- optiche o zoo-optiche e aptiche Fattori che alterano lo stato di coscienza: Alcol e sostanze stupefacenti Traumi cranici Traumi psichici Sostanze tossiche Ipnosi Processi organici patologici (ad es. metabolici o cerebrovascolari) Preghiera e meditazione Anche se la coscienza è un usso continuo, non tutto è consapevole, quindi, siamo sempre coscienti, ma a vari livelli, siamo più coscienti in alcuni momenti e meno in altri (come il sonno, la veglia...). La consapevolezza può essere esplicita quando è mediata da processi attentivi controllati oppure può essere implicita quando è mediata da processi automatici. Diverse forme di coscienza La coscienza esplicita: è coinvolta nei processi di elaborazione dell’informazione e nel controllo volontario della risposta; è il presupposto di tutti i processi metacognitivi, attraverso i quali possiamo correggere i nostri processi cognitivi e potenziarne la prestazione. La coscienza implicita: è coinvolta nei processi di memoria implicita e nell’esecuzione automatica di compiti motori. Alcuni contenuti espliciti della coscienza possono diventare impliciti, dunque alcuni processi controllati possono diventare automatici —> es: regolare freno e frizione all’avviamento della macchina (memoria procedurale), evitare una situazione che è stata associata a un’esperienza traumatica (emozioni e schemi comportamentali appresi), riconoscere un oggetto anche in assenza di un ricordo esplicito (priming percettivo). Diverse forme di inconscio Inconscio non rimosso: è collegato alla memoria procedurale, si manifesta attraverso le azioni ed è caratterizzato da contenuti presimbolici, non traducibili in parole. I primi contenuti risalgono a prima dei due anni e non sono situabili nel tempo. Inconscio dinamico o rimosso: è prodotto dalla rimozione di contenuti inaccettabili alla coscienza! è collegato alla memoria esplicita/dichiarativa, è caratterizzato da contenuti simbolici, traducibili in parole e si manifesta nei sintomi, sogni e negli atti mancati, ecc. Ha una storia, si struttura nel tempo a partire dai due anni. Sonno e sogni Il sonno Si caratterizza per la ridotta reattività agli stimoli ambientali e la riduzione della coscienza, sorge spontaneamente e si autolimita nel tempo, è reversibile e si caratterizza per l’alternanza sonno-veglia. Le conoscenze attuali sul sonno le dobbiamo alle registrazioni con strumenti come l’EEG, infatti si distinguono 6 differenti livelli dell’attività cerebrale. Tipi di onde cerebrali durante il sonno: Onde Beta: rapide e desincronizzate Onde alfa: lente e regolari Onde Theta: bassa frequenza e ampiezza alta Onde Delta: bassa frequenza e ampiezza alta Il sonno della fase 4 viene de nito ‘sonno profondo’ e in effetti è più dif cile svegliare una persona in questa fase. Si possono 18  fi fl fi veri care in un individuo fenomeni di sonnambulismo, enuresi (perdita del controllo della vescica durante la notte), ecc. In base alla combinazione degli indici EEG il sonno è classi cato come: sonno NREM (stadi 1, 2, 3 e 4) sonno REM Nel 1953 è stata scoperta una fase di sonno desincronizzato, con tracciato EEG, simile a quello di veglia, con onde cerebrali di bassa ampiezza ed elevata frequenza, che compare a conclusione di cicli di sonno della durata di circa 90 minuti. Questo tipo di sonno è stato chiamato sonno REM per la presenza di movimenti oculari rapidi e coniugati. Un giovane adulto attraversa 4-5 cicli di sonno di 90 minuti. Gli stadi di sonno più profondo (stadi 3 e 4) compaiono quasi solo nei cicli della prima parte della notte. La durata del sonno REM aumenta nella seconda parte della notte, anche se comunque l’organizzazione del sonno varia nell’arco di vita. Vi sono brevi dormitori (6,5 ore) e lunghi dormitori (8,5 ore), individui che si svegliano e si addormentano tardi, e altri che si svegliano e si addormentano presto. I primi sono attivi mentalmente nella seconda parte della giornata, viceversa per i secondi. Il sonno può essere polifasico (bambini), monofasico (adulti), bifasico (alcuni adulti). L’addormentarsi è regolato da condizioni interne (stanchezza, temperatura corporea) ed anche esterne (ambientali) come luce-buio. Esistono due soglie preferenziali per la transizione dalla veglia al sonno (verso le 23 e verso le 14). Ci sono 2 teorie sulla funzione del sonno: - La teoria ristorativa o omeostatica sostiene che dormiamo per “recuperare le forze” mentali e siche, ed è quindi legato alle attività eseguite durante la veglia. - La teoria circadiana sostiene che seguiamo il ritmo luce-buio e durante la notte “possiamo rilassarci”. La sonnolenza diurna è in uenzata dai processi omeostatico e circadiano e dalla qualità del sonno precedente (infatti episodi acuti di sonnolenza diurna possono derivare da un debito di sonno). Gli esperimenti sulla privazione del sonno sottolineano il peso dell’ipotesi circadiana —> durante la privazione si veri cano microsonni che consistono in cali improvvisi della vigilanza per pochi secondi. Dopo la privazione si ha un recupero graduale soprattutto dello stadio 4, di conseguenza sembra che sia la fase 4 e non il sonno in generale a svolgere una funzione ristorativa. Dopo la privazione parziale di sonno si veri ca un incremento dell’ef cienza del sonno: minore latenza dell’addormentamento, riduzione dei risvegli notturni, abbreviazione delle fasi 1 e 2. I sogni Tra i diversi fenomeni psichici che da sempre interrogano l’uomo sulla sua realtà mentale e su come questa è organizzata, il sogno rimane ancora uno dei più misteriosi e complessi. Storia dei sogni Nelle antiche civiltà il sogno era spesso collegato a dimensioni divine e predittive. Per i greci, ad esempio, diverse divinità come Phantasos, Phobetor, Hypnos e Morpheus erano implicate nel manifestarsi del sogno, a sottolinearne la complessità e il legame con il soprannaturale. Queste quattro divinità greche incarnavano la diversità e la complessità del fenomeno onirico nell'antichità, ri ettendo la concezione del sogno come manifestazione divina, in grado di comunicare informazioni sul futuro e sull'aldilà. Ognuno di loro rappresentava una speci ca funzione o caratteristica del mondo dei sogni. Le funzioni delle quattro divinità greche legate al mondo dei sogni erano: - Hypnos: Indurre il sonno e i sogni - Morpheus: Dare forma umana ai sogni - Phantasos: Creare sogni fantastici - Phobetor: Generare incubi 19 fi  fl fi fl fi fi fi fi fi Signi cato dei sogni La scoperta del sonno REM e delle sue caratteristiche neuro siologiche (attivazione di speci che aree cerebrali, aumento dell'attività neuronale, ecc.) hanno aperto la strada a una comprensione più scienti ca del fenomeno onirico. Strutture cerebrali coinvolte: - L'amigdala e i gangli della base sono implicati nella memoria implicita/non dichiarativa, legata ai sogni. L'ippocampo e il lobo temporale mediale sono coinvolti nella memoria esplicita/ dichiarativa. Funzioni del sogno - Consolidamento della memoria: il sogno "rielabora" le esperienze della veglia. - Disattivazione/protezione della neocorteccia: il sogno REM aiuta a gestire l'eccesso di input sensoriali. - Funzione autopoietica: il sogno plasmerebbe e arricchirebbe le potenzialità dell'apparato psichico. Ruolo della comunicazione intrapsichica —> Il sogno rappresenta una comunicazione tra diversi livelli mentali, un segnale del lavoro elaborativo onirico. Permette di integrare esperienze diurne e arcaiche, riattualizzando il passato nel presente. Relazione con la memoria implicita/esplicita: Il sogno può fungere da canale di comunicazione per l'accesso a esperienze pre-simboliche depositate nella memoria implicita. Essa favorisce il processo ricostruttivo necessario per "pensare" a esperienze originariamente non pensabili. Il sogno in psicoanalisi Il sogno può essere inteso: - come rivelatore dell'inconscio (Freud): il sogno rappresenta per Freud la "via regia per l'inconscio", permettendo di accedere a desideri rimossi e dinamiche psichiche nascoste. - come comunicazione intrapsichica tra diversi livelli mentali: il sogno sarebbe espressione di un dialogo tra coscienza e inconscio, nalizzato all'elaborazione delle esperienze. - come elaborazione delle esperienze e consolidamento della memoria: il sogno aiuterebbe a integrare le informazioni della veglia, ssando gli elementi più signi cativi nella memoria. Nuovi orizzonti della ricerca sui sogni Integrazione tra psicoanalisi e neuroscienze nello studio del sogno: nonostante le differenze metodologiche, emerge la necessità di un dialogo tra i due approcci per comprendere meglio il fenomeno onirico. Ipotesi sulla funzione del sogno per il mantenimento dell'equilibrio psichico e la ristrutturazione mentale: il sogno avrebbe il compito di "disintossicare" la mente dagli eccessi percettivi della veglia, favorendo una ristrutturazione degli equilibri interni. Il lavoro dei sogni - Simbolizzazione e memoria: il sogno rappresenterebbe un luogo privilegiato per la simbolizzazione di esperienze pre-simboliche, permettendo il collegamento tra inconscio e coscienza attraverso il linguaggio onirico. - Ruolo della memoria implicita ed esplicita nell'attività onirica: gli studi neuroscienti ci hanno evidenziato come il sogno possa veicolare contenuti legati alla memoria implicita (non cosciente), oltre a quella esplicita (consapevole). - Importanza del contesto relazionale nel processo di simbolizzazione onirica: il sogno esprime anche una "verità della coppia", ri ettendo le dinamiche intersoggettive tra paziente e analista. - Il sogno come strumento diagnostico e terapeutico in psicoanalisi: l'interpretazione dei sogni rappresenta un elemento centrale nella pratica clinica psicoanalitica. - Sogni "non sognati" e loro implicazioni cliniche: l'incapacità di sognare o l'evacuazione di contenuti onirici può essere indice di gravi disturbi psichici. 20 -  fi fi fl fi fi fi fi fi fi - Ruolo della relazione terapeutica nell'emersione di contenuti onirici precoci: il setting analitico favorisce l'accesso a livelli inconsci arcaici, attraverso la partecipazione dell'analista al "sognare" del paziente. Come affermava Ogden, «attraverso la pratica psicoanalitica, possiamo aiutare le persone a sognare i sogni che ancora non hanno osato sognare, dando forma a nuove possibilità di vita e di esperienza» (Ogden, 2005). Questa citazione completa con il riferimento bibliogra co contestualizza la frase di Ogden all'interno della sua opera "L'arte della psicoanalisi", pubblicata nel 2005. Ciò permette di ancorare il pensiero dell'autore alla sua produzione teorica e clinica, sottolineando l'importanza del suo contributo alla comprensione del ruolo del sogno e della simbolizzazione nell'ambito della pratica psicoanalitica. 21  fi 6ª Lezione - Psicologia Generale 26 novembre 2024 L’attenzione E’ la funzione che regola l’attività dei processi mentali, ltrando e organizzando le informazioni provenienti dall’ambiente al ne di emettere una risposta adeguata. Possiamo distinguere l’attenzione in: Involontaria: dipende dalle caratteristiche e dello stimolo Volontaria: dipende dall’intensità dello sforzo attentivo Ma possiamo anche distinguere l’attenzione in: Sostenuta: l’attenzione come controllore di volo Selettiva: l’attenzione come ltro Distribuita: l’attenzione come serbatoio Attenzione sostenuta Attenzione sostenuta o vigilanza è la capacità di mantenere un buon livello di attenzione per un periodo continuato di tempo; essa si riduce al trascorrere del tempo (Time-on-task effect) e presenta delle variabilità interindividuali e può essere potenziata con l’esercizio. La misura dell’attenzione sostenuta è data dalla capacità di mantenere l’attenzione su uno stimolo al trascorrere del tempo (es: premere un pulsante quando si vede una A preceduta da una X, come nel Continuous Performance Test, o nell’Auditory PerformAnce Test. Attenzione selettiva L’attenzione selettiva o Concentrazione è la capacità di concentrare l’attenzione su un canale contenente informazioni inerenti allo scopo rilevante, senza lasciarsi distrarre da stimoli irrilevanti. La selezione delle informazione presuppone che chi parla, ltri le informazioni. Es: se siamo ad una festa possiamo ascoltare quello che dice un nostro amico e concentrarci in questa conversazione senza prestare attenzione alle altre persone che parlano (fenomeno del cocktail party). La metafora del FILTRO proposta da Broadbent presuppone l’esistenza di un ltro unico, capace di selezione l’informazione sulla base di una caratteristica sica o canale (es. posizione spaziale) Il modello del ltro —> In un esperimento i soggetti ascoltavano coppie di numeri secondo questo ordine: orecchio dx (5,3,1)- orecchio sx (6,4,2). Le coppie erano separate da un intervallo di 1/2 sec. I soggetti dovevano ripetere i numeri in un ordine qualsiasi—> Risultati: 1) I soggetti ripetevano correttamente il 65% delle liste presentate 2) L’ordine di ripetizione era sso: prima tutte le informazioni udite ad un orecchio e poi quelle udite all’altro. Il ltro totale ed il ltro attenuato —> In un esperimento i soggetti di una ricerca ascoltano due messaggi registrati, devono ripetere ad alta voce il messaggio A ignorando il messaggio B. Il contenuto del messaggio B in genere non viene ricordato ma si è in grado di riconoscere il sesso dello speaker o se è stato pronunziato il proprio nome. Treisman ha dimostrato che il ltro attentivo non ignora completamente le informazioni irrilevanti ma le elabora in maniera differente, con processi d’intensità minore. Il ltro precoce ed il ltro tardivo —> Una spiegazione alternativa è quella che prevede che la selezione dell’informazione avvenga a uno stadio dell’elaborazione relativamente tardivo e che sia 22  fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fondato non solo sulle caratteristiche siche dello stimolo (teoria della selezione precoce) ma almeno in parte sulla valutazione del suo signi cato (teoria della selezione tardiva, Posner) (es: mi lascio sfuggire una scena della Jalappas show perché presto attenzione alla sirena dell’autoambulanza che proviene dalla strada sotto casa mia). Effetto stroop L'effetto Stroop genera un con itto tra l'elaborazione automatica del signi cato di una parola e l'elaborazione volontaria del suo colore (scritta “rosso” di colore verde), richiedendo maggiore sforzo attentivo per superare l'interferenza. Questo paradigma, ispirato agli studi di Stroop, è ampiamente utilizzato per valutare l'attenzione selettiva e il controllo cognitivo, fornendo preziose informazioni sui meccanismi neurali alla base di tali processi. Selezione precoce o tardiva? - Ipotesi della selezione precoce (Broadbent, Treisman): il processamento dell’informazione non rilevante viene bloccato presto: attenzione = ltro ( ltro che blocca gran parte dell’informazione). Solo singole caratteristiche siche possono essere elaborate senza uno sforzo attentivo selettivo. - Ipotesi della selezione tardiva (Posner): il processamento percettivo è identico per tutte le caratteristiche degli stimoli; l’ intervento del ltro avviene solo al momento della selezione della risposta Posner e Petersen ritengono che le basi neuro siologiche dell’attenzione selettiva vadano individuate in due sistemi: SISTEMA ATTENTIVO POSTERIORE-PAS Lobo parietale posteriore Collicolo superiore Pulvinar L’input proviene dalla via dorsale (via del “dove”) e permette di dirigere l’attenzione su porzioni d’interesse dello spazio circostante SISTEMA ATTENTIVO ANTERIORE-AAS Corteccia pre-frontale mediale Area supplementare motoria Corteccia cingolata anteriore L’input proviene dalla via ventrale (via del “che cosa”) e permette di orientare l’attenzione su stimoli attesi al ne di identi carne le caratteristiche e attivare i comportamenti appropriati L’attenzione selettiva viene misurata attraverso compiti di cancellazione con diversi livelli di dif coltà e diversa densità degli stimoli. L’attenzione distribuita L’attenzione distribuita o divisa è la capacità di prestare attenzione a più compiti contemporaneamente; può essere incrementata quando uno o più processi vengono automatizzati. Quando si parla di risorse si fa uso della metafora del SERBATOIO, dove alcune informazioni possono interferire con altre, in uenzando il sistema attentivo. Il problema è l’interferenza fra compiti, che può essere: strutturale o da risorse. - Interferenza strutturale: riguarda compiti che riguardano le stesse funzioni cerebrali/motorie (Ripetere ad alta voce la tabellina del 7 e contare le risposte positive ad un questionario) - Interferenza da risorse: riguarda le operazioni mentali non automatiche e richiedono una certa “quota” di risorse attentive, meno disponibile per un secondo compito. Il compito che ci impegna maggiormente è primario, l’altro secondario. Se dedichiamo l’80% al primario lasciamo il 20% al secondario (serbatoio di risorse) (Guidare l’auto e conversare con il vicino i primi giorni di foglio rosa). 23  fi fi fi fi fl fi fi fl fi fi fi fi fi Strategie di distribuzione delle risorse attentive Parliamo dunque degli esperimenti di Hirst e Kalmar. Paradigma utilizzato: i partecipanti devono eseguire simultaneamente: - un compito di tipo I e uno di tipo II - due compiti di tipo I o due compiti di tipo II Se i compiti di tipi I e di tipo II richiedono l’uso di risorse differenti, allora deve essere più facile eseguire simultaneamente compiti di tipo differente piuttosto che due compiti dello stesso tipo. Ai partecipanti venivano inviati ai due orecchi due messaggi diversi: a) una sequenza di lettere che formava una parola con una lettera sbagliata b) una sequenza di numeri generata in base ad una regola con un errore derivato dalla violazione della regola Ai partecipanti prima dell’esperimento venivano presentati: - la parola target, ad esempio: cognitivo - il numero iniziale della sequenza di numeri, ad esempio 12. Venivano poi presentate le sequenze e il compito dei partecipanti era quello di: - premere un tasto quando rilevavano l’errore verbale - premere un altro tasto quando rilevavano l’errore numerico Nella condizione simultanea è più dif cile rilevare l’errore sulle due sequenze perché l’attenzione è divisa. Nella condizione sfalsata è più facile rilevare l’errore su entrambe le sequenze perché l’attenzione è selettiva. L’attenzione distribuita viene misurata attraverso compiti che prevedono l’attenzione contemporanea a due tipi di stimoli (Numerico e alfabetico come nel Trail Making Test B o Uditivo e visivo come nel Dual Task: Ricerca visiva e ricon uditivo) Le basi neuro siologiche dell’attenzione distribuita vengono individuate nel giro anteriore della corteccia del cingolo. Trail making test (TMT) T (parte B) – T (parte A) = T necessario a spostare l’attenzione dalla sequenza numerica alla sequenza alfabetica (switching dell’attenzione) 24  fi fi