Diritto Costituzionale PDF
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Questo documento tratta di diritto costituzionale, descrivendo procedure legislative, la creazione di una moneta unica (euro) e le funzioni svolte dal sistema europeo delle banche centrali. Sono presenti diverse tipologie di costituzione, con la focus sulla costituzione italiana e le sue caratteristiche.
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procedura legislativa speciale, coincidente con l'originaria procedura di consultazione. Per tutte le altre si applica la procedura legislativa ordinaria, basata sulla codecisione, che comporta la partecipazione paritaria del Parlamento e del Consiglio dell'Unione. Con la procedura...
procedura legislativa speciale, coincidente con l'originaria procedura di consultazione. Per tutte le altre si applica la procedura legislativa ordinaria, basata sulla codecisione, che comporta la partecipazione paritaria del Parlamento e del Consiglio dell'Unione. Con la procedura di consultazione il Parlamento esprime un parere, che è obbligatorio ma non vincolante per il Consiglio dell'Unione, cui spetta il potere finale di adottare l'atto legislativo. Questa procedura è usata per poche materie, anche se si tratta di materie politicamente molto sensibili, in cui gli Stati membri vogliono mantenere un'influenza predominante: sono la sicurezza, la protezione sociale, la cittadinanza, il diritto di famiglia ecc.… Per queste materie il parere del Parlamento è vincolante e la procedura si chiama procedura di parere conforme. Essa riguarda l'adozione della decisione sul sistema delle risorse proprie, l'adozione del quadro finanziario pluriennale e le norme dirette a combattere le discriminazioni o a completare i diritti dei cittadini europei. Nella procedura legislativa ordinaria la decisione legislativa deve essere presa dal Parlamento e dal Consiglio che agiscono come co legislatori. Questa procedura si articola in tre fasi. La proposta della Commissione è presentata sia al Parlamento che al Consiglio. Inizia così la prima lettura con la nomina da parte della Commissione competente del Parlamento di un relatore. Sulla base della sua relazione, di regola, si apre un negoziato con la Commissione e il Consiglio. Si tratta del primo dei cosiddetti triloghi, termine con cui si indicano i contatti informali fra i tre legislatori europei, la Commissione il Consiglio e il Parlamento con lo scopo di pervenire ad un accordo sul testo da adottare. Se l'accordo è raggiunto la procedura si chiude con la prima lettura altrimenti si passa alla seconda lettura e eventualmente anche alla terza. Quest'ultima è preceduta dall'accordo da raggiungere in un apposito comitato di conciliazione. la fase dell'esecuzione delle leggi europee spetta agli Stati membri. Infatti, sono questi che adottano tutte le misure del diritto interno necessarie per l'attuazione degli atti giuridici vincolanti dell’Unione. Il mercato unico è stato completato con la creazione di una moneta unica, l'euro nonché dalla conduzione di una politica monetaria e di una politica del cambio uniche, gestite da istituzioni comunitarie - il sistema europeo di banche centrali (SEBC) indipendente sia dalle istituzioni nazionali che da quelle europee. Tra le finalità principali dell'unione europea vi è quella di mantenere la stabilità dei prezzi, perciò, la politica monetaria e la politica del cambio comuni devono avere un obiettivo prioritario: la stabilità dei prezzi, e quindi la lotta all'inflazione. Solo dopo aver assicurato questo obiettivo può servire a sostenere le altre politiche della comunità ma anche qui conformandosi ad un altro principio, quello della libera concorrenza. Nel SEBC, le banche centrali - In Italia si chiama Banca d'Italia svolgono due compiti: concorrere, tramite il proprio vertice istituzionale, cioè il governatore, a determinare le decisioni del consiglio direttivo della BCE; dare attuazione a tali decisioni entro il confine del proprio paese. Istituzionalmente la BCE ha la competenza esclusiva per quanto riguarda la politica monetaria, che deve avere come obiettivo la stabilità dei prezzi, operando affinché non si producano spinte inflazionistiche. In questo quadro. Il trattato sul funzionamento dell’Unione Europea vieta alla BCE di aiutare finanziariamente gli Stati e le altre istituzioni pubbliche, per esempio acquistando il loro debito pubblico al momento della sua emissione. Si è voluto così evitare l'azzardo morale, e cioè che qualche stato adotti una politica fiscale lassista con incremento del deficit e del debito sapendo che alla fine non potrà subire le conseguenze estreme di tali scelte cioè l'insolvenza. IV LA COSTITUZIONE È la prima fondamentale fonte dell’ordinamento interno: condiziona tutte le altre; è sovraordinata a tutte; è la massima espressione dell’originarietà-esclusività dell’ordinamento normativo; è la fonte suprema dei poteri interni di produzione normativa e fonte e limite dei poteri esterni. Ha efficacia: attiva: pone norme valide fino all’abrogazione da parte di fonti cui lei stessa demanda questo potere; passiva: resiste all’abrogazione da parte di fonti non da essa autorizzate e nei limiti di forma e di sostanza in cui ciò sia consentito. La sua superiorità si manifesta proprio nello stabilire le condizioni di validità del procedimento e dei contenuti della propria revisione. Si distinguono 2 concetti di costituzione: 1. in senso lato il termine indica la struttura fondamentale di una comunità politica. In questo senso tutti hanno una Costituzione. 2. in un significato più ristretto, il termine designa la legge suprema che in ogni Stato definisce i diritti e i doveri dei cittadini. In questo senso la costituzione è un documento legislativo scritto che disciplina gli organi fondamentali dello Stato. La costituzione è una legge più importante delle leggi ordinarie. Esistono diverse tipologie: 1. Le Costituzioni concesse: elargite dal sovrano al popolo; 2. Le Costituzioni votate: deliberate dal popolo, mediante l’elezione di un’assemblea costituente; 3. Le Costituzioni flessibili: si possono modificare con le stesse procedure e le stesse maggioranze parlamentari richieste per l’emanazione delle leggi ordinarie; la legge del Parlamento è idonea a modificare o abrogare norme Costituzionali. Una Costituzione non scritta è sempre flessibile. (lo Statuto Albertino era modificabile solamente con legge ordinaria) 4. Le Costituzioni rigide: sono modificabili con procedure più complesse (procedure rinforzate o aggravate); la legge ordinaria non può né abrogarla né modificarla né contraddirvi. La rigidità di una Costituzione è garantita dalla possibilità che le norme contrastanti con la Costituzione siano eliminate; il compito di giudicare gli eventuali contrasti tra leggi e Costituzione è affidato, in Italia alla Corte Costituzionale. È una costituzione rigida, cioè modificabile con procedimento aggravato rispetto a quello previsto per la legislazione ordinaria (138 C). Ma non tutte le sue norme sono revisionabili; l’art 139 vieta la revisione della forma repubblicana, che si concreta nella: - elettività del Capo dello Stato; - sovranità popolare; - autonomia degli enti territoriali; - elezione delle rappresentanze politiche; - libertà di associazione, pensiero, voto. La rigidità è garantita dal controllo di legittimità delle leggi nei confronti del legislatore sia ordinario che costituzionale; questa rigidità “garantita” rappresenta un limite implicito alla revisione costituzionale, altrimenti potrebbe venire meno la stessa forma repubblicana. 5. Le Costituzioni scritte: sono contenute in documenti che precisano in modo rigoroso e chiaro i diritti e i doveri dei cittadini; si pone come il principale degli atti normativi dello Stato; essa ha un’effettiva superiorità gerarchica sulle altre fonti del diritto, e in particolare sulla legge ordinaria del Parlamento. 6. Le Costituzioni non scritte: consistono in principi consuetudinari che si adattano di volta in volta alle diverse situazioni storiche; 7. Le Costituzioni brevi: affermano i principi essenziali dell’ordinamento (1800); 8. Le Costituzioni lunghe: contengono un insieme sistematico di principi coordinati fra loro in una visione globale dei rapporti giuridici; 9. Le Costituzioni formali: è data dal complesso di norme accolte nel testo costituente; insieme dei testi normativi di un rango. 10. Le Costituzioni materiali: è quella effettivamente vigente nella realtà. Cioè, l’effettivo modo di essere della Costituzione. La Costituzione italiana L’Assemblea costituente si riunì per la prima volta nel 1946. All’elaborazione della Costituzione si giunse in due fasi: 1. La fase preparatoria: realizzata da un’apposita Commissione (Commissione dei 75). Questa commissione era divisa in tre sottocommissioni che dovevano occuparsi di 3 temi: I diritti e doveri dei cittadini L’ordinamento della Repubblica diritti e doveri economico – sociali 2. La fase plenaria in aula. Il progetto di Costituzione venne presentato all’Assemblea plenaria nel Gennaio del 1947 e venne approvato in testo definitivo nel Dicembre 1947 con un voto delle camere a maggioranza superiore a 2/3 dei loro membri. La Costituzione è entrata in vigore il 1° gennaio 1948. La Costituzione è il punto di convergenza di 3 diverse tradizioni culturali: 1) cultura liberale = riconoscimento dei diritti della persona 2) cultura cattolica = diritti dell’uomo in comunità 3) cultura socialista = difesa del lavoro e delle classi più deboli Le diverse tradizioni hanno dato vita a un “Costituzione di compromesso” La nostra costituzione ha delineato uno Stato i cui cittadini siano uomini liberi. L’Italia repubblicana presenta la caratteristica di essere: 1) Stato di diritto: le norme giuridiche disciplinano l’attività dei privati e dello Stato. Il cittadino può avvalersi della legge per difendere i propri diritti. 2) Stato democratico - rappresentativo: I cittadini sono i titolari della sovranità. Nei moderni Stati democratici la possibilità che le decisioni vengano prese direttamente dal popolo incontra un limite invalicabile nella difficoltà di convocare tutti i cittadini. Per questo eleggiamo i nostri rappresentanti in Parlamento. 3) Stato sociale: La nostra democrazia riconosce a tutti pari dignità sociale e impiega la Repubblica a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana. La nostra carta fondamentale ha fornito al nostro paese una serie coordinata di principi capaci di regolare la convivenza dei cittadini e il funzionamento delle istituzioni. Le prescrizioni costituzionali, però, sono state realizzate lentamente. La Costituzione italiana si definisce: scritta perché i principi e gli istituti fondamentali dell'organizzazione dello Stato sono consacrati in un documento (il testo costituzionale) e perché è espressamente prevista (art.138) la forma scritta per le leggi che regolino la materia costituzionale; rigida perché alle norme in essa contenute è stata assegnata un'efficacia superiore a quella delle leggi ordinarie, vengono modificate con una procedura aggravata. votata; convenzionale perché le forze politiche che l'hanno redatta e approvata erano fra loro in contrasto a causa delle profonde divisioni ideologiche fra le forze politiche cattoliche, comuniste, liberali tutte rappresentate nell’Assemblea costituente, per cui stato necessario, al fine di dare un nuovo assetto costituzionale allo Stato, che esse procedessero alle relative concessioni. Una Costituzione si dice ordinativa quando promana da un'unica forza politica che detiene il potere. Il testo della Costituzione si articola in 3 parti: 1) Principi fondamentali (artt. 1-12): affermano i valori fondamentali di libertà, uguaglianza, solidarietà. I principi fondamentali stabiliscono dei criteri di ordine generale a cui si devono attenere le leggi ordinarie nell’elaborazione dell’ordinamento giuridico. I principi sono un tipo di norma giuridica che si distingue dalle regole per il fatto di essere dotato di un elevato grado di genericità e di non essere circostanziato. I principi sono affermazioni assolute. 2) Parte I - Diritti e doveri dei cittadini (artt. 13-54) Questa parte regola i rapporti civili, etico - sociali, politici, economici. Queste norme rappresentano un’innovazione rispetto alle costituzioni allora vigenti nei paesi democratici; 3) Parte II - Ordinamento della Repubblica (artt. 55-139). Delinea il nostro ordinamento statale. Gli organi costituzionali sono: Parlamento, Presidente della Repubblica, Governo, Magistratura. Seguono le norme relative alle regioni, province e comuni e alle garanzie costituzionali. Attorno ai suoi 139 articoli vi sono numerosi componenti che formano assieme il diritto costituzionale. a) Vi sono alcune leggi costituzionali che riguardano questioni specifiche; le garanzie di indipendenza dei giudici della Corte costituzionale; i modi di accesso alla Corte stessa. b) Vi sono le tradizioni costituzionali di cui siamo eredi. c) La giurisprudenza della Corte costituzionale è uno dei grandi tributari del diritto costituzionale. La costituzione si conclude con una serie di disposizioni transitorie e finali che sono parti del testo, enunciati scritti dal legislatore. Le leggi di revisione costituzionale approvate ed entrate in vigore sono meno di trenta. V FORME DI GOVERNO Le forme di governo conosciute dallo Stato liberale sono la monarchia costituzionale, il governo parlamentare e il governo presidenziale. La monarchia costituzionale è la forma di governo che si afferma nel passaggio dallo Stato assoluto allo Stato liberale. Essa nasce quando il parlamento vede riconosciuti i suoi poteri che limitavano quelli del Re. Nell'Europa continentale si è affermata dopo la Rivoluzione francese del 1789 e trova espressione nelle prime Costituzioni liberali: le Costituzioni francesi del 1791 e del 1814, lo Statuto Albertino del 1848, la Costituzione prussiana del 1850 e la Costituzione dell'impero tedesco del 1871. Con la monarchia costituzionale si caratterizza per la netta separazione dei poteri tra il Re ed il Parlamento, titolari rispettivamente del potere esecutivo e del potere legislativo. Il Re restava titolare di prerogative che gli consentivano di partecipare all'esercizio della funzione legislativa attraverso la sanzione (sanzione regia) delle leggi approvate dal Parlamento, di quella giurisdizionale attraverso la nomina dei giudici ed il potere di concedere grazie e commutare pene. Inoltre, il monarca aveva il potere di nominare i ministri, che erano suoi diretti collaboratori. La monarchia costituzionale si basava perciò sull'equilibrio che si veniva a creare tra due centri di potere - il re ed il parlamento- ciascuno dei quali si basava su un diverso principio di legittimazione politica. Da una parte il principio monarchico- ereditario, dall'altro principio elettivo, sia pure circoscritto ai cittadini più abbienti e istruiti. Con l'ascesa graduale della classe borghese si assiste ad una graduale evoluzione della monarchia costituzionale che si è trasformata in forma di governo parlamentare. Quest'ultima storicamente si è affermata allorché tra il re e il parlamento si è inserito un terzo organo, e cioè il Governo o Gabinetto, legato da un rapporto di fiducia con il parlamento, il quale poteva costringerlo alle dimissioni votando la sfiducia. La forma di governo parlamentare ha conosciuto fasi distinte. Il sistema parlamentare delle origini era un parlamentarismo dualista dotato dei seguenti caratteri: a) il potere esecutivo era ripartito tra il Capo dello Stato e il Governo (esecutivo bicefalo); b) il governo doveva avere una doppia fiducia, quella del re è quella del parlamento; c) a garanzia dell'equilibrio tra potere esecutivo e potere legislativo, al Capo dello Stato era riconosciuto il potere di scioglimento anticipato del Parlamento, che fungeva da contrappeso alla responsabilità politica del governo. Il dualismo rifletteva un determinato equilibrio sociale, per cui da una parte c'era il monarca che costituiva punto di riferimento delle classi aristocratiche e dall'altra parte c'era il Parlamento che rappresentava gli interessi della borghesia. Quest'equilibrio però gradualmente si è modificata a vantaggio della classe borghese. Questa seconda fase ha visto l'affermazione del parlamentarismo monista, in cui il Governo ha un rapporto di fiducia esclusivamente con il Parlamento e il Capo dello Stato è relegato in un ruolo di garanzia e perciò assolutamente estraneo al circuito di decisione politica. Il principale strumento attraverso cui si è realizzata questa trasformazione del ruolo del Capo dello Stato è la controfirma che ha assunto la funzione di trasferire al governo, controfirmante, la responsabilità politica per gli atti del Capo dello Stato; infine ha comportato l'assunzione, da parte del governo, del potere sostanziale di determinare il contenuto dell'atto che è soltanto formalmente è rimasto imputato al Capo dello Stato. Il parlamentarismo è diventato così monista, perché il potere di direzione politica si è concentrato nel sistema parlamento-governo intimamente legati grazie al rapporto di fiducia. Nello Stato di democrazia pluralista il funzionamento della forma di governo è influenzato dalla presenza di una pluralità di partiti e gruppi organizzati, che costituiscono l'elemento maggiormente caratterizzante questa forma di Stato. Quando parliamo di sistema dei partiti intendiamo riferirci essenzialmente al numero di partiti ed al tipo di rapporto che si instaura tra di essi. In particolare, la Scienza politica ha classificato i sistemi politici tenendo conto non solo del numero dei partiti, ma anche del potenziale di coalizione e di condizionamento di ciascun partito che è connessa alla rispettiva ideologia. Quando è molto elevata la distanza ideologica tra i partiti si dice che il sistema politico è ideologicamente polarizzato. In questo caso diminuiscono le possibilità di aggregazione tra i partiti, e addirittura ve ne sono alcuni che non possono essere aggregati a nessuna coalizione (partiti antisistema). Pertanto, il sistema funziona basandosi su una molteplicità di poli politici (sistema multipolare). Diversa è la situazione di quei sistemi politici in cui le distanze ideologiche tra i partiti sono ridotte, con la conseguenza che ciascuno di essi ha un elevato potenziale di coalizione. In questo caso anche se il sistema è pluripartitico, esso finisce per imperniarsi su due poli (sistema bipolare). Di conseguenza, la competizione elettorale è vissuta come competizione tra due poli politici, pertanto, dalle elezioni emerge con chiarezza la coalizione di partiti che ottiene la maggioranza e che pertanto esprimerà il Governo. Il sistema bipolare può avere modalità di funzionamento simili a quelle di un sistema bipartitico, dove essendoci due soli partiti le elezioni diventano una competizione tra due forze alternative (l'esempio classico è la Gran Bretagna con i conservatori ed i laburisti). La forma di governo parlamentare si caratterizza per l'esistenza di un rapporto di fiducia tra Governo e Parlamento: il primo costituisce emanazione permanente del secondo, il quale può costringerlo alle dimissioni votandogli contro la sfiducia. Se il parlamento è bicamerale, occorre distinguere i sistemi costituzionali in cui la fiducia può essere votata da ciascuna camera (così in Italia), da quelli in cui il rapporto di fiducia intercorre con una sola camera, la "camera politica", (così in Germania). Con l'espressione razionalizzazione del parlamentarismo si indica la tendenza a tradurre in disposizioni costituzionali scritte le regole sul funzionamento del sistema parlamentare. La razionalizzazione del parlamentarismo ha avuto come obiettivo prevalente quello di garantire la stabilità del Governo, la sua capacità di realizzare l'indirizzo politico prescelto, nell'ambito di un sistema costituzionale che comunque tutela le minoranze politiche. Per comprendere il funzionamento della forma di governo parlamentare è necessario distinguere il parlamentarismo maggioritario dal parlamentarismo compromissorio. Il parlamentarismo maggioritario (o a prevalenza del Governo) si caratterizza per la presenza di un sistema politico bipolare con due partiti o due poli fra loro alternativi. In questo modo le elezioni permettono di dare vita ad una maggioranza politica, il cui leader va ad assumere la carica di Primo ministro (o Cancelliere o Presidente del Consiglio: la terminologia costituzionale varia per indicare il Capo del Governo); pertanto il ministro gode della forte legittimazione politica che deriva dall'investitura popolare ed il Governo ha il sostegno di una maggioranza politica che, di regola, lo sostiene per tutta la durata della legislatura (si parla di governo di legislatura). È importante sottolineare come in questi sistemi l'elettore formalmente non vota per il Primo ministro, ma per i candidati al Parlamento nel suo collegio elettorale; ma poiché ciascun partito (nei sistemi bipartitici) o ciascuna coalizione (nei sistemi bipolari) si presenta alla competizione elettorale con un leader che assumerà, nel caso di vittoria, la carica di Primo ministro, l'elettore sa che, votando per il candidato al Parlamento, esprime la sua preferenza per la persona che dovrà assumere la carica di Primo ministro. Al partito o alla coalizione di partiti che costituisce la maggioranza politica, si contrappone il partito o la coalizione di partiti di minoranza, che costituisce l'opposizione parlamentare. Quest'ultima esercita un controllo politico sul Governo e la maggioranza. La funzione di opposizione trova un fondamento normativo in regole consuetudinarie e nei regolamenti parlamentari e in Gran Bretagna è istituzionalizzata a tal punto da dare vita ad un Gabinetto ombra (Shadow Cabinet). Il parlamentarismo a prevalenza del Parlamento è caratterizzato da un sistema politico che opera seguendo un modulo multipolare. Le elezioni non consentono agli elettori di scegliere né la maggioranza né il Governo. Piuttosto sono i partiti dopo le elezioni a concludere degli accordi attraverso cui si forma la maggioranza politica e si individua la composizione del Governo e della persona che dovrà assumere la carica di Primo ministro. Il governo può contenere esponenti di tutti partiti che fanno parte della maggioranza (Governo di coalizione) oppure può avere l'appoggio esterno dei partiti che gli votano la fiducia. In certi sistemi la procedura parlamentare è regolata in modo tale da favorire la ricerca del compromesso tra maggioranza e minoranza. Attraverso il compromesso parlamentare, partiti espressione di ideologie in radicale contrasto possono coesistere pacificamente e, a lungo andare costruire, poco alla volta, quella fiducia reciproca che inizialmente non esisteva. In questo caso il sistema può essere denominato parlamentarismo compromissorio. Il parlamentarismo compromissorio comporta la garanzia del pluripartitismo e la competitività fra i partiti durante la campagna elettorale; le elezioni servono a contare il consenso di cui ciascun partito gode nel Paese e quindi ad individuarne la forza politica. La forma di Governo presidenziale è quella in cui il Capo dello Stato (chiamato Presidente): è eletto dall'intero corpo elettorale nazionale; non può essere sfiduciato da un voto parlamentare durante il suo mandato, che ha una durata prestabilita; presiede e dirige i Governi da lui nominati. Questo è il caso di Stati Uniti d'America: qui il Presidente ed il vicepresidente sono eletti per un mandato di quattro anni, attraverso una procedura che solo formalmente è a doppio grado: in ogni Stato sono eletti gli "elettori presidenziali", i quali successivamente sono riuniti in un collegio ad hoc che procede alla scelta del Presidente e del vicepresidente. Ma poiché i due grandi partiti (repubblicano e democratico) hanno già in precedenza individuato i propri candidati, significa che l'elettore nell'ambito di ciascuno Stato, formalmente vota per l'elettore presidenziale, mentre in realtà esprime la sua preferenza per il candidato alla Presidenza. Perciò il Presidente degli Stati Uniti d'America gode della forte legittimazione politica che deriva dall'investitura popolare diretta. Non esiste un organo chiamato Governo: i collaboratori, chiamati Segretari di Stato, quando sono riuniti formano il cosiddetto Gabinetto, privo di qualsiasi rapporto con l'Assemblea. Di fronte al Presidente c'è il Parlamento, che prende il nome di Congresso, che ha struttura bicamerale. Le camere sono: il Senato e la Camera dei rappresentanti. Il Congresso è titolare del potere legislativo, approva il bilancio animale, può mettere in stato d' accusa il Presidente, per tradimento, corruzione o altri gravi reati. Presidente e Congresso sono reciprocamente indipendenti. In particolare, il Presidente ha il potere di veto sospensivo delle leggi approvate dal Congresso. Il sistema si caratterizza, dunque, perché il Presidente, Capo del Governo, trae la sua legittimazione direttamente dalla collettività nazionale, così come il Parlamento. A questa legittimazione politica, corrisponde una disciplina costituzionale dei rapporti tra i poteri che consacra e garantisce la separazione dei due poteri: il Presidente è separato dal sostegno parlamentare, visto che non esiste il voto di sfiducia, con la conseguenza che resta in carica indipendentemente da questo sostegno; di contro, il Presidente non ha strumenti giuridici per superare l'ostilità del Parlamento, in quanto non dispone del potere di scioglierlo anticipatamente. Di conseguenza, si determina un dualismo paritario tra Presidente e Parlamento (che è proprio l'opposto del monismo del sistema parlamentare, in cui Governo e Parlamento sono strettamente collegati per via del rapporto di fiducia e della maggioranza parlamentare). La forma di governo semipresidenziale si caratterizza per i seguenti elementi costitutivi: il Capo dello Stato (chiamato Presidente) è eletto direttamente dal corpo elettorale dell'intera nazione e dura in carica per un periodo prestabilito; il Presidente è indipendente dal Parlamento, perché non ha bisogno della sua fiducia, tuttavia non può governare da solo, ma deve servirsi di un Governo, da lui nominato; il governo deve avere la fiducia del Parlamento. Perciò, in tale sistema c'è una struttura diarchica o bicefala del potere di governo, che, infatti, ha due teste: il Presidente della Repubblica e il Primo ministro. Quest'ultimo fa parte di un governo che deve avere la fiducia del Parlamento, mentre il Presidente trae la sua legittimazione direttamente dall'elezione popolare e perciò non ha bisogno della fiducia parlamentare. Questa struttura duale del potere di governo, con le sue due teste, consente diversi equilibri della forma di governo, che può vedere ora la prevalenza del Presidente, ora del Primo ministro e della sua maggioranza. Perciò, sistemi costituzionali riconducibili al modello semipresidenziale hanno tra loro notevoli differenze, con la conseguenza che è opportuno distinguere: a) forme di governo semipresidenziale a Presidente forte, dove il Presidente, in quanto leader della maggioranza parlamentare può indirizzare sia il Governo, che di essa è espressione, che il Parlamento b) forme di governo semipresidenziale a prevalenza del Governo dove il ruolo del Presidente si riduce a quello di garanzia. L'analisi delle forme di governo termina con l'esame di alcune che hanno avuto una diffusione particolarmente ridotta. Esse sono: la forma di governo neoparlamentare, che si caratterizza per il rapporto di fiducia tra Governo e Parlamento, l'elezione popolare diretta del Primo ministro, l'elezione contestuale di Primo ministro e Parlamento e il "Governo di legislatura" (dove un eventuale crisi di governo comporta lo scioglimento del Parlamento e nuove elezioni per l'Assemblea e per il Primo ministro). L'unico esempio è Israele. La forma di governo direttoriale, adottata solamente dalla Confederazione svizzera, che si caratterizza per la presenza, accanto al Parlamento, di un direttorio (formato da cinque membri, eletto ma non revocabile dal primo, che svolge contemporaneamente le funzioni di governo di Capo di Stato). Nella legislazione elettorale confluiscono tre diverse componenti: a) le norme che stabiliscono i soggetti che godono dell'elettorato attivo (cittadinanza politica); b) le regole sul sistema elettorale, che stabiliscono i meccanismi attraverso cui i voti espressi degli elettori si trasformano in seggi parlamentari; c) la legislazione elettorale di contorno, formata da quelle regole che stabiliscono le modalità di svolgimento delle campagne elettorali, i modi di finanziamento della politica, il regime dell'ineleggibilità e delle incompatibilità parlamentari, per garantire la lealtà della competizione elettorale, la parità tra i concorrenti e impedire il conflitto d'interessi tra la carica di parlamentare e altri ruoli occupati dal medesimo soggetto nella società. L'art. 48 Cost. afferma che sono elettori i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. Questa norma disciplina il cosiddetto elettorato attivo, cioè la capacità di votare. Esso è subordinato al possesso di due requisiti positivi: la cittadinanza italiana e la maggiore età (la stessa con riduzione, però, prescrive per l'elezione del senato un'età più elevata, quella di 25 anni ex art. 58 Cost.). Anche i detenuti, che non siano incorsi in una causa di incapacità elettorale, sono ammessi a votare nel luogo di detenzione, mentre i malati possono votare negli ospedali e nelle case di cura. L'elettorato attivo viene escluso ai sensi dell'art. 48.3 Cost. per cause di incapacità civile (minori e incapaci), per effetto di sentenze penali irrevocabili (per esempio delitti fascisti o il compimento di un numero considerevole di delitti e contravvenzioni che portano, però, alla sospensione per cinque anni del diritto di voto), per cause di indennità morale (i falliti, finché dura lo stato di fallimento, coloro che sono sottoposti alle misure di prevenzione di polizia, coloro che sono sottoposti all'interdizione temporanea dei pubblici uffici. Invece, i condannati a pena che comporta l'interdizione perpetua dai pubblici uffici sono esclusi in via definitiva dal diritto di voto). Secondo l'art.48.2 Cost. il voto è: personale (è escluso il voto per procura), eguale (esclude la possibilità che a certi soggetti sia attribuito il voto plurimo), libero (perché è si considera reato l'elargizione di denaro e di cibo nell'imminenza delle elezioni), segreto (fanno eccezione i ciechi) dovere civico (che non implica l'obbligatorietà giuridica del diritto di voto e non prevede sanzione per chi non esercita il diritto di voto). Anche i cittadini italiani residenti all'estero hanno diritto di voto per l'elezione del Parlamento. Una recente legge di revisione costituzionale (legge Cost.1/2000) ha istituito la circoscrizione Estero, dove i cittadini residenti all'estero dovranno votare e nella quale vengono eletti dodici deputati e sei senatori (il numero complessivo dei deputati e dei senatori rimane invariato). Dall'elettorato attivo va distinto l'elettorato passivo, che consiste nella capacità di essere eletto. Quest'ultima pone una restrizione concernente l'età: per essere eletti alla Camera dei deputati occorre avere compiuto 25 anni (art.56.3), mentre per essere eletti al senato occorre avere almeno 40 anni (art.58.2). L’ineleggibilità si ha quando un cittadino, pur godendo del diritto di elettorato passivo, non possa essere eletto a cagione di una situazione di inopportunità indicata dalla legge e preesistente allo svolgimento delle elezioni. Vi sono tre categorie di cause di ineleggibilità: 1. la titolarità di particolari uffici pubblici. Consiglieri regionali, presidenti delle giunte regionali, i sindaci dei comuni con popolazione superiore ai 20.000 ab., i capi di gabinetto dei ministri, i commissari del governo presso le regioni, i prefetti o chi ne fa le veci, i viceprefetti e i funzionari di pubblica sicurezza, etc. 2. Qualora il soggetto abbia un rapporto di impiego con altri stati: addetti alle ambasciate, legazioni e consolati esteri. 3. Situazioni di vincolo economico finanziario che legano determinati cittadini allo stato. I rappresentanti, amministratori e dirigenti di società e imprese volte al profitto di privati e sussidiate dallo Stato con sovvenzioni continuative, quando tali sussidi non siano concessi con legge dello stato. Vi è poi il caso di ineleggibilità relativa, limitata solo ad alcune circoscrizioni elettorali. Per generali, ammiragli e ufficiali superiori delle forze armate ineleggibili nella circoscrizione del loro comando territoriale. L’ Incompatibilità si ha quando vengono ricoperti determinati uffici pubblici e allora è necessario optare fra la carica precedentemente posseduta e quella di parlamentare. Ad esempio, non si può essere contemporaneamente senatore e deputato (art. 65.2 Cost.), parlamentare e componente del Consiglio Superiore della Magistratura (art. 104.7 Cost.), parlamentare e giudice della Corte costituzionale (art. 135 Cost.), Presidente della Repubblica e qualsiasi altra carica (art. 84.2 Cost.). Sul piano degli effetti, le cause di ineleggibilità hanno natura invalidante; mentre le cause di incompatibilità possono essere rimosse attraverso l’opzione da parte dell’interessato fra le due cariche. L'istituto di verso sia dall’ineleggibilità che dell'incompatibilità è la cosiddetta incandidabilità che inizialmente è stata introdotta solamente riguardo alle cariche elettive di livello locale e regionale ma poi è stata estesa tutte le figure politiche. L'istituto dell'incandidabilità ha avuto la più ampia applicazione a seguito dell'approvazione della cosiddetta legge anticorruzione, la legge Severino, che l’ha attuata. Essa reca il divieto di ricoprire cariche elettive e di governo per chi è colpito da sentenze definitive di condanna alla pena della reclusione superiore a due anni riferita a gravi reati non colposi. Si tratta di tre categorie di delitti, consumati o tentati, di particolare allarme sociale (sfruttamento sessuale di minori, reati di stampo sociale o terrorismo ecc.) Se l’incandidabilità sopraggiunge dopo l'assunzione della carica si verifica la decadenza dalla stessa. Quando un soggetto riveste la carica ed è condannato con una sentenza non definitiva, scatta la sospensione della carica virgola in attesa della sentenza definitiva. Il sistema elettorale è il meccanismo attraverso cui i voti espressi dagli elettori si trasformano in seggi. Il sistema elettorale si compone di tre parti: 1. Il tipo di scelta che spetta all’elettore, che può essere categorica (l’elettore opera una scelta secca) o ordinale (può esprimere un ordine di preferenze come nel c.d. voto trasferibile, dove l’elettore esprime un voto “principale” ed uno o più voti “ausiliari”, destinati al secondo candidato della scheda, nel caso in cui il primo candidato abbia già raggiunto in numero di voti necessario per essere eletto). 2. Il collegio, che è una circoscrizione territoriale chiamata ad eleggere uno o più candidati. I collegi si dicono uninominali quando il loro numero è pari a quello dei seggi da assegnare o, in altri termini, quando ogni collegio è chiamato ad eleggere un solo candidato. I collegi si dicono plurinominali quando il loro numero è inferiore al numero dei seggi, per cui avremo che ad ogni collegio vengono assegnati più seggi (e, di conseguenza, ogni collegio procederà all’elezione di più candidati). Di regola, il collegio uninominale si accoppia con il sistema maggioritario ed il collegio plurinominale con il sistema proporzionale. 3. La formula elettorale, che è il meccanismo attraverso cui si procede, sulla base dei voti espressi, alla ripartizione dei seggi tra i soggetti che hanno partecipato alla competizione elettorale. Tenendo conto della formula elettorale i sistemi elettorali si distinguono in maggioritari e proporzionali. Sistema elettorale maggioritario: con esso si vuole accertare soltanto la volontà espressa dalla maggioranza; i seggi attribuiti al collegio si assegnano ai candidati che abbiano ottenuto la maggioranza dei voti – vantaggio: maggiore stabilità politica. Nell’ambito dei sistemi maggioritari occorre distinguere due ipotesi: a) se è richiesta la maggioranza assoluta: in questo caso per vincere occorre la metà + 1 dei voti validi. Se nessun candidato la raggiunge, di regola, è previsto un secondo turno di votazione, alla quale accedono i due candidati risultati più votati al primo turno o tutti i candidati che hanno conseguito una percentuale minima di voti. Al secondo turno è eletto il candidato che ottiene più voti. b) Se è richiesta la maggioranza relativa, è eletto semplicemente chi ottiene più voti. Il sistema elettorale proporzionale: con esso si tiene conto anche della volontà espressa dalla minoranza; conseguentemente i seggi vengono assegnati alle varie forze politiche in proporzione dei voti conquistati su scala nazionale – vantaggio: maggiore rappresentatività delle assemblee elettive. A differenza di quelli maggioritari, si tiene conto, ai fini della ripartizione dei seggi, di tutte le liste di candidati che abbiano ottenuto una quantità di voti almeno pari ad una percentuale minima che prende il nome di quoziente elettorale. Pertanto, i seggi in palio non saranno attribuiti tutti alla lista che ottiene più voti, ma verranno ripartiti tra le varie liste in relazione alla rispettiva consistenza numerica. Le formule elettorali proporzionali più utilizzate sono: il metodo d'Hont o (delle divisioni successive) che funziona nel modo seguente: si divide la cifra elettorale (che è il totale dei voti riportati da ciascuna lista nel collegio) prima per uno, poi per due, quindi per 3,4, fino al numero dei seggi da coprire. Quindi si scelgono fra il quoziente così ottenuti i più alti in numero eguale a quello dei deputati da eleggere e si collocano in una graduatoria decrescente. il metodo del quoziente, invece, funziona nel modo seguente ed esistono due metodologie di calcolo:in generale, si divide la cifra elettorale generale (A+B+C) per il numero dei seggi e si ottiene il quoziente elettorale. Si calcola la cifra elettorale di ciascuna lista che è uguale al totale dei voti validi conseguiti dalla lista e si divide per il quoziente elettorale. Il risultato rappresenta il numero dei seggi spettanti alla lista. In conclusione, un sistema maggioritario ha un effetto selettivo, nel senso che l'accesso alle aule parlamentari viene consentito esclusivamente a chi ottiene più voti nei collegi, e quindi solamente alle forze politiche maggiori. Invece, tutte le forze minori che non raggiungono la maggioranza nei singoli collegi, non avranno rappresentanza parlamentare. Viceversa, i sistemi proporzionali garantiscono l'accesso in Parlamento anche alle minoranze politiche, sicché si può dire che essi hanno un effetto proiettivo. La Costituzione si limita a stabilire che le due Camere (dei Deputati e del Senato) sono elette a suffragio universale e diretto e che le elezioni per quella del Senato si svolgono su base regionale. La fisionomia dei sistemi di elezione è quindi lasciata alla legge ordinaria (al Parlamento). Sino al 93 le due Camere del Parlamento erano elette con un sistema proporzionale. Recentemente tale sistema è stato messo sotto accusa perché ritenuto causa fondamentale delle disfunzioni del sistema italiano, in quanto alimentava la frammentazione e ostacolava la governabilità. Grazie ad alcuni referendum (importante quello del 93, che fece registrare il più alto numero di sì), con una legge del '93 s'introdusse un sistema maggioritario con correzione proporzionale. A. Sistema elettorale per la Camera dei Deputati: con la legge del '93 s'introdusse un sistema maggioritario con correzione proporzionale. I 630 seggi sono divisi in 2 quote: una pari al 75% (475 seggi) assegnati con il maggioritario in collegi uninominali (dove si vota 1 sola persona ed è eletto deputato chi ottiene + voti in ogni collegio; l’altra pari al 25% (143 seggi meno i 12 assegnati alla “circoscrizione Estero”) eletti con il proporzionale con sbarramento del 4%. Il territorio italiano è diviso in 26 circoscrizioni elettorali (diversi dai collegi), la maggioranza delle quali corrisponde al territorio di una regione, tranne Lombardia che ne ha 3, Veneto, Piemonte, Lazio, Campania e Sicilia che ne hanno 2. I seggi sono ripartiti tra le circoscrizioni in base al numero degli abitanti risultanti dall'ultimo censimento. Il numero dei deputati può quindi variare da un’elezione all'altra in base ai movimenti demografici. I seggi di ogni circoscrizione vengono divisi in 2 gruppi: 75% maggioranza, 25% proporzionale. La Valle d'Aosta ha un seggio solo con maggioritario. Le votazioni per il maggioritario e il proporzionale si svolgono contemporaneamente, con 2 schede: una per l’elezione del candidato al collegio uninominale, l’altra per l’attribuzione dei seggi col metodo proporzionale. Elezione del 75% maggioritario: per eleggere i 475 deputati, il territorio di ogni circoscrizione è diviso in collegi uninominali tanti quanti sono i deputati da eleggere con sistema maggioritario. Ogni collegio elegge un solo deputato. Chiunque si può candidare a 2 condizioni: 1) la presentazione deve essere sottoscritta da almeno 500 cittadini di quel collegio, 2) la candidatura deve essere collegata ad 1 o + partiti. È possibile che più patiti si associno (max 5) per presentare 1 candidato. Non ci si può candidare in + collegi. Finite le votazioni, le schede vengono scrutinate e si sommano i voti. Viene eletto deputato che ha ottenuto + voti. Non è richiesta alcuna maggioranza, quindi un candidato può vincere con il 30 % dei voti. Elezione del 25% proporzionale: viene presentata una lista di candidati che può comprendere un numero di candidati pari ad 1/3 dei deputati da eleggere in quella circoscrizione. Possono essere inclusi anche quei candidati presentati nei collegi uninominali (col maggioritario). Ogni elettore esprime la sua preferenza per il partito e non per il candidato, i voti ottenuti da ogni partito in ciascuna circoscrizione vengono sommati a livello nazionale, una volta eliminati i partiti che non hanno raggiunto il 4 % (clausola di sbarramento) e messo in atto lo scorporo (serve per correggere i risultati ottenuti col maggioritario, i partiti già eletti subiscono una penalizzazione), vengono assegnati i seggi sul piano nazionale alle liste in proporzione alle cifre elettorali di ciascuna. Per designare i deputati eletti si segue l'ordine delle liste presentate nelle singole circoscrizioni. L'ordine dei candidati è quindi importante e questo è un grosso potere in mano ai partiti che decidono le liste. Si va alle elezioni suppletive, se il seggio di un deputato, in un collegio uninominale, diventa vacante (x morte o dimissioni), viene indetta una nuova elezione in quel collegio entro 90 giorni dalla data della vacanza. Se il seggio vacante appartiene alla quota eletta con il proporzionale subentra il primo dei non eletti. Per ripartire i seggi si procede nel seguente modo. L’Ufficio centrale circoscrizionale (Corte d’Appello o Tribunale di riferimento) proclama eletto in ciascun collegio uninominale il candidato che ha ottenuto più voti, mentre per assegnare i seggi residui con metodo proporzionale si usa la formula elettorale proporzionale del metodo del quoziente rettificato. B. Il sistema elettorale per il senato: introdotto con il referendum del 1993, è molto simile a quello della camera; infatti, anche qui i 315 seggi del senato sono assegnati con il 75% al metodo maggioritario e il 25% a quello proporzionale. La principale differenza è che l'elettore ha a disposizione una sola scheda, quella per scegliere il candidato nell'ambito del proprio collegio. La ripartizione del 25% proporzionale avviene sulla base dei risultati di quell'unica elezione sommati a livello regionale. I seggi sono assegnati alle regioni in proporzione alla popolazione. Nessuna regione può avere un numero minore di 7 senatori, tranne il Molise con 2 e Aosta con 1. I seggi assegnati vengono divisi in 2 gruppi: i 3/4 (232) sono destinati all'elezione diretta dei collegi, 1/4 (83) alla distribuzione proporzionale. Le regole per l'elezione nei collegi sono simili a quelli della Camera: ogni Regione è divisa in tanti collegi quanti sono i senatori da eleggere col maggioritario. Viene eletto senatore il candidato con + voti. Si passa, poi, ad eleggere i senatori col proporzionale: i voti ottenuti da ogni singolo partito nei collegi viene sommato a livello regionale e si dividono i seggi in modo proporzionale tra i vari patiti. Vengono eletti senatori i primi non eletti nei collegi uninominali. In questo sistema non è previsto lo sbarramento, anche se bisogna Contemplato all’ art. 87 Cost. laddove si dispone che il Presidente della Repubblica presiede il consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge, esso è inteso come un comitato interministeriale del governo con funzioni puramente consultive e organo di collaborazione fra governo e Presidente della Repubblica che ha poteri di convocazione, di formazione dell’ordine del giorno, di nomina e revoca del segretario del Consiglio. La legge istitutiva è la L. 28 luglio 1950 n. 624. Essa dispone la competenza in materia di esame dei problemi generali e tecnici e politici attinenti alla difesa nazionale determinando criteri e direttive per la organizzazione e il coordinamento dell’attività. Composizione: - Capo dello Stato come presidente - presidente del Consiglio dei ministri - ministri per gli affari esteri, l'interno, tesoro, difesa, industria e commercio - capo di stato maggiore della difesa Si riunisce almeno 2 volte l'anno anche eventualmente con composizione allargata di esperti politici o militari. Per quel che concerne la presidenza del Consiglio superiore della magistratura, la prassi riconosce al Presidente della Repubblica un generico potere di rinvio per irregolarità formali nello svolgimento del procedimento per il conferimento degli incarichi direttivi. Il Presidente non può delegare le funzioni relative al mandato presidenziale; tuttavia, può accadere che il Capo dello Stato sia oggettivamente impedito a svolgere i suoi compiti, come nel caso di una grave malattia o più semplicemente di un viaggio di rappresentanza. Perciò distinguiamo due tipi d’impedimenti, nei quali la supplenza è attribuita al Presidente del senato: Impedimenti temporanei: possono essere breve malattia, viaggi di lunga durata…; il Presidente del senato sostituisce il Capo dello Stato solo per il periodo strettamente necessario. (per i viaggi che il Presidente compie all’estero si parla di supplenza parziale, essa è relativa solo alle funzioni esercitabili all’interno dello Stato). Impedimenti permanenti: possono essere grave malattia, morte, dimissioni…per essi la Costituzione prevede che si proceda a nuove elezioni indette dal Presidente della Camera entro 15 giorni oppure nel termine più lungo previsto in caso di scioglimento delle camere, ovvero quando manchino meno di tre mesi al loro scioglimento. In tal caso il Presidente del Senato resterà in carica durante l’iter delle elezioni e sino al giorno del giuramento del nuovo Presidente. CAPITOLO VII REGIONI E GOVERNO LOCALE La Costituzione italiana aveva previsto uno Stato regionale e autonomista. Esso doveva basarsi su Regioni dotate di autonomia politica (art. 115 Cost.), cioè sulla capacità di darsi un proprio indirizzo politico, anche diverso da quello dello Stato, nonché di autonomia legislativa (art.117) e amministrativa nelle materie espressamente indicate dalla Costituzione (art.118). Alle Regioni era anche attribuita l'autonomia finanziaria (art.119). Le Regioni cui si doveva applicare la disciplina prevista dalla Costituzione erano 15. Ad esse si aggiungevano altre 5 regioni (Sicilia, Sardegna, Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige, Valle d'Aosta). Mentre le Regioni disciplinate direttamente dalla Costituzione sono state denominate regioni ordinarie, le altre sono state chiamate regioni speciali. Condizioni di particolare autonomia sono state pure riconosciute alle Province autonome di Trento e Bolzano. Il concreto trasferimento di funzioni amministrative dallo Stato alle Regioni è avvenuto prima nel 1972 e poi nel 1977, ma si è trattato di un trasferimento parziale perché i ministeri hanno conservato numerose competenze nell'ambito delle materie che la Costituzione affidava alle Regioni. Una svolta nella ripartizione delle funzioni amministrative c'è stata con la legge n. 59/1997 (la cosiddetta "legge Bassanini") che introduceva il seguente principio: alle Regioni ed agli enti locali dovevano essere attribuite tutte le funzioni e i compiti amministrativi relativi alla cura ed alla promozione dello sviluppo delle rispettive comunità nonché i compiti amministrativi localizzabili nei rispettivi territori, con la sola eccezione di quei compiti e funzioni amministrative riservate espressamente dalla legge medesima allo Stato. Nel 2001 il Parlamento ha approvato una legge costituzionale (legge cost. 3/2001) di riforma organica del titolo V della parte seconda della Costituzione. La nuova disciplina costituzionale ha mutato l'assetto dei rapporti tra Stato, Regioni ed enti locali realizzando un forte decentramento politico. La riforma ha disegnato una Repubblica delle autonomie, articolata su più livelli territoriali di governo (Comuni, Città metropolitane, Province, Regioni), ciascuno dotato di autonomia politica costituzionalmente garantita. La riforma costituzionale delle 2001 è stata preceduta da un'altra legge costituzionale (legge cost. 1/1999) che aveva modificato la forma di governo regionale, introducendo l'elezione popolare diretta del Presidente della Giunta e ampliando l'autonomia statutaria in materia di forma di governo. La Costituzione ha previsto che la Repubblica è articolata in Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, tutti dotati di autonomia costituzionalmente. Il nuovo testo dell'art.114, pertanto, pone sullo stesso piano lo Stato e gli altri enti territoriali minori, garantendo a ciascuno di essi una sfera di autonomia politica nell'ambito di un'unità complessiva che è la Repubblica. Lo Stato ha perduto la potestà legislativa generale perché d'ora in poi può legiferare solamente nelle materie individuate dalla Costituzione ed espressamente a lui riservate. L'art.117 attribuisce allo Stato una potestà legislativa esclusiva solamente nelle materie espressamente indicate dalla Costituzione (per esempio affari esteri, immigrazione, ordine pubblico, difesa, cittadinanza, moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari). In tutte le altre materie non espressamente riservate allo Stato, quest'ultimo non può più legiferare. Il nuovo testo costituzionale, infatti, ha previsto una potestà legislativa concorrente in determinate materie (per esempio tutela e sicurezza sul lavoro, professioni, tutela della salute, protezione civile, previdenza complementare integrativa, governo del territorio). In tali materie la legge statale si limita a fissare i principi fondamentali rinviando alla legislazione regionale la rimanente parte della disciplina (art.117.3). Per tutte le materie non elencate nell'art.117 la potestà legislativa è attribuita alle Regioni (mentre, secondo la costituzione del 1948, vigeva il principio inverso che attribuiva alle Regioni la competenza nelle sole materie espressamente indicate dall'art.117 Cost). Per cui la Regione ha una potestà legislativa residuale e spazi in tutte le materie non espressamente riservate allo Stato o ricomprese nella potestà concorrente. In precedenza, l'interpretazione prevalente del testo costituzionale originario si basava sul principio del parallelismo delle funzioni per cui nelle materie di competenza legislativa delle regioni, queste ultime esercitavano anche le funzioni amministrative, mentre, in tutte le altre le funzioni amministrative erano imputate allo stato. Con la legge Bassanini, prima, e con la riforma costituzionale, poi si è tentato di superare questo principio con l'attribuzione comuni della generalità delle funzioni amministrative con la sola eccezione di quelle che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a province città metropolitane regioni e stato sulla base dei principi di sussidiarietà (il livello di governo superiore interviene solo quando l'amministrazione vicina ai cittadini non possa da sola assolvere al compito), differenziazione (enti dello stesso livello possono avere competenze diverse) e adeguatezza (le funzioni devono essere affidate ad enti che abbiano i requisiti sufficienti di efficienza). A seguito della riforma costituzionale l'amministrazione pubblica dovrà essere essenzialmente un'amministrazione locale. Anche il nuovo testo costituzionale ha mantenuto le 5 regioni speciali. Occorre, però, aggiungere che nel nuovo assetto costituzionale le differenziazioni tra Regioni potranno crescere, sicché si potrebbe parlare di una diffusione della specialità. Infatti, le stesse regioni ordinarie potranno ottenere forme ulteriori di autonomia rispetto a quelle previste dalla disciplina costituzionale. Negli stati federali o comunque a forte decentramento politico si pone il problema dei raccordi (ossia degli strumenti di collegamento e di coordinamento) tra i diversi livelli territoriali di governo. La riforma costituzionale delle 2001 non ha previsto quel meccanismo di raccordo presenti numerosi stati federali che è la camera delle regioni. Attualmente, pertanto, i raccordi principali sono: la Commissione bicamerale integrata: Il principale strumento di raccordo previsto dalla Costituzione è la commissione parlamentare per le questioni regionali. Introdotta dalla Costituzione del 1948 che l'ha configurata come commissione bicamerale composta di deputati e senatori, ha compiti consuntivi limitati all'ipotesi di scioglimento anticipato dei consigli regionali. Una nuova disciplina è stata introdotta con la riforma costituzionale del 1999. Per cui, con decreto motivato del Presidente della Repubblica sono disposti lo scioglimento del consiglio regionale e la rimozione del Presidente della Giunta che abbiano compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge. Il decreto di scioglimento e di rimozione può essere adottato solamente dopo aver sentito la predetta commissione bicamerale. Ma la valorizzazione della Commissione è dipesa soprattutto dalla riforma costituzionale del 2001. Quest'ultima ha introdotto due previsioni: i regolamenti parlamentari possono prevedere la partecipazione di rappresentanti delle Regioni, delle Provincia autonoma ed enti locali alla suddetta commissione bicamerale; quando un progetto di legge riguarda l'autonomia finanziaria di entrate e di spesa, è necessaria un'approvazione a maggioranza assoluta da parte dell'assemblea il sistema delle conferenze. La Conferenza Stato-Regione e le altre conferenze: Il "sistema delle conferenze" è stato creato prima della riforma costituzionale del 2001 e continua ad operare. I rapporti tra lo Stato e le Regioni deve informarsi al principio di leale collaborazione nel perseguimento dei rispettivi interessi. Tra i congegni più rilevanti per assicurare l'attuazione del principio di leale collaborazione (deve governare i rapporti tra lo stato e le regioni nelle materie e in relazione alle attività in cui le rispettive competenze concorrono o si intersechino imponendo un contemperamento dei rispettivi interessi) ed il raccordo tra Stato e Regioni vi è la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, che è stata affiancata dalla Conferenza Stato, Città e enti locali, le quali sono riunite insieme nella Conferenza unificata. Queste conferenze, presiedute dal Presidente del Consiglio, o da un ministro da lui delegato, sono formati da alcuni ministri e dai Presidenti delle Regioni (la Conferenza Stato-Regioni) ovvero dei rappresentanti degli enti locali (la Conferenza delle autonomie locali). Questi organismi sono sedi di confronto tra il Governo e le Regioni o ancora tra Governo, Regioni ed enti locali. Esse, pertanto, consentono la partecipazione di Regioni ed enti locali all'elaborazione dei contenuti di alcuni atti del governo che incidono sull'interesse le competenze delle Regioni. Il governo può esercitare il potere sostitutivo nei confronti degli organi delle regioni, delle città metropolitane, delle province e dei comuni. Il governo può surrogarsi emanando direttamente o attraverso un commissario ad acta l'atto necessario. L'esercizio di questo potere straordinario è comunque circondato da forti garanzie per l'ente sostituito che deve essere preventivamente diffidato e emesso in termini per adempiere spontaneamente. L'art.119 Cost. riconosce e garantisce l'autonomia finanziaria a favore di Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni. Questo riconoscimento significa che: i suddetti enti territoriali devono avere entrate proprie e il potere di concorrere a determinarne la composizione e la quantità; devono poter stabilire liberamente come spendere le risorse di cui dispongono. L'autonomia finanziaria attribuita alle Regioni ed agli altri enti territoriali comporta altresì che questi potranno aver autonomia di scelta sia in ordine al livello di posizione tributaria, sia su come impiegare le risorse che hanno a disposizione. Non bisogna, però, credere che lo Stato abbia perduto il potere di intervenire nella disciplina della finanza regionale. Infatti, l'art.117 affida alla "potestà legislativa concorrente", la seguente materia:" armonizzazione dei bilanci e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario". Trattandosi di potestà legislativa concorrente, lo Stato potrà introdurre solamente i principi fondamentali e rimettendo tutto il resto della disciplina alle Regioni. Mentre lo Stato ha "potestà legislativa esclusiva" in ordine alla "perequazione delle risorse finanziarie". Le regioni, i comuni, le province, le città metropolitane saranno dotate di risorse finanziarie diverse a seconda della ricchezza economica del rispettivo territorio. Infatti, il gettito dei tributi (ossia il provento derivante dall'applicazione dei tributi) varia in funzione della ricchezza tassata. Al fine di evitare che è tra i diversi enti territoriali si creino delle differenze di disponibilità finanziarie eccessive, mettendo a repentaglio, l'unità del paese, è previsto un fondo perequativo, a favore dei territori con minore capacità fiscale per abitante. Il "fondo perequativo" ha la funzione di assegnare egli enti territoriali economicamente più deboli delle risorse aggiuntive. In aggiunta al "fondo perequativo" è previsto, al fine di promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni. I comuni, le province, le città metropolitane e le regioni hanno anche un proprio patrimonio, attribuito secondo i principi generali fissati con legge dello Stato, e possono ricorrere all'indebitamento, ma solamente per finanziare spese di investimento. La legge cost. n.1/1999 ha modificato gli articoli da 121 a 126 della Costituzione introducendo una forma di governo regionale basata sull'elezione popolare diretta del Presidente della Regione. Prima della riforma costituzionale del 1999 le Regioni avevano una forma di governo parlamentare a predominanza assemblale. Questo sistema ha favorito la notevole instabilità delle Giunte regionali soprattutto per le frequenti crisi dovute alla rottura degli accordi tra i partiti. Il primo tentativo di rafforzare il Governo regionale e accrescerne la stabilità c'è stato nel 1995 con la riforma del sistema elettorale delle Regioni ordinarie, ancora oggi vigente. Quest'ultimo sistema prevede: un premio di maggioranza alla lista o alla coalizione di liste che ottiene più voti a livello regionale; una disincentivazione alla presentazione di liste di piccoli partiti mediante l'introduzione di una clausola di sbarramento; riduzione delle preferenze ad una soltanto. Il cuore del sistema elettorale regionale consiste nella professione che i seggi da ripartire fra i collegi provinciali siano pari all' 80% dei seggi attribuiti alla Regione, mentre il residuo 20% viene attribuito a livello regionale ed è assegnato ad una o più liste regionali, che devono essere collegate a liste presenti in almeno metà dei collegi provinciali. Essi sono assegnati in tutto o per metà alla lista più votata. Le liste regionali sono rigide, perciò l'elettore non può esprimere preferenze fra i loro componenti, ed il particolare ruolo dei loro capilista è reso evidente dal fatto che i loro nomi vengono riportati nelle liste di votazione accanto ai contrassegni delle liste corrispondenti. A seguito della riforma costituzionale del 1999, e in attesa dei nuovi Statuti regionali, la forma di governo regionale transitoria si basa su strutture egualmente legittimate dal corpo elettorale. Da una parte c'è il Consiglio regionale, eletto dagli elettori regionali, titolare della funzione legislativa, del potere di fare proposte alle Camere e delle altre funzioni conferitogli dalla Costituzione e dalle leggi. Dall'altra parte c'è il Presidente della Regione eletto a suffragio universale e diretto dall'intero corpo elettorale regionale. Il Presidente eletto rappresenta la Regione, dirige la politica della Giunta e ne è responsabile, promulga le leggi ed emana regolamenti regionali, dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla Regione. La Giunta regionale è l'organo esecutivo della Regione, ma essa è diretta politicamente dal Presidente eletto, cui la Costituzione affida il potere di nominare i componenti della Giunta, nonché il potere di revocarli. Le relazioni tra il Consiglio regionale, da una parte, ed il Presidente eletto e la Giunta, dall'altra, sono riconducibili al modello della forma di governo neoparlamentare. Infatti, il Consiglio regionale può esprimere la sfiducia nei confronti del Presidente e della Giunta mediante emozione motivata, sottoscritta da almeno un quinto dei suoi componenti e approvata per appello nominale a maggioranza assoluta dei componenti. Col principio del "simul stabunt, simul cadent" s'intende dire che il Presidente della Giunta e il Consiglio regionale sono eletti contestualmente e che il venir almeno di uno dei due organi determina la scadenza anticipata dell'altro e il ricorso a nuove elezioni per il rinnovo di entrambi gli organi. In attesa dei nuovi statuti regionali, la disciplina transitoria ha previsto che si applica la vigente legge elettorale (quella del 1995) con le seguenti innovazioni: sono candidati a Presidente della Regione i capilista delle liste regionali; è proclamato eletto Presidente della Regione il candidato che ha conseguito il maggior numero di voti validi in ambito regionale; il Presidente della Regione fa parte del Consiglio regionale; entro 10 giorni dalla proclamazione il Presidente della Regione nomina i componenti della Giunta, tra i quali un vicepresidente, e può successivamente revocarli; se il Consiglio approva una mozione di sfiducia, entro tre mesi si procede all'indizione di nuove elezioni del Consiglio regionale e del Presidente della Regione. Secondo l'articolo 123 della Costituzione ogni Regione ha uno Statuto che ne determina la forma di governo e i principi fondamentali dell'organizzazione e funzionamento. Pertanto, la Costituzione attribuisce alla Regione la facoltà di disciplinare la forma di governo discostandosi da quella transitoria dalla stessa prevista. La forma di governo del comune e della provincia è stata modellata dalla legge 81/1993, modificata dalla legge 265/1999. Tale forma di governo si basa sull'elezione popolare diretta del Sindaco e del Presidente della Provincia e, pertanto, in Italia è stato il primo caso di sistema elettorale che ha consentito la scelta popolare diretta del capo dell'Esecutivo. Per quanto riguarda invece l'elezione dei Consigli comunali e provinciali, è prevista una combinazione di elementi del maggioritario e del proporzionale, che si realizza secondo modalità diverse dei comuni con popolazione fino al 15.000 abitanti da una parte, e per i Comuni con oltre 15.000 abitanti e per le Province, dall'altra parte. Comuni fino a 15.000 abitanti: Candidati presentati collegati ad una lista di candidati alla carica di Consiglieri; Elettori votano per il Sindaco, solo indirettamente per i Consiglieri (si può esprimere preferenza anche all'interno della lista dei consiglieri); Solo in caso di parità di voti si procede al ballottaggio; Alla lista collegata al Sindaco eletto sono attribuiti i 2/3 dei seggi disponibili; Il restante 1/3 è ripartito fra le altre liste sulla base del metodo d'Hondt. Comuni oltre 15.000 abitanti: gli assessori non possono essere consiglieri comunali; l'elettore vota contemporaneamente per un candidato a Sindaco e per una delle liste. Egli può anche esprimere un voto per una lista diversa da quella che appoggia il Sindaco (voto disgiunto); i candidati a Sindaco sono collegati alle liste dei Consiglieri; il voto per il Sindaco non viene contato come voto della lista; il voto della lista calcolato come voto del Sindaco; il candidato Sindaco deve ottenere la maggioranza assoluta dei voti; se non si ottiene la maggioranza si passa al secondo turno di elezione dove partecipano i primi due vincitori della prima parte delle elezioni; nel secondo turno risulta eletto il candidato che ha ottenuto più voti; la composizione del consiglio è determinata dal numero di voti ottenuto da ciascuna lista al primo turno; l'attribuzione dei seggi alle liste è effettuata successivamente alla proclamazione dell'elezione del Sindaco. il Sindaco, nessuno può essere eletto oltre due mandati consecutivi. Ogni causa di cessazione del Sindaco o del Consiglio, si traduce automaticamente in cessazione dell'altro. Il sindaco è anche ufficiale del governo, cioè organo locale dello stato, per conto del quale svolge alcune attribuzioni (connesse ai servizi elettorali, di anagrafe, di stato civile, di statistica, di leva militare) che sono assegnate dalle leggi esclusivamente al sindaco. Per tutte le elezioni comunali è prevista una clausola di sbarramento, genericamente utilizzata per limitare l'eccessiva frammentazione partitica e per favorire l'aggregazione fra forze politiche omogenee. CAPITOLO VIII Il sistema giudiziario italiano si caratterizza per la contestuale presenza di più giurisdizioni: sono istituiti i giudici ordinari, i giudici amministrativi, i giudici contabili, i giudici tributari e i giudici militari. I giudici ordinari amministrano la giustizia civile e penale attraverso organi giudicanti e requirenti. Gli organi giudicanti civili si dividono in organi di primo grado (giudice di pace e tribunale) e di secondo grado (corte d’appello); le decisioni del giudice di pace si possono impugnare in appello dinanzi al tribunale; le decisioni assunte dal tribunale in primo grado possono essere impugnate presso la corte d’appello. Anche tra gli organi giudicanti penali vi sono organi di primo grado (il giudice di pace, il tribunale, il tribunale dei minorenni, la corte d’assise) e organi di secondo grado (la corte d’appello, la corte d’assise d’appello, il tribunale della libertà). Gli organi requirenti sono i Pubblici ministeri che esercitano l’azione penale e agiscono nel processo a cura di interessi pubblici. Perciò, il Pubblico ministero (PM) attiva la giurisdizione penale per l’accertamento di eventuali reati e la condanna dei loro autori. Inoltre, agisce anche nel processo civile, nei casi stabiliti dalla legge a tutela di interessi pubblici. Obbligatorietà dell’azione penale significa che il PM non può scegliere discrezionalmente se avviare o meno in relazione al tipo di reato, ma è tenuto a intraprendere la sua azione sempre e comunque in presenza di una notitia criminis: tutto ciò per garantire l’imparzialità. Gli uffici del PM si rinvengono presso i tribunali, presso la corte d’appello e presso la Corte di cassazione (quest’ultima si configura come giudice di legittimità, cioè competente a conoscere le sole violazioni di legge; inoltre risolve i conflitti di competenza tra giudici ordinari e tra giudice ordinario e giudice speciale). Presso quest’ultima è istituita anche la Direzione nazionale antimafia con compiti di coordinamento delle indagini sulla criminalità organizzata e le Direzioni distrettuali antimafia posti nei capoluoghi dei distretti giudiziari. Non va confusa con queste strutture la Direzione investigativa antimafia che, istituita presso il ministero dell’interno ha compiti preventivi d’investigazione relative alla criminalità organizzata. La funzione giurisdizionale di primo grado nelle controversie in cui sono coinvolti soggetti con età inferiore ai 18 anni è esercitata dal Tribunale per i minorenni, organo collegiale formato da due magistrati professionali e due esperti. Accanto alla giurisdizione ordinaria, sono previsti dalla costituzione alcune giurisdizioni speciali: tali sono: Il “giudice amministrativo” si riferisce al sistema formato dai Tribunali amministrativi regionali (TAR) quali giudici di primo grado che hanno circoscrizione regionale e sede nel capoluogo, e dal Consiglio di Stato quale giudice di appello (art.100.1 e art.125.2). Al giudice ordinario spettano le controversie in materia di diritti soggettivi, al giudice amministrativo quelle in materia di interessi legittimi. la Corte dei conti: è un organo di controllo che svolge importanti funzioni come giudice. Essa ha giurisdizione nella materia di contabilità pubblica e nelle materie specificate dalla legge (art.103 co.2). i giudici tributari o Commissioni tributarie: si occupano delle controversie riguardanti i tributi e sono ordinate su due gradi di giurisdizione (provinciale e regionale). Contro le decisioni di appello della Commissione regionale può essere fatto ricorso alla Corte di cassazione per motivi di diritto.