Economia Aziendale Parte 1 2023/2024 PDF

Summary

These are summaries of the study material of the first part of the 2023/2024 course in Business Economics. The document provides essential concepts about the company and the firm, capital and the static patrimonial equation. Key topics include company definition, capital investment, and the relationship between debt and equity capital.

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ECONOMIA AZIENDALE | 2023/4 Riassunti del materiale di studio: Parte 1 Alessio Cirotto CONCETTI ESSENZIALI: AZIENDA E IMPRESA Le aziende possono esser definite in questa maniera: Organismi – caratterizzati dalla presenza di un soggetto economico e da una provvista di capitale (1) – Operanti per il...

ECONOMIA AZIENDALE | 2023/4 Riassunti del materiale di studio: Parte 1 Alessio Cirotto CONCETTI ESSENZIALI: AZIENDA E IMPRESA Le aziende possono esser definite in questa maniera: Organismi – caratterizzati dalla presenza di un soggetto economico e da una provvista di capitale (1) – Operanti per il soddisfacimento dei bisogni umani. Questa definizione risulta generica in relazione agli scopi che noi ci prefiggiamo, e va sviluppata; Per farlo è necessario individuarne il nucleo forte su cui tutto il resto si regge—A noi sembra che sia sintetizzabile nella seguente enunciazione: Al centro del fenomeno “azienda” vi è lo svolgimento di un insieme di attività dirette alla creazione di utilità a favore di un singolo soggetto o di una collettività di individui. Questa precisazione ci permette di porre in evidenza alcuni aspetti del concetto di azienda che, inizialmente, risultavano in essa solo adombrati: 1) Il concetto stesso di attività richiede la presenza di uno o più soggetti agenti, l’utilizzo di risorse di vario tipo e valore nonché l’esistenza di un’opera di organizzazione di tali agenti e/o risorse. 2) La possibilità che la creazione dell’utilità avvenga a favore di una collettività di soggetti piuttosto che di un singolo individuo impone di considerare, nel concetto di azienda, anche il problema legato all’esistenza di interessi convergenti verso l’azienda, potenzialmente in contrasto fra loro. Possiamo definirla nella maniera seguente: Un insieme organizzato di persone che utilizza risorse intellettuali, fisiche e finanziarie per estrarre, trasformare, trasportare, distribuire dei beni o produrre dei servizi, confornemente a degli dove si contemperano, in vario grado, motivi di profitto e finalità sociali in ordine alle diverse classi di aziende. Questa nuova formulazione ci sembra adatta rispetto al discorso che dobbiamo sviluppare—In primo luogo, ci consente di adottare un’interpretazione sistemica del fenomeno aziendale. L’azienda, infatti, è concepibile anche quale “sistema” , vale a dire come: Insieme di elementi interconnessi da relazioni di interdipendenza. Si tratta di un insieme non spontaneo (rispetto a altri biologici o fisici) ma progettato dall’uomo—come tale è necessariamente finalizzato, ovvero costituito al fine di uno o più risultati (scopi). Ne consegue che l’opera di definizione preventiva degli obiettivi che il sistema deve raggiungere assume una rilevanza eccezionale— solo una chiara individuazione permette l’elaborazione di strategie in grado di guidare l’azione degli operatori d’azienda verso il conseguimento dei suddetti scopi. Ogni azienda si pone “centro di un articolato insieme di interessi” di cui risultano portatori diverse categorie di soggetti (stakeholders)—Tali interessi sono, pertanto, “signitivicamente differenziati, se non divergenti e contrapposti” cosi ché nell’azienda possa avvenire un processo di contemperamento degli stessi. Gli scopi (risultati) assegnati di volta in volta possono essere perseguiti partendo da differenti situazioni e modalità— gli obiettivi perseguiti dall’Azienda possono essere definiti di tipo complesso poiché nella loro definizione trovano l’equilibrio le aspettative dei diversi soggetti interessati: è bene sottolineare però che lo svolgimento dell’attività produttiva rappresenta non il fine ultimo dell’organizzazione aziendale ma un mezzo di realizzazione dei fini d’impresa. L’azienda è, quindi, un sistema aperto: Esso risulta in continua relazione dinamica con il proprio ambiente dal quale riceve input che vengono trasformati e restituiti all’ambiente medesimo come output—tale processo di ricezione di input, trasformazione in output e emissione verso l’esterno è necessario; l’equilibrio in grado di garantire stabilità al sistema è quindi dinamico poiché l’azienda deve saper rispondere dinamicamente a ciò che caratterizza l’ambiente ricercando un equilibrio tra le proprie componenti. L’ambiente, inteso come variabile aggregata e complessa da analizzare, è: un insieme di numerosi sottoinsiemi tra loro variamente interconnessi—in ciascuno di tali insiemi l’impresa interagisce con determinati interlocutori pervenendo a stabilire anche svariati rapporti di natura continuativa—questi micro-ambienti vengono raggruppati in due categorie: 1) Quella che comprende gli attori del sistema competitivo; 2) Quella costituita dagli attori sociali. Ognuno dei micro-ambienti risente dell’influsso delle condizioni esistenti nei macro-ambienti economici, politici, demografici, sociali, culturali, del paese o dei paesi nei quali l’Azienda si trova ad operare: Non è possibile dare una delimitazione oggettiva nè dell’ambiente complessivo né dei singoli sottoambienti nei quali si trova una data realtà aziendale—la complessità della variabile ambientale è tale da non consentirne una definizione oggettiva: La realtà dell’ambiente è selezionata ed assume significato in funzione degli schemi di percezione delle persone che governano l’azienda; l’ambiente così percepito influenza le scelte e l’azione degli organi di governo dell’azienda e dunque anche le variazioni di ambiente che da esse derivano. CONCETTI ESSENZIALI: IL CAPITALE Si è già detto che al centro della nozione azienda vi è il soddisfacimento dei bisogni umani da essa esercitata (produzione)—Lo svolgimento di tale attività comporta l’uso di fattori produttivi (beni e servizi) acquisiti da terze economie o sviluppati internamente: Quest’ultima affermazione ci permette di comprendere anche che non risulta possibile lo svolgimento di alcuna attività economica in mancanza di un investimento di risorse; se, infatti, l’ottenimento di un prodotto comporta l’uso di alcuni fattori produttivi, è evidente che chi intende realizzare quel prodotto ha la necessità di approvvigionarsi preventivamente per tali fattori poiché non si può consumare ciò che non si possiede. L’acquisire I fattori produttivi implica l’investimento negli stessi di una parte delle risorse a propria disposizione, con il che si è dimostrata l’affermazione di partenza. La presenza di un capitale investito è fenomeno connesso con lo svolgimento di un’attività produttiva e, dunque, con l’esistenza stessa dell’impresa—In un qualsiasi momento l’azienda ha un ammontare di risorse investite nei fattori produttivi (beni e servizi) necessari per lo svolgimento della produzione: L’uso del metro monetario consente di esprimere in forma omogenea la massa di tali beni e servizi. Le risorse a disposizione dell’impresa pervengono alla stessa attraverso certi canali—se accettiamo di considerare la detenzione di moneta liquida come particolare tipo di investimento in qualsiasi momento T0, le risorse complessivamente investite dall’azienda eguagliano le risorse a sua disposizione. Si ha perciò che: RISORSE INVESTITE = RISORSE A DISPOSIZIONE O che, in termini tecnici, che: INVESTIMENTI = FINANZIAMENTI Questa semplice equazione ci permette di rendere palesi le due diverse prospettive nelle quali può esaminarsi la ricchezza relativa ad un’azienda: La prima prospettiva, quella dei finanziamenti, rappresenta l’origine del potere d’acquisto generico—la ricchezza di cui l’entità economica ha potuto disporre (capitale disposizione, oppure capitale finanziamento); La seconda prospettiva, quella degli investimenti, rappresenta le forme in cui si è attuata la destinazione di tale ricchezza, e cioè I beni e servizi in cui essa risulta temporaneamente investita (capitale investito). La provvista di capitale impiegata nell’impresa può trovare origine in debiti, ovvero in finanziamenti temporanei concessi da entità economiche esterne all’impresa come istituti di credito, obbligazionisti, fornitori, lavoratori dipendenti e non, ecc: si parla in tal caso di capitale di terzi o di passività. La caratteristica di questa forma di finanziamento è la provvisorietà: si tratta di potere d’acquisto generico che deve essere restituito a chi l’ha fornito, secondo modalità e tempi variabili da caso a caso, venendo (infine) rimborsato. Possiamo pensare all’insieme dei debiti (capitale di terzi) in termini di risorse economiche di cui l’impresa dovrà nel tempo privarsi, ciòè di beni e servizi che dovranno essere trasferiti all’esterno per estinguere I finanziamenti accordati a titolo di capitale di credito: la parte del finanziamento complessivo di cui un’azienda può disporre e che non risulta fornita da terzi è chiamata capitale proprio e può pervenire all’azienda secondo due modalità: essere apportato da soggetti coinvolti all’azienda (capitale d’apporto) o essere frutto del processo di risparmio degli utili prodotti (autofinanziamento). CONCETTI ESSENZIALI: EQUAZIONE DELLA STATICA PATRIMONIALE Se prendiamo in esame il termine dell’equazione relativo agli investimenti aziendali non tardiamo ad accorgerci che le risorse a disposizione dell’impresa non possono essersi investite che in beni o in servizi, e dunque in attività patrimoniali; E’ possibile quindi riscrivere l’eguaglianza in: I 0 = F0 Dove I0 indica l’investimento complessivo in essere all’epoca T0, e F0 il finanziamento a disposizione nello stesso istante, secondo la seguente nuova formulazione: A0 = P0 + N0 Dove A0 indica le attività aziendali esistenti al momento T0, ovvero l’insieme dei beni e servizi di cui risulta temporaneamente investito il capitale d’impresa in quel momento; P0 indica le passività (capitale di terzi) cioè la parte del finanziamento aziendale attinta a titolo di capitale di credito sino a quel momento, e N0 indica il capitale netto (capitale proprio) cioè la quota del finanziamento complessivo ottenuta sotto forma di capitale di rischio. Le equazioni e ci permettono di chiarire che l’impresa fruisce di ricchezza (capitale di credito e capitale proprio) resa disponibile e investita e che, con riguardo all’attuazione del processo produttivo, il potere d’acquisto generico di cui è dotato il capitale di credito è del tutto equivalente al potere d’acquisto generico di cui è dotato il capitale proprio—gli euro presi in prestito sono identici agli euro provenienti dal proprio patrimonio, ed essi sono reciprocamente fungibili e sostituibili: La relazione può essere riscritta in: A0 – P0 = N0 Apprendiamo da ciò che il potere d’acquisto proprio N0 introdotto a un momento T0 qualsiasi, in un’impresa risulta pari alla somma fra il potere d’acquisto generico investito A0 e il potere d’acquisto generico che dovrà essere restituito ai terzi finanziatori P0. L’eguaglianza qua individuata prende il nome di Equazione Fondamentale della Statica Patrimoniale (o Equazione statica di bilancio, o Equazione statica della contabilità ordinaria d’Esercizio) ed essa ha il pregio di enfatizzare il ruolo svolto dal capitale proprio nel sistema di produzione, per cui a detto di capitale corrisponde un complesso d’investimenti netti, vale a dire il potere d’acquisto generico che dovrà essere restituito a coloro che hanno concesso il capitale di credito. Permette di comprendere che l’impresa non può che essere capitalistica, nel senso che solo il capitale proprio costituisce il parametro su cui misurare I risultati produttivi—anche quando si impieghi capitale di credito in aggiunta al capitale proprio, al soggetto economico interessa in ultima ratio la modificazione nel valore del solo capitale proprio sul quale si riflettono tutti gli effetti positivi e negativi delle decisioni aziendali. E se ciò è vero per un qualsivoglia periodo di tempo lo è ancora di più in una visione che abbracci la durata dell’intera vita aziendale. In questo senso, la divisione di compiti tra capitale di credito e capitale proprio diviene cruciale—il capitale di credito è assoggettato alla politica economica dell’impresa—Anche se presente in misura rilevante svolge il compito di procurare un potere d’acquisto generico che si amplia e si restringe secondo le esigenze del soggetto economico: lo si acquisisce per contratto, con durata temporalmente delimitata, comportando il sostenimento di un costo, mentre di fatto è assimilato dall’impresa agli investimenti. Questi, d’altronde, possono essere interpretati congiuntamente alle passività quali investimenti netti ( A0 – P0 ): L’equazione permette di leggere più approfonditamente le dimensioni che caratterizzano la ricchezza introdotta nell’impresa. Un primo aspetto economico della ricchezza (o I dimensione) è rappresentato dagli investimenti netti (somma fra potere d’acquisto generico incorporato e potere d’acquisto generico da rendere a terzi; fra valore dei beni e servizi che compongono le attività e valore dei beni e servizi che dovranno essere trasferiti all’esterno per estinguere le passività). Un secondo aspetto economico della ricchezza (o II dimensione) è rappresentato dal capitale proprio inteso come massa, o deposito, o serbatoio del potere d’acquisto proprio il cui livello è destinato nel tempo, per effetto delle scelte attuate, ad aumentare o diminuire. CONCETTI ESSENZIALI: IL REDDITO, I RICAVI, I COSTI Definiamo il reddito come la variazione netta subita dal capitale netto per effetto dello svolgimento del processo produttivo—esso corrisponde all’incremento netto (utile) o al decremento netto (perdita) verificatosi nel capitale proprio di un’impresa per effetto dello svolgimento dell’attività economica: Si può pensare al capitale netto come serbatoio di potere d’acquisto generico a disposizione dell’impresa; esso, dunque, non può che rappresentare un particolare flusso di tale potere d’acquisto e, in quanto tale, la sua definizione implica il riferimento esplicito ad un particolare intervallo di tempo. Si potrà parlare correttamente di reddito dell’intera vita aziendale, di reddito dell’esercizio 20X0, del secondo trimestre del 20X1. Essendo il credito definito in termini di variazione verificatasi durante il periodo di tempo considerato, nel capitale netto aziendale parrebbe lecito calcolarlo come differenza tra I valori assunti dal capitale di rischio nelle due epoche che delimitano l’arco di tempo—ovvero, calcolare il reddito (R) del periodo T0 - T1 come differenza tra capitale netto esistente all’epoca T1 (N1 = A1 – P1) e quello esistente all’epoca T0 (N0 = A0 – P0); ciò però non può dirsi del tutto corretto poiché la definizione di reddito prima fornita rende evidente che non tutte le variazioni (aumenti e diminuizioni) subite dal capitale netto d’impresa nell’intervallo di tempo considerato concorrono a formare il reddito. Sono rilevanti le sole variazioni attinenti allo svolgimento dell'attività produttiva—sono escluse dal concetto di reddito le variazioni nel capitale netto che non derivano dall'esercizio di un'attività economica ma che sono legate a decisioni prese al di fuori della produzione. Si fa riferimento alle variazioni (lorde) nel capitale netto dovute a nuovi apporti, a rimborsi di capitale e a distribuzioni di utili verificatisi nel periodo preso a riferimento per il calcolo del reddito, dette variazioni dirette di capitale netto—per determinare correttamente il risultato economico la variazione lorda registratasi nel capitale proprio deve essere depurata degli effetti connessi alla presenza delle variazioni dirette di netto. S’immagini che il sig.Vitelli decida all'inizio 20X0 di dar vita ad una nuova impresa mercantile dotandola di un capitale proprio iniziale di €10,000. Egli stesso apporta tale somma prelevandola dal proprio conto corrente bancario. Al termine del 20X9—dopo un decennio durante il quale sono state portate a termine con alterno successo numerose operazioni di compravendita—lo stesso Vitelli decida liquidare l'azienda in questione. Vengono pertanto realizzati in forma liquida tutti gli investimenti aziendali in essere a tale data e rimborsati tutti i debiti precedentemente contratti: Rimangono in cassa €15,000 che Vitelli preleva depositandoli nel proprio conto corrente, e ci si chiede: qual è il reddito complessivamente conseguito dal Vitelli nell'intero arco di vita dell'impresa da lui costituita? La risposta appare intuitiva: essendo il reddito rappresentato dalla variazione complessiva subita dal capitale netto nel periodo di tempo considerato per effetto dello svolgimento dell'attività produttiva, non si deve far altro che confrontare il capitale netto esistente al termine del 20X9 con quello esistente all'inizio del 20X0; la differenza tra i due valori esprimerà il reddito del decennio conseguendo un utile complessivo di € 5.000. Questo modo di ragionare è solo tendenzialmente corretto perché implica l'assunzione di un'ipotesi che vuole tutta la variazione del capitale netto riscontrata nel decennio in esame spiegabile in termini di solo risultato dell'attività produttiva svolta in tale arco di tempo. Possiamo affermare che il reddito relativo a un determinato intervallo temporale può essere calcolato come semplice differenza tra il valore del capitale netto finale e quello del capitale netto iniziale se, e solo se nel periodo di tempo considerato non si sono verificate movimentazioni dirette di netto o che, se esse si fossero verificate, si sono perfettamente compensate tra loro. Solo in questo caso particolare potremo determinare il reddito sulla base della seguente equazione: Re = N1 – N0 Se veniamo a conoscenza che il sig.Vitelli, al termine di ogni esercizio, ha prelevato dal proprio conto corrente €600 in contanti per versarlo nelle casse sociali, il risultato muta drasticamente: Se si seguono i travasi di ricchezza operati a favore dell’azienda dal Sig.Vitelli dal momento in cui è avvenuta la costituzione dell'azienda sino alla sua liquidazione si ha modo di comprendere come questi abbia versato nell'azienda complessivi €16,000 ricavandone, alla fine, solo €15,000, perdendo €1,000. E' del tutto evidente che l'equazione deve essere modificata. Si deve depurare la variazione complessiva registratasi nel periodo di tempo considerato di un ammontare pari al totale dei nuovi apporti registratisi in tale periodo. Avremo che in presenza di apporti la si modifica nella: [4a] Re = (N1 – N0) - Apporti Il risultato sarebbe ancora diverso nel caso in cui l'informazione aggiuntiva ci permettesse di apprendere questi, invece di apportare €1,000 alla fine di ogni esercizio, prelevava la stessa somma dalle casse sociali per poi spenderla a proprio piacimento, si verrebbe a scoprire che lo stesso ha apportato solo €10,000 incassandone complessivamente €21,000, Il suo reddito totale sarebbe di ben €11,000. E' dunque evidente che lo stesso tipo di correzione apportata all'equazione in presenza di apporti va applicata in relazione a variazioni dirette di capitale connesse a rimborsi o distribuzioni di dividendi. Solo che in questi casi il segno della correzione è contrario! Avremo pertanto che: [4b] Re = (N1 – N0) + rimborsi + distribuzioni. Più in generale possiamo allora affermare che il reddito relativo ad un determinato periodo di tempo può essere calcolato come differenza tra il capitale netto finale e quello iniziale, ma tale differenza va opportunamente rettificata aggiungendo ad essa il valore dei rimborsi e delle distribuzioni di utili e sottraendo quello degli apporti da chiunque effettuati in tale arco di tempo. Il reddito del periodo T0-T1 può essere calcolato in modo sintetico attraverso l'utilizzo della seguente espressione algebrica: Re = (N1 – N0) - apporti + rimborsi + distribuzioni | = [ (A1 - P1) - (A0 – P0) ] - apporti + rimborsi + distribuzioni E' evidente che tale modalità di calcolo impone la conoscenza del valore assunto dal capitale netto negli istanti T0 e T1 e implica l'effettuazione delle operazioni di inventario in tali epoche. Non risulta peraltro necessaria la rappresentazione dei movimenti intervenuti nel periodo di tempo considerato: Ogni bilancio è indipendente dal precedente e si fonda su ricognizioni di fatto di quantità e valori condotte al termine di ciascun esercizio. Il reddito è spiegabile solo come somma delle differenze fra attività e passività finali e iniziali, e quale differenza fra netto finale e iniziale; una volta enucleate dal calcolo le influenze dovute all'eventuale presenza di apporti, rimborsi di capitale ed erogazioni di reddito intervenuti durante il periodo. Calcolare il risultato aziendale in questo modo non pone in evidenza quali sono state le condizioni interne ed esterne che hanno permesso il conseguimento del reddito ottenuto—non aiuta a capire quali operazioni hanno consentito di ottenere risultati positivi e quali si sono rilevate perdenti: Questo tipo di informazione viene fornito dal metodo di calcolo del risultato economico denominato analitico; Tale procedimento si fonda sulla individuazione delle cause che hanno originato le singole variazioni del capitale proprio conglobate nella variazione complessiva rappresentata dal reddito. La sua adozione porta alla determinazione del risultato economico non più come differenza tra due valori del capitale netto riferiti a epoche differenti ma per contrapposizione di classi di variazioni aumentative tra loro omogenee in quanto a causa (ricavi) e classi analoghe di variazioni diminutive (costi): Ciò impone l'adozione di un sistema di contabilità in grado di tener conto di tali variazioni man mano che esse si verificano—immaginiamo di porre a confronto l'equazione della statica patrimoniale calcolata in due istanti diversi T0 e T1, Avremo le seguenti due espressioni algebriche: in T0 si avrà che: [6a] A0 - P0 = N0 in T1 si avrà che: [6b] A1 – P1 = N1 Quali movimentazioni devono essersi verificate per passare dalla [6A] alla [6B]? E' evidente che per passare da un livello di attività A0 all'epoca T0 ad un livello A1 all'epoca T1 devono essersi verificate nel periodo T0- T1 delle movimentazioni nelle attività aziendali; probabilmente alcune di queste saranno state incrementative del valore dell'investimento complessivo (+Ia) mentre altre saranno state diminutive (-Da). Analogamente sarà successo per le passività: vi saranno state variazioni aumentative nella posizione debitoria aziendale (-Ip) così come variazioni diminutive (+Dp); mentre le movimentazioni incrementative delle attività e quelle diminutive nelle passività si riflettono in un aumento del netto (+In) le variazioni diminutive nelle attività e quelle aumentative nelle passività lo diminuiscono (-Dn). Le variazioni aumentative nelle attività e nelle passività sortiscono un effetto contrario sul netto, e lo stesso accade per le variazioni diminutive—sulla base di queste considerazioni si può elaborare il seguente schema di analisi della dinamica del capitale netto: epoca T0 + A0 -P0 = +N0 periodo T0 - T1 + Ia +Dp = +In periodo T0 - T1 - Da -Ip = -Dn ___________________ epoca T1 + A1 - P1 = +N1 C’è però bisogno, ai fini del calcolo del reddito, di separare le variazioni patrimoniali che concorrono alla formazione del risultato economico di periodo da quelle che, risultando estranee allo svolgimento dell'attività produttiva d'impresa, ne sono escluse (variazioni dirette di netto): Definiamo pertanto costo ogni variazione patrimoniale lorda passiva (incremento di passività o decremento di attività) realizzatasi nel periodo di tempo considerato per effetto dello svolgimento dell'attività produttiva. Definiamo pertanto ricavo ogni variazione patrimoniale lorda attiva (incremento di attività o decremento di passività) verificatasi nell'arco di tempo considerato in relazione allo svolgimento dell'attività produttiva. Risulta allora chiaro che al processo di calcolo del reddito concorreranno le sole variazioni di netto che sono costi o ricavi—possiamo migliorare lo schema di analisi della dinamica del capitale netto precedentemente proposto separando le variazioni patrimoniali che rappresentano costi (-C) e ricavi (+R) dalle variazioni dirette di netto, tanto aumentative (+Idn) quanto diminutive (-Ddn): epoca T0 + A0 -P0 = +N0 periodo T0-T1 + I*a +D*p = +R periodo T0-T1 + I^a +D^p = +Idn periodo T0-T1 - D*a -I*p = -C periodo T0-T1 - D^a -I^p = -Ddn ____________________ epoca T1 +A1 -P1 = +N1 Appare evidente che il capitale netto finale (N1) può essere determinato sommando al capitale netto iniziale (N0) l'insieme delle variazioni dirette di netto (ΔDN = + Idn - Ddn) registratesi nel periodo di tempo considerato e il risultato economico d'esercizio (RE), quest'ultimo calcolato come differenza tra ricavi (+R) e costi (-C): N1 = +N0 + Re + ΔDN | = +N0 + (+ R - C) + (+ Idn - Ddn) Nel metodo analitico il risultato economico non è calcolato attraverso il raffronto fra capitale netto iniziale e finale ma come differenza tra costi e ricavi, il che impone la determinazione di tali valori nel corso del periodo considerato—per comprendere come questo avvenga è ora opportuno parlare della PARTITA DOPPIA: Con tale denominazione si individua una metodologia contabile che impone la classificazione di ogni evento aziendale suscettibile di valutazione economica sotto 2 diversi profili: 1) Un primo profilo; l'aspetto patrimoniale dell'evento: concernente il riconoscimento in contabilità della modificazione in termini di valore prodotta dall'evento in questione nel complesso dei beni e servizi a disposizione dell'impresa (l'evento "pagamento della materia prima acquistata" comporta una diminuzione dell'elemento patrimoniale “denaro in cassa”, così come l'evento "ricevimento della materia prima acquistata" comporta un aumento dell'elemento patrimoniale “materia prima a”). La "dimensione" della ricchezza aziendale chiamata in causa in relazione a questo profilo è quella rappresentata dal primo termine dell'equazione fondamentale della statica più volte esaminata. 2) Un secondo profilo; l'aspetto economico dell'evento: in relazione al quale avviene la concreta identificazione della causa economica in grado di spiegare la variazione registrata sotto l'aspetto patrimoniale (la diminuzione verificatasi nell'elemento patrimoniale denaro può essere spiegata quale costo d'acquisto della materia prima a, così come l'aumento in valore registratosi nell'elemento patrimoniale materia prima a viene spiegato quale variazione aumentativa nella rimanenza finale della materia a). Questa volta la "dimensione" della ricchezza aziendale coinvolta è rappresentata dal capitale netto inteso quale serbatoio di potere d'acquisto generico e corrisponde a quella rappresentata dal secondo termine della già menzionata relazione fondamentale. L’utilizzo della partita doppia conduce a rappresentare ogni variazione patrimoniale contemporaneamente quale movimento (aumento o diminuzione) negli elementi patrimoniali netti (+Ia -Da -Ip +Dp) e quale movimento (aumento o diminuzione) nel capitale netto d'impresa (N0): A ogni variazione registrata nel primo membro della viene fatta corrispondere un'analoga variazione nel secondo, in grado di spiegarne la causa. CONCETTI ESSENZIALI: IL METODO CONTABILE Le indagini storiche mettono in luce che il calcolo contabile è presente in qualsiasi contesto economico: Noi ne trattiamo unicamente con riferimento alla moderna economia di mercato e cioè al sistema capitalistico. Detto sistema è caratterizzato dal continuo recupero dei mezzi di produzione consumati e dalla formazione di un sovrappiù di beni e di servizi il quale costituisce il reddito del sistema. Per effetto di questa situazione ogni operazione di rinnovo di beni strumentali tende a risolversi in un rafforzamento produttivo. Lo studio di una siffatta economia, ai diversi livelli suppone nel breve come nel lungo periodo l'elaborazione di funzioni di produzione e di criteri di ottimizzazione. Comporta l'elaborazione di procedimenti di costruzione e rappresentazione delle variazioni (movimenti) di valore che la ricchezza subisce. Questo complesso d'informazioni dovrebbe descrivere e spiegare i fatti economici e, perciò, indirizzare le decisioni dei soggetti economici e di ogni altro interessato (lavoratori, finanziatori, terzi in genere). Sul piano metodologico, per realizzare detti obiettivi, la ragioneria si avvale di due strumenti fra loro integrati: a) la classificazione; b) la misurazione. La prima, realizzabile secondo diversi criteri variamente coordinati sviluppati in modo conforme ai canoni del tessuto produttivo mediante categorie logiche (classi) rispondenti a determinate prospettive di osservazione. La logica duale (duality) e cioè la rappresentazione delle quantità sotto due diversi aspetti e con antitesi nel segno (partita doppia) offre una struttura insostituibile per organizzare e sistemare i valori contabili: Essa consente di convertire i dati economici di partenza in un complesso svolgimento dai sicuri legami secondo una tecnica applicabile sia ai fenomeni macroeconomici che a quelli microeconomici. La seconda ha per oggetto l'attribuzione di caratteri quantitativi alle categorie che nascono con la classificazione. Questi caratteri possono essere fisici o monetari. Si hanno al riguardo diverse scale di misurazione sia di tipo “non monetario” o primarie che di tipo “monetario” o secondarie. I movimenti di ricchezza presentano connotati monetari nell'economia moderna. Negli ordinamenti contabili, la misurazione primaria costituisce ormai una fase del più esteso lavoro che conduce alla misurazione secondaria. Quest'ultima si appoggia alla prima nel senso che ne è una prosecuzione; entra in azione una volta che gli oggetti appartenenti alle classi contabili siano stati definiti in quantità fisiche (numero di pezzi, kg, ecc.). La misurazione monetaria non dovrebbe comportare particolari difficoltà essendo la moneta nient'altro che un bene (modulo sostitutivo di questo), per convenzione accettato in cambio di altri beni e servizi, e suscettibile, una volta ottenuto, di essere negoziato contro altri beni e servizi. Ogni entità significativa sotto il profilo economico è caratterizzata dalla presenza di finanziamenti e di investimenti: In un medesimo istante di tempo le loro misure monetarie sono coincidenti ed esprimono il valore della ricchezza in concreto messa a disposizione del soggetto economico. Per conoscere i meccanismi attraverso i quali si svolge il fenomeno produttivo dell'impresa bisogna raccogliere ordinatamente nel tempo tutti i movimenti che subisce ogni singola classe di finanziamenti e di investimenti, interpretando le modificazioni intervenute rispetto ad una precedente situazione; Operando diversamente si perviene ad immagini parziali, troppo astratte e semplificate, della realtà dell'impresa. Da un lato i processi produttivi non potrebbero attivarsi senza un sostegno preesistente costituito dagli investimenti e dai finanziamenti già in corso, dall'altro quell'attivazione può richiedere ulteriori modificazioni nella struttura dei finanziamenti e degli investimenti; Soccorrono così spesso altri finanziamenti e, quindi, investimenti. Possono anche aversi rinnovi di fattori durevoli e non durevoli. Qualsiasi produzione provoca l'utilizzo dei fattori produttivi durevoli e non durevoli: Si verifica allora un disinvestimento (per consumo di beni e servizi) cui ha riscontro un nuovo investimento (per l'ottenimento della produzione). Questo è in genere poi trasformato in forma monetaria. In questa circostanza si manifesta il sovrappiù di valore che costituisce il reddito; Quando diciamo che produzione significa trasformazione della ricchezza, intendiamo riferirci ad ogni aspetto di quella trasformazione e ad ogni sua fase. Va osservato che essendo gli ordinari disinvestimenti (consumi di beni e servizi) ed i connessi investimenti (ottenimento di nuovi beni e servizi) una parte dei complessi movimenti di investimenti e finanziamenti, non pare lecito studiare i primi come una realtà distinta dai secondi: La separazione conduce a pensare che la matrice che raccoglie le relazioni d'impiego fra fattori e processi produttivi esprima tutte le necessarie condizioni di produzione, mentre così non è; l'impresa può desumere combinazioni produttive riferibili ai soli fattori già approvvigionati. La contabilità generale e la contabilità analitica d'esercizio insieme formano la contabilità ordinaria d'esercizio. Trattasi di due sistemi coordinati, o di un sistema principale e di un suo sottosistema, di valenza scientifica e pratica diffusi su scala mondiale e obbligatoriamente richiesti. La contabilità ordinaria, sviluppata con criteri diversi presso le varie dottrine (angloamericana, tedesca, italiana) può essere anche denominata “sistema del capitale e del reddito”, o “sistema della dinamica patrimoniale”. CONCETTI ESSENZIALI: LA CREAZIONE DI VALORE Ogni impresa deve creare valore: Si tratta di un'affermazione che può essere giudicata al tempo stesso corretta e scontata, opportuna e pericolosa. E’ corretta in quanto identifica preciso la missione di fondo di ogni impresa; è scontata perchè a ben vedere esprime un concetto elementare; e opportuna perché richiama le imprese a un impegno a cui spesso vengono meno; infine, è pericolosa perchè spesso viene presentata e intesa in modo da generare rischiosi equivoci e fraintendimenti. Per creare valore occorre che l'output dell'impresa valga più delle risorse impiegate per realizzarlo: come ognuno di noi si rifiuta di impegnare energie se giudica che il risultato non valga quanto il suo impegno, ugualmente un'impresa che non sappia realizzare un output di valore superiore alle risorse impiegate deve essere giudicata antieconomica. Il valore creato va però distribuito, e questo apre inevitabili conflitti tra una molteplicità di soggetti interessati ad appropriarsi di una quota del valore creato. E’ interesse dei clienti pagare il minor prezzo possibile per acquisire il prodotto, è interesse dei manager e degli altri dipendenti ottenere più elevate remunerazioni, è interesse dei fornitori conseguire prezzi più alti per i prodotti e servizi apportati, è interesse degli azionisti massimizzare la differenza tra i ricavi e quanto vanno a compensare i costi, e cosi via. Di tutti questi interlocutori (denominati stakeholder) l'impresa ha bisogno di clienti che acquistino i suoi prodotti, di manager che la guidino, di dipendenti che collaborino, di azionisti che la finanzino, di fornitori che la alimentino dei prodotti e dei servizi necessari alla sua attività. Per durare nel tempo un'impresa deve essere capace di soddisfare in misura adeguata tutti i suoi stakeholder. Questo equilibrio non è facile da conseguire in quanto ogni interlocutore è spinto a far valere la forza contrattuale di cui dispone al fine di ritagliare per sé la fetta maggiore del valore creato. Accade spesso che qualcuna tra le parti in gioco pretenda di contare più degli altri. Lo hanno fatto nel nostro paese molti imprenditori permettendosi comportamenti disinvolti sul piano sindacale, fiscale, ecologico; lo ha fatto, nelle imprese maggiori a partire dagli anni 80, la classe dei manager, cercando di imitare i meccanismi (clausole di rescissione, sistemi di incentivazione, pensioni privilegiate ecc.); lo hanno fatto negli anni più recenti gli investitori finanziari, pretendendo che gli indici contabili di bilancio e il prezzo delle azioni siano gli unici parametri di giudizio di un'impresa, e al tempo stesso alimentando comportamenti dominati da intenti speculativi e di breve termine che hanno reso i valori di mercato eccezionalmente volatili e irrazionali. L'economia è come una corda che può essere tirata, ma non spinta; si può aggiungere che è come una corda anche perchè, ove troppo tirata, si spezza. E’ una lezione molto semplice, che l'esperienza dovrebbe aver insegnato a tutti: imprenditori e sindacati, banche e azionisti, manager e clienti, fornitori e Pubblica amministrazione. Si può dire che: 1) Le imprese esistono per creare valore; 2) Creare valore significa realizzare qualcosa che vale più delle risorse impegnate; 3) Il valore si distribuisce tra tutti gli stakeholder in relazione alla forza contrattuale esercitata; 4) La capacità di creare durevolmente valore si traduce nel riuscire sistematicamente a dare adeguata soddisfazione delle attese di tutti gli stakeholder: azionisti e clienti, manager e altri dipendenti, fornitori e partner commerciali, Pubblica amministrazione e comunità sociale. LA CREAZIONE DI VALORE: LE MISURE DI PERFORMANCE DELL'IMPRESA Se la capacita di creare valore è la condizione di sopravvivenza di un'impresa, e se la creazione di valore richiede la sistematica capacità di soddisfare tutti gli stakeholder, ne consegue che per giudicare la qualità di un'impresa e il suo grado di successo occorrono parametri che permettano di misurare in modo adeguato il grado di soddisfazione degli stakeholder. Al riguardo, è possibile in prima approssimazione stabilire una sorta di gerarchia tra i vari stakeholder articolata su 3 livelli: 1) Al primo livello si pongono gli azionisti dell'impresa, che rappresentano gli stakeholder istituzionali; 2) Al secondo livello possono essere posizionati clienti e collaboratori, che per ogni impresa, di qualunque ordine e dimensione, rappresentano stakeholder chiave sul piano operativo; 3) Al terzo livello si pongono gli stakeholder complementari, cioè quegli altri interlocutori che soltanto occasionalmente assumono un ruolo di primaria rilevanza. Ne sono esempi i fornitori, i partner operativi, la Pubblica amministrazione, la comunità sociale. Gli azionisti: E’ del tutto evidente il dovere che l'impresa ha di corrispondere innanzi tutto agli interessi degli azionisti. In quanto apportatori del capitale di rischio, accettano di essere remunerati dopo tutti gli altri soggetti, e quindi più degli altri sfidano l'incertezza dei risultati d'impresa. E’ logico che l'azionista pretenda di esercitare un potere relativamente superiore agli altri, riservando a sé (attraverso assemblee e consigli di amministrazione) le decisioni che possono avere maggiore impatto sulla creazione e distribuzione del valore (investimenti strategici, nomina e compenso dei vertici manageriali, distribuzione degli utili...). I clienti: che alla base del successo di un'impresa ci sia la capacità di soddisfare in modo peculiare e distintivo i bisogni della clientela è tanto ovvio da non richiedere dimostrazioni—nonostante questo, le imprese spesso hanno peccato e peccano proprio per una inadeguata attenzione al cliente, poiché spesso sono orientate al prodotto, per significare che individuano la loro identità profonda e fondano le loro competenze più forti sul prodotto e sui processi per fabbricarlo, piuttosto che sulla capacità del prodotto di rispondere appieno ai bisogni del mercato e sui processi di servizio al cliente. L'impresa non può permettersi di dimenticare, se non a prezzo di perdere mercato o di non saperlo conquistare, che un prodotto vale solo nella misura in cui si dimostra capace di soddisfare i bisogni dei clienti. Non è difficile delineare I modelli che permettano di valutare il grado di soddisfazione della clientela: 1) Il prezzo (o meglio, il rapporto tra il prezzo e gli attributi funzionali del prodotto); 2) La qualità, intesa come la corrispondenza tra il contenuto effettivo del prodotto e quello atteso dal cliente; 3) Il livello di servizio, cioè l'adeguatezza delle modalità e dei tempi con cui il prodotto è reso disponibile e fruibile dal cliente (per esempio, tempi di consegna, servizi di assistenza ecc. ). I collaboratori: Un'impresa opera attraverso persone motivo per cui, a parità di altre condizioni, essa sarà tanto più vitale quanto maggiori sono la quantità e la qualità delle energie, delle capacita e del grado di motivazione che mettono in campo tutti coloro che, a vario titolo e con diversi tipi e livelli di responsabilità, per lei lavorano. Il successo dell'impresa viene sempre più a dipendere dalla sua capacità di attrarre e trattenere le persone dotate dei talenti più appropriati e del grado di motivazione più elevato. Ambiente estemo: Infine, non va dimenticato che un'impresa è un attore sociale e, in quanto tale, non solo ha il dovere di rispondere a istanze e osservare regole che provengono dalle comunità in cui si trova a operare, ma ha anche interesse a stabilire con gli interlocutori sociali relazioni improntate al rispetto e alla collaborazione. Come nel caso precedente, la rilevanza di questa prospettiva non riguarda tutte le imprese nella stessa misura, ma assume particolare significato nelle situazioni in cui l'impatto dell'impresa sul contesto è più forte: per esempio, si pensi alle imprese che incidono pesantemente sull'economia di un certo territorio, come la Fiat nell'area torinese, oppure alle imprese a più elevato rischio ambientale come quelle operanti nei settori chimico, farmaceutico, energetico e cosi via. LA CREZIONE DI VALORE: MEDIO-LUNGO TERMINE E’ interesse degli stakeholders che l’impresa sappia dare continuità nel tempo alla creazione di valore, e la prospettiva di migliori risultati futuri può anche rendere accettabile e conveniente qualche rinuncia a breve termine: l'azionista può rinunciare a un abbondante dividendo, e gli utili possono essere reinvestiti in iniziative promettenti, che potranno consentire dividendi più cospicui in futuro; il personale può accettare livelli di remunerazione minori di quelli che potrebbe ricevere altrove, se le prospettive di crescita in termini di retribuzione che l'impresa gli offre appaiono convincenti; i clienti possono accettare di pagare un prezzo più elevato per il vantaggio di consolidare la relazione con un fornitore affidabile; i fornitori possono ritenere conveniente praticare condizioni più generose di fornitura pur di assicurarsi la fedeltà di un cliente dalle prospettive promettenti. Un'impresa crea valore non solo in quanto realizza nel breve termine delle performance positive anche se opera in modo da alimentare la propria capacità di soddisfare in futuro i propri stakeholder. Tale è la raffigurazione architettonica che appare più appropriata per il patrimonio strategico, inteso come l'insieme delle risorse e delle qualità di cui un'impresa dispone e che la rendono strutturalmente più o meno competitiva—E’ a questa peculiare dotazione di risorse che l’impresa deve la propria capacità di creare valore: quanto maggiore è la consistenza e la durata di questa dotazione, tanto più elevato, a parità di altre condizioni, è il potenziale futuro di creazione di valore che può essere attribuito all'impresa. Il patrimonio in oggetto può essere articolato in 3 categorie di variabili: a) Il capitale intellettuale; b) Il capitale finanziario; c) Il capitale tangibile. a) Il capitale intellettuale: può essere scomposto in tre segmenti: le persone, le relazioni esterne e l'organizzazione interna: 1a) Il capitale professionale: spesso definito anche capitale umano, fa riferimento alla qualità e al potenziale delle risorse mane su cui l'impresa può contare. In particolare, vi concorrono conoscenze, esperienze, attitudini e talenti del personale dell'impresa. 2a) Il capitale relazionale: Come il capitale umano si impernia sulle competenze ed esperienze individuali, quello relazionale fa leva sulla forza delle relazioni di cui l'impresa dispone nei confronti dei suoi interlocutori esterni più rilevanti, tra i quali si possono annoverare tipicamente la clientela, i fornitori-chiave e i partner strategici. 3a) Il capitale organizzativo: Fa riferimento al livello delle competenze dell'impresa, ciò che si manifesta nel grado di qualità e di efficienza con cui essa è in grado di gestire i processi operativi fondamentali. b) Il capitale finanziario: segnala la capacità dell'impresa di attrarre risorse finanziarie in misura corrispondente alle proprie esigenze strategiche e a condizioni economiche convenienti. Gli elementi fondamentali su cui poggia il valore di questo capitale sono dunque 2: 1b) la flessibilità: consiste nella possibilità di adeguare rapidamente la dimensione delle risorse finanziarie disponibili alle opportunità o necessità di nuovi investimenti; 2b) il costo: corrisponde alle pretese di remunerazione che gli apportatori di capitale hanno nei confronti dell'impresa: Tra le variabili che influenzano tali elementi si possono ricordare: l'assetto proprietario, in particolare in termini di concentrazione dell'azionariato e di grado di diversificazione patrimoniale degli azionisti di controllo; la presenza sul mercato di Borsa; il livello e la qualità dell'indebitamento finanziario; il grado di rating attribuito ai titoli di debito dell'impresa da agenzie specializzate; il grado di rischiosità attribuito dal mercato alle azioni dell'impresa. c) Il capitale tangibile: è dato dal valore delle risorse e infrastrutture fisiche dell'impresa, come impianti e sedi. Si tratta di elementi che tipicamente trovano evidenza nel bilancio dell'impresa, ma con significato e criteri di valutazione diversi da quelli che interessa considerare in questa sede. Infatti, nel bilancio vengono iscritti tutti i beni durevoli che l'impresa impiega, valorizzati sulla base del capitale effettivamente speso per la loro acquisizione, e quindi in base alle risorse finanziarie in essi investite. CONCETTI ESSENZIALI: DIFFERENZA TRA PATRIMONIO E CAPITALE Primo concetto di patrimonio: Il Patrimonio è un complesso di beni e servizi appartenenti ad un soggetto o gruppo di soggetti economici e si suddividono in patrimonio particolare e patrimonio nazionale; In questo concetto, il patrimonio è un insieme di beni economici e di servizi permutabili, appartenenti ad uno o più soggetti economici. Affinché sorga un patrimonio sono necessarie le seguenti condizioni: a) Un complesso di beni economici e di servizi; b) La possibilità che essi formino oggetto di scambio; c) La loro appartenenza ad uno o più soggetti economici. A) Nel patrimonio d'uno o più soggetti economici si devono comprendere non soltanto i beni ma anche i servizi, siano essi di uso durevole (opere d'ingegno, concessioni amministrative, marchi, avviamento), siano di uso non durevole (prestazioni di lavoro, servizi di trasporto). Il patrimonio viene riferito ad un determinato istante ed esaminato in una rappresentazione statica. Possono rinvenirsi anche di crediti e debiti per prestazioni immateriali, cioè crediti e debiti di servizi. B. I beni ed i servizi che entrano a far parte di un patrimonio devono poter formare oggetto di scambio ed essere valutabili sul fondamento di prezzi fatti per cose dello stesso genere o, quanto meno, di prezzi presunti. Ciò vale ad escludere dal concetto di patrimonio non solo le persone, ma anche tutti quei beni dichiarati inalienabili, cioè i beni del demanio pubblico. L’esclusione da esso di beni d'impossibile valutazione è attuata non solo dalla pratica, ma anche dalla legislazione. C. Il concetto di patrimonio può essere riferito ad un soggetto economico oppure ad una collettività di soggetti economici, sino alla nazione: Di qui discendono i due concetti di patrimonio particolare/aziendale e di patrimonio nazionale; Rispetto allo Stato italiano si può parlare del patrimonio dell'Amministrazione delle ferrovie, di quello dell'Amministrazione delle poste e telecomunicazioni e d'ogni altra sua azienda autonoma e si può parlare anche del suo patrimonio complessivo («patrimonio generale dello Stato»). La nazione non costituisce un soggetto economico, ma è un insieme di soggetti economici, il più grosso dei quali è lo Stato. Il patrimonio nazionale è la somma dei patrimoni di tutti i soggetti economici di quella nazione, ossia di tutti i patrimoni individuali o aziendali, nella quale somma si elidono ovviamente tutti i crediti e debiti, eccetto quelli verso l'estero. Ciò detto, nel concetto di patrimonio è insita l'idea d'un potere di utilizzazione, attuale o futuro, di determinati beni o servizi. Condizione necessaria di quel potere è l'esistenza di un diritto soggettivo: Nel concetto economico di patrimonio s'innesta il concetto giuridico di diritto soggettivo, che si traduce in un qualsiasi «potere di godimento o di disposizione» (diritto reale) oppure di «spettanza» (diritto di credito) di beni o di servizi. Nessuno può includere nel proprio patrimonio ed attribuire un valore ad un bene, di cui sia proprietario, se esso gli è stato rubato e non vi sia alcuna prospettiva di ricuperarlo. Occorre un potere di utilizzazione che non sia soltanto di diritto, ma anche di fatto. Il potere di fatto per taluni soggetti può esistere a prescindere dal diritto; ciò porta a riconoscere che tutti i beni su cui il soggetto giuridico aziendale vanti un diritto reale di godimento e dai quali possa ritrarre utilità fanno parte del patrimonio. Tra gli elementi d'un patrimonio particolare figurano anche i debiti. Questi costituiscono le passività patrimoniali e si contrappongono alle attività patrimoniali, queste ultime rappresentate sia dai beni su cui il soggetto vanta diritti reali, sia dai crediti d'ogni specie che lo stesso soggetto vanta verso terzi; Se anche il concetto di patrimonio come complesso di beni e di servizi servisse solo a mostrare i mezzi che un soggetto economico può utilizzare l'esistenza di debiti non può essere tralasciata. Se si tralasciassero i debiti si arriverebbe a considerare identici, nei mezzi di cui uno può disporre, due patrimoni formati dai medesimi elementi attivi, nonostante che uno solo sia gravato da debiti; Il concetto di patrimonio riesce più completo e utile se in esso si fanno rientrare anche i debiti. Secondo concetto di patrimonio: Il patrimonio è un complesso di diritti e obblighi valutabili in moneta. Nel concetto economico di patrimonio individuale s'innesta necessariamente un concetto giuridico di «spettanza» di certi beni e servizi, e si può dire anche che il concetto di patrimonio sia di natura economico- giuridica e che tra le definizioni degli economisti e dei giuristi non corrono sostanziali divergenze. Anche tra i giuristi si rinvengono definizioni come questa: «L'insieme dei beni appartenenti ad una persona ne forma il patrimonio», in cui la voce «bene» è intesa come qualsiasi cosa, materiale o immateriale che può formare oggetto di diritti: Va solo notato che i giuristi tendono a porre l'accento sul complesso dei rapporti giuridici (diritti reali e di obbligazione), attivi e passivi, più che sui «beni» cui quei rapporti si riferiscono; nessuno in Economia attribuirà lo stesso valore ad un credito di 100.000 euro verso un debitore solvibile e ad un credito di 100.000 euro verso un debitore insolvente. Anzi, pur essendo il diritto esistente, non è neppure il caso di mantenere il credito nel proprio patrimonio, se non si ha alcuna speranza di poterlo esigere. Terzo concetto di patrimonio: Il Patrimonio è un fondo valore, e la moneta funge non solo da intermediaria negli scambi ma anche da misura di valori: viene spontaneo di usare il termine «patrimonio» nel senso di aggregato di valori o fondo di valore, nel senso cioè d'un valore sintetico che riassume tutti i valori attribuiti ai componenti attivi e passivi oppure i valori dei soli componenti attivi ;Viene spontaneo dire che Tizio ha un patrimonio di oltre cento milioni: In queste ed in altre espressioni del genere è evidente l'uso del termine «patrimonio» nel senso di valore. E' un significato attribuito generalmente ai soli patrimoni particolari. Ove si prescinda dalla nozione più strettamente giuridica, il patrimonio aziendale viene così a denotare sia un aggregato di beni e di servizi, sia un aggregato di valori. Ho detto che il patrimonio inteso come valore può riassumere tutti i singoli elementi attivi e passivi o può limitarsi ai soli elementi attivi. Nel primo caso il patrimonio corrisponde al patrimonio netto; nel secondo caso, invece, all'attivo o patrimonio lordo. Ma il concetto più diffuso è quello che per patrimonio-valore intende il patrimonio al netto dei debiti, cioè il patrimonio netto: devesi ora osservare che il patrimonio come valore in moneta non denota sempre un valore di scambio (o prezzo) effettivamente negoziato; Spesso denota un valore di stima, che si allontana dal valore di scambio, effettivo o presunto. VALORI DI STIMA DEL PATRIMONIO E VARIABILITÀ IN RAPPORTO AI CRITERI DELLA STIMA I valori contabili sono quasi sempre valori di stima e perciò incerti ed in buona parte soggettivi, ed a tale principio generale non si sottraggono né il valore complessivo del patrimonio, né quello dei singoli suoi elementi. Tali valori possono risultare d'importo diverso a seconda dei criteri adottati nel processo di stima o valutazione dei beni e servizi che compongono il patrimonio. Ragioni di prudenza consigliano di mantenere sia i valori lei singoli elementi attivi, sia quello dell'intero patrimonio al di sotto dei presunti prezzi di realizzo. Va ricordato che i presunti prezzi di realizzo non sono prezzi di mercato: solo nell'acquisto e nella cessione effettiva d'un patrimonio o di suoi elementi si può parlare di prezzi. Gli unici elementi del patrimonio che non vanno stimati sono il denaro in cassa insieme ai crediti ed i debiti di sicuro buon fine: il primo costituisce un valore numerario, gli altri possono denominarsi valori quasi numerari. Gli scopi che presiedono alla valutazione del patrimonio possono essere vari. Nelle imprese quelli fondamentali sono i seguenti: a) La ricerca del risultato economico d'un periodo; b) La ricerca del presunto valore di realizzo del patrimonio, in caso di cessione dell'impresa; c) La ricerca del presunto valore di apporto del patrimonio in caso di fusione dell'impresa con altre o di trasformazione con l'ingresso di nuovi soci (da impresa individuale in impresa collettiva); d) La ricerca del presunto valore di realizzo del patrimonio in caso di liquidazione dell'impresa; e) La ricerca del presunto valore di realizzo del patrimonio In caso di liquidazione di quote, dovute ad uno o più soci (per recesso, esclusione) o ad eredi. Con il variare del fine che presiede alla valutazione del patrimonio non solo varia la struttura quantitativa del patrimonio, ma può variare anche quella qualitativa, nel senso che taluni particolari elementi scompaiono. E’ il caso dell'avviamento e delle così dette spese d'impianto, che possono apparire nel patrimonio quando l'impresa è in funzionamento e che di solito scompaiono se essa passa in liquidazione. I VARI CONCETTI DI CAPITALE Tutti gli economisti concordano nel ritenere che il capitale costituisce una classe di fattori della produzione e i dissensi vertono sul contenuto di questa classe. Tuttavia, i numerosi concetti che tendono a circoscriverla possono ricondursi ai seguenti due gruppi: 1°) Una prima serie di concetti ravvisa nel capitale un singolo bene o un insieme di beni, che un soggetto economico o una determinata nazione impiega a scopi produttivi (capitale-attrezzatura); 2°) Una seconda serie di concetti ravvisa nel capitale un fondo di valore (o valore in moneta). Ritroviamo anche per il capitale i due concetti fondamentali già visti per il patrimonio: il concetto di capitale come insieme di beni e quello di capitale come valore; Volendo, si potrà designare «capitale» solo il fondo di valore e beni-capitali i singoli beni da cui quel fondo è rappresentato (attrezzatura esistente) o sarà rappresentato (attrezzatura da creare), ma non si potrà limitare a considerare l'uno trascurando gli altri. Primo concetto di Capitale: Il Capitale come attrezzatura produttiva. Tutti i beni economici sono produttivi così come è produttivo ogni specie di lavoro e che, di conseguenza, non c'è bene economico che non abbia diritto ad essere chiamato «capitale». Rientrano in esso anche la terra ed il così detto capitale di consumo finale o di godimento. Il capitale come attrezzatura produttiva coincide col patrimonio dello stesso soggetto. Va notato che mentre il patrimonio implica sempre un complesso di beni, il capitale può anche riferirsi ad un singolo bene, dunque ad un elemento del patrimonio; Un fabbricato appartenente a Tizio costituisce un suo capitale ed anche un elemento del suo patrimonio, ma non un suo patrimonio. Lo stesso dicasi per una somma di denaro o per qualsiasi altro bene di cui Tizio possa godere o disporre, compresi i servizi da ricevere o prestare. Secondo concetto di Capitale: Il Capitale come fondo valore. Esiste una contrapposizione tra il capitale come insieme di fonti di finanziamento e il patrimonio come insieme di forme d’investimento. Il concetto di capitale come fondo di valore è riferito ai capitali appartenenti a singoli soggetti economici, e può essere inteso: A) Come misura di valore di beni produttivi posseduti, ossia come somma dei valori in moneta attribuiti ai singoli beni-capitali che formano l'attrezzatura produttiva d'un certo soggetto economico; B) Come misura di valore dei beni e servizi propri e di quelli ottenuti da terzi facendo ricorso al credito, dei quali il soggetto economico può disporre per creare, mantenere in efficienza ed eventualmente estendere un'attrezzatura produttiva. Il primo concetto di capitale come fondo valore corrisponde esattamente a quello di patrimonio-valore e come questo si riferisce più al capitale netto; al valore stimato all'attrezzatura produttiva al netto dei debiti. Il capitale-valore appare una misura del valore dei beni e servizi appartenenti ad un soggetto economico. Il secondo concetto di capitale-valore non bada al valore dei beni e servizi che formano l'attrezzatura produttiva dell'impresa, bensì alle diverse fonti dei beni e servizi di cui l'imprenditore ha potuto o può disporre per creare tale attrezzatura e più precisamente l'attivo patrimoniale. Tali mezzi possono consistere: a) Nel denaro ed altri beni o servizi appartenenti all'imprenditore e da lui apportati nell'impresa; b) Nel denaro ed altri beni o servizi appartenenti pure all'imprenditore e derivanti da utili conseguiti con l'esercizio dell'impresa, riservati o comunque ancora da destinare; c) Nel denaro ed altri beni o servizi ottenuti dall'imprenditore mediante il ricorso al credito. Se nel significato in esame il capitale guarda alla diversa provenienza dei mezzi (finanziamenti) con cui è stata costituita un'attrezzatura produttiva, esso può essere così suddiviso: A) Capitale proprio: A1) Capitale d'apporto; A2) Utili risparmiati (riserve); A3) utile dell'esercizio ancora da destinare; B) Capitale di terzi (o capitale di credito): B1) debiti verso banche; B2) debiti verso fornitori; B3) debiti verso obbligazionisti; L'insieme del capitale d'apporto e del capitale di credito costituisce il finanziamento esterno dell'azienda, cioè il capitale proveniente da altre aziende. Viceversa, l'importo dei redditi non distribuiti, siano essi risparmiati (riserve) o ancora da destinare (reddito dell'ultimo esercizio), costituisce il finanziamento interno o autofinanziamento dell'azienda, cioè il maggior capitale che essa si procura da sé. L'attivo dello stato patrimoniale mostra le varie forme d'investimento del capitale, ossia i vari beni-capitali che formano l'attrezzatura produttiva. Lo stato patrimoniale d'una qualsiasi azienda ha la funzione di rappresentare da un lato le varie fonti del capitale (fonti di finanziamento), dall'altro le varie forme d'investimenti produttivi attuati (diversi beni-capitali) e di mostrare se il valore di tali attività copre o no il capitale investito nella produzione tramite il capitale di credito e capitale proprio. Per capitale di credito investito va inteso tutto l'ammontare dei debiti; per capitale proprio investito va inteso la somma del capitale d'apporto e delle riserve. A questi debiti corrispondono finanziamenti ricevuti se si considera che in sostanza rappresentano un credito concesso all'impresa, che consente ad essa di continuare a servirsi di denaro di cui altrimenti dovrebbe privarsi subito: Se un'impresa si busca una contravvenzione di L.500.000 con termine 1 mese, non si può negare che sino al momento del pagamento l'impresa può disporre di una maggior somma di denaro—che non avrebbe se avesse dovuto pagar subito la contravvenzione. Il secondo concetto di capitale-valore coincide sostanzialmente con quello che nella moderna teoria economica corre sotto il nome di capitale-disposizione o capitale-potere d'acquisto anche se si tende a ridurlo solo al denaro e ad ogni forma di credito in denaro. IL SUPPOSTO CARATTERE STATICO DEL CAPITALE Le configurazioni statiche sono immagini istantanee di una serie di movimenti, le quali cercano di rappresentare il continuo divenire dei fenomeni del mondo reale—e rappresentano utili strumenti nella ricerca scientifica: Quando perciò noi distinguiamo stati e movimenti dobbiamo tener presente che nella realtà gli uni non si contrappongono agli altri. Si dicono fenomeni di stato le rappresentazioni della realtà considerata dal punto di vista delle determinazioni qualitative e quantitative assunte in un dato istante. Il primo modo di studio di questi stati e movimenti corrisponde a quello che si suoi chiamare statica comparata o anche studio di fenomeni posizionali, ovvero di cambiamento di stato o di livello. Il secondo modo di procedere corrisponde allo studio della dinamica vera e propria o, dei fenomeni di flusso in senso stretto. Concludendo, statica è soltanto la rappresentazione del capitale in un dato istante, ma già il confronto di successive rappresentazioni istantanee del capitale (statica comparata) costituisce un utile procedimento per la conoscenza dei movimenti del capitale, da cui scaturisce il reddito. Lo studio più approfondito di quei movimenti e delle cause che li determinano (dinamica patrimoniale) si attua attraverso la rilevazione e rappresentazione dei costi, dei ricavi e degli altri movimenti del capitale relativi ad un determinato periodo di tempo. Ciò che si è detto per il capitale vale anche per il patrimonio. Le cose dette in questa sezione di testo ci autorizzano a parlare indifferentemente di capitale o di patrimonio particolare, nel senso: a) Di un complesso di beni e servizi appartenenti ad un determinato soggetto economico o, includendo in esso anche i debiti (attrezzatura produttiva); b) Di un complesso di valori o anche di un unico valore attribuiti agli stessi beni e servizi, in vista di determinati scopi (fondo di valore). Ci autorizzano altresì a parlare: c) Di beni-capitali o anche semplicemente di capitali nel senso di singoli beni costituenti l'attivo patrimoniale di un'azienda; d) Di capitale nel senso di fonti di finanziamento dell'azienda, distinto in capitale proprio e capitale di credito. Infine, ci autorizzano a scorgere nel patrimonio e nel capitale, comunque concepiti, cose essenzialmente dinamiche suscettibili di rappresentazioni statiche. CONCETTI ESSENZIALI: LA DINAMICA DEL CAPITALE LA CLASSIFICAZIONE DEGLI INVESTIMENTI NELL'AZIENDA IMPRESA Nell'impresa gli investimenti possono essere variamente classificati, e sono distinti in: A) Finanziari e non finanziari; B) Disponibili e immobilizzati; C) Circolanti e fissi. a) Finanziari e non finanziari—Si tratta di stabilire quali investimenti corrispondono a denaro o a crediti di denaro, e quali presentano natura differente, e può esser difficile da stabilire poiché le classi contabili possono accogliere specie diverse sotto il profilo in esame: un credito verso clienti (per beni o servizi venduti) è solitamente un credito di denaro, ma potrebbe capitare che le parti concordino che la controprestazione debba essere di tipo non finanziario (cessione di materie, servizi)—parimenti, un credito per finanziamenti concessi è finanziario a meno che non sia diversamente precisato. Gli investimenti di tipo non finanziario sono denominati reali. Corrispondono a beni e servizi (durevoli e non durevoli) e a crediti in natura di beni e servizi. Fatto che gli investimenti finanziari non indicizzati (Il denaro, i depositi bancari, i crediti nominali in denaro) soggiacciono a perdite monetarie per inflazione. Al contrario gli investimenti reali (in azioni, scorte, immobili, impianti e attrezzature, crediti in natura, crediti in moneta estera o con garanzia di valuta e crediti indicizzati) non ne sono lesi o ne risentono in modo molto differenziato. b) Disponibili e immobilizzati—Dal secondo punto di vista si tratta di stabilire quali investimenti possano essere convertiti in moneta in tempo breve (entro un anno) e quali non presentino questo carattere. I primi si chiamano disponibili, i secondi sono immobilizzati. L'attitudine degli investimenti ad essere disponibili o immobilizzati dipende dalla loro destinazione. Merci e prodotti sono tipici investimenti disponibili. Le materie possiedono indirettamente il medesimo connotato potendo realizzare il loro valore attraverso l'ottenimento e la cessione dei prodotti in tempo breve. Brevetti, impianti, macchinari, partecipazioni, crediti a media e lunga scadenza, ecc. sono tipici investimenti immobilizzati. Un credito scadente dopo un mese ha un più elevato grado di disponibilità di un credito scadente dopo due mesi. Crediti a vista e denaro possiedono il massimo grado di disponibilità che viene denominato “liquidità”. Le disponibilità possono utilmente essere distinte in liquidità, disponibilità finanziarie, e disponibilità non finanziarie: Le prime sono investimenti già esistenti in moneta, prontamente trasformabili in questa. Le seconde sono crediti di denaro a breve scadenza. Le terze sono beni o servizi non durevoli quali merci, materie, prodotti, servizi di lavoro o altri servizi pure realizzabili in moneta in tempo breve. Le immobilizzazioni possono convenientemente essere distinte in: 1) Immateriali (servizi durevoli quali brevetti, avviamento, concessioni amministrative, ecc.); 2) Materiali (beni durevoli quali impianti, macchinari, attrezzi, mobili, ecc.); 3) Di finanziamento (beni durevoli speciali quali partecipazioni di capitale di altre imprese societarie e I prestiti attivi a media e lunga scadenza—sono dette, impropriamente, anche immobilizzazioni finanziarie). Le immobilizzazioni necessarie all'impresa per attuare la produzione tipica e che costituiscono strumenti di lavoro formano la classe delle immobilizzazioni tecniche. Questa attinge di solito alle categorie delle immobilizzazioni materiali e delle immobilizzazioni immateriali e tende a coincidere con esse. Per una società di partecipazione e finanziamento (c. d. “società finanziaria”) o per una società d'investimento (c. d. “fondo comune d'investimento”), sono invece immobilizzazioni tecniche i titoli azionari destinati ad investimento durevole; come per un istituto di credito mobiliare lo sono i prestiti a medio e lungo termine, e per un istituto d'assicurazione lo sono i fabbricati civili dati in locazione. Le disponibilità che per mutate condizioni interne o esterne all'impresa non possono essere convenientemente trasformate in moneta in tempo breve dovrebbero essere collocate in un quarto gruppo detto delle immobilizzazioni antifunzionali (o non funzionali): merci e prodotti fuori moda, o il cui prezzo è temporaneamente bloccato o, comunque, non conveniente. c) Dal terzo punto di vista si tratta di stabilire quali investimenti sono a fecondità semplice e cioè si esauriscono in un unico atto produttivo (capitali circolanti) e quali sono a fecondità ripetuta e cioè si esauriscono in più atti produttivi (capitali fissi). La classificazione viene condotta badando alla destinazione normale degli investimenti e riveste importanza per orientare sulla loro partecipazione di diversi momenti produttivi. Si può separare il caso dei fattori produttivi, dei prodotti e di rimanenti investimenti. Per i fattori occorre osservare che mentre alcuni presentano la caratteristica di essere frazionabili e cioè approvvigionabili ed impiegabili per dosi minute, altri non la possiedono. I primi sono fattori a fecondità semplice, i secondi a fecondità ripetuta. I primi si esauriscono nella loro immissione in produzione. I secondi, invece, non sono approvvigionabili per dosi minute. Si approvvigionano (o si ottengono) per “unità complesse”: si consumano poi lentamente in rapporto al grado di utilizzo (è il caso degli impianti, delle macchine, dell'attrezzatura minore), o di decorrere del tempo (è il caso dei brevetti, dei marchi, delle concessioni amministrative, fabbricati, ecc.). Semplice è il caso dei prodotti: questi sono sempre capitali circolanti qualunque sia la loro origine e destinazione. Si esauriscono in un solo atto economico che può essere di cessione (prodotti venduti), di utilizzo (prodotti reimpiegati, distribuiti di personale, e simili), di erogazione (prodotti prelevati in c/utili). E ciò con ipotesi anche differenti in relazione di prodotti (merci, prodotti industriali, agricoli, servizi resi a terzi, ecc). Anche per i prodotti possono aversi rimanenze. CLASSIFICAZIONE DEGLI INVESTIMENTI NELL’IMPRESA MERCANTILE INVESTIMENTO FINANZIARIO O DISPONIBILE O CIRCOLANTE O FISSO NON FINANZIARIO IMMOBILIZZATO Cassa Finanziario Liquido Circolante Banche e amministrazione postale Finanziario Liquido Circolante Azioni o quote di capitale di altre società tenute a scopo di speculazione o Misto Altamente disponibile Circolante investimento generico Titoli di stato e obbligazioni private Finanziario Altamente disponibile Circolante Crediti vs clienti, altre imprese, Generalmente finanziario Altamente o mediamente Circolante effetti cambiari attivi a breve termine disponibile Crediti in natura (fornitori c/anticipi) Non finanziario Disponibile o immobilizzato Circolante secondo il tipo di credito Crediti di varia origine (vs terzi per prestiti a breve, personale, Finanziario Disponibile Circolante amministrazione finanziaria, ecc.) Ratei attivi Finanziario Disponibile Circolante Risconti attivi Non finanziario Disponibile o immobilizzato Circolante (fisso se ammortizzabile) secondo la destinazione del servizio Merci Non finanziario Disponibile Circolante Materie (prime, sussidiarie, varie) Non finanziario Disponibile Circolante Prodotti Non finanziario Disponibile Circolante (semilavorati, intermedi, finiti, residui) Imballaggi Non finanziario Disponibile Circolante Servizi durevoli d’impianto e di ampliamento e di ricerca e sviluppo; Non finanziario Immobilizzato immateriale Fisso avviamento (immobilizzazione tecnica) Concessioni amministrative, brevetti, Non finanziario Immobilizzato immateriale Fisso licenze, marchi, diritti e beni analoghi (immobilizzazione tecnica) Terreni e fabbricati, impianti tecnici e macchine, altri impianti, attrezzi, utensili, Non finanziario Immobilizzato materiale Fisso mobilio e simili; immobilizzazioni (immobilizzazione tecnica) materiali in corso di esecuzione. Partecipazioni al capitale di altre società Immobilizzato di Circolante a scopo di collegamento o controllo, o Misto finanziamento investimento durevole Prestiti attivi a consociate e crediti a Immobilizzato di Circolante medio e lungo termine, prestiti attivi Generalmente finanziario finanziamento diversi a medio lungo termine Titoli di stato e obbligazioni private a Finanziario Immobilizzato di Circolante scopo d’investimento durevole finanziamento Depositi e cauzioni presso terzi Finanziario Immobilizzato di Circolante finanziamento CLASSIFICAZIONE DEI FINANZIAMENTI NELL'AZIENDA IMPRESA Nell'impresa, come gli investimenti, anche i finanziamenti possono essere opportunamente classificati. Li distinguiamo così in: A) Capitale di terzi e capitale proprio; B) Finanziari e non finanziari; C) A breve, medio e lungo termine. a) La prima classificazione mira ad individuare l'origine del potere d'acquisto generico che trova investimento nell'impresa. Il capitale di terzi corrisponde di debiti a finanziamenti provenienti da entità economiche esterne all'impresa (istituti di credito, obbligazionisti, fornitori, talora lavoratori ed altri soggetti che risultano in credito nei confronti dell'impresa). Il capitale proprio appartiene invece a soggetti (imprenditore individuale, soci, azionisti ordinari, di comando o di risparmio) i quali per motivi vari risultano coinvolti direttamente o indirettamente (e secondo modalità differenti) nell'attività dell'impresa. L'area del capitale presenta un legame con la gestione dell'impresa via via meno intenso a mano a mano che ci si sposta dalla fascia del “capitale di comando” a quella del “capitale di risparmio”. L'origine del capitale proprio è duplice: proviene sia da apporti (ed è suscettibile d'incrementarsi per nuovi conferimenti come di ridursi per rimborsi), sia da risparmio di utili conseguiti e cioè dall’autofinanziamento (ed è suscettibile d'incrementarsi per successivi risparmi di reddito come di ridursi per erogazione degli stessi). Il capitale viene anche eroso, repentinamente o gradualmente, dalle perdite d'esercizio. Il capitale di terzi deve essere prima o poi rimborsato: Inoltre comporta un onere, l'interesse passivo, il quale rappresenta il compenso per il servizio di finanziamento ricevuto. I debiti sono un “polmone” di potere d'acquisto generico—il cui uso influisce sui risultati economici—destinato ad ampliarsi o a restringersi in rapporto all'evoluzione dell'attività produttiva dell'impresa ed alla fiducia che questa riscuote nell'ambiente esterno. Ma anche l'immissione di capitale proprio implica un vincolo: I suoi rimborsi, tuttavia, non hanno scadenze preordinate ma vengono decisi in base alle decisioni dei soggetti interessati. b) La seconda classificazione mira a qualificare per il capitale di terzi la natura dei tipi di debiti che si generano e dei beni e servizi a cui l'impresa dovrà a scadenza privarsi mentre con il capitale proprio la natura del potere d'acquisto generico che esso esprime. Con riguardo al capitale di terzi si tratta di stabilire quali debiti sono in denaro e quali di beni e servizi diversi dal denaro. In ogni impresa sussistono sempre le poste deputate ad accogliere quei tipici debiti in natura di beni e servizi derivanti da anticipi ricevuti da clienti e cioè provocati da incassi anticipati di denaro in occasione di vendite di merci, prodotti, ecc. In generale i finanziamenti di terzi di tipo non finanziario sono denominati debiti reali. Sono debiti di beni e servizi (durevoli e non durevoli). La distinzione discussa assume grande importanza in periodi d'inflazione per il fatto che il capitale di credito non indicizzato (debiti nominali in denaro) genera utili monetari o, più esattamente, svalutazioni del valore dei debiti contratti. Di contrario i debiti reali (beni e servizi diversi dal denaro, in moneta estera, o con garanzia di valuta, o indicizzati) mantengono il loro valore o ne risultano incisi in modo differenziato. In periodi d'inflazione il capitale proprio assume sempre natura non finanziaria (natura non monetaria) in quanto si deve garantire la conservazione del suo potere d'acquisto generico attraverso apposite condizioni d'integrità patrimoniale ovvero di omogeneità monetaria. c) La terza classificazione intende chiarire quali finanziamenti si estinguono (pagamento dei debiti, erogazione di redditi e di riserve, rimborso del capitale proprio) in tempo breve (entro un anno) ovvero in tempo medio o lungo. Nel settore del capitale proprio la prima classe non è, solitamente, evidenziata. L'intero capitale è considerato quale finanziamento permanente. Con riguardo al capitale di credito va precisato che l'attitudine di questi finanziamenti ad essere esigibili (a breve scadenza) o consolidati (cioè a media e lunga scadenza) è influenzata da circostanze di fatto: Molti tipi di debiti non rivelano un carattere specifico sotto il profilo in oggetto. Altri debiti tipicamente a breve scadenza si comportano spesso come debiti a media e lunga scadenza potendo in concreto essere rinnovati. Il più elevato grado di esigibilità è posseduto dai debiti a vista. Seguono i debiti verso fornitori, i debiti bancari ordinari (c/c di corrispondenza con fido concesso ed utilizzato), i debiti diversi (azionisti, obbligazionisti, personale, enti di previdenza, amministrazione finanziaria, ecc.) in quanto di per sé di limitata durata ovvero in quanto quote periodiche maturate di debiti a medio e lungo termine. Il più elevato consolidamento si verifica per la massa di debiti ancora non maturi relativi a prestiti obbligazionari, mutui passivi, fondi di anzianità, fondi rischi che costituiscono veri debiti, ecc. CLASSIFICAZIONE DEI FINANZIAMENTI NELL’IMPRESA MERCANTILE E INDUSTRIALE FINANZIAMENTO DI TERZI O PROPRIO FINANZIARIO O A BREVE, MEDIO O NON FINANZIARIO LUNGO TERMINE Debiti verso fornitori ed effetti Di terzi Finanziario A breve termine cambiari passivi (connessi) Debiti in natura (clienti c/anticipi) Di terzi Non finanziario Generalmente a breve termine C/c bancari ordinari passivi Di terzi Finanziario A breve termine Debiti verso gli azionisti per Di terzi Finanziario A breve termine dividendi Debiti verso obbligazionisti per obbligazioni sorteggiate, interessi e Di terzi Finanziario A breve termine premi Debiti di varia origine (personale, amministratori, sindaci, consulenti, enti Di terzi Generalmente finanziario A breve termine di previdenza, amm. Finanziaria, ecc.) Ratei passivi Di terzi Finanziario A breve termine Risconti passivi Di terzi Non finanziario Generalmente a breve termine Fondo trattamento fine rapporto e fondi di previdenza per il personale Di terzi Finanziario A medio e lungo termine Fondi rischi che hanno natura di debiti o di eccedenze di debiti su Di terzi Generalmente finanziario Generalmente a breve e medio crediti termine C/c bancari speciali passivi Di terzi Finanziario A medio e lungo termine Prestiti obbligazionari Di terzi Finanziario A medio e lungo termine Mutui passivi Di terzi Finanziario A medio e lungo termine Capitale sociale, fondi particolari (fondi Proprio Misto A medio e lungo termine (salvo le suppletivi di capitale d’apporto di vario erogazioni di redditi) tipo), riserve, e altre poste del netto ORIGINE E DESTINAZIONE DEL POTERE D'ACQUISTO GENERICO Ogni entità economica si caratterizza per la presenza di investimenti e finanziamenti le cui misure monetarie, stimate al termine di appropriati periodi di tempo, si equivalgono, ed esprimono (in dimensioni diverse) la ricchezza di cui quell'entita dispone. La dimensione che denominiamo finanziamenti rappresenta l'origine del potere d'acquisto generico di cui si e potuto disporre (capitale disposizione o capitale di finanziamento); la dimensione che denominiamo investimenti ne rappresenta la destinazione, e cioe la temporanea incorporazione in beni e servizi. Indicando con Invi il valore degli investimenti e con Fini il valore dei finanziamenti dell'impresa ad un'epoca qualsivoglia ti (i = 1, 2,... , n), sara sempre: (1) Invi = Fini Ad ogni successiva epoca l'uguaglianza fra Inv e Fin risultera rispettata ma per misure monetarie diverse: La coincidenza di misura monetaria fra gli insiemi Inv e Fin deriva dal fatto che ogni investimento, al suo sorgere, incorpora potere d'acquisto generico in misura pari alla ricchezza ad esso riconoscibile. Si immagini un apporto di €1.000 proveniente dal soggetto economico (che preleva detto valore per trasferirlo nell'impresa). Questo da luogo ad un finanziamento (capitale proprio) per €1.000 e ad un investimento (cassa) pure per €1.000. Puo anche correttamente dirsi che il potere d'acquisto generico che si e potuto usare (€1.000) appare in entrambe le dimensioni (una prima volta come origine ed una seconda volta quale destinazione). Quel potere è la capacità d'acquisto di beni e servizi di qualsivoglia genere che €1.000 possiedono all'epoca dell'apporto. Il potere d'acquisto in oggetto (valore reale della moneta) è noto all'imprenditore. Quando egli ha deciso di trasferire €1.000 nell'impresa sapeva che rinunciava ad altri usi di quel valore. Questi ed altri fattori contribuiranno all'allestimento dei prodotti da vendere sul mercato. Gli incassi delle vendite serviranno poi per riacquistare i mezzi di produzione e per estinguere o ridurre i debiti contratti e per la prosecuzione dell'attivita produttiva. Insieme a cio deve essere sottolineato che l'acquisizione di potere d'acquisto generico (capitale proprio o capitale di credito) dall'esterno ha sempre luogo, per ogni unita monetaria ricevuta, in misura pari di valore reale della moneta in quell'istante; e, parimenti, che l'incorporazione in beni e servizi di quel potere d'acquisto generico avviene, per ogni unita monetaria attribuita, in misura corrispondente al valore reale della moneta riscontrabile all'epoca dell'operazione. Nel tempo identiche misure monetarie possono cosi corrispondere a valori reali e, dunque, a potere d'acquisto generico differenti. Ciò accade ogni qualvolta risulti variabile (o elastico) il potere generale d'acquisto della moneta (situazione d'inflazione oppure di deflazione). EQUAZIONE FONDAMENTALE DELLA “DINAMICA” PATRIMONIALE La logica illustrata per ultima è alla base della costruzione della teoria della produzione dell'impresa: Questa non può che essere una teoria della dinamica patrimoniale e, perciò, una teoria del capitale e delle sue variazioni. Ripetiamo che solo la fonte di potere d'acquisto generico proprio è rilevante perché rappresenta il termine di riferimento per giudicare (attraverso le sue variazioni) la forza economica dell'impresa, e ciò sia nel breve che nel lungo periodo; anzi per stimare quella forza dall'epoca in cui l'impresa comincia ad esistere sino a quella in cui cessa di operare. La provvista di potere d'acquisto generico che deriva dai finanziamenti di terzi non può avere pari rilevanza se non dimenticando che i debiti debbono essere rimborsati in base a contratto e che, dunque, quella provvista non solo non è permanente, ma costituisce per il soggetto imprenditore un vero e proprio fattore della produzione in senso lato. Lo studio della dinamica patrimoniale può utilmente avvalersi del concetto di “ciclo economico” o “ciclo di produzione”: E' questo un complesso coordinato di fasi produttive che il potere d'acquisto generico investito (netto) attraversa sino a quando non riacquista l'originaria forma monetaria. Queste fasi (funzioni aziendali) concernono operazioni di finanziamento, di approvvigionamento, di trasformazione, di conservazione, di amministrazione, di vendita: Sono attraversate dai processi di produzione, cioè da combinazioni specifiche di fattori che consentono di ottenere uno o più prodotti congiunti tecnicamente ed economicamente. Un ciclo di produzione si denomina integrale quando è monetariamente concluso, senza rimanenze di fattori produttivi e prodotti. Un tale ciclo può difficilmente riscontrarsi in realtà. Trattasi di formulazioni suscettibili d'acquisire rigore scientifico solo se condotte attraverso il processo di classificazione contabile: La relazione (3) conduce all'equazione della dinamica se per un prefissato periodo di tempo si rappresentano i movimenti subiti dalle varie classi di attività, passività e netto, che vengono così aggiunti alle classi iniziali: STRUTTURA SINTETICA DELLA DINAMICA ti Ai - Pi = Ni (t(i+1) -ti) (Ia - Da) - (Ip - Dp) = (In - Dn) t(i+1) A(i+1) - P(i+1) = N(i+1) Si è indicato con ti l'epoca di riferimento iniziale, con t(i+1) quella di riferimento finale, con Ia, Da rispettivamente gli incrementi ed i decrementi di elementi attivi; con Ip, Dp rispettivamente gli incrementi ed i decrementi di elementi passivi; con In, Dn, rispettivamente gli incrementi ed i decrementi di netto. I segni di ciascuna grandezza sono espliciti, nel senso che precedono la stessa chiarendo se è positiva o negativa. Ogni grandezza esprime valori assoluti. Il segno ne individua anche il comportamento contabile. Ovviamente, secondo l'uso comune, si assume che le consistenze iniziali di elementi attivi abbiano segno positivo; di elementi passivi segno positivo; di elementi passivi segno negativo; di netto, secondo le circostanze, segno positivo o negativo. Dallo schema precedente si ottiene l'espressione dell'equazione fondamentale della dinamica patrimoniale; Si ha, tenendo presenti tutti gli elementi componenti: (4) [ Ai + (Ia - Da) ] ‐ [ Pi + (Ip - Dp) ] = [ Ni + (In ‐ Dn) ] La relazione è valida per intervalli di tempo di qualsivoglia estensione; al limite può riferirsi all'intera vita aziendale. Essa è applicata in via ricorrente per successivi periodi di tempo (ti, ti+1, ti+2,.. , ti+n). Soltanto la relazione (4) è idonea a spiegare la portata del concetto di capitale proprio nel contesto dell'impresa moderna. La nozione di capitale proprio quale serbatoio di valori non trova una giustificazione esaustiva nell'equazione della statica patrimoniale: Nel contesto della relazione (3) il “serbatoio” rischia di essere interpretato come un mero fondo di valori all'epoca considerata. Il capitale proprio diviene un serbatoio di valori, vale a dire uno strumento operativo che verifica i diversi livelli che la massa di potere d'acquisto generico proprio raggiunge nel tempo in quanto si sia capaci di registrare, con procedimenti appropriati i movimenti che attività, passività e netto via via subiscono. LE DIVERSE CLASSI DI COSTO L’esistenza di un concetto generale di costo non impedisce di individuare alcune sottoclassi di componenti reddituali negativi che tra loro si differenziano in relazione alle caratteristiche dell’evento che li genera, alla rilevanza nel processo di determinazione formale del reddito d’esercizio, alla loro riferibilità a classi più o meno estese di elementi patrimoniali, alla loro misurabilità in termini monetari e non, ecc. COSTI DISPENDIO (o costi spesa): Sono variazioni patrimoniali passive attinenti al processo produttivo che si sostanziano nella cessione, attuale o futura, a terzi, di una o più attività materiali o immateriali. Rientrano nei costi spesa tanto i costi d’acquisto dei fattori produttivi quanto il costo dei prodotti o delle merci venduti (costo del venduto). In entrambe le situazioni—anche se collocate in momenti opposti del processo di creazione del valore: la prima al suo inizio, mentre la seconda lo conclude—si riscontra la cessione immediata o successiva di un bene o di un servizio a favore di terze economie (i fornitori e i clienti). Nel primo caso la cessione è volta a procurare all’impresa la disponibilità di un fattore produttivo destinato a essere utilizzato all’interno del processo di generazione del valore. Il costo d’acquisto è un componente di reddito che assume significato solo se riferito ai fattori produttivi; siano essi materiali o immateriali, a fecondità semplice o ripetuta. Nel secondo caso la cessione riguarda direttamente il prodotto, ovvero il bene o il servizio resi disponibili grazie allo svolgimento del processo di creazione del valore, ed ha come obiettivo quello di consentire all’impresa d’incamerare un corrispettivo il cui valore dovrebbe almeno reintegrare il costo di cui si discorre: Diversamente dal costo d’acquisto, il costo del venduto è fenomeno che attiene alla sfera dei “prodotti” o delle “merci” e non a quella dei fattori produttivi; non può, di conseguenza, essere riferito a quest’ultima classe di elementi patrimoniali. Quando si parla di costo del venduto in relazione ad un’operazione di cessione di un macchinario in passato utilizzato dall’impresa e ora destinato a essere sostituito da uno più moderno, relativamente a quel bene, si è verificato un “cambiamento nella destinazione” capace di trasferirlo dalla classe dei fattori produttivi a quella dei beni-merce. L’esistenza di una decisione di cambiamento nella destinazione del bene aiuta a comprendere tanto la corretta classificazione del componente di reddito in questione quanto la modalità di rappresentazione dello stesso. Il costo sostenuto dall’azienda nel momento in cui si priva del macchinario è sicuramente un costo del venduto: ha, però, natura di componente straordinario di reddito in quanto riguarda un bene che all’origine non era stato acquisito (o prodotto) per essere ceduto a terzi. Ciò spiega perché lo stesso venga segregato dai componenti del costo del venduto, quelli che riguardano le cessioni dei beni e dei servizi acquisiti sin dall’origine con lo scopo dello scambio con terze economie. Tale separazione viene attuata in contabilità tramite una forma di rappresentazione contabile che comporta la neutralizzazione del costo del venduto in questione con il relativo ricavo di vendita (anch’esso straordinario per gli stessi motivi). Se la neutralizzazione non risulta perfetta—perché il ricavo di vendita non coincide con il costo del venduto (misurato dal costo storico rettificato del bene oggetto di cessione)—sorge in contabilità un profitto o una perdita di realizzo che evidenziano il margine lordo, rispettivamente positivo e negativo, conseguito dall’azienda per il tramite delle peculiari cessioni in esame. Esistono altre forme di costo dispendio aventi carattere di componenti straordinari di reddito: si pensi, ad esempio, agli ammanchi o al costo sopportato da un’azienda obbligata—in virtù di un contratto di garanzia—a sostituire dei prodotti difettosi ceduti in periodi precedenti, nel caso in cui il Fondo garanzia prodotti non esista o sia insufficiente. Una corretta percezione del livello di equilibrio economico impone la separazione in bilancio dei componenti ordinari di reddito da quelli aventi natura straordinaria. Tanto il costo d’acquisto quanto il costo del venduto possono essere espressi, oltre che in termini monetari, anche in quantità fisiche. Si pensi all’acquisizione di un particolare fattore produttivo il cui corrispettivo venga regolato tramite la cessione al fornitore di alcuni prodotti aziendali: in tal caso il costo d’acquisto e costo del venduto coincidono perfettamente sotto l’aspetto fisico e sono rappresentati dalle quantità di prodotto cedute alla controparte; tale equivalenza potrebbe anche non verificarsi nell’aspetto monetario in quanto il valore attribuito nella contabilità dell’azienda produttrice ai beni ceduti potrebbe non coincidere con quello loro assegnato dalle parti in relazione allo scambio effettuato. Se i costi dispendio comportano il trasferimento di una o più attività dalla sfera patrimoniale dell’azienda considerata verso quella di terze economie, lo stesso non può dirsi con riferimento ad una seconda categoria di costi: quella costituita dai costi di utilizzazione, detti anche costi consumo. COSTI CONSUMO (costi di utilizzazione): La variazione patrimoniale negativa subita dall’azienda non si sostanzia nella cessione a terzi di uno o più elementi patrimoniali positivi, ma nella “distruzione”, all’interno del processo di creazione del valore, di una particolare classe di investimenti: Quella costituita dai fattori produttivi. Il costo consumo è un fenomeno legato ai fattori produttivi: non ci può essere costo di utilizzazione al di fuori di questa sfera di elementi patrimoniali attivi. Esso è sempre collegato all’impiego—e al “venir meno” totale o parziale—di una o più attività, materiali o immateriali che siano; diversamente da quanto accade per il costo d’acquisto, il consumo non comporta mai direttamente l’insorgere di una passività: si può consumare solo ciò che si ha a disposizione. Qualora si esamini adeguatamente il fenomeno del costo consumo non è difficile rendersi conto che nel caso in cui un’azienda distrugga valore per il tramite dell’utilizzazione di uno o più fattori produttivi senza che ciò porti all’ottenimento di un prodotto (o di un servizio) cui possa essere attribuito un valore almeno uguale a quello dei fattori produttivi sacrificati, si assiste indubitabilmente ad un depauperamento della ricchezza che non colpisce il solo soggetto direttamente coinvolto nella realizzazione del processo produttivo, bensì l’intera collettività. Il costo consumo è quasi sempre collegato ad un precedente costo d’acquisto: l’impiego di un qualsivoglia fattore produttivo presuppone, infatti, un suo preventivo approvvigionamento, il che generalmente si verifica per il tramite operazioni di acquisto; Non si può affermare né che quello del costo è fenomeno necessariamente legato a una o più spese, né che i costi consumo vengono misurati sempre sulla base dei prezzi pagati per l’acquisto dei fattori produttivi che vengono utilizzati. I termini “consumo” o “utilizzazione” non devono trarre in inganno: con essi s’intende far riferimento non solo al consumo tecnico in senso stretto (cioè all’utilizzazione materiale del fattore produttivo), ma a un più ampio concetto di “consumo economico” nel quale rientra anche la perdita di valore subita da un qualsiasi fattore produttivo detenuto dall’impresa in relazione al decorrere del tempo, e ciò a causa del fenomeno di superamento tecnologico e decadimento produttivo connesso al disuso che assume il nome tecnico di obsolescenza. Anche all’interno della classe ora in esame può e deve essere effettuata un’attenta distinzione tra componenti ordinari e straordinari di reddito: esistono forme ben precise di consumo straordinario quali i cali e i disperdimenti, ma v’è anche la possibilità che un consumo abitualmente di tipo ordinario, come l’ammortamento, assuma—in relazione a specifiche situazioni—i connotati della straordinarietà. Il costo di utilizzazione, come il costo dispendio, è suscettibile di essere valutato tanto in termini monetari quanto in termini fisici. Si può misurare il consumo di una materia prima, ad esempio la farina, sia in quantità fisiche (kg di farina consumata in un intervallo di tempo o per la realizzazione di un prodotto) sia in termini monetari, vale a dire applicando alla misurazione primaria una misurazione di tipo secondario. La possibilità di valutare il consumo anche in termini fisici si ha anche con riferimento ai fattori produttivi che hanno natura di capitali fissi: si pensi alla possibilità di esprimere il consumo di un automezzo in termini di km percorsi in un determinato intervallo di tempo o l’utilizzo di un macchinario in termini di pezzi lavorati nel medesimo periodo. I COSTI DEPREZZAMENTO: Non vi è alcuna possibilità di valutare il costo in termini fisici con riferimento a quest’ultima tipologia di componenti negativi di reddito. Questi ultimi sono costituiti dalle variazioni diminutive, nel solo valore, degli elementi patrimoniali attivi e passivi detenuti dall’azienda, dovute a movimenti avversi all’impresa nei prezzi di mercato o—nel solo caso dei crediti—all’insolvenza di uno o più creditori. Il collegamento del costo deprezzamento con il processo produttivo è costituito dalla necessità, provocata dal normale svolgimento del processo di creazione di valore, di detenere un insieme di fattori produttivi e di prodotti per ammontari e periodi che, naturalmente, dipendono dalla tipologia di processo attuata. Considerazioni del tutto analoghe valgono anche con riferimento alle consistenze di crediti e debiti: è il normale svolgimento del processo produttivo, infatti, a indurre l’impresa ad investire una parte della ricchezza di cui dispone in crediti di diversa durata e specie, così come a richiedere a terzi una parte più o meno significativa della ricchezza di cui ha bisogno. E’ per questo motivo che eventuali diminuzioni nel valore delle posizioni creditorie o, in modo del tutto speculare, eventuali incrementi nel valore delle posizioni debitorie rappresentano, per l’azienda che li subisce, veri e propri costi d’esercizio o, nel caso delle svalutazioni crediti, minori ricavi; Analogamente ai costi dispendio, i costi deprezzamento vengono sostenuti dall'impresa tanto con riferimento a fattori produttivi quanto a prodotti. L’impresa è ugualmente soggetta agli effetti negativi connessi alla variabilità dei prezzi tanto se detiene risorse (beni o servizi di uso durevole) destinate a essere utilizzate all’interno del processo produttivo, quanto se conserva in m

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