Biologia PDF - 8/11/2024

Summary

Questo documento spiega la tavola periodica degli elementi, gli organismi viventi e le loro differenze dagli organismi non viventi. Esso riporta anche informazioni importanti riguardanti i livelli di organizzazione, il DNA e gli RNA.

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Biologia 8/11/2024 Tavola periodica degli elementi A sinistra della tavola abbiamo i metalli, che tendono a cedere elettroni agli elementi presenti alla destra della t.p. (i non metalli), poiché questi ultimi elettronegativi e attirano a sé gli elettroni, formando successivamente i legami chimici:...

Biologia 8/11/2024 Tavola periodica degli elementi A sinistra della tavola abbiamo i metalli, che tendono a cedere elettroni agli elementi presenti alla destra della t.p. (i non metalli), poiché questi ultimi elettronegativi e attirano a sé gli elettroni, formando successivamente i legami chimici: - Legame ionico: l’elemento che cede gli elettroni diventa uno ione carico positivamente (catione), mentre l’elemento che accetta gli elettroni diventa uno ione carico negativamente (anione). - Legame covalente: c’è una condivisione di elettroni tra due atomi, senza una completa cessione. L’acqua è il costituente fondamentale della materia vivente; il nostro organismo è fatto da cellule ricche di acqua ed essa è definita un solvente, ovvero la sostanza che scioglie il soluto, ovvero la sostanza disciolta. Perché un organismo vivente, come lo distinguiamo da uno non vivente? - Gli organismi viventi sono complessi, ma la loro complessità è ben organizzata. Es. La cellula eucariote organizza le proprie funzioni in parte specializzate (organuli). - Un organismo per essere vivente deve essere in grado di crescere e quindi deve avere un’intensa attività metabolica. Il metabolismo è l’insieme di reazioni anaboliche e cataboliche: anabolismo sintetizza le macromolecole, il catabolismo le brucia per liberare energia. - Un organismo vivente deve riprodursi, per far sì che la specie non si estingua. Esistono due tipi di riproduzione: la riproduzione sessuata, che implica l’unione di cellule sessuali (spermatozoi e ovociti) e la riproduzione asessuata, dove una cellula madre si divide per formare due cellule figlie. - Adattamento all’ambiente: su questo tema esistono due teorie principali: Darwin sosteneva che l’ambiente operasse una selezione naturale quindi, attraverso il tempo, una mutazione spontanea favorevole può migliorare la sopravvivenza di un organismo. Lamarck credeva invece che l’ambiente inducesse i cambiamenti, influenzando direttamente le caratteristiche degli organismi. Oggi, gli scienziati concordano più con Lamarck, in quanto fattori ambientali come l’inquinamento, l’alimentazione e lo stress possono influenzare le nostre cellule. Questi non alterano il DNA o il genoma come ipotizzato da Darwin, ma modificano l’epigenoma cellulare. Livelli di organizzazione Atomi, molecole, macromolecole, cellule, tessuti, organi, organismi, popolazioni, comunità, ecosistema e biosfera. Gli atomi sono il livello più semplice di organizzazione della materia. Più atomi si uniscono per formare molecole, a loro volta le molecole possono aggregarsi in macromolecole. Questa organizzazione continua a livelli superiori: le macromolecole formano le cellule, le cellule si organizzano i tessuti, i tessuti formano organi e così via, fino a raggiungere il livello più complesso, la biosfera, che rappresenta l’insieme di tutti gli ecosistemi del pianeta All’interno di una cellula eucariote possiamo osservare il genoma, che è l’insieme dell’informazione genetica contenuta nel DNA, organizzato in unità funzionali chiamate geni. Il genotipo rappresenta l’informazione genetica contenuta nelle cellule, mentre il fenotipo è l’insieme delle caratteristiche visibili e funzionali di un organismo, influenzato sia dal genotipo sia dall’ambiente. Nelle cellule eucariote, il DNA è localizzato nel nucleo. È importante distinguere il genoma e il DNA: il DNA è una lunga molecola a doppia elica, che nelle cellule umane è lunga circa 2 metri. Per entrare nel nucleo, che ha dimensioni nell’ordine dei micrometri (10^-6 m), il DNA si compatta grazie a proteine chiamate istoni. Il complesso di DNA e istoni forma la cromatina, che costituisce il genoma organizzato in strutture chiamate cromosomi. Un ulteriore livello di organizzazione biologica è rappresentato dal proteoma, l’insieme di tutte le proteine presenti nelle cellule di un organismo. Tra il genoma e il proteoma, si colloca il trascrittoma, che include tutti gli RNA presenti nelle cellule. Le principali classi di RNA sono: - RNA messaggero (mRNA): trasporta le istruzioni genetiche dal DNA ai ribosomi, dove avviene la sintesi proteica. - RNA transfer (tRNA): porta gli amminoacidi ai ribosomi durante la sintesi proteica. - RNA ribosomiale (rRNA): è un componente strutturale dei ribosomi, essenziale per il funzionamento della sintesi proteica. Oltre a questi, esistono vari RNA non codificanti che non producono proteine ma svolgono importanti funzioni regolatorie. Tra questi: - microRNA (miRNA): piccoli RNA regolatori che controllano l’espressione genica. - RNA lunghi non codificanti (lncRNA): RNA di lunghezza superiore a 200 nucleotidi che hanno funzioni di regolazione complessa. - RNA circolari (circRNA): RNA chiusi a cerchio, con funzioni ancora oggetto di studio. Per anni, gli RNA non codificanti sono stati considerati privi di valore funzionale. Tuttavia, oggi sappiamo che rappresentano una parte significativa del trascrittoma e svolgono ruoli cruciali. Sono particolarmente abbondanti nel cervello e nei testicoli. Negli spermatozoi umani, gli RNA non codificanti, in particolare i circRNA, sono sensibili alle condizioni ambientali e influenzano lo sviluppo embrionale. Durante la fecondazione, infatti, gli spermatozoi non trasportano solo il DNA, ma rilasciano anche diverse molecole di RNA, tra cui circRNA, che giocano un ruolo importante nel condizionare le prime fasi di sviluppo dell’embrione. Chi ha scoperto la cellula? La scoperta della cellula si deve a Robert Hooke, uno scienziato inglese che, osservando una sottile sezione di sughero al microscopio nel 1665, notò delle piccole strutture simili a celle, che chiamò “cellule”. Grazie al microscopio ottico, è possibile osservare la struttura generale delle cellule, mentre con il microscopio elettronico è possibile visualizzare in dettaglio i vari organelli all’interno delle cellule. La teoria cellulare La teoria cellulare si basa su tre principi fondamentali: 1. Tutti gli organismi viventi sono costituiti da una o più cellule. Gli organismi unicellulari sono composti da una sola cellula, mentre quelli pluricellulari sono costituiti da molte cellule. 2. La cellula è l’unità strutturale e funzionale di base della vita. 3. Tutte le cellule derivano da cellule preesistenti, attraverso il processo di divisione cellulare. Tipi di cellule: procariotiche ed eucariotiche Esistono due principali tipi di cellule: le procariotiche e le eucariotiche. - La cellula procariotica è priva di nucleo, quindi il DNA si trova libero nel citoplasma. Questo tipo di cellula è generalmente più semplice. - La cellula eucariotica contiene un nucleo che racchiude il DNA e presenta diversi organelli nel citoplasma, ciascuno con funzioni specifiche. Questa struttura permette alla cellula eucariotica di svolgere diverse attività contemporaneamente, come la sintesi delle proteine, la produzione di energia e la digestione delle macromolecole, rendendola più complessa rispetto alla cellula procariotica. Dimensioni delle cellule La maggior parte delle cellule del corpo umano ha dimensioni nell’ordine dei micrometri (10^-6 metri) e può essere osservata solo al microscopio ottico. Alcune cellule, come la cellula uovo di gallina o di rana, sono eccezioni e misurano diversi millimetri, risultando visibili a occhio nudo. Queste cellule contengono tutte le macromolecole necessarie per lo sviluppo di un embrione. La cellula eucariotica Lo spazio interno di una cellula eucariotica è chiamato citoplasma ed è ricco di organelli. Tuttavia, il nucleo è separato dal citoplasma dalla membrana nucleare e non contiene organelli. All’interno del nucleo si trova il DNA, la molecola che custodisce l’informazione genetica. Altri organelli, come il reticolo endoplasmatico e l’apparato di Golgi, sono avvolti da membrane che delimitano compartimenti funzionali interni. Queste membrane sono note come endomembrane o membrane endogene, in quanto formano il sistema di membrane interne alla cellula. All’interno della cellula, inoltre, sono presenti delle vescicole che trasportano proteine e altre molecole da un organello all’altro. Il movimento delle vescicole è possibile grazie al citoscheletro, una rete di filamenti proteici che collega le diverse parti della cellula. Il citoscheletro è una struttura dinamica: i suoi filamenti si polimerizzano (allungano) e depolimerizzano (accorciano) in modo continuo, adattandosi alle necessità della cellula. La membrana plasmatica La membrana plasmatica è una struttura fondamentale della cellula, con diverse funzioni essenziali: - Protegge la cellula e funge da barriera selettiva, permettendo il passaggio di alcune sostanze e impedendone quello di altre. - Rileva segnali dall’ambiente esterno, consentendo alla cellula di rispondere agli stimoli. - Regola le interazioni con le cellule vicine, facilitando la comunicazione attraverso specifiche giunzioni cellulari. - Si adatta alle variazioni di forma della cellula, mantenendo la sua integrità. Composizione della membrana plasmatica La membrana plasmatica è composta principalmente da lipidi, proteine e carboidrati, che appartengono a tre delle quattro principali classi di macromolecole biologiche. Lipidi di membrana I principali lipidi presenti nella membrana sono i fosfolipidi, ma vi sono anche glicolipidi e steroli. Struttura del Fosfolipide: Il fosfolipide è composto da glicerolo, un composto che ha tre atomi di carbonio, a ciascuno dei quali è legato un gruppo ossidrile (OH). Al glicerolo si legano due catene di acidi grassi, ognuna delle quali termina con un gruppo carbossilico (COOH). Gli acidi grassi possono essere saturi (senza doppi legami) o insaturi (con uno o più doppi legami di carbonio). Il legame estere si forma quando i gruppi ossidrili dei gliceroli si uniscono con i gruppi carbossilici degli acidi grassi, rilasciando una molecola di acqua (H2O). Successivamente, il glicerolo si lega a un gruppo fosfato, il quale a sua volta può legarsi a colina o ad altri gruppi chimici, formando così diverse varianti di fosfolipidi. Proprietà dei Fosfolipidi I fosfolipidi hanno una testa polare, costituita dal gruppo fosfato e dalla colina, che è idrofilica (attratta dall’acqua), e due code apolari, formate dalle catene di acidi grassi, che sono idrofobiche (respinte dall’acqua). Per questo motivo, i fosfolipidi sono anfipatici, ossia possiedono una parte sia polare che apolare. Questa caratteristica è alla base della formazione del doppio strato lipidico nella membrana cellulare, in cui le teste idrofiliche si orientano verso l’esterno, a contatto con l’acqua, mentre le code idrofobiche si orientano verso l’interno, lontano dall’acqua. Implicazioni Strutturali Le catene di acidi grassi dei fosfolipidi non sono tutte saturate, poiché la presenza di acidi grassi insaturi (con doppi legami) impedisce che le catene si impacchettino troppo strettamente. Questo conferisce alla membrana una struttura fluida e dinamica, evitando che diventi rigida. La struttura di base del fosfolipide, l’acido fosfatidico, è un punto di riferimento da cui si derivano altre varianti, grazie all’aggiunta di gruppi chimici al fosfato. Disposizione dei fosfolipidi in acqua: Quando i fosfolipidi sono immersi in acqua, si dispongono con le teste idrofile (che amano l’acqua) a contatto con l’acqua, mentre le code idrofobiche (che non amano l’acqua) si orientano verso l’interno. Questo comportamento dà origine a una struttura circolare chiamata micella. La membrana cellulare Nelle cellule, i fosfolipidi si organizzano in un doppio strato fosfolipidico (bilayer), che costituisce la membrana cellulare. In questo doppio strato si inserisce il colesterolo, un tipo di lipide appartenente alla classe degli steroli. Il colesterolo è composto da un anello di atomi di carbonio noto come ciclopentanoperidrofenantrene. Composizione lipidica delle membrane La composizione lipidica delle membrane non è la stessa in tutti gli organismi. Ad esempio, nei batteri non è presente il colesterolo, ma un lipide chiamato cardiolipina. Il colesterolo, come i fosfolipidi, ha una parte polare e una parte apolare. Movimenti dei lipidi nella membrana I lipidi nella membrana non sono statici, ma possono muoversi grazie alla loro fluidità. I principali movimenti sono: - Diffusione laterale: i lipidi si spostano orizzontalmente all’interno del loro strato. - Rotazione: i lipidi ruotano attorno al loro asse lungo la testa. - Flessione: le code dei lipidi si piegano mantenendo fissa la testa. - Flip-flop: il movimento di un lipide da uno strato all’altro. Questo movimento è raro e avviene grazie all’intervento di un enzima, chiamato flippasi, che consuma energia sotto forma di ATP. Fluidità della membrana: Le membrane cellulari sono fluide grazie alla presenza di acidi grassi insaturi (oltre agli acidi grassi saturi). Le code degli acidi grassi insaturi creano degli spazi che aumentano la mobilità nella membrana, favorendo la fluidità. Il colesterolo gioca un ruolo importante nel mantenere la fluidità della membrana: - A temperature elevate, il colesterolo riduce l’agitazione delle molecole, evitando che la membrana diventi troppo fluida. - A temperature basse, il colesterolo impedisce che le molecole si comprimano troppo, mantenendo la membrana abbastanza fluida. Le proteine di membrana Le proteine di membrana sono macromolecole biologiche, definite polimeri, costituite da monomeri chiamati amminoacidi, che rappresentano le unità fondamentali delle proteine. Esistono due tipi principali di proteine di membrana: proteine intrinseche e proteine estrinseche. Le proteine intrinseche (o integrali): queste proteine sono immerse nel doppio strato fosfolipidico della membrana e possono attraversarlo completamente. A causa della loro posizione, sono difficili da rimuovere, richiedendo elevate quantità di energia e l’uso di detergenti per essere separate dalla membrana. Le proteine intrinseche possono essere: - Monopasso: attraversano la membrana una sola volta. - Multipasso: attraversano la membrana più volte. Le proteine intrinseche devono interagire sia con le regioni polari (idrofili) che con quelle apolari (idrofobe) della membrana. Gli amminoacidi polari tendono a orientarsi verso le teste polari dei fosfolipidi, mentre quelli apolari si dispongono verso le code apolari, assicurando una corretta integrazione nel bilayer. Proteine estrinseche (o periferiche): queste proteine si legano debolmente a un solo lato della membrana, sia sul lato citoplasmatico sia sulla superficie esterna. A differenza delle proteine intrinseche, possono staccarsi facilmente dalla membrana poiché non sono integrate nel doppio strato lipidico. Le proteine di membrana possiedono anche una mobilità laterale. Questo fenomeno è stato dimostrato in un esperimento in cui proteine di membrana di topo e proteine umane sono state unite in una stessa membrana; dopo pochi minuti, le proteine si erano mescolate lateralmente, dimostrando che le proteine possono diffondersi lungo la membrana. Tuttavia, non tutte le proteine di membrana si muovono con facilità: le proteine intrinseche hanno spesso una mobilità ridotta poiché possono essere ancorate al citoscheletro o alla matrice extracellulare. Funzioni delle proteine di membrana Le proteine di membrana svolgono diverse funzioni chiave: - Recettori: alcune proteine di membrana fungono da recettori, che possono attivare una risposta cellulare quando legano specifiche molecole (come ormoni o neurotrasmettitori). Questo processo, chiamato trasduzione del segnale, consente alla cellula di rispondere a segnali provenienti dall’ambiente esterno. - Trasportatori di membrana: altre proteine facilitano il trasporto di molecole specifiche attraverso la membrana, sia dall’esterno all’interno che viceversa. Alcuni esempi sono le proteine canale e le pompe ioniche, che permettono il passaggio controllato di ioni e altre sostanze essenziali. Inoltre, molte proteine trasportatrici sono enzimi, che aiutano nelle reazioni chimiche necessarie per la comunicazione tra cellule. In sintesi, le proteine di membrana sono fondamentali per il mantenimento delle funzioni cellulari, poiché facilitano sia la comunicazione cellula-cellula sia lo scambio di molecole tra l’interno e l’esterno della cellula. I carboidrati di membrana La terza classe di macromolecole biologiche della membrana sono i carboidrati di membrana. Questi zuccheri si trovano solo sul lato esterno della membrana, dove formano una struttura a “merlatura” chiamata glicocalice. I carboidrati possono legarsi ai lipidi della membrana, formando glicolipidi, o alle proteine, formando glicoproteine. Teoria della Membrana Unitaria e Mosaico Fluido Secondo la teoria della membrana unitaria, la membrana plasmatica possiede una struttura simile in tutte le cellule e condivide caratteristiche con le membrane delle strutture cellulari interne. La membrana plasmatica è descritta come un mosaico fluido: Mosaico perché è composta da diversi elementi: doppio strato lipidico, proteine e carboidrati. Fluido perché le molecole lipidiche possono diffondersi lateralmente all’interno dello strato lipidico, così come anche le proteine. La membrana è inoltre asimmetrica, poiché i due strati lipidici (monostrati) hanno composizioni diverse: ad esempio, solo lo strato esterno contiene i carboidrati. Trasporto di Membrana Il passaggio di molecole attraverso il doppio strato lipidico dipende dalla loro natura: Molecole piccole e idrofobiche, come l’ossigeno, passano facilmente. Ioni e molecole polari hanno maggiore difficoltà e necessitano di specifici trasportatori. Trasporto Passivo Il trasporto passivo non richiede energia e avviene secondo il gradiente di concentrazione, cioè da una zona a maggiore concentrazione verso una a minore concentrazione. Si distingue in: 1. Diffusione semplice: le molecole passano liberamente attraverso la membrana, come i gas e le piccole molecole idrofobiche. 2. Diffusione facilitata: molecole più grandi e cariche richiedono un trasportatore, come una proteina canale o una proteina carrier. Proteine canale: sono proteine intrinseche che formano un canale per il passaggio di ioni. I canali ionici possono aprirsi o chiudersi in base alle necessità della cellula. Proteine carrier: queste proteine contengono una “tasca” che lega la molecola da trasportare. La proteina cambia conformazione, facilitando il passaggio della molecola attraverso la membrana. Tipi di Trasporto Facilitato Uniporto: trasporto di una sola molecola alla volta. Trasporto accoppiato: trasporto di due molecole diverse. Può essere: Simporto: entrambe le molecole si muovono nella stessa direzione. Antiporto: le molecole si muovono in direzioni opposte. Trasporto Attivo Il trasporto attivo richiede energia, sotto forma di ATP, per spostare molecole contro il gradiente di concentrazione (da una zona a bassa concentrazione a una ad alta concentrazione). Questo tipo di trasporto richiede una proteina trasportatrice specifica, chiamata pompa. Un esempio di trasporto attivo è la pompa sodio-potassio, che espelle tre ioni sodio (Na⁺) dalla cellula e introduce due ioni potassio (K⁺). Questo è un tipo di trasporto accoppiato antiporto. Le proteine Le proteine possono essere definite anche polimeri, poiché sono strutture grandi fatte da una ripetizione di monomeri che in questo caso sono gli aminoacidi; quindi, tanti aminoacidi formano le proteine. L’amminoacido struttura generale In base alla natura di R, gli aminoacidi variano, ma è importante scrivere una struttura corretta in quanto il gruppo carbossilico deve essere a destra e il gruppo amminico a sinistra. Concetto di isomeria Isomeria catena: uno stesso numero di atomi di carbonio dà origine a catene diverse linee ramificate Isomeria di posizione: uno stesso gruppo funzionale e inserito in punti diversi di una catena carboniosa Stereoisomeria o isomeria ottica: quando ad uno stesso atomo di carbonio sono legati quattro atomi diversi in diverse posizioni. Quando un amminoacido ha il gruppo amminico posizionato a destra del carbonio chirale, si definisce di configurazione destrogira (D); se invece il gruppo amminico è a sinistra, si tratta di un amminoacido levogiro (L). Questa classificazione si basa sulla posizione del gruppo amminico rispetto al carbonio chirale. Pertanto, si parla di isomeri L quando il gruppo amminico si trova a sinistra e di isomeri D quando si trova a destra. Nelle nostre cellule, gli amminoacidi sono prevalentemente di tipo L, con il gruppo amminico a sinistra. Gli amminoacidi di tipo D si formano raramente nelle cellule e tendono ad accumularsi con l’invecchiamento. In totale ci sono 22 aminoacidi1, di cui due sono stati scoperti successivamente, perché sono determinati da codoni di stop, ovvero farebbero terminare la sintesi proteica. Sono la selenocisteina e la pirrolisina. Il primo gruppo: definito aminoacidi apolari. Il più semplice fra questi è la glicina: è l’unico in cui non si parla di stereoisomeria, perché è legato a due atomi di idrogeno, anziché a quattro gruppi diversi come accade per gli altri amminoacidi. Secondo gruppo: aminoacidi polari, definiti privi di carica, quindi, sono neutri. Il più semplice è la serina. Terzo gruppo: aminoacidi basici, presentano una carica positiva nella catena laterale (R+). Il più semplice è la lisina(k). Sono aminoacidi abbondanti negli istoni. Quarto gruppo: aminoacidi acidi, presentano una carica negativa nella catena laterale (R-). Acido aspartico o acido glutammico. Quando due amminoacidi si legano tra loro, formano un legame peptidico. Questo legame si stabilisce tra il gruppo carbossilico (–COOH) del primo amminoacido e il gruppo amminico (–NH₂) del secondo. La formazione del legame peptidico avviene tramite una reazione di condensazione, in cui viene eliminata una molecola d’acqua (H₂O). Perché gli amminoacidi possano legarsi in una catena, la struttura deve mantenere un gruppo amminico terminale (N-terminale) all’inizio e un gruppo carbossilico terminale (C-terminale) alla fine. Questi estremi liberi conferiscono alla catena una polarità: i terminali sono infatti chimicamente diversi. Le strutture Unendo più amminoacidi, si ottiene una catena polipeptidica. Questa sequenza lineare di amminoacidi rappresenta la struttura primaria della proteina. Tuttavia, una proteina non è ancora funzionale allo stato di struttura primaria e richiede un ripiegamento tridimensionale per acquisire la sua struttura secondaria. Nella struttura secondaria, la catena polipeptidica può organizzarsi in due principali configurazioni: 1. Alfa elica: una spirale stabilizzata da legami a idrogeno tra atomi all’interno della catena. 2. Foglietto beta: una disposizione a foglio, formata da segmenti paralleli o antiparalleli, anch’essa stabilizzata da legami a idrogeno. I legami a idrogeno sono i principali responsabili della stabilizzazione della struttura secondaria, poiché, pur essendo legami relativamente deboli, sono numerosi e conferiscono stabilità alla configurazione. In questa fase, le 1 Pagina 14, 22 amminoacidi completi. catene laterali degli amminoacidi sporgono dalla struttura, permettendo potenziali interazioni con altre molecole. La struttura secondaria non è ancora sufficiente per rendere la proteina attiva. Per acquisire la funzionalità completa, la proteina si ripiega ulteriormente, raggiungendo una struttura terziaria. Nella struttura terziaria possono instaurarsi diversi tipi di legami, tra cui: Legami a idrogeno, Legami ionici, Interazioni idrofobiche, Legami covalenti, come i ponti disolfuro. I ponti disolfuro sono i legami covalenti più forti della struttura terziaria e si formano tra due residui di cisteina, che stabilizzano la configurazione tridimensionale della proteina. Questi diversi livelli di struttura contribuiscono alla funzionalità finale della proteina, necessaria per le sue attività biologiche. La struttura terziaria di una proteina si ripiega in modo da formare il maggior numero possibile di interazioni, poiché un aumento delle interazioni favorisce la stabilità della molecola. Questo processo è noto come folding: è il ripiegamento tridimensionale che consente alla proteina di acquisire la sua conformazione funzionale. Un misfolding è invece un ripiegamento errato, che compromette il funzionamento della proteina. Il folding proteico è regolato da proteine specifiche, chiamate chaperoni molecolari e chaperonine. Un ripiegamento errato può essere pericoloso, poiché causa l’accumulo di proteine mal ripiegate nelle cellule, formando aggregati che risultano tossici per i neuroni e che possono portare a malattie neurodegenerative. Esistono due tipi principali di chaperoni molecolari: HSP60 e HSP70, noti anche come heat shock proteins (proteine da stress termico), differenziati in base al peso molecolare. HSP70 agiscono precocemente, mentre la proteina è ancora in fase di sintesi. HSP60, invece, intervengono dopo la sintesi, creando una struttura a “gabbia” in cui la proteina viene ripiegata correttamente. La gabbia si apre solo quando la proteina ha raggiunto la sua forma funzionale corretta. Quando i chaperoni non riescono a svolgere il loro compito, interviene il meccanismo di risposta UPR (Unfolded Protein Response), che ha lo scopo di eliminare le proteine mal ripiegate. Queste proteine sono quindi degradate nel proteasoma, un complesso multiproteico cavo che, pur non essendo un organello, svolge una funzione simile ai lisosomi. Il proteasoma e i lisosomi hanno entrambi un ruolo nella degradazione delle proteine cellulari, ma differiscono per struttura e modalità d’azione: I lisosomi sono organelli con membrana che contengono enzimi digestivi. Sono coinvolti nella degradazione di molecole provenienti sia dall’esterno della cellula, tramite endocitosi, sia dall’interno della cellula, come organelli danneggiati. Il proteasoma, invece, non è un organello; è un complesso multiproteico a forma di cilindro che degrada principalmente proteine segnate per la distruzione all’interno del citoplasma, utilizzando una “etichetta” molecolare di poliubiquitina, che si lega a specifici enzimi noti come E1, E2, e E3, in un processo chiamato poliubiquitinazione. Esistono tre tipi principali di ubiquitinazione: Monoubiquitinazione, in cui una singola ubiquitina regola l’attività degli istoni. Multiubiquitinazione, in cui più ubiquitine si attaccano in punti diversi, segnando le proteine per processi come l’endocitosi. Poliubiquitinazione, in cui più ubiquitine si legano in un unico punto, segnalando che la proteina deve essere degradata nel proteasoma. Infine, oltre alla struttura terziaria, alcune proteine complesse presentano anche una struttura quaternaria, formata da più subunità che si assemblano per svolgere funzioni specifiche. Segnali di indirizzamento delle proteine Le cellule utilizzano segnali di indirizzamento per riconoscere la destinazione di ogni proteina. La sintesi proteica inizia nei ribosomi liberi nel citoplasma; tuttavia, in alcuni casi, la sintesi prosegue nel reticolo endoplasmatico rugoso (RER), dove si trovano ribosomi associati. La destinazione della proteina determina il processo di sintesi: - Se le proteine devono essere trasportate nel nucleo, nei mitocondri, nei cloroplasti o nei perossisomi (tutti organelli intracellulari), si utilizza lo smistamento post-traduzionale: la proteina completa la sintesi nel citoplasma e, una volta terminata, viene indirizzata all’organello appropriato. - Quando le proteine devono essere inviate all’apparato di Golgi, ai lisosomi, alla membrana plasmatica o devono essere escrete dalla cellula, avviene la co-traduzione: la sintesi proteica inizia nel citosol, ma poi continua nel RER. Trasporto delle proteine al RER Per spostare le proteine al reticolo endoplasmatico rugoso, le proteine stesse possiedono un segnale di indirizzamento all’estremità N-terminale (ammino terminale). Questo segnale viene riconosciuto da un complesso proteico chiamato SRP (Signal Recognition Particle), che arresta momentaneamente la sintesi proteica e indirizza il ribosoma al RER. Una volta al RER, il ribosoma si lega a un recettore specifico, il traslocone Sec61, un complesso proteico che guida la proteina nel reticolo. Il traslocone è costituito da vari componenti: Recettore per SRP, che riconosce il segnale di indirizzamento. Recettore per il ribosoma, che consente l’ancoraggio del ribosoma al RER. Proteina canale, che permette il passaggio della proteina. Peptidasi del segnale, che rimuove la sequenza di indirizzamento una volta completato il trasporto. Mentre la proteina viene traslocata, uno chaperone chiamato BiP (Binding Immunoglobulin Protein), parte delle HSP70, interviene per aiutare nel ripiegamento corretto, consumando ATP durante il processo. Funzioni del RER Il reticolo endoplasmatico rugoso ha numerose funzioni: Sintesi di proteine destinate all’esportazione. Sintesi di proteine per i lisosomi. Sintesi di proteine per la membrana plasmatica. Ripiegamento delle proteine. Glicosilazione delle proteine. La glicosilazione è un processo in cui vengono aggiunti zuccheri alla proteina (N-glicosilazione), legandosi al gruppo amminico NH₂ della catena laterale dell’asparagina. Questo processo implica l’aggiunta di una catena di zuccheri (oligosaccaride) ancorata a un lipide della membrana del RER, il dolico fosfato. Tale lipide trasferisce la catena zuccherina alla proteina attraverso un movimento chiamato “flip-flop”. L’apparato di Golgi L’apparato di Golgi, scoperto dallo scienziato italiano Camillo Golgi, è costituito da un insieme di cisterne impilate. Ogni cisterna ha una forma leggermente più larga ai bordi e funzioni diverse grazie alla presenza di enzimi specifici. Le cisterne si suddividono in: Cisterne cis (vicine al RER). Cisterne mediane (centrali). Cisterne trans (più vicine alla membrana plasmatica). Le proteine si muovono da una cisterna all’altra tramite vescicole di trasporto, dette vescicole a spola. Ogni cisterna modifica le proteine in base alla fase di maturazione: tra i processi principali ci sono la O-glicosilazione, l’aggiunta di fosfati (fosforilazione), l’aggiunta di acidi grassi e il taglio proteolitico per rimuovere eventuali sequenze non funzionali della proteina. Meccanismi di trasporto e ritorno delle proteine Il movimento delle proteine nel Golgi avviene grazie a vescicole con rivestimenti speciali. Le vescicole che si spostano dal RER al Golgi hanno rivestimenti di copII, mentre quelle che tornano indietro (processo chiamato “ritorno a casa”) hanno rivestimenti di copI. Il ritorno al RER è segnato dalla presenza di una sequenza di quattro amminoacidi, KDEL, che viene riconosciuta dal Golgi per rimandare la proteina al RER. Le proteine che devono essere inviate ai lisosomi, alla membrana plasmatica o che devono essere secrete vengono trasportate tramite vescicole rivestite di clatrina. Le proteine destinate ai lisosomi possiedono un segnale specifico, il mannosio-6-fosfato. I lisosomi I lisosomi sono organelli coinvolti nella degradazione cellulare e contengono vari enzimi idrolitici, come proteasi, lipasi, glicosidasi e nucleasi. Questi enzimi operano a pH acido (inferiore a 7), garantito da una pompa protonica che introduce ioni H⁺ nel lisosoma. Il pH acido è essenziale per prevenire l’autodigestione della cellula: infatti, se gli enzimi lisosomiali funzionassero a pH neutro, potrebbero danneggiare l’intera cellula. 22 aminoacidi.

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