Dispensa Psicologia Sviluppo e Educazione PDF
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Università Niccolò Cusano
Micela Capobianco
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This document is an educational resource on psychology of child development and education, specifically at the University Niccolò Cusano. It is a study material focusing on concepts of intelligence and the instruments involved in evaluating children's intelligence.
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DISPENSE DELL’INSEGNAMENTO DI PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO E DELL’EDUCAZIONE PROF. SSA MICAELA CAPOBIANCO RICERCATORE (Lettera B) (art. 24 c.3-b L. 240/10) MODULO V LA VALUTAZIONE DELL’INTELLIGENZA E COMPETENZ...
DISPENSE DELL’INSEGNAMENTO DI PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO E DELL’EDUCAZIONE PROF. SSA MICAELA CAPOBIANCO RICERCATORE (Lettera B) (art. 24 c.3-b L. 240/10) MODULO V LA VALUTAZIONE DELL’INTELLIGENZA E COMPETENZE PERCETTIVE Argomenti V. 1 IL CONCETTO DI INTELLIGENZA 1.1 INTELLIGENZA: APPROCCIO QUANTITATIVO 1.2 INTELLIGENZA: APPROCCIO QUALITATIVO V. 2 GLI STRUMENTI DI VALUTAZIONE PSICOMOTORIA E COGNITIVA: APPROCCIO QUANTITATIVO V.3 LE COMPETENZE PERCETTIVE E COGNITIVE DELL’INFANTE V.4 L’INTELLIGENZA SECONDO L’APPROCCIO DELL’ELABORAZIONE DELL’INFORMAZIONE V. 1 IL CONCETTO DI INTELLIGENZA 1.1 INTELLIGENZA: APPROCCIO QUANTITATIVO Come abbiamo discusso nei precedenti moduli lo sviluppo cognitivo viene spiegato e interpretato in modo diverso dai diversi molteplici teorici, sia rispetto al peso dei fattori biologici e ambientali ma anche rispetto alla modalità con cuiil bambino acquisisce le conoscenze, ad esempio in modo per lo più continuo o discontinuo, qualitativo o quantitativo. In stretta relazione con gli approcci teorici di riferimento e all’esigenza di avere una misura unitaria delle abilità generali, si sono strutturate nel tempo diverse metodologie e strumenti di valutazione dell’intelligenza del bambino. Ripercorriamo brevemente la storia del movimento testologico. I test di intelligenza nascono tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento e sono contemporanei ai progressi della scolarizzazione che caratterizzano le società occidentali avanzate (Gran Bretagna, Francia, Germania, Stati Uniti). I responsabili dell’istruzione dei diversi paesi ritennero allora necessario ricorrere a uno strumento diagnostico che consentisse di valutare le differenze individuali nel funzionamento dell’intelligenza e individuare così le disabilità intellettive, definite a quel tempo ritardo mentale o cognitivo. E’ importante specificare che attualmente si devono utilizzare altre terminologie per riferirsi ad un livello cognitivo generale non coerente con l’età cronologica. Si utilizza, infatti, più propriamente il termine “disabilità intellettiva”, o “basso funzionamento” per riferirsi ad un livello cognitivo sotto la media. Per lo sviluppo coerente con l’età cronologica, quindi in norma, si utilizza il termine “sviluppo tipico” contrapposto allo “sviluppo atipico”. Nel 1904 il Ministero della Pubblica Istruzione francese istituì una commissione con il compito di trovare una maodalità per valutare ed individuare il problema dell’educazione speciale. La commissione, presieduta da Alfred Binet, doveva costruire un test di intelligenza da somministrare agli alunni delle scuole elementari allo scopo di individuare coloro che avrebbero potuto beneficiare di un programma di educazione speciale. Il risultato fu la scala Binet del 1905, la quale distingueva tra intelligenza normale e ritardo e differenziava inoltre tre gradi di ritardo mentale. La scala Binet si può considerare il primo test di intelligenza perché valuta l’intelligenza come una capacità unitaria e stabile e, soprattutto, perchè consiste in compiti che valutano diverse abilità che compongono nel loro insieme l’intelligenza generale. (ad esempio, memoria, attenzione, comprensione, linguaggio). Con la scala di valutazione cognitiva di Binet si iniziò ad esplicitarsi un concetto importante reativo allo sviluppo cognitivo, quello d i “INTELLIGENZA UNITARIA”, ossia il fatto che l’abilità cognitiva è concepita come composta di molteplici processi/componenti da cui poter ricavare un valore quantitativo-numerico generale corrispondente ad un Quozienze intellettivo generale (QI T- Totale). Con alcuni test cognitivi (che specificheremo più avanti)i, oltre al QI T, l’insieme delle prestazioni del bambino nei diversi domini, è possibile ricavare degli indici di intelligenza per ciascun dominnio: ad esempio QI dell’area linguistica, QiI dell’area logico-matematica, etc.. la possibilità di avere un QI Totale e tanti QI dei singoli domini che compongono il funzionaemnto generale, permette di delineare anche ciò che viene definito il profilo neuropsicologico del bambino. Vediamo ora come si calcola il Quoziente intellettivo totale (QI T) e i valori quantitativi legati ad un livello cognitivo che rientra nel range della norma, secondo un concetto di intelligenza unitaria. Facciamo un esempio concreto. Somministrando un test standardizzato, cioè un test che è stato utilizzato su un campione rappresentativo di bambini all’interno di una fascia di età che presenta dati di riferimento e normativi sulle prestazioni dei bambini di quella età, per i diversi domini, possiamo osservare che un bambino con età cronologica di 7 anni potrebbe avere prestazioni che corrispondono ad un bambino più piccolo, ad esempio di 6 anni. Possiamo affermare, quindi, che quel bambino ha 7 anni (età reale o cronologica) ma ha un’età mentale di un bambino di 6 anni, come emerso dai punteggi ricavati con il trest di intelligenza somministrato. Il QUOZIENTE INTELLETTIVO GENERALE (QI T) si calcola mediante una semplice formula ove l’età mentale di quel bambino viene divisa per la sua età cronologica e poi moltiplicata per 100. Nel nostro esempio potremmo avere questo risultato: 6 (ETA’ REALE) / 6 (ETA’ CRONOLOG.)X 100= 85,7. Questo punteggio rappresenta il valore del QIT del bambino rispetto al rapporto tra età mentale ed età cronologica (reale). Per definizione il QI T nella norma corrisponde al valore 100 con deviazione standard (ds: variabilità sopra e sotto la media) di 15. Quindi tra il range va tra gli 85 e i 115, ove 100 è lamedia. Qui di seguito uno schema che riassume il calcolo quantitativo di Quoziente intellettivo, quale valore quantitativo dell’intelligenza, corrispondente ad un valore numerico. Successivamente una figura che rappresenta il QI di deviazione, distribuzione statistica dei punteggi di QI nella popolazione tipica,che si configura con una forma grafica a “campana”. Qui di seguito delle immagini esplicative. QUOZIENTE INTELLETTIVO (Q.I T.) considerando età mentale ed età cronologica Q.I. = età mentale / età reale x 100 SOGGETTO A : SOGGETTO B : Età cronologica= 7 Età cronologica= 12 Età mentale = 6 Età mentale = 10 Q.I.= 6/7 x 100= Q.I.= 10/12 x 100= 85,7 83,3 Il Q.I. nella norma per definizione è pari a 100 QI di “Deviazione” è la prestazione di un singolo bambino, come distanza dalla distribuzione statistica dei punteggi, con media 100 e Deviazione Standard 15. La maggior parte dei soggetti ottiene punteggi tra 85 e 115. Tale distribuzione normale è una distribuzione di probabilità caratterizzata da una curva a campana simmetrica. Come si evince dall’immagine sopra, la curva a campana simmetrica è detta curva normale o curva di Gauss (o gaussiana). In sintesi la Scala Stanford-Binet misura il rapporto tra età mentale ed età cronologica in bambini e adolescenti, mediante diverse prove logiche, di memoria, di attenzione, di rapidità ad associare dei simboli a dei concetti, ecc. e si basa sulle abilità richieste nell’apprendimento scolastico.Tuttavia, per quanto le prove siano diversificate, dai risultati di tutte queste prove si ricava, secondo Stanford-Binet, una intelligenza generale, nota anche come fattore g, che si riferisce all'esistenza di un'ampia capacità mentale globale (QI Totale) che influenza le prestazioni su tutte le altre abilità. L’obiettivo della somministrazione del test cognitivo è proprio ricavare un valore numerico-quantitativo unitario che caratterizza ciascun bambino (intelligenza unitaria). Qui di seguito la categorizzazione del tipo di livello raggiunto rispetto a determinati range: QI compreso tra 85 e 115 (circa il 70% ei bambini rappresenta la fascia della cosiddetta «tipicità» QI compreso tra 70 e 85 rappresenta un Funzionamento Intellettivo Limite (FIL) QI inferiore a 70 rappresenta la disabilità intellettiva di diversa severità (un tempo definito ritardo mentale) QI compreso tra 115 e 130 rappresenta un profilo intellettivo definito “Alto Potenziale” QI superiore a 130 rappresenta la categoria dei plusdotati Altri autori hanno approfondito il concetto d intelligenza considerando e definendo l’intelligenza non come semplicemente unitaria ma per lo più come «multipla», contrapponendosi alle teorie unitarie dell’intelligenza e criticando l’ipotesi che il il QI globale possa essere completamente rappresentativo dell’intelligenza di un bambino come di un adulto. Qui di seguito alcuni dei maggiori autori dei modelli multicomponenziali dell’intelligenza:-Thurstone (1941) -Gardner (1983) -Sternberge Spear-Swerling (1997) Thurstone( 1941) proponeva che l’intelligenza fosse costituita da sette abilità indipendenti l’una dall’altra: 1.comprensione verbale 2.fluenza verbale 3.numeri 4.memoria 5.spazio 6.velocità percettiva 7.ragionamento induttivo. Anche Gardner ha individuato sette forme di intelligenza, ognuna con le proprie caratteristiche distintive: 1.intelligenza linguistica 2.intelligenza musicale 3.intelligenza logico-matematica 4.intelligenza spaziale 5.intelligenza corporeo-cinestetica 6.intelligenza intrapersonale 7.intelligenza interpersonale La visione multicomponenziale dell’intelligenza, sicuramente, si avvicina al concetto di profilo neuropsicologico dell’intelligenza. A prescindere da un Quoziente Intellettivo generale che corrisponde ad un dato numerico (ad esempio QI T di 105), ogni bambino può presentare prestazioni diverse sulle diverse capacità che compongono l’intelligenza e queste prestazioni si potrebbero discostare in modo più o meno significativo dal QIT, evidenzando particolari “punti di forza” o al contrario “punti di debolezza” rispetto alla specifica competenza. Definire una funzionamento cognitivo generale, come ad esempio individuare una “disabilità intellettiva” di grado lieve (QI T 75) ci permette di fare una diagnosi (legata alla disabilità intellettiva) ma non ci informa del profilo neuropsicologico individuale di quel bambino, utile per attuare un programma di riabilitazione mirato sulle fragilità e sui punti di forza, a prescindere dalla stessa diagnosi che può essere la stessa per tanti bambini. Di qui la differenza concettuale tra DIAGNOSI e VALUTAZIONE. La Diagnosi dal greco “διαγνοσίσ” che significa “riconoscere attraverso”: scopo di individuare quei tratti comuni che riconducono ad una condizione clinica riconosciuta, etichetta definita, quale ad esempio la disabilità intellettiva ma anche la plusdotazione La Valutazione: interpretare un profilo neuropsicologico individuale del bambino, rispetto alla definizione e andamento delle diverse abilità. La diagnosi può essere effettuata, in base al tipo di disturbo, a determinate età secondo le norme dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, condivise dalla comunità scientifica. La valutazione, come “diagnosi funzionale”, può essere effettuata a qualsiasi età al fine di delineare un “profilo delle funzioni di un bambino”. Il bambino può avere la stessa diagnosi in modo anche permanente nel tempo, ma avere un profilo neuropsicologico diverso ne tempo, soprattutto dopo un ciclo di intervento terapeutico. La diagnosi esprime un’ accezione relativamente stabile, attribuzione di un’etichetta diagnostica. La valutazione, al contrario, è processo dinamico e può essere un momento iniziale e finale della diagnosi e della terapia al fine di verificare i risultati raggiunti e il successo o meno di un programma di intervento. Qui di seguito un esempio di rappresentazione grafica di alcuni aspetti (non tutti) che potrebbero comporre u profilo neuropsicologico di un bambino, oggetto di una valutazione funzionale. Anche in questo caso potremmo avere punteggi quantiitativi dei livelli di sviluppo raggiunti in ciascuna abilità e poterli confrontare con il QI Totale o tra di loro. Valutazione Profilo neuropsicologico delle abilità Linguistiche e apprendimenti Visuo Motorio/ Memoria e percettive prassiche attenzione Caratterizzazione specifica di alcune funzioni mentali/cognitive di un bambino 1.2 INTELLIGENZA: APPROCCIO QUALITATIVO Come già affrontato nel modulo che approfondisce la teoria stadiale, Piaget non considerava l’intelligenza in termini quantitativi, né tantomeno psicometrici, mediante l’uso di test standardizzati che attribuiscono un punteggio quantitativo o numerico alle abilità del bambino o alla sua intelligenza generale. Piaget considera l’intelligenza come una forma di adattamento biologico continuo al suo ambiente, quindi il bambino costruisce gradualmente strutture cognitive organizzate in modo sempre più complesso sul piano qualitativo per affrontare i problem solving del suo contesto. L’intelligenza, tra l’altro, non è un fattore unitario, ma piuttosto un insieme (set) di capacità le quali cambiano qualitativamente nel corso dello sviluppo fino ad arrivare ad un livello che rappresenta il raggiungimento ultimo sul piano dell’organizzazione cognitiva per quella abilità. A partire da queste considerazioni sul concetto di intelligenza, Piaget fa riferimento ad un approccio alla valutazione dello sviluppo cognitivo, detto ORDINALE, che si propone come alternativo all’approccio psicometrico. All’interno di questo approccio due psicologi americani, Uzgiris e Hunt, hanno costruito delle scale ordinali dello sviluppo psicologico, per le quali disponiamo sia della versione italiana [Uzgiris e Hunt 1975] sia di un lavoro di standardizzazione sulla popolazione italiana [Vinter, Cipriani e Bruni 1993]. Mentre i test tradizionali vedono lo sviluppo come accrescimento, cioè come cambiamento quantitativo in un organismo che rimane qualitativamente immutato, le scale ordinali concepiscono lo sviluppo come trasformazione di capacità verso livelli progressivamente più alti. Mentre i test tradizionali non ipotizzano nessuna relazione intrinseca tra le diverse acquisizioni, la costruzione delle scale ordinali si basa sull’ipotesi di una relazione gerarchica, di modo che le acquisizioni del livello più alto sono in qualche modo derivate da quelle del livello precedente. Per quanto riguarda le cause dello sviluppo, i test tradizionali adottano la posizione secondo cui esso è il prodotto di una programmazione genetica, oppure la posizione opposta secondo cui l’ambiente modella il comportamento. Per l’approccio ordinale la causa del cambiamento non risiede né nell’organismo né nelle condizioni ambientali presi separatamente, ma piuttosto nell’interazione tra il primo e le seconde. Di conseguenza si possono avere ritmi di sviluppo diversi, dovuti alla disponibilità di determinate condizioni ambientali oppure alla plasticità dell’individuo nell’adattarsi a queste condizioni. In sintesi, secondo l’approccio qualitativo ordinale dello sviluppo (approccio di tipo ordinale e gerarchico versus tradizionale psicometrico): intelligenza come insieme di domini che evolvono in modo qualitativo versus quantitativo, intelligenza come “set” di capacità che SEGUONO UNO SVILUPPO STADIALE. Piaget individua 6 “scale” che valutano una specifica competenza ordinata in una serie di tappe evolutive in progressione verso livelli sempre più alti. Per ogni tappa sono individuate una o più azioni del bambino “criteriali” per il raggiungimento del livello. Qui di seguito le 6 scale di sviluppo psicomotorio individuate da Piaget per valutare lo sviluppo delle abilità nei primi due anni di età. SCALA I. Capacità di seguire con lo sguardo e permanenza degli oggetti SCALA II. Sviluppo di mezzi per ottenere eventi ambientali desiderati SCALA III. Sviluppo imitazione vocale e gestuale SCALA IV. Causalità operazionale SCALA V. Costruzione di relazioni spaziali tra gli oggetti SCALA VI. Schemi di relazioni con gli oggetti Tra queste scale, sicuramente la scala I, relativa allo sviluppo della permanenza dell’oggetto e la scala II che fa riferimento allo sviluppo dei mezzi e dei fini sono quelle più conosciute e somministrate nella valutazione dei bambini nei primi 24 mesi di età. Vediamo insieme la scala ordiinale relativa allo sviluppo della permanenza dell’oggetto, che, come già sappiamo, è acquisita alla soglia dei 24 mesi. Per ciò che riguarda la “pemanenza dell’oggetto” il bambino raggiunge una rappresentazione mentale stabile dell’oggetto alla soglia dei 24 mesi e le scale di Hzgiris Hunt prevedono compiti di occultamernto dell’oggetto da visibili a invisibili sempre più complessi presentati ai bambini dalla nascita ai 24 mesi. Ogni compito di occultamento viene presentato al bambino attraverso l’uso di schermi per occultamenti sempre più complessi. In base alla risposta del bambino quello specifico livello può essere superato o meno. Ci sono dei comportamenti criterio che permettono di capire se il bambino ha superato il compito con quel livello. Vediamo qui di seguito alcuni passaggi graduali della scala I, relativa alla permanenza dell’oggetto. Lo sviluppo della permanenza dell’oggetto nizia con lo “schema precostituito del guardare e seguire l’oggetto”, successivamente con “occultamenti e spostamenti visibili dell’oggetto”, per cui il bambino deve trovare l’oggetto sotto uno o più schermi quando l’oggetto viene nascosto in modo vidibile, sotto gli occhi del bambino. Successivamente i compiti riguadano il “cercare l’oggetto in seguito ad occultamenti e spostamenti invisibili” per cui l’oggetto viene nascosto in modo che il bambino non vesta lo spostamento. Tra i compiti di passaggio da spostamenti visibili ad invisibile c’è “la ricerca sotto tre schemi sovrapposti”. Vediamo qui di seguito il comportamento criteriale per superare questo livello. Il comportamento criteriale è rappresentato dal rimuovere ciascuno schermo sovrapposto e recuperare l’oggetto. Se risponde in questomodo si passa al livello successivo di occultamenti invisibili. I compiti relativi agli occultamenti invisibili sono presentati in modo sempre più complesso fino ad arrivare alla cosiddetta “Ricerca attiva”: il bambino, avendo ormai tra i 18 e i 24 mesi di età, possiede una rappresentazione mentale stabile dell’oggetto, per cui è in grado di operare una ricerca attiva dell’oggetto nel caso non lo trovi sotto lo schermo dove lo ha ha sempre trovato. Di fronte a tre schermi uno accanto all’altro, dopo la violazione dell’aspettativa rispetto allo schermo dove pensava di trovare l’oggetto, non si ferma ma inizia a cercare in modo attivo negli altri due schermi. Le scale ordinali, quindi, sposano un approccio e un concetto qualitativo dell’intelligenza, contrapponendosi agli strumenti di valutazione dello sviluppo psicomotorio e dell’intelligenza che permettono di attribuire uno più punteggi quantitativi (QI Totale e/o QI compositi). In piattaforma è stata inserita una cartella con alcuni video di somministrazione delle scale ordinali Hzgiris Hunt rispetto alla permanenza dell’oggetto e al rapporto mezzi-fini. Questi video sono esemplificativi della somministrazione dei compiti piagetiani relativamente al periodo sensomotorio. Per concludere, la disponibilità di scale ordinali per valutare l’intel- ligenza nei primi anni di vita, non solo ha permesso di svincolare la sequenza di sviluppo dall’età cronologica ma ha anche contribuito a smentire la nozione di intelligenza come capacità unitaria e stabile, rivendicando il giusto ruolo all’ambiente e ai diversi tipi di stimolazione. Le scale ordinali non valutano il comportamento del bambino in relazione a una «norma», ma forniscono piuttosto un utile strumento conoscitivo e diagnostico consentendo di delineare un accurato profilo individuale per ciascun bambino. Le scale ordinali riprendono i concetti di “ordinalità” e “gerarchia” della teoria piagetiana, ove le singole competenze o “settori” si trasformano verso livelli progressivamente più alti, ma il raggiungimento di un determinato livello di sviluppo necessariamente deriva in sequenza da quello precedente In sintesi, qui di seguito le competenze del bambino alla soglia dei 24 mesi rispetto alla comparsa di una intelligenzasimbolica-rappresentativa. Il bambino può agire in un ambiente in cui gli oggetti hanno un’esistenza fisica, spaziale e temporale propria e sono fonti autonome di causalità. Il bambino ricostruisce le cause e gli effetti: effetti è in grado di prevedere gli effetti di un oggetto come fonte potenziale di azioni. Il bambino percepisce anche il proprio corpo come un oggetto in mezzo agli altri rappresenta sé stesso e immagina i propri spostamenti nello spazio come se li vedesse dall’esterno V. 2 GLI STRUMENTI DI VALUTAZIONE PSICOMOTORIA E COGNITIVA: APPROCCIO QUANTITATIVO 2.1 Scale sviluppo psicomotorie Negli anni ’40 furono ideati nuovi test di intelligenza infantile (Griffiths 1954), che si propongono di migliorare i test precedenti soprattutto attraverso un raffinamento delle tecniche statistiche. Le scale di svilupo - psicomotorie- più utilizzate in ambito clinico e di ricerca che permettono di ottenre un punteggio quantitativo, sono: 1. Le Scale Bayley-III (Bayley Scales of Infant and Toddler Development, 2009) che valutano gli aspetti cognitivi, linguistici, motori, socio-emotivi e comportamentali in bambini dai 16 giorni ai 42 mesi di età. Lo strumento è costituito da 5 scale, 3 scale a somministrazione diretta e 2 scale rivolte ai genitori. È corredato inoltre da un report per il caregiver. La scala Cognitiva (Cog) è costituita da item scritti in modo da minimizzare l’influenza del linguaggio recettivo e delle abilità motorie dei bambini nell’esecuzione del compito. Si valutano: sviluppo sensomotorio, esplorazione e manipolazione, memoria, formazione dei concetti, relazione tra gli oggetti, altri aspetti afferenti al processo cognitivo. La scala Motoria (Mot) valuta la motricità del bambino attraverso due sottoscale:Grosso-motricità (GM) e Fine-motricità (FM). Gli item della Fine- motricità valutano le prassie, l’integrazione motorio-percettiva, la pianificazione e la velocità motorie. Gli item della Grosso-motricità (GM) misurano principalmente il movimento degli arti e del torace, valutando il posizionamento statico e il movimento dinamico, inclusi la locomozione e la coordinazione, l’equilibrio e la pianificazione motoria. La scala del Linguaggio (Lang) è composta da due sottoscale: Comunicazione recettiva (RC) e Comunicazione espressiva (EC).I punteggi per tutte le aree di abilità si combinano per formare una serie di compositi, compreso il Composito generale adattivo (GAC), che rappresenta una misura globale dello sviluppo adattivo del bambino. 2. Le scale Griffiths III. Successive alle Bayley, ma come quelle, le Griffiths si rifanno a un approccio psicometrico basato sul concetto di sviluppo inteso come accrescimento, cioè come cambiamento quantitativo di un organismo e hanno dei risultati standardizzati a cui riferirsi per la valutazione del singolo bambino. Sono, quindi, test di sviluppo standardizzati. Nascono nel 1954 come strumento di valutazione dello sviluppo infantile per bambini da 0 a 24 mesi seguite poi dalla forma estesa utilizzabile fino a 8 anni. Il test è costituito da diverse scale ciascuna delle quali indaga una specifica area di competenza (sviluppo motorio, autonomia personale e sociale, linguaggio, coordinazione occhio-mano, performance e, a partire dal 24 mese, ragionamento pratico). Gli item sono composti da situazioni stimolo di problem solving di complessità crescente, altri sono di tipo osservativo e rilevano la presenza o l’assenza di particolari competenze nel repertorio comportamentale spontaneo del bambino e altri item ancora si basano su informazioni fornite dai genitoriL’ordine di somministrazione delle scale non è definito, possono essere somministrate anche singolarmente. Le scale psicomotore permettono una valutazione quantitativa, ma se consideriamo in particolare le diverse aree composite, in qualche modo permettono anche di delineare un profilo neuropsicologico di sviluppo delle specifiche abilità confrontabile con quello ottenuto dai bambini della stessa età cronologica (dai 16 giorni ai 3 anni e mezzo). Scale Bayley-materiali ScaleGriffiths-materiali 2.2 Test di intelligenza: età prescolare e scolare Lo sturmento di valutazione cognitiva più utilizzato per i bambini in età prescolare a partire dai 3 anni e mezzo – 4 circa, fino all’adolescenza, sono le Wechsler Intelligence Scale (Scale d’intelligenza Wechsler), che per l’età evolutiva si dividono in: -Scala WPPSI (per l’età prescolare: dai 4 ai 6 anni) -Scala WISC-IV (per l’età scolare fino ai 17 anni circa) C’è poi una versione WAIS-R per gli adulti,ma ci soffermeremo sulle scale per l’età evolutiva. Lo schema qui di seguito sintetizza le tre scale Weschler. WESCHLER-BELLEVUE FORMA II (Weschler, 1946) WPPSI-R WISC-IV WAIS-R Weschler preschool Weschler Intelligence Weschler Adult and Primary Scale Scale for Children- Revised Intelligence Scale-Revised of Intelligence-Revised (Weschler, 1974) (Weschler, 1997) (Weschler, 1989) 6-16 AA ADULTI 4-6 AA Le scale WPPSI e WISC-IV valutano una intelligenza definita “cristallizzata” cioè strettamente legata ai processi di apprendimento nel contesto socio-culturale, alle capacità di linguaggio e di astrazione, alle capacità visuomotorie e di velocità esecutiva. Molte delle prove sono mediate dal linguaggio, quindi le capacità recettive e d espressive del bambino possono influire sui risultati dell prove. Altre prove richiedono la mediazione delle abilità visuomotorie e visuocostruttive, come la fluidità dell’atto esecutivo. Per tale motivo, i risultati risentono molto della cultura di appartenenza, dei processi di apprendimento e delle competenze linguistiche e motorie. I punteggi alle diverse prove permettono di calcolare un QI totale di deviazione (QIT, con media 100 e ds 15), ma è possibile ricavare altri indici quantitativi (esprressi sempre come QI) su alcuni domini specifici, al fine di valutare il profilo dei punteggi quantitativi nelle diverse aree ma anche poter valutare discrepanze significative tra un QI di uno secifico dominio e il QI Totale del bambino. Ciò permette di fare delle interpretazioni su eventiuli fragilità sottostanti che potrebbero spiegare altre difficoltà del bambino (ad esempio un disturbo specifico dell’apprendimento, DSA, o un quadro clinico compatibile con un Disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) o un Disturbo della coordinazione motoria. Ad esempio la WISC-IV utilizzato per i bambini dalla primaria fino alla scuola secondaria di I e Ii grado (17 anni) è composta da numerosi subtest che valutano differenti capacità come le abilità di ragionamento verbale (Indice di Comprensione Verbale), le abilità di ragionamento visuo-spaziale (Indice di Ragionamento Visuo- percettivo), le abilità di memoria di lavoro (Indice di Memoria di Lavoro) e le abilità di velocità esecutiva, con cui vengono processate le informazioni (Indice di Velocità di Elaborazione). Il QI Totale invece rappresenta un indicatore sintetico delle capacità generali del bambino, derivante dai punteggi in gran parte dei subtest che compongono la WISC-IV. L’immagine qui di seguito riguarda il foglio di notazione relativo alla somministrazione della scala cognitiva WISC-IV ad una bambina di III elementare. Come posiamo vedere il test di intelligenza permette di osservare le prestazioni alle singole attività (ad esempio per il Disegno con Cubi,la Memoria di Cifre, il Riordinamento lettere e numeri). Le prestazioni alle singole attività valutano delle abilità specifiche, ma queste ultime sono raggruppate in 4 macro domini quali: 1. Comprensione Verbale; 2. Memoria di Lavoro, 3. Ragionamento Visuopercettivo, 4. Velocità di elaborazione. Per ogni macro dominio il bambino ottiene un indice di QI specificoc he può confrontare con il QI generale. IM III elementare (finale)bambina 2022 18 03 2013 12 07 8 aa 3 mesi 11 12 12 12 14 6** 12 13 14 11 12 35 40 25 118 18 110 122 115 94* 115 Come si può osservare la bambina possiede un funzionamento congitivo generale adeguato, sopra la media (QIT 115), anche sentro la 1° ds sopra la media (+15). Anche i QI dei singoli macro domini risultano soopra la media (comprensione Verbale 110, ragionamento visuo- percettivo 122, memoria di lavoro, 115), tranne la velocità di elaborazione che risulta nel range della variabilità sotto la media (Velocità di elaborazione, QI 94). Di per sé la prestazione nella velocità di elaborazione non mostra un punteggio che esprime una fragilitàma, se confrontato con il QI totale e con gli altri QI degli altri domini, si osserva la presenza di una differenza significativa, una discrepanza sensibile che denota in questa bambina una prestazione sicuramente più bassa nella velocità di elaborazione rispetto alle altre prestazioni. Le scale Weschler rappresentano sicuramente uno strumento diagnostico molto importante e vengono utilizzate soprattutto per discriminare i disturbi specifici di tipo primario caratterizzati da una intelligenza nella media (ad esempio i disturbi specifici di apprendimento, DSA) dai disturbi secondari legati ad una disabilità intellettiva o ad altra eziologia. Tuttavia, come precedentemente detto, le scale Weschler valutano una intelligenza legata alla capacità di utilizzare competenze, conoscenze ed esperienze. Inoltre è mediata dalle comptenze linguistiche e di apprendimento. Nel caso ci sia un bambino con un limite linguistico o un deficit motorio o in situazione di svataggio socio-culturale, è necessario somministrare una scala ti tipo “non verbale”, quale la Scala Leiter (1979) (2-18 anni) oppure le Matrici Progressive di Raven colorate (CPM). Entrambe le scale non necessitano di consegne (verbali da parte dello specialista) o di risposte verbali (da parte del bambino) il quale può indicare la risposta a partite da attività che presentano materiali supportati dal canale visuopercettivo. Lo sperimentatore può utilizzaqre i gesti insieme al verbale o il labiale per spiegare le consegne e per tutta la somministrazione. Per i bambini sordi che utilizzano la Lingua dei segni (ad esempio la LIS, Lingua dei Segni Italiana), è possibile somministrare la prove in LIS. Le competenze, dunque, sono valutabili a prescindere dalle abilità linguistico del soggetto, contrariamente alle scale tradizionali (Weschler)e vengono indicate soprattutto in bambini con compromissione del linguaggio a vari livelli e di diversa entità (Disordini semplici, gravi ritardi di linguaggio); bambini con disabilità articolatorie , permanenti e/o transitorie (PCI), bambini con sindromi genetiche o cromosomiche (ad esempio, Sindrome di Down, Sindrome di Williams, Sindrome Autistica), ove il problema linguistico si presenta in varie forme. Le scale Leiter sono uno strumento con buone caratteristiche psicometriche rispetto ad attendibilità e validità; E’ caratterizzato da compiti con gradi di difficoltà diverse, minori per le fascie di età più basse e maggiori con l’incremento dell’età, variazione delle condizioni di presentazione da una minore ad una maggiore autonomia cognitiva rispetto agli elementi da collocare al loro posto. Si ricava un Quoziente Intellettivo Globale, che permette di determinare un livello cognitivo nella norma o la presenza di una disabilità intellettiva più o meno grave. Prevede una discreta competenza manipolativa, essendo composto da differenti forme di legno (cubi, triangoli, rettangoli), una stringa in legno nella quale posizionare le forme a partire da diverse stringhe di carta, sulle quali è rappresentato il compito da risolvere Il bambino deve riconoscere, ad esempio, figure stilizzate, colori, disegni geometrici di piccole dimensioni.La scala richiede l’abilità di comprendere il compito in maniera implicita. Le scale Leiter- materiali Le matrici di Raven, dette anche matrici progressive, sono un test utilizzato per la misurazione dell'intelligenza non verbale. In ogni scheda viene richiesto di completare una serie di figure con quella mancante. Ogni gruppo di itemdiventa sempre più difficile, richiedendo una sempre più elevata capacità di analisi, codifica, interpretazione e comprensione degli item. Le matrici di Raven sono considerate il test elettivo per misurare il fattore G dell'intelligenza, ovvero l'intelligenza definita fluida. Qui di seguito un esempio di immagini di figure in cui il bambino deve comprendere la logica e scegliere la risposta corretta. ne Le Matrici di Raven. Matrici di Raven V.3 LE COMPETENZE PERCETTIVE E COGNITIVE DELL’INFANTE Le indagini di Piaget sottostimano le competenze nei primi mesi in quanto si basano sulle attività di manipolazione che sono ancora immature. Il neonato, infatti, dagli studi effettuati, non viene più considerato una “tabula rasa”, privo di qualsiasi facoltà cognitiva, ma al contrario “ diversi studi hanno dimostrato che il neonato e l’infante siano competenti sul piano sensoriale, percettivo e socio-cognitivo. Alcuni autori hanno preso in esame la capacità di attenzione e di esplorazione visiva, impiegando due tecniche di base: 1 la tecnica della preferenza visiva 2. la tecnica dell’abituazione/disabituazione. Grazie a queste tecniche, i bambini di pochi mesi si dimostrano in grado di percepire gli oggetti come indipendenti dalla propria azione e dotati di caratteristiche stabili, a fronte della teoria di piaget che colloga questa competenza esclusivamente alla soglia dei 24 mesi. Il “metodo della preferenza” di Fanz (1961): la misura del comportamento più informativa nello studio della percezione nella prima infanzia è certamente l’analisi dello sguardo. Lo sperimentatore mostra simultaneamente due figure e misura quanto a lungo lo sguardo dell’infante di due mesi circa, rimane su ciascuna di esse. Se si evidenzia che di fronte all’esposizione di due immagini, l’infante guardi più a lungo una figura sipetto all’altra, si presuppone prima di tutto che riesca a “discriminare” e in secondo luogo che sappia prestare attenzione in modo selettivo e sostenuto. Si può ipotizzare che il neonato abbia un vero e proprio sistema percettivo-attentivo. Oltre all’analisi dello sguardo sono state utilizzate anche altre misure come il “ritmo di suzione” e risposte prettamente fisiologiche come “il battito cardiaco”. Lo sperimentatore produce un suono che fa aumentare il ritmo di suzione. Ogni volta che aumenta il ritmo di suzione rispetto ad un livello baseline iniziale, all’infante viene dato un rinforzo specifico che può essere ad esempio un suono o una immagine particolare. I ricercatori hanno osservato che la presentazione del rinforzo porta ad un aumento negli infanti della suzione, come se l’infante “lavorasse” (succhiando più forte, girando la testa etc) proprio per sentire quel suono o vedere quell’immagine. Utilizzando la stessa procedura, i ricercatori hanno misurato i cambiamenti fisiologici del battito cardiaco al comparire del suono peculiare. Si è osservato che, inizialmente il battito cardiaco rallenta alla presentazione del suono e questo sembrerebbe riflettere una risposta di orientamentoe di attezione. Dopo numerose presentazioni dello stesso suono il battito cardiaconon diminuisce più e ritorna ai liveli iniziali, come se l’infante avesse perso interesse per abituazione. Se viene ripresentato all’infante uno stimolo uditivo nuovo, si ripresent il cambiamento del battito cardiaco rispetto alla diminuzione per attenzione allo stimolo nuovo. La metodologia appena descritta, utilizzata con gli infati, dimostra la presenza di un fenomeno noto come abituazione e disabituazione L’abituazione è la prima parte del processo e denota una diminuzione dell’interesse quando uno stesso stimolo viene presentato più volte all’infante e diventa familiare. Nella ricerca descritta sopra accade proprio che dopo numerose presentazioni lo stimolo uditivo diventa familiare e il battito cardiaco ritorna ai livelli iniziali. La disabituazione è la seconda parte del processo, costituita dal riemergere dell’interesse per uno stimolo sconosciuto, nuovo, per cui nell’infante il battito cardiaco diminuisce un’altra volta evidenziando un’allerta, attenzione, per il nuovo stimolo. Un altro paradigma strettamente legato ai fenomeni di abituzione/disabituazione e che dimostrerebbe competenze percettive e sensoriali peculiari dell’infante è il paradigma della violazione dell’aspettativa , una versione adattata della tecnica dell’abituazione. Si basa sulla tentenda dei bambini nei primi mesi di vita a reaigire con “sorpresa” ad eventi impossibili e sorprendenti fissandoli più a lungo ripsetto a quelli possibili. Questo aspetto è stato valutato tramite il parametro comportamentale dello sguardo e della fissazione dell’immagine impossibile da parte dell’infante. Baillargeon e Graber (1987) hanno abituato un gruppo di bambini dai 3 ai 5 mesi a due eventi nei quali un coniglietto basso/alto percorreva una traiettoria lineare passando dietro uno schermo per poi riapparire dal lato opposto. Nella fase test veniva ritagliata nello schermo una finestra tale da nascondere alla vista il coniglietto basso ma non quello alto. Tuttavia i coniglietti risultavano entrambi invisibili. I bambini guardano di più l’evento impossibile. In un altro esperimento, c’era una pallina che percorreva un percorso dietro uno schermo e viengono poi presentati due eventi, uno possibile e uno impossibile relativo al percorso della pallina e a ciò che dovrebbe accadere. Si vedano le immagini qui sotto. Occlusione di un oggetto in movimento (Baillargeon, 1991) Bambini di 5 mesi e mezzo Esistenza continua degli oggetti (Bower, 1971) Bambini di 3 mesi Altri studi dimostrano che i neonati di poche ore possiedono capacità di imitazione di espressione della faccia dell’adulto a distanza di pochi centimetri (circa 25 cm). Maelzoff e Moore misero in una stanza oscura neonati e gli adulti di riferimento in interazione diadica faccia a faccia. I neonati erano messi in un seggiolone che li mantenesse in posizione verticale di fronte al neonato. Il viso dell’adulto era illuminato da un faretto per renderla percettivamente saliente. L’adulto esibiva diverse espressioni quali apertura e chiusura della bocca, protusione della lingua, protusione delle labbra. I ricercatori trovarono che i neonati erano in grado di modificare la propria espressione imitando in modo contingente quella dell’adulto, discriminando tra le diverse espressioni. La capacità di ripetere e riprodurre in modo contingente sul proprio viso le espressioni peculiari esibite dall’adulto, dimostra che il neonato è in grado di integrare le informazioni visve con quelle propriocettivo provenienti dalla stessa fonte (il viso dell’adulto). Tale competenza di integrazione sensoriale viene definita percezione intermodale, ossia la capacità di riconoscere che diverse informazioni, visive, di movimento, uditive, possono essere legate ad un’unica fonte /origine e quindi possono essere riprodotte nello stesso momento anche sul proprio corpo. Imitazione in neonati di 36 ore (Meltzoff e Moore, 1977) Le capacità imitative del neonate osservate dagli autori evidenziano anche la capacità del neonato di memorizzare gli stimoli, integrarli e riprodurli. Bower ha preso in esame anche lo sviluppo della percezione della distanza e della profondità, abilità importanti per permettere al bambino di muoversi nello spazio e per consentirgli di percepire la distanza tra sé e gli oggetti che desidera raggiungere. Le procedure utilizzate per comprendere la percezione della profondità utilizzano il cosiddetto «precipizio visivo» (visual cliff ), ideato da Gibson e Walk (1960) che può essere impiegato solo se il piccolo è in grado di camminare o di muoversi gattonando. Il bambino viene collocato su un piano rialzato coperto da un drappo a scacchi bianchi e neri che viene prolungato con un vetro trasparente, adatto a sopportare il peso del bambino. A terra, sotto il vetro, a una distanza di circa un metro, viene collocato perpendicolarmente un tessuto identico a quello posto sul piano rialzato, così da essere interpretato come un suo prolungamento e creare l’effetto di un precipizio o baratro. Se la madre si pone al di là del vetro e chiama a sé il bambino, questi camminando carponi sul piano rialzato giunge sino al punto in cui comincia il vetro. Se si ferma mostrando timore e perplessità vuol dire che percepisce la profondità. Gibson e Walk hanno studiato il comportamento di bambini dai 6 ai 14 mesi, dimostrando che, a partire dai 6 mesi, il bambino non oltrepassa quel punto sino a quando non sente salda la mano della mamma che lo sostiene. L’atteggiamento cauto e timoroso del piccolo che non si avventura sul baratro sta ad indicare che egli percepisce la profondità. Poiché non è possibile replicare lo studio con bambini più piccoli, incapaci ancora di muoversi, sono stati utilizzati altri paradigmi di ricerca (un cubo che viene avvicinato al volto dei piccoli, oppure una immagine proiettata) e valutate quindi le risposte di bambini di età inferiore ai 2 mesi. Tali risposte, quali la direzione dello sguardo oppure il battito cardiaco forniscono indici indiretti, e per certi versi ambigui dai quali è impossibile dedurre con certezza se i piccoli siano o meno capaci di percepire la profondità [Bower 1972]. Sembra, in conclusione, che i piccoli fin dalla nascita vivano in un mondo percettivo che, sebbene diverso da quello dell’adulto, è articolato in termini di oggetti, forme e persone percepite come costanti e stabili. The “visual clift”: l’esperimento del precipizio visivo (Gibson e Walk , 1960) Questi esperimenti su infanti di pochi mesi mettono in evidenza come i bambini nascano già equipaggiati di competenze sensoriali e percettive che denotano un barlume di conoscenze precoci a caratteristiche costanti degli oggetti e della relazione tra essi, per cui quando le aspettative di queste caratteristiche vengono violate l’infante mostra uno sguardo di sorpresa e/o maggiore fissazione sugli eventi impossibili che osservano. Su piano specificatamente cognitivo, i percessi di abituazione e disabituazione valutati mediante diversi parametri quali quelli fisiologici (il battito cardiaco) dimostrano che l’infante possiede abilità di apprendimento, memoria e attenzione verso gli stimoli del contesto e che è molto più competente, o meglio possiede già un barlume di conoscenza su diverse abilità cognitive e percettive, che si riteneva comparissero solamente più tardi. Ritenendo e sapendo che il neonato e l’infante hanno competenze di elaborazione delle informazioni degli stimoli in cui sono immersi ci permette di trattalo come “competente” e di stimolare in modo peculiare queste potenzialità cognitive, percettive e sensoriali fina dalle prime ore di vita. Lo sviluppo delle conoscenze e la cognizione, infatti, sono sempre il prodotto dell’interazione tra le compentenze biologicamente determinate e quelle precoci e le esperienze dell’ambiente in cui è inserito il bambino. Le capacità di elaborazione delle informazioni che il piccolo dell’uomo sembra possedere già dalla nascita e a pochi mesi di vita si sposano in parte con l’approccio allo sviluppo cognitivo “dell’elaborazione delle informazione (Hip)” V. 4 L’INTELLIGENZA SECONDO L’APPROCCIO DELL’ELABORAZIONE DELL’INFORMAZIONE L’approccio dell’elaborazione dell’informazione (Hip) non è una vera e propria teoria dello sviluppo cognitivo ma piuttosto un approccio allo studio del pensiero e della memoria con i relativi metodi di indagine. All’interno di questo approccio gli studiosi si chiedono cosa fa un bambino quando affronta un compito, quali processi intellettivi adopera e in che modo questi processi cambiano in funzione dell’età. L’approccio Hip nasce nel solco della rivoluzione legata all’intelligenza artificiale, si rifà alle simulazioni dell’intelligenza su computer e adotta la metafora che vede la mente umana simile a un computer. In altri termini, la mente elabora e manipola in vario modo le informazioni che provengono dall’ambiente o che sono conservate in memoria, ad esempio codificandole, ricodificandole, combinandole, conservandole o recuperandole dalla memoria. La prestazione in un compito cognitivo consiste nell’eseguire – contemporaneamente o in successione – un certo numero di operazioni, spesso indipendenti tra loro. L’analisi del compito serve a individuare le operazioni che il soggetto deve compiere per eseguire un dato compito. Se si costruiscono modelli molto precisi e dettagliati di una prestazione, essi possono servire come programmi grazie ai quali un computer è in grado di eseguire quella prestazione. In questo processo di elaborazione vi sono delle limitazioni nel numero di unità di informazione a cui il soggetto può prestare attenzione e che possono essere elaborate simultaneamente; inoltre le operazioni di codifica, confronto e recupero dell’informazione dalla memoria richiedono tempo per essere eseguite e normalmente vengono eseguite in modo seriale. Se ad esempio un compito richiede che il soggetto tenga a mente contemporaneamente 5 unità di informazione, mentre un particolare individuo è capace di tenerne a mente soltanto 4, si crea un sovraccarico cognitivo che probabilmente impedirà a quella persona di eseguire bene il compito.«prestazione» piuttosto che sulla «competenza», vede i cambiamenti nell’intelligenza come quantitativi e lo sviluppo come continuo. Gli aumenti quantitativi non generano trasformazioni qualitative, e pertanto la natura dei processi cognitivi non cambia in funzione dell’età. Inoltre le capacità cognitive sono «specifiche per dominio»; quindi vi possono essere molte intelligenze piuttosto che un’unica intelligenza. Infine, questo approccio pone l’enfasi su «come» si sviluppa l’intelligenza, non su «cosa» si sviluppa. È facile notare che su tutti gli aspetti sopra illustrati l’approccio dell’elaborazione dell’informazione si presenta come alternativo alla teoria di Piaget. Nell’approccio piagetiano l’enfasi è sulla competenza, su che cosa il bambino sa o non sa fare; inoltre vengono sottolineati i cambiamenti qualitativi, le riorganizzazioni profonde della struttura cognitiva in funzione dell’età. In conseguenza dell’attenzione agli stadi vi è un’enfasi sulla discontinuità piuttosto che sulla continuità, su ciò che differenzia uno stadio di sviluppo dall’altro. Ancora, le strutture e i processi sono «generali per dominio»; non ci sono molte intelligenze ma piuttosto un’unica intelligenza che permea il linguaggio, la matematica, la comprensione dello spazio e del tempo. Infine la domanda fondamentale alla quale Piaget cerca di rispondere è «che cosa» si sviluppa piuttosto che «come» si sviluppa. I processi di sviluppo identificati dall’approccio dell’elaborazione dell’informazione riguardano sia la capacità di base di elaborare, che diventa più esaustiva col crescere dell’età, sia le strategie di elaborazione che diventano più complesse, sofisticate e potenti in funzione dell’età. Ad esempio, quando cercano di ricordare qualcosa, anche bambini molto piccoli (2-3 anni) utilizzano una qualche forma di ripetizione o altre strategie che li aiutano a ricordare. Tuttavia in età prescolare i bambini ancora non ripetono a memoria, come fanno quelli più grandi; inoltre la ripetizione silenziosa ed efficace diventa una prassi consolidata nei compiti di memoria soltanto verso i 9-10 anni. È interessante notare che all’inizio i bambini o non usano nessuna strategia oppure se ne servono solo quando qualcuno gliela insegna; in seguito la usano spontaneamente e infine se ne servono in modo flessibile estendendola a un numero sempre più ampio di situazioni. Oltre che nel ricordare, anche nel risolvere problemi è stata identificatauna progressione con l’età nell’utilizzo di regole sempre più efficaci, che possiamo illustrare con una delle ricerche più conosciute, quella di Robert Siegler (1981) sul «compito della bilancia». Viene utilizzata una bilancia che presenta su entrambi i bracci una serie di pioli ai quali vengono attaccati dei pesi (figura sopra). Dopo aver aperto la leva che tiene ferma la bilancia, lo sperimentatore chiede al bambino di prevedere quale dei due bracci si abbasserà. Sulla base dei diversi studi condotti da Siegler, emergono quattro regole in un ordine ben preciso. Nella regola 1 il bambino tiene conto di una sola dimensione (di norma il numero dei pesi) e risponde che si abbasserà il braccio che ha un maggior numero di pesi, indipendentemente dalla posizione. La regola 2 è di tipo transitorio: il bambino tiene ancora conto del numero ad eccezione di quando il numero dei pesi è lo stesso su entrambi i lati. In questo caso considera anche la distanza dal fulcro. Nella regola 3 il bambino cerca di considerare contemporaneamente sia la distanza che il peso; quando però le informazioni sono contraddittorie, egli tira ad indovinare. Infine nella regola 4 il ragazzo riesce a cogliere la regola esatta: distanza × il peso di ciascun braccio. Secondo Siegler, quasi tutti i bambini riescono a portare a termine questo e altri compiti simili seguendo l’una o l’altra delle regole sopra illustrate. Tuttavia, il fatto che il bambino utilizzi una determinata regola dipende non tanto o non solo dall’età, quanto dalla sua esperienza nel risolvere certi problemi e dalle opportunità che ha avuto di esercitarsi sul compito, di fare previsioni e poi verificarle. Naturalmente il bambino più grande accumula più esperienze e riesce pertanto a prendere in considerazione più di una dimensione alla volta, operando in modo sistematico. Un altro settore che ha suscitato l’interesse dei ricercatori è quello relativo a come i bambini arrivano a conoscere ciò che effettivamente sanno. Con i termini di metaconoscenza e metamemoria ci riferiamo alla consapevolezza circa i processi del proprio pensiero e della propria memoria rispettivamente. Gli studiosi dell’elaborazione dell’informazione inseriscono queste capacità all’interno dei processi esecutivi, in quanto implicano l’organizzazione e la pianificazione a livello centrale. L’idea è quella di un sistema esecutivo centrale che controlla in modo sempre più efficiente e flessibile i processi cognitivi dell’individuo. Mentre i bambini molto piccoli evidenziano una forma iniziale di abilità di controllo, questa capacità aumenta con l’età e fornisce la base di alcuni dei cambiamenti che abbiamo prima esaminato. In sintesi, in base alle ricerche di Siegler e di altri sulla soluzione di problemi e agli studi sulla memoria, possiamo concludere che alcuni dei cambiamenti descritti e analizzati da Piaget sembrano il risultato di una maggiore esperienza acquisita nell’eseguire i problemi e i compiti. Si tratta dunque di cambiamenti quantitativi. Rimane tuttavia un cambiamento di natura qualitativa quando consideriamo la crescente complessità, flessibilità e generalizzabilità delle strategie utilizzate dal bambino.