Sintesi Diritto Amministrativo I e II PDF

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Questo documento è un riassunto del manuale di diritto amministrativo di Clarich. Copre argomenti come l'introduzione al diritto amministrativo, le fonti del diritto, il rapporto giuridico amministrativo, i provvedimenti, il procedimento e i controlli. Il documento sembra essere un'analisi approfondita di questi concetti, perfetta per uno studio accurato.

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Diritto amministrativo I e II– sintesi Manuale di diritto amministrativo - Clarich Sommario CAPITOLO I: INTRODUZIONE........................................................................................................................ 2 CAPITOLO II: LA FUNZIONE DI REGOLAZIONE E LE FONTI DEL DIRIT...

Diritto amministrativo I e II– sintesi Manuale di diritto amministrativo - Clarich Sommario CAPITOLO I: INTRODUZIONE........................................................................................................................ 2 CAPITOLO II: LA FUNZIONE DI REGOLAZIONE E LE FONTI DEL DIRITTO.........................................................11 CAPITOLO III: IL RAPPORTO GIURIDICO AMMINISTRATIVO..........................................................................28 CAPITOLO IV: IL PROVVEDIMENTO.............................................................................................................47 CAPITOLO V: IL PROCEDIMENTO.................................................................................................................71 CAPITOLO VI: I CONTROLLI..........................................................................................................................98 CAPITOLO VII: LA RESPONSABILITÀ...........................................................................................................100 CAPITOLO VIII: L’ORGANIZZAZIONE...........................................................................................................107 CAPITOLO IX: I SERVIZI PUBBLICI...............................................................................................................132 CAPITOLO X: IL PERSONALE.......................................................................................................................148 CAPITOLO XI: I BENI..................................................................................................................................160 CAPITOLO XII: I CONTRATTI.......................................................................................................................165 CAPITOLO XIII: LA FINANZA.......................................................................................................................185 CAPITOLO XIV: GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA.............................................................................................188 1 PARTE PRIMA: IL DIRITTO AMMINISTRATIVO E LE SUE FONTI CAPITOLO I: INTRODUZIONE 1. Premessa Il diritto amministrativo è definibile come la branca del diritto pubblico interno che ha per oggetto l'organizzazione e l'attività della pa e riguarda i rapporti che questa instaura con i soggetti privati nell'esercizio di poteri ad essa conferiti dalla legge per la cura di interessi della collettività. Serve a regolare l’organizzazione delle persone giuridiche che usano poteri pubblici, ma regola anche i rapporti tra persone giuridiche pubbliche e private quando le prime usano un potere pubblico che dà loro un’autorità. Secondo una delle prime definizioni, è il sistema dei principi giuridici che regolano l’attività dello Stato per il raggiungimento dei suoi fini. Si compone di un corpo di regole e di principi che sono autonomi dal diritto privato. 2. Modelli di stato e nascita del diritto amministrativo 2.1 Stato amministrativo La presenza di apparati burocratici organizzati secondo criteri razionali è una costante nella storia. Nel caso francese, la nascita dello Stato moderno, con l'unificazione del potere politico del re, andò di pari passo con la formazione di apparati amministrativi stabili, al centro e in periferia, posti alle dirette dipendenze del sovrano (gli intendenti del re) e contrapposti a poteri locali. L’accentramento burocratico, cioè la formazione di uno Stato amministrativo, costituì uno degli strumenti per ricondurre ad unitarietà, in capo al sovrano, il potere politico e statuale. In quest’esperienza lo Stato assoluto veniva definito come amministrativo ed estendeva il suo raggio di azione a numerosi campi. Nel corso del XVIII sec. lo Stato assoluto assunse i caratteri dell'assolutismo illuminato (Stato di polizia) offrendo ai propri sudditi provvidenze di vario genere. L'espansione dei compiti dello Stato e l'attribuzione di poteri amministrativi ai funzionari delegati del sovrano e agli apparati burocratici stabili portarono all'emersione della funzione amministrativa come funziona autonoma, non più compresa in quella giudiziaria. La Rivoluzione francese del 1789 e le costituzioni liberali approvate nei decenni successivi portarono alla nascita del modello dello Stato di diritto (o Stato costituzionale). Durante la Rivoluzione francese (si adotta la teoria della separazione dei poteri di Montesquieu) la classe borghese si ribella al sovrano e opera la riforma del potere pubblico. [già presenti le costituzioni ottriate che nei decenni successivi i sovrani si apprestano a concedere per evitare rivoluzioni negli stati]. In questa fase nascono il diritto amministrativo e lo stato moderno. Lo stato moderno nasce dopo la Rivoluzione francese perché si distacca dalla figura del sovrano e la sua nascita si fonda sulla soggettività complessiva (lo stato come ente giuridico). Il processo di entificazione di fatto è un processo di plurisoggettivizzazione: lo stato è una persona giuridica, ma al suo interno esistono tante entità soggettive. Il problema di amministrazione è diventato sempre più centrale nell’ambito dei poteri pubblici nel rapporto con i privati. Il diritto amministrativo è un diritto moderno nato alla fine del ‘700 che si sviluppa nel XIX e XX sec. per poi essere sottoposto a molte trasformazioni. Amministrare non è un fatto recente e significa realizzare cose concrete per venire incontro alle esigenze dei gruppi sociali. C’è un’amministrazione ma non c’è un diritto amministrativo, e questo perché non era il tempo per creare un diritto, ma vi sono comunque tracce di amministrazione e regole. Anche nel medioevo troviamo tracce di amministrazioni e regole di essa e dei regolamenti comunali. Per amministrare nella maggior parte dei casi c’è bisogno di risorse che si ottengono con l’imposizione fiscale. Nel 600/700 prendono corpo le monarchie amministrative che pur avendo una forma monarchica di potere unico e accentrato, via via tendono a sottostare al diritto. Insieme ai regolamenti edilizi nascono anche i regolamenti di polizia da intendere non solo come pubblica sicurezza (forze di polizia) ma anche come gestione pubblica come i rifiuti. Troviamo alcuni spunti di amministrazione come quella delle magistrature delle acque (i tribunali delle acque che concedono l’uso delle acque svolgono funzione amministrativa e non giurisdizionale). Prendono corpo poi quelli che diventeranno 2 gli stati (‘500 e ‘600) e daranno vita al recente fenomeno statale [si hanno le monarchie amministrative]. Quello che diventerà lo stato del diritto prende corpo in questo periodo. Poi prenderanno corpo gli stati moderni che amplieranno le proprie funzioni. I poteri pubblici svolgevano pochi compiti, come gestire il fisco o organizzare forze di polizie interne, ma via via le attività che questi proto-stati svolgono aumentano e rendono necessaria una maggiore organizzazione di queste monarchie settecentesche. Nell’ancien regime troviamo veri e propri apparati amministrativi / organizzativi e l’apparato della giustizia. Nascono apparati come il consiglio di stato che ha funzioni diverse da quelle detenute oggi. Che diritto si usava prima del diritto amministrativo? - Ius commune (diritto privato), che però non basta più e ne serve uno nuovo - Istituti di diritto pubblico > espressione diretta del potere C’è l’esigenza di un diritto speciale. La volontà del sovrano si esprimeva imponendo il fisco, organizzando un esercito ecc. Storia britannica: senza una costituzione e una rivoluzione aveva dato vita a questa tripartizione cominciando dal medioevo (1215 - magna charta → si crea una lotta tra la nobiltà e il sovrano assoluto, e i primi ottengono una limitazione del potere sovrano stesso). Essa dice che il potere del sovrano è assoggettato a una istituzione di nobili che affiancano il sovrano nelle decisioni più importanti. Un cambiamento importante si ha nel 1354 quando alla magna Charta viene aggiunta una parte relativa al principio del due process of law, cioè il giusto processo legale. 1688 - Glorious revolution - rivoluzione gloriosa che porta alla nascita del parlamento inglese: la nobiltà è scontenta del suo sovrano e chiede al sovrano olandese di invadere l’Inghilterra con il proprio consenso, e la casa Orange diventa la casa regnante. La storia inglese è una storia di self government, in cui c’era la capacità di queste collettività di amministrare la giustizia nominando dei giudici che amministravano la giustizia nella contea. La giustizia era già staccata dal sovrano, il quale aveva pochi poteri per i poteri maggiori, ma non amministrava la giustizia locale. Lo studio della scuola inglese fa nascere nel filosofo francese l’idea di separazione dei poteri, e l’aspetto importante è che questa teoria trova concretizzazione nelle carte: carta dei diritti dell’uomo, costituzioni successive alla rivoluzione. Poi si passa a Napoleone, la restaurazione e tornano i sovrani, ma l’impianto successivo alla Rivoluzione resta intatto e viene esportato in tutta Europa. Nasce il movimento costituzionale che ha dato vita alle costituzioni prima ottriate e poi costituzionali che garantiscono un altro livello di libertà ai cittadini europei. Il parlamento crea le regole e fa le leggi [è cambiato poco, ma è cambiata la rappresentanza, vedi suffragio universale – 1946 che da origine al Welfare state), l’esecutivo vede attribuito il potere al sovrano e applica le leggi (potere del sovrano negli ordinamenti monarchici) negli ordinamenti monarchici è attribuito al governo e poi il potere giudiziario amministra la giustizia e rende giustizia alle persone. Nei pochi stati non monarchici questo potere è attribuito al governo che diventa il centro del potere esecutivo. Il suffragio universale porta in parlamento tutti gli interessi anche quelli delle classi subalterne e ciò comporta l’aumento del numero delle leggi e del numero di interessi, che genera un maggiore bisogno di un potere amministrativo forte. Gli artt. 4 e 14 del d.lgs. 175/2001 - decreto legislativo che disciplina il rapporto di lavoro con le PA prendono in esame la scissione tra esecutivo governativo (potere del governo centro di indirizzo politico del paese) e amministrativo. In questa norma c’è scritto cosa fa il vertice esecutivo o la dirigenza e che è presente una linea di demarcazione. Anche nelle norme si è adottata la distinzione tra governo e pubblica amministrazione. Il diritto dell’autorità pubblica ha una base legale che ha una funzione di garanzia nei confronti dei cittadini perché prima non c’erano garanzie perché le uniche potevano venire dal giudice che se non era incarnato nella figura del sovrano era però da lui influenzato che aveva l’ultima parola sul piano giudiziario. Nasce come garanzia delle libertà limitando e disciplinando l’esercizio del potere pubblico. Nasce anche una grande amministrazione (caratteristica degli stati moderni). Zanobini in 3 un suo scritto diceva che “Nessuno stato o forma di governo per quanto primitivo può mancare di una funzione amministrativa e di organi amministrativi”. Lo stato a diritto amministrativo si differenzia dai precedenti perché è caratterizzato da una burocrazia (francese e greco: potere della scrivania) professionale [prima le funzioni amministrative venivano svolte non da dipendenti dello stato ma da caste come nobiltà o clero (fino al 1870 - parrocchie: stato civile e anagrafe, poi con le prime leggi di unificazione si istituisce l’anagrafe pubblica attribuita agli enti locali: comune)]. Le proprietà dello stato erano quelle del sovrano e non c’era bisogno di una burocrazia professionale, mentre nello stato a diritto amministrativo che si ispira alla separazione dei poteri diventa necessaria perché garantisce allo stato la possibilità di agire e governare. 2.2 Stato di diritto e Stato a regime di diritto amministrativo Lo Stato di diritto è uno dei principi fondanti dell’UE, insieme a quelli della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza e del rispetto dei diritti umani ex art. 2 TUE. Il Preambolo della Carta di diritti fondamentali dell’UE proclamata a Nizza nel 2000 llo richiama insieme a quello della democrazia. Lo Stato di diritto si basa su alcuni elementi strutturali che costituiscono le precondizioni necessarie per sottoporre gli apparati amministrativi alla signoria della legge e per la stessa nascita di un diritto amministrativo: 1. trasferimento della titolarità della sovranità dal rex legibus solutus a un parlamento eletto da un corpo elettorale, prima ristretto poi a suffragio universale. 2. principio della separazione dei poteri, per togliere il monopolio del potere al sovrano assoluto ed evitare abusi a danno dei cittadini. Secondo la tripartizione dei poteri (teorizzata nel XVIII sec. da Montesquieu): il potere legislativo spetta a un parlamento elettivo, il potere esecutivo al re e agli apparati burocratici da esso dipendenti (viene così sottoposto alla legge e quindi alla supremazia del Parlamento che è espressione della volontà popolare) il potere giudiziario a una magistratura indipendente. I poteri tra di loro creano l’effetto di controllo e bilanciamento reciproco che fa in modo che nessuno dei tre possa prevalere sull’altro eccessivamente e quindi diventare assoluto, che è considerato il male per le società. 3. inserimento nelle Costituzioni di riserve di legge che escludono o limitano il potere normativo del governo. Il potere regolamentare dell'esecutivo è ammesso esclusivamente nelle materie non sottoposte a riserva di legge assoluta. Nelle materie coperte da riserva di legge relativa, esso si può compiere solo nel rispetto dei limiti e dei principi stabiliti dalla legge (regolamenti esecutivi). Anche i poteri puntuali dell’amministrazione che si manifestano in provvedimenti volti ad incidere sui diritti dei cittadini devono trovare un fondamento nella legge. Il principio di legalità è al centro dell'intera costruzione del diritto amministrativo. 4. lo Stato di diritto richiede che al cittadino sia riconosciuta la possibilità di ottenere la tutela delle proprie ragioni anche nei confronti della pa davanti a un giudice imparziale, indipendente dal potere esecutivo affinché la sottoposizione del potere esecutivo alla legge e la garanzia dei diritti di libertà sia effettiva. Lo Stato di diritto costituisce un modello e un ideale al quale tendere e che sempre si rinnova e la Cost. italiana, la l. 241/1990 sul procedimento amministrativo e il Codice del processo amministrativo del 2010 hanno contribuito ad avvicinarci sempre più a questo ideale. 2.3 Stato guardiano notturno, Stato sociale, Stato imprenditore, Stato regolatore Il modello teorico dello Stato di diritto è neutrale rispetto alla gamma e all’ampiezza delle funzioni assunte come proprie dai poteri pubblici. Nel corso del XIX e del XX secolo si sono succeduti una pluralità di fasi ed esperienze. Ad esse corrispondono altrettanti tipi o modelli di Stato. 4 Nel XIX secolo nacque lo Stato guardiano notturno che aveva due compiti: 1. la garanzia dell'ordine pubblico interno 2. la difesa del territorio da potenziali nemici esterni. Dunque alla società civile e al mercato spettava lo svolgimento delle attività economiche e la cura di altri interessi della collettività (es. sanità). Venivano considerate con sfavore le aggregazioni sociali e i corpi intermedi tra Stato e individuo. In questo contesto la stessa presenza di apparati amministrativi stabili era ridotta al minimo. La visione liberista e liberale di questo Stato entrarono in crisi verso la fine del XIX, inizio XX sec., con l’affermarsi sulla scena politica e istituzionale di nuove ideologie. Lo stato monaclasse si trasformò, dal punto di vista sociologico, in pluriclasse, assumendo su di sé l’obiettivo di rappresentare e mediare tra gli interessi differenziati e spesso contrapposti di tutti gli strati sociali. Queste trasformazioni portarono il passaggio a un modello di “Stato interventista, sociale o del benessere (Welfare state)”. I primi interventi furono attuati dalla Germania bismarckiana e nell'Italia giolittiana. A livello centrale, l’amministrazione dello stato si potenziò con la crescita dimensionale e numerica dei ministeri e degli enti deputati a svolgere le nuove funzioni. A livello locale, presero avvio esperimenti di socialismo municipale, cioè di assunzione da parte dei poteri locali di servizi pubblici come costruzione o gestione di acquedotti, illuminazione pubblica, ecc. Nel corso del secolo si ebbero grandi sviluppi che portarono lo Stato ad intervenire sempre più nei vari settori, in particolare nelle attività economiche e sociali, i quali portarono a un aumento della spesa pubblica. La ripresa di ideologie antistataliste a partire dagli anni ‘80 mise in crisi le fondamenta dello Stato interventista e prese corpo un movimento che andava nella direzione della riduzione del campo di azione dei pubblici poteri. Infatti lo “Stato imprenditore” si trasformò in “Stato regolatore”, che rinunciava a dirigere o gestire direttamente attività economiche e sociali facendosi carico di predisporre soltanto le regole e gli strumenti di controllo necessari affinché l'attività dei privati, non ledesse interessi pubblici rilevanti. I compiti di regolazione sono stati affidati di norma ad autorità o agenzie indipendenti , per sottolineare il ruolo tecnico, neutrale e non dirigista del regolatore pubblico. Con la crisi del 2008, che ha colpito gli Stati Uniti, si sono viste le carenze strutturali del modello e per evitare il crollo del sistema finanziario sono state attuate misure di intervento pubblico diretto (nazionalizzazioni di istituzioni finanziarie) e indiretto (sussidi alle imprese e alle famiglie) utilizzando un gran numero di risorse pubbliche. A livello europeo è stato introdotto il Sistema europeo di vigilanza finanziaria (SEVIF). Oggi si parla di “crisi dello stato”, su cui incidono tre fattori: 1. COSTO DELLO STATO → amministrare costa perché lo stato si occupa di tanti interessi: pensioni, assistenza, istruzione, salute, economia in quanto è diventato attore nel mercato economico, poiché vi sono stati fallimenti del mercato che hanno reso necessario il suo ingresso (crisi del 1929). Lo stato spende tanto Poi vengono teorizzate forme di intervento pubblico e John Maynard Keynes sostiene che lo stato debba intervenire nell’economia per creare questo effetto di crescita ricreando un sistema economico positivo superando le crisi. Lo stato fa fronte ai costi con tre diverse entrate: o gestione di beni pubblici (es. gestione spiagge, vendita ex imprese pubbliche). o tributaria: tasse e imposte → maggiore fonte di entrate per lo stato o indebitamento pubblico → lo stato come imprese e famiglie può chiedere prestiti indebitandosi. Le regole internazionali impongono regole all’indebitamento (riforma costituzionale del 2012 che ha modificato artt. 81 – bilancio dello stato e 97 – sulle pa) 5 2. GLOBALIZZAZIONE → ampliamento dei confini soprattutto per quanto riguarda imprese, capitali e persone. Nascita di un diritto globale con istituzioni ibride 3. LOCALIZZAZIONE E FRAMMENTAZIONE DEI POTERI “amministrazione in briciole” → indivisibilità della Repubblica + riconoscimento delle autonomie locali e applicazione del decentramento ex art. 5 Cost. Le regioni vengono introdotte nel ’48 e tolgono potere allo stato dopo la riforma con la l. 3/2001 che ha riformato il Titolo V. Questi fattori hanno comportato profonde modificazioni del diritto amministrativo perché quello di un secolo fa era statale (prodotto/attuato dallo stato) mentre quello di oggi è prodotto dalle amministrazioni multilivello. Art. 117, I co. Cost.: ordinamento civile, penale e giustizia amministrativa dove non compare il diritto amministrato perché prodotto a livello europeo, locale e regionale. Le istituzioni centrali hanno perso potere. L’art. 118 Cost. da una funzione amministrativa agli enti locali (comune – amministrazione più vicina al cittadino, se non è in grado di svolgere le funzioni intervengono le amministrazioni di grado superiore in base al principio di sussidiarietà). Il diritto amministrativo è un diritto che si evolve rapidamente grazie a: 1. Disancoraggio dallo stato → è frammentato dal punto di vista delle fonti e dei soggetti produttori (es. istituzioni globali, internazionali, europee, nazionali, regionali e locali, dato che ciascuno di questi livelli ha potere di emanare norme di diritto amministrativo, ma non privato o penale) 2. Diritto misto → le PA usano il diritto amministrativo come diritto principale nella loro azione solo quando esercitano un potere pubblico, mentre quando non lo esercitano usano il diritto privato/comune mediante la loro autonomia negoziale dato che hanno capacità giuridica. 3. Dualismo giurisdizionale ridotto → la richiesta del risarcimento del danno può essere chiesto al giudice ordinario o a quello amministrativo. Nella tutela troviamo l’uniformità del giudice. 2.4 Cenni agli ordinamenti anglosassoni: Inghilterra e Stati Uniti A partire dalla seconda metà del XX secolo, con l'ulteriore sviluppo del Welfare State, le Corti inglesi presero coscienza dell'esistenza di una distinzione tra diritto pubblico e diritto privato e iniziarono a operare un sindacato giurisdizionale più intenso sull'attività dell'esecutivo. Il diritto amministrativo inglese non può ancora essere paragonato, per estensione e organicità, a quello degli ordinamenti continentali. Gli studiosi inglesi sono gli unici a opporre resistenza alla crescita di questo diritto contrapponendolo alla common law, ritenendola esaustiva per disciplinare tutti i conflitti sia tra privati che tra esercenti del diritto pubblico. Anche negli Stati Uniti lo sviluppo dello Stato regolatore avvenne in epoca recente e rappresentò una variante originale di intervento pubblico che si sviluppò proprio negli Stati Uniti, un Paese che respinse sempre interventi diretti dei pubblici poteri nella gestione nella socializzazione o collettivizzazione di imprese. Nell’ambito della common law nascono le prime agenzie di regolazione privata e poi venne istituita l’autorità antitrust. Questo processo sfocia nell’accoglienza del diritto amministrativo anche nella cultura giuridica anglo americana. Nel 1946 venne approvata l'Administrative Procedure Act che costituisce uno dei modelli principali di legge sul procedimento amministrativo, che da una parte, legittimò e consolidò il modello delle agenzie di regolazione; dall'altra, sottopose la loro attività a una serie di regole procedurali che costituiscono l'ossatura del diritto amministrativo negli Stati Uniti. Negli anni ‘80 lo Stato regolatore fu oggetto di ripensamento e furono introdotte misure che servirono a controllare e limitare l'attività delle Agenzie e a operare una riduzione della quantità e intrusività della regolazione esistente (deregulation). Fu attuata la semplificazione delle procedure burocratiche e promosso il ritiro dello Stato dalle politiche interventiste. In seguito alle elezioni presidenziali del 2016, il pendolo ritorna a muoversi nella direzione della deregolamentazione. La nuova amministrazione repubblicana ha annunciato un programma radicale di “deconstruction of the Administrative State”, varando alcune misure volte a 6 ridurre lo stock della regolazione amministrativa in base al principio che per ogni nuova regolazione approvata due devono essere abrogate. 2.5 L’evoluzione della pa in Italia In Italia, in epoca di Cavour, venne adottato il modello dell'amministrazione per ministeri, con la concentrazione di poche funzioni pubbliche in capo ad un nucleo ristretto di apparati organizzati in base al principio gerarchico. Poi in epoca giolittiana, furono potenziate le strutture ministeriali e istituite le prime aziende ed enti pubblici nazionali (INA, INPS). ’20-’30 > con la svolta autoritaria, iniziò il processo di pubblicizzazione di molte attività economiche e sociali con l'istituzione di numerosi enti pubblici (enti sportivi, organizzazioni professionali e sindacali). Poi la grande crisi porto all’estensione della mano pubblica nei settori economici: nel 1933 venne istituito l’IRI (istituto per la ricostruzione industriale), ente pubblico economico al quale venne attribuita la titolarità delle azioni di numerose imprese oggetto di interventi di salvataggio. Gli USA nel ’29-’30 immisero forti quantità di risorse pubbliche nel mercato ma quando l’economia si riprese lo stato riuscì dal mercato ricedendo ai privati le imprese acquistate o espropriate, in Italia ciò è avvenuto con lentezza perché l’IRI è stata dismessa negli anni ’90. ’48 > La Costituzione incorporò un modello interventista nei rapporti tra Stato, società ed economia, dando importanza non solo ai diritti di libertà e di proprietà di stampo liberale, ma anche ai diritti sociali. Il secondo dopoguerra fu contrassegnato nei primi decenni da una sostanziale continuità nell’organizzazione amministrativa, improntata a un forte centralismo, nonostante la Costituzione ispirata ai principi del pluralismo e del decentramento con la previsione di un nuovo livello di governo (regioni), e il rafforzamento delle autonomie locali. Sul versante dei rapporti Stato ed economia, le imprese di proprietà pubblica vennero riordinate nel sistema delle cosiddette partecipazioni statali e il sistema si stabilizzò attraverso l’istituzione di enti pubblici nazionali con funzioni di holding finanziaria di controllo diretto o indiretto delle imprese pubbliche. ’60-’70 > l'espansione dei pubblici poteri continuò e nel ‘62 venne nazionalizzato il settore dell'energia elettrica e istituito un ente pubblico economico (ENEL) per la gestione in regime di monopolio di tutte le attività della filiera (produzione, trasmissione ecc.). Nel ‘78 venne istituito il Servizio sanitario nazionale, ispirato ad una logica pianificatori e di gestione prevalentemente pubblica dell’assistenza sanitaria incentrata su una rete di apparati pubblici che coprono l’intero territorio nazionale. Vennero poi istituiti nuovi apparati burocratici a livello regionale e trovarono spazio nuovi modelli organizzativi volti a favorire il coinvolgimento e la partecipazione diretta o indiretta dei cittadini e delle organizzazioni sindacali nella gestione della cosa pubblica. L’amministrazione pubblica assunse la conformazione di una costellazione multilivello e policentrica di enti pubblici che affiancano gli apparati ministeriali centrali. ’90 > lo Stato imprenditore entrò in crisi dati i suoi costi meno sostenibili in una fase di crisi della finanza pubblica e quindi furono avviati processi di liberalizzazione, imposti da direttive europee, e di privatizzazione di imprese ritenute non strategiche. Si fece strada lo Stato regolatore che comportò un riassetto complessivo degli apparati amministrativi: 1. soppressione del ministero delle Partecipazioni statali e alcuni comitati interministeriali 2. trasformazione in s.p.a. degli enti pubblici economici furono trasformati in società per azioni (privatizzazione fredda - della mera forma giuridica, che è propedeutica a quella calda volta alla dismissione totale/parziale dei pacchetti azionari in mano pubblica) 3. affermazione della concezione dello Stato che favorisce processi di decentramento e valorizza le autonomie territoriali e funzionali. Le regioni e gli enti locali acquisirono nuove funzioni e spazi di autonomia statutaria, organizzativa e finanziaria e fu operata una riforma dei ministeri terminata nel 2001 quando è stato ridisegnato l'assetto delle competenze legislative dello Stato e delle regioni e delle funzioni amministrative dei vari livelli di governo (Stato, regioni, province e comuni) in base al principio della sussidiarietà verticale, che 7 privilegia nell’allocazione delle funzioni le unità organizzative più vicine ai cittadini destinatari delle attività e dei servizi. Il processo di riforma della pa è un’operazione mai conclusa. Negli ultimi anni si registra un nuovo attivismo legislativo con l’obiettivo di migliorare la funzionalità e accrescere l’efficienza del sistema amministrativo (riforma del pubblico impiego, degli enti pubblici, dei servizi pubblici locali, dell’università, semplificazione amministrativa, abrogazione di leggi inutili e riassetto normativo con l’adozione di codici e testi unici). La crisi economica e finanziaria in atto nel nostro Paese ha favorito processi di razionalizzazione degli apparati e di adozione di meccanismi spending review volti a contenere i costi e a ridurre gli sprechi. Nel 2012 è stata approvata la legge anticorruzione (l. n. 190) che impone alle amministrazioni l’adozione di misure di prevenzione e obblighi di pubblicità. Le legge Madia del 2015 ha gettato le basi per una riforma ambiziosa della pa ed è stata attuata nel 2016- 2017 con dei decreti legislativi. Alcune disposizioni sono state dichiarate incostituzionali per violazione delle competenze legislative regionali. 4. Il diritto amministrativo e i suoi rapporti con altre branche del diritto Se la fonte normativa della legge è la principale fonte di cui tutti i soggetti si devono abbeverare, il principio ha una natura più ampia della norma e prevale sulla norma essendo una consuetudine costituita attraverso l’attività dei giuristi che si occupano di produzione, applicazione e interpretazione della norma. 4.1 Il diritto costituzionale Il diritto pubblico generale abbraccia le varie discipline giuridiche che si occupano dell’ordinamento dello Stato e del complesso dei poteri pubblici. Il diritto costituzionale riguarda i rami alti dell’ordinamento, i diritti dei privati e le fonti del diritto e trova fondamento nelle costituzioni scritte il diritto amministrativo invece riguarda i rami bassi, cioè quel complesso poliedrico di apparati pubblici ciascuno dei quali dotato di una gamma più o meno ampia di poteri. È regolato da fonti normative subcostituzionali (leggi, regolamenti, statuti, ecc) e dai principi di derivazione giurisprudenziale. Anche se riguardano rami differenti sono strettamente collegati. Il diritto amministrativo non è altro che il diritto costituzionale reso concreto, cioè preso nella sua effettiva realizzazione nella legislazione e nella vita dell'ordinamento. Es. tutela dei diritti di libertà o dei diritti sociali è misurabile dalla Costituzione e dalle leggi amministrative che attuano il disegno costituzionale. Il diritto di manifestare ex art. 21 Cost. è condizionato dalla legislazione amministrativa sul sistema radiotelevisivo e sulla stampa. Inoltre “il diritto costituzionale passa, il diritto amministrativo resta” e ciò evidenzia il disallineamento temporale dei mutamenti costituzionali rispetto alle riforme amministrative. 4.2 Il diritto europeo Il diritto amministrativo italiano ha acquisito una dimensione europea sotto 5 profili principali: 1. la legislazione amministrativa che ex art. 117, I co. Cost. stabilisce che la potestà legislativa dello Stato e delle regioni deve essere esercitata nel rispetto, oltre che dalla Costituzione, “dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario”. 2. l'attività, ex art. 1, I co., l. n. 241/1990 include tra i principi generali dell'attività amministrativa (economicità, efficacia, imparzialità, pubblicità), anche quelli dell'ordinamento comunitario ricavabili dai trattati e dalle altre fonti del diritto europeo e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’UE. La pa viene citata anche nella Carta dei diritti fondamentali dell’UE che ha valore giuridico come il Trattato. 8 3. l'organizzazione, dato che il diritto europeo condiziona l'assetto organizzativo e funzionale degli apparati pubblici. In Italia sono state istituite molte agenzie e autorità indipendenti dalle direttive europee (es. sistema europeo delle banche centrali) 4. la finanza, dato che questo diritto impone vincoli pressanti anche alla finanza pubblica che condizionano l’operatività delle pa e l’attuazione dei loro programmi di intervento. 5. la tutela giurisdizionale, dato che il diritto esercita un’influenza sul procedimento e sul processo amministrativo. Il Codice del processo amministrativo stabilisce che la giurisdizione amministrativa assicura una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e «del diritto europeo» (includendo anche i principi della giurisprudenza della corte europea dei diritti dell’uomo) (es. principi dell’equo processo). Il diritto amministrativo è aperto a una dimensione europea, ma sta assumendo anche una dimensione globale, connessa allo sviluppo a livello mondiale di una serie di organizzazioni internazionali (banca mondiale) che creano regole e standard che condizionano direttamente e indirettamente i diritti nazionali. 4.3 Il diritto privato I legami tra diritto amministrativo e diritto privato possono venire fuori da 3 concetti principali: 1. il diritto amministrativo è un diritto autonomo dal diritto privato. La sua autonomia è frutto degli accordi stipulati tra amministrazione e privati per l’esercizio dei poteri discrezionali (ex. l. 241/1990) e quindi per determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale o in sostituzione di questo. L’amministrazione può negoziare con i soggetti destinatari di un provvedimento il miglior assetto degli interessi da incorporare in un accordo. A questi accordi di natura pubblicistica si applicano i principi del c.c. in tema di obbligazioni e contratti. Il diritto amministrativo è un diritto in sé completo e autosufficiente, ma può attingere al diritto privato in modo: indiretto perché il rinvio è frutto dei principi desumibili dalle disposizioni del c.c. in via di interpretazione selettivo perché l’applicazione dei principi ricavati non è automatica ma è subordinata a un giudizio di compatibilità con i principi del diritto amministrativo che prevalgono su quelli del diritto civile. Il diritto amministrativo e quello privato non si pongono in una relazione di regola-eccezione, e quindi in assenza di una regola speciale di diritto amministrativo, non vale automaticamente la regola generale del diritto comune, in quanto sono in relazione di giustapposizione e di autonomia reciproca: perché ognuno è completo, dato che le lacune devono essere colmate facendo applicazione analogica di istituti e principi propri di ciascuna disciplina. La nascita del diritto amministrativo come disciplina autonoma si fa risalire in Francia alla sent. Blanco del 1873. 2. non esaurisce tutta la disciplina dell'attività e dell'organizzazione della pa che attinge a moduli privatistici. L'attività delle pa è regolata da leggi amministrative e dal diritto privato. Le pa hanno soggettività piena nell'ordinamento giuridico e, come persone giuridiche private, godono di una capacità giuridica generale che permettono di assumere la titolarità di diritti e obblighi in base al c.c. e alle leggi speciali. Le pa possono instaurare relazioni giuridiche con altri soggetti dell'ordinamento regolate dal diritto comune: art. 1, l. 241/1990 enuncia il principio secondo il quale la pa, nell’adozione di atti di natura non autoritaria, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge non disponga diversamente. Il limite generale è costituito dal fatto che la capacità giuridica generale è attribuita alle pa per realizzare le finalità di interesse pubblico a loro affidate. La capacità generale di diritto privato delle pa viene integrata da una di capacità speciale, attraverso l’attribuzione per legge di poteri amministrativi necessari per la cura di interessi pubblici. L'esercizio dei poteri amministrativi ha sostanza nell'adozione di atti che hanno natura autoritativa, caratterizzati dall'unilateralità nella produzione degli effetti e dalla loro 9 sottoposizione al principio di legalità e altri principi del diritto amministrativo. L’utilizzo della capacità di diritto privato da parte della pa può dar luogo a intersezioni tra regimi giuridici. Vigono regole pubblicistiche/privatistiche nella materia dei contratto della pa per la fornitura di beni e servizi e per l’esecuzione di lavori: codice dei contratti pubblici ed esecuzione degli obblighi contrattuali ex c.c. La capacità di diritto privato ha consentito alle pa di ricorrere al modello della società di capitali in tutto o in parte a capitale pubblico per l'esercizio di servizi pubblici, creando l’ente pubblico economico e l’azienda-organo. 3. ha una capacità espansiva in quanto si applica anche a soggetti privati. Es. la costituzione di s.p.a. da parte di soggetti pubblici regolata dal diritto privato non comporta sempre e necessariamente vengano qualificati come persone giuridiche private. 5.1 La natura giurisprudenziale del diritto amministrativo Il diritto amministrativo nasce in Francia e in Italia, ed è legato all’istituzione di un giudice speciale per le controversie tra cittadino e pa e per questo viene considerato di provenienza giurisprudenziale essendo nato dalle sentenze dei primi giudici speciali che operavano nel settore. In Francia il contenzioso si distaccò dal diritto comune e venne poi creato il conseil de roi organo di consulenza del re che, in epoca napoleonica, divenne il conseil d’Etat con il compito di formulare pareri sui ricorsi presentati al re il quale emanava decisione proprio recependo in pieno il parere dell’organo. Nel 1872 divenne permanente e capace di formulare sentenze autonome in ottemperanza ad leggi che gli attribuivano tali poteri, completando la trasformazione e ottenendo l’autonomia. Con la Rivoluzione francese nasce l’esigenza di dare un potere legale al potere pubblico (che è quello a cui serve il diritto amministrativo). Rivoluzione francese (1789) Assemblea nazionale nel 1790 adotta una legge che sottrae il contenzioso amministrativo al giudice ordinario, perché non può entrare nel merito della pa che è un potere diverso da quello giudiziario. La situazione non era risolvibile solo con la giustizia interna alla pa (ma la giustizia amministrativa esiste ancora). Consiglio di stato: - Istituito nel 1799 come collegio di esperti (non nasce come giudice). Si avvia la lunga fase definibile come “della giustizia delegata” perché il meccanismo prevede di sottoporre le controversie prima solo le rilevanti e poi tutte ad un parere del consiglio che svolge un ruolo di filtro tecnico che mediante le conoscenze guida la pa nella decisione della controversia. Fino al 1873 dà vita a molti principi del diritto amministrativo ancora applicati (es. vizi dei provvedimenti amministrativi come eccesso o sviamento di potere). In Piemonte nasce il consiglio di stato sabaudo, ciò succede anche nel gran ducato di Toscana, in quello di parma e nel regno delle due Sicilie, e anche nel retrogrado stato pontificio. Così facendo il diritto amministrativo diventa sempre più autonomo dal punto di vista scientifico e Giandomenico Romagnosi nel 1814 pubblica il primo trattato. Il modello si espande in tutta Europa dove l’esigenza di un diritto speciale che disciplini i rapporti tra poteri pubblici e privati diventa la norma e viene insegnato nelle università (prima nel diritto costituzionale poi diviene autonomo). - Diventa organo giudiziario. Nella tradizione si fa riferimento alla sent. “arresto Blanco”: caso di risarcimento del danno dovuto da una manifattura di tabacchi nei pressi di Bordeaux in quanto un carrello che trasporta le merci nello stabilimento investe Agnese Blanco che riporta lesioni a seguito dell’incidente. La famiglia si rivolge al giudice ordinario perché chiedere i danni, ma esso declina la propria competenza sostenendo che la vicenda si è svolta in uno stabilimento di un ente pubblico e per questo non è competente. La sentenza afferma che la competenza di queste materie è da attribuire a un giudice amministrativo e in quell’anno al consiglio viene attribuita la 10 funzione giudicante e si trasforma da organo di consulenza a organo giudicante. La sentenza è la madre della giustizia amministrativa. Già prima del 1865 in Italia il Consiglio di stato aveva una funzione di vero e proprio giudice. Le leggi di unificazione aboliscono la IV sezione giurisdizionale del consiglio abbracciando la tendenza inglese a rifiutare il diritto amministrativo come diritto speciale in quanto il potere pubblico doveva essere assoggettato al diritto comune tranne la decisione con carattere politico che toccano interessi pubblici poiché si decise che il contenzioso amministrativo non fosse compatibile con la visione di uno stato liberale. A questo punto, in Francia i cittadini hanno un giudice amministrativo vero a cui rivolgersi, in Italia nel Regno di Italia viene abolito il precedente giudice amministrativo e l’unica strada è quella del ricorso amministrativo (alla pa) che non garantisce la tutela perché manca l’elemento di indipendenza e terzietà del giudice e prevale l’interesse pubblico su quello privato. Nel parlamento si apre una discussione e prevale la linea della giustizia amministrativa quindi nel 1889 viene ricostruita la IV sezione giurisdizionale perché ci si accorse del fallimento del giudice unico e venne creato il giudice amministrativo e il consiglio di stato stilò i principi generali del giudice amministrativo, del diritto amministrativo e del diritto processuale amministrativo e la prima forma di riparto delle competenze tra i giudici ordinari e quelli amministrativi a seguito di un concordato tra corte di cassazione e consiglio di stato. - il cittadino vanta un diritto soggettivo nei confronti della pa il giudice naturale è quello ordinario, - il cittadino è titolare di un mero interesse e si deve rivolgere a quello amministrativo. Oggi la base del diritto amministrativo sono la l. 241/1990 e la l. 15/2005 che prevedono disposizioni su procedimento e provvedimento amministrativo, ma non riescono a imbrigliare il potere giurisprudenziale perché elaborate dalla giurisprudenza consolidata senza ampliare quanto già dato dalla giurisprudenza. Anche l’elasticità avvicina il diritto amministrativo alla common law e lo rende adattabile al variare delle situazioni e all’emersione di nuove esigenze. 5.2 Il diritto amministrativo speciale e generale Il diritto amministrativo si divide in: 1. speciale > costituito da filoni legislativi, provenienti da fonti statali, regionali o comunitari, che disciplinano i vari campi di intervento delle pa 2. generale > considerato il nucleo della materia e parte principale di ogni elaborazione ed è opera della scienza giuridica, che rielabora il materiale giuridico, costituito da norme vigenti e sentenze dei giudici, con la classificazione e l’individuazione di strutture e principi portanti e costanti. I due diritti si condizionano ed evolvono di pari passo. CAPITOLO II: LA FUNZIONE DI REGOLAZIONE E LE FONTI DEL DIRITTO 1. Premessa La funzione regolatrice della p.a. ha assunto un ruolo crescente negli ultimi decenni per la crisi della legge come fonte di disciplina dei rapporti giuridici. Il parlamento è sempre meno in grado di elaborare testi legislativi completi e di operare gli aggiornamenti necessari in modo tempestivo. La legge si limita a porre i principi fondamentali della disciplina di una determinata materia e delega agli apparati amministrativi il compito di stabilire in via sublegislativa, con atti normativi e con altri tipi di atti le regole di dettaglio volte a disciplinare anche i comportamenti dei privati. La funzione regolatrice della p.a. include tutti gli strumenti formali e informali di condizionamento dell’attività dei privati secondo le definizioni più ampie di regulation. Le p.a. è soggetto regolatore ma anche regolato essendo sottoposta a norme che disciplinano il suo assetto organizzativo e funzionale. Emerge la distinzione tra: 11 1. “fonti sull'amministrazione” > hanno come destinatarie le p.a. che diventano soggetti etero- regolati, sottoposti ai principi dello Stato di diritto. Disciplinano l'organizzazione, le funzioni e i poteri di esse e sono un parametro per sindacare la legittimità dei provvedimenti emanati. Vengono costituite, in base al principio della riserva di legge relativa ex art. 97 Cost., da fonti normative di livello secondario (es. regolamenti governativi). 2. “fonti dell’amministrazione” > sono strumenti a disposizione delle p.a. sia per regolare comportamenti dei privati sia, nei limiti in cui la legge riconosca ad esse autonomia organizzativa, per disciplinare i propri apparati e il loro funzionamento. Danno sostanza alla funzione di regolazione. Hanno sempre un livello sub-legislativo (regolamenti dei singoli ministeri e di enti pubblici, statuti), essendo la funzione legislativa riservata al parlamento. Includono sia fonti normative in senso proprio, sia atti di regolazione che hanno natura non normativa (atti di pianificazione e programmazione, atti amministrativi generali, direttive, circolari, ecc.). La funzione di regolazione della p.a. include tutti gli strumenti, anche informali, idonei a orientare e condizionare i comportamenti dei privati. 2. La Costituzione Le fonti della p.a. vengono spesso prodotte dalla p.a. stessa. Dal punto di vista delle fonti a livello costituzionale e globali abbiamo un panorama ampio delle fonti che devono essere applicate all’interno. Per quanto riguarda le fonti tradizionali e le fonti interne: 1. leggi ordinarie, 2. fonti secondarie che oggi assumono una rilevanza molto maggiore rispetto a un secolo fa. 3. regolamento che è attuativo delle norme. Già da diversi anni esistono categorie di regolamenti che possono delegificare una materia o una legge grazie alle l. 400/88 che riguarda i poteri del governo, che ha il potere di emanare regolamenti di esecuzione, indipendenti, attuativi. La disciplina di alcune materie attraverso un regolamento di tipo delegificante può essere trasferita dalla legge al regolamento che diventa una fonte primaria di disciplina di un settore o di una materia. Questo significa che non solo i regolamenti sono assoggettati alla riserva di legge ex art. 23 Cost. La piramide rovesciata ci aiuta perché ci dà anche un’immagine quantitativa e quindi ad esempio in un provvedimento troveremo citato il regolamento comunale, statale, regionale o magari una norma di rango superiore o internazionale e qui l’atto amministrativo si trova alla fine di questa catena di produzione delle norme e disciplina il caso concreto. Le norme generali e astratte fanno sì che si arrivi alle singole fattispecie con destinatario finale il singolo destinatario della norma. Quindi da generale e astratta diventa concreta perché produce i suoi effetti. Tra le fonti poi dobbiamo considerare anche i principi che troviamo nelle fonti più alte ma che possono anche essere frutto dell’elaborazione della dottrina e della giurisprudenza essendo un prodotto di un processo di interpretazione. 1. principi europei principio di non discriminazione su base territoriale, su base sessuale, su base religiosa che rappresenta il corrispettivo del principio di uguaglianza. principio di leale collaborazione tra le istituzioni dell’UE e leale collaborazione tra gli stati componenti dell’UE che si applica negli stati si riferisce alla leale collaborazione tra stati, province, comuni, città metropolitane. È un principio di non facile applicazione perché è sociologico più che giuridico, ma che poi i giudici devono applicare caso per caso. 2. principi frutto non solo di norme europee o norme interne, ma della giurisprudenza interna. principio di sussidiarietà. Questo principio vale anche tra i rapporti tra stati, istituzioni statali ed europee. Abbiamo già parlato che è un principio sulla base del quale si può sostituire in via sussidiaria a un’altra istituzione. 12 principio di giustiziabilità: la sottoposizione a un giudice terzo e indipendente delle controversie tra amministrazioni e stati. Questo principio vale a livello europeo. principio di proporzionalità delle misure amministrative: le p.a. non possono imporre sacrifici sproporzionati al destinatario del provvedimento e devono essere adeguate le misure prese e che l’atto vuole perseguire. È uno dei principi guida che nasce dal principio di ragionevolezza. La Costituzione, in vigore dal 1948, costituisce la fonte giuridica di livello più elevato ed è il parametro in base al quale la Corte costituzionale esercita il proprio sindacato sulle leggi e sugli atti aventi forza di legge. Definisce i diritti di libertà dei cittadini e delinea l'assetto generale dello Stato-ordinamento, ma individua anche un'ampia serie di compiti che lo Stato, e per esso la p.a., deve farsi carico nell'interesse della collettività (salute, istruzione ecc.). Non si occupa dell’assetto della p.a. che si basa su pochi principi essenziali in tema di organizzazione (imparzialità, e buon andamento, art. 97), di raccordi tra politica e amministrazione (art. 95, principio della strumentalità dell'amministrazione rispetto alla politica generale del governo e il principio della responsabilità politica dei ministri in relazione all'attività amministrativa), di assetto della giustizia amministrativa (artt. 103, 113, 125). Lo stesso principio di legalità è dato per presupposto, ma non è esplicitato in disposizioni legislative. Art. 1 – principio lavoristico: lo stato si deve occupare di economia e lavoro art. 3 uguaglianza formale (I co.) e sostanziale (II co.) art. 5 principio autonomistico rapporti internazionali → rinuncia alla sovranità vs organismi sovranazionali Prima parte Art. 23 > la pa non può imporre ai privati obbligazioni se non c’è una legge Art. 24 > tutela dei DIRITTI e degli INTERESSI LEGITTIMI Art. 28 > RESPONSABILITÀ della pa (civile, penale e amministrativa) Art. 41 > principio di libertà economica (se non è in contrasto con utilità sociale o è a danno di sicurezza o dignità umana) Art. 42 > la proprietà può essere pubblica o privata (= limitabile ed espropriabile per motivi di interesse generale con indennizzo) Art. 43 > espropriazione dell’impresa (Es. ENEL nel 1962) Art. 53 > contribuzione mediante l’obbligazione nei confronti dello stato (II co. prevede criteri di progressività) Art. 54 > doveri di fedeltà della Repubblica (II co. i cittadini con funzioni pubbliche devono adempierle con DISCIPLINA e ONORE prestando GIURAMENTO nei casi stabiliti dalla legge) Art. 81 principio del pareggio di bilancio Art. 97 > Dopo il 2012 è stato aggiunto un co.: le p.a. in coerenza con l’ordinamento dell’UE assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico (norma speculare all’art. 81 Cost. che riguarda il bilancio dello stato). Gli stati non possono spendere più di quanto entra. La norma costituzionale (rango superiore rispetto alla legge ordinaria) cambia le regole del gioco: presenza di un diretto riferimento all’UE che prima mancava. Merusi parla di “diritti economicamente condizionati”: la costituzione li assegna ai cittadini ma sono garantiti solo nei limiti dei bilanci pubblici. La Corte costituzionale ha lasciato margine di interpretazione dicendo che esiste un vincolo nel bilancio delle p.a., ma ci sono diritti (es. salute) che sono un’eccezione al pareggio di bilancio. Nel I, II e III co. assicurano buon andamento e imparzialità della p.a. I principi ricavabili sono: 1. BUON ANDAMENTO → introduce una definizione ampia. Dal 1988 i giudici gli hanno dato più sostanza specificando cosa si intende oggi: a. efficienza, b. efficacia, c. economicità, 13 d. trasparenza, e. pubblicità. La l. 241/1990 specifica questi principi. Già nel ’48 nella costituzione c’era un’idea di p.a. non solo esercente potere pubblico ma anche soggetto in grado di fornire prestazioni quasi come un’impresa. 2. IMPARZIALITÀ → (IV co.) è complesso. Vi è anche l’imparzialità della p.a. nei confronti dei cittadini che vi entrano in contatto: art. 3 Cost. che sancisce che il potere pubblico non può fare distinzioni. Questo non può significare un trattamento uguale per tutti perché ci sono atti della p.a. che hanno come effetto quello di creare disparità di trattamento anche piuttosto evidenti. (es. piano regolatore che è pacifico possa discriminare i proprietari confinanti in quanto la proprietà è conformata a fini sociali ex art. 45 Cost., perché si rispetta la legalità e anche la libertà di scelta che le pa necessariamente devono avere perché la loro attività deve essere discrezionale (DISCREZIONALITà AMMINISTRATIVA: per perseguire l’interesse pubblico che la legge assegna a una determinata p.a. essa deve agire discrezionalmente facendo una comparazione fra gli interessi in gioco: pubblico e privato). 3. PRINCIPIO DI LEGALITÀ > nell’art. 97 se ne fa riferimento per dire come devono essere organizzati gli uffici. È ricavabile anche dall’art. 23 che impone che ogni obbligazione debba essere imposta per legge. Oggi ha assunto un’altra dimensione perché viene inteso riduttivamente pensando che la p.a. deve rispettare solo la legge in senso tecnico, perché il riferimento alla legge è più ampio ed è un principio applicabile a tutti gli atti normativi in generale, anche quelli non strettamente legislativi: fonti sovranazionali (europee e internazionali) regolamenti sentenze dei giudici: la p.a. non può riemanare provvedimento nella stessa forma in cui è stato annullato da un giudice amministrativo Deve essere distinto dalla riserva di legge. Esso costituisce uno dei principi fondamentali in materia di attività amministrativa (ex art. 1, l. 241/1990). Si ricava da disposizioni costituzionali: art. 113. Ha due funzioni: 1. Legalità-garanzia: garanzia delle situazioni giuridiche soggettive dei privati che possono essere incise dal potere amministrativo; 2. Legalità-indirizzo: collegamento dell'azione amministrativa al principio democratico e agli orientamenti che emergono all'interno del circuito politico-rappresentativo (la legge, espressione della sovranità popolare, funge da fattore di legittimazione e da guida dell'attività amministrativa). 14 Questo principio può avere due significati: coincide con richiede che il potere amministrativo trovi un riferimento esplicito in una il principio norma di legge, che è il fondamento esclusivo dei poteri della dell’amministrazione e deve attribuire alla p.a. la titolarità del potere preferenza disciplinando modalità e contenuti. La legge è limite positivo dei poteri della della legge: p.a. che non gode di una legittimazione propria, ma i poteri da essa gli atti esercitati devono trovare un ancoraggio nella legge. In assenza di una emanati dalla norma di conferimento del potere, l’amministrazione può far uso solo della p.a. non propria capacità di diritto privato. In questo senso ha una duplice possono dimensione: essere in a) legalità formale (in senso debole) quando c'è la semplice indicazione contrasto con nella legge dell'apparato pubblico competente a esercitare un potere la legge. normativo secondario o amministrativo che è indeterminato nei suoi (limite contenuti. Riguarda strettamente le norme negativo b) legalità sostanziale (in senso forte) esige che la legge ponga una all'attività dei disciplina materiale del potere amministrativo, definendone i poteri pubblici presupposti per l'esercizio, le modalità procedurali e le altre sue che caratteristiche essenziali. Il massimo si raggiunge con i poteri determina integralmente vincolati. È la concezione più rispondente alla Cost. e l'illegittimità a una visione evoluta dello Stato di diritto, perché l’effettività della degli atti tutela giurisdizionale contro gli atti della p.a. presuppone che il emanati). Il giudice disponga di parametri legislativi che vanno oltre alla mera principio della attribuzione di un potere indeterminato negli elementi essenziali. preferenza Include anche atti secondari o altri atti (es. amministrativi generali, della legge si di pianificazione o programmazione e sentenze) desume dall’art. 4 disp.prel. c.c. e l. del 1865 Il principio di legalità prescrive che il potere dell'amministrazione trovi un fondamento nella legge, ma si riferisce soprattutto ai poteri e ai provvedimenti amministrativi. Esso chiede che il fondamento dei provvedimenti amministrativi sia costituito prima di tutto da norme di livello primario. Per essere legittimo l'atto amministrativo deve essere conforme anche alle norme secondarie: i parametri sono costituiti dai principi legali del diritto amministrativo frutto della Cost., del diritto europeo e della giurisprudenza amministrativa. Art. 98 > da l’idea di che cosa siano e a che cosa servano le pa oggi. I pubblici impiegati non sono legati al governo o ad altri poteri pubblici, ma dovrebbero rispondere direttamente ai cittadini (civil services – colui che è al servizio del cittadino). Nella lingua francese del tardo ‘700 si comincia a parlare di funzione pubblica e di burocrazia e c’è una diversa concezione della pa: da una parte è autoritaria essendo il braccio armato del governo e i suoi dipendenti sono funzionari esercenti una funzione pubblica che li differenzia dai funzionari privati che non la esercitano e nell’altra concezione si ha colui che svolge un servizio al cittadino. Le riforme hanno spinto verso il modello del servizio al cittadino. Organi ausiliari di rilievo costituzionale che svolgono funzioni amministrative di supporto al governo: Art. 99 > ha istituito il CNEL (comitato nazionale per l’economia e il lavoro), che è composto da vari attori come i sindacati. Art. 100 > riguarda il Consiglio di stato che preesisteva alla costituzione e allo stato unitario e svolge una doppia funzione di consulenza e giurisdizionale (oggi nella sua composizione ci sono due funzioni giurisdizionali e due di consulenza al parlamento e alle pa e una da 15 pareri su atti del governo). La corte dei conti svolge compiti di controllo sulle entrate e sulle spese dello stato. È un organo nato in Francia nello stesso periodo del consiglio di stato. Ruolo della corte nel dirimere le controversie tra lo stato e i suoi dipendenti, che è una delle funzioni che la corte svolge; ha una funzione consulenziale e una giurisdizionale perché opera come giudice secondo un modello più vicino al giudice penale che quello civile (es. responsabilità per danno erariale). Art. 111 > introduce il giusto processo e fissa principi per l’attività giurisdizionale (applicabili alla giustizia ordinaria e amministrativa) Art. 113 > si prevede la tutela di diritti e interessi legittimi. Si sancisce l’esistenza della giustizia amministrativa. Si afferma che tutti gli atti della p.a. sono impugnabili e ricorribili anche davanti al giudice ordinario (es. caso di risarcimento del danno) Art. 114 > dimostra quanto sia cambiato il rapporto tra stato-regioni-enti locali perché è stato istituito un modello con cinque livelli di potere messi su un piano di parità, mentre il precedente testo diceva che lo stato si articolava in Regioni Province e Comuni dando allo stato un ruolo centrale rispetto all'esercizio del potere pubblico. È importante per l’introduzione della città metropolitana, che è un’agglomerazione urbana. Non ha ancora trovato una applicazione, nonostante la l. Del Rio (59/2007) abbia previsto l’esistenza di 10 grandi aree, perché non è partita a livello istituzionale. Art. 118 enunciazione del principio di sussidiarietà come criterio generale di divisione delle funzioni amministrative Amministrazione regionale e locale: Art. 117 → la costituzione del ‘48 ha introdotto questo nuovo livello di esercizio del potere legislativo (livello regionale che crea un nuovo livello dotato di autonomia politico legislativa). Per quanto riguarda le regioni, istituite nel ’70, furono soggette ai primi trasferimenti di potere nel ’72 e poi nel ’77, e cominciarono a svolgere un ruolo centrale nell’ordinamento solo a fine anni ’70. Sono giovani istituzioni essendosi affermate come centri di esercizio del potere molto forte soltanto poco tempo fa, con la legge Bassanini I che avviò il processo di allargamento dei loro poteri, in particolare di quello legislativo, conclusosi con la riforma della II parte del Titolo V con la l. 3/2001. La costituzione comincia dal basso dai comuni ed è un approccio ideologico che ci fa capire come l’esercizio del potere si avvicini sempre di più al cittadino e infatti in questo art. troviamo una radicale riforma della ripartizione del potere legislativo. È una delle forme più ampie di autonomia legislativa e politica e quindi di essersi dati un indirizzo politico autonomo e diverso anche dalle regioni. Ne sistema precedente era stato fatto un elenco delle materie trasferite alle regioni, mentre nel testo attuale è stato ribaltato l’approccio perché troviamo: a) Elenco delle materie di competenza legislativa esclusiva dello stato (II co.) (es. politica estera, difesa, sicurezza, organi dello stato, giurisdizione, norme processuali, l’ordinamento civile e penale e la giustizia amministrativa. Qui troviamo la distinzione tra giurisdizione e norme processuale e giustizia amministrativa che riconosce un’autonomia alla seconda rispetto alle altre giurisdizioni, ma la competenza è attribuita allo stato come l’ordinamento civile e penale, ma manca il diritto amministrativo che è quel diritto che serve a rendere applicabili e concrete le leggi e quindi segue le leggi, e quindi se una regione ha un potere legislativo su quella materia quel potere implicherà un potere amministrativo di applicazione di quelle norme e quindi c’è uno spazio per un potere amministrativo regionale). Lo stato può fissare i principi legislativi rispetto a determinate materie e le regioni poi hanno lo spazio di legiferare nel rispetto dei principi fissato dallo stato. Si parla anche di livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Combinare l’autonomia delle regioni con l’uguaglianza non è facile perché da una parte le regioni tendono a chiedere 16 maggiore autonomia e dall’altra questa autonomia non ha portato a un’equa distribuzione dei servizi e delle prestazioni su tutto il territorio nazionale. Questi livelli servono proprio a questo. (es. LEA – livelli sanitari di assistenza) b) Elenco delle materie di legislazione concorrente tra stato e regioni (che sono di impatto diretto nella vita delle persone, sulle quali per evitare un’eccessiva disparità di trattamento dei cittadini rispetto alle leggi regionali). La maggior parte delle sentenze della Corte costituzionale sono volte a risolvere i conflitti di attribuzione. c) Elenco delle materie di legislazione esclusiva delle regioni (quindi materie residuali non sono elencate) La potestà regolamentare spetta allo stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva la delega alle regioni, spetta invece alle regioni in ogni altra materia: nella legislazione concorrente lo stato non potrebbe emanare norme di rango regolamentare perché spetta alle regioni. Art. 118 > con riferimento alla funzione amministrativa (che nel vecchio art. 117 era influenzato dal principio di corrispondenza tra potere amministrativo e legislativo in quanto il primo seguiva il secondo dato che lo stato era competente in una materia sia per il potere legislativo che per quello amministrativo) viene rotta questa corrispondenza perché la funzione è stata attribuita a determinati poteri: quindi ai comuni, che è il livello territorialmente più basso, perché questo la norma è stata ritenuta “regionalista comunista”. PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ: Vengono individuati anche i principi che regolano l’esercizio della potestà amministrativa e se questa è in linea di principio attribuita ai comuni possono essere esercitati poteri amministrativi dagli altri livelli di potere per assicurare adeguatezza e unitarietà dei servizi sulla base del principio di sussidiarietà (il livello più alto interviene in via sussidiaria al comune non in grado di svolgere in maniera comune questo servizio). In caso di contrasti si deve ricorrere alla giurisprudenza perché in ogni caso troviamo indicatori che ci fanno capire quando è necessario l’intervento di un potere territorialmente superiore. Anche nei trattati dell’UE si parla di sussidiarietà perché dove non arrivano i singoli stati intervengono le istituzioni europee. L’ultimo co. si apre all’idea di funzione amministrativa: si dice che certi servizi non devono essere necessariamente prestati dallo stato e dalle altre forme di esercizio del potere pubblico ma possono essere gestite e assicurate direttamente dai singoli consociati (società civile – fenomeno del terzo settore). Art. 119 > dedicato ai rapporti economici tra stato e regioni. che non è un terreno facile e sarà un argomento di discussione perché prima della riforma costituzionale il centro del potere economico soprattutto per le entrate dello stato (potere tributario e fiscale) era attribuito solo allo stato e via via e già con la l. 59/1997 sulla base di una legislazione ordinaria senza toccare la costituzione e nel 2001 riformandola si è ampliato il potere tributario non solo delle regioni ma anche degli enti locali, con un’avvertenza che è sempre la legge dello stato a definire quali possono essere i tributi riscossi direttamente dalla regione e quali direttamente dai comuni. Non si mette in discussione l’unitarietà del potere impositivo perché è lo stato che determina la legislazione tributaria fiscale attribuendo un potere impositivo anche a questi altri livelli di esercizio del potere pubblico e in particolare a regioni e comuni. Le regioni pur avendo questa piccola autonomia impositiva però ancora oggi sono fortemente dipendenti dallo stato per quanto riguarda la distribuzione delle risorse. Questo crea anche molte tensioni tra regioni e stato e tra le singole regioni. Ci sono regioni come la Lombardia che contribuiscono da sole per circa il 20% del pil e il 10% solo nella città di Milano, ma dal punto di vista fiscale non si trattine sul territorio tutto quello che i cittadini lombardi verso per tasse e imposte allo stato. Giusto le regioni a statuto speciale hanno delle norme che regolano diversamente i rapporti economici, mentre questa è la norma per le regioni ordinarie. Tutto va allo stato che ripartisce le entrate alle regioni sulla base di criteri oggettivi come il numero di abitanti o la capacità fiscale. Nel 2001 questo rapporto è stato 17 oggetto di profonda discussione ma fondamentalmente le nuove norme non hanno cambiato l’assetto precedente che resta lo stesso. C’è stata maggiore ampiezza nelle regioni, ma esse vivono principalmente di finanza derivata dai trasferimento dello stato, e ciò può creare disfunzioni come quelle sul piano politico. Es. lega lombarda e poi lega nord e poi lega oppure la catalogna. Molto spesso non ci sono nozioni ideali. La costituzione per evitare che ci possano essere troppe disparità crea un fondo perequativo alimentato da tutte le regioni ex art. 119, III co. Ci fu un problema di disparità anche negli stati dell’est (più svantaggiati) e dell’ovest e per questo motivo si creò questo fondo. Questo fondo serve a intervenire quando le regioni non possono garantire la prestazione di quei livelli essenziali fissati dallo stato, e con questa norma si completa la M dell’art. 117: lo stato fissa questi livelli e può intervenire per garantire questi livelli. È uno standard che serve a intervenire sul piano economico e finanziario. Se da una parte si aumenta lo spazio di azione delle regioni da una parte si interviene con un aiuto economico per quelle meno forti. È un discorso complesso perché nel 117 è prevista la possibilità di una sorta di forma di autonomia rafforzata delle regioni che può essere oggetto di contrattazione con lo stato: Lombardia, veneto ed Emilia Romagna hanno chiesto l’applicazione di queste norme che permettono di avere maggiori autonomie comprese quelle fiscali e contributivi attraverso una contrattazione con lo stato (regionalismo differenziato che consente alle regioni di avere anche poteri ulteriori rispetto a quelli previsti dalla cost. e consente alle regioni più ricche di trattenere più fondi per sé. Ma ciò impatta sempre sulle pa, come assistenza, sanità e gestione dei rifiuti.). Art. 120 > norma di tenuta dell’ordinamento che nel II co. contiene norme che consentono allo stato di intervenire sostituendosi ai poteri regionali e locali in determinate situazioni. Si parlerà di potere sostitutivo (esercizio di controllo) nella p.a., ma qui è disciplinato a livello costituzionale e riguarda la capacità delle amministrazioni regionali e locali di svolgere le proprie funzioni. Dopo aver distribuito le competenze vengono prese in esame le possibili violazioni di questo equlibrio dando allo stato la possibilità di sostituirsi agli enti locali in: 1. caso di mancato rispetto di norme, trattati internazionali o normative comunitarie (es. regolamento europeo o direttiva self executing) 2. pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica (emergenze) Questo è richiesto dalla tutela: a. dell’unità giuridica > se la norma regionale viola principio fissato dallo stato in materia di legislazione concorrente b. dell’unità economica > regioni che violavano il patto di stabilità interno (accordo di carattere fiscale che deriva dall’applicazione di un trattato europeo) c. dei livelli essenziali delle prestazioni che sono la base per il potere sostitutivo dello stato vs regioni e comuni > se la regione non è in grado di farvi fronte. 3. Fonti dell’Unione europea La potestà legislativa dello Stato e delle regioni è sottoposta ai vincoli derivanti dal diritto comunitario: nella gerarchia delle fonti, quelle dell’UE sono in un livello più elevato rispetto a quelle primarie. Le norme nazionali contrastanti con il diritto europeo devono essere disapplicate (e ha valenza sia per i giudici nazionali che devono individuare la norma da applicare al caso concreto, sia per le p.a., quando esercitano un potere amministrativo ed emanano un provvedimento, e per loro è addirittura più stringente, perché non può disapplicare le leggi contrarie alla Costituzione, né ha il potere, che i giudici hanno, di sollevare in via incidentale la questione alla Corte costituzionale. Il primato di questo diritto vieta alle p.a. di dare esecuzione a un provvedimento la cui legittimità sia stata affermata da una sentenza passata in giudicato. allorché esso sia stato ritenuto contrario al diritto europeo della Corte di giustizia). Le fonti europee sono costituite da: 18 1. Trattati istitutivi della Comunità modificati e integrati: Trattati di Amsterdam del 1997, di Nizza del 2001 e di Lisbona del 2007 (in vigore dal 2009). I principi che contengono (non discriminazione e legalità) sono di diretta applicabilità negli ordinamenti nazionali. 2. Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che è una delle più importati e che ha permesso di recepire la convenzione europea dei diritti dell’uomo (1957) nel trattato di Nizza (2001). La convenzione ha forma di un trattato internazionale e, a differenza di altri trattati, adotta uno schema di applicazione diverso perché prevede degli organi interni, un consiglio europeo e un giudice europeo. Nel trattato stesso i firmatari della convenzione hanno istituito delle amministrazioni e un giudice in grado di dare effettività alle norme, che ha permesso che questa carta si affermasse come fonte internazionale con un’amministrazione e un giudice a cui ricorrere in caso di provvedimento o norma che violano la carta stessa. Oggi ha una doppia valenza perché è una norma internazionale e una norma europea. 3. Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo (CEDU). 4. regolamenti hanno capacità generale e sono direttamente vincolati per gli Stati membri e per i loro cittadini. Non richiedono alcuna forma di recepimento da parte degli Stati membri e non possono essere derogati. Quelli europei devono essere motivati. Essi costituiscono un principio diretto per sindacare la legittimità degli atti amministrativi 5. direttive emanate dalla Commissione e dal Consiglio hanno per destinatari gli Stati e sono vincolati “per quanto riguarda il risultato da raggiungere”, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi, quindi non sono immediatamente applicabili. Devono essere motivate e impongono un obbligo di risultato ma non incidono sull’autonomia degli Stati membri nell’individuazione delle modalità con cui raggiungere gli obiettivi. Sono da preferire rispetto ai regolamenti e le direttive quadro devono essere preferite a quelle dettagliate. 6. decisioni, le quali applicano norme generali e astratte previste da fonti comunitarie a casi particolari. Sono vincolanti per gli Stati membri, ma non hanno un'efficacia diretta. Possono assumere una duplice forma: - decisioni quadro adottate dal Consiglio per promuovere il ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri; - decisioni che possono avere qualsiasi scopo coerente con gli obiettivi del Trattato, escluso quello del ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari nazionali. Sent. cassis de dijon del 79 con cui si impone alla amministrazione tedesca di accettare il prodotto perché accettato sulla base di norme europee. Dobbiamo ricordare questa preminenza della fonte europea che si affianca a quella costituzionale. Gli stati europei possono essere condannati dalle corti europee per il mancato adempimento di norme europee (novità perché nell’ordinamento tradizionale lo stato era responsabile al proprio interno e difficilmente all’esterno). Troviamo delle differenze corpose con il sistema di produzione interno delle fonti che rendono quelle europee molto più vicine al sistema di produzione delle fonti amministrative. La produzione delle fonti a livello europeo, in particolare delle direttive, si distingue dal processo di produzione interno dei vari paesi. La produzione delle fonti normative solitamente spetta al parlamento e a livello europeo è la ripartizione dei poteri non si applica in modo preciso, perché la produzione legislativa è condivisa. La procedura di produzione delle fonti ha un andamento diverso perché il processo di produzione può nascere dall’alto o dal basso (dalle istituzioni o da singoli stati) e questo permette a vari soggetti di intervenire (es. comitati con interessi europei). È un processo complesso che assimila la procedura legislativa alla procedura normativa: possono servire anni per la sua produzione in quanto la discussione in fase ascendente è molta e ciò porta a una base di conoscenza e di larga adesione. Nella fase discendente invece ci sono differenze rispetto all’attuazione di norme interne in quanto le istituzioni europee nascono prime di una propria amministrazione e non sono in grado di applicare le norme europee direttamente dovendosi appoggiare sulle amministrazioni dei singoli paesi. Nelle istituzioni originarie non era concepita una p.a., e tutt’ora a Bruxelles non esiste una p.a. che gestisce l’applicazione di queste norme, che sono applicate a livello dei singoli stati con un procedimento amministrativo che arriva fino alle amministrazioni di singoli territori o paesi. Le decisioni europee 19 partono dalle commissioni e poi con un processo discendente che passa per le amministrazioni statali arrivano a produrre i propri effetti. Questi procedimenti attuativi sono procedimenti composti perché contengono varie fasi che superano i confini dello stato. Questa integrazione verticale delle istituzioni europee incide sul sistema delle fonti. Tra le fonti internazionali vi sono i trattati ai quali l’Italia partecipa come stato firmatario. Dalle nazioni unite si sono sviluppati organismi e organizzazioni autonome, che hanno una fonte di riferimento nei trattati istitutivi e sono diventate autonome e produttrici di proprie norme. La caratteristica di queste norme è la rilevanza giuridica diretta all’interno degli stati (si differenzia anche dallo schema classico del diritto internazionale che vede come destinatario lo stato). 4. Fonti normative statali, riserva di legge e principio di legalità La Costituzione pone una disciplina completa delle fonti statali di livello primario: 1. legge, approvata dalle due Camere e promulgata dal Presidente della Repubblica (artt. 71-74), 2. decreto legge, che può essere adottato dal governo in casi straordinari di necessità ed urgenza e che deve essere convertito in legge dalle Camere entro 60 giorni (art. 77); 3. decreto legislativo, emanato dal governo sulla base di una legge di delegazione che definisce l'oggetto e determina i principi e i criteri direttivi e il limite di tempo entro il quale la delega può essere esercitata (art. 76). Dopo la riforma costituzionale (2001) la potestà legislativa statale è esercitabile solo nelle materie dell’art. 117, II e III co. (non è generale). A. Le riserve di legge: concorrono a definire i rapporti tra parlamento e potere esecutivo. Le disposizioni costituzionali prevedono che determinate materie debbano essere disciplinate con legge escludendo o limitando il ricorso a fonti secondarie e in particolare a regolamenti governativi (si istituisce una riserva di competenza a favore del Parlamento). Si distinguono 3 tipi di riserve di legge: 1. Assoluta (materia penale) > richiede che la legge ponga una disciplina completa della materia ed esclude l’intervento di fonti sublegislative. Es. “nei soli casi e modi previsti dalla legge”. 2. Rinforzata > aggiungere all’assolutezza il fatto che la Costituzione stabilisce direttamente principi materiali/procedurali relativi alla disciplina della materia che sono un vincolo per il legislatore ordinario (es. diritti di libertà) 3. Relativa (materia tributaria) prevede che la legge ponga prescrizioni di principio e consente l’emanazione di regolamenti di tipo esecutivo contenenti le norme di dettaglio che completano la disciplina. Es. “in base alla legge” o “secondo le disposizioni di legge”. La riserva di legge relativa e il principio di legalità sostanziale hanno alcuni punti in comune perché entrambi hanno il compito di delimitare il potere esecutivo. Essa concorre a definire i rapporti interni al sistema delle fonti normative: stabilisce condizioni e limiti al potere regolamentare del governo ed esige che la legge disciplini almeno in parte la materia e che i regolamenti siano emanati nel rispetto della disciplina posta dalla legge. Si pone la questione di quanta parte della disciplina di una determinata materia debba essere contenuta direttamente nella fonte primaria e quanto spazio di intervento possa essere rimesso invece alla fonte regolamentare (p. esecutivo). 5. Le leggi provvedimento Sono leggi (statali e regionali) prive della generalità e astrattezza, che intervengono per disciplinare situazioni concrete riferite a un’unica fattispecie. La Cost. non prevede un principio di riserva d’amministrazione o funzione amministrativa che impedisca al legislazione di invadere il potere esecutivo, rientrando nella discrezionalità del parlamento l’uso della legge rispetto al provvedimento amministrativo o se attribuire il potere corrispondente all’amministrazione. Oltre che incoerente con il principio della separazione dei poteri, il ricorso alla legge provvedimento scardina le garanzie 20 offerte al privato dal regime dell’atto e del procedimento amministrativo (es. diritto di partecipare al procedimento). La legge provvedimento può essere censurata soltanto sotto il profilo della costituzionalità con le forme, i limiti e i tempi propri di questo tipo di giudizio innanzi alla Corte costituzionale. Questa può dichiarare incostituzionali le leggi di provvedimento solo nei casi di manifesta ragionevolezza. Il ricorso eccessivo alle leggi provvedimento è sintomo di disfunzione nei rapporti tra parlamento e potere esecutivo. 6. I regolamenti governativi La L. 3/01 ha introdotto il principio del parallelismo tra competenza legislativa e competenza regolamentare dello Stato. Lo Stato è titolare di un potere regolamentare esclusivamente nelle materie a cui all'art. 117 riconosce competenza legislativa esclusiva, ma può delegare tale potere alle regioni (che hanno la capacità legislativa nelle materie residuali), e può sostituirsi a loro quando sono in mora, inerzia o in caso di urgenza. I regolamenti sono la categoria più importante degli atti della p.a. attraverso i quali si esprime il potere pubblico, che ha un diretto effetto sul destinatario che è individuato o individuabile (hanno sempre un destinatario, che può essere anche plurimo e ciò li differenzia dagli atti amministrativi generali). Ex art. 17, l. 400/88 ci sono 5 tipi di regolamenti governativi, attribuiti alla competenza del CdM: 1. regolamenti esecutivi → pongono norme di dettaglio necessario per l'applicazione concreta di una legge come es. ulteriore specificazione delle fattispecie disciplinate; 2. regolamenti integrativi → possono essere emanati nelle materie non coperte da riserva di legge assoluta e nei casi in cui la legge si limiti a individuare i principi generali della materia e autorizzi espressamente il governo a porre la disciplina di dettaglio; 3. regolamenti indipendenti → sono emanati nelle materie non soggette a riserva di legge laddove dove manchi una disciplina di rango primario (rari casi e possibile incostituzionalità dato l'ambio margine di discrezionalità dato in questi regolamenti); 4. regolamenti di organizzazione → emanati per disciplinare l'organizzazione e il funzionamento delle PA “secondo le disposizioni dettate dalla legge” (art. 97 Cost, fonte primaria che detta le linee guida è sempre necessaria). Sottospecie dei regolamenti esecutivi; 5. regolamenti delegati o autorizzati → sono emanati nelle materie non soggette a riserva assoluta di legge e attuano la cosiddetta delegificazione. Sostituiscono cioè la disciplina posta da una fonte primaria con una disciplina posta da una fonte secondaria. La loro entrata in vigore determina infatti l'abrogazione delle norme vigenti contenute in fonti di rango primario. Alcune condizioni sono poste dalla legge: una legge deve autorizzare il governo ad emanare tali regolamenti; la stessa legge deve contenere le norme generali regolatrici della materia; la stessa deve disporre l'abrogazione delle norme vigenti Poi vi sono i regolamenti ministeriali e interministeriali (art. 17, III co.) dlle materie attribuite alla competenza di uno o più ministri e sono emanabili solo nei casi espressamente previsti dalla legge e sono gerarchicamente sottordinati ai regolamenti governativi. Profili procedurali dei regolamenti → sono atti formalmente amministrativi ma sostanzialmente normativi, sono adottati previo il parere del Consiglio di Stato, sono sottoposti al controllo preventivo di legittimità e alla registrazione della Corte dei conti e vengono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale. Il procedimento per la loro adozione non prevede la partecipazione dei privati che è espressamente esclusa e non è richiesta la motivazione. Caratteristiche dei regolamenti: 1. disapplicazione dei regolamenti → in base al principio della preferenza della legge i regolamenti sono suscettibili di disapplicazione da parte del giudice ordinario. Mentre il giudice amministrativo, secondo una recente giurisprudenza, può disapplicare una norma regolamentare in due ipotesi: a) quando il provvedimento impugnato viola un regolamento a sua volta difforme dalla legge; b) quando il provvedimento impugnato è conforme a un regolamento che però contrasta con una legge. Il giudice può anche disapplicare un regolamento quando questo non è stato 21 impugnato (disapplicazione normativa). 2. Si applicano le norme generali sull'interpretazione contenute nell'art. 12 delle D.P.C.C. 3. Vale il principio jura novit curia e la loro violazione costituisce motivo di ricorso per Cassazione 4. Non possono essere oggetto di sindacato di costituzionalità innanzi alla Corte Cost. 7. Fonti normative regionali, degli enti locali e di altri enti pubblici 1. le fonti normative regionali → sono tre indicate da Cost: statuti delle regioni > determinano la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento. Viene approvato con un procedimento aggravato: duplica approvazione a maggioranza assoluta da parte del consiglio regionale. È sottoponibile a referendum popolare. Lo statuto delle regioni speciali è approvato a legge costituzionale leggi regionali sono approvate dal Consiglio regionale e promulgate dal Presidente nelle materie alle regioni attribuite o concorrenti secondo art. 117. La giurisprudenza ha sostenuto che anche nelle competenze regionali lo Stato può intervenire, quando le materie esclusive dello Stato hanno natura trasversale e consentono a leggi statali di introdurre disposizioni che non possono essere derogate alle regioni, oppure quando (chiamata a sussidiarietà) una funzione richieda di essere esercitata in modo unitario a livello statale e quindi la funzione legislativa statale “irrompe” nelle competenze regionali. regolamenti sono adottati dalla giunta regionale e sono emanabili nelle materie attribuite alle regioni ex art. 117 2. Fonti normative degli enti locali (comuni, provincie e città metropolitane) (art. 114, II co. Cost)→ statuto approvato dal consiglio dell'ente locale a maggioranza di 2/3. Deve contenere le norme fondamentali sull'organizzazione dell'ente, le forme di garanzia e di partecipazione delle minoranze. Lo statuto ha rango sub-primario perchè si pone al di sotto delle leggi statali. regolamenti degli enti locali sono emanati nelle materie di competenza degli enti locali nel rispetto dei principi fissati dalla legge e dallo statuto. Disciplinano l'organizzazione e il funzionamento degli organi e degli uffici e l'esercizio delle funzioni. Molti altri enti pubblici hanno acquistato rilievo negli ultimi anni come le università e le camere di commercio, e possono dotarsi di propri statuti. Gli atti normativi > hanno il carattere dell'astrattezza, generalità e della novità (intensa come capacità di modificare, sostituire o integrare norme preesistenti). È un atto giuridico che ha come effetto la creazione, modificazione o abrogazione di norme generali e astratte di un determinato ordinamento giuridico in base alle norme sulla produzione giuridica vigenti nello stesso ordinamento. La giurisprudenza tende a qualificare come atti normativi atipici quelli che dettano regole di comportamento a soggetti esterni all'amministrazione. Nell'ambito del diritto amministrativo la distinzione tra atti normativi e non, riferita agli atti amministrativi generali ha scarsa rilevanza, poiché il loro regime è quasi identico e ha tre conseguenze principali: 1. si applica il principio jura novit curia, le parti possono limitarsi ad allegare e provare i fatti costituenti il diritto affermato in giudizio, ma non hanno l'onere di allegazione e di prova delle norme applicabile al caso concreto. 2. È consentito il ricorso per Cassazione per “violazione o falsa applicazione di norme di diritto”; 3. Valgono i criteri d'interpretazione posti dall'art. 12 delle preleggi. 8. Gli atti di regolazione aventi natura non normativa Le particolarità sfumano per gli atti di regolazione aventi natura non normativa (amministrativi): 1. nel processo amministrativo il ricorrente deve specificare i motivi di ricorso (profili specifici di vizio sottoposti all'esame del giudice e deve indicare gli articoli di legge e di regolamento che si 22 ritengono violati), perché il giudice non può agire d’ufficio per l’individuazione del parametro normativo su cui operare il sindacato. 2. Ricorribilità in Cassazione avverso sentenze del giudice amministrativo per i “soli motivi inerenti alla giurisdizione”. Non rileva se il provvedimento amministrativo impugnato sia illegittimo per violazione di una norma giuridica in senso proprio o di una prescrizione contenuta in atto amministrativo generale o circolare. La tutela è uguale nei due casi perché si esclude la ricorribilità contro la sent. del giudice amministrativo che offre un’interpretazione errata della norma giuridica invocata come parametro di legittimità del procedimento impugnato. 3. Per l'interpretazione valgono le norme sui contratti civili tranne che quelle sull’interpretazione del contratto in modo meno gravoso per l'obbligato e simili, perché qui il regime coincide con quelle delle preleggi 9. Gli atti amministrativi generali Sono un provvedimento amministrativo che contiene norme generali ma non astratte, quindi: generale → l'atto generale si rivolge ad una pluralità di destinatari, non determinati o determinabili a priori ma soltanto a posteriori, ossia al momento dell'applicazione; non astratto → non è applicabile ad una pluralità indeterminata di casi. La mancanza dell'astrattezza distingue l'atto amministrativo generale dall'atto normativo. Pertanto, l'atto generale, a differenza dell'atto normativo, non può essere considerato fonte del diritto, proprio perchè manca questo carattere dell'astrattezza. La dottrina prima li qualificava come “atti di normazione secondaria” equiparandoli ai regolamenti mentre oggi si parla di “atti della p.a.” distinguendole dai regolamenti. Il potere di emanare atti normativi deve essere espressamente conferito dalla legge, mentre si ritiene che nella competenza amministrativa attribuita ad un organo sia implicitamente incluso il potere di emanare atti amministrativi generali. A) livello statale > la competenza è attribuita al governo al quale spetta il compito di mantenere l'unità dell'indirizzo politico ed amministrativo e di coordinare l'attività dei ministri o ai ministri che definiscono piani, programmi e direttive generali che trovano poi svolgimento nell'attività dei dirigenti generali. B) livello locale > spetta ai consigli comunali o provinciali che approvano programmi, piani territoriali ecc. Il regime giuridico degli atti amministrativi generali deroga alla l. 241/90 sul regime degli atti amministrativi in senso stretto, ricalcando quello degli atti normativi: 1. non richiesta motivazione (art. 3, II co., l. 241/90); 2. il procedimento non prevede partecipazione dei privati (art. 13 l. 241/90); 3. l'attività di amministrazione diretta alla loro emanazione è esclusa dal diritto di accesso (art. 24, I co., l. 241/90); 4. per molti atti generali è richiesto l'obbligo di pubblicazione e ciò accentua la loro valenza regolatoria. Tipi di atti amministrativi generali: 1) bandi di concorso e avvisi di gara Le p.a. organizzano concorsi sia per assumere personale sia per assegnazione appalti/contratti di fornitura. Sono atti che disciplinano nel dettaglio le regole del concorso es. quanti e quali posti ci sono, specifica i requisiti per parteciparvi, indicare quali sono i documenti da portare ecc. Sono atti amministrativi generali perchè sono atti che si rivolgono a persone indeterminate che non si conoscono e il bando disciplina solo quella disciplina non in generale. Quando si esaurisce il concorso, il bando termina i suoi effetti. Quando una p.a. viola una disposizione del bando, il risultato del concorso è illegittimo 23 perchè atto a monte è viziato. 2) atti di pianificazione e di programmazione (piani e programmi) Il loro scopo è di prefigurare obiettivi, limiti, contingenti, priorità e altri criteri che presiedono all'esercizio dei poteri amministrativi e all'attività degli uffici pubblici. (es. rilascio dei permessi di costruzione nel rispetto dei piani regolatori comunali). L'attività di pianificazione serve anche a creare i raccordi tra i diversi livelli di governo (Stato, regioni e comuni) secondo il metodo della pianificazione a cascata. Il piano regolatore è lo strumento principale di governo del territorio da parte dei comuni. È in vigore dal 1865 in Italia, la legge che lo disciplina è del 1942. Suddivide: zonizzazione → divisione in zone omogenee con l'indicazione per ciascuna di esse delle attività insediabili, in base a criteri e a parametri definiti in modo uniforme a livello nazionale: attività edificatoria, agricola, industriale. (zona A – centro abitato o storico, B zona di completamento del centro abitato o storico, C zona di espansione territoriale, D zona attività economiche, E zona attività agricole, F zona dei servizi di interesse generale, che corrispondono a una funzione della zona). Serve per regolare il mercato fondiario completamente regolato dalla pa. localizzazione → divisione in zone destinate ad edifici e a infrastrutture pubbliche o a uso pubblico. Se la localizzazione riguarda terreni di proprietà privata, essa determina un vincolo di inedificabilità di durata 5 anni (salvaguardia e misure di salvaguardia → si preclude la possibilità di rilasciare permessi a costruire non compatibili con le nuove prescrizioni, fin dalla adozione formale del piano) che decade se nel frattempo non interviene l'espropriazione. Viene approvato dopo un procedimento aperto alla partecipazione dei privati. Viene adottato dal comune e pubblicato per 30 gg per permettere agli interessati di prenderne visione e presentare osservazioni. Deve essere approvato anche dalla Regione. Viene qualificato come atto complesso che prevede il coinvolgimento del comune e delle regione con poteri propri. La sua natura è discussa (mista), perché non si comprende se sia un atto normativo o un atto amministrativo generale in quanto dispone in via generale e astratta sul governo e sull’utilizzazione dell’intero territorio comunale ma contiene anche istruzioni, norme e prescrizioni di concreta definizione, destinazione e sistemazione di singole parti del comprensorio urbano. 3) ordinanze contingibili e urgenti Servono ad affrontare una situazione d'emergenza ed imprevedibile, quando essa metta a rischio interessi collettivi nazionali (incolumità e sicurezza pubblica). Il potere di adottare misure

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