C/3 Dall'Identità del Brand alla Collezione (PDF)

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Politecnico di Milano (POLIMI)

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fashion brand identity design cultural industry

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This document explores fashion as a cultural industry, focusing on brand identity and its connection to codes of style during modern and contemporary society. The text argues that semiotics and design play key roles in interpreting and implementing fashion codes. It also analyses how interpretation of the brand's language facilitates the design process.

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C/3 DALL’IDENTITÀ DEL BRAND ALLA COLLEZIONE: LA CODIFICA E LA GESTIONE DEI CODICI STILISTICI LA MODA COME INDUSTRIA CULTURALE La moda è tra i settori industriali più longevi nella storia delle società occidentali e tuttora molto rilevante sul piano economico. Al contempo è certamente una delle espr...

C/3 DALL’IDENTITÀ DEL BRAND ALLA COLLEZIONE: LA CODIFICA E LA GESTIONE DEI CODICI STILISTICI LA MODA COME INDUSTRIA CULTURALE La moda è tra i settori industriali più longevi nella storia delle società occidentali e tuttora molto rilevante sul piano economico. Al contempo è certamente una delle espressioni più compiute della cultura contemporanea, terreno di incontro di lin- guaggi e discipline artistiche e al tempo stesso abito quotidiano. Proprio per questa sua peculiare natura, la moda è spesso inclusa in una definizione ampia di industria culturale, caratterizzata da prodotti e servizi che, pur facendo parte delle attività economiche e produttive, hanno un alto contenuto culturale.1 Del resto le scienze umane e sociali, con grande enfasi nella seconda metà del secolo scorso, hanno contribuito a scardinare la concezione di cultura come prodotto alto, frutto dell’elaborazione intellettuale e della codifica testuale della conoscenza. Si è af- fermato invece l’interesse per le culture, intese come insiemi di valori e pratiche sim- boliche condivise nell’ambito di comunità sociali.2 Queste possono essere descritte C/3 / Dall’identità del brand alla collezione: la codifica e la gestione dei codici stilistici / 35 solo rappresentando la complessità della rete di relazioni e pratiche instaurate tra gli individui che vi appartengono e sono solo parzialmente codificate nei testi, mentre più spesso sono il risultato di processi di elaborazione collettiva che si materializzano in artefatti tangibili e intangibili.3 Gli oggetti che partecipano di questo sistema di relazioni diventano quindi parte attiva nella definizione delle identità soggettive e collettive dei gruppi sociali.4 Analizzando a fondo la natura di questi prodotti ad alto contenuto culturale vi si riscontrano tre caratteristiche peculiari. La prima riguarda il loro essere beni maturi e storicizzati, riconosciuti come portatori di una ricca stra- tificazione di significati e narrazioni: l’evoluzione delle loro forme e del loro utilizzo, la conoscenza dei processi con cui vengono prodotti, le identità dei marchi ad essi associati nella storia. La seconda caratteristica è relativa al loro essere oggetti istitu- zionalizzati nella vita quotidiana che hanno acquisito nel tempo un carattere di forte familiarità e che partecipano della definizione degli stili di vita delle persone. Il terzo attributo è legato al loro essere utilizzati come vere e proprie protesi semantiche, ovvero come strumenti di mediazione culturale nell’ambito delle pratiche sociali.5 Nell’interpretazione della società moderna e contemporanea, la cultura materiale è stata quindi una componente importante, indagata in particolare dalle discipline umanistiche e dalle scienze del linguaggio. Infatti, a partire dalla metà del secolo scorso, il design è oggetto di studio dei semiologi che ne riconoscono la natura di processo di significazione capace, nel dar forma ad artefatti materiali e immateriali, di operare una sintesi visiva di segni e simboli in un sistema di significato compiuto.6 In altre parole il processo progettuale è capace di mediare contenuti e codici gene- rati da una collettività di attori attraverso la propria visione estetica, intercettando significati emergenti nei contesti socio-tecnici e culturali e ricomponendoli in unità di senso, oggetti che partecipano del quotidiano. Anche la moda è certamente parte di questo universo di «attrezzi per vivere», come sono stati definiti da Emanuela Mora,7 e gioca un ruolo particolarmente importante proprio nel dar forma al dialo- go simbolico tra l’individuo e il suo gruppo di riferimento. Per questo motivo è un ambito che ben si presta ad essere interpretato attraverso le scienze del linguaggio e non a caso infatti, negli anni Sessanta, il semiologo Roland Barthes parte proprio dalle pagine delle riviste femminili per concepire una teoria del linguaggio capace di raccontare meglio la società moderna.8 La semiotica può quindi supportare l’interpretazione dei codici e dei sistemi sim- bolici cui il processo progettuale attinge. Questi sono legati da un lato ai contenuti emergenti in uno specifico momento e dall’altro ai codici espressivi interni al brand di riferimento. Ovvero da un lato il processo di ricerca progettuale analizza e sinte- tizza, attraverso una visione estetica, le tendenze socioculturali, trasformandole in ispirazioni visive per la collezione.9 Ma il design dei prodotti non può prescindere dalla conoscenza e integrazione degli elementi di linguaggio propri della marca e 36 consolidati nel corso della sua evoluzione. Ne risulta, quindi, che la capacità di co- difica dei codici della marca è determinante per guidare il processo di design e in questo senso l’approccio semiotico può offrire strumenti efficaci. LA CODIFICA DEL LINGUAGGIO DEL BRAND La codifica del linguaggio del brand rappresenta un passaggio fondamentale per indirizzare il processo progettuale e raccordarlo con quello strategico e di posiziona- mento. Infatti, come afferma Gérald Mazzalovo, la funzione di brand management opera ad un livello di definizione di valori della marca, etica del brand, mentre spesso non ha strumenti per comprendere la natura, la complessità e le implicazioni dell’estetica del brand.10 Allo stesso modo la funzione di design tende ad operare unicamente sulla base di una propria visione estetica, con poca integrazione con l’altra area funzionale e quindi talvolta prescinde dai codici estetici immanenti nel brand stesso.11 Ma quando una marca è consolidata e presente nell’immaginario collettivo, i suoi codici hanno un’importanza fondamentale nei meccanismi di per- cezione e attribuzione di significato ai prodotti da parte dei consumatori.12 Per poter indirizzare correttamente il processo progettuale nel trovare una sintesi compiuta tra i propri codici estetici e quelli della marca è quindi utile comprendere il processo di traduzione dei valori del brand in espressioni tangibili. ENCICLOPEDIA DI ENCICLOPEDIA DI PRODUZIONE PERCEZIONE DALL’INTANGIBILE VERSO IL TANGIBILE LIVELLO TEMATICO temi/spazi/tempi/ SUPERFICIALE attori/stili LIVELLO NARRATIVO stile narrativo/ INTERMEDIO ruoli LIVELLO ASSIOLOGICO valori di base/ identità del brand PROFONDO 1 | Il modello semiotico di interpretazione del linguaggio della marca. (Fonte: Semprini 2002). C/3 / Dall’identità del brand alla collezione: la codifica e la gestione dei codici stilistici / 37 A questo proposito è particolarmente efficace il modello semiotico introdotto da Andrea Semprini (fig. 1) che identifica tre livelli di codifica del linguaggio per la comprensione dell’identità del brand.13 Questi tre livelli consentono di mettere in relazione l’enciclopedia di produzione di significati da parte della marca con l’en- ciclopedia di percezione di tali significati da parte dei consumatori. Il primo livello è quello assiologico, ovvero il più profondo ed è costituito dai valori fondanti e di- stintivi. Il secondo è quello narrativo, ovvero la messa in scena dei valori in uno stile narrativo, che caratterizza la personalità del brand. Il terzo è quello che Semprini definisce discorsivo, ovvero quando le strutture narrative del brand prendono forma in storie reali, nuove in ogni atto comunicativo ed espressivo, ma al tempo stesso riconoscibili. La funzione di quest’ultimo è particolarmente evidente nella moda, in cui la stagionalità delle collezioni si configura come vera e propria attività di rac- conto di nuove storie, ancorate al sistema di valori e allo stile narrativo del brand. Diviene pertanto un vero e proprio livello tematico nel quale vengono presentati i temi della stagione. Per orientare il processo creativo il modello semiotico di Semprini può essere inte- grato in uno schema di lettura dell’identità del brand che rappresenta la complessità delle sue diverse espressioni e i codici che ne traducono l’estetica (fig. 2).14 Nel livello più profondo vi sono i caratteri identitari che fanno capo al sistema di valori distinti- vi del brand, generatisi dalla sua specifica storia, dal contesto socioculturale nel quale ha avuto origine, talvolta strettamente legati ai tratti locali e geografici che ne hanno definito il sistema valoriale e l’offerta. Questo livello ha un carattere intangibile e di permanenza, anche se il lento e necessario adattamento ai cambiamenti di contesto può portare a trasformazioni che avvengono nel lungo periodo e non sono mai ra- dicali e repentine. Il livello intermedio, quello narrativo, rappresenta già una prima traduzione dei caratteri intangibili in un vero e proprio stile espressivo e in un pre- ciso codice estetico. È questo il livello in cui i codici stilistici distintivi risiedono in forma di aggregati di segni e simboli che caratterizzano l’identità della marca. Alcuni di essi si riferiscono al brand in quanto tale e rappresentano l’identità visiva cosid- detta corporate fatta per esempio dal logo, dal logotipo e dai suoi colori caratteristici e dalle regole compositive e visive utilizzate sui diversi media e supporti comunica- tivi. Altri codici, meno espliciti, si riferiscono ad alcuni attributi tipici dei prodotti, come materiali, colori, dettagli particolari, utilizzati con continuità nel tempo: ele- menti visivi e percettivi che, pur nella variabilità dei temi stagionali, garantiscono la riconoscibilità del brand attraverso il linguaggio estetico dei prodotti. Il livello intermedio, o narrativo, ha un carattere di stabilità che va naturalmente oltre la sta- gionalità, ma evolve nel medio periodo, perché più vicino ai punti di contatto con i clienti finali. Il livello più superficiale, quello tematico, è rappresentato infine dalle espressioni stagionali della marca, non soltanto quelle legate al prodotto, ma a tutti 38 i punti di contatto con i clienti finali: prodotto, comunicazione e canali di vendita. A questo livello i codici stilistici permanenti vengono ricombinati con segni, simboli e linguaggi derivanti dalla ricerca di ispirazione della stagione e sintetizzati in vere e proprie narrazioni tematiche. Questi nuovi codici inseriti nella proposta stagionale non hanno necessariamente un valore effimero, sono piuttosto uno sguardo sul fu- turo della marca, che serve per ingaggiare continuamente i clienti nell’attesa della novità e verificare possibili evoluzioni stilistiche che possano essere successivamente consolidate e ricondotte a codici narrativi del livello intermedio. STORIA REFERENZE GEOGRAFICHE KNOW-HOW HERITAGE DEL BRAND CONTESTO ECONOMICO E SOCIO-CULTURALE attributi distintivi che caratterizzano È basato su valori fondamentali e LIVELLO ASSIOLOGICO l’unicità del brand PERMANENTE IDENTITÀ DI BRAND IDENTITÀ D’IMMAGINE IDENTITÀ STILISTICA IDENTITÀ RETAIL (stile narrativo) i cui elementi sono coerenti con l’identità del marchio È basato su codici permanenti Insieme di segni e simboli Insieme di elementi iconici Insieme di segni e simboli LIVELLO NARRATIVO che si sono sviluppati e codici visivi che sono stati che si sono sviluppati LUNGO TERMINE attraverso l’evoluzione della sviluppati attraverso attraverso l’evoluzione dello comunicazione del l’evoluzione del brand stile degli spazi di vendita brand/interazione e incorporati nei suoi con il mercato prodotti/servizi NOME, LOGO, “FORMULA” DI PRODOTTO: AMBIENTAZIONI, VOCABOLARIO VISIVO PRODOTTI ICONICI CODICI MATERICI E VISIVI, CODICI PERCETTIVI CODICI STILISTICI DEL BRAND permanenti (narrativi) e stagionali (tendenze culturali/di mercato) È basato sulla sintesi tra codici COMUNICAZIONE PRODOTTO RETAIL MEDIO-BREVE TERMINE LIVELLO TEMATICO format e artefatti collezioni, portfolio format e spazi di comunicazione prodotti/servizi di vendita ESPRESSIONI DEL BRAND 2 | Un modello di lettura dell’identità del brand. Valori, codici stilistici, espressioni. Modello interpretativo elaborato dagli autori. C/3 / Dall’identità del brand alla collezione: la codifica e la gestione dei codici stilistici / 39 UN’ESPERIENZA SUL CAMPO INTERVISTA A MARIANNA CIMINI Fashion designer, fondatrice del brand Marianna Cimini e consulente creativo Mi chiamo Marianna Cimini e sono una La parte imprenditoriale, invece, suben- fashion designer. Sono originaria della tra nel far sì che tutto questo sia possibi- Costiera Amalfitana ma vivo a Milano le: a ogni attività destino un budget che che è diventata la mia città d’adozione devo rispettare. da diversi anni. Qui gestisco e curo il mio brand ormai arrivato alla sua deci- Come cambia l’approccio creativo di ma stagione, e in parallelo mi occupo di un fashion designer che si trova a do- lavori di consulenza per altri brand, di ver disegnare la sua collezione e allo ricerca tendenze e di styling. stesso tempo è consulente creativo per un altro brand? Come queste due pro- Quali sono le tappe fondamentali che spettive creative si nutrono e comple- ti hanno portato al tuo attuale lavoro? tano a vicenda? Gestendo in prima persona un brand, il Mi piace lavorare a compartimenti sta- mio lavoro ha un taglio sia creativo che gni per far sì che non vi siano influen- imprenditoriale. ze tra una collezione e l’altra. Quando Per quanto riguarda l’aspetto creativo, lavoro per un cliente sono un’ospite e mi occupo di tutto quello che porta al devo rispettare in primis i suoi DNA e conseguimento di una collezione: la ri- identità; ogni proposta creativa deve cerca dei tessuti, la realizzazione dei di- sempre tener presente per chi si sta la- segni e delle relative specifiche da spiega- vorando e il mio gusto si plasma e inte- re alle modelliste, lo sdifettamento delle ragisce con le esigenze dell’azienda. Sulla tele prova, l’attribuzione modello/tessu- mia collezione invece sono più libera in to fino ad arrivare finalmente alla realiz- termini di creatività, ma più limitata dal zazione del campionario. A campionario punto di vista della realizzabilità che va realizzato seguono poi altre valutazioni a scontrarsi con tutti i paletti che spesso decisive per il buon andamento della fanno da intralcio alle aziende più gio- collezione. vani. Sono due esperienze molto diverse È necessario scegliere ed entrare in sin- ma in egual misura interessanti, perché tonia col fotografo, lo stylist, le model- mi spingono ad avere una visione co- le con cui verrà realizzato il look-book e stantemente elastica e un approccio ad ADV che dovranno incarnare ed enfatiz- ogni nuovo progetto sempre curioso e zare lo spirito e il gusto della collezione. positivo. 40 a b c d a-d | Marianna Cimini collezione PE 2018. In figura a, total look realizzati in seersucker di cotone stampato con disegno “limonata”. In figura b, abito coulisse in sersucker bianco e abito smerlato in popeline di cotone nero. In figura c, total look in mix di fantasie in micro e macro vichy in tessuto jacquard e tinto filo. In figura d, mix di stampe piazzate e all over per le camice maschili e gonne lunghe. (Fotografo: Simone Battistoni; Make-up artist: Simona Parrella; Stylist: Alessandro D’Amico). 41 L’estetica della marca, come definita da Floch, è composta quindi da elementi stabili e specifici che fanno capo principalmente alla percezione visiva, ma in generale a tut- ta la sfera sensoriale, come più evidente nella comunicazione e nella distribuzione, dove per esempio anche gli aspetti olfattivi e sonori sono molto importanti e posso- no divenire tratto distintivo dei codici del brand.15 La funzione di brand management ha pertanto il compito di integrare questi codici e salvaguardare la loro “continu- ità-evoluzione” attraverso la supervisione dei tre macro-processi che caratterizzano l’impresa moda: creazione e sviluppo prodotti, sviluppo mercati e distribuzione, pia- nificazione e gestione della comunicazione.16 Ognuno di questi conduce alla mate- rializzazione di una specifica sfera di espressione della marca, punto di contatto con i consumatori finali, di cui la collezione è sicuramente un elemento centrale. IL LINGUAGGIO DEL PRODOTTO TRA CODICI ICONICI E STAGIONALI Il valore di un brand si sostanzia nella sintesi di fattori tangibili e intangibili che Kapferer ben spiega attraverso la metafora dell’aura.17 Ovvero la marca, grazie alla relazione positiva instaurata e costantemente alimentata con i propri consumatori attraverso l’apprezzamento dei prodotti, si fa portatrice di valori che oltrepassano gli aspetti tangibili e innescano un meccanismo di attrattività del brand in quanto tale a prescindere dai prodotti stessi. È però sempre Kapferer a sottolineare l’importanza dei prodotti nel processo di costruzione del valore della marca, ricordando il loro essere al tempo stesso la memoria e il futuro del brand. L’errore spesso commesso a livello di brand management è infatti considerare l’effetto aura come uno stato inva- riante, che viene sostenuto soprattutto attraverso la comunicazione, e non viene in- vece riconosciuto come risultato di un costante investimento sul valore dei prodotti. Laddove questa attenzione viene a mancare la marca può essere progressivamente svuotata del suo valore dai consumatori. Ben esemplifica questa dinamica il non lon- tanissimo processo di riposizionamento e rifocalizzazione stilistica operato da Dolce & Gabbana tra il 2011 e il 2013. Il 2011 è infatti l’ultimo anno in cui gli stilisti pre- sentano la collezione D&G, seconda linea creata negli anni Novanta al culmine del processo di internazionalizzazione del brand e gestita con accordi di licenza. D&G è il simbolo del processo di sfruttamento del valore del brand operato da molti gruppi del prêt-à-porter tra gli anni Ottanta e Novanta. In questa fase le licenze sulle seconde linee sono molto poco controllate in termini di qualità di prodotto e spesso gestite dai licenziatari attingendo in modo superficiale ai codici del brand, talvolta canni- balizzando elementi stilistici delle prime linee e talvolta rendendo irriconoscibili e troppo commerciali le collezioni. Nel 2011 D&G è ancora una realtà di successo sui mercati asiatici ed est-europei e rappresenta il 40% del fatturato dell’azienda ma è anche percepita come estremante commerciale nei mercati più evoluti e maturi, come quello italiano, responsabile di una lenta dinamica di trading down del brand 42 Dolce & Gabbana, rispetto al posizionamento desiderato nel prêt-à-porter di lusso. I segnali di questa svalutazione sono alla base di una decisione che porta con sé molte azioni di ristrutturazione anche del modello di business e dell’organizzazione, a partire dalla riacquisizione di quasi tutte le licenze18 e dal forte investimento nella ri-localizzazione domestica della produzione, che trasforma la sede varesotta in un polo industriale in costante sviluppo.19 Ma il processo di riposizionamento passa sicuramente attraverso un forte investimento sul prodotto e una rinnovata focalizza- zione dei codici stilistici sugli elementi valoriali e il DNA originario del marchio che, nella cultura mediterranea e siciliana in particolare, ha radicato il proprio linguaggio. I segnali di questo cambiamento si notano innanzitutto nei codici utilizzati nella comunicazione che segna una cesura netta con l’interpretazione sfacciata e provoca- toria fatta da Steven Klein ancora nel 2011, con protagonista Madonna. Nella cam- pagna PE 2012 del fotografo Giampaolo Sgura, si riverberano le atmosfere create per i due stilisti alla fine degli anni Ottanta da Ferdinando Scianna. Ma le atmosfere crepuscolari e neorealiste di Scianna trovano in Sgura una cifra più solare e ironica, ancor più accentuata nella comunicazione della PE 2013 i cui scatti sono dello stesso Domenico Dolce. È infatti del 2013 la collezione che celebra in modo evidente que- sto ritorno consapevole ed esplicito ai codici stilistici originari, ma con accenti più vividi. L’ispirazione è l’iconografia più tipica dell’isola e mescola archetipi culturali come le marionette e i carretti siciliani con i già noti abiti in pizzo nero e le semplici camice bianche maschili. Molti dei codici inaugurati con questa stagione divengono presto così popolari ed efficaci che si consolidano nelle collezioni successive, come vera e propria cifra narrativa di Dolce & Gabbana. E si riconoscono costantemente nei temi che si susseguono nelle stagioni seguenti: dall’ispirazione alle rovine romane della PE 2014, alla Sicilia d’epoca spagnola della PE 2015; dalla celebrazione del cliché della mamma del Sud nell’AI 2016, alle fiabe disneyane dal singolare sapore mediterraneo nell’AI 2017. La riconoscibilità di Dolce & Gabbana nelle stampe raffiguranti l’opulenta natura mediterranea e nei castigati abiti in pizzo nero rappresenta in modo esemplare l’im- portanza dei codici del prodotto nella costruzione del valore della marca. Questi elementi distintivi vengono spesso definiti iconici proprio perché la loro persistenza e progressiva penetrazione dell’immaginario collettivo dei clienti è fondamentale nell’alimentare l’effetto aura e nel creare una vera e propria mitologia del brand, come sostenuto da Ciappei.20 Per indirizzare il processo progettuale verso una sintesi efficace tra temi stagionali e codici stilistici permanenti, è pertanto importante poter avere modelli interpretativi utili alla codifica degli elementi iconici. In particolare questi possono essere espressi in tre differenti componenti del prodotto: materiali, architettura e dettagli. Per quanto i primi (tessuti, pellami, stampe ecc.) siano tra i fattori più sensibili ai C/3 / Dall’identità del brand alla collezione: la codifica e la gestione dei codici stilistici / 43 3 | Illustrazione della sfilata della collezione Prada AI 2014/15. La collezione è ispirata alla Germania degli anni Settanta con un preciso riferimento a due importanti figure della cultura tedesca: Pina Bausch, ballerina e coreografa protagonista della corrente del teatro-danza (tanztheater) in cui i ballerini interpretano l’opera teatrale o il balletto attraverso le proprie emozioni e Rainer Werner Fassbinder, regista, sceneggiatore e produttore cinematografico, nonché uno dei maggiori esponenti del Nuovo Cinema Tedesco degli anni Settanta e Ottanta. Una collezione che filtra i codici permanenti dello stile Prada, caratterizzato da una femminilità sobria e a tratti ironica attraverso la rilettura della Germania tedesca degli anni Settanta, in cui l’eleganza severa e drammatica è espressa nelle silhouette, negli accostamenti materici e nei must-have di stagione come i cappotti oversize con dettagli in shearling. 44 Le referenze a Pina Bausch e al teatro-danza (in alto a sinistra), sono rilette attraverso abiti sottoveste in organza di seta che lascia intravvedere maglie dal profondo scollo a V. Gli espliciti riferimenti alle Lacrime amare di Petra von Kant (in basso a sinistra), si ritrovano negli archetipi formali, come il maglione tennis con fasce a righe a contrasto, rivisitato nelle proporzioni e decontestualizzato per diventare una maxi maglia da indossare come abito. Le architetture brutaliste tedesche (in alto a destra), caratterizzate dalla rudezza del cemento a vista, ispirano le superfici e le costruzioni dei capi in cui i tagli severi e le proporzioni accentuate sono sdrammatizzati da inserti metallici e in montone colorato. Le ibridazioni materiche (in basso a destra), codice distintivo dello stile Prada, caratterizzano i tessuti raffinati come la seta stampata rifiniti da bordure in vernice e pvc e i caban oversize in shearling impreziositi da inediti trattamenti metallici. Infine le stampe geometriche dal gusto Art déco, codice distintivo del marchio, sono contaminate da cromatismi anni Settanta creando dissonanze compositive ed espressive. (Illustrazioni di Eleonora Barosi). C/3 / Dall’identità del brand alla collezione: la codifica e la gestione dei codici stilistici / 45 cambiamenti stagionali, vista la costante ricerca di toni e abbinamenti cromatici caratteristici di ogni stagione,21 vi sono comunque marchi che hanno costruito una forte riconoscibilità dei codici proprio in questi elementi. Basti pensare al tessuto bouclé di Chanel, alla pelle intrecciata di Bottega Veneta o a colori iconici come il rosso Valentino o il cosiddetto greige, sofisticata miscela di beige e grigio di Armani; o infine, nel mondo delle stampe, al caratteristico tartan di Burberry o ai tessuti monogram, concentrato simbolico dei codici stilistici di marca. Anche l’architettura del prodotto può essere distintiva di un brand sia in termini di approccio alla costruzione del cartamodello, sia come ricorrenza di specifici ar- chetipi vestimentari. Questo il caso ad esempio della decostruzione bidimensionale della silhouette, tipica di Rei Kawakubo, del kaftano stampato Paisley di Etro, o del cappotto 101801 disegnato da Anne Marie Beretta per Max Mara nel 1981, tuttora icona intramontabile. Infine, anche la caratterizzazione del prodotto attraverso dettagli e decorazioni può divenire cifra riconoscibile del linguaggio del marchio. Come ad esempio l’etichetta con il codice alfanumerico e anonimo di Martin Margiela, che fa capolino con le sue cuciture evidenti sull’esterno del capo; o la sferetta in gomma tipica delle suole di Tod’s; o ancora la fibbia logata della baguette di Fendi. Ogni collezione è una sintesi tra elementi iconici e tematiche stagionali, e i codici stilistici permanenti sono il filtro interpretativo che consente a ispirazioni spesso comuni a più brand nella stessa stagione di essere caratterizzate in base alla specifi- ca identità del marchio stesso. Così succede che l’interesse verso gli anni Settanta, che caratterizza la cultura contemporanea dopo il 2010,22 assuma sfumature molto diverse nel contesto di diverse collezioni. Per esempio, Prada, nell’AI 2014/2015,23 precorrendo i tempi come spesso accade, sceglie di quella decade due figure dalla femminilità non scontata, come Pina Bausch e Hanna Schygulla ritratta nei panni di Petra von Kant da Rainer Werner Fassbinder (fig. 3). Ritroviamo quindi in quel- la collezione la Germania degli anni Settanta con le ispirazioni Art déco, le forme solide e squadrate dell’architettura brutalista e i materiali leggeri e impalpabili delle tuniche del teatro-danza. Lo scenario ideale dove riconoscere facilmente i tratti ti- pici del linguaggio di Prada, come gli accostamenti dissonanti di materiali e colori e la rivisitazione dissacrante di classici borghesi, in questo caso sottovesti, maglioni con scollo a V e cappotti formali bordati in pelliccia, decontestualizzati e abbinati in modo irrituale. Se paragoniamo questa collezione severa e drammatica con gli anni Settanta che attraversano moltissime altre collezioni presentate nella PE 2015, la funzione dei codici stilistici è particolarmente evidente. Questi costituiscono un filtro interpretativo fondamentale per contestualizzare le ispirazioni derivanti dalla ricerca progettuale stagionale nell’universo estetico della marca, connotandone il linguaggio in modo distintivo e riconoscibile. 46

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