Dispensa Strategia Aziendale PDF 2023-2024
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Bocconi University
2024
Jacopo Salvatico
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This document is a course handout on competitive strategy for the 2023-2024 academic year. It discusses strategy definition, the relationship between activities and results, current and future strategies, and the importance of aligning activities with goals.
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DISPENSA DI STRATEGIA COMPETITIVA EDIZIONE A.A. 2023-24 A cura di Jacopo Salvatico STRATEGIA COMPETITIVA – 2023/2024 Questa dispensa è scritta da studenti senza alcuna intenzione di sostituire i materiali universitari. Essa costituisce uno strumento utile a...
DISPENSA DI STRATEGIA COMPETITIVA EDIZIONE A.A. 2023-24 A cura di Jacopo Salvatico STRATEGIA COMPETITIVA – 2023/2024 Questa dispensa è scritta da studenti senza alcuna intenzione di sostituire i materiali universitari. Essa costituisce uno strumento utile allo studio della materia ma non garantisce una preparazione altrettanto esaustiva e completa quanto il materiale consigliato dall’Università. Una ulteriore premessa. La dispensa non segue l’impostazione e l’ordine esatto del manuale, bensì la struttura del corso immaginata per gli studenti frequentanti per l’anno 2023/2024. Ciò non significa che non sia esaustiva, bensì che l’ordine dei temi trattati potrebbe non coincidere esattamente con quello del libro di testo. In particolare, il capitolo 3, nonché la seconda parte dal capitolo 4 (a partire dal paragrafo 4.6) sono posticipate. L’obiettivo è quello di segmentare la materia in due macro-aree: analisi e valutazione della strategia attuale; analisi e valutazione della strategia futura. CAPITOLO UNO – STRATEGIA E RISULTATI DEFINIZIONE DI STRATEGIA La strategia aziendale è definibile come “il disegno che definisce il sistema delle attività aziendali, orientandolo verso risultati e obiettivi comuni”; alternativamente, può essere definita come “la determinante ultima, il driver ultimo del successo duraturo, non momentaneo e che non derivi dal caso, di una impresa”. Tutte le aziende si dotano di un disegno che ne definisce il sistema delle attività. Tuttavia, mentre in alcune tale disegno può essere voluto, in altre può essere la risultante di scelte via via compiute nel tempo. La scelta degli obiettivi verso i quali orientare il sistema delle attività è la prima importante decisione che si incontra quando ci si vuole dotare di una strategia esplicita, atta a indirizzare consapevolmente il corso delle attività. Tuttavia, si tratta di una decisione molto spesso sottovalutata. In molti casi, i vertici aziendali non si soffermano neanche a riflettere su quali siano gli obiettivi aziendali, e questi sono dati per scontati. Il presupposto del corso, al contrario, è opposto: partire dalla convinzione che la definizione degli obiettivi aziendali non sia affatto scontata, e che sia proprio dalle decisioni che il management assume in questo campo che scaturiscono strategie aziendali capaci di durare nel tempo. Nelle aziende ben gestite, gli obiettivi sono definiti in base alle aspettative di tutti gli interlocutori rilevanti: clienti, collaboratori, azionisti e altri stakeholder. Nelle aziende ben gestite gli obiettivi sono definiti in base alle aspettative di tutti gli interlocutori rilevanti con cui l’azienda si confronta. Realizzare sistematicamente un consistente livello di soddisfazione di tutte le figure menzionate è compito tanto arduo tanto più intense sono le pressioni e le dinamiche competitive. Ciò premesso, tutte le aziende producono risultati di varia natura, destinati ai loro diversi interlocutori: Risultati competitivi, ovvero l’apprezzamento che l’azienda ottiene presso i suoi clienti. Risultati sociali, ovvero il consenso e la fedeltà che l’azienda ottiene dai suoi diversi collaboratori. Risultati economico-finanziari, ovvero l’apprezzamento da parte di azionisti e creditori. Ciò che contraddistingue le aziende di successo è la composizione ad unità degli obiettivi economico-finanziari, competitivi e sociali. In questo senso, si può affermare che, quando orientati in una prospettiva di medio-lungo periodo, gli obiettivi economico-finanziari presuppongono anche il raggiungimento degli obiettivi competitivi sociali, e viceversa per ciascuna delle tre categorie. Strategia di successo vuol dire dunque, per concludere, che gli obiettivi sono definiti in base alle aspettative di tutti gli interlocutori, e non solo, banalmente, da uno stakeholder: a differenza di come molti pensano, l’obiettivo non può essere esclusivamente la massimizzazione del valore per gli azionisti o del valore finanziario dell’impresa. Non resta che chiedersi come, di fatto, sia possibile soddisfare le aspettative di tutti gli interlocutori. Una domanda del genere presuppone un’unica risposta, che rappresenta il cardine dell’intero corso: occorre che l’impresa si doti di un sistema di attività che dev’essere al tempo stesso unico e coerente. Tale definizione e tali aspetti saranno largamente approfonditi in seguito. ATTIVITÀ E RISULTATI Se è così centrale il sistema delle attività, occorre precisare cosa sono, di fatto, le attività. Per farlo, dobbiamo abbandonare una volta per tutte la tassonomia della catena del valore di Porter. Anziché le nove attività individuate da Porter, la nostra impostazione ne classifica due: in particolare, il sistema delle attività aziendali in cui si esprime la strategia è composto da attività correnti e attività di set-up. Attività correnti (strategia “oggi”). Sono le attività svolte normalmente, in continuazione, rappresentate tipicamente dal ciclo acquisto-produzione-vendita, nonché tutte le relative attività di supporto. Rappresentano la strategia oggi, e non a caso definiscono il PSA, ossia il posizionamento strategico attuale di un’azienda. Esse sono dunque la principale determinante dei risultati aziendali attuali. Le attività correnti sono quelle che definiscono se, nel presente, una impresa è migliore o meno delle concorrenti. Se si vuole parlare di strategia attuale, oggi, occorre confrontare le attività correnti di una impresa, con quelle delle altre. Questo perché non si possono confrontare due aziende in toto, sarebbe impossibile. Le attività correnti: Definiscono il vantaggio (o svantaggio) competitivo attuale. Permettono la produzione e vendita dei prodotti in catalogo nel presente. Generano costi e ricavi nel presente. Si distinguono in: Attività correnti attuali. Attività correnti future. Attività correnti obiettivo/target. Non sono necessariamente uguali alle attività correnti future. Le attività correnti rappresentano dunque la determinante principale dei risultati ottenuti nel periodo in cui sono svolte, contribuendo direttamente: Alla soddisfazione dei clienti, mediante produzione e fornitura dei prodotti e dei servizi. Alla soddisfazione dei collaboratori, mediante l’offerta di condizioni di impiego più o meno competitive rispetto alle alternative disponibili. Alla soddisfazione degli azionisti, mediante la produzione di rendimenti azionari più o meno capaci di soddisfare e superare le loro aspettative. Alla soddisfazione degli altri interlocutori. Attività di set-up (strategia “domani”). Vengono svolte in parallelo alle attività correnti, ma hanno un obiettivo differente: quello di mutare e modificare l’attuale sistema di attività. Di conseguenza, le attività di set-up definiscono il posizionamento strategico target di un’azienda e il modo per raggiungerlo. Esse sono quindi la principale determinante dei risultati aziendali futuri. Ad esempio, nel settore dell’automotive, sono attività di set-up le attività di ricerca e sviluppo sui motori elettrici. Si distinguono in: Attività di set-up attuali. Attività di set-up future. Alle attività di set-up è affidato dunque il compito di rinnovare l’azienda, così che esse ne costituiscono la “direzione strategica”, o il “vettore strategico”, vettore che permette il passaggio dal posizionamento strategico attuale al posizionamento strategico futuro. In sostanza, se le attività correnti rappresentano la strategia oggi, le attività di set-up rappresentano la strategia domani. Di conseguenza, esse esprimono pienamente i propri risultati solo in tempi successivi rispetto al periodo in cui si svolgono, durante il quale si limitano per lo più a generare investimenti e costi di esercizio. Inoltre, è bene specificare che l’uso del termine “rinnovamento” non deve indurre a pensare che le attività di set-up siano di per sé necessariamente cosa positiva: vi sono anche attività di set-up che ottengono come risultato quello di ottenere cambiamenti in posizionamento incoerenti con il quadro competitivo di riferimento. Nel periodo in cui sono compiute, le attività di set-up non sono la determinante principale dei risultati di periodo, ma sono comunque una determinante secondaria, che influisce negativamente sulla redditività e sui risultati economico-finanziari nel loro insieme. Per contro, rappresentano una determinante fondamentale, ancorché indiretta, dei risultati futuri. Il legame coi risultati futuri è indiretto poiché passa attraverso le attività correnti future: le attività di set-up definiscono le attività correnti future, e le attività correnti future sono la determinante fondamentale dei risultati futuri. Riassumendo, le attività di set-up: Permettono il rinnovamento delle attività correnti. Modificano il PSA, ponendo le condizioni che le consentono di muovere verso il posizionamento strategico target, definito dalle attività correnti target. Generano costi e investimenti oggi – e dunque incidono sui risultati attuali – ma sono le premesse per futuri ricavi e costi. Definiscono le attività correnti future. Attività correnti e attività di set-up insieme formano la strategia, che è composta da diversi elementi: Il posizionamento strategico attuale, ossia dove l’impresa si trova in un certo momento. L’orientamento strategico, che corrisponde al piano di navigazione, composto a sua volta da due elementi: il posizionamento strategico target, cioè la destinazione (1); il “vettore strategico”, cioè la rotta da seguire. Per il successo duraturo, devo necessariamente tenere in considerazione sia la strategia di oggi, sia la strategia di domani. Riassumendo. Se voglio valutare la strategia di oggi, dovrò pensare alle attività correnti. Se voglio valutare la strategia di domani, dovrò pensare alle attività di set-up (di oggi). La matrice rappresenta l’impatto delle diverse attività sui risultati economico-finanziari attuali e futuri. STRATEGIA E ATTIVITÀ Nel concetto di strategia come “disegno che definisce il sistema delle attività orientandolo al raggiungimento degli obiettivi aziendali”, la strategia determina il “sistema delle attività”, il quale, a sua volta, è la determinante dei “risultati aziendali”: Strategia → Sistema di attività → Risultati (da confrontare con la media del settore) La strategia, in quanto disegno che definisce il sistema delle attività, orientandolo verso il raggiungimento degli obiettivi aziendali, comprende: Il posizionamento strategico attuale, di cui sono espressione le attività correnti attuali. Il posizionamento strategico target, di cui sono espressione le attività correnti target. La direzione strategica, o il vettore strategico, di cui sono espressione le attività di set- up, che muovono l’azienda dal posizionamento strategico attuale al posizionamento strategico futuro. Le relazioni dinamiche tra posizionamento strategico attuale (ovvero le attività correnti attuali), la direzione strategica (ovvero le attività di set-up), il posizionamento strategico target (ovvero le attività correnti target). Per produrre performance superiori alla media, la strategia deve avere determinate caratteristiche. Queste sono diverse a seconda che ci si riferisca a un certo momento (1); ci si riferisca al lungo periodo (2). Per ottenere risultati in un certo momento, occorre la compresenza di due fondamentali elementi, intorno ai quali ruota l’intero corso: l’unicità del sistema di attività e del posizionamento rispetto ai concorrenti (1); un elevato livello di coerenza interna e esterna delle attività correnti (2). La coerenza esterna presuppone che strategia e attività siano coerenti con le aspettative dei clienti e collaboratori; la coerenza interna presuppone che le attività correnti siano coordinate in modo sistematico e si rafforzino tra loro. L’unicità è necessaria perché, quando le aziende sono simili o molto simili tra loro, le performance tendono ad appiattirsi avvicinandosi allo scenario di “concorrenza perfetta”, ove i profitti sono pari a zero per tutte le aziende. Per ottenere risultati nel lungo periodo, occorre il rinnovamento strategico delle attività di set-up correnti; in particolare, occorre che la direzione strategica e le attività di set-up di cui si compone: Si basino su: o Un quadro realistico dell’evoluzione del mercato e della concorrenza. o Un posizionamento strategico obiettivo caratterizzato da un sistema di attività unico e coerente. Siano coerenti con: o Il divario che separa il posizionamento strategico target dal posizionamento strategico attuale. o Le capacità professionali, la motivazione e le competenze. o I vincoli di natura finanziaria. Si crea dunque una relazione di tipo circolare tra posizionamento strategico e rinnovamento strategico, che è alla base della dinamica della strategia e si alimenta soprattutto dalla circostanza che le persone responsabili del rinnovamento strategico sono anche responsabili del posizionamento strategico. Per chi si sia lasciato alle spalle anni di successi ottenuti con un’impostazione strategica risulta non facile conservare l’attitudine a metterla in discussione e a intercettare tempestivamente i primi segnali deboli che la fanno apparire obsoleta. Uno dei problemi più importanti ai fini del mantenimento di performance superiori dunque è rappresentato dalla capacità dell’azienda di non adagiarsi sui successi acquisiti, e di mantenere alta l’attenzione nei confronti dei segnali di cambiamento che possono richiedere un rinnovamento del posizionamento strategico acquisito. La qualità delle singole attività, correnti o di set-up, non basta, se queste non sono inserite in un disegno strategico unico e coerente. In conclusione, le performance superiori nel lungo periodo si conservano solo assicurando che il sistema delle attività evolva conservandosi nel tempo unico e coerente con il contesto esterno, oltre che al proprio interno. RISORSE E ATTIVITÀ Le attività dell’impresa presuppongono l’utilizzo e lo sviluppo delle risorse che questa possiede, per cui è implicito che la strategia definisce il sistema attività-risorse dell’azienda, dove le attività sono variabili flusso, descrivibili con riferimento ad un certo periodo di tempo, mentre le risorse sono variabili-livello, individuabili con riferimento ad un certo momento. Qualsiasi riflessione sulle risorse rimanda alle attività con cui sono legate, e viceversa, qualsiasi riflessione sulle attività implica la considerazione delle risorse che le alimentano. Gestire l’azienda vuol dire svolgere attività e, di conseguenza, impiegare e sviluppare risorse. Per questo, negli studi di strategia, si è affermata una concezione dell’azienda che al centro pone le attività, in quanto le risorse sono strumento e “oggetto” di attività: Risorse → Attività → Risultati Si fa riferimento a questa consolidata concezione, che non è una activity-based view contrapposta alla resource-based view. Tutt’altro: è una concezione sistematica e dinamica, in cui le risorse sono trattate per quello che sono, ossia variabili stock soggette a variare per effetto delle attività La strategia è dunque il disegno che definisce il sistema delle attività, e di conseguenza anche la dinamica delle risorse. Questa concezione dell’azienda può essere rappresentata in uno schema dove le attività danno luogo a inflows (flussi in entrata) e a outflows (flussi in uscita), che fanno variare lo stock di risorse disponibili. I flussi in entrata e in uscita sono ovviamente correlati, ma è importante tenere distinti i flussi riconducibili alle attività correnti da quelli connessi alle attività di set-up. I primi, infatti, sono flussi in entrata e flussi in uscita correlati tra loro con tempi, durate e ritmi scanditi dai cicli economici e finanziari della gestione caratteristica; quando il sistema delle attività correnti non è efficiente, i flussi si svolgono con disallineamenti più o meno gravi che possono determinare eccessi o scarsità di risorse destinati ad avere ripercussioni negative sulla funzionalità aziendale. Quanto alle attività di set-up, i relativi outflows sono correlati ai margini che saranno generati, in tempi più o meno prossimi o remoti, dalle attività correnti che ne scaturiranno. Ma cosa sono, di fatto, le risorse? La definizione più efficace di risorse è quella di “fattori produttivi a disposizione”. Le risorse primarie sono riconducibili alle due fondamentali categorie del capitale e del lavoro. Le risorse che rientrano nella categoria del capitale sono “beni” (asset). I beni possono essere tangibili o intangibili, materiali o immateriali, visibili e invisibili, dove soltanto i beni materiali, visibili e tangibili trovano sempre riscontro nell’attivo patrimoniale di bilancio, mentre per quanto riguarda le altre categorie, queste trovano riscontro solo se per essi è stato sostenuto un costo di acquisizione. Le risorse rientranti nella categoria del lavoro – le cosiddette “risorse umane” – esprimono le capacità di svolgere attività. Nel combinarsi con le altre risorse danno luogo alle “competenze organizzative” di un’azienda. Anch’esse sono risorse, ed in particolare risorse derivate, dato che derivano dallo svolgimento delle attività a seguito del combinarsi con le risorse primarie. Esistono dunque tre macro-categorie di risorse: beni tangibili, beni intangibili e competenze organizzative. Le risorse distintive sono quelle che alimentano attività uniche. Le risorse devono essere di valore, e per capire se sono tali devo calcolare il loro impatto sulle attività. Se sono risorse di valore, avrò attività di valore, cioè uniche e coerenti al loro interno. Per sostenere il vantaggio competitivo dell’impresa, le risorse devono “distinguersi”; si parla a proposito di “competenze distintive”, se consentono di svolgere attività meglio o a costi minori rispetto a quanto non sappiano fare i concorrenti, e, quindi, generare un vantaggio competitivo. Competenze distintive possono essere sia alla base delle attività correnti, sia alla base delle attività di set-up. Se si iscrivono in una valida strategia, le competenze distintive sono difficilmente imitabili o acquisibili o riproducibili da parte dei concorrenti. Infine, nell’insieme delle competenze di un’azienda vi possono poi essere delle competenze “core”, ossia il nocciolo nascosto delle competenze distintive, suscettibile di valorizzazione per fare cose nuove mediante nuove attività di set-up. Le risorse di un’azienda si possono classificare in vaste categorie: risorse tecnologiche, risorse commerciali, risorse finanziarie, risorse imprenditoriali/manageriali. Le risorse commerciali e tecnologiche fanno riferimento in particolare al “livello business”; le risorse finanziarie, di marketing e manageriali al “livello corporate”. L’insieme delle risorse può formare oggetto di valutazione con riferimento ad un certo momento. Il suo valore economico dipende fondamentalmente da tre determinanti, cui corrispondono tre logiche valutative: Il valore di mercato dei beni. La redditività scaturente dallo svolgimento delle attività. Le opzioni strategiche di sviluppi redditizi che dischiude, grazie alla presenza di “risorse core”. I LIVELLI DELLA STRATEGIA Definizione di Business. Il business è definibile come un “sistema di attività di cui l’impresa si occupa” – il focus è dunque sempre sui sistemi di attività. Un business è dunque un sistema di attività: Con una struttura economico-finanziaria sua propria. Configurabile come un centro di responsabilità di risultati economici. Governabile come un tutto relativamente omogeneo unitario: o Assetto produttivo unitario. o Mercato di sbocco unitario. o Canale di distribuzione unitario. La definizione di strategia proposta all’inizio del libro è di generale validità, ma, nel caso di aziende operanti in più business, essa va declinata su due livelli: quello aziendale e quello di business. Le aziende operanti in diversi settori industriali, infatti, hanno la necessità di mettere a punto un disegno complessivo che, possibilmente, orienti e coordini le strategie dei diversi business. La strategia complessiva dell’impresa multibusiness per altro non può essere analizzata e valutata se non facendo riferimento, almeno in prima battuta, ad ogni specifico “campo di attività”, ossia a ogni business in cui l’impresa è presente. Ciò è vero anche quando l’impresa si presenta come un conglomerato di aziende per nulla interrelate. Possiamo dunque distinguere due livelli di strategia: aziendale e di business. Strategia a livello aziendale (corporate level strategy). È il disegno di sviluppo dell’impresa che definisce il sistema “attività-risorse” complessivo, nella sua interezza, articolandolo a livello centrale e a livello business. Due sono, conseguentemente, gli elementi caratterizzanti la strategia a livello aziendale: Il sistema di “attività-risorse” a livello centrale, considerato nella sua attitudine a generare o meno valore per i business, per gli azionisti e per gli altri stakeholder. Quanto alle attività svolte centralmente, esse possono distinguersi, come quelle svolte a livello di business, in attività correnti e di set-up. Il sistema attività-risorse a livello centrale muta di articolazione e di contenuto soprattutto in ragione di come il vertice concepisce il proprio ruolo di guida; della logica di sviluppo dell’impresa nella sua interezza. Il disegno di sviluppo dell’azienda nella sua interezza. È il pensiero strategico che connette i diversi business e ne spiega la presenza in una stessa impresa o gruppo multibusiness. Esso definisce le direttrici lungo le quali l’impresa deve evolvere (per esempio, in quali settori/business, in quali nuovi mercati geografici, integrandosi a monte o a valle, ricorrendo o meno a nuovi apporti di capitale?). Tale pensiero può essere orientato o meno a valorizzare le interrelazioni tra i business. Nel primo caso, il disegno di sviluppo è guidato da una logica competitiva o da una logica di complementarità (1); nel secondo da una logica di gestione del portafoglio di partecipazioni (2). La logica competitiva è logica di creazione di un valore aggiuntivo rispetto a quello che i singoli business gestiti come aziende stand alone sono in grado di produrre. Si punta a sostenere un vantaggio competitivo grazie alla capacità del management di cogliere e valorizzare le interrelazioni tangibili e intangibili, tramite processi di condivisione di attività e trasferimento di competenze. La logica di complementarietà è logica di utilizzo delle diverse dinamiche dei business in vista della stabilizzazione dei flussi di reddito aziendali; oppure è logica di valorizzazione dei diversi profili di cassa in vista di gestire una crescita aziendale finanziariamente sostenibile. Le interrelazioni valorizzate tra i differenti business sono tipicamente di natura monetaria, finanziaria, fiscale e infrastrutturale. La logica di gestione del portafoglio di partecipazioni è invece logica di gestione di un patrimonio, in cui si ritrovano partecipazioni in aziende entrate a far parte di quel patrimonio per motivi estranei alla logica di creazione di un vantaggio competitivo. Tale logica tende alla conservazione e all’accrescimento del patrimonio, a volte attenendosi a criteri di frazionamento del rischio. Le tre logiche non sono conciliabili nella medesima impresa, ma si possono riscontrare presenti nel medesimo gruppo societario, con la logica di gestione del portafoglio di partecipazione collocata a livello di holding al vertice della società, quella competitiva e di complementarietà a livello intermedio. A queste logiche si può aggiungere una quarta, ossia la logica del private equity. Strategia a livello di business o strategia competitiva (business level strategy). La strategia di business (in imprese sia multibusiness, sia monobusiness) è la parte più importante della strategia. Riprendendo la definizione già fornita, la strategia di business è il disegno che definisce il sistema delle attività aziendali che l’impresa svolge operando in un dato sistema competitivo (settore). Il punto di partenza di tutto è il seguente: in quanti business opera l’azienda? La definizione della strategia di business presuppone infatti che siano prima identificati i business in cui l’impresa opera. Questo è tanto importante perché ha a che fare con la natura, la personalità stessa dell’azienda. Ciascuna azienda ha propria natura e personalità, ed è importante comprendere se ne ha una sola o diverse. Ha implicazione estremamente rilevanti essere mono- business o multi-business: A livello di personalità. A livello di caratteristiche operative. Nelle imprese multibusiness la gestione del sistema delle attività proprie di ogni business non avviene in totale autonomia, non solo per la presenza di attività a livello centrale, ma anche per la valorizzazione delle interrelazioni esistenti fra le attività dei diversi business. Se i business, invece, sono privi di interrelazioni fra le attività che li compongono, ogni business viene gestito in modo più autonomo, con una sua propria strategia specifica che non si raccorda a livello aziendale complessivo se non per le problematiche finanziarie, fiscali e di utilizzo di risorse infrastrutturali comuni. L’IDENTIFICAZIONE DEL BUSINESS Una metodologia di identificazione del business è valida nella misura in cui riesce a rispondere alle seguenti domande: Come rappresentare la complessa realtà di un’impresa? Quali sono i sistemi di attività da gestire in modo relativamente autonomo con una strategia loro propria, cioè quali sono i business, per ognuno dei quali corrisponderà una strategia di business? Per identificare i business in cui un’impresa opera occorre evocare un concetto fondamentale per l’analisi strategica: la combinazione prodotto/mercato, dove “prodotto” evoca anche le tecnologie in esso impiegate e il “mercato” i bisogni dei clienti destinatari finali del prodotto. Occorre dunque seguire un processo logico composto dai passi seguenti: Costruire la matrice prodotti/mercati. È opportuno costruire tale matrice sulla base dei criteri più rilevanti, attraverso l’impiego dei soli criteri di classificazione dei prodotti più significativi. In seguito, occorre fornire la distribuzione percentuale del fatturato tra le diverse combinazioni prodotto/mercato. Identificare le diversità/somiglianze che caratterizzano ciascuna combinazione prodotto/mercato. Ad ogni combinazione prodotto/mercato corrisponde un sottosistema aziendale strategicamente rilevante? In altri termini, le diverse combinazioni prodotto/mercato corrispondono ad altrettanti business, oppure alcune possono essere aggregate? Si devono passare in rassegna i seguenti elementi: o Struttura dell’offerta. o Caratteristiche della domanda. o Dinamica concorrenziale. o Fattori critici di successo. o Struttura dei costi e composizione del flusso di cassa netto. Valutare l’importanza relativa di tali diversità/somiglianze e definire i business. Ogni business sarà costituito da una o più combinazioni di prodotto/mercato strategicamente simili. Una volta considerate le diversità/somiglianze fra tutte le combinazioni prodotto/mercato, il passo successivo consiste nell’interrogarsi sulla necessità o sulla convenienza di concepire e gestire l’impresa come un insieme articolato di business in luogo di considerarla un’impresa monobusiness. Quando l'analisi degli elementi citati permette di individuare una combinazione prodotto/mercato con caratteristiche distintive rispetto alle altre combinazioni prodotto/mercato, siamo di fronte a un business composto da una sola combinazione prodotto/mercato, che come tale ė, o dovrebbe essere, gestito. Mentre, quando le somiglianze fra due o più combinazioni prodotto/mercato prevalgono sulle diversità, le stesse sono opportunamente aggregabili in un unico business. Se tutte le combinazioni prodotto/mercato appaiono simili siamo di fronte a un’azienda monobusiness; differentemente l'azienda è multibusiness. In conclusione, quello dell'identificazione dei business è un processo complesso che presuppone la conoscenza di alcuni strumenti di analisi (principalmente, la matrice prodotti/mercati), una certa creatività e, in particolar modo, una conoscenza approfondita dell'impresa e dell'ambiente in cui è immersa. Tale processo richiede che si guardi con occhi nuovi una realtà ben conosciuta, apprezzando per esempio per ogni business non soltanto i dati dimensionali o di performance tra scorsi, ma anche i fattori critici di successo, ricostruiti a partire dalle singole combinazioni prodotto/mercato di cui il business si compone e, soprattutto, il potenziale di sviluppo realizzabile grazie a una gestione focalizzata su date combinazioni (o insiemi di combinazioni) prodotto/mercato. Si tratta di informazioni importanti per definire gli obiettivi e per rendere più incisiva e produttiva l'attività di gestione strategica dell'impresa (che rappresenta una delle attività di set up che si pongono a livello aziendale). Occorre infine distinguere: I “settori industriali”, o “area strategica di affari ASA”. I business, o SUBASA, da studiare unicamente all’interno dell’ambito del settore. RISULTATI TIPICI DI BUSINESS E AZIENDALI Nelle imprese multibusiness, gli obiettivi e i risultati competitivi (1), economico-finanziari (2) e sociali (3) hanno diversa considerazione a livello di business e a livello aziendale complessivo. I risultati competitivi si misurano unicamente a livello dei singoli business, e a questo livello li si valuta tenendo conto anche dei costi e benefici derivanti ai business dall’essere parte di un’impresa multibusiness. Si riassumono nel livello di consenso commerciale che il “sistema dell’offerta” dell’impresa riscuote presso i clienti in ogni business. Si misura e si esprime sia attraverso indicatori quantitativi come la quota di mercato, la “copertura” del mercato, la “penetrazione” presso la clientela, la fedeltà dei clienti, il loro grado di soddisfazione; ma anche attraverso indicatori qualitativi come lo stato di salute della clientela, la sua affidabilità e la sua capacità di iniziativa. I risultati economico-finanziari sono oggetto di rilevazione e di apprezzamento sia a livello aziendale sia a livello di business. Occorre distinguere: La solidità, che si mette a fuoco essenzialmente a livello aziendale complessivo. La liquidità, che è oggetto di continuo monitoraggio a livello aziendale, mentre a livello business si controlla il flusso di cassa netto generato o assorbito dalla sua gestione. La redditività, che si misura e si apprezza sia a livello aziendale sia a livello business. La misurazione della redditività a livello business incontra dei limiti nella configurazione del portafoglio business. Precisamente, quanto più i sistemi di attività di ciascun business sono interconnessi, tanto più diventa problematica la rilevazione di significativi risultati reddituali a livello dei singoli business e ci si deve accontentare di conoscere i margini di contribuzione di ciascun business. I risultati sociali sono rappresentati dai livelli di “consenso sociale” che l’impresa ottiene da parte degli interlocutori diversi dai clienti destinatari finali dei suoi prodotti e dagli azionisti. Si possono rilevare e apprezzare a entrambi i livelli (aziendale e business). Questa variabile si configura diversamente, ed è variamente osservabile ai diversi livelli di analisi strategica, in relazione alle categorie di stakeholder. Diversa è infatti la relazione che ogni interlocutore instaura con l’azienda. Si badi tuttavia che i livelli di consenso a livello aziendale sono influenzati dai comportamenti e dalle performance a livello di business o di altri sottosistemi, e viceversa. Riassumendo, a livello aziendale: Risultati economico-finanziari: ROE, solidità, liquidità. Risultati sociali: soddisfazione degli attori sociali. A livello business: Risultati reddituali: ROI; controllo del flusso di cassa netto generato/assorbito dalla gestione. Risultati competitivi: quote di mercato, fedeltà, grado di soddisfazione dei clienti. Risultati sociali: soddisfazione degli attori sociali. CAPITOLO DUE – STRUTTURA DEL SETTORE E POSIZIONAMENTO COMPETITIVO 2.1 – L’ANALISI DEL SISTEMA COMPETITIVO PERCHÉ È IMPORTANTE L’ANALISI DI SETTORE? Il primo passaggio cruciale è comprendere cosa si intende per settore. La definizione è piuttosto basilare: un settore è definito come “un insieme di aziende in concorrenza tra loro”. Alternativamente, il settore può anche essere definito come “sistema competitivo”. Perché l’analisi del sistema competitivo è importante per la strategia? Perché la configurazione del settore ha un forte impatto sulla redditività aziendale, come si può evincere dall’immagine presentata: STRUTTURA CONDOTTA Nella definizione della strategia aziendale uno dei problemi più discussi è appunto “quanto conti il settore”, ovvero fino a che punto i risultati economico-finanziari dell’azienda siano determinati dalle condizioni del settore e fino a che punto invece si possano ricondurre alla qualità della strategia aziendale. L’impatto forte del settore (e della sua redditività) sulle performance aziendali fa sì che la comprensione del settore sia considerata un passaggio obbligato per chi lavori alla strategia aziendale. Se le performance dipendessero solo e soltanto dalla qualità della strategia d’impresa, non si avrebbe bisogno dell’analisi del settore in cui questa opera. Tuttavia, la qualità della strategia dipende a sua volta dall’ambiente che la circonda: nessun indice o valore ha rilievo al di fuori di un’analisi del settore. Per dare un giudizio sulla qualità di un’impresa e della sua strategia, non posso prescindere dall’analisi del settore, poiché le sue performance dipendono anche dal settore – così come il frutto dipende certo dalla bontà del seme, ma anche da quella del terreno. Si abbandoni dunque la sequenza Struttura → Condotta → Performance, per abbracciarne una nuova, che vede la Performance come somma di Struttura e Condotta. Dunque, l’analisi del sistema competitivo è importante poiché: Consente di esprimere un vero giudizio. È stato questo il grande contributo di Porter, cioè l’introduzione della necessità di studiare la struttura del settore. La redditività media di diversi settori è stata infatti significativamente inserita all’inizio dello studio di Porter (2008) sulle cinque forze che determinano la redditività media di settore. Uno studio di McKinsey ha dimostrato che spesso le differenze di redditività che si registrano all’interno dello stesso settore sono più ampie delle differenze che si osservano confrontando la redditività media di settori diversi. Consente di distinguere i cambiamenti destinati ad alterare la redditività in modo permanente da quelli che rappresentano invece variazioni transitorie. CHE COS’È L’ANALISI DI SETTORE? L’analisi del sistema competitivo, cioè l’analisi del settore, può assumere due configurazioni che studieremo in profondità: Analisi quantitativa. Analisi qualitativa. L’analisi di settore, in particolare, è lo studio delle cause che spiegano i diversi aspetti che caratterizzano la redditività dello stesso: L’analisi della redditività del settore (1). Con redditività si intende l’attrattività “oggettiva” del settore, in un determinato periodo di osservazione. Si cerca, cioè, il livello medio della redditività di settore. Con oggettiva, significa che non mi pongo dalla prospettiva di una impresa che sta analizzando il settore perché vuole entrarvi. L’analisi della variabilità della redditività (2). o Nel corso del tempo. o Tra un’azienda ed un’altra, nel medesimo periodo. L’analisi della dispersione della redditività intorno alla media (3), mediante la cross section analysis. La redditività si declina come: Redditività operativa, intesa come EBIT, ROI. Redditività media. Variabilità, quanto cambia la redditività nel tempo. Variabilità, quanto cambia tra un’azienda ed un’altra, nel medesimo periodo. La redditività si misura e si apprezza sia a livello aziendale sia a livello di business. Tuttavia, per parlare di redditività di settore, si valuta esclusivamente il ROI, e non il ROE, poiché quest’ultimo è relativo all’azienda, ed è figlio di scelte particolari della stessa. Quando non si ha a disposizione la redditività di tutti i settori o quella di un settore specifico si prendono in considerazione i bilanci dei player più importanti (ed eventualmente alcuni di quelli marginali) del settore che si vuole analizzare. Ma attenzione: occorre procedere utilizzando lo strumento della media ponderata dei bilanci. Se si dispone solo dei CE delle imprese, ci si adegua: invece del ROI, si utilizza il ROS (Reddito/Fatturato vendite), sempre tramite la media ponderata. Tuttavia, si utilizza una assunzione: che il “tasso di rotazione” sia uguale per tutte le imprese. Si ricava dunque con una semplice moltiplicazione il ROI. In ogni caso, anche se disponiamo di un ottimo database, dobbiamo svolgere l’analisi qualitativa di settore per concludere lo studio del sistema competitivo. Quando un settore si può considerare redditizio? Per alcuni una regola del pollice si basa sul fatto che la redditività media del settore sarebbe elevata per livelli superiori al 10%. Ciò premesso, vale la pena fare qualche riflessione aggiuntiva. Un settore è redditizio quando permette agli operatori del settore di ottenere prestazioni superiori rispetto al costo del capitale, costo che inevitabilmente varia da un settore all'altro. Nel settore dell'energia elettrica il rischio di settore è inferiore rispetto al rischio che caratterizza il settore dell'abbigliamento o il settore della componentistica elettronica. Di conseguenza, il costo del capitale del settore dell'energia elettrica è inferiore al costo del capitale del settore dell'abbigliamento. La redditività “soddisfacente” o “elevata” di un settore non può essere valutata a prescindere dalla sua rischiosità. Quando un settore si può considerare attrattivo? Occorre distinguere tra attrattività "oggettiva", cioè l’attrattività per l’ambiente nel suo complesso (che corrisponde al concetto di redditività appena esposto), e attrattività "soggettiva" (riferita a un operatore che intenda entrare nel settore). Un settore è attrattivo (in senso soggettivo) quando prospetta agli investitori la possibilità di entrare nel settore e ottenere una redditività del capitale investito superiore al costo del capitale. Un settore altamente redditizio, ma caratterizzato da alte barriere all'entrata, potrebbe non risultare attrattivo per chi si trovasse a valutarlo dall'esterno. Ad esempio, queste condizioni caratterizzano da tanti anni il settore del soft drink, dove Coca Cola e Pepsi Cola possono essere considerate aziende redditizie, senza che il settore possa essere considerato particolarmente attrattivo per altri operatori. Per questa ragione, sono tipicamente "attrattivi" i settori in cui risulta facile entrare, condizione che di solito si incontra: Nei settori in crescita, nei quali è possibile entrare senza che l'ingresso nel settore comporti necessariamente la riduzione delle vendite dei concorrenti. Nei settori dove non vi siano barriere all'entrata significative, ovvero dove non siano richiesti grandi capitali. Nei settori dove non vi siano eccessi di capacità produttiva. L'attrattività presuppone un risultato atteso maggiore del costo. Questa condizione tendenzialmente può verificarsi soltanto temporaneamente, dal momento che con l'andare del tempo il comportamento della concorrenza tende a ridurre la convenienza all'ingresso del settore. L'aumento di capacità produttiva e l'aumento di offerta finiscono per ridurre il prezzo di mercato fino al punto in cui l'ingresso nel settore non è più conveniente e il settore non è più attrattivo. Il processo di aggiustamento però non è istantaneo: alcuni settori rimangono attrattivi per un periodo di tempo relativamente esteso. Quando un settore attraversa una fase di crisi che è considerata transitoria, la redditività e l’attrattività soggettiva del settore subiscono anch’essi alterazioni transitorie. COME SI REALIZZA L’ANALISI QUALITATIVA DI SETTORE? QUATTRO DIRETTRICI PER L’ANALISI DEI SETTORI Infine, come si svolge l’analisi del sistema competitivo? Si procede attraverso quattro diversi modelli di analisi, che possono essere usati in modo coordinato: Il sistema delle cinque forze competitive (schema base di Porter). Analisi della catena di fornitura (studio delle relazioni di filiera per osservare come le aziende che operano in settori collegati collaborano – anche in concorrenza con altre «filiere di azienda» - e si dividono i profitti). Analisi dei prodotti complementari (studio dell’impatto che i complementors producono sulla redditività del settore nell’ambito delle relazioni a rete). Analisi dei raggruppamenti strategici. La qualità degli studi di settore dipende da molteplici variabili: La difficoltà nella comprensione dei confini del settore. La disponibilità di informazioni. Le competenze e esperienze di chi svolge lo studio. Il costo per acquisire i dati di base. Così, per effetto di quanto sopra, si osservano studi di settore relativamente completi e studi di settore superficiali. Le conseguenze in sede di definizione della strategia si possono immaginare facilmente. IL MODELLO DELLE CINQUE FORZE DI PORTER Dei modelli sopra indicati quello che ha avuto più diffusione è indubbiamente il modello delle cinque forze. La matrice concettuale dalla quale deriva è quella dell'economia industriale, che analizza il settore secondo il paradigma "Struttura-Condotta Performance”: la struttura del settore è la causa principale della condotta delle aziende, la quale a sua volta ne determina le performance. Il modello di Porter vede come protagonisti cinque attori: fornitori (1); clienti (2); potenziali entranti (3); concorrenza interna (4); produttori di beni sostitutivi (5). Le cinque forze sono strettamente legate ai cinque attori, ma non sono la stessa cosa. Gli attori sono unicamente il tramite in grado di generare le diverse forze, che sono quanto ci interessa. Queste sono: 1. Forza/potere contrattuale dei fornitori. 2. Forza/potere contrattuale dei clienti. 3. Relazioni di rivalità e collaborazione tra produttori di beni simili – concorrenza interna. 4. Relazioni con i produttori di beni sostitutivi. 5. Relazioni con i potenziali entranti. Il primo concetto da afferrare, inerente alle forze, è distinguere forza “centripeta” da forza “centrifuga”. In base alle forze, e alla direzione ove puntano le loro “frecce”, si comprende la redditività dell’impresa. Oltre alla distinzione “centrifuga/centripeta”, si misura l’intensità della forza, su una scala da uno a cinque. A livello uno, minima intensità, massima redditività. A livello cinque, massima intensità, minima redditività. Le forze, dunque, possono assumere diversi volti e di conseguenza avere implicazioni molto diverse sulla redditività. Forza contrattuale dei fornitori. Tra le variabili di ordine superiore il cui aumento favorisce il fornitore: Informazioni sulla redditività del cliente. Importanza del prezzo di vendita. Alternative per il fornitore. Importanza del bisogno del cliente. Un fornitore che abbia alternative che gli permettono di fare a meno del cliente può risultare meno esposto alla forza contrattuale del suo compratore. Questo può accadere quando: Il volume di acquisto è modesto. I costi di riconversione del fornitore sono modesti. I compratori sono relativamente poco concentrati. Il fornitore dispone di impieghi alternativi della produzione. Il fornitore può facilmente integrarsi a valle. Forza contrattuale dei clienti. Tra le variabili di ordine superiore il cui aumento favorisce il cliente: Importanza del bisogno del fornitore. Alternative per il cliente. Importanza del prezzo di acquisto. Informazioni sulla redditività del fornitore. Esistono poi, per quanto riguarda le relazioni contrattuali con fornitori e clienti, ventidue variabili di ordine inferiore, che sono all’origine di ognuna delle otto variabili di ordine superiore. Alcune variabili hanno una importanza decisamente superiore rispetto alle altre. In molti casi basta una sola variabile per fare la differenza, o come alcune di queste variabili si combinano tra loro. Relazioni di rivalità e collaborazione tra produttori di beni simili. Una delle variabili che più incidono sulla redditività del settore è definita dalle relazioni di rivalità e di collaborazione tra chi produce beni simili, ovvero tra concorrenti in senso stretto. Ma cosa sono rivalità e collaborazione? E perché trattarle insieme? Non sono in certa misura alternative incompatibili? Si ricordi a tal proposito che esistono strategie aziendali che convergono nell’applicazione di strumenti di concorrenza non “autodistruttivi” (esempio: settore dei soft drink), che finiscono per migliorare i volumi di vendita e la redditività dell’intero settore. Forme di collaborazione in senso stretto tra concorrenti sono comunque possibili: accordi finalizzati alla riduzione dei costi o all’affermazione di standard tecnici. Si pensi, ad esempio, ai consorzi. Le relazioni di rivalità o collaborazione incidono in modo notevole sulla redditività del settore. Esse sono condizionate da numerose variabili. Ne sono distinte quattro di ordine superiore, che a loro volta dipendono da dodici variabili di ordine inferiore. Queste ci consentono di capire qualora il settore sia competitivo, o collaborativo. La fedeltà della clientela (1). Incide favorevolmente sulla redditività del settore, ed è condizionata da due variabili di ordine inferiore: L’unicità percepita del prodotto offerto (es: Ferrari). I costi di riconversione. La reazione attesa da parte dei concorrenti (2). Incide anch’essa favorevolmente sulla redditività di settore, ed è condizionata da tre variabili di ordine inferiore: La concentrazione dei concorrenti. La disponibilità di informazioni sui concorrenti. Le reazioni registrate in passato. L’impatto delle quote di mercato sui risultati (3). Questo elemento incide negativamente sulla redditività di settore. È condizionato da cinque variabili: Le condizioni di maturità o di declino del settore. Il rapporto tra i costi fissi e il valore aggiunto. Se elevato, costringe le imprese a cercare l’aumento della redditività mediante l’aumento delle quantità. Le difficoltà di immagazzinaggio. La disponibilità di temporanei eccessi di capacità produttiva, dovuti per esempio a fluttuazioni della domanda, finisce per generare un ulteriore motivo di pressione sulle quote di mercato. Le barriere all’uscita si traducono anch’esse in un elemento di pressione sulle quote di mercato. L’aggressività del leader (4). È un altro elemento che incide negativamente sui rapporti di rivalità e collaborazione. Quando si afferma, finisce spesso per generalizzarsi, anche per effetto di comportamenti imitativi adottati da più produttori simili. Relazioni con i produttori di beni sostitutivi. Le relazioni di concorrenza con i produttori di beni sostitutivi producono anch'esse un impatto sulla redditività del settore in quanto contribuiscono a definire le alternative che il cliente può perseguire per soddisfare i propri bisogni. Da questo punto di vista, i produttori di beni sostitutivi operano in modo analogo ai concorrenti in senso stretto, in quanto finiscono per contendersi almeno parzialmente la stessa domanda. L'intensità della concorrenza con i produttori di beni sostitutivi dipende in larga misura dall'entità della sovrapposizione della clientela cui si rivolgono. Quanto maggiore è tale sovrapposizione, tanto maggiore è l'intensità della relazione di concorrenza innescata dai produttori di beni sostitutivi. Per quanto riguarda i rapporti con i produttori di prodotti sostitutivi, sono tre gli elementi chiave indicati da Porter: Rapporto Prezzo/Performance relativo ai singoli prodotti sostitutivi. Costi di ricambio, tra un prodotto e l’altro. Propensione al cambiamento. Possiamo inoltre fare riferimento alle stesse quattro variabili che condizionano i rapporti di rivalità/collaborazione tra produttori di beni simili. Relazioni con i principali entranti. Primo discorso generale: anche se non ci sono barriere, i potenziali entranti possono non entrare poiché hanno paura di entrare, in quanto sanno che il settore è popolato da protagonisti aggressivi (San Pellegrino e Coca Cola), che impediscono di farsi spazio. Secondo Porter, la minaccia di entrata nel settore è determinata da due variabili: Le barriere all’entrata. La reazione attesa da parte dei concorrenti. Per quanto riguarda il discorso “barriere all’entrata”, ne esistono di quattro tipi: Elementi di costo. Elementi che rendono unico il prodotto. Se voglio entrare nel settore automobilistico, devo fare tanta pubblicità, che sottolinei l’unicità del mio prodotto. Fabbisogno di risorse finanziarie. Fattori esogeni. Dazi, sanzioni, blocco delle importazioni. Per quanto riguarda il discorso “reazione attesa”, questa dipende da una serie di fattori, prima tra tutti la reazione adottata in passato dal leader di settore in risposta all’ingresso di altri soggetti. Come osserva Porter, le variabili che condizionano l'ingresso nel settore (barriere all'entrata e reazione attesa) trovano espressione di sintesi nel concetto di prezzo di dissuasione all'entrata, definito come il prezzo ideale con il quale può essere confrontato il prezzo di vendita atteso dai concorrenti potenziali, nell'ipotesi in cui decidano di fare ingresso nel settore. Se il prezzo di vendita atteso è inferiore al prezzo di dissuasione all'entrata, i potenziali entranti non sono incoraggiati a entrare nel settore, in quanto gli oneri (e i rischi) associati alle barriere all'entrata eccedono i ricavi attesi. Si studino più a fondo alcune determinanti delle barriere all’entrata. Gli elementi all'origine delle differenze di costo, per esempio, dipendono soprattutto dalle economie di scala che caratterizzano le attività del settore e dal vantaggio di costo riconducibili ad altri fattori, come per esempio l'esperienza, l'accesso a certe materie prime o i brevetti. Quando queste differenze di costo sono molto elevate, l'accesso al settore è ostacolato. Basti pensare a settori come quelli dell'acciaio o delle materie plastiche di prima derivazione petrolifera. Si tratta in alcuni casi di commodity, beni standardizzati, per i quali sono utilizzati impianti caratterizzati da grandi economie di scala. Chiunque volesse entrare nel settore, oltre all'entità degli investimenti necessari, dovrebbe considerare anche gli effetti derivanti dall'eccesso di capacità produttiva derivante dall'investimento. Gli elementi all'origine dell'unicità del prodotto sono riconducibili: Alla proprietà intellettuale che protegge il prodotto dall'imitazione; All'identità di marca; questa segna a volta un limite invalicabile (si pensi al caso Coca Cola). Ai costi di riconversione. Sono un caso particolare dell’unicità di prodotto. Questi, infatti, non presuppongono l'unicità del prodotto dal punto di vista tecnico, ma l'unicità nell'esperienza di uso del prodotto. Questa unicità (o questa specificità) nell'esperienza di uso può generare costi significativi per il cliente che intenda cambiare fornitore e di riflesso ostacoli difficili da superare per il fornitore che voglia indurre il cliente alla riconversione. Le tre variabili elementari sopra indicate richiedono comunque investimenti da parte del concorrente che voglia entrare nel settore. L’ANALISI DELLA CATENA DI FORNITURA Quando i fornitori e i distributori lavorano nell’ambito di rapporti di scambio e di cooperazione consolidati, la redditività delle aziende all’interno del settore finisce per essere legata anche alle condizioni delle catene di fornitura di cui le diverse aziende sono parte. Le «catene di fornitura» sono dunque gruppi di imprese legate da rapporti di scambio e cooperazione consolidata, la cui redditività dipende certo dalla performance individuale e dal settore, ma soprattutto dalla filiera stessa. Esse sono caratterizzate dalla presenza di rapporti di scambio e cooperazione consolidati tra fornitori, produttori di beni simili e distributori. In questi casi la spinta alla collaborazione (partnership) è più forte rispetto al desiderio di concorrenza sulla singola transazione (trattandosi spesso di transazioni ripetute nel tempo). Nelle «catene di fornitura» spesso vi è un attore leader che assume il ruolo di «regista» delle attività dell’intera catena (es: automotive, i produttori di auto). Le determinanti della redditività delle aziende appartenenti a settori collegati tra loro da rapporti di fornitura: Intensità del legame di appartenenza alla singola catena di fornitura. Vi sono fornitori legati, anche mediante rapporti di esclusiva, a una singola catena di fornitura, della quale condividono inevitabilmente le sorti. Per contro, vi sono fornitori che, pur avendo un legame principale con una catena di fornitura, godono anche di relazioni stabili con altri clienti: si riduce il rapporto di dipendenza dalla catena con quale hanno il legame principale. Forza contrattuale di cui essi godono nell’esercizio della propria attività. Dipende dal grado di unicità e utilità della componente prodotta. Le forze ed il potere contrattuale che intercorre tra fornitori e clienti sono estremamente diversi rispetto a quelli della catena del valore di Porter. I rapporti tendono ad essere duraturi e di lungo termine. Dalle circostanze di redditività di cui la catena di fornitura, nel suo insieme, può godere. Tale circostanza dipende prevalentemente dai risultati ottenuti da chi svolge l’attività di regia e di coordinamento. L’analisi della catena di fornitura serve dunque a spiegare la redditività, il ROI delle imprese che fanno parte della stessa. In particolare, ci aiuta a capire come mai alcuni anelli della catena siano più redditivi di altri. Se da una parte gli ultimi anni del XX secolo e i primi anni Duemila hanno visto intensificarsi i rapporti di concorrenza tra catene di fornitura, dall’altra occorre riconoscere che il fenomeno non si presenta con lo stesso impatto in tutti i settori. Esso è accentuato ove i prodotti e i servizi forniti non sono standardizzati e dove la programmazione della produzione e della disponibilità della capacità produttiva induce chi offre i prodotti o servizi principali a coinvolgere i fornitori e i distributori in attività di programmazione e in contratti di medio termine. In questi casi, molte aziende lavorano in squadra; ed è in squadra che vincono o perdono rispetto agli altri. Tramite contratti, lavorano in gruppo, in modo che risulta difficile per i singoli produttori passare da una catena di fornitura all’altra. I settori dell’automobile, dei componenti elettronici fatti su richiesta e delle grandi costruzioni edili sono esempi dove i risultati della catena di fornitura producono un forte impatto sui risultati di chi vi partecipa. Al contrario, l’alimentare, i componenti elettronici standard, e i servizi di vigilanza. Lo sviluppo della catena di fornitura può avvenire: A monte. A valle. Nell’analisi della redditività di una catena di fornitura, la distribuzione non è mai omogenea. Emergono sempre degli attori che hanno una maggiore capacità di portarsi a casa il valore complessivamente creato. Ciò dipende dal ruolo che svolgono all’interno della filiera e dai sistemi competitivi in cui ciascun nodo della filiera partecipa. Come si svolge l’analisi della catena di fornitura? Identificare le attività che si svolgono dall’inizio alla fine, dal primo anello della catena all’ultimo. Una volta individuate le attività che si svolgono nella catena, identifico chi le svolge. Studio i rapporti tra i diversi attori, per cogliere chi è l’anello forte e chi l’anello debole. Studio, per ciascun attore ed il suo ruolo, l’esclusività di esso. L’ANALISI DEI PRODUTTORI DI BENI COMPLEMENTARI E LA RETE DEL VALORE In molti sistemi competitivi si aggiunge un ulteriore attore che incide sulla redditività del settore: i complementors. I produttori di beni complementari hanno un ruolo opposto a quello dei produttori dei beni sostitutivi. Se da un lato i produttori di beni sostitutivi, grazie al loro potere, riducono il valore di un prodotto (costituendone reali alternative), i beni complementari possono incrementare la redditività del settore grazie al loro utilizzo combinato. I beni complementari sono visti come elementi integrativi della capacità competitiva della catena di fornitura nel suo insieme e non dell’azienda intesa come soggetto a sé stante. L’immagine rappresenta l’impatto dei produttori di beni complementari sulle cinque forze. La principale differenza con le analisi svolte in precedenza sta nel fatto che, mentre la catena di fornitura si estende in senso verticale, l’analisi dei beni complementari e della “value net” in genere si sviluppa anche in senso orizzontale. È il caso di sottolineare “anche”, proprio perché i beni complementari sono visti come elementi integrativi della capacità competitiva della catena di fornitura nel suo insieme e non dell’azienda singola. Di qui il concetto di “value net”, o rete del valore, che si estende sia in senso verticale sia in senso orizzontale, fino a considerare tutti gli elementi che possono incidere in modo significativo sulla capacità competitiva dell’azienda. La dinamica della rete del valore si compone di alcuni fondamentali elementi e passaggi: Il cambiamento dei settori e la loro trasformazione «digitale» rende sempre più importante interpretare e comprendere il ruolo dei produttori di beni/servizi complementari. I complementors innescano una dinamica «cooperativa» tra attori che operano in settori diversi che non attenua – anzi esalta - la dinamica «competitiva» all’interno di un determinato settore. Si innescano pertanto delle relazioni simili alle «catene di fornitura», ovvero orientate a generare «ecosistemi di imprese» che lavorano in maniera stabile e coordinata per raggiungere un obiettivo comune. Si tratta in questo caso di relazioni «orizzontali» tra i produttori di beni diversi ma complementari. Differentemente da quanto accade per la catena di fornitura, dove comunque esiste una azione compressiva della marginalità in relazione alla forza negoziale e al ruolo svolto nella filiera, nella gran parte dei casi nelle relazioni tra complementors si registra una cooperazione orientata ad ampliare il valore per il cliente (e dunque disporre di una fetta maggiore) piuttosto che ripartirsi il valore (profit pool). I casi di aziende che hanno costruito la propria unicità sulla rete del valore sono numerosi e probabilmente destinati ad aumentare. Basti pensare, a titolo esemplificativo, alle telecomunicazioni basate sulla rete fissa, dove si assiste alla convergenza di diversi servizi: telefonia, collegamento a intrnet, fornitura di servizi di intrattenimento. L’ANALISI DEI RAGGRUPPAMENTI STRATEGICI L’analisi dei raggruppamenti strategici permette di compiere l’ultimo passaggio analitico, finalizzato a preparare il terreno per lo studio delle scelte di strategia competitiva. Per noi “raggruppamento strategico” è dunque l’insieme delle aziende esposte in egual misura (in modo omogeneo) alle cinque forze competitive. Raggruppamenti diversi saranno quindi esposti in modo differente in relazione alle cinque forze competitive. Per tale motivo, la redditività e le prospettive delle imprese sono differenti a seconda del raggruppamento di cui fanno parte. Ciò naturalmente non significa che le imprese appartenenti allo stesso raggruppamento godano dello stesso livello di redditività o che perseguano le stesse strategie. L’omogeneità dell’esposizione alle cinque forze competitive può infatti derivare da diverse circostanze, le quali concorrono a definire la strategia competitiva ma non la qualificano in modo completo. Ciò implica piuttosto che la ricognizione dei gruppi strategici può essere utile per riconoscere il diverso modo in cui differenti insiemi di aziende sono esposti alle cinque forze competitive. L’identificazione dei gruppi avviene in base a variabili che definiscono “barriere alla mobilità”. È possibile affermare dunque che l’analisi dei raggruppamenti strategici ha come obiettivo primario analizzare le opzioni strategiche dei concorrenti che esprimono “barriere alla mobilità” interne al settore. Si faccia l’esempio del settore dell’automotive: al suo interno possiamo distinguere diversi raggruppamenti strategici in base a due importanti barriere alla mobilità, prezzo e gamma. I gradi di libertà di cui le aziende godono sono dunque limitati sotto due punti di vista: Dal punto di vista delle opzioni strategiche disponibili. Dal punto di vista delle barriere alla mobilità, ovvero del trasferimento da un gruppo strategico all’altro. L’analisi dei raggruppamenti strategici serve dunque per: Passare dalla generica analisi della redditività del settore all’analisi della redditività di parti del settore, cioè quelle aziende che si fanno maggior concorrenza diretta. Individuare le barriere alla mobilità. Descrivere la mappa del settore. LA MAPPA DEI RAGGRUPPAMENTI STRATEGICI La mappa dei raggruppamenti strategici si struttura come un piano cartesiano, sui cui assi è collocata una variabile. Per costruire la mappa dei raggruppamenti strategici si procede nel modo seguente: 1. Analisi del sistema competitivo orientato ad identificare le opzioni strategiche che differenziano i diversi players. 2. Identificazione delle variabili rilevanti: a. Devono essere variabili capaci di originare differenze nel modo in cui le aziende sono esposte alle 5 forze competitive. b. Devono essere variabili indipendenti (non correlate). c. Devono essere variabili discrete (se continue, devono esprimersi per intervalli). 3. Posizionamento degli attori sulla mappa dei raggruppamenti strategici e identificazione dei gruppi. Alcune tra le possibili dimensioni della mappa: Reputazione e immagine dell’azienda e dei suoi principali prodotti/brand. Livello di specializzazione in termini di segmenti di clientela serviti. Ampiezza del mercato geografico servito. Scelta dei canali distributivi. Livello di qualità dei prodotti. Livello di leadership tecnologica e funzionalità dei prodotti. Livello di integrazione verticale (monte/valle. Livello di servizio offerto. Politica di prezzo. Relazione con parent company (sinergie di gruppo). Quando la mappa dei raggruppamenti strategici è impostata sulla base di variabili che incidono sull’esposizione alle cinque forze concorrenziali, lo studio dei raggruppamenti mette in luce diversi comparti di settore, che godono di condizioni di redditività e di margini di manovra differenziati. Ulteriori passi nell’analisi dei raggruppamenti strategici: 1. Identificare in modo chiaro le barriere alla mobilità all’interno del settore, per prevenire attacchi da concorrenti. 2. Identificare i gruppi di imprese marginali, che rappresentano dei blind spots (vicoli ciechi) in cui è bene non avventurarsi. 3. Ipotizzare movimenti dal proprio raggruppamento ad un altro, caratterizzato per maggiore redditività o potenzialità (traiettorie strategiche). 4. Analizzare i trend del settore e il loro impatto sui diversi raggruppamenti. 5. Prevenire future mosse. CONCLUSIONE DELL’ANALISI DEL SISTEMA COMPETITIVO L’analisi dei raggruppamenti strategici costituisce l’anello di congiunzione fra l’analisi «asettica» del settore e l’analisi/valutazione della specifica strategia competitiva di una azienda. In realtà già l’analisi della catena di fornitura e della rete del valore ci consentiva di avvicinarci alla comprensione della strategia competitiva di una specifica azienda, dato che consentiva di individuare i diversi ruoli (di regista, anziché di comprimari o di secondo piano) interpretati dalle varie aziende a seconda delle attività correnti svolte (il sistema delle attività «allargato» grazie ai collegamenti con attività correnti svolte da altre aziende della medesima filiera o rete del valore). 2.2 - LE STRATEGIE COMPETITIVE DI BASE: IL VANTAGGIO E L’AMBITO COMPETITIVO Dopo l’analisi di settore, l’analisi delle strategie competitive di base è la seconda tappa nella comprensione della strategia competitiva. Il suo punto di partenza, in ogni caso, resta l’analisi del settore e i suoi risultati. L’analisi delle strategie competitive di base punta però a compiere un passo avanti, rispondendo alla domanda: perché alcune imprese hanno una redditività superiore alla media del settore nel medio-lungo periodo, mentre altre hanno una redditività inferiore alla media? In altri termini, perché alcune imprese sono caratterizzate da un vantaggio competitivo rispetto alle altre? Secondo Porter, la capacità di ottenere una performance superiore rispetto alla media deriva dalla capacità di scegliere e di realizzare in modo coerente una delle tre strategie competitive di base: Leadership di costo. Differenziazione. Focalizzazione, al costo o al prezzo. Le tre strategie competitive di base rappresentano strade alternative per raggiungere una redditività superiore alla media del settore nel medio-lungo periodo e presuppongono il raggiungimento e la difesa di un vantaggio competitivo in un certo ambito competitivo, ampio o stretto che sia. IL CONCETTO DI VANTAGGIO COMPETITIVO E LE SUE BASI Ci sono alcune domande che occorre porsi: cos’è il vantaggio competitivo (1); quali sono i suoi presupposti (2) e quali sono le sue basi (3). Cos’è il vantaggio competitivo. Avere un vantaggio competitivo significa avere un ROI superiore alla media del mio settore nel medio-lungo periodo, nell’ambito del mio business, del mio raggruppamento strategico, della mia catena di fornitura. Il vantaggio competitivo è dunque una condizione di superiorità, rispetto alla media dei concorrenti, nella redditività del capitale investito di medio-lungo periodo. Per capire se ci si trova in presenza di un vantaggio competitivo, occorre dunque verificare di avere un ROI superiore alla media. Il vantaggio competitivo ha a che vedere con l’azienda, con il business e le rispettive redditività. Non ha nulla a che vedere col prodotto o col cliente, e non è il vantaggio ottenuto dalla “customer satisfaction”. Avere “customer satisfaction” è una condizione necessaria, ma non sufficiente: non basta, ciò che occorre è avere un ROI superiore alla media. Non è sufficiente avere i clienti soddisfatti: un’impresa può avere clienti molto contenti proprio perché “svende” la sua offerta e i suoi prodotti, per cui possono anche esistere scenari in cui i suoi clienti sono soddisfatti, ma ci si trova lo stesso di fronte ad un ROI inferiore alla media. Presupposti. La domanda in questo caso è quale vantaggio competitivo l’impresa ha/ricerca. Il ROI può essere infatti fondato su una condizione di vantaggio basata alternativamente sul prezzo di vendita (vantaggio competitivo di prezzo) o sui costi di produzione (vantaggio competitivo di costo). Vantaggio competitivo di prezzo. Presuppone: Che la redditività del capitale investito sia superiore alla media del settore nel medio- lungo periodo. Che i prezzi di vendita siano maggiori rispetto al prezzo medio dei concorrenti. Si parla a proposito di premium price, un “delta prezzo”, P>Pmedia di mercato. Si badi a non confondere il prezzo medio di un’impresa con il range di prezzo. Che i costi di produzione non presentino rispetto ai costi di produzione dei concorrenti una differenza tale da compensare negativamente il premio ottenuto nei prezzi di vendita. Le tre condizioni di cui sopra presuppongono a loro volta tre condizioni ulteriori: Che il prodotto o il servizio offerto sia in certa misura percepito e apprezzato come unico. Se così non fosse, non sarebbe venduto a un prezzo maggiore. Che le attività svolte all’interno dell’azienda presentino elementi di unicità rispetto a quelle dei concorrenti. Che le attività svolte per produrre e offrire il prodotto siano coerenti con le aspettative dei clienti (coerenza esterna) e al proprio interno (coerenza interna). Vantaggio competitivo di costo. Presuppone: Che la redditività del capitale investito sia superiore alla media del settore nel medio- lungo periodo; Che i costi unitari di produzione siano inferiori ai costi unitari di produzione di tutti i concorrenti di riferimento. Che i prezzi di vendita non presentino, rispetto ai prezzi di vendita dei concorrenti, una differenza tale da compensare lo scarto ottenuto nei costi unitari di produzione. Le tre condizioni di cui sopra presuppongono a loro volta tre condizioni ulteriori: Che il prodotto o il servizio offerto sia percepito e apprezzato come idoneo a soddisfare i bisogni fondamentali del target di clientela a cui è destinato. Se così non fosse, non sarebbe preso in considerazione e non sarebbe venduto, o sarebbe venduto a condizioni complessivamente penalizzanti per il produttore. Che le attività svolte all'interno dell'azienda presentino elementi di unicità rispetto a quelle dei concorrenti. Se così non fosse, i costi non potrebbero essere inferiori a quelli di tutti i concorrenti pur salvaguardando i requisiti di accettabilità del prodotto da parte della clientela di riferimento. Che le attività svolte per produrre e offrire il prodotto siano coerenti con le aspettative dei clienti (coerenza esterna) e al proprio interno (coerenza interna). Il vantaggio competitivo di costo, quindi, si distingue dal vantaggio competitivo di prezzo per due aspetti La condizione di vantaggio è definita rispetto a tutti i concorrenti di riferimento (ovvero rispetto al concorrente di riferimento più forte) e non rispetto alla media: essere “second leader” nel tentativo di ridurre i costi può dare origine a una condizione scomoda e vulnerabile. Il fatto di non presupporre l’unicità del prodotto o del servizio. Le basi. Alla radice, alla base del vantaggio competitivo è niente altro se non il "sistema di attività", che individua le attività di set-up e le attività correnti, e tende a verificarne la coerenza interna ed esterna (1) e l’unicità (2). Le basi del vantaggio competitivo sono dunque l’unicità e la coerenza del sistema della attività. Solo grazie alla compresenza di questi due elementi l’impresa può garantirsi un ROI maggiore della media. Coerenza. Coerenza esterna vuol dire con i bisogni del cliente – la customer satisfaction. La coerenza interna vuol dire con le attività, ed in particolare con le risorse. La coerenza interna/esterna deve essere alta. Solo se sono alte tutte e due le coerenze, io ho il valore percepito più alto del prezzo e più alto del costo. Unicità. Il sistema delle attività deve essere unico: è l’unicità che ci consente di avere un valore percepito con tanti “+”. La scelta tra i due vantaggi è indispensabile. Solo in casi eccezionali o transitori è possibile godere di entrambi i vantaggi competitivi: o Quando il leader ha un vantaggio competitivo molto elevato dovuto alla dimensione (1) e alla interrelazione (2) talmente elevato che può permettersi di avere al tempo stesso sia costi bassi (1) sia alto valore percepito (2). Contemporaneamente è grande, e su tale grandezza ottiene meno costi; grazie alla interrelazione riesce ad avere alto valore percepito. Ma è un vantaggio che ha un orizzonte temporale di medio periodo. Prima o poi, arriva un concorrente che insiste più su una delle componenti. o Quando hai una strategia distruttiva, che sconvolge il settore e lo rende a sua immagine e somiglianza. Allora avremo un’innovazione distruttiva, tale che crea lei stessa un settore. Ma ciò non è propriamente valido: non posso dire che ho un ROI superiore alla media se non ho competitor, se non esiste un vero e proprio settore perché l’ho costruito io stesso. Esempio: Cirque du Soleil. o Terza argomentazione che viene portata da coloro i quali sostengono che si possano ottenere entrambi. Stare a metà del guado. Stuck in the middle. Ma non funziona. È una soluzione per lo più transitoria, in quanto il blocco a metà del guado conduce livelli di redditività insoddisfacenti. All'inizio della vita di impresa, si possono fare scelte che altrimenti sembrerebbero contradditorie, ma che sono figlie di scelte strategiche. Sono però casi eccezionali, e tipicamente transitori. Ad esempio, posso collocare il Prezzo come più basso del Costo, o più alto del Valore Percepito, trovandomi così con in mano un ROI inferiore alla media. Si parla allora di vantaggio competitivo "potenziale". L’IMPATTO DELLE POLITICHE DI PREZZO SUL POSIZIONAMENTO STRATEGICO La scelta di perseguire il vantaggio competitivo di costo o il vantaggio competitivo di prezzo non è sufficiente a definire il posizionamento strategico dell’azienda. Esso dipende anche dalla politica di prezzo. Per capire l’impatto della politica di prezzo sul posizionamento strategico dell’azienda conviene ragionare distintamente per: Le strategie orientate al vantaggio di costo. Le strategie orientate al vantaggio di prezzo. Le strategie orientate al vantaggio di costo, quando sono perseguite su un ambito ampio, impegnano a cercare un vantaggio nei confronti di tutti i concorrenti. La posizione del second leader, come accennato, risulta rischiosa e vulnerabile. È quindi comprensibile che chi adotti questa strategia cerchi la leadership di mercato. Tuttavia, chi persegue leadership di costo finisce per trovarsi in un trade-off tra: Ricerca della posizione di prezzo che massimizza la propria redditività. Ricerca della posizione di prezzo necessaria per la dissuasione dall’attacco al leader. Prezzo basso significa calo della redditività, ma anche costruzione di una posizione più difendibile: una maggiore attenzione alla quota di mercato significa politica di prezzo più aggressiva. Non si tratta di una scelta di poco conto: può incidere in modo determinante sulle quote di mercato dell’azienda come sulla sua redditività. Complicazione: come nel gioco del Risiko, chi attacca è svantaggiato, chi difende avvantaggiato. Nei casi delle aziende impegnate nell'attacco al leader, una superiore redditività del capitale investito può non essere raggiunta, malgrado l'azienda stia realizzando una strategia di successo. Infatti, una strategia di successo, nella fase iniziale, può privilegiare la conquista di quote di mercato e sacrificare temporaneamente i risultati economico-finanziari, che potrebbero essere invece soddisfacentemente raggiunti in un tempo successivo. Potremmo definire questa strategia di prezzo come una "strategia di prezzo di set up". Infatti, i “parametri vitali” delle aziende che hanno un vantaggio competitivo di costo in fase di costruzione sono diversi da quelli delle aziende che hanno già acquisito tale vantaggio competitivo. Nelle aziende che perseguono il vantaggio competitivo di prezzo, il problema si pone in termini simili. Esiste però una differenza notevole, rappresentata dal fatto che, nei settori dove vi sono molte opportunità di differenziazione, la "risposta" della domanda del cliente a variazioni del prezzo di uno dei concorrenti è relativamente minore e produce quindi un impatto inferiore sulla ridistribuzione delle quote di mercato. Nei settori ove sono commercializzati beni standardizzati, invece, la risposta può essere estremamente forte. Ciò premesso, anche le aziende che perseguono il vantaggio competitivo di prezzo incontrano lo stesso trade-off di sopra. Ogni scelta di prezzo di vendita le pone infatti di fronte alla scelta in merito a: Quale parte del valore creato trattenere. Quale parte del valore creato lasciare al cliente. Anche nelle aziende che seguono il vantaggio di prezzo rileviamo così: Casi di aziende che preferiscono cercare i posizionamenti di prezzo più alti possibile, anche a costo di sacrificare in modo sostanziale le quote di mercato ottenibili. Casi di aziende che rinunciano a chiedere e a ottenere il prezzo più alto possibile, in vista di obiettivi di aumento delle quote di mercato (Lavazza). Ciò può essere dettato da due ordini di ragioni: il primo, per la consapevolezza che, una volta aumentati i volumi di vendita, l’effetto complessivo sui risultati sia positivo già nell’immediato; il secondo, la convinzione che, malgrado i risultati minori che possono essere ottenuti nel breve periodo, la conquista di maggiori quote di mercato sia destinata ad assicurare all’azienda un posizionamento migliore nel medio-lungo periodo. Ne emergono due logiche diverse: LA DEFINIZIONE DELL’AMBITO COMPETITIVO E LA SUA VALUTAZIONE L’ambito competitivo è il raggio d’azione dell’azienda, ovvero il suo campo di attività. Come capire se l’ambito è ampio o se è ristretto? L’ampiezza dell’ambito è definita dalle seguenti cinque variabili: 1. L’ ampiezza della gamma dei prodotti offerti. Il riferimento è sempre rispetto ai concorrenti. 2. Il numero di segmenti. Questa variabile si compone di tre elementi. a. Tipi di clienti. Ho una sola tipologia di cliente, o questo tipo di mia presenza vale per tutti i portafogli, qualsiasi tipo di cliente può rifornirsi. b. Localizzazione dei clienti. I miei clienti sono in giro per tutto il mondo, o sono vicini? In base alla risposta, devo impostare un sistema di attività che soddisfi e raggiunga i miei clienti. c. Canale distributivo utilizzato. 3. Il grado di integrazione verticale. Nell’ambito o meno dell’esistenza della supply chain, io mi integro o non mi integro? 4. Il grado di internazionalizzazione delle attività. Dove ho posizionato le mie attività? Tutte in un posto o in giro per il mondo? 5. Il grado di diversificazione delle attività nei settori correlati. Tuttavia, non è sufficiente “contare” quante variabili siano strette e quante siano ampie per poter definire un ambito competitivo come stretto o come ampio – si pensi al caso Coca-Cola, o al caso Hermes. Ai fini della comprensione della strategia competitiva e della strategia di focalizzazione in particolare, la definizione di ambito competitivo stretto è associata alla possibilità di ottenere dalla restrizione di ambito una condizione di vantaggio rispetto ai concorrenti che sia determinante ai fini del raggiungimento di una redditività superiore. È importante sottolineare che non si tratta di una condizione di vantaggio qualunque, ma di una condizione di vantaggio che esercita un ruolo determinante sulla performance aziendale dando origine a valori dei prezzi di vendita, dei costi di produzione e del capitale investito complessivamente migliori rispetto a quelli raggiunti dalle imprese concorrenti non focalizzate. Ma tutto questo come è possibile? A prima vista, appare controintuitivo che un'azienda che restringa il proprio ambito possa avere una redditività maggiore, dal momento che, limitando la propria attività, essa incontra una serie di maggiorazioni di costo per unità di prodotto legate alla minore dimensione. Basti pensare agli effetti delle economie di scala, del grado di utilizzo della capacità produttiva e delle curve di esperienza, che premiano le aziende che raggiungono volumi di attività maggiori. Ebbene, è altrettanto vero che la focalizzazione (questo è il punto fondamentale) può produrre benefici tali da compensare e superare gli svantaggi della minore dimensione. Si tratta di una possibilità, non di una certezza. Non esiste nessun tipo di automatismo che assicuri benefici a fronte della restrizione dell'ambito. Tutto dipende, ancora una volta, dal complesso "gioco delle attività” e dai benefici (in termini di prezzi di vendita, costi di produzione e capitale investito) che alcune attività assicurano quando, pur essendo dimensionate su scala minore, siano adattate alle caratteristiche di specifici segmenti. Nello stesso modo, si può anche dimostrare che non esista nessun automatismo che assicuri benefici in seguito a un ampliamento dell'ambito, o a un aumento del volume di attività. Anche in questo caso, la questione decisiva è se e in che misura l'ampliamento dell'ambito o l'aumento del volume di attività si traducano in una riduzione dei costi unitari e/o in un maggiore valore percepito dal cliente che si traduca in un vantaggio di prezzo. La strategia di focalizzazione orientata al vantaggio competitivo di prezzo. Determinando la riduzione dell’ambito competitivo, comporta innanzitutto un aumento dei costi unitari derivante dalla riduzione delle quantità. Questo effetto è però superato dai benefici derivanti dal fatto che il cliente è disposto a pagare un prezzo maggiore per due circostanze diverse: In alcune circostanze il cliente apprezza l'opportunità di acquistare un prodotto esclusivo. La diversa configurazione delle attività, che favorisce: o La produzione di un valore maggiore per il cliente, dal momento che le attività sono configurate in modo diverso e precisamente in modo focalizzato in vista del soddisfacimento di certi bisogni. o La possibilità che i costi sostenuti per la produzione del maggior valore abbiano un impatto sul risultato economico relativamente inferiore rispetto all'impatto derivante dai prezzi maggiori. La strategia di focalizzazione orientata al vantaggio competitivo di costo. Determinando la riduzione dell’ambito competitivo, comporta innanzitutto un aumento dei costi unitari derivante dalla riduzione delle quantità. Questo effetto però è superato dai benefici derivanti dal fatto che l'azienda, per effetto della restrizione di ambito, configura le proprie attività in maniera funzionale all'ottenimento di una riduzione dei costi. In particolare, la diversa configurazione delle attività derivante dalla strategia di focalizzazione orientata alla riduzione dei costi favorisce allo stesso tempo: Il contenimento dei costi in misura tale da più che compensare l'aumento dei costi derivante dalla riduzione delle quantità indotta dalla riduzione dell'ambito competitivo. La produzione di un valore per il cliente che, pur essendo talvolta inferiore rispetto a quello prodotto dai concorrenti, non comporta una riduzione di prezzo di portata tale da vanificare il beneficio ottenuto mediante la riduzione dei costi. 2.3 - IL VANTAGGIO COMPETITIVO DI COSTO LE CONDIZIONI ALLA BASE DEL VANTAGGIO COMPETITIVO DI COSTO Il vantaggio competitivo di costo consiste in una redditività del capitale investito superiore nel lungo periodo alla media di settore (ROI maggiore del ROI medio di settore nel medio-lungo periodo), ottenuta mediante: Attività dotate di significativi elementi di unicità rispetto alle attività dei concorrenti. Costi unitari di produzione inferiori ai costi unitari di tutti i concorrenti di riferimento. Dipende da: Prezzi di vendita che non presentano rispetto ai prezzi dei concorrenti differenze tali da compensare la differenza tra i costi di produzione. L’unicità del sistema di attività è di cruciale importanza. Per poter realizzare un vantaggio competitivo di costo, è necessario che le attività aziendali siano relativamente uniche rispetto a quelle dei concorrenti, e che siano coerenti internamente (con le esigenze di contenimento dei costi) ed esternamente (con le aspettative dei clienti). In sede di confronto con i concorrenti, quello che più conta non è l’unicità della singola attività, ma l’unicità del sistema di attività nel suo insieme. Ciò significa che l’unicità del sistema delle attività aumenta all’aumentare: Del numero di attività uniche. Delle relazioni di interdipendenza tra gli elementi di unicità delle diverse attività. Queste permettono ad una attività unica e difficilmente imitabile di favorire l’unicità delle altre attività e del sistema di attività nel suo insieme. La coerenza delle attività aziendali con gli obiettivi economico-finanziari è una condizione altrettanto importante. Se le attività costano poco, ma producono beni inaccettabili, i conti non tornano. Se i beni sono accettabili e quindi i prezzi sono allineati a quelli dei concorrenti, ma i costi non sono inferiori a quelli degli altri, l’azienda non ottiene performance superiori ai concorrenti. QUANDO È FACILE OTTENERE UN VANTAGGIO COMPETITIVO DI COSTO? Non tutti i settori consentono il conseguimento del vantaggio di costo. Non tutti i settori consentono il conseguimento del vantaggio di costo: esso risulta perseguibile soltanto qualora la variabilità dei costi e la variabilità dei prezzi di vendita del settore siano tali da consentire ad una azienda di ottenere una redditività del capitale investito superiore alla media del settore in virtù della propria capacità di contenere i costi dello svolgimento delle attività correnti, ovvero qualora la variabilità dei costi di produzione possa influire in maniera notevole sulla variabilità della redditività del capitale investito. Questo fenomeno si presenta con frequenza nei settori che offrono limitate opportunità di differenziazione, considerati settori di volume. Tuttavia, esso si manifesta anche nei settori dove le opportunità di differenziazione sono maggiori, ossia i cosiddetti settori specializzati, quali quello dell’automobile o della bicicletta. QUALI SONO LE DETERMINANTI DEL VANTAGGIO DI COSTO? Il vantaggio di costo si fonda sulle attività. Ma la relazione che lega il vantaggio di costo alle attività è nello stesso tempo critica e difficile da mettere a fuoco. Le determinanti sono gli elementi che impattano, variamente, sulle singole attività, e che consentono all’impresa, nello svolgimento della determinata attività, di ottenere un vantaggio di costo rispetto ai competitors; ossia che rendono la singola attività più o meno efficiente rispetto alle attività paragonabili svolte dalle aziende concorrenti. Porter identifica dieci determinanti dei costi delle attività: 1. Le economie di scala. Inizialmente, si trattava di economie di scala a livello produttivo; oggi, si parla di economie di scala a livello di svolgimento della singola attività. 2. Economie di apprendimento. 3. Grado di utilizzo/impiego dell’attività. Ad esempio, nel caso di uno scaffale espositivo, quanti prodotti riesco a posizionare su ciascuno scaffale. 4. Collegamenti tra attività, che possono essere: a. Interni, tra le varie attività dell’impresa – ad esempio produzione e assemblaggio. b. Esterni, con altri attori. 5. Integrazione verticale, a monte come a valle. Una attività può avere costi più bassi in quanto integrata. 6. Interrelazioni. a. Tangibili. b. Intangibili, che hanno a che fare con il trasferimento di competenze. 7. Localizzazione. Posso svolgere la mia attività in un luogo che mi consente, per diverse ragioni, di sostenere costi più bassi rispetto ai competitors. 8. Fattori istituzionali. Posso avere agevolazioni e/o bonus statali. 9. Tempo. Può essere vantaggioso essere i primi, poiché consente di stipulare contratti di esclusiva a costi inferiori rispetto alla concorrenza. 10. La decima variabile indicata da Porter come determinante valida sono le scelte di politica discrezionale. È quanto Porter indica come residuale. Sono scelte che hanno a che fare con l’offerta di prodotto nel suo complesso, e la sua diversità. Attenzione: queste determinanti di costo presentano alcuni elementi di parziale sovrapposizione e trascurano altri elementi che pure hanno un impatto determinante sui costi. Attenzione: le variabili possono essere raggruppate in cinque “macro-fattori”, all’origine delle determinanti di costo: I primi tre elementi hanno a che fare con la dimensione delle attività. I secondi tre hanno invece a che fare con le relazioni tra le attività. I terzi tre hanno a che fare con il posizionamento di privilegio di varia natura. L’ultima variabile può essere definita come “diversità del valore offerto” o “diminuzione dell’offerta”. È una semplificazione del prodotto o della gamma, per ridurre i costi. È possibile introdurre un ultimo elemento, assimilabile ad una “variabile soft”, ossia la cultura e i sistemi di controllo prevalenti. Se esiste cultura e controllo, posso ottenere costi inferiori rispetto alla media. Le determinanti di costo legate alla dimensione. Le economie di scala si traducono nella riduzione dei costi medi unitari di esecuzione di una specifica attività in ipotesi di pieno impiego della capacità produttiva per effetto del passaggio da una scala dimensionale di partenza a una scala superiore. La rappresentazione grafica prevede dei punti dal momento che la capacità produttiva è una variabile discreta e non continua; inoltre, per ogni soluzione di capacità produttiva, le economie di scala si registrano fissando un solo punto sull’asse delle ordinate, ovvero il livello dei costi ottenuto in condizioni di pieno impiego per la soluzione considerata. Le economie derivanti dal grado di utilizzo della capacità produttiva si riferiscono alla capacità produttiva della singola attività aziendale e, per ogni livello di capacità produttiva considerato, si traducono nella riduzione dei costi medi unitari di produzione all'aumentare dell'impiego della capacità, circostanza che si traduce in una minore incidenza dei costi fissi sulla singola unità di produzione e vendita. Nell'illustrazione grafica, il fenomeno delle economie derivanti dal grado di utilizzo della capacità produttiva appare come una collezione di curve in discesa, ciascuna delle quali termina con il punto di pieno impiego. Le economie di apprendimento si traducono nella riduzione dei costi unitari dell’ultima unità prodotta, per effetto dell’accumulo dell’apprendimento. Le determinanti legate alle relazioni tra le attività. I collegamenti con attività interne possono verificarsi quando il coordinamento tra certe attività permette di ottenere riduzioni dei costi che non sarebbero ottenibili se le attività fossero condotte in maniera indipendente. Si pensi per esempio alla circostanza in cui, nella trasformazione dei metalli, le lavorazioni siano eseguite in successione evitando che il materiale si raffreddi (e risparmiando così i costi derivanti dalla movimentazione, dalla conservazione dei prodotti in corso di lavorazione e dalla ripetizione dell'attività di riscaldamento). I collegamenti con attività esterne possono verificarsi tra aziende diverse, quando il legame o il coordinamento tra le rispettive attività può dare origine a riduzioni dei costi. In altri casi, i collegamenti con attività esterne permettono di incidere sui costi intervenendo sulla qualità delle attività produttive. Si pensi al caso in cui il for nitore assicuri la realizzazione del controllo di qualità al 100% sui componenti forniti, permettendo così al cliente di evitare di replicare il controllo qualità sulla materia prima e di inserire il materiale appena ricevuto nel proprio processo produttivo senza sottoporlo ad attività di controllo ulteriori. Le interrelazioni intangibili tra le attività di diversi business si traducono tipicamente nei trasferimenti di competenze. Si pensi per esempio al caso di Samsung che, producendo nello stesso gruppo pannelli LCD per televisori e televisori LCD, realizza continui trasferimenti di esperienze e di know how da un business all'altro. L'integrazione verticale da origine anch'essa a benefici associati al migliore coordinamento. Questo accade quando la "gerarchia", ovvero il controllo sulle attività effettuate all'interno da parte di altri membri dell'organizzazione, è giudicata più efficiente del "mercato", ovvero del controllo sulle attività effettuate all'esterno da parte del fornitore. Le determinanti legate a posizioni di privilegio. Il fattore tempo può conferire un vantaggio di prima mossa a chi avvii alcune attività prima dei concorrenti, soprattutto nei casi in cui la disponibilità dei fattori produttivi necessari per la produzione sia limitata. La localizzazione può avere effetti di varia natura sui costi delle attività. Si pensi ai due casi estremi del “distretto” e del “deserto industriale”, ciascuno dei quali presenta vantaggi (abbondanza di fornitori e riduzione del turnover) e svantaggi. I fattori istituzionali possono permettere di ottenere costi più bassi in virtù di condizioni di privilegio nell’accesso ad alcuni fattori produttivi, come accade oggi in molti Paesi in via di sviluppo. Determinanti legate alla diversità nel valore offerto nel sistema di prodotto (o value proposition). Si tratta di una fonte di opportunità di riduzione dei costi di portata notevole, che parte dal presupposto di non offrire al cliente elementi che non siano necessari per lui, o che non giustifichino una maggiorazione del prezzo di acquisto. Uno dei casi più famosi è il caso IKEA, che ha concepito i “mobili montati e trasportati dal cliente”. Determinanti legate alla cultura delle persone e alla qualità del controllo. Cultura delle persone e qualità del controllo sono elementi di natura “personale” o “organizzativa” che incidono in modo significativo sulla capacità di contenimento dei costi. Si tratta di “variabili soft”. FOCUS: IL RAPPORTO TRA LE DETERMINANTI DI COSTO E LE ATTIVITÀ Lo studio delle determinanti di costo incontra spesso difficoltà, perché queste son spesso percepite come qualcosa di astratto. In realtà, non vi è niente di più concreto. Esse sono le caratteristiche delle singole attività che incidono sull’andamento dei rispettivi costi di esecuzione, rendendole più o meno efficienti e, ciò che più conta, più o meno uniche rispetto alle attività dei concorrenti. L’impatto di queste determinanti sul vantaggio di costo e sulla sua difendibilità è enorme, e, come tale, merita di essere approfondito. Pertanto, la spiegazione delle determinanti di costo presuppone che le attività siano state messe a fuoco in modo capillare. SCELTE DI AMBITO E VANTAGGIO COMPETITIVO DI COSTO - LA LEADERSHIP DI COSTO E LA FOCALIZZAZIONE ORIENTATA AL VANTAGGIO COMPETITIVO DI COSTO Il vantaggio di costo può essere realizzato operando su un ambito competitivo ampio o limitato, dando origine, rispettivamente, alla leadership di costo o alla focalizzazione orientata al vantaggio competitivo di costo. La leadership di costo è una strategia piuttosto diffusa, interpretata di solito da aziende di grande dimensione e notevole visibilità. Quando l’azienda punta al perseguimento della leadership di costo, corre un rischio importante, poiché, se non raggiunge o difende tale posizione, può rimanere o divenire second leader, e