Riassunto Manuale Clarich PDF

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Università degli Studi di Palermo

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Questo documento è un riassunto del manuale di diritto amministrativo di Clarich, focalizzato sull'organizzazione e sull'attività della pubblica amministrazione e sui principi che le regolano. Vengono trattati i rapporti con le scienze sociali, come la sociologia, le scienze politiche ed economiche e la cosiddetta “public choice”. Il documento analizza anche i "fallimenti del mercato" e gli strumenti di regolazione pubblica.

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lOMoARcPSD|11646809 Riassunto manuale clarich diritto amministrativo (Università degli Studi di Palermo) Scanne, um auf Studocu zu öffnen Studocu wird von keiner Universität gesponsert oder unterstützt. Heruntergeladen durch Alexander Lants...

lOMoARcPSD|11646809 Riassunto manuale clarich diritto amministrativo (Università degli Studi di Palermo) Scanne, um auf Studocu zu öffnen Studocu wird von keiner Universität gesponsert oder unterstützt. Heruntergeladen durch Alexander Lantschner ([email protected]) lOMoARcPSD|11646809 CAP 1 Diritto amministrativo e scienze sociali: la scienza del diritto amministrativo Oggetto del diritto amministrativo sono l’organizzazione e l’attività della pubblica amministrazione e i principi speciali che le regolano. Occorre fare cenno ai principali settori delle scienze sociali che si occupano della pubblica amministrazione. o La sociologia: La sociologia analizza le relazioni di potere interne ed esterne agli apparati burocratici e la varietà dei bisogni e degli interessi della collettività di cui essi si fanno carico. Il potere è un fenomeno sociale prima ancora che giuridico, presente in ogni collettività organizzata. Va ricordata, in particolare, l’analisi di Max Weber dei tipi storici di potere: - Potere tradizionale fondato sul carattere sacro delle tradizioni (monarchie ereditarie); - Potere carismatico fondato sulla forza eroica o sul valore esemplare di una persona (cesarismo, dispotismo); - Potere razionale fondato sulla legalità di ordinamenti statuiti (Stato di diritto) o Le scienze politiche ed economiche. Fallimenti del mercato e “regulation” Le scienze politiche analizzano il ruolo degli apparati burocratici all’interno del circuito politico rappresentativo, cioè come strumenti per realizzare le politiche pubbliche decise dal parlamento. Le scienze politiche ed economiche analizzano le situazioni nelle quali è giustificato l’intervento dei pubblici poteri sotto forma di regolazione. Soprattutto nel mondo anglosassone ha avuto impulso la teoria della regolazione pubblica (o regulation) che analizza le ragioni e le modalità di intervento dei poteri pubblici in campo sociale ed economico. Tra le varie definizioni di regulation possono essere richiamate quelle di «controllo prolungato focalizzato esercitato da un’agenzia pubblica su attività cui una comunità attribuisce una rilevanza sociale»; oppure di «guida con mezzi amministrativi pubblici di un’attività privata secondo una regola statuita nell’interesse pubblico». Si distinguono generalmente due modelli di regolazione pubblica: 1. La prima indirizzata a promuovere scopi sociali (social regulation) come, per esempio, la tutela della salute; 2. La seconda indirizzata a massimizzare l’efficienza economica e il benessere dei consumatori. Quanto ai fallimenti del mercato, si tratta di situazioni nelle quali il mercato deregolamentato, non è in grado di tutelare in modo adeguato gli interessi della collettività. I principali casi di fallimenti del mercato che giustificano l’intervento dei poteri pubblici sono i seguenti: - I monopoli naturali. I rimedi più frequenti consistono nel sottoporre l’impresa monopolista a una serie di vincoli, tra i quali, per esempio, il controllo dei prezzi e tariffe applicate agli utenti, oppure l’obbligo di consentire l’accesso delle proprie strutture ad altri operatori concorrenti. - I beni pubblici, come la difesa esterna o l’ordine pubblico, dei quali beneficia l’intera collettività. - Le esternalità negative dovute per esempio a produzioni industriali inquinanti i cui benefici vanno a vantaggio dell’impresa ma i cui costi gravano sull’intera collettività. - Le asimmetrie informative tra chi offre e chi acquista beni e servizi circa le caratteristiche qualitative essenziali. A tutela di questi ultimi vengono così istituiti sistemi di vigilanza sulle imprese con l’attribuzione ad autorità di regolazione di poteri di regolazione, autorizzatori, prescrittivi, ispettivi e sanzionatoti. Le misure autoritative necessarie per prevenire e correggere i fallimenti del mercato si prestano a essere classificate secondo il criterio che muove dalla maggiore alla minore intrusività rispetto alla dinamica del mercato: monopoli legali e concessione di diritti esclusivi, proprietà pubblica, pianificazioni settoriali, controllo dei prezzi, sovvenzioni, obblighi Informativi. Il principio che dovrebbe guidare il regolatore nella scelta degli strumenti correttivi è quello secondo il quale vanno preferiti, tra gli strumenti astrattamente idonei a tutelare l’interesse pubblico, quelli meno restrittivi della libertà di impresa. Cenni agli indirizzi della “public choice” e al modello “principal – agent” Sempre nell’ambito delle scienze economiche, va menzionato l’indirizzo della c.d. public choice. Per spiegare il funzionamento effettivo degli apparati pubblici è errato muovere dall’ipotesi che gli apparati pubblici agiscano sempre e necessariamente per perseguimento di obiettivi di interesse pubblico. È più realistico invece muovere dall’ipotesi che anche il loro comportamento è animato da self-interest (potere, livello retributivo, reputazione...). Gli apparati pubblici agiscono cioè come attori in un’arena pubblica nella quale le decisioni sono il frutto di scambi e di negoziazioni tra i vari gruppi politici e sociali. In base a questo tipo di approccio, si tende a porre in evidenza, che Anche gli apparati amministrativi tendono a essere influenzati nelle loro decisioni da interessi soprattutto economici deviando così dalla loro missione di cura dell’interesse pubblico generale. Da qui dunque la necessità di un disegno istituzionale atto a prevenire o, quanto meno, a limitare questo rischio. Dal punto di vista macroeconomico, lo Stato nelle sue varie articolazioni può essere considerato come un meccanismo di gestione e redistribuzione delle risorse alternativo al mercato. La regolazione pubblica con l’imposizione ai privati di obblighi comportamentali in funzione del raggiungimento di interessi pubblici, costituisce uno strumento alternativo alla tassazione per la realizzazione di obiettivi di interesse pubblico. La microeconomia elabora a sua volta una serie di strumenti concettuali utili per inquadrare il fenomeno burocratico. In particolare, la teoria del principal-agent (principale-agente) studia meccanismi e gli incentivi per far sì che l’attività dell’agente, delegato dal principale a compiere una certa attività, venga posta in essere nell’interesse ultimo e non venga piegata all’interesse egoistico dell’agente. Anche gli apparati burocratici possono essere considerati come agenti del parlamento che nella veste di principale attribuisce ad essi, per legge, funzioni e risorse per la cura di interessi pubblici. Spesso gli apparati burocratici perseguano fini propri che non coincidono con la massimizzazione dell’interesse pubblico. All’interno dei singoli apparati pubblici i dirigenti possono essere considerati come agenti incaricati di svolgere la propria attività in funzione degli obiettivi individuati dai loro principali, cioè i vertici politici. La regolazione pubblica dovrebbe dunque individuare gli strumenti (regole, incentivi, sanzioni) per allineare gli interessi dell’agente a quelli del principale. Heruntergeladen durch Alexander Lantschner ([email protected]) lOMoARcPSD|11646809 La scienza del diritto amministrativo: -Storicamente l’applicazione rigorosa del metodo giuridico al diritto amministrativo risale in Italia alla fine del XIX secolo, seguendo l’esempio tedesco. Il criterio seguito fu quello, da un lato, di eliminare ogni elemento filosofico, storico e politico dall’analisi giuridica e di intraprendere un’opera non limitata alla mera esposizione ed esegesi della legislazione amministrativa; dall’altro, di costruire, attraverso classificazioni e successivi processi di astrazione, i concetti giuridici. Questa elaborazione dominò la scienza giuspubblicistica nella prima metà del secolo scorso e contribuì alla costruzione di un diritto amministrativo coerente con una concezione liberale. In questa prima fase il diritto amministrativo concentrò la propria attenzione sull’attività amministrativa. Venne posto l’accento soprattutto sulle prerogative degli apparati pubblici attraverso l’elaborazione della teoria dell’atto amministrativo come espressione del potere unilaterale attribuito dalla legge agli apparati pubblici. -Con l’evolversi dei rapporti politici e sociali e con l’espandersi della legislazione amministrativa la scienza del diritto amministrativo estese il proprio campo di indagine a fenomeni emergenti come l’ordinamento del credito, gli enti pubblici e l’impresa pubblica. -Anche la Costituzione repubblicana del 1948, aperta a nuovi valori e che dedica alcune disposizioni fondamentali all’ordinamento amministrativo, e le leggi di riforma dei decenni successivi indussero la dottrina a un ripensamento dell’impianto generale del diritto amministrativo. -La l. n. 241 del 90 propone un nuovo paradigma interpretativo, che valorizza la posizione del cittadino, titolare ormai di un’ampia gamma di diritti e garanzie all’interno del rapporto procedimentale, ed enfatizza la sottoposizione del potere al principio di legalità inteso in senso più rigoroso. Il diritto amministrativo e i suoi rapporti con altre branche del diritto 1)Il diritto costituzionale: esso riguarda i rami alti dell’ordinamento e le fonti del diritto. Il diritto amministrativo iguarda i rami bassi, cioè quel complesso di apparati pubblici che si è sviluppato soprattutto nel XX secolo, ciascuno dei quali dotato di una gamma più o meno ampia di poteri. Il primo trova fondamento e una disciplina positiva nelle costituzioni scritte, il secondo è regolato in prevalenza da fonti normative sub costituzionali (leggi, regolamenti, statuti) e dai principi di derivazione giurisprudenziale. 2)il diritto europeo: Il diritto amministrativo italiano ha acquistato peraltro una dimensione europea sotto cinque profili principali: 1. Legislazione amministrativa: l’art 117.1 Cost. stabilisce che la potestà legislativa dello stato e delle regioni deve essere esercitata nel rispetto oltre che della costituzione anche dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario. Questo vincolo condiziona sempre di più la legislazione amministrativa settoriale statale e regionale che in molte materie è ormai nient’altro che la trasposizione delle direttive europea. Per esempio nella materia antitrust, la legge 287/90 che istituito l’autorità garante della concorrenza e del mercato ha posto una disciplina organica a tutela della concorrenza, prevede che l’interpretazione delle norme contenute nel titolo I della legge sia effettuata in base ai principi dell’ordinamento delle comunità europee in materia di disciplina della concorrenza. 2. L’attività: l’art 1.1 della legge 241/90 include tra i principi generali dell’attività amministrativa anche i principi generali dell’ordinamento comunitario. La PA è menzionata anche nella carta dei diritti fondamentali dell’UE. L’art 41, rubricato Diritto ad una buona amministrazione, garantisce ad ogni individuo, nei rapporti con le istituzioni europee il diritto di essere trattato in modo imparziale ed equo, di essere ascoltato prima che venga adottato nei suoi confronti un provvedimento che gli rechi pregiudizio, di accedere ai documenti del fascicolo che lo riguarda, di ottenere una decisione motivata adottata entro un termine ragionevole. Stabilisce inoltre che ogni persona ha diritto al risarcimento da parte dell’UE dei danni cagionati alle sue istituzioni o dai suoi agenti nell’esercizio delle loro funzioni. 3. L’organizzazione: il diritto europeo condiziona l’assetto organizzativo e funzionale degli apparati pubblici. Così numerose agenzie e autorità indipendenti sono state instituite in Italia specie nell’ultimo ventennio in attuazione di direttive europee. 4. La finanza: il diritto europeo impone poi agli stati membri vincoli sempre più stringenti alla finanza pubblica che condizionano in ultima analisi l’operatività delle PA e l’attuazione dei loro programmi di intervento. 5. La tutela giurisdizionale: il diritto europeo esercita un’influenza sul diritto processuale amministrativo. Il Codice del processo amministrativo stabilisce che la giurisdizione amministrativa assicura una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e «del diritto europeo». 3)il diritto privato: i nessi tra diritto amministrativo e diritto privato possono essere ricondotti a tre proposizioni principali: 1. Il diritto amministrativo è un diritto autonomo dal diritto privato; 2. Non esaurisce tutta la disciplina dell’attività e dell’organizzazione della pubblica amministrazione che attinge sempre più a moduli privatistici; 3. Ha una capacità espansiva in quanto si applica anche a soggetti privati. L’autonomia del diritto amministrativo: L’autonomia del diritto amministrativo dal diritto privato emerge indirettamente da un istituto disciplinato dalla l. N. 241/1990 e cioè dagli accordi stipulati tra amministrazione e soggetti privati e che disciplinano l’esercizio dei poteri discrezionali. L’amministrazione può infatti concludere con gli interessati accordi “al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale, o, in sostituzione di questo» (art. 11, comma 1,l. N. 241/1990). L’amministrazione, anziché provvedere in modo unilaterale e autoritativo, può dunque negoziare con i soggetti destinatari di un provvedimento il miglior assetto degli interessi da incorporare in un accordo. Da questa disposizione si ricava dunque più in generale che il diritto amministrativo è un diritto in sé completo e autosufficiente. Esso può attingere talora al diritto privato, ma in modo indiretto e selettivo: -indiretto, perchè il rinvio è operato non già alle disposizioni del codice civile, bensì ai principi da esse desumibili in via di interpretazione -selettivo perché anche l’applicazione dei principi così ricavati non è automatica, ma è subordinata a un giudizio di compatibilità con i principi del diritto amministrativo che prevalgono su quelli del diritto civile. Heruntergeladen durch Alexander Lantschner ([email protected]) lOMoARcPSD|11646809 Ciascuno dei due diritti è in se completo, poiché eventuali lacune devono essere colmale facendo applicazione analogica anzitutto di istituti e principi propri di ciascuna disciplina. L’autonomia del diritto amministrativo sostanziale trova un parallelo nell’autonomia del diritto amministrativo processuale rispetto al diritto processuale civile. Il Codice del processo amministrativo contiene numerosi rinvii espressi al codice di procedura civile, ma l’assenza di una disciplina espressa non comporta l’applicazione automatica delle corrispondenti disposizioni del codice di procedura civile. Queste ultime si applicano solo «in quanto compatibili o espressione di principi generali». I moduli privatistici e dell’organizzazione delle PA L’attività delle pubbliche amministrazioni è regolata in parte da leggi amministrative e in parte dal diritto privato. Le pubbliche amministrazioni sono dotate di soggettività piena nell’ordinamento giuridico. Esse godono, al pari delle persone giuridiche private, di una capacità giuridica generale: attitudine ad assumere la titolarità di diritti e obblighi in conformità alle norme del codice civile e delle leggi speciali. Le pubbliche amministrazioni possono instaurare relazioni giuridiche con altri soggetti dell’ordinamento regolate dal diritto comune. L’art. 1, comma 1-bis, l. N. 241/1990 enuncia infatti il principio secondo il quale la pubblica amministrazione «Nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge non disponga diversamente». Il solo limite generale che sussiste per esse è costituito dal fatto che la capacità giuridica generale è attribuita alle pubbliche amministrazioni per realizzare le finalità di interesse pubblico affidate alla loro cura. L’esercizio dei poteri amministrativi, come si evince in negativo dalla stessa formulazione dell’art. 1, comma l-bis, sopra citato, si sostanzia nell’adozione di atti aventi natura autoritativa, caratterizzati dall’unilateralità nella produzione degli effetti e dalla loro sottoposizione al principio di legalità e agli altri principi del diritto amministrativo. L’utilizzo della capacità di diritto privato da parte della pubblica amministrazione può dar luogo a intersezioni tra regimi giuridici, così, in materia di contratti della pubblica amministrazione convivono regole pubblicistiche e regole privatistiche. -Le prime riguardano soprattutto la formazione della volontà della pubblica amministrazione. In particolare la scelta del contraente avviene secondo il modulo del procedimento amministrativo, cioè attraverso le c.d. procedure a evidenza pubblica. Queste ultime sono finalizzate a garantire la trasparenza e la parità di trattamento delle imprese che aspirano alla stipula del contratto che danno origine a una sequenza di atti amministrativi. -Le regole privatistiche riguardano la fase dell’esecuzione degli obblighi contrattuali assunti. La capacità di diritto privato ha consentito alle pubbliche amministrazioni, di ricorrere con frequenza al modello della società di capitali di diritto comune per l’esercizio di servizi pubblici. Ciò in luogo di moduli organizzativi pubblicistici tradizionali come l’ente pubblico economico e l’azienda-organo. Le azioni delle società in mano pubblica sono talora detenute in parte da soggetti privati selezionati in base a procedure a evidenza pubblica (società miste). Ma anche al di là del contesto dei servizi pubblici molti enti pubblici sono stati trasformati in enti privati anch’essi ricondotti al diritto comune. Il diritto privato penetra anche all’interno dell’organizzazione pubblica sotto più profili: 1.Non tutta l’organizzazione delle pubbliche amministrazioni è disciplinata da dai principi del diritto pubblico. Il d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 opera infatti una estinzione tra “macro – organizzazione” e “micro – organizzazione”. -La macro-organizzazione: cioè le linee fondamentali di organizzazione degli uffici, è definita con atti organizzativi di tipo pubblicistico adottati da ciascun ente secondo il proprio ordinamento; - la micro – organizzazione invece, riguardante l’articolazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro è determinata dagli organi preposti alla gestione «con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro», cioè con atti organizzativi di diritto privato. 2.Il rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici, in precedenza sottoposto a un regime pubblicistico è stato ricondotto in gran parte al diritto comune. Il d.Igs. n. 165/2001 prevede che «i rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni sono disciplinati dalle disposizioni del codice civile e dalla legge sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa. Di regola si applica il diritto comune, salvo le eccezioni previste dalla disciplina speciale contenuta nello stesso decreto legislativo o in altre leggi amministrative. Il regime privatistico non si applica a talune categorie di dipendenti, quali per esempio i magistrati, il personale militare, le forze di polizia. La tendenza espansiva del diritto amministrativo In presenza di determinate condizioni, anche soggetti formalmente privati sono sottoposti, a un regime di diritto amministrativo. Ciò accade, in particolare, per i soggetti privati che in base a criteri posti dalla normativa europea e nazionale in materia di contratti pubblici sono qualificati come «organismi di diritto pubblico» o «imprese pubbliche. Inoltre l’art. 29, comma 1, l. N. 241/1990 stabilisce che, essa si applica anche «alle società con totale o prevalente capitale pubblico, limitatamente all’esercizio delle funzioni amministrative». In ogni caso, la privatizzazione formale di molti enti pubblici, cioè la loro trasformazione in società di diritto privato (privatizzazione «fredda»), se non è accompagnata da una privatizzazione sostanziale, attraverso la dismissione del controllo azionario da parte dello Stato o di o di enti pubblici (privatizzazione calda) non altera la sostanza pubblicistica delle società, con la conseguente applicazione di regole pubblicistiche. I caratteri generali del diritto amministrativo: La natura giurisprudenziale del diritto amministrativo La nascita del diritto amministrativo in Francia e in Italia è legata all’istituzione di un giudice speciale per le controversie tra cittadino e pubblica amministrazione. E ciò spiega un suo primo tratto distintivo originario, vale a dire quello di essere un diritto avente natura giurisprudenziale. Heruntergeladen durch Alexander Lantschner ([email protected]) lOMoARcPSD|11646809 In Francia la giustizia amministrativa si sviluppò dal sistema del contenzioso amministrativo all’istituzione di un giudice speciale. Il contenzioso amministrativo era dato da quel complesso di ricorsi e rimedi amministrativi interni al potere esecutivo, già presenti in epoca antecedente la Rivoluzione del 1789 e conservati anche successivamente. Nel 1872 al Conseil d’Etat venne attribuita in via permanente la funzione di giudice del contenzioso amministrativo e con ciò completò la propria trasformazione in giudice in senso proprio. Quasi in contemporanea, nel 1873, il Tribunal des Conflits emanò la pronuncia sull’arrèt Blanco, che segna convenzionalmente la nascita del diritto amministrativo. Stabilita l’autonomia del diritto amministrativo dal diritto comune, fu Io stesso Conseil d État a elaborare e ad adattare via via i principi fondamentali di questo diritto che dunque ha assunto e mantenuto per molto tempo il carattere di un diritto non codificato di natura essenzialmente giurisprudenziale. In Italia l’esperienza è in gran parte simile, con una sola variante. Nel 1889, in seguito al sostanziale fallimento dell’esperienza del giudice unico, venne operata una correzione del sistema istituendo un giudice amministrativo il cui nucleo originario fu costituito dalla IV Sezione del Consiglio di Stato. Quest’ultima fin dalle sue prime decisioni si autoattribuì la qualifica di giudice in senso proprio e intraprese l’opera di costruzione dei principi generali del diritto amministrativo. La creazione da parte del Consiglio di Stato dei principi del diritto amministrativo non riguardò soltanto il diritto sostanziale, ma anche quello processuale. La l. N. 241/1990 offre sicuramente una base legislativa più solida agli istituti fondamentali del diritto amministrativo. Tuttavia neppure essa supera del tutto la natura giurisprudenziale del diritto amministrativo. Da un lato, infatti, essa in alcuni casi ha soltanto legiferato e precisato istituti e principi già elaborati dalla giurisprudenza (per esempio, l’obbligo di motivazione o i principi in tema di annullamento d’ufficio o di revoca degli atti amministrativi); dall’altro, essa non ha posto una disciplina comparabile per estensione, organicità e grado di dettaglio con quella posta da altre leggi generali sul procedimento amministrativo lasciando così ampi spazi di integrazione e di adattamento alla giurisprudenza. Il diritto amministrativo generale e speciale Il diritto amministrativo si caratterizza per la vastità del materiale normativo e per l’ampiezza e varietà delle materie incluse nel suo campo di indagine. È emersa così la distinzione tra diritto amministrativo: 1. Speciale→ è costituito dai filoni legislativi che disciplinano i vari campi di intervento delle pubbliche amministrazioni (urbanistica, sanità, ordine pubblico, previdenza ecc.). Il corpo della legislazione di settore di fonte statale e regionale, ma spesso anche di derivazione europea, è imponente. Inoltre, prendono corpo nuovi settori di legislazione speciale come quella sull’amministrazione digitale. All’interprete è dunque richiesta la capacità di operare una ricognizione completa e aggiornata delle norme vigenti così come applicate e interpretate dalla giurisprudenza e la capacità di inquadrarle nell’ambito del diritto amministrativo generale. 2. Generale→è opera soprattutto della scienza giuridica. Essa procede anzitutto alla rielaborazione del materiale giuridico grezzo costituito dal complesso delle norme vigenti e dalle sentenze dei giudici, attraverso un’attività di classificazione, di individuazione di strutture portanti. Interviene poi l’attività di elaborazione dei concetti giuridici che costituiscono il nucleo essenziale del diritto amministrativo. Il diritto amministrativo generale è ora in buona parte codificato nella 1. N. 241/1990. Il diritto amministrativo generale, dunque può mirare soltanto a tracciare le coordinate principali e costanti volte a inquadrare nel modo più preciso i fenomeni analizzati. Il diritto amministrativo generale è comunque il nucleo costitutivo della materia e come tale rappresenta la parte principale di ogni elaborazione manualistica. Diritto amministrativo generale e diritto amministrativo speciale si condizionano reciprocamente e si evolvono di pari passo. CAPITOLO 2: La funzione di regolazione e le fonti del diritto In molti casi la legge si limita a porre i principi fondamentali della disciplina ma di una determinata materia e delega agli apparati amministrativi il compito di stabilire in via sub legislativa, con atti normativi e con altri tipi di atti, le regole di dettaglio volte a disciplinare anche i comportamenti dei privati. In molti ambiti, la pubblica amministrazione ha sia il potere di porre le regole, pur nei limiti stabiliti dalla legge, sia di applicarle nei singoli casi. Le pubbliche amministrazioni, peraltro, prima ancora che soggetti regolatori, sono soggetti regolati. In uno Stato di diritto esse sono infatti sottoposte a un corpo più o meno esteso di norme che ne disciplinano l’assetto organizzativo e funzionale. Emerge qui dunque, descrittivamente, una distinzione tra: - Fonti sull’amministrazione: le quali hanno come destinatarie le pubbliche amministrazioni che diventano così soggetti eteroregolati, sottoposti ai principi dello Stato di diritto. Esse disciplinano l’organizzazione, le funzioni e i poteri di quest’ultime e fungono da parametro per sindacare la legittimità dei provvedimenti da esse emanati. Le fonti sull’amministrazione sono costituite da fonti normative di rango primario e in secondo luogo da fonti normative di rango secondario; - Fonti dell’amministrazione: le quali sono strumenti a disposizione delle pubbliche amministrazioni sia per regolare comportamenti dei privati sia, nei limiti in cui la legge riconosca ad esse un ambito di autonomia organizzativa, per disciplinare i propri apparati e il loro funzionamento. le «fonti dell’amministrazione» includono sia fonti normative in senso proprio (regolamenti, statuti), sia atti di regolazione aventi natura non normativa (atti amministrativi generali, direttive, circolari, ecc.). -La costituzione: la Costituzione del 1948 è la fonte giuridica di rango più elevato. In particolare, essa è il parametro in base al quale la Corte Costituzionale esercita il proprio sindacato sulle leggi e sugli atti aventi forza di legge. La revisione della Costituzione e delle altre leggi costituzionali richiede un procedimento di approvazione da parte del parlamento con maggioranze qualificate. La Heruntergeladen durch Alexander Lantschner ([email protected]) lOMoARcPSD|11646809 nostra Costituzione rientra dunque nelle costituzioni rigide e lunghe, contrapposte a quelle brevi ottocentesche. La Costituzione, infatti, individua anche un’ampia serie di compiti dei quali lo Stato, e per esso la pubblica amministrazione, deve farsi carico nell’interesse della collettività (salute, istruzione scolastica e superiore, assistenza e previdenza sociale). La Costituzione non tratta invece in modo diffuso l’assetto della pubblica amministrazione, che è stato in realtà trascurato dai costituenti. La Costituzione enuncia i principi essenziali in tema di -organizzazione (art 97); -di raccordi tra politica e amministrazione (art 95); -di assetto della giustizia amministrativa (art 103, 113, 125). Sul versante organizzativo la Costituzione pone l’accento sul principio autonomistico, ed enuncia il principio di sussidiarietà come criterio generale di riparto delle funzioni amministrative. Sul versante finanziario, pone il principio del pareggio di bilancio. La riforma del titolo V della Parte II della Costituzione ad opera della legge costituzionale 2001, n. 3 ha ridefinito i rapporti tra le fonti statali e regionali sulla base dei seguenti principi: la equiordinazione tra competenza legislativa statale e regionale, che devono essere esercitate nel rispetto della Costituzione e, come si è già accennato, dei «vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali»; l’attribuzione alle regioni di una competenza legislativa generale residuale, con indicazione tassativa delle materie attribuite alla competenza legislativa esclusiva e concorrente dello Stato. -Fonti dell’Unione europea: Nella gerarchia delle fonti, le fonti dell’Unione europea si pongono su un livello più elevato rispetto alle fonti primarie. Vige il principio secondo il quale le norme nazionali contrastanti con il diritto europeo devono essere disapplicate. Questo principio vale sia per i giudici nazionali, sia per le pubbliche amministrazioni, quando esercitano un potere amministrativo ed emanano un provvedimento. Il primato del diritto europeo si spinge invece fino al punto di vietare alle pubbliche amministrazioni di dare esecuzione a un provvedimento la cui illegittimità sia stata affermata da una sentenza passata in giudicato, ritenuto contrario al diritto europeo dalla Corte di giustizia. I regolamenti, hanno portata generale e sono direttamente vincolanti per gli Stati membri e Costituiscono un parametro diretto per sindacare la legittimità degli atti amministrativi. Il recepimento delle norme europee è costituito da due leggi annuali di iniziativa governativa: 1)La legge europea che modifica o abroga le disposizioni statali vigenti contrastanti con il diritto europeo; 2)la legge di delegazione europea, che attribuisce deleghe legislative al governo per il recepimento delle direttive europee, prevede che nelle materie non coperte da riserva di legge il recepimento possa avvenire in via regolamentare e individua i principi fondamentali ai quali le regioni si devono attenere per dare attuazione alle direttive europee. Con la l. N. 234/2012 sono stati rafforzati i meccanismi di raccordo tra parlamento e Unione europea. -Fonti normative statali, riserva di legge, principio di legalità La Costituzione pone una disciplina delle fonti statali di rango primario: 1)la legge, approvata dalle due Camere e promulgata dal presidente della Repubblica; 2)il decreto legge, che può essere adottato dal governo in casi straordinari di necessità e urgenza e che deve essere convertito in legge dalle Camere entro 60 giorni; 3) decreto legislativo emanato dal governo sulla base di una legge di delegazione che ne definisce l’oggetto e determina i principi e i criteri direttivi e il limite di tempo entro il quale la delega può essere esercitata. In seguito alle modifiche introdotte dalla legge costituzionale n. 3/2001, come si è accennato, la potestà legislativa statale non è più generale, ma può essere esercitata solo nelle materie tassativamente indicate dall’art 117 commi 2 e 3 (potestà legislativa esclusiva e concorrente). → RISERVA DI LEGGE: Numerose disposizioni costituzionali prevedono che determinate materie debbano essere disciplinate con legge escludendo o limitando il ricorso a fonti secondarie e in particolare a regolamenti governativi. Viene cioè istituita una riserva di competenza a favore del parlamento. Poiché le leggi sono espressione della volontà popolare manifestata in parlamento dai rappresentanti eletti dai cittadini, i vincoli e le limitazioni ai diritti individuali non sono rimessi all’arbitrio degli organi del potere esecutivo. La legge promuove inoltre l’eguaglianza dei cittadini nella titolarità di diritti e doveri attraverso due suoi caratteri tipici: 1) generalità, cioè la sua riferibilità a classi più o meno ampie di destinatari; 2) l’astrattezza, cioè la suscettibilità a un’applicazione ripetuta a casi presenti e futuri, anziché una tantum. Si distinguono usualmente 3 tipi di riserve di legge: 1. Riserva di legge assoluta: (come per es.quella in materia penale) richiede che la legge ponga una disciplina completa ed esaustiva della materia ed esclude l’intervento di fonti sub legislative. Sono ammessi soltanto i regolamenti di stretta esecuzione, cioè di mero svolgimento di precetti legislativi; 2. Riserva di legge rinforzata, aggiunge al carattere dell’assolutezza il fatto che la Costituzione stabilisce direttamente alcuni principi materiali o procedurali relativi alla disciplina della materia che costituiscono un vincolo per il legislatore ordinario. Essa è prevista soprattutto in relazione ai diritti di libertà; 3. Riserva di legge relativa, come per es. quella in materia tributaria: prevede che la legge ponga prescrizioni di principio e consente l’emanazione di regolamenti di tipo esecutivo contenenti le norme di dettaglio che completano la disciplina della materia. La riserva di legge va distinta, anche se ha in comune la funzione di garanzia dei soggetti privati nei confronti dell’amministrazione, dal principio di legalità. →PRINCIPIO DI LEGALITÀ: Il principio di legalità costituisce uno dei principi fondamentali del diritto amministrativo. Esso è richiamato dall’art. 1 l. n. 241/1990, secondo il quale l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge. Il principio di legalità si ricava indirettamente da disposizioni costituzionali. In particolare l’art. 113 Cost. presuppone che il giudice trovi nella legge un parametro oggettivo rispetto al quale sindacare gli atti impugnati. Il principio di legalità assolve a una duplice funzione: 1)di garanzia delle situazioni giuridiche soggettive dei privati che possono essere incise dal potere amministrativo (legalità- garanzia); 2)di ancoraggio dell’azione amministrativa al principio democratico. Heruntergeladen durch Alexander Lantschner ([email protected]) lOMoARcPSD|11646809 Il principio di legalità può essere inteso in due accezioni: 1. In un primo senso, gli atti emanati dalla pubblica amministrazione non possono porsi in contrasto con la legge. La legge costituisce cioè un limite negativo all’attività dei poteri pubblici: ove travalicato, determina l’illegittimità degli atti emanati; 2. In un secondo senso, il principio di legalità richiede che il potere amministrativo trovi un riferimento esplicito in una norma di legge. Quest’ultima costituisce il fondamento esclusivo dei poteri dell’amministrazione: essa deve attribuire in modo espresso alla pubblica amministrazione la titolarità del potere, disciplinandone modalità e contenuti. La pubblica amministrazione non gode dunque di una legittimazione propria. In assenza di una norma di conferimento del potere, l’amministrazione può far uso soltanto della propria capacità di diritto privato. Il principio di legalità inteso nel secondo senso ha a sua volta una duplice dimensione: -la legalità formale (estrinseca o in senso debole) : è sufficiente la semplice indicazione nella legge dell’apparato pubblico competente a esercitare un potere normativo secondario o amministrativo che risulta dunque indeterminato nei suoi contenuti. -la legalità sostanziale (intrinseca o in senso forte): esige che la legge ponga una disciplina materiale del potere amministrativo, definendone i presupposti per l’esercizio, le modalità procedurali e le altre sue caratteristiche essenziali. La seconda delle due concezioni appare più rispondente alla Costituzione e a una visione più evoluta dello Stato di diritto. -Le leggi sul provvedimento In tema di rapporti tra parlamento e potere esecutivo va esaminato ancora il fenomeno delle leggi provvedimento. Si tratta di leggi prive dei caratteri della generalità e astrattezza, che intervengono cioè per porre la disciplina di situazioni concrete riferite a un’unica fattispecie (Es. leggi che rilasciano o revocano concessioni amministrative riferite a talune imprese, erogano finanziamenti a una o più imprese). La Costituzione non contiene un principio di riserva d’amministrazione che metta al riparo il potere esecutivo per così dire da invasioni di campo ad opera del legislatore. Rientra dunque nella discrezionalità del parlamento la scelta se utilizzare lo strumento della legge in luogo del provvedimento amministrativo, oppure se attribuire all’amministrazione il potere corrispondente. Oltre che incoerente con il principio della separazione dei poteri, il ricorso alla legge provvedimento scardina le garanzie offerte al privato dal regime dell’atto e del procedimento amministrativo. La legge provvedimento infatti può essere censurata soltanto sotto il profilo della costituzionalità con le forme, i limiti e tempi propri di questo tipo di giudizio innanzi alla Corte Costituzionale. Quest’ultima può dichiarare incostituzionali le leggi provvedimento solo nei casi di arbitrarietà e manifesta irragionevolezza. -I regolamenti governativi: La legge costituzionale n. 3/2001 ha introdotto il principio del parallelismo tra competenza legislativa e competenza regolamentare dello stato. Lo Stato è cioè titolare di un potere regolamentare esclusivamente nelle materie che l’art. 117 Cost. attribuisce alla sua competenza legislativa esclusiva. Nelle altre materie la potestà regolamentare spetta alle regioni. Lo Stato può emanare regolamenti nelle materie devolute alla potestà legislativa regionale concorrente o residuale solo in caso di inerzia delle regioni. A livello di fonti primarie, una disciplina generale è contenuta nell’art 17 della l. n. 400/1988, che individua 5 tipi di regolamenti governativi: 1. I regolamenti esecutivi pongono norme di dettaglio necessarie per l’applicazione concreta di una legge. Non è necessario che la legge attribuisca di volta in volta al governo il potere di approvarli, poiché la l. N. 400/1988 costituisce un fondamento legislativo generale sufficiente a soddisfare il principio di legalità. 2. I regolamenti per l’attuazione e l’integrazione possono essere emanati nelle materie non coperte da riserva di legge assoluta nei casi in cui la legge si limiti a individuare i principi generali della materia e autorizzi espressamente il governo a porre la disciplina di dettaglio. 3. I regolamenti indipendenti intervengono nelle materie non soggette a riserva di legge là dove manchi una disciplina di rango primario. 4. I regolamenti di organizzazione costituiscono in realtà una sottospecie di regolamenti esecutivi e di attuazione. Essi disciplinano l’organizzazione e il funzionamento delle pubbliche amministrazioni «secondo le disposizioni dettate dalla legge». 5. I regolamenti delegati o autorizzati sono previsti nelle materie non coperte da riserva assoluta di legge e attuano la c.d. delegificazione. Sostituiscono cioè la disciplina posta da una fonte primaria con la disciplina posta da una fonte secondaria. La loro entrata in vigore determina infatti l’abrogazione delle norme vigenti contenute in fonti giuridiche di rango primario. L’art. 17 comma 2 l. N. 400/1988 pone alcune condizioni: -occorre una legge che autorizzi il governo a emanarli; -La stessa legge deve contenere le norme generali regolatrici della materia (la delegificazione della materia non è totale). I regolamenti sin qui menzionati sono attribuiti alla competenza del Consiglio dei ministri. -I regolamenti ministeriali e interministeriali: sono previsti nelle materie attribuite alla competenza di uno o più ministri. Questi regolamenti possono essere emanati solo nei casi espressamente previsti dalla legge e sono gerarchicamente sotto ordinati ai regolamenti governativi. Sotto il profilo formale e procedurale i regolamenti recano la denominazione «regolamento», sono adottati previo il parere del Consiglio di stato e sono sottoposti al controllo preventivo di legittimità e alla registrazione della Corte dei conti. Il regime giuridico dei regolamenti, che sono atti formalmente amministrativi anche se sostanzialmente normativi, è in parte quello proprio dei provvedimenti amministrativi in parte quello proprio delle fonti del diritto. Dal primo punto di vista, ove contengano disposizioni contrarie alla legge possono essere impugnati innanzi al giudice amministrativo e conseguente annullati. Di regola, proprio perché i regolamenti contengono norme generali e astratte, sotto il profilo processuale, l’interesse all’impugnazione sorge solo allorché l’amministrazione emana un provvedimento applicativo idoneo a incidere nella sfera giuridica di un destinatario individualizzato. Heruntergeladen durch Alexander Lantschner ([email protected]) lOMoARcPSD|11646809 Dal secondo punto di vista ai regolamenti si applicano le norme generali sull’interpretazione contenute nell’art. 12 delle disposizioni preliminari al codice civile (interpretazione letterale e logica; possibilità di ricorrere all’analogia legis e all’analogia juris). A differenza delle fonti primarie, non possono essere oggetto di sindacato di costituzionalità innanzi alla Corte Costituzionale. Cenni alle fonti normative regionali, degli enti locali e di altri enti pubblici La Costituzione indica 3 fonti normative regionali: 1. Statuti: Lo statuto delle regioni ordinarie determina la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento. La sua approvazione avviene attraverso un procedimento che prevede una duplice approvazione a maggioranza assoluta da parte del consiglio regionale e può essere sottoposto a referendum popolare. Lo statuto delle regioni speciali è approvato con legge costituzionale. 2. Leggi regionali: Le leggi regionali sono approvate dal consiglio regionale e promulgate dal presidente nelle materie attribuite dall’art. 117 Cost. alla competenza concorrente e residuale delle regioni. La giurisprudenza costituzionale ha peraltro ritenuto che anche nelle materie di competenza regionale lo Stato possa, entro certi limiti, legiferare. Da un lato, infatti, alcune materie attribuite alla competenza legislativa esclusiva statale hanno natura trasversale e consentono dunque alle leggi statali di introdurre disposizioni che non possono essere derogate dalle regioni. 3. Regolamenti: I regolamenti regionali sono adottati dalla giunta regionale. Le fonti normative di comuni, province e città metropolitane sono essenzialmente gli statuti e i regolamenti. - statuto: enti locali sono “enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo principi fissati dalla Costituzione”, valorizzando così il principio autonomistico. Sotto il profilo della gerarchia delle fonti, lo statuto ha un rango subprimario poiché si pone al di sotto delle leggi statali di principio. -i regolamenti degli enti locali: sono emanati nelle materie di competenza degli enti locali nel rispetto dei principi fissati dalla legge e dallo statuto e disciplinano l’organizzazione e il funzionamento degli organi e degli uffici e l’esercizio e funzioni. I regolamenti comunali, approvati di regola dal consiglio comunale intervengono in materie importanti come l’urbanistica, l’edilizia, il traffico. Gli atti amministrativi generali: i provvedimenti amministrativi hanno un contenuto concreto e si rivolgono a uno o più destinatari determinati, cioè fissano il rapporto giuridico tra pubblica amministrazione e privato in relazione alla specifica situazione e all’atteggiarsi degli interessi pubblici e privati in gioco. La tipologia degli atti amministrativi generali è variegata. Gli atti amministrativi generali sono soggetti a un regime giuridico che deroga in parte a quello proprio dei provvedimenti amministrativi contenuto nella l. N. 241/1990 e che ricalca quello degli atti normativi. -Come i regolamenti, non richiedono una motivazione; -il procedimento per la loro adozione non prevede la partecipazione dei soggetti privati 1)I bandi di concorso e gli avvisi di gara: Tra gli atti amministrativi generali privi del carattere di astrattezza, dei quali è dunque certa la natura non normativa, rientrano: -i bandi di concorso:i bandi di concorso costituiscono l’atto di avvio del procedimento per la selezione di personale delle pubbliche amministrazioni. Essi specificano requisiti di partecipazione, le modalità e i termini per la presentazione delle domande di partecipazione, lo svolgimento delle prove scritte e orali, i criteri per l’attribuzione dei punteggi. Hanno contenuto concreto poiché esauriscono i loro effetti al completamento della procedura, che avviene con l’approvazione della graduatoria finale. -oppure i bandi o avvisi di gara: per la selezione del contraente privato nei contratti di fornitura, di lavori e di servizi stipulati dalle pubbliche amministrazioni. I bandi o avvisi di gara disciplinati dal Codice dei contratti pubblici individuano l’oggetto del contratto, il tipo di procedura per la scelta del contraente privato, i criteri per l’ammissione e per la valutazione delle offerte. II bando costituisce la legge speciale della singola procedura di gara, vincola pertanto la stazione appaltante e condiziona la legittimità degli atti adottati. 2)Gli atti di pianificazione e di programmazione: In molte materie, la legge prevede un’attività di pianificazione o programmazione con la quale si prefigurano obiettivi, limiti, priorità e altri criteri che presiedono all’esercizio dei poteri amministrativi e all’attività degli uffici pubblici. Ciò per esercitare i poteri amministrativi in modo ordinato e coerente L’attività di pianificazione e di programmazione serve anche a creare i raccordi tra i diversi livelli di governo secondo un metodo della pianificazione a cascata. Per es, in materia sanitaria, l’attività di programmazione si articola nel piano sanitario nazionale e, a livello regionale, nei piani sanitari regionali. Molti atti di pianificazione e di programmazione pongono il problema se essi rilevino solo all’interno dei rapporti organizzatori tra i diversi livelli di governo oppure se contengano prescrizioni direttamente vincolanti i soggetti privati. Il piano regolatore generale costituisce lo strumento principale di governo del territorio da parte dei comuni. Esso fu previsto in origine dalla legge urbanistica del 1942 ed è disciplinato oggi dalle leggi regionali. Il piano regolatore: - suddivide anzitutto il territorio comunale in zone omogenee (zonizzazione) con l’indicazione per ciascuna di esse delle attività insediabili, in base a criteri e parametri definiti in modo uniforme a livello nazionale. - individua poi le aree destinate a edifici e a infrastrutture pubbliche o a uso pubblico (localizzazione). Se la localizzazione riguarda terreni di proprietà privata, essa determina un vincolo di inedificabilità di durata quinquennale Il piano regolatore è corredato dalle c.d. norme tecniche di attuazione che specificano, in particolare, le distanze, le altezze e le destinazioni d’uso egli edifici. Il piano regolatore generale è approvato all’esito di un procedimento aperto alla partecipazione dei privati. Infatti, il piano viene adottato dal comune e pubblicato per 30 giorni al fine di consentire agli interessati di prenderne visione e di presentare osservazioni. Viene poi sottoposto a una nuova delibera del consiglio comunale che deve pronunciarsi sulle osservazioni presentate. Il piano adottato è soggetto all’approvazione della regione. La notizia dell’approvazione del piano regolatore viene data nel Bollettino Ufficiale della regione. Heruntergeladen durch Alexander Lantschner ([email protected]) lOMoARcPSD|11646809 È controversa la natura giuridica del piano regolatore. Si discute cioè se abbia natura essenzialmente normativa oppure di atto amministrativo generale tale da produrre effetti giuridici immediati in capo a destinatari ben individuati. Prevale in giurisprudenza la tesi intermedia della natura mista dei piani regolatori che, «da un lato, dispongono in via generale ed astratta in ordine all’utilizzazione dell’intero territorio comunale, e, dall’altro, contengono istruzioni, norme e prescrizioni di concreta definizione. 3) Le ordinanze contingenti e urgenti: Gli ordinamenti statuali si dotano usualmente di strumenti per far fronte a situazioni di emergenza imprevedibili. Con l’avvento della Costituzione questo tipo di potere, è stato assorbito in gran parte dal potere attribuito al governo, nei casi straordinari di necessita e di urgenza, di emanare decreti legge contenenti esposizioni di rango primario. Al livello sub costituzionale, numerose disposizioni di legge attribuiscono ad autorità amministrative il potere di emanare ordinanze contingibili e urgenti (nei settori dell’ordine pubblico, della sanità, dell’ambiente, ecc.) delle quali è discussa la natura amministrativa o normativa. Es. il potere del prefetto, «nel caso di urgenza o per grave necessità pubblica di adottare i provvedimenti indispensabili per la tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica» Poteri di ordinanza al fine di «evitare situazioni di pericolo o maggiori danni a persone o a cose», con possibilità di derogare alle norme vigenti sono previsti anche dalla normativa in tema di protezione civile. Il loro ambito di applicazione è stato esteso anche al di là delle emergenze naturali (terremoti, alluvioni, ecc.) fino a includere, probabilmente in modo non giustificato trattandosi di evenienze prevedibili, anche l’organizzazione dei cosiddetti grandi eventi. Le leggi attributive di questo tipo di poteri si limitano di solito a individuare l’autorità amministrativa competente ad adottarli, a descrivere in termini generali il presupposto che ne legittima l’emanazione e a specificare il fine pubblico da perseguire. Pur rispettose del principio della legalità formale, esse lasciano indeterminato il contenuto del potere e i destinatari del provvedimento. L’autorità competente è dunque titolare di un’ampia discrezionalità dell’esercizio del potere di ordinanza, sia nel momento in cui essa individua le misure specifiche da adottare. È richiesta comunque una motivazione adeguata. Le ordinanze in questione operano in definitiva una deroga al principio della tipicità degli atti amministrativi, in base al quale la norma attributiva del potere deve definirne in modo sufficientemente preciso presupposti e contenuti. La giurisprudenza ha chiarito che -le ordinanze non possono essere emanate in contrasto con i principi generali dell’ordinamento giuridico e con i principi fondamentali della costituzione -devono avere un’efficacia limitata nel tempo, devono essere motivate e devono essere adeguatamente pubblicizzate. Trattandosi di uno strumento extra ordinem, il potere di ordinanza ha un carattere residuale, nel senso che non può essere esercitato in luogo di poteri tipici previsti dalle norme vigenti idonei a far fronte a quel tipo di situazione. Quanto alla qualificazione giuridica, le ordinanze hanno di regola natura non normativa anche quando si rivolgono a categorie più o meno ampie di destinatari. Esse si riferiscono infatti ad accadimenti specifici e dunque hanno tendenzialmente un carattere concreto e un’efficacia temporalmente circoscritta. 4)Le direttive e gli atti di indirizzo: Affini agli atti di pianificazione sono le direttive amministrative. Caratteristico di questo tipo di atti è il loro contenuto. Esso è limitato all’indicazione di fini e obiettivi da raggiungere, criteri di massima e mezzi per raggiungere i fini. Esse dunque consentono ai loro destinatari spazi di valutazione e di decisione più o meno estesi in modo tale da poter tener conto in sede applicativa di tutte le circostanze del caso concreto. Si distinguono generalmente le direttive che si inseriscono in rapporti interorganici e le direttive che attengono a rapporti intersoggettivi, solo in questo secondo ambito esse possono assumere una rilevanza regolatoria dove siano indirizzate a una pluralità di destinatari. -DIRETTIVE INTERORGANICHE: Nell’ambito dei rapporti inter-organici le direttive sono uno strumento attraverso il quale l’organo sovraordinato condiziona e orienta l’attività degli organi sotto-ordinati. -Laddove il rapporto inter-organico ha un carattere gerarchico la direttiva può essere utilizzata in luogo dell’atto che è più caratteristico di questo tipo di relazione. -Laddove invece l’organo sotto-ordinato è investito di una competenza autonoma, la direttiva acquista contorni più tipici e connota un rapporto organico, definito come rapporto di direzione. Un esempio tra i più rilevanti è il rapporto di direzione che intercorre tra ministro e dirigenti generali in base al principio della distinzione tra indirizzo politico-amministrativo e attività di gestione. Al ministro è preclusa ogni competenza gestionale e amministrativa diretta e può soltanto formulare «direttive generali » ed esercitare un controllo ex post. I dirigenti generali sono titolari dei poteri di gestione e di emanazione degli atti e provvedimenti, curano l’attuazione delle direttive generali impartite dal ministro. L’inosservanza delle direttive da parte dei dirigenti gestionali può costituire un elemento di valutazione ex post dell’attività del dirigente e anche motivo di responsabilità dirigenziale. -DIRETTIVE INTERSOGGETTIVE: costituiscono uno strumento attraverso il quale, per esempio, il ministro competente o la regione esercitano il potere di indirizzo nei confronti di enti pubblici strumentali, la cui attività deve essere resa coerente con i fini istituzionali propri del ministero di settore o della regione. In anni più recenti, con la riduzione della presenza pubblica diretta o indiretta nell’economia, lo strumento della direttiva è stato utilizzato con minor frequenza. Sono emersi però nella legislazione altri tipi di direttive a valenza spiccatamente regolatoria. Per esempio, le autorità indipendenti preposte ai servizi di pubblica utilità possono emanare direttive nei confronti delle imprese erogatrici dei servizi per definire i livelli generali di qualità di questi ultimi. La violazione di queste direttive da parte delle imprese destinatarie comporta l’applicazione di sanzioni amministrative. Una questione discussa attiene all’effettività della direttiva, cioè alle conseguenze che possono derivare nel caso in cui il destinatario non si attenga alle indicazioni in essa contenute. Esse infatti tendono a condizionare l’esercizio della discrezionalità dei destinatari i quali mantengono dunque un ambito di valutazione autonoma. I poteri di reazione in capo all’organo o al soggetto Heruntergeladen durch Alexander Lantschner ([email protected]) lOMoARcPSD|11646809 sovraordinato sono pertanto per lo più di tipo indiretto e si possono manifestare in interventi sull’organo. Di rado, essi includono poteri che incidono sulla validità degli atti adottati (revoca, annullamento d’ufficio). 5) Le norme interne e le circolari: In termini generali, si può osservare che le organizzazioni complesse, si dotano di regole interne volte a disciplinare il funzionamento e i raccordi tra le varie unità operative. Gli ordinamenti sezionali si fondano su alcuni elementi costitutivi: - La plurisoggettività, con la predeterminazione dei soggetti inseriti nell’ordinamento settoriale sulla base di atti di ammissione, di iscrizione o di attribuzione di status; - Un'organizzazione interna stabile con distribuzione di ruoli e di competenze; - La presenza di norme interne emanate dagli organi preposti all’ordinamento speciale e rese effettive da un sistema di sanzioni interne; - L’istituzione di organi giustiziali speciali (commissioni di disciplina, corti arbitrali sportive). Le norme interne possono assumere la forma di regolamenti interni, di istruzioni o ordini di servizio, direttive generali. La forma usuale di comunicazione delle norme interne è costituita dalla circolare. In molti casi le norme interne sono pubblicate anche nella Gazzetta Ufficiale. i ministri competenti possano richiedere la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale delle circolari esplicative dei provvedimenti legislativi. Una rilevanza giuridica esterna indiretta delle norme interne è comunque da tempo acquisita: Infatti, se l’amministrazione emana un provvedimento amministrativo violando una norma interna, il giudice amministrativo può censurarlo. D’altra parte, lo svolgimento ordinato dell’attività amministrativa postula che gli uffici si attengano in modo scrupoloso alle norme interne. Se ciò non avviene nel caso concreto e il provvedimento amministrativo non dà conto nella motivazione delle ragioni particolari che giustificano la mancata applicazione di tali norme, ciò costituisce indizio di un cattivo esercizio del potere amministrativo. Inoltre il dipendente che viola le norme interne può essere passibile di sanzioni disciplinari. Una specie sui generis di norme interne è costituita dalla prassi amministrativa, cioè dalla condotta uniforme assunta nel tempo dagli uffici in relazione alle valutazioni compiute e alle decisioni prese in casi analoghi. Il principio di coerenza fa sì che i precedenti, una volta consolidatisi, acquistino in un certo senso forza normativa. La prassi amministrativa non va comunque confusa con la consuetudine, che diventa vera e propria fonte del diritto in senso proprio allorché si forma un convincimento generalizzato della sua obbligatorietà. Secondo alcune ricostruzioni la prassi potrebbe anche essere promossa da un atto dell’amministrazione che preannunci quale sarà il comportamento assunto dagli uffici, creando così un legittimo affidamento nei confronti dei soggetti esterni ali amministrazione. Il mezzo principale di comunicazione delle norme interne è costituito dalle CIRCOLARI: sono uno strumento di orientamento e di guida degli uffici amministrativi. Secondo una definizione ormai classica le circolari sono «atti di un’autorità superiore che stabiliscono in via generale ed astratta regole di condotta di autorità inferiori nel disbrigo degli affari d’ufficio». Le circolari, dunque, secondo le elaborazioni teoriche più risalenti costituiscono degli atti tipici aventi efficacia esclusivamente interna. Il contenuto delle circolari può essere il più vario. Esse possono contenere infatti ordini, direttive, interpretazioni di leggi e altri atti normativi, informazioni di ogni genere. Classificazione delle circolari in 3 tipi di circolari: 1. Interpretative: mirano a rendere omogenea l’applicazione di nuove normative da parte delle pubbliche amministrazioni. Queste circolari hanno un maggior grado di vincolatività allorché vengono emanate nell’ambito di apparati strutturati in modo gerarchico. Al di fuori di questo ambito, si ritiene generalmente che la circolare interpretativa valga soltanto come un’opinione più o meno autorevole che però non è giuridicamente vincolante. Così, per esempio, una circolare interpretativa del ministero dell’Interno che ha per oggetto norme applicate da enti autonomi quali gli enti locali non impedisce a questi ultimi, anche se ciò accade di rado, di far propria una diversa interpretazione. È certo comunque che le circolari di questo tipo non vincolano l’interpretazione dei giudici; 2. Normative: hanno la funzione di orientare l’esercizio del potere discrezionale degli organi titolari di poteri amministrativi. Esse dunque non hanno per oggetto l’interpretazione delle norme da applicare, bensì gli spazi di valutazione discrezionale rimessi dalla legge all’autorità amministrativa. Attraverso queste circolari, l’organo sovraordinato indirizza l’attività degli organi subordinati, specificando le finalità, indicando priorità, fornendo criteri. Il destinatario deve tenerne conto in modo adeguato, ma può anche disattenderle purché fornisca una motivazione congrua; 3. Informative: sono emanate per diffondere all’interno dell’organizzazione notizie, informazioni e messaggi di varia natura. In conclusione, le circolari non danno origine a un fenomeno unitario. I contenuti, il grado di cogenza e l’attitudine a produrre effetti giuridici nei rapporti interni ed esterni all’amministrazione vanno verificati caso per caso in relazione al contesto organizzativo in cui ciascuna di esse si inserisce. I testi unici e i codici: La produzione normativa ha acquisito ormai una dimensione notevole. Le leggi amministrative organiche frutto di un disegno coerente sono poco frequenti. Prevalgono invece gli interventi normativi estemporanei, limitati a modifiche puntuali, spesso mal coordinate, di testi legislativi previgenti inseriti in leggi o in sede di conversione di decreti legge. Di rado le leggi successive abrogano in modo espresso le leggi precedenti. A partire dagli anni Novanta del secolo scorso è cresciuta la consapevolezza della necessità di promuovere un riordino della legislazione almeno nelle materie più rilevanti. Si è anzi cercato di istituzionalizzare questo tipo di attività prevedendo a cadenza annuale un disegno di legge per la semplificazione e il riassetto normativo da presentare al parlamento entro il 31 maggio. Lo strumento di riordino più tradizionale è costituito dai testi unici che accorpano e razionalizzano in un unico corpo normativo le disposizioni legislative vigenti che disciplinano una determinata materia. Si distinguono: Heruntergeladen durch Alexander Lantschner ([email protected]) lOMoARcPSD|11646809 - Testi unici innovativi, emanati sulla base di un’autorizzazione legislativa che stabilisce criteri del riordino (c.d. testi unici autorizzati o delegati). Essi sono fonti del diritto in senso proprio nel senso che sono atti a innovare il diritto oggettivo e determinano l’abrogazione delle fonti legislative precedenti. - Testi unici di mera compilazione, emanati su iniziativa autonoma del governo (testi unici «spontanei») e hanno la funzione di unificare in un unico testo le varie disposizioni vigenti, rendendo così più semplice il loro reperimento. I testi unici hanno interessato principalmente le seguenti materie: enti locali, edilizia, documentazione amministrativa. Negli ultimi anni si è fatto ricorso soprattutto allo strumento del codice. Il codice si differenzia dal testo unico per essere concepito, oltre che per coordinare i testi normativi, anche per innovare in modo più esteso la disciplina e per essere incorporato in una fonte di rango primario. I codici (detti anche codici di settore) hanno riordinato varie materie: i contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, i beni culturali, l’ambiente. CAPITOLO 3: Il rapporto giuridico amministrativo Le funzioni e l’attività amministrativa è ora possibile intraprendere l’analisi della funzione di amministrazione attiva. Essa consiste nell’esercizio, attraverso moduli procedimentali, dei poteri amministrativi attribuiti dalla legge ad apparati pubblici al fine curare, nella concretezza dei rapporti giuridici con soggetti privati, l’interesse pubblico. Può essere utile anticipare, alcune nozioni generali. Tali nozioni costituiscono la trama all’interno della quale possono essere consentono di inquadrare la relazione fondamentale tra potere e interesse legittimo: cioè il rapporto giuridico amministrativo. →Le funzioni. La legge quando istituisce un apparato amministrativo, ne delinea anzitutto le funzioni corrispondenti alle finalità di interesse pubblico. il termine «funzione» ha una molteplicità di significati. Per es. esso può essere riferito ai vari tipi di attività posti in essere dagli apparati pubblici, e in questo senso si distingue tra funzione di regolazione, di amministrazione attiva e di controllo. Per funzioni amministrative si intendono i compiti che la legge individua come propri di un determinato apparato amministrativo, in coerenza con la finalità ad esso affidata. L’apparato è tenuto a esercitarle per la cura in concreto dell’interesse pubblico. In relazione a ciò la legge conferisce agli apparati amministrativi i poteri necessari (attribuzioni) e distribuisce la titolarità dei poteri tra gli organi che compongono l’apparato (competenze). Per esempio, la legge di riordino (il d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112) che ha ridefinito i rapporti tra centro (Stato) e periferia (regioni ed enti locali). Il provvedimento mira a realizzare una sorta di federalismo amministrativo riferito a una serie ampia di materie. Per ciascuna di esse viene individuato un elenco tassativo di funzioni che continuano ad essere attribuite allo Stato. Tutte le funzioni residue, vengono trasferite alle regioni e agli enti locali, secondo il principio della sussidiarietà verticale. →L’attività amministrativa: L’esercizio delle funzioni amministrative comporta lo svolgimento da parte dell’apparato pubblico di una varietà di attività materiali e giuridiche. L’attività amministrativa consiste nell’insieme delle operazioni, comportamenti e decisioni posti in essere o assunti da una pubblica amministrazione nell’esercizio di funzioni affidate ad essa da una legge. L’attività amministrativa è rivolta a uno scopo o fine pubblico, cioè alla cura di un interesse pubblico e, per questo, anch’essa è dotata del carattere della doverosità. Il mancato esercizio dell’attività può essere fonte di responsabilità. All’attività amministrativa fa riferimento l’art.1 l. N. 241/1990 secondo il quale «l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza». La nozione di attività amministrativa va tenuta distinta da quella di atto o provvedimento amministrativo. L’atto amministrativo, che costituisce un singolo episodio o un frammento dell’attività posta in essere da un apparato, si presta a essere valutato soprattutto sotto il profilo della conformità o meno all’ordinamento (legittimità) e dell’attitudine a soddisfare nel caso concreto l’interesse pubblico. Una questione interpretativa è stabilire dove vada posta la linea di confine tra attività amministrativa e attività di diritto privato in senso proprio della pubblica amministrazione. La giurisprudenza tende a ritenere che l’amministrazione svolge attività amministrativa «non solo quando esercita pubbliche funzioni e poteri autoritativi, ma anche quando, nei limiti consentiti dall’ordinamento, persegue le proprie finalità istituzionali mediante un’attività disciplinata in tutto o in parte dal diritto privato». Il potere, il provvedimento, il procedimento L’attività amministrativa può esprimersi, oltre che in operazioni materiali, nell’adozione di atti o provvedimenti amministrativi che sono la manifestazione concreta dei poteri amministrativi attribuiti dalla legge a un apparato pubblico. In relazione a ciascuna funzione la legge individua in modo puntuale i poteri conferiti al singolo apparato. →Il potere: La nozione di potere può essere riferita, oltre che al potere amministrativo: -al potere legislativo, che consiste nel dettare norme generali e astratte che innovano l’ordinamento giuridico; -al potere giurisdizionale, che consiste nel risolvere una controversia con una sentenza suscettibile di passare in giudicato e -al potere negoziale, che consiste nella possibilità di disporre autonomamente dei propri interessi. -I poteri amministrativi conferiscono agli apparati che ne assumono la titolarità una capacità giuridica speciale di diritto pubblico che si esprime in provvedimenti produttivi di effetti giuridici nella sfera dei destinatari. Il potere amministrativo pone il suo titolare in una posizione di sovra ordinazione rispetto al soggetto nella cui sfera giuridica ricadono gli effetti giuridici prodotti in seguito al suo esercizio. Va posta la distinzione tra: 1) Potere in astratto: Ove l’amministrazione agisca in mancanza di una norma attributiva del potere, si configura un difetto assoluto di attribuzione che, determina la nullità del provvedimento. 2) Potere in concreto: Ogni qual volta poi si verifica una situazione di fatto conforme alla fattispecie tipizzata nella norma di conferimento del potere, l’amministrazione è legittimata a esercitare il potere (potere in concreto) e a provvedere così alla cura dell’interesse pubblico. Heruntergeladen durch Alexander Lantschner ([email protected]) lOMoARcPSD|11646809 Oltre che legittimata, in virtù del principio di doverosità l’amministrazione è tenuta ad avviare un procedimento che si conclude con l’emanazione di un atto o provvedimento autoritativo idoneo a incidere unilateralmente sulla sfera giuridica del soggetto destinatario e a porre una disciplina del rapporto che sorge tra il privato e l’amministrazione. Emerge così un elemento dinamico del potere, che dalla dimensione statica della norma si traduce in un atto concreto produttivo di effetti giuridici. L’unilateralità del potere non è un elemento indefettibile di quest’ultimo poiché esso può essere fatto oggetto, a certe condizioni, di un accordo con il destinatario dell’atto e dunque può acquisire una connotazione consensuale e bilaterale. → L’atto e il provvedimento. Nell’ordinamento italiano manca una definizione legislativa di atto o provvedimento amministrativo. Nel nostro ordinamento l’atto amministrativo costituisce invece una nozione, elaborata essenzialmente dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Alcune indicazioni si possono peraltro ricavare sia dalla Costituzione sia dà alcune leggi generali. In particolare, l’art. 113 Cost. stabilisce che «Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale»; la legge determina quali organi giurisdizionali abbiano il potere di «annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge». Queste disposizioni richiamano due aspetti del regime giuridico degli atti amministrativi: - la loro sottoposizione necessaria, costituzionalmente garantita, a un controllo giurisdizionale operato dal giudice amministrativo e dal giudice ordinario; -la loro annullabilità nei casi di accertata difformità dei medesimi rispetto alle norme giuridiche. Il giudice amministrativo si pose subito il problema di quali caratteristiche dovessero avere gli atti delle amministrazioni per poter essere sottoposti al controllo giurisdizionale e contribuì così, insieme con la dottrina, a elaborare la teoria dell’atto amministrativo. le condizioni minime per poter accedere alla tutela giurisdizionale amministrativa riguardano un atto emanato da un’autorità amministrativa, ritenuto illegittimo che fosse lesivo di una situazione giuridica soggettiva del privato (interesse legittimo). Altre disposizioni legislative rilevanti si ritrovano nella l. N. 241/1990 che pone una disciplina generale del procedimento amministrativo e dell’atto amministrativo. - Anzitutto, l’art. 1, comma 1-bis, l. N. 241/1990, stabilisce, che la pubblica amministrazione agisce di regola secondo le norme del diritto privato «nell’adozione di atti di natura non autoritativa». Questi ultimi vanno dunque distinti dagli atti aventi natura autoritativa, per i quali, invece, vale il regime pubblicistico proprio degli atti amministrativi. - Inoltre, l’art. 3 l. N. 241/1990 chiarisce che ogni provvedimento amministrativo deve essere motivato, indicando anche qui un elemento formale tipico degli atti amministrativi che li differenzia dagli atti privati. - Ancora, l’art. 7 prevede che l’avvio del procedimento deve essere comunicato «ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti» e l’art. 21-bis specifica che «il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati acquista efficacia nei confronti di ciascun destinatario con la comunicazione allo stesso effettuata». Queste disposizioni richiamano implicitamente un’altra caratteristica dei provvedimenti e cioè l’autoritarietà (o imperatività) intesa come attitudine a determinare in modo unilaterale. Come emerge dalle disposizioni costituzionali e legislative, i termini «atto» e «provvedimento amministrativo» vengono utilizzati come sinonimi. In sede dottrinale, tuttavia, si è cercato di porre una distinzione tra: ▪ Atto amministrativo: include ogni «dichiarazione di volontà, di desiderio, di conoscenza, di giudizio, compiuta da un soggetto dell'amministrazione pubblica nell’esercizio di una potestà amministrativa». (per esempio, le proposte, le intimazioni) ▪ Provvedimento amministrativo: può essere definito come una manifestazione di volontà, espressa dall’amministrazione titolare del potere all’esito di un procedimento amministrativo, volta alla cura in concreto di un interesse pubblico e tesa a produrre in modo unilaterale effetti giuridici nei rapporti con i soggetti destinatari del provvedimento medesimo (per esempio, un’autorizzazione, una sanzione amministrativa, ecc.). →Il procedimento. La l. N. 241/1990 richiama già nel titolo e poi in numerose disposizioni la nozione di procedimento amministrativo. L’esercizio del potere avviene secondo il modulo del procedimento amministrativo, cioè attraverso una sequenza, individuata anch’essa alla legge, di operazioni e di atti strumentali all’emanazione di un provvedimento amministrativo produttivo degli effetti giuridici tipici nei rapporti esterni. Il procedimento assolve a una pluralità di funzioni: -garantire la partecipazione dei privati all’esercizio del potere attraverso la presentazione di memorie, di documenti, e ciò a tutela dei propri interessi che sono suscettibili di essere pregiudicati dall’emanando provvedimento amministrativo; -assicurare il coordinamento tra le pubbliche amministrazioni. Il rapporto giuridico amministrativo È il rapporto che intercorre tra la pubblica amministrazione che esercita un potere e un soggetto privato titolare di un interesse legittimo (relazione giuridica bilaterale). I rapporti giuridici interprivati vengono ricostruiti in base a diversi rapporti: 1)diritto soggettivo - obbligo, i cui termini si imputano rispettivamente al soggetto attivo e passivo del rapporto. Il diritto soggettivo : consiste in un potere di agire, riconosciuto e garantito dall’ordinamento giuridico, per soddisfare un proprio interesse. In capo al soggetto passivo del rapporto giuridico, sorge a seconda dei casi: - Un dovere generico negativo di astensione, cioè di non interferire o turbare l’esercizio del diritto (diritti assoluti,i diritti reali e della personalità); - Oppure un proprio obbligo giuridico, cioè il dovere specifico e positivo di porre in essere un determinato comportamento o attività a favore del titolare del diritto (diritti relativi, come i diritti di credito). Heruntergeladen durch Alexander Lantschner ([email protected]) lOMoARcPSD|11646809 2)Accanto alla coppia diritto soggettivo-obbligo, il diritto privato conosce altri tipi di situazioni giuridiche e di relazioni che ci avvicinano alla dinamica del rapporto amministrativo caratterizzato invece dalla sussistenza di una relazione non paritaria tra la pubblica amministrazione che esercita il potere e il titolare dell’interesse legittimo. Per un verso, infatti, viene individuata una situazione giuridica soggettiva attiva: la potestà, che, a differenza di quanto accade per il diritto soggettivo, è attribuita al singolo soggetto per il soddisfacimento, anziché di un interesse proprio, di un interesse altrui. Si tratta cioè di un potere-dovere, nel senso che il soggetto è tenuto a esercitarla secondo criteri non già di «pieno», bensì di «prudente arbitrio», e nel farlo deve perseguire la finalità della cura dell’interesse altrui. Da qui i caratteri della doverosità e della non arbitrarietà dell’esercizio del potere. Una particolare categoria di diritti soggettivi è costituita dal diritto potestativo, che consiste nel potere di produrre un effetto giuridico con una propria manifestazione unilaterale di volontà. I casi più tipici di diritto potestativo nei rapporti interprivati sono il diritto di prelazione il diritto recesso. L’unilateralità nella produzione degli effetti costitutivi, modificativi o estintivi di una situazione giuridica altrui costituisce una caratteristica anche dei poteri amministrativi. La produzione degli effetti giuridici segue usualmente lo schema norma-fatto-effetto giuridico. La norma individua in termini astratti gli elementi della fattispecie e l’effetto giuridico che ad essa si ricollega. Tutte le volte che nella vita economica e sociale si verifica un fatto concreto che è sussumibile nella fattispecie normativa si produce, in modo automatico, un effetto giuridico. Il diritto conosce anche un’altra tecnica di produzione degli effetti che segue lo schema norma-fatto-potere-effetto giuridico. Tra il fatto e l’effetto giuridico si interpone cioè un elemento aggiuntivo, il potere, e il titolare di quest’ultimo è pienamente libero di decidere se provocare con una propria “manifestazione di volontà l’effetto giuridico tipizzato dalla norma. È questo lo schema proprio del diritto potestativo. La dottrina processuale-civilistica distingue due tipologie di diritti potestativi: 1)Diritti potestativi stragiudiziali: la produzione dell’effetto giuridico tipico discende in modo diretto dalla manifestazione di volontà del titolare del potere. Si tratta dunque di un potere unilaterale e autosufficiente. (esempio è il potere del datore di lavoro di licenziare un dipendente per giusta causa). 2)Diritti potestativi a necessario esercizio giudiziale: il prodursi dell’effetto giuridico tipico presuppone un previo accertamento giudiziale, in aggiunta alla dichiarazione di volontà del titolare del potere, che verifichi la sussistenza nella fattispecie concreta degli elementi previsti in astratto a livello di fattispecie normativa. (Esempi l’annullamento del contratto). Il potere amministrativo può essere ricondotto allo schema del diritto potestativo stragiudiziale: Infatti, la produzione dell’effetto giuridico discende in modo immediato dalla dichiarazione di volontà dell’amministrazione che emana il provvedimento. Inoltre, l’accertamento giurisdizionale può avvenire solo in via posticipata, cioè in seguito alla proposizione di un ricorso giurisdizionale innanzi al giudice amministrativo su iniziativa del soggetto privato nella cui sfera giuridica l’atto impugnato ha prodotto l’effetto. Nel caso del potere amministrativo questo schema trova giustificazione nell’esigenza di garantire l’immediata realizzazione dell’interesse pubblico la cui cura è affidata all’amministrazione. Sussistono tuttavia alcune specificità del potere amministrativo rispetto allo schema del diritto potestativo e in particolare di quello stragiudiziale. Il potere amministrativo, per un verso, trova fondamento diretto nella legge, cioè nella norma di conferimento del potere, piuttosto che nel consenso di colui nella cui sfera giuridica si produce l’effetto, e senza che sussista, di regola, un rapporto giuridico preesistente tra il soggetto privato e la pubblica amministrazione. In ogni caso, solo in senso figurato si può ritenere che la legge abbia un fondamento in ultima analisi consensuale, per il fatto cioè che, nei regimi parlamentari, essa è approvata dai rappresentanti degli elettori. Per altro verso, il potere conferito dalla legge alla pubblica amministrazione non è sempre integralmente vincolato. Anzi, di regola, all’amministrazione sono attribuiti margini più o meno ampi di apprezzamento e valutazione discrezionale che, come si vedrà, possono determinare una modulazione del contenuto e degli effetti del provvedimento emanato. La norma attributiva del potere: Secondo una classificazione tradizionale, le norme che si riferiscono alla pubblica amministrazione sono di 2 tipi ✓ Norme di azione: disciplinano il potere amministrativo nell’interesse esclusivo della pubblica amministrazione, hanno come scopo assicurare che l’emanazione degli atti sia conforme a parametri predeterminati e non hanno una funzione di protezione dell’interesse dei soggetti privati. ✓ Norme di relazione: sono volte a regolare i rapporti intercorrenti tra l’amministrazione e i soggetti privati, a garanzia anche di questi ultimi, definendo l’assetto degli interessi e dirimendo i conflitti insorgenti tra cittadino e pubblica amministrazione. Una siffatta ricostruzione delle norme, appare troppo meccanica. Essa è legata, a una concezione dell’interesse legittimo, ormai in via di superamento. Appare dunque preferibile utilizzare la formula più generica di norma attributiva del potere. In attuazione del principio di legalità la norma attributiva del potere individua gli elementi caratterizzanti il potere attribuito a un apparato pubblico: 1)soggetto competente: ogni potere amministrativo deve essere attribuito in modo specifico alla titolarità di uno e un solo soggetto e, ove l’organizzazione di questo si articoli in una pluralità di organi, a uno e un solo organo. La norma deve dunque individuarlo con precisione. L’atto emanato da un soggetto o organo diverso a quello previsto è affetto da vizio di incompetenza. 2)il fine pubblico: costituisce un elemento che è specificato dalla norma di conferimento del potere o che può essere ricavato implicitamente dalla legge che disciplina la particolare materia. Il fine pubblico è invece etero imposto dalla norma: quest’ultima orienta le scelte effettuate in concreto dall’amministrazione e condiziona in ultima analisi, la legittimità del provvedimento emanato. La violazione del vincolo del fine, cioè il perseguimento da parte del procedimento emanato di un fine diverso da quello previsto dalla norma, configura un vizio di eccesso di potere per sviamento. Heruntergeladen durch Alexander Lantschner ([email protected]) lOMoARcPSD|11646809 3)I presupposti e i requisiti: la norma attributiva del potere deve individuare i presupposti e i requisiti sostanziali in presenza dei quali il potere sorge e può essere esercitato. La loro sussistenza in concreto è una delle condizioni per l’esercizio legittimo del potere. L’espressione «presupposti e requisiti di legge» è utilizzata dall’art. 19 l. n. 241/1990 ed è riferita alle autorizzazioni c.d. vincolate che, sono sostituite dalla c.d. segnalazione certificata d’inizio di attività (SCIA), cioè da una semplice comunicazione effettuata dal privato all’amministrazione contestuale all’avvio dell’attività. Analogamente l’art. 6 prevede che il responsabile del procedimento valuti a fine istruttoria «le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione ed i presupposti che siano rilevanti per l’emanazione del provvedimento». (per fare un esempio, il Testo unico in materia edilizia a proposito del permesso di costruire, indica come presupposti la conformità del progetto alle previsioni degli strumenti urbanistici dei regolamenti edilizi e in generale della disciplina urbanistico - edilizia vigente). a seconda delle espressioni linguistiche utilizzate, il potere può risultare più o meno ampiamente vincolato o, per converso, più o meno ampiamente discrezionale. Ciò lungo una linea continua delimitata da due estremi. - Al primo estremo si collocano i poteri integralmente vincolati: l’amministrazione non ha altro compito se non quello di verificare, se nella fattispecie concreta siano rinvenibili tutti gli elementi indicati dalla norma attributiva e, nel caso positivo, di emanare il provvedimento che produce gli effetti anch’essi rigidamente predeterminati dalla norma; - Al secondo estremo si pongono i poteri sostanzialmente «in bianco» (per esempio, le ordinanze di necessità e di urgenza) che rimettono al soggetto titolare del potere spazi pressoché illimitati di apprezzamento, di valutazione delle fattispecie concrete e di determinazione delle misure necessarie per tutelare un determinato interesse pubblico. In generale, gli spazi di valutazione dei fatti costitutivi del potere sono tanto più ampi quanto più la norma d’azione fa ricorso ai «concetti giuridici indeterminati». La norma definisce cioè i presupposti e i requisiti con formule linguistiche tali da non consentire di accertare in modo univoco il loro verificarsi in concreto. I concetti giuridici indeterminati possono essere di due categorie: -i concetti empirici o descrittivi che si riferiscono al modo di essere di una situazione di fatto (es. la «pericolosità» di un edificio lesionato); involgono giudizi a carattere tecnico- scientifico -concetti normativi o di valore contengono un ineliminabile elemento di soggettività (es.un film «adatto» al pubblico dei minori), che involgono giudizi di valore e coprono, un’area della discrezionalità amministrativa. In generale, si ritiene che i concetti giuridici indeterminati presentino un «nocciolo» di certezza, perché di una determinata situazione concreta vi è dubbio se essa possa essere sussunta o meno nel parametro normativo, e un «alone» di incertezza, trattandosi di situazioni limite nelle quali una siffatta opera di sussunzione è incerta e opinabile. Sorge così il problema di chi abbia il «diritto di ultima decisione» cioè se ed entro quali limiti le valutazioni compiute dall’amministrazione in sede di interpretazione e di applicazione dei concetti giuridici indeterminati possano essere sindacate dal giudice. In un mondo ideale che realizzi al massimo grado lo Stato diritto, i poteri amministrativi dovrebbero essere integralmente vincolati. Tuttavia, un siffatto ideale è irraggiungibile perché presuppone l’onniscienza del legislatore e la sua capacità di intervenire in modo tempestivo ad aggiornare le norme vigenti. 4)Le modalità di esercizio del potere e i requisiti di forma: La norma di conferimento del potere può disciplinare anche l’elemento temporale dell’esercizio del potere. Può: -in primo luogo individuare un termine per l’avvio dei procedimenti d’ufficio. -In secondo luogo può specificare il termine massimo entro il quale, una volta avviato il procedimento, l’amministrazione deve emanare il provvedimento conclusivo. L’art. 21 l. n. 241/1990 pone un sistema di regole articolato volto a individuare per tutti i tipi di procedimenti il termine in questione, attuando così il principio di certezza del tempo dell’agire della p.a. -In terzo luogo, le leggi amministrative scandiscono talora anche i tempi per l’adozione degli atti endoprocedimentali. Così, in particolare, la l. N. 241/1990 prevede che gli organi consultivi dell’amministrazione debbano rendere i pareri richiesti entro un termine generale di 20 giorni (art. 16) che gli organi tecnici debbano esprimere le valutazioni richieste entro 90 giorni (art. 17). 5)gli effetti giuridici :la norma attributiva del potere individua in termini astratti gli effetti che l’atto amministrativo può produrre una volta emanato all’esito del procedimento. Più in generale, i provvedimenti amministrativi hanno l’attitudine a produrre effetti costitutivi, cioè possono costituire, modificare o estinguere situazioni giuridiche di cui sono titolari i destinatari dei provvedimenti. Sono esempi di provvedimenti con effetti costitutivi in senso stretto le concessioni amministrative per l’uso esclusivo di un bene demaniale che attribuiscono in capo a un soggetto privato un diritto soggettivo a svolgere una certa attività (per esempio per l’installazione e la gestione di uno stabilimento balneare). Sono esempi di provvedimenti con effetti modificativi la sanzione disciplinare di sospensione dall’iscrizione a un albo professionale che impedisce per un tempo determinato lo svolgimento dell’attività. L’esempio di provvedimento con effetti estintivi è il decreto di espropriazione che fa venir meno in capo al proprietario del bene immobile il diritto di proprietà la cui titolarità viene trasferita alla pubblica amministrazione o ad altro soggetto in favore del quale il procedimento di espropriazione è stato attivato. Il potere discrezionale: La discrezionalità, che può essere riferita, oltre che al potere, anche all’attività e al provvedimento amministrativo. → Discrezionalità: connota l’essenza stessa dell’amministrare, cioè della cura in concreto degli interessi pubblici. Tale attività presuppone che l’apparato titolare del potere abbia la possibilità di scegliere la soluzione migliore nel caso concreto. Emerge qui una tensione quasi insanabile con il principio di legalità inteso in senso sostanziale, che porterebbe ad attribuire all’amministrazione soltanto poteri vincolati. Ma ciò, oltre ad essere impossibile sarebbe inopportuno. Infatti, le situazioni concrete nelle quali l’amministrazione deve intervenire hanno un grado ineliminabile di contingenza e di imprevedibilità tale da richiedere nel decisore un qualche spazio di adattabilità della misura da disporre. Heruntergeladen durch Alexander Lantschner ([email protected]) lOMoARcPSD|11646809 Infatti, allorché il potere è integralmente vincolato, a rigore, i soggetti privati sono in grado di valutare da soli se una certa attività o un certo comportamento sono ad essi consentiti. Si spiega così perché, l’art. 19 l. N. 241/1990 abbia introdotto per molte autorizzazioni vincolate un regime di liberalizzazione: il privato autovaluta se ha titolo per svolgere una certa attività, la intraprende sulla base di una semplice comunicazione all’amministrazione, mentre il controllo da parte di quest’ultima sulla conformità dell’attività alla legge può avvenire soltanto a posteriori. Se dunque, i veri poteri sono quelli discrezionali, sorge il problema teorico e pratico di come conciliare due esigenze: -attribuire all’amministrazione quel tanto di discrezionalità che consente la flessibilità necessaria per gestire i problemi della collettività; -evitare che la discrezionalità si traduca in arbitrio. Su questo punto emerge una differenza rispetto al diritto privato nel quale l’autonomia negoziale è espressione della libertà dei privati di provvedere alla cura dei propri interessi. Ove si mantengano nei limiti del lecito, le scelte dei privati non sono sottoposte a regole particolari volti a guidare la formazione della volontà. Basta cioè che il soggetto privato sia pienamente capace e che la sua volontà non sia affetta da vizi. L’amministrazione titolare di un potere invece ha un ambito di libertà più ristretto, in quanto la scelta tra una pluralità di soluzioni può avvenire, non solo nel rispetto dei limiti per così dire esterni posti dalla norma di conferimento del potere e dei principi generali dell’azione amministrativa, ma anche nel rispetto di un vincolo per così dire interno consistente nel dovere di perseguire il fine pubblico. Queste regole sono ora enunciate nell’art. 1 l. N. 241/1990, secondo il quale, come si è visto, l’attività amministrativa «persegue i fini determinati dalla legge» ed è retta da criteri «di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza». Volendo porre una definizione di discrezionalità amministrativa, essa consiste nel margine di scelta che la norma rimette all’amministrazione affinché essa possa individuare, tra quelle consentite, la soluzione migliore per curare nel caso concreto l’interesse pubblico. La scelta avviene attraverso una valutazione comparativa (ponderazione) degli interessi pubblici e privati rilevanti nella fattispecie, acquisiti nel corso dell’istruttoria procedimentale. Fra di essi vi è anzitutto il c.d. interesse pubblico primario individuato dalla norma di conferimento del potere e affidato alla cura dell’amministrazione titolare del potere. Compito di quest’ultima è massimizzare la realizzazione dell’interesse primario. Tuttavia, l’interesse primario deve essere messo a confronto e valutato alla luce di interessi secondari rilevanti. In alcuni casi essi sono individuati direttamente dalle norme che disciplinano il particolare tipo di procedimento, Altri emergono nel corso dell’istruttoria. Tra gli interessi secondari si annoverano non soltanto gli altri interessi pubblici incisi dal provvedimento, ma anche gli interessi dei privati, i quali possono partecipare al procedimento proprio allo scopo di rappresentare il proprio punto di vista con la presentazione di memorie e di documenti che l’amministrazione ha l’obbligo di valutare (art. 10 l. N. 241/1990). Così, per esempio, per elaborare e approvare il progetto di un’autostrada o di una tratta ferroviaria, l’amministrazione deve tener conto, oltre che dell’interesse primario alla viabilità, anche di quello relativo alla tutela dell’ambiente. In definitiva, la scelta operata dall’amministrazione deve contemperare l’esigenza di massimizzare l’interesse pubblico primario con quella di causare il minor sacrificio possibile degli interessi secondari incisi dal provvedimento. L’amministrazione deve dar conto dell’attività di ponderazione degli interessi nella motivazione del provvedimento, e ciò al fine di garantire la trasparenza nel processo decisionale. La discrezionalità amministrativa incide su quattro elementi logicamente distinti: 1. Sull’an, cioè sul se esercitare il potere in una determinata situazione concreta ed emanare il provvedimento. 2. Sul quid, cioè sul contenuto del provvedimento che, all’esito della valutazione degli interessi, pone la regola per il caso singolo. 3. Sul quomodo, cioè sulle modalità da seguire per l’adozione del provvedimento. 4. Sul quando, cioè sul momento più opportuno per esercitare un potere d’ufficio avviando il procedimento e, una volta aperto quest’ultimo, per emanare il provvedimento, pur tenendo conto dei termini massimi per la conclusione del procedimento (stabiliti in base all’art. 2 l. n. 241/1990). Nel corso del procedimento la discrezionalità può cioè ridursi via via fino ad annullarsi del tutto. In questo caso si parla di vincolatezza in concreto, da contrapporre alla vincolatezza in astratto che si verifica allorché la norma predefinisce in modo puntuale tutti gli elementi che caratterizzano il potere. Una riduzione dell’ambito della discrezionalità può avvenire anche per un’altra via, ovvero attraverso l’auto vincolo alla discrezionalità. Di frequente tra la norma di conferimento del potere che concede all’amministrazione spazi di discrezionalità più o meno ampi e provvedimento concreto assunto all’esito della valutazione si interpone la predeterminazione da parte della stessa amministrazione di criteri e parametri che vincolano l’esercizio della discrezionalità. Ciò accade di regola, per esempio, nei giudizi valutativi espressi da commissioni di concorso le quali sono tenute a specificare, prima di esprimere le proprie valutazioni sui singoli candidati, i parametri di giudizio già previsti nella normativa di riferimento e nel bando. Ciò accresce l’oggettività, la trasparenza e la sindacabilità delle decisioni, perché i criteri così stabiliti vincolano l’attività dell’amministrazione e la violazione dei medesimi è sindacabile da parte del giudice amministrativo in modo non dissimile dalla violazione di norme giuridiche in senso proprio. →Il merito amministrativo: Il merito ha una dimensione essenzialmente negativa residuale: esso si riferisce all’eventuale ambito di scelta spettante all’amministrazione. Se il potere è integralmente vincolato lo spazio del merito risulta nullo. Il merito connota l’attività dell’amministrazione da considerare essenzialmente libera. →Le valutazioni tecniche: La discrezionalità amministrativa va tenuta distinta dalle valutazioni tecniche. Esse si riferiscono ai casi in cui la norma attributiva del potere, nel ricorrere alla tecnica dei concetti giuridici indeterminati di tipo empirico, rinvia a nozioni tecniche o scientifiche che in sede di applicazione alla fattispecie concreta presentano margini di opinabilità. Spesso le valutazioni Heruntergeladen durch Alexander Lantschner ([email protected]) lOMoARcPSD|11646809 tecniche sono espresse da organi appositi chiamati a rendere il loro giudizio nell’ambito del procedimento. L’art. 17 l. N. 241/1990 regola le modalità attraverso le quali il responsabile del procedimento procede ad acquisirle. Tra le valutazioni tecniche rientrano, per citare qualche esempio, in aggiunta a quelli fatti a proposito dei concetti giuridici indeterminati, i giudizi medici aventi per oggetto l’idoneità ad essere arruolati nelle forze militari o di polizia. In caso di valutazioni t

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