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diritto amministrativo pubbliche amministrazioni legge 241/1990 funzione amministrativa

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Il documento analizza gli aspetti della funzione amministrativa, soffermandosi sulla normativa italiana, in particolare sulla legge 241/1990 sul procedimento amministrativo. Il documento esplora la struttura e i compiti delle amministrazioni pubbliche, le loro responsabilità e i legami con la Costituzione. Si menziona anche l'importanza di principi come legalità, imparzialità e buon andamento.

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FUNZIONE AMMINISTRATIVA Gli aspetti necessari per la sopravvivenza dello stato sono quei compiti che fanno riferimento a bisogni primordiali, ovvero i compiti di conservazione/sopravvivenza dello stato: questi sono 1. sicurezza interna affinché la vita si svolga senza conflitti interni, in modo...

FUNZIONE AMMINISTRATIVA Gli aspetti necessari per la sopravvivenza dello stato sono quei compiti che fanno riferimento a bisogni primordiali, ovvero i compiti di conservazione/sopravvivenza dello stato: questi sono 1. sicurezza interna affinché la vita si svolga senza conflitti interni, in modo ordinato e pacifico è necessario costituire una forza che vada a stabilire chi e in quali casi questa debba essere usata per garantire il rispetto della legge, l’ordine pubblico e la sicurezza 2. difesa sicurezza intesa come possibilità di difendersi da eventuali attacchi esterni: è perciò necessaria una forza che assicuri la difesa dello stato, individuando chi avrà questo compito, quali saranno i mezzi necessari e quali le risorse economiche Nel tempo si sono aggiunti compiti di benessere della collettività: 3. compito di garantire l’istruzione 4. compito di garantire la previdenza e la sicurezza sociale (trattamento pensionistico) 5. assistenza sanitaria Una pluralità di compiti necessita di diversi organi, tra i quali ministero dell’interno, degli esteri, della difesa… e si possono ricondurre alla funzione amministrativa. Tra la funzione normativa (produzione di norme) e la funzione giurisdizionale (applicazione delle norme), c’è un’altra funzione imprescindibile per lo stato, ossia la funzione amministrativa. La funzione amministrativa è quella funzione affidata in senso soggettivo alle diverse PA, le quali sono un insieme di enti pubblici (entità astratte che sono soggetti di diritto in senso pieno, soggettività giuridiche) istituiti dal legislatore attraverso la funzione normativa, al fine di svolgere specifici compiti amministrativi per la cura di specifici interessi pubblici. Il legislatore decide di quali compiti amministrativi lo stato si deve fare carico (che il pubblico deve svolgere a favore della collettività di riferimento), selezionando certe attività come attività di interesse pubblico e individuando l’ente pubblico a cui affidare la cura dell’interesse, attraverso gli atti normativi di rango primario (specifiche disposizioni di legge o atti aventi forza di legge). Nel caso in cui l’ente pubblico non dovesse essere già presente, lo istituisce il legislatore e gli affida in cura quello specifico interesse pubblico. Esempi: la sicurezza della previdenza sociale non è un interesse pubblico che non c’è sempre stato e per curare questo compito il legislatore ha istituito l’INPS (istituto nazionale per la previdenza sociale); alcuni anni fa l’erogazione dell’energia elettrica non era garantita su tutto il territorio nazionale e per far sì invece che ciò accadesse, il legislatore ha istituito un apposito ente pubblico (ENEL, ente nazionale dell’energia elettrica). Il legislatore ha selezionato sempre più compiti elevandoli a interessi pubblici a inizio 900, con il riconoscimento del suffragio universale (elezione dei rappresentanti che andranno a formare il soggetto legislatore), ovvero l’allargamento della base elettorale di chi ha il potere legislativo: prima gli interessi erano selezionati in modo elitario, quindi magari gli interessi delle classi meno abbienti non venivano garantiti, poi diventano interessi di tutti. Quindi la moltiplicazione degli interessi pubblici trova le radici nella fase repubblicana e si lega al passaggio da uno stato monoclasse a uno stato pluriclasse, che trova un momento imprescindibile nel riconoscimento del suffragio universale. La repubblica si è impegnata ad assumere su di sé sempre più compiti per garantire il benessere della collettività e un’eguaglianza sostanziale (articolo 3, comma 2) → compito generale di rimuovere gli ostacoli → questa norma programmatica trova applicazione tramite l’applicazione di compiti che possono agevolare l’eguaglianza di tutte le componenti della società. Si trovano varie norme costituzionali sulla PA, ma se ne può riconoscere in particolare una come la coordinata normativa di riferimento: principio di legalità ➔ COSTITUZIONE ITALIANA - ARTICOLO 97 Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico. I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari. Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge. Il secondo comma sostiene che le pubbliche amministrazioni, i pubblici uffici devono essere organizzati e devono agire secondo disposizioni di legge. In questo articolo è stato codificato un principio generale della PA, ossia il principio di legalità, secondo il quale le PA esistono ed agiscono soltanto in ragione di quanto previsto dalle fonti primarie del diritto (dalla legge) → vige una riserva di legge Si possono individuare 2 importanti corollari del principio di legalità, ovvero quei criteri/obbiettivi a cui devono ispirarsi (che devono essere raggiunti) l’organizzazione e l’azione delle PA: imparzialità e buono andamento sono criteri che devono ispirare il legislatore quando va a disciplinare il funzionamento delle PA. Nel 2012, è stato introdotto il primo comma, che sostiene che le PA, in linea con il patto di stabilità europeo, devono assicurare l’equilibro del bilancio dello stato e la sostenibilità del debito pubblico: devono gestire le risorse pubbliche in modo efficiente ed efficace. Per efficienza si intendono gli obbiettivi e i mezzi utilizzati per raggiungere quei risultati e per efficacia si intende, in termini aziendalistici, il rapporto tra obbiettivi da perseguire e risultati effettivamente perseguiti → si decise di costituzionalizzare l’idea della sostenibilità del debito pubblico. Il principio di legalità trova proiezione su una legge, in particolare sulla legge generale sul procedimento amministrativo, ossia la legge n°241 del 7 agosto del 1990. Infatti, la legge si apre con l’articolo 1: ➔ ARTICOLO 1 comma 1 L'attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai principi dell'ordinamento comunitario. L’articolo 1 sostiene che l’attività amministrativa di tutte le PA (legge generale trasversale) persegue i fini e gli obbiettivi determinati dalla legge, secondo il principio di legalità. Ciò significa che le PA nel loro agire non possono scegliere quale obbiettivo perseguire, ma possono perseguire soltanto i fini determinati dalla legge: il fine è vincolato ed è la base/giustificazione dell’esistenza stessa di una PA, secondo l’articolo 97 della costituzione (se non ci fosse l’interesse pubblico/fine non esisterebbe) → la PA è teleologicamente vincolata: l’agire della PA è sempre funzionalizzato al raggiungimento di un certo fine eterodeterminato (determinati da altri, dal legislatore) La PA si muove su un piano dell’agire diverso da quello dei privati: mentre la PA è vincolata/funzionalizzata a un certo fine, l’agire dei privati (persone fisiche) ruota attorno al concetto di libertà e di autonomia (negoziale), sempre però all’interno di un perimetro di ciò che è illecito fare. Quindi l’articolo 1 della legge 241 ricorda che l’attività amministrativa persegue soltanto i fini determinati dalla legge e dovrebbe sempre essere retta da: - criterio di buon andamento (implicito), inteso anche nei termini di economicità (uso accorto delle risorse pubbliche), di efficienza ed efficacia (in termini aziendalistici) - principio di imparzialità, che trova delle sue manifestazioni/declinazioni nella pubblicità e nella trasparenza della PA Inoltre, la PA deve tener presenti i principi dell’ordinamento comunitario, dell’unione europea (all’esterno della piramide delle fonti), attraverso il meccanismo della disapplicazione del diritto interno a favore di diritto europeo, in caso di contrasti. Le norme di rango primario attribuiscono anche dei poteri amministrativi, ossia delle forze giuridiche per raggiungere lo scopo per il quale quella PA è stata istituita, e perciò sono dette norme attributive di poteri amministrativi. Un’ulteriore manifestazione del principio di legalità si può trovare all’ultimo comma dell’articolo 95 della costituzione costituzione italiana, articolo 95, comma 3 La legge provvede all’ordinamento della Presidenza del Consiglio e determina il numero, le attribuzioni e l’organizzazione dei ministeri. Questo comma sostiene che la legge determina il numero, le attribuzioni (quali interessi pubblici curerà un certo ministero) e l’organizzazione dei ministeri LEGGE 241/90 DEL 7 AGOSTO DEL 1990: legge sul procedimento amministrativo Le PA hanno in comune il fatto che gran parte della loro modalità di azione è un’attività procedimentalizzata, ciò significa che per assumere una decisione amministrativa (decisione che spesso ha la forma del provvedimento amministrativo) agiscono in modo procedimentalizzato, seguendo una serie ordinata di atti che le porterà loro ad assumere la decisione amministrativa. Nel 1990, il legislatore ritenne utile disciplinare almeno alcuni aspetti di questo agire procedimentalizzato delle PA, attraverso una legge detta disciplina generale e trasversale del procedimento amministrativo. Questa disciplina, che si trova nella legge 241 del 1990, è una disciplina che vale per le PA quanto tali, indipendentemente dal settore in cui l’amministrazione opera (per questo disciplina trasversale), ovvero vale per tutti i procedimenti amministrativi (per questo legge generale). In concreto quindi, la legge 241 interviene a disciplinare trasversalmente l’attività delle PA. La prima legge generale sul procedimento amministrativo della repubblica federale d’Austria del 1925 fu la prima legge organica a disciplinare il procedimento, mentre l’Italia arrivò più tardi. Prima ancora che venisse redatta la Costituzione, erano già state istituite delle commissioni di studio per la relazione di una legge generale del procedimento amministrativo, sebbene il tema venne veramente affrontato nei primi anni 80 del 900. Infatti, nel 1979, venne presentato alle camere il rapporto Giannini =rapporto sulle criticità della PA italiana (intesa in senso ampio come insieme delle PA italiane), nel quale si faceva il punto sui problemi (alcuni persistenti tuttora) delle PA → rapporto commissionato da Massimo Severo Giannini il quale, in quanto professore di diritto amministrativo, venne incaricato di ricoprire il ruolo di ministro per la funzione pubblica. Dal momento in cui il rapporto venne presentato alle camere nel 1979, scaturirono proposte di riforma per la PA e perciò Giannini, non più ministro, venne incaricato di presiedere una commissione di studio che avrebbe dovuto portare avanti queste riforme. Questa commissione era articolata in tre sottocommissioni, a ciascuna delle quali era stato affidato il compito di redigere/proporre dei disegni di legge, ma in particolate a una di queste era stato affidato il compito di proporre uno o più schemi di disegni di legge sull’attività/agire delle PA. Tra queste emerse la sottocommissione Nigro, che prendeva il nome dal suo presidente, il quale era un grande maestro di diritto amministrativo, ed era composta sia da una componente accademica (professori universitari) sia da giudici amministrativi (chiamati ad applicare norme amministrative). Così, nel 1984 questa sottocommissione era già arrivata a proporre al governo due schemi di disegni di legge: uno sul procedimento amministrativo e l’altro sulla trasparenza delle PA, in particolare sull’accessibilità dei documenti amministrativi (diritto di accesso ai documenti amministrativi). Una volta redatti dalla commissione Nigro, vennero affidati nelle mani del governo (personale che collabora, no ministri) che, nell’esercizio del suo potere di iniziativa legislativa, presentò alle camere soltanto un disegno di legge: fusione dei due schemi di disegno di legge. Il governo ritenne utile accorpare i due schemi in un unico disegno di legge, perché le proposte erano particolarmente progressiste e avanzate (guardavano troppo al futuro). Ad esempio: - diritto di accesso ai documenti amministrativi la sottocommissione Nigro, propose il riconoscimento del diritto di accesso ai documenti amministrativi, ovvero il diritto di prendere visione e di estrarre eventualmente copie di un documento amministrativo. Questo aveva una portata innovativa importante, per il fatto che al momento vigeva la regola del segreto di ufficio (opposta) e che la sottocommissione voleva riconoscere questo diritto di accesso generalizzato a tutti i cittadini → se tutti i documenti amministrativi fossero stati accessibili a tutti i cittadini, ci sarebbe stato uno stallo (sovraccarico) delle attività delle PA. Il diritto di accesso, perciò venne riconosciuto ma con certe limitazioni: il governo ha voluto diluire la scelta di riconoscere attraverso un’apposita legge il diritto di acceso ai documenti amministrativi. - accordi amministrativi la sottocommissione Nigro aveva anche proposto che il procedimento amministrativo si potesse chiudere con un accordo amministrativo (PA e privato si possono accordare) e che questa possibilità di accordarsi fosse sempre possibile. Ma il governo accordò che ciò era possibile solo in certi casi. Per questi motivi, il governo presentò un unico disegno di legge e, nel 1990, venne approvato come legge 241/90 sul procedimento amministrativo, denominata nuove norme in materia di procedimento amministrativo e sul diritto di accesso ai documenti amministrativi. Con questa legge il legislatore analizzò le criticità dell’agire delle PA, sulle quali intervenne nel 1990, proponendosi di: 1. affrontare il problema del tempo/inerzia dell’agire delle PA questo tema emerse perché ci si scontrava con l’inerzia delle PA, che non agivano tempestivamente. Perciò il legislatore provò a risolvere questo problema dettando delle norme sul tempo dell’agire amministrativo 2. garantire la partecipazione dei privati al procedimento amministrativo ciò significa che i soggetti interessati alla decisione amministrativa finale, devono poter partecipare al procedimento amministrativo. Quindi vennero dettate delle garanzie legislative per agevolare questa partecipazione. 3. introdurre il principio della possibile consensualità dell’azione amministrativa Il procedimento amministrativo non si deve per forza concludere con un provvedimento amministrativo unilaterale, ma puo arrivare anche a chiudersi attraverso una decisione concordata tra l’amministrazione e il privato (accordo amministrativo). Questo perché fino al 1990, la forma tipica della decisione amministrativa, ossia di manifestare all’esterno la decisione, era il provvedimento amministrativo, ovvero un atto della PA capace di modificare la sfera giuridica del suo destinatario in via autoritativa e unilaterale. Alcuni esempi di provvedimenti amministrativi sono il provvedimento sanzionatorio (multa), il procedimento che approva la graduatoria per le borse di studio o per gli alloggi universitari, il permesso di costruire, l’ordinanza di demolizione (sanziona l’abuso sostanziale). Questi esempi hanno in comune il fatto che producono effetti unilateralmente, indipendentemente dal volere (senza il consenso) del destinatario, perché lo determina l’amministrazione. 4. ricomporre la frammentarietà delle PA Il legislatore, consapevole della frammentazione dal punto di vista soggettivo della PA italiana (ce ne sono molte), prevede dei meccanismi/strumenti di collaborazione e dialogo tra le diverse PA e per questo motivo introdusse l’istituto della conferenza di servizi 5. innalzare il grado di trasparenza della PA (principio di trasparenza) Perciò venne istituito l’obbligo di motivare delle sue decisioni e riconosciuto il diritto di accesso documentale. La legge 241 del 1990 è suddivisa in parti, corrispondenti ai vari temi: - articoli 2 e 20: tema del tempo dell’agire amministrativo procedimentalizzato - capo III (articoli 4-10): il tema della partecipazione dei privati al procedimento amministrativo - articolo 11: tema degli accordi amministrativi - art 14-15: dedicato al tentavo di comporre frammentarietà - capo V (articoli 22-28): tema del diritto di accesso ai documenti amministrativi TEMPO DELL’AGIRE DELL’ATTIVITÀ PROCEDIMENTALIZZATA (1) Uno dei problemi della PA è legato alla sua inerzia, ovvero al fatto di non decidere affatto o entro tempi certi, e questo tema viene trattato nell’articolo 2 della legge 241/90. ➔ ARTICOLO 2 comma 1 Ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un'istanza, ovvero debba essere iniziato d'ufficio, le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di concluderlo mediante l'adozione di un provvedimento espresso. L’articolo 2 è dedicato alla conclusione del procedimento, dal momento che il legislatore proprio per risolvere l’inerzia delle PA, sancisce l’obbligo delle PA di concludere il procedimento amministrativo: quando una PA avvia un procedimento legislativo, indipendentemente che questo abbia inizio su istanza di parte o d’ufficio, deve concluderlo, ovvero deve assumere una decisione amministrativa → obbligo di procedere e di provvedere. Ma questo non risolve il problema dell’inerzia/tempo dell’agire amministrativo e perciò ogni procedimento amministrativo deve concludersi entro un termine certo (termine di conclusione del procedimento): ogni procedimento deve avere una sua dimensione temporale predeterminata. I commi 2,3,4 danno delle indicazioni che servono a definire il termine di conclusione di procedimento: per ciascun tipo di procedimento amministrativo, il termine di conclusione viene definito dallo stesso legislatore attraverso una specifica disposizione legislativa: questa disposizione viene detta disposizione eteronoma del termine di conclusione del procedimento. Per esempio, l’articolo 20 del testo unico dell’edilizia ci dice il termine entro cui deve concludersi il procedimento per il rilascio di costruire e la legge 91 del 1992 ci dice il termine entro cui si deve concludere il procedimento per il rilascio del provvedimento per la concessione della cittadinanza italiana. Il termine di conclusione del procedimento, quindi, puo essere: - previsto da disposizioni di legge nella situazione a cui fa riferimento il comma 2, il termine di conclusione del procedimento è previsto da apposite disposizioni di legge - autodeterminato dalla stessa PA caso in cui il termine di conclusione del procedimento è autodeterminato dalla stessa PA: si riconosce a ciascuna amministrazione il potere di autodeterminazione del termine di conclusione dei procedimenti di cui quella pubblicazione è competente. Quando un’amministrazione autodetermina il termine di conclusione del procedimento, lo fa attraverso un atto amministrativo che ha valenza normativa: l’amministrazione decide il termine di conclusione in via generale (una volta per tutte) attraverso una norma. Questo potere però deve esercitarsi entro un ambito e perimetro stabilito dai commi 3 e 4: comma 3 Con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, sono individuati i termini non superiori a novanta giorni entro i quali devono concludersi i procedimenti di competenza delle amministrazioni statali. Gli enti pubblici nazionali stabiliscono i termini non superiori a novanta giorni entro i quali devono concludersi i procedimenti di propria competenza Il comma 3 afferma che di norma i termini di conclusione del procedimento, auto individuati dalle singole amministrazioni, non devono essere superiori a 90 giorni comma 4 Nei casi in cui, tenendo conto della sostenibilità dei tempi sotto il profilo dell'organizzazione amministrativa, della natura degli interessi pubblici tutelati e della particolare complessità del procedimento, sono indispensabili termini superiori a novanta giorni per la conclusione dei procedimenti di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali, i decreti di cui al comma 3 sono adottati su proposta anche dei Ministri per la pubblica amministrazione e l'innovazione e per la semplificazione normativa e previa deliberazione del Consiglio dei ministri. I termini ivi previsti non possono comunque superare i centottanta giorni, con la sola esclusione dei procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana e di quelli riguardanti l'immigrazione. Il 4 comma, a fronte di procedimenti che presentano una particolare complessità o per procedimenti attraverso i quali sono tutelati interessi pubblici forti, si puo superare il limite dei 90 giorni, ma si deve restare entro il termine massimo di 180. Eccezion fatta, però, per i procedimenti che concernono l’immigrazione e il rilascio della cittadinanza italiana per i quali è previsto dalla legge un termine più ampio di 180 giorni - previsto dal comma 2 dell’articolo 2 della legge 241/90 comma 2 Nei casi in cui disposizioni di legge ovvero i provvedimenti di cui ai commi 3, 4 e 5 non prevedono un termine diverso, i procedimenti amministrativi di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali devono concludersi entro il termine di trenta giorni. Nel caso eventuale della mancanza di specifica disposizione di legge e dell’eventuale mancata fissazione del termine da parte della stessa amministrazione, varrà in via residuale la situazione prevista dal comma 2: l’amministrazione ha l’obbligo di concludere il procedimento entro il termine di 30 giorni. Il termine è così breve perché la regola è volta a indurre le PA a far uso in modo ragionevole del potere di autodeterminazione del termine di conclusione del procedimento. SILENZIO DELL’AMMINISTRAZIONE Quando la PA non rispetta l’obbligo di conclusione del procedimento o il termine di conclusione del procedimento, indipendentemente di come venga fissato il termine, ci si trova in una situazione di inerzia amministrativa della PA e si formerebbe così un silenzio della PA. I silenzi della PA, a seconda delle fattispecie, producono effetti diversi: al silenzio, intendendo l’inutile decorrenza del termine di conclusione del procedimento, conseguono effetti giuridici diversi. I silenzi della PA si distinguono in silenzi significativi e silenzi non significativi. o silenzi significativi: silenzio assenso e silenzio-diniego Quando si forma un silenzio della PA, la regola generale è disciplinata dall’articolo 20 della legge 241/90 ➔ ARTICOLO 20 comma 1 Fatta salva l'applicazione dell'articolo 19, nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio dell'amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima amministrazione non comunica all'interessato, nel termine di cui all'articolo 2, commi 2 o 3, il provvedimento di diniego, ovvero non procede ai sensi del comma 2. L’articolo 20 sostiene che, nei procedimenti che prendono avvio su istanza di parte, vale la regola del silenzio-assenso: decorso inutilmente il termine di conclusione del procedimento, senza che l’amministrazione abbia provveduto, quel silenzio equivale all’accoglimento dell’istanza presentata dal privato → l’istanza del privato si ritiene accolta ex lege, cioè in ragione della stessa legge (articolo 20). Perciò il legislatore, per ragioni di semplificazione amministrativa, nell’interesse dei privati e della stessa PA, ha introdotto una finzione giuridica, in quanto è come se l’amministrazione avesse deciso e accolto l’istanza del privato, ma non è successo. Inoltre, questo silenzio assenso rappresenta una possibile ulteriore conclusione del procedimento amministrativo, dal momento che il procedimento si potrebbe concludere anche per mera inerzia della PA Il legislatore ha introdotto il silenzio assenso per andare incontro anche ai privati, ma in realtà questa figura di silenzio significante presenta vari problemi. Nel silenzio assenso il privato non puo contare su un provvedimento amministrativo, ma conta sul fatto che gli effetti, di quello che sarebbe potuto essere il provvedimento, si determinino/verifichino in forza della legge (finzione giuridica). Nei rapporti con soggetti terzi, il silenzio assenso ha generato tanti problemi per i privati. Quindi il legislatore, per rafforzare l’affidamento del privato sull’accoglimento dell’stanza per silenzio assenso, ha introdotto il comma 2-bis dell’articolo 20 della legge 241 del 1990. comma 2-bis Nei casi in cui il silenzio dell’amministrazione equivale a provvedimento di accoglimento ai sensi del comma 1, fermi restando gli effetti comunque intervenuti del silenzio assenso, l’amministrazione è tenuta, su richiesta del privato, a rilasciare, in via telematica, un’attestazione circa il decorso dei termini del procedimento e pertanto dell’intervenuto accoglimento della domanda ai sensi del presente articolo. Questo comma afferma che il privato, nel caso in cui si veda accogliere l’istanza per silenzio assenso, puo chiedere alla PA (rimasta inerte) un’attestazione (documento che proviene dall’amministrazione) circa la decorrenza del termine di conclusione del procedimento e quindi l’accoglimento dell’istanza del privato attraverso il meccanismo del silenzio assenso: il privato può chiedere un documento nel quale l’amministrazione attesti che è effettivamente decorso il termine di conclusione di quel procedimento e che l’istanza deve intendersi accolta per il formarsi di un silenzio assenso → si dà una base documentale al silenzio assenso: cartolarizzazione del silenzio assenso Ma potrebbe succedere che anche a fronte di questa richiesta, l’amministrazione resti inerte e in questi casi, il legislatore ha previsto che il privato potrà dichiarare in via sostitutiva questa attestazione dell’amministrazione circa il formarsi del silenzio assenso con una autocertificazione, una dichiarazione sostitutiva di certificazione, ai sensi del dpr (decreto del presidente della repubblica) n°445 del 2000, che il privato assume sotto la sua personale responsabilità (anche penali) rispetto alla veridicità di quanto egli dichiari. comma 4 Le disposizioni del presente articolo non si applicano agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l'ambiente, la tutela dal rischio idrogeologico, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza, l'immigrazione, l'asilo e la cittadinanza, la salute e la pubblica incolumità, ai casi in cui la normativa comunitaria impone l'adozione di provvedimenti amministrativi formali, ai casi in cui la legge qualifica il silenzio dell'amministrazione come rigetto dell'istanza, nonché agli atti e procedimenti individuati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i Ministri competenti Le eccezioni alla regola generale su silenzio assenso sono concentrate al comma 4 dell’articolo 20. Le disposizioni sul silenzio assenso non trovano applicazione in alcuni casi che si possono raggruppate in 4 insiemi di eccezioni: 1. nei casi in cui la legge qualifica il silenzio dell’amministrazione come rigetto dell’istanza il comma 4 dell’articolo 20 afferma che nel caso in cui il silenzio dell’amministrazione è indicato da una specifica disposizione di legge come silenzio significativo, questo viene classificato come silenzio-diniego dell’istanza: in seguito a un silenzio dell’amministrazione, l’istanza, scaduto il termine di conclusione del procedimento, si riterrà rigettata e non accolta. Quindi posta la regola del silenzio assenso, nei procedimenti su istanza di parte, potrebbe succedere che sia un’apposita disposizione di legge che qualifichi quel silenzio come rigetto dell’istanza e in questo caso non troverà applicazione la regola generale sul silenzio assenso. Le regole sui silenzi della PA trovano una specifica applicazione nei procedimenti urbanistico-edilizi. Infatti, nel procedimento di rilascio del permesso di costruire (quando privato presenta un’istanza) se l’amministrazione non dovesse provvedere entro il termine di conclusione del procedimento, indicato all’articolo 20 del dpr 380 del 2001 (ovvero nel testo unico dell’edilizia), il silenzio dell’amministrazione equivale al silenzio assenso. Tendenzialmente nei procedimenti che iniziano d’ufficio, il privato non contesterà all’amministrazione il fatto che non ha provveduto entro i termini. Però all’interno del comma 4 dell’articolo 25 della legge 241/90 c’è una norma che qualifica l’inerzia dell’amministrazione come rigetto dell’istanza: quando un privato presenza un’istanza di accesso ai documenti amministrativi (prendere visione dei documenti amministrativi), decorsi i 30 giorni, l’istanza si intende respinta. Il fatto che l’istanza venga rigettata può essere utile al privato in quanto gli consente di chiedere la tutela da parte di un giudice amministrativo, presentando ricorso e chiedendo di condannare l’amministrazione all’esibizione di quel documento del quale aveva chiesto l’accesso. 2. nei casi in cui gli atti e i procedimenti vengono individuati con uno o più decreti del presidente del Consiglio dei ministri l’articolo 20 sostiene che con un atto normativo di rango secondario, adottato nella forma di decreto del presidente del Consiglio dei ministri su proposta del ministro della funzione pubblica (DPCM), si potrebbero individuare dei procedimenti per i quali escludere la regola del silenzio assenso 3. nei casi di procedimenti che devono chiudersi attraverso un provvedimento espresso si parla quindi dei procedimenti che si devono chiudere attraverso un atto formale della PA (provvedimento espresso) perché lo esige la normativa comunitaria, cioè il diritto euro unitario: il diritto dell’unione europea pretende che l’amministrazione provveda espressamente → perciò il procedimento non si potrà concludere in modo silenzioso attraverso un silenzio significativo (né di accoglimento, né di diniego) Questa eccezione in realtà sarebbe implicita, perché il diritto dei paesi membri si deve adeguare al diritto dell’unione europea secondo il principio del primato del diritto dell’unione europea 4. nei casi di procedimenti amministrativi che hanno a che fare con interessi pubblici la regola del silenzio assenso non è valida per tutti gli atti o i procedimenti attraverso i quali l’amministrazione cura ben determinati interessi pubblici: interessi pubblici riguardanti la tutela paesaggistica e dei beni culturali, la tutela dell’ambiente, la tutela del rischio idrogeologico, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza , l'immigrazione, il diritto di asilo e la cittadinanza, la salute e la pubblica incolumità. Questo perché sono interessi pubblici sensibili/differenziati e perciò non si dovrebbe generare una situazione di rischio di questi interessi soltanto perché l’amministrazione non abbia a provvedere entro i termini previsti. Per esempio, in un procedimento dove si ha a che fare con la tutela della salute, l’amministrazione non puo non provvedere perché si ha a che fare con l’interesse pubblico della tutela della salute. Un altro esempio riguarda l’ambito urbanistico-edilizio: non è configurabile un rilascio per silenzio assenso del permesso di costruire quando si tratta di un’area a rischio idrogeologico o particolarmente rilevante sotto il profilo ambientale. In questi casi, quindi, la regola del silenzio assenso non vale a meno che il diritto non presenti l’eccezione dell’eccezione, ovvero in quei casi in cui, anche essendo in presenza di quei particolari interessi, vi è una norma che qualifichi quel silenzio come silenzio assenso. Inoltre, questi interessi pubblici differenziati/sensibili hanno un denominatore comune, in quanto si tratta di interessi pubblici che trovano evidenza in modo quasi esplicito già nel testo della Costituzione: ci sono norme costituzionali che impongono la tutela di quegli interessi → di conseguenza si tratta di materie che tendenzialmente esigono un trattamento normativo omogeneo su territorio nazionale o silenzio non significativo: silenzio-inadempimento Nei casi in cui l’amministrazione è inadempiente, ovvero che non ha adempiuto il suo obbligo di procedere e di provvedere (concludere il procedimento), e non trovi applicazione un silenzio significativo, ci si trova dinanzi a un silenzio-inadempimento: inerzia che dimostra che l’amministrazione non ha osservato il suo obbligo di procedere ai sensi dell’articolo 2 Il soggetto istante (privato) per tutelarsi contro il silenzio-inadempimento dell’amministrazione, quindi per ottenere una risposta/provvedimento dall’amministrazione, può intraprendere due vie di tutela: - via amministrativa di tutela del privato questa via di tutela è interna alla legge 241/90: →ARTICOLO 2 comma 9-ter: Decorso inutilmente il termine per la conclusione del procedimento o quello superiore di cui al comma 7, il privato può rivolgersi al responsabile di cui al comma 9-bis perché, entro un termine pari alla metà di quello originariamente previsto, concluda il procedimento attraverso le strutture competenti o con la nomina di un commissario Il comma 9-ter dell’articolo 2, sostiene che decorso inutilmente il corso del termine di conclusione del procedimento, nei casi di silenzio adempimento, il privato puo rivolgersi a un organo della PA titolare di un potere sostitutivo, che puo concludere il procedimento (adottare un provvedimento) che in via ordinaria non è stato concluso, entro un termine ulteriore pari alla metà del termine originariamente previsto. Infatti, ai sensi del comma 9-bis dell’articolo 2, in ogni amministrazione deve essere individuata una figura/organo titolare del potere sostitutivo in caso di inerzia di essa: comma 9-bis L'organo di governo individua, nell'ambito delle figure apicali dell'amministrazione, il soggetto cui attribuire il potere sostitutivo in caso di inerzia Nel caso in cui anche questo organo titolare del potere sostitutivo non dia seguito a queste ulteriori richiesti del privato, ci sono una serie di responsabilità che inducono l’organo a provvedere e a farlo entro i tempi prescritti. Queste responsabilità dipendono dal fatto che, quando il privato fa delle richieste all’amministrazione ed essa non provvede entro un certo termine, egli potrebbe subire un danno anche patrimoniale e l’amministrazione potrà essere chiamata anche a doverlo risarcire. Alla fine di questa via amministrativa non è detto che l’amministrazione alla fine provvederà, in quanto non è presente nessuno che assicuri che chi è titolare del potere sostitutivo concluda il procedimento - via giurisdizionale La tutela effettiva del privato avviene attraverso un soggetto terzo, ovvero un giudice amministrativo (colui che deve amministrare la giustizia): il privato dovrà dare mandato ad un avvocato che andrà a redigere un ricorso per contestare il silenzio-inadempimento dell’amministrazione. Il privato inoltre potrebbe intraprendere questa via subito dopo il silenzio-inadempimento o dopo aver provato la via di tutela amministrativa. Questa azione avverso il silenzio è contenuta nei commi 1-3 dell’articolo 31 del codice del processo amministrativo, approvato nel 2010 con decreto legislativo n°104 del 2010. Secondo questo articolo il privato chiederà al giudice di condannare l’amministrazione a provvedere, sebbene non possa chiedere però di provvedere accogliendo l’istanza, in quanto il potere giurisdizionale non puo invadere il potere esecutivo-amministrativo articolo 117 del codice del processo amministrativo 1. Il ricorso avverso il silenzio è proposto, anche senza previa diffida, con atto notificato all'amministrazione e ad almeno un controinteressato nel termine di cui all'articolo 31, comma 2. 2. Il ricorso è deciso con sentenza in forma semplificata e il giudice ordina all'amministrazione di provvedere entro un termine non superiore, di norma, a trenta giorni. 3. Il giudice nomina, ove occorra, un commissario ad acta con la sentenza con cui definisce il giudizio o successivamente su istanza della parte interessata… L’articolo 117, invece, del codice del processo amministrativo disciplina il ricorso avverso il silenzio, sostenendo che, quando il privato condannerà l’amministrazione a provvedere, il giudice amministrativo ordinerà all’amministrazione di provvedere di norma entro un termine breve di 30 giorni. In seguito, con la stessa sentenza con cui il giudice ordina all’amministrazione di provvedere, il giudice nomina un commissario ad acta, ovvero un organo straordinario dell’amministrazione che si sostituirà all’amministrazione in caso di sua ulteriore inerzia. Infine, quindi il privato otterrà il provvedimento richiesto, che sia di rigetto o di accoglimento dell’istanza. Differenza tra le due vie amministrative via giurisdizionale via amministrativa offre maggiori garanzie dal punto di potrebbe non portare vista dell’effettività all’adozione di un provvedimento se il procedimento è lungo garantisce tempi più brevi richiede tempi molto lunghi dal punto di vista temporale richiede un dispendio economico da il potere sostitutivo si puo costo parte del privato, in quanto bisogna chiedere di attivarlo rivolgersi ad un avvocato autonomamente Il legislatore per provate a risolvere il problema del silenzio inadempimento, per trovare un punto di equilibrio, ha introdotto i silenzi significativi, in quanto essi si contendono il campo: più ampio è il campo del silenzio assenso, meno saranno i casi in cui si porrà il problema di tutela contro il silenzio-inadempimento. CAPO III - PARTECIPAZIONE PROCEDIMENTALE (2) Il legislatore con la legge 241 del 1990, data per scontata la struttura del procedimento amministrativo, ha provato a introdurre dei meccanismi per agevolare la partecipazione dei privati interessati al procedimento amministrativo. Il procedimento amministrativo è una serie ordinata di attività e di atti posti in essere dalla PA per arrivare alla conclusione del procedimento adottando un provvedimento amministrativo o una decisione amministrativa. Questa serie di attività e di atti puo essere schematizzata in alcune fasi: 1. fase dell’iniziativa la fase dell’iniziativa è la fase in cui prende avvio il procedimento e il primo comma dell’articolo 2 afferma che un procedimento amministrativo puo iniziare su istanza di parte (quando è un soggetto diverso dall’amministrazione a presentare un’istanza) o d’ufficio (la PA da l’impulso per avviare il procedimento). 2. fase istruttoria fase in cui l’amministrazione istruisce la pratica, nel senso che si fa un’idea attraverso la raccolta di tutti gli elementi di fatto e di diritto utili ad assumere una decisione che sia consapevole, corrispondente alla realtà e giuridicamente corretta (conforme alla legge) 3. fase decisoria o costitutiva l’amministrazione dopo la fase istruttoria dovrebbe essere pronta a concludere il procedimento, ovvero ad adottare il provvedimento amministrativo, il quale puo avere esito favorevole o sfavorevole. Nel caso in cui l’istanza risulti essere conforme alla legge, l’amministrazione adotterà un provvedimento di rilascio dell’istanza; nel caso contrario invece, l’amministrazione adotterà un provvedimento di diniego/rigetto dell’istanza. 4. fase eventuale integrativa dell’efficacia in alcuni casi alla fase decisoria segue un’eventuale ulteriore fase, attraverso la quale l’amministrazione integra l’efficacia del provvedimento, nel senso che fa qualcosa affinché il provvedimento adottato nella fase decisoria sia capace di produrre i suoi effetti → efficacia qui intesa in senso giuridico, come efficacia di un provvedimento amministrativo di produrre i suoi effetti Esempi: un privato chiederà all’amministrazione il rilascio del permesso di costruire, perciò il procedimento l’amministrazione comunale nota che è stato inizia su istanza di parte, ed essa nella fase realizzato un abuso edilizio ed ha perciò il istruttoria verificherà che l’intervento che il privato dovere di avviare d’ufficio un procedimento vuole realizzare sia realizzabile perché conforme amministrativo volto a reprimere quell’abuso alla normativa urbanistica-edilizia. Se l’istruttoria edilizio. Avviato il procedimento, raccoglierà tutti ha indicato che quanto richiesto dal privato è gli elementi per arrivare alla decisione finale e realizzabile, l’amministrazione deciderà in senso adotterà un provvedimento con cui ordina al favorevole, adottato un provvedimento di rilascio privato la demolizione del manufatto abusivo. del permesso di costruire; se invece l’intervento Questa ordinanza in giunzione limita la sfera che il privato vuole realizzare non è conforme alle giuridica del destinatario e per questo, una volta normative, perciò l’amministrazione concludere il adottato il provvedimento, esso non sia ancora procedimento con un provvedimento di capace di produrre effetti giuridici, per dare la diniego/rigetto del permesso di costruire. In possibilità al privato di tutelarsi. In questo caso è questo caso il provvedimento di rilascio o di necessaria una fase integrativa dell’efficacia, diniego del permesso di costruire è già efficacie e che consiste nella notificazione del non è necessaria una fase integrativa provvedimento al suo destinatario. dell’efficacia. Il legislatore, attraverso la legge 241 del 1990, ha introdotto delle garanzie legislative di partecipazione procedimentale, garantendo trasversalmente (per tutti i tipi di procedimenti amministrativi) che i soggetti privati interessati da un certo procedimento possano partecipare ad esso: il legislatore vuole che il privato possa dialogare con la PA durante le diverse fasi del procedimento amministrativo. La partecipazione procedimentale è uno degli obiettivi della legge 241 del 1990, perché è nell’interesse della stessa PA dialogare con il privato, per la miglior cura dell’interesse pubblico in quanto l’amministrazione assume degli elementi conoscitivi che non aveva. Gli strumenti di partecipazione procedimentale sono: o presupposti/basi organizzativi: responsabile del procedimento Con questo obiettivo, il legislatore pone le basi, i presupposti organizzativi della partecipazione dettando delle regole di matrice organizzativa agli articoli 4, 5, 6 e 6-bis, ricondotti sotto il capo II sul responsabile del procedimento. Il legislatore, infatti, introdusse la figura organizzativa del responsabile del procedimento: ogni procedimento amministrativo deve avere all’interno dell’amministrazione una figura che sia responsabile di esso, ovvero che curi il procedimento dall’inizio fino alla conclusione, che rappresenti il soggetto al quale il privato interessato potrà rivolgersi per partecipare al procedimento, che ha la responsabilità di portare avanti il procedimento e i suoi adempimenti. Il responsabile del procedimento potrebbe non essere colui il quale adotterà la decisione finale, ma potrà fare una proposta di provvedimento e rappresenta un punto di riferimento per il privato interessato. o obbligo di comunicazione di avvio del procedimento ➔ ARTICOLO 7 comma 1 Ove non sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento, l’avvio del procedimento stesso è comunicato, con le modalità previste dall’articolo 8, ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per legge debbono intervenirvi. Nel capo terzo della legge, in particolare negli articoli 7-8, è posta una regola generale traversale, ovvero l’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento ai privati interessati, in modo tale da permettere la partecipazione al procedimento del privato interessato o di tutti quei soggetti che potrebbero veder modificata la loro sfera giuridica: comunicazione di avvio del procedimento. Quest’obbligo riguarda tutti i procedimenti, indipendentemente che si avviano d’ufficio o su istanza di parte e questo perché: - nel caso di procedimenti che si avviano d’ufficio, la funzione della comunicazione di avvio è quella di comunicare ai privati, che subiranno delle conseguenze, la decisione dell’amministrazione di avvio a un procedimento che li riguarda - nel caso di procedimenti che prendono avvio su istanza di parte, il soggetto che ha presentato l’istanza e la PA sono gli unici soggetti a conoscenza dell’avvio del procedimento, ma potrebbero esserci soggetti terzi controinteressati, cioè avere anch’essi un interesse ma contrari a colui il quale ha presentato l’istanza, che hanno il bisogno di essere a conoscenza Infatti, i rapporti giuridico-amministrativi spesso non si esauriscono in una dimensione bilaterali (amministrazione e singolo privato), ma sono multipolari (più poli di riferimento). - nei procedimenti su istanza di parte, è nell’interesse stesso del soggetto istante la comunicazione di avvio del procedimento in quanto, nonostante abbia presentato l’istanza, il soggetto non è consapevole di elementi per poter partecipare al procedimento amministrativo quindi la comunicazione si avvio del procedimento serve a dire a tutti i soggetti interessati, non solo che ha preso avvio il procedimento, ma serve anche a dare delle informazioni utili per la partecipazione al procedimento. ➔ ARTICOLO 8 comma 1 L'amministrazione provvede a dare notizia dell'avvio del procedimento mediante comunicazione personale Nell’articolo 8 è disciplinato come la PA deve comunicare l’avvio di un procedimento amministrativo ai soggetti interessati e afferma che la comunicazione di avvio deve essere una comunicazione personale, cioè a persona. Ci potrebbero però essere dei casi in cui questa comunicazione a persona risulti per l’amministrazione particolarmente gravosa, per esempio se un procedimento dovesse essere comunicato a molti destinatari diventa complicato. Infatti, la legge 241 del 1990 afferma che, quando la comunicazione personale è particolarmente complicata, questa puo essere sostituita da altre forme di pubblicità/ comunicazione, lasciate a discrezione dell’amministrazione. Questo capita spesso in ambito urbanistico-edilizio. comma 2 Nella comunicazione debbono essere indicati: a) l’amministrazione competente; b) l’oggetto del procedimento promosso; c) l’ufficio e la persona responsabile del procedimento; c-bis) la data entro la quale, secondo i termini previsti dall'articolo 2, commi 2 o 3, deve concludersi il procedimento e i rimedi esperibili in caso di inerzia dell'amministrazione; c-ter) nei procedimenti ad iniziativa di parte, la data di presentazione della relativa istanza; d) l’ufficio in cui si può prendere visione degli atti. A tal riguardo l’articolo 8 sostiene che nella comunicazione d’avvio deve essere indicata l’autorità amministrativa competente (PA che sta procedendo), l’oggetto del procedimento, il nome del responsabile del procedimento, il termine entro cui l’amministrazione concluderà il procedimento (fissato ai sensi dell’articolo 2), modalità per l’accesso al fascicolo informativo del procedimento, modalità attraverso le quali le parti interessate potranno prendere visione dei documenti del procedimento. o diritto di prendere visione degli atti del procedimento ➔ ARTICOLO 10 I soggetti di cui all'articolo 7 e quelli intervenuti ai sensi dell'articolo 9 hanno diritto: a) di prendere visione degli atti del procedimento, salvo quanto previsto dall'articolo 24; b) di presentare memorie scritte e documenti, che l'amministrazione ha l'obbligo di valutare ove siano pertinenti all'oggetto del procedimento. L’articolo 10a introduce la tipica modalità con la quale il privato può esercitare il suo diritto alla voce nel procedimento amministrativo. Affinché il privato si faccia un’idea precisa degli atti del procedimento al quale vuole partecipare, è garantito al privato il diritto alla visione degli atti del procedimento: il legislatore si preoccupa di introdurre questo diritto in modo strumentale per esercitare in modo consapevole il diritto alla voce. Viene riconosciuto perciò il diritto di accesso endoprocedimentale, ovvero il diritto di accesso (di prendere visione o estrarre copie) ai documenti amministrativi che puo essere esercitato all’interno del procedimento amministrativo dai soggetti interessati. o diritto di presentare memorie scritte Inoltre, il privato può depositare memorie scritte, eventualmente accompagnate da documenti che ritiene essere utili per rafforzare il proprio punto di vista, ai sensi dell’articolo 10 della legge 241 del 1990: nella disciplina italiana del procedimento amministrativo, la partecipazione dei privati ad esso è una partecipazione eminentemente scritta, dal momento che è documentata → se il privato perciò deve comunicare all’amministrazione i motivi per accogliere o rigettare l’istanza (con una consistenza giuridica) non deve farlo verbalmente e di questi l’amministrazione dovrà darne conto nella motivazione del provvedimento amministrativo ai sensi dell’articolo 3. o comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza ➔ ARTICOLO 10-BIS Nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l'autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all'accoglimento della domanda. Entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti. Con legge n°15 del 2005, il legislatore ha integrato il capo terzo della legge 241 del 1990, introducendo ex novo l’articolo 10-bis e con esso ha introdotto un nuovo ulteriore strumento di partecipazione procedimentale. Questo articolo introduce un altro strumento di partecipazione procedimentale, ovvero l’obbligo di comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, cioè dei motivi in ragione dei quali l’istanza non potrà essere accolta. Questa comunicazione è attutata dall’amministrazione tra la fase istruttoria e quella decisoria, ovvero quando l’amministrazione si è fatta l’idea, non ancora concretizzata in una decisone, che l’istanza del privato vada rigettata. Questo strumento si colloca sicuramente dopo la fase istruttoria, in quanto attraverso questo istituto l’amministrazione comunica al privato che è orientata nel senso di rigettare l’istanza presentata dal privato: l’amministrazione non ha ancora assunto la sua decisione, ma sta comunicando, a colui il quale ha presentato l’istanza, che l’esito del procedimento sarà quasi inevitabilmente quello (di rigettare l’istanza) → quando all’esito della fase istruttoria nei procedimenti su istanza di parte, l’amministrazione ritenga che non ci siano i presupposti di legge per riconoscere al privato ciò che chiede, prima di adottare un provvedimento di rigetto, di diniego (provvedimento negativo) dell’istanza deve preavvisare il privato. Perciò questo strumento di partecipazione procedimentale viene anche denominato preavviso di rigetto. Ma ciò non è del tutto corretto in quanto potrebbe servire al privato per evitare di arrivare proprio al rigetto dell’istanza: questa comunicazione non è fine a se stessa, ma è funzionale/strumentale all’apertura di una nuova breve fase, all’interno del procedimento, volta a rinnovare il dialogo tra l’amministrazione e il privato, cioè a dare al privato, prima che l’amministrazione decida, un’occasione per dialogare con essa in modo preciso/puntuale su quelli che l’amministrazione ritiene essere i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza. A questo fine il legislatore, dopo la comunicazione dei motivi ostativi (nei successivi 10 giorni), ha previsto che il privato (colui che ha presentato l’istanza) potrà presentare all’amministrazione osservazioni scritte che, punto per punto, provino a neutralizzare i motivi ostativi indicati da essa. Questo strumento di partecipazione è stato introdotto per l’interesse: - del privato il privato risparmia tempo, risorse ed energie - dell’amministrazione il preavviso di rigetto è stato introdotto nell’interesse dell’amministrazione dal momento che potrebbe risultare che l’amministrazione ha sbagliato qualcosa nell’istruttoria e perciò avrebbe la possibilità di cambiare direzione → il privato puo versare nel procedimento elementi di fatto, di diritto, conoscitivi che l’amministrazione non ha o che farebbe più fatica a reperire rispetto al privato - della migliore amministrazione della giustizia il preavviso di rigetto è stato introdotto anche nell’interesse della migliore amministrazione della giustizia, soprattutto perché l’articolo 10-bis dovrebbe avere un effetto deflattivo (volto a ridurre) il contenzioso tra l’amministrazione e il privato, perché l’eventuale conflittualità tra i due punti di vista diversi dovrebbe manifestarsi ed esaurirsi all’interno del procedimento, non dopo la sua conclusione: prima del 2005, all’esito dell’istruttoria, se l’amministrazione riteneva di dover rigettare l’istanza, non aveva alcun obbligo di preannunciare il rigetto dell’istanza al privato e quindi adottava il provvedimento di rigetto → se il privato riteneva che il provvedimento di rigetto fosse sbagliato, era costretto a spostare quella conflittualità sul piano giurisdizionale, presentando un ricorso al giudice amministrativo per chiedere l’annullamento del provvedimento viziato. Perciò questo strumento potrebbe generare benefici nell’interesse della migliore amministrazione della giustizia perché in tal modo si evita di caricare l’amministrazione con ricorsi inutili, conflitti giurisdizionali che si possono risolvere nel procedimento, prima ancora che l’amministrazione arrivi alla decisione sbagliata. L’amministrazione, valutate le eventuali osservazioni presentate dal privato nei 10 giorni dal ricevimento della comunicazione dei motivi ostativi, potrà rivalutare che a. il privato ha neutralizzato uno o più motivi che essa stessa aveva ritenuto essere un ostacolo all’accoglimento dell’istanza perciò l’amministrazione, nonostante abbia comunicato il preavviso di rigetto, dovrebbe adottare un provvedimento di accoglimento dell’istanza b. i motivi ostativi restano in questo caso l’amministrazione adotterà un provvedimento di diniego/rigetto dell’istanza e il privato potrebbe comunque presentare ricorso dinanzi a un giudice amministrativo, per contestare la legittimità del provvedimento dell’amministrazione: possibilità di tutelarsi anche al di fuori del procedimento amministrativo. In un caso o nell’altro, ai sensi dell’articolo 3 della legge 241 del 1990, l’amministrazione dovrà motivare il provvedimento che adotterà e anche in ordine alle eventuali osservazioni che il privato abbia versato nel procedimento in quei 10 giorni. Questo perché molti rapporti giuridico-amministrativi sono rapporti multipolari, che incidono la sfera giuridica del destinatario del provvedimento, ma con ciò potrebbero determinare (anche solo per riflesso) una qualche conseguenza giuridica anche nella sfera giuridica di soggetti terzi (soggetti terzi controinteressati). La comunicazione di cui al primo periodo sospende i termini di conclusione dei procedimenti, che ricominciano a decorrere dieci giorni dopo la presentazione delle osservazioni o, in mancanza delle stesse, dalla scadenza del termine di cui al secondo period o. Dal momento che l’amministrazione deve concludere il procedimento entro il termine individuato ai sensi dell’articolo 2, ma il privato ha a disposizione 10 giorni per presentare le sue osservazioni e il tempo totale potrebbe andare oltre il termine individuato dall’articolo 2, l’articolo 10-bis sostiene che, quando l’amministrazione comunichi i motivi ostativi, questa comunicazione ha un effetto sospensivo del termine di conclusione del procedimento. Ma questo effetto varia a seconda dei casi: a. caso in cui il privato non partecipi Il termine di conclusione del procedimento resta congelato e poi riprenderà a decorrere quando, trascorsi i 10 giorni previsti a favore del privato, il privato non partecipa, non aggiunge osservazioni. Ciò perché non è stato aggiunto niente e l’amministrazione non deve valutare nulla in più → esempio: se, con un termine di 30 giorni del procedimento, l’amministrazione comunica il preavviso di rigetto al 28esimo e decorrono 10 giorni senza che il privato comunichi le sue osservazioni, allora l’amministrazione avrà solo due giorni per concludere il procedimento. b. caso in cui il privato partecipa nel caso in cui invece il privato partecipi, i giorni restanti del procedimento, in seguito ai 10 che ha a disposizione il privato, non basterebbero in quanto l’amministrazione dovrebbe valutare ulteriori documenti. Infatti, l’articolo 10-bis modula gli effetti della sospensione del termine, assegnando all’amministrazione ulteriori 10 giorni per valutare le osservazioni presentate. Prima del 2020, ovvero quando sono state apportate modifiche all’articolo 10 -bis, l’articolo recitava che il termine riprendeva a decorrere non dal momento in cui era rimasto interrotto, ma dall’inizio. Però molte amministrazioni per guadagnare tempo, indipendentemente dalla sussistenza dei motivi ostativi, avvicinandosi il termine di conclusione del procedimento, notificavano la comunicazione di motivi ostativi per riazzerare il tempo trascorso. ➔ ARTICOLO 13 Le disposizioni contenute nel presente capo non si applicano nei confronti dell'attività della pubblica amministrazione diretta alla emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione. Il capo terzo sulla partecipazione al procedimento amministrativo si chiude con le disposizioni previste dall’articolo 13, il quale sostiene che le norme sulla partecipazione contenute sulla legge 241 del 1990 non trovano applicazione in certi procedimenti amministrativi: la disciplina generale sulla partecipazione non trova applicazione in quei procedimenti amministrativi volti a adottare (che si concludono con) degli atti normativi o amministrativi generali, cioè atti amministrativi che hanno più natura normativa che amministrativa in quanto sono volti a porre in essere delle regole. Questo articolo non afferma che non si partecipi a questi procedimenti, ma invece che la partecipazione non segue le regole del capo III della legge 241 del 1990, in quanto ha regole proprie, dettate dalla disciplina di settore, volte ad agevolare la partecipazione in questi procedimenti. GLI ACCORDI AMMINISTRATIVI (3) All’interno del capo III, si trova anche una norma che prova a far radicare anche nell’ordinamento italiano un principio dell’azione amministrativa, a porre le basi per un’altra colonna della disciplina del procedimento amministrativo: principio della consensualità dell’azione amministrativa. Uno dei pilastri della proposta della sottocommissione Nigro era l’idea che l’azione amministrativa non dovesse essere necessariamente un’azione unilaterale, ma che potesse assumere le forme della consensualità: l’amministrazione puo arrivare a concludere un procedimento non necessariamente in via unilaterale, imperativa (imponendo al privato una decisione) cioè attraverso un provvedimento amministrativo, ma anche in modo concordato, consensuale, ovvero concludendo il procedimento attraverso un accordo amministrativo =atto bilaterale frutto dell’incontro tra la volontà dell’amministrazione e del privato. Per esempio, un’amministrazione che era interessata a espropriare un’area per realizzare un’opera pubblica, prima ancora che ciò accadesse, raggiungeva un accordo con il privato: l’amministrazione raggiungeva il suo obiettivo e il privato riceveva qualcosa in cambio → l’articolo 42 della Costituzione prevede che la proprietà privata potesse essere espropriata, salva la corresponsione di un indennizzo, ovvero una compensazione monetaria del pregiudizio subito dal privato che tendenzialmente si avvicina al valore economico del danno espropriato articolo 42 Costituzione: La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale Quindi in alcuni settori speciali dell’amministrazione (settore dell’urbanistica e edilizia, delle opere pubbliche), ancora prima della legge 241 del 1990, l’amministrazione stipulava con il privato accordi amministrativi. Con questa legge però nel 2005, questa idea che l’amministrazione possa raggiungere lo stesso obiettivo ma individuando un punto di incontro viene generalizzata: l’amministrazione anziché provvedere in via unilaterale (adottare un provvedimento amministrativo) con il privato, puo accordarsi con esso (adottare un accordo amministrativo). Nonostante l’amministrazione possa raggiungere lo stesso risultato giuridico unilateralmente, si accorda con il privato e questo per ridurre il conflitto tra le due parte e per ridurre la possibilità che il privato faccia ricorso al giudice amministrativo. Esempio: se l’amministrazione adotta il provvedimento di esproprio, senza raggiungere un punto di incontro con il privato, il privato potrebbe impugnare quel procedimento dinanzi al giudice amministrativo → conflittualità sul piano giurisdizionale: dispendio di risorse, tempo Ma dal punto di vista della operazione amministrativa e della cura dell’interesse pubblico non è la stessa cosa, perché si arriva al risultato dopo anni di contenzioso con il privato. Talvolta attraverso l’accordo l’amministrazione potrebbe perseguire meglio l’interesse pubblico, ispirandosi inoltre a quei criteri che devono ispirare la sua azione (previsti dall’articolo 1): l’accordo amministrativo ha delle potenzialità che si muovono sul piano del buon andamento dell’amministrazione, dell’efficienza e dell’efficacia (in senso economico) dell’azione amministrativa. ➔ ARTICOLO 11 comma 1: In accoglimento di osservazioni e proposte presentate a norma dell'articolo 10, l'amministrazione procedente può concludere, senza pregiudizio dei diritti dei terzi, e in ogni caso nel perseguimento del pubblico interesse, accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero in sostituzione di questo. L’articolo 11 disciplina gli accordi amministrativi e si trova nel pieno del capo III dedicato alla partecipazione procedimentale, il che è significativo perché l’accordo amministrativo (punto di incontro tra la manifestazione di volontà dell’amministrazione e del privato) potrebbe essere il frutto della partecipazione al procedimento amministrativo: ciò perché gli strumenti di partecipazione procedimentale servono a far dialogare l’amministrazione e il privato e il dialogo potrebbe essere così proficuo da sfociare in una decisione concordata L’articolo, infatti, si apre sostenendo che, in accoglimento delle osservazioni presentate ai sensi dell’articolo 10, l’amministrazione e il privato possono stipulare un accordo: l’accordo amministrativo è perciò un possibile esito della partecipazione procedimentale. L’amministrazione, perciò, si renderà conto che la miglior cura dell’interesse pubblico sarà raggiungibile attraverso l’accordo amministrativo, il quale non necessariamente nasce dal procedimento amministrativo: talvolta l’amministrazione e il privato potrebbero accordarsi per non far nascere un procedimento amministrativo (al di fuori). L’accordo amministrativo, infatti, rappresenta o può rappresentare una modalità alternativa di conclusione del procedimento amministrativo: l’amministrazione anziché concludere il procedimento con un provvedimento amministrativo (=atto unilaterale capace di modificare la sfera giuridica del suo destinatario), potrebbe concluderlo con un accordo amministrativo (=atto bilaterale, di tipo consensuale). L’accordo potrebbe non essere un atto bilaterale, ma un atto invece plurilaterale, un atto cioè in cui le parti dell’accordo potrebbero essere più di due, tendenzialmente tra più PA: si tratterebbe di un accordo bi- plurilaterale (potrebbe essere bilaterale o plurilaterale). Ci troviamo perciò in un contesto in cui non c’è autoritatività e unilateralità per le quali l’amministrazione decide da sola, ma c’è invece consensualità, il quale è uno dei principi particolarmente innovativi introdotto dalla legge 241 del 1990. In generale quindi un procedimento amministrativo potrebbe concludersi con un provvedimento amministrativo, con un accordo amministrativo o con un silenzio (sempre che sia significativo) di accoglimento o di rigetto dell’istanza. Ci sono alcune leggi regionali che rinviano all’articolo 11 della legge 241 del 1990: infatti, in alcune leggi urbanistiche regionali, le previsioni del piano (urbanistico) ordinariamente trovano applicazione/attuazione attraverso la via consensuale, perciò, l’amministrazione e il privato devono stipulare un accordo amministrativo. In particolare, l’articolo 38 della legge regionale 24 del 2017 dell’Emilia-Romagna in materia del territorio, ovvero l’articolo denominato accordi operativi, sostiene che le previsioni del piano urbanistico generale (PUG) si attuano di norma (preferibilmente) attraverso accordi operativi tra PA comunale e il privato interessato. Perciò gli accordi amministrativi possono essere di due specie: 1. accordi integrativi =accordi per determinare il contenuto discrezionale del provvedimento, cioè per decidere quale contenuto dare al provvedimento in questo caso l’accordo non sostituisce il provvedimento finale dell’amministrazione, quindi non è una modalità alternativa di conclusione del procedimento, il quale in questo caso si concluderà con un provvedimento il cui contenuto sarà stato deciso da un accordo (che precede il provvedimento) tra l’amministrazione e il privato 2. accordi sostitutivi =accordi in sostituzione del provvedimento in questo caso invece l’accordo sostituisce il provvedimento amministrativo: perciò il procedimento amministrativo anziché concludersi con un provvedimento, si concluderà con un accordo (che determinerà gli stessi effetti di quello che sarebbe stato il provvedimento) tra l’amministrazione e il privato Entrambe le specie sono assoggettate a un certo regime giuridico, ovvero un insieme di regole giuridiche che disciplinano gli accordi amministrativi o regime giuridico degli accordi amministrativi Nell’articolo 11 dal comma 2 al 4-bis troviamo il regime/trattamento giuridico degli accordi amministrativi: quali sono le regole a cui questi accordi amministrativi restano assoggettati comma 2 Gli accordi di cui al presente articolo debbono essere stipulati, a pena di nullità, per atto scritto, salvo che la legge disponga altrimenti. Ad essi si applicano, ove non diversamente previsto, i princìpi del Codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili. Gli accordi di cui al presente articolo devono essere motivati ai sensi dell’articolo 3. Le regole principali del trattamento giuridico degli accordi amministrativi sono: - regola generale La prima regola la ritroviamo nell'articolo 11 della legge 241 del 1990 ed è la norma generale/madre degli accordi amministrativi, in quanto detta in modo più o meno diretto alcune regole che disciplinano gli accordi tra amministrazione e privata. Questa regola è che l’accordo amministrativo deve necessariamente essere stipulato per iscritto, a pena di nullità (ab substantiam), cioè a pena di incapacità di quell’accordo di produrre un qualsiasi effetto giuridico. Infatti, se l’amministrazione e il privato dovessero stipulare un accordo verbalmente sarebbe come se non l’avessero mai concluso - obbligo di motivazione degli accordi Un’altra regola (strutturale) che ritroviamo nel comma 2 dell’articolo 11 è riferita al fatto che nel testo dell’accordo, che l’amministrazione stipula con il privato, devono essere indicati i motivi per cui l’amministrazione ritiene che sia più utile stipulare un accordo anziché adottare un provvedimento unilateralmente. Devono perciò essere illustrate le ragioni che hanno condotto l’amministrazione a scegliere la via del consenso rispetto alla via dell’unilateralità, in quanto l’amministrazione deve illustrare come attraverso quell’accordo sta perseguendo l’interesse pubblico che ha in cura → si ricollega al principio di legalità In realtà, l’amministrazione ha sempre quest’obbligo di motivazione dal momento che è scritto nell’articolo 3 della legge 241 del 1990, in base al quale l’amministrazione deve sempre illustrare le risultanze dell’istruttoria, ovvero illustrare quali sono le ragioni di fatto e di diritto che l’hanno condotta ad assumere quella decisione. Il legislatore ha sottolineato questo aspetto con la legge 190 del 2012, ovvero la legge Severino (allora ministro della giustizia), detta anche legge anticorruzione: è una legge approvata dal legislatore, in un particolare momento politico dell’Italia (governo monti), per cercare di ridurre/neutralizzare fenomeni corruttivi all’intero della PA. In questo momento politico aggiunge al comma 2 dell’articolo 11 della legge 241 del 1990 anche l’obbligo di motivazione degli accordi: sintomo legislativo della diffidenza (recente) nei confronti degli accordi amministrativi. - filtri di compatibilità Il legislatore inoltre afferma che agli accordi amministrativi tra amministrazione e privato si applicano i principi/regole generali del Codice civile (libro quarto), ovvero le stesse regole generale che si applicano ai contratti tra privati, in materia di obbligazioni e contratti in quanto questi principi sono compatibili con gli accordi amministrativi: non individua punto per punto le regole giuridiche da applicare, ma rinvia ad una disciplina esterna alla legge 241 del 1990 → perciò studiate tutte le regole dei contratti tra privati, bisogna comprendere quali sono compatibili con gli accordi amministrativi - principio della forza di legge dei contratti Tra i diversi principi generali in materia contrattuale che si potrebbero desumere dal Codice civile, si trova il principio fondamentale della disciplina contrattuale: principio della forza di legge dei contratti, ovvero il principio della vincolatività del contratto, esplicitato nell’articolo 1372 del Codice civile. Infatti, quando si stipula un contratto ci si assume vari obblighi nei confronti dell’altra parte. Questo principio afferma che il contratto ha forza di legge tra le parti, cioè, vincola le parti al contenuto del contratto stesso (le parti devono osservare il contenuto del contratto): il contratto va osservato al pari di come va osservata una legge, deve essere considerato dalle parti stesse come se fosse una legge. Se le parti del contratto fossero libere di non osservare, infatti, saremo dinanzi a un altro oggetto, non più un contratto, in quanto esso è tale perché fa nascere un rapporto giuridico in modo vincolante. Questo principio, perciò, vale anche per gli accordi amministrativi: gli accordi amministrativi hanno forza di legge tra le parti. Quindi l’amministrazione pubblica e il privato che stipulano l’accordo si stanno vincolando a certi obblighi. - regola dell’irrilevanza dei motivi Anche questo principio cardine, in materia di accordi amministrativi deve trovare un certo adattamento, perché l’amministrazione e il privato si muovono su due piani tra loro profondamente diversi e l’accordo amministrativo è strumento ambiguo di amministrazione in quanto rappresenta un punto di incontro tra due piani diversi, ovvero il piano dell’agire dei privati e il piano dell’agire delle PA e ciò porta delle conseguenze su quel necessario adattamento del principio di forza di legge dell’accordo. Il privato si muove sul piano dell’autonomia privata: quando stipula accordi si muove sul piano dell’autonomia negoziale, il quale è caratterizzato dal fatto che il privato può muoversi autonomamente, liberamente e che possa farlo senza dover indicare i motivi del suo agire: si muove su piano di irrilevanza dei motivi del suo agire, i suoi motivi sono irrilevanti → l’unico perimetro che ha il privato è quello di muoversi entro ciò che è lecito fare, per non invadere l’autonomia e la libertà (sfera giuridica) altrui → al privato non interessa l’interesse pubblico perseguito dall’amministrazione Invece la PA non è autonoma, ma è sempre vincolata, infatti il suo agire è sempre funzionalizzato al perseguimento dell’interesse pubblico e per questo per l’amministrazione è fondamentale sottolineare i motivi del suo agire, dal momento che giustificano l’esistenza stessa dell’amministrazione. In realtà l’obbligo di motivazione dell’amministrazione è scontato, per la sua particolare natura. Perciò la regola dell’irrilevanza dei motivi vale per l’amministrazione ma non per i privati comma 3 Gli accordi sostitutivi di provvedimenti sono soggetti ai medesimi controlli previsti per questi ultimi. - controllo Eventuali controlli che avrebbero dovuto avere ad oggetto il provvedimento amministrativo devono spostarsi sull’accordo comma 4 Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse l’amministrazione recede unilateralmente dall’accordo, salvo l’obbligo di provvedere alla liquidazione di un indennizzo in relazione agli eventuali pregiudizi verificatisi in danno del privato. - obbligo di indennizzo (in seguito a un potere di recesso unilaterale) Il comma 4 afferma che, per sopravvenuti motivi di pubblico interesse (se dovessero sopraggiungere nuovi motivi di pubblico interesse), dopo la stipulazione dell’accordo con il privato, l’amministrazione deve potersi liberare dall’accordo stipulato con il privato e deve farlo per curare al meglio l’interesse pubblico: l’amministrazione recede unilateralmente dall’accordo → l’accordo amministrativo deve potersi adattare alla realtà amministrativa, a ciò che cambia nell’interesse pubblico Ma il mutamento dell’interesse pubblico potrebbe comportare delle conseguenze per il privato: la recessione dell’amministrazione dall’accordo potrebbe determinare un pregiudizio economico. Quando l’amministrazione recede unilateralmente dall’accordo con il privato è chiamata a indennizzare il privato e l’indennizzo è appunto volto a ricoprire i pregiudizi economici subiti da quella parte: questo pregiudizio economico deve essere coperto dall’amministrazione attraverso la liquidazione, corresponsione di una somma di denaro a titolo di indennizzo che vada a coprire il solo danno emergente. Rispetto al pregiudizio economico complessivo subito dal privato, il privato si puo lamentare rispetto a due voci del danno: danno emergente, ovvero la lesione economica diretta lucro cessante, ovvero la lesione economica indiretta: il privato è messo nelle condizioni di non poter più produrre profitto a causa di un certo reddito esempio: nel caso di un sinistro stradale, il danno emergente è il danno che subisce l’auto; ma se l’auto fosse utilizzata per ragioni professionali e quindi il privato a causa del sinistro non fosse in grado di svolgere la sua attività professionale, per un certo periodo non potrebbe produrre lucro Perciò l’indennizzo previsto dall’articolo 11 copre soltanto il danno emergente: il privato non potrà lamentarsi del mancato profitto o accordi amministrativi fra pubbliche amministrazioni → ARTICOLO 15: a. Anche al di fuori delle ipotesi previste dall’articolo 14, le amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune. b. Per detti accordi si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni previste dall’articolo 11, commi 2 e 3 2-bis. A fare data dal 30 giugno 2014 gli accordi di cui al comma 1 sono sottoscritti con firma digitale Gli accordi amministrativi proposti e introdotti dalla sottocommissione Nigro sono anche accordi tra soli soggetti pubblici, tra sole PA. Infatti, la legge 241 del 1990 aveva tra gli obbiettivi quello di ridurre la frammentazione tra le tante PA italiane Capo IV - SEMPLIFICAZIONE DELL'AZIONE AMMINISTRATIVA (4) Con il fine di ridurre la frammentazione tra le tante PA italiane e di semplificare l’azione amministrativa, il legislatore introdusse: - la conferenza dei servizi (articolo 14) è un istituto di semplificazione dell’attività della PA che prevede che, quando un unico affare amministrativo coinvolga più PA, queste debbano sedersi nella conferenza dei servizi, ci deve essere una rappresentazione unitaria (non frammentata) - un’apposita disposizione l’articolo 15 al capo IV della legge 241 del 1990. Il capo IV è dedicato alla semplificazione amministrativa, la quale si semplifica riunendo le amministrazioni attorno alla conferenza dei servizi o prevedendo in via generale che due o più PA possano sempre stipulare tra loro accordi amministrativi per lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune. Per indicare inoltre il regime giuridico degli accordi amministrativi tra PA, l’articolo 15 rinvia ai commi 2 e 3 dell’articolo 11: a questi accordi tra sole PA si applicano, se compatibili, le norme previste dall’articolo 11 (rinvio interno). L’articolo 15 in realtà aggiunge anche una norma ad hoc sulla forma degli accordi tra PA: questi accordi devono essere stipulati per iscritto e sottoscritti a pena di nullità secondo una forma qualificata. Questi accordi devono essere sottoscritti con firma digitale: se un accordo non presenta una firma digitale, è nullo. - segnalazione certificata di inizio attività o segnalazione certificata di inizio attività ➔ ARTICOLO 19 comma 1 Ogni atto di autorizzazione, il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, è sostituito da una segnalazione dell’interessato, con la sola esclusione dei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all'immigrazione, all'asilo, alla cittadinanza, all'amministrazione della giustizia, all'amministrazione delle finanze. L’attività delle PA è un’attività procedimentalizzata, nel senso che la decisione amministrativa chiude un procedimento amministrativo. Con l’obbiettivo di semplificare l’attività della PA e dei privati e per risolvere il problema dell’inerzia delle PA, il legislatore ha introdotto, prima in modo settoriale e poi in modo generale con la legge 241 del 1990, un particolare istituto di semplificazione, chiamato SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività). Questo istituto è disciplinato dall’articolo 19 della legge 241 del 1990 e inizialmente prendeva il nome di Denunzia o Dichiarazione di Inizio Attività (DIA). Il comma 1 dell’articolo 19 afferma che ogni autorizzazione amministrativa, cioè ogni provvedimento (elencati nell’articolo) amministrativo che autorizza il privato a svolgere una qualche sua attività, comunque esso sia denominato (a prescindere da come venga denominato nei vari settori dell’amministrazione), è sostituita da una segnalazione del privato: il privato non è più soggetto istante (non presenta più l’istanza), ma diventa soggetto segnalante (presenta una segnalazione). È perciò un istituto volto a far sì che il provato che intenda esercitare un’attività, assoggettata a un controllo amministrativo, anziché iniziare l’attività dopo aver chiesto l’autorizzazione all’amministrazione, possa intraprendere sin da subito l’attività segnalando soltanto l’inizio dell’attività → questa non è una forma di liberalizzazione dell’attività, infatti si tratta sempre di un’attività privata assoggettata a un controllo amministrativo, cambia solamente la modalità del controllo amministrativo: non è più a monte, a priori/ex ante, ma a valle, a posteriori/ex post, ovvero quando il privato potenzialmente ha già iniziato l’attività → è un meccanismo sostitutivo, nel senso che ogni autorizzazione amministrazione è sostituita da una segnalazione del privato, e una semplificazione per il privato che non deve più aspettare l’autorizzazione da parte dell’amministrazione Ma non proprio ogni autorizzazione amministrativa è sostituta da una segnalazione: se davvero ogni atto di autorizzazione comunque denominato venga sostituito da una segnalazione di inizio attività, allora nel nostro ordinamento non esisterebbero più provvedimento autorizzatori, ma invece esistono. Infatti, l’articolo afferma anche che l’atto di autorizzazione viene sostituito da una segnalazione quando questo abbia natura vincolata, ovvero quando il rilascio di tale da parte dell’amministrazione dipenda esclusivamente dall’accertamento da parte dell’amministrazione di requisiti soggettivi e oggettivi indicati direttamente dal legislatore, dalla legge. La SCIA, inoltre, non opera quando sussistono vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all'immigrazione, all'asilo, alla cittadinanza, all'amministrazione della giustizia, all'amministrazione delle finanze, ovvero quando l’attività del privato può arrecare un qualche pregiudizio agli interessi pubblici sensibili. Perciò quando l’atto di autorizzazione ha natura vincolata e non tocca interessi sensibili, puo essere sostituito dalla SCIA e quando ci si trova nell’ambito di applicazione della scia, il potere autorizzatorio della PA non esiste più, in quanto puo trovare applicazione soltanto uno dei due: il privato che vuole svolgere un’attività per la quale il legislatore preveda la SCIA, non puo a sua discrezione chiedere all’amministrazione l’autorizzazione o presentare la SCIA → non c’è alternatività (il privato non puo scegliere) La segnalazione è corredata dalle dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell'atto di notorietà per quanto riguarda tutti gli stati, le qualità personali e i fatti previsti dal testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, nonché, ove espressamente previsto dalla normativa vigente, dalle attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati Il primo comma dell’articolo 19, prevede che a questa segnalazione vengano allegate tutte quelle dichiarazioni sostitutive di certificazioni e di atti di notorietà, che servono al privato per attestare/autocertificare quei requisiti richiesti dalla legge per svolgere quell’attività e tutte quelle attestazioni e asseverazioni, richieste dalla disciplina di settore, che spesso vengono redatte da tecnici abilitati: il privato dovrà rivolgersi a un tecnico per predisporre la SCIA e tutte quelle asseverazioni che vanno ad autocertificare che quanto egli stia per realizzare sia conforme alla legge. Di regola, inoltre, dall’istante successivo alla presentazione della SCIA all’amministrazione, il privato segnalante è legittimato (non obbligato) ex lege a intraprendere l’attività segnalata, sebbene ci siano alcune eccezioni comma 3 L'amministrazione competente, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di cui al comma 1, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione di cui al medesimo comma, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa. L’articolo 19 al terzo comma, prevede che l’amministrazione, che riceve la SCIA, può esercitare il suo potere di controllo entro il termine di 60 giorni dalla presentazione della segnalazione: essa dovrà accertare che quanto dichiarato dal privato sia veritiero e che quanto stia realizzando sia conforme alla legge (a quei requisiti oggettivi e soggettivi che il privato ha dichiarato avere attraverso la segnalazione). Da questo momento, potrebbero presentarsi varie di ipotesi, in base agli esiti dei controlli: attuate le verifiche e i controlli entro 60 giorni a. l’amministrazione accerta che l’attività del privato risulta conforme alla legge L’amministrazione in questo caso non dovrà fare nulla, in quanto la segnalazione non è un’istanza sulla quale l’amministrazione deve provvedere (non dovrà adottare un provvedimento): il privato può intraprendere la sua attività. b. l’amministrazione verifica che l’attività del privato è contra lege L’amministrazione, nel caso in cui il privato abbia già intrapreso l’attività, sarà chiamata a esercitare i suoi poteri: il comma 3 dell’articolo 19 sostiene che l’amministrazione adotterà in questi casi un provvedimento di divieto di prosecuzione dell’attività, con cui l’amministrazione ordina al privato di interrompere l’attività, perché contraria alla legge. c. l’amministrazione verifica che l’attività del privato è contra lege il provvedimento di divieto in alcuni casi viene indicato come provvedimento inibitorio, ovvero che inibisce l’attività: nel caso in cui il privato non abbia ancora intrapreso l’attività della quale ha presentato la SCIA, ma poi l’amministrazione, attuate le verifiche e i controlli entro 60 giorni, si rende conto il privato non ha i requisiti necessari, essa adotterà un provvedimento inibitorio → l’amministrazione non può vietare un’attività che non è iniziata. Oltre a vietare la prosecuzione dell’attività o a vietarne l’inizio, l’amministrazione con lo stesso provvedimento, ordinerà al privato la rimozione degli eventuali effetti dannosi che quell’attività ha comportato, sebbene non sempre questi effetti siano eliminabili. Infatti, questo istituto porta con sé qualche rischio di lesione dell’interesse pubblico, il quale è ritenuto accettabile a meno che vengano toccati interessi pubblici sensibili (dove la SCIA non può operare). Tutto ciò deve essere fatto entro 60 giorni a pena di decadenza del potere dell’amministrazione, dal momento che, ai sensi dell’articolo 2, comma 8-bis, nel caso in cui venga violato il termine il provvedimento sarebbe inefficace, cioè improduttivo di effetti giuridici. L’ambito edilizio, inoltre, è quello nel quale questo istituto (DIA) è nato, prima ancora di essere previsto dalla legge 241/90. Troviamo anche delle eccezioni all’articolo 19: - articolo 22 del testo unico dell’edilizia T.U. edilizia, articolo 22, comma 7 È comunque salva la facoltà dell'interessato di chiedere il rilascio di permesso di costruire per la realizzazione degli interventi di cui al presente Capo, senza obbligo del pagamento del contributo di costruzione di cui all'articolo 16, salvo quanto previsto dall’ultimo periodo del comma 1 dell’art. 23. In questo caso la violazione della disciplina urbanistico-edilizia non comporta l'applicazione delle sanzioni di cui all'articolo 44 ed è soggetta all'applicazione delle sanzioni di cui all'articolo 37 la regola generale dell’articolo 19 però, in ambito urbanistico-edilizio, non vale, in quanto l’articolo 22 del testo unico dell’edilizia (dpr 380 del 2001) afferma che il privato resta nella facoltà di scelta: anche dove il privato può intraprendere un’attività edilizia con la SCIA, il legislatore riconosce al privato la possibilità di chiedere all’amministrazione il provvedimento autorizzatorio (il permesso di costruire). - eccezione dell’articolo 19, comma 6-bis comma 6-bis Nei casi di Scia in materia edilizia, il termine di sessanta giorni di cui al primo periodo del comma 3 è ridotto a trenta giorni. L’eccezione è contenuta nell’articolo 19 al comma 6-bis, il quale afferma che, quando il privato presenta una SCIA edilizia, l’amministrazione comunale dovrà verificare la sussistenza dei requisiti stabiliti entro un termine decadenziale di 30 giorni: in questo ambito non vale il termine di 60 giorni. Questa peculiarità è contenuta nell’articolo 19 e non nel testo unico dell’edilizia perché la scia è un istituto che ha un’applicazione molto importante dal punto di vista edilizio, a tal punto che il legislatore ha dettato questa regola speciale. comma 3 Qualora sia possibile conformare l'attività intrapresa e i suoi effetti alla normativa vigente, l'amministrazione competente, con atto motivato, invita il privato a provvedere, disponendo la sospensione dell'attività intrapresa e prescrivendo le misure necessarie con la fissazione di un termine non inferiore a trenta giorni per l'adozione di queste ultime. In difetto di adozione delle misure stesse, decorso il suddetto termine, l'attività si intende vietata. Nel tempo, l’istituto della scia ha subito delle modifiche. Infatti, con la legge Madia, il legislatore ha riformato questo istituto, intervenendo nei commi 3 de 4 dell’articolo 19, per agevolare le attività economiche private e mostrare un maggiore favore nei confronti degli amministrati. Nel comma 3 si trova traccia di questo maggior favor nei confronti degli amministrati, in quanto, dopo la riforma madia, l’eventualità che l’amministrazione adotti un provvedimento di divieto di prosecuzione dell’attività è stata vista dal legislatore come estrema ratio, cioè come eventualità ultima: l’amministrazione, prima di vietare la prosecuzione dell’attività, deve provare a fare qualcosa che sia di maggior favore ai privati. Quando l’attività non è conforme con quanto previsto dalla legge, ma sia conformabile ad essa, l’amministrazione non deve subito vietare la prosecuzione dell’attività, ma deve valutare se quell’attività è conformabile alla legge e, se così, assegnare al privato un termine (non inferiore a 30 giorni), volto a far si che il privato possa adottare quelle misure di conformazione indicate dall’amministrazione, in modo tale che l’attività diventi conforme alla legge. In questo comma il legislatore non parla di ordine, ma di invito: l’amministrazione invita il privato a conformare la sua attività, anche quando il segnalante ha già iniziato attività contra lege → si tratta di un invito motivato (rimane comunque un ordine dell’amministrazione): quando il privato, scaduto il termine per l’adozione di misure di conformazione, è rimasto inerte, l’attività si intenderà vietata ex lege. Inoltre, quando l’amministrazione si rende conto che l’attività è conformabile alla legge e perciò la invita ad assumere misure di conformazione assegnandoli un termine, l’attività nel frattempo non viene sospesa: il privato, quindi nel tempo dato dall’amministrazione mentre adeguerà l’attività, potrà continuare ad esercitare l’attività → così il legislatore, seppur per un certo periodo di tempo, ha legittimato l’esercizio di un’attività contra lege il privato potrà svolgere quell’attività in attesa delle misure di conformazione, questa disposizione puo trovare attuazione in modo strumentalizzato: l’amministrazione assegna al privato un termine per conformare l’attività molto lungo e per questo tempo il privato potrà esercitare unattivtia contraria alla legge La regola sostiene che, nel frattempo che il privato ha la possibilità di conformare l’attività alla legge, l’attività non sarà sospesa, ma ci sono due casi in cui l’attività sarà sospesa dall’amministrazione: - caso in cui il privato ha presentato con la SCIA delle attestazioni non veritiere questo è un caso più apparente che reale, perché il privato che dichiara qualcosa di non veritiero con la scia, l’attività è sospesa perché è conformabile, e quindi è volta a far si che il privato la conformi alla legge. Ma ciò pone dei problemi: infatti, il legislatore, dopo aver introdotto gli istituti di silenzio assenso e della SCIA, con l’articolo 21 (capo IV sulla semplificazione legislativa) pone delle disposizioni sanzionatorie. articolo 21, comma 1 In caso di dichiarazioni mendaci o di false attestazioni non è ammessa la conformazione dell'attività e dei suoi effetti a legge o la sanatoria prevista dagli articoli medesimi ed il dichiarante è punito con la sanzione prevista dall'articolo 483 del Codice penale. Il primo comma sostiene che, quando il privato con la scia presenta delle dichiarazioni false/mendaci, è vietata la conformazione dell’attività. Allora però il comma 3 dell’articolo 19 e il comma 1 dell’articolo 21 sono in contrasto, in quanto il primo sostiene che l’attività è conformabile alla legge ma resta sospesa, mentre il secondo afferma il contrario. Dal momento che sono entrambe disposizioni di rango primario, si potrebbe risolvere questo conflitto attraverso il criterio cronologico (l’articolo 21 dovrebbe ritenersi abrogata perché superata da un’altra disposizione successiva nel tempo) oppure attraverso la distinzione tra la fattispecie a cui fa riferimento l’articolo 21 comma 1 da quella del comma 3 dell’articolo 19. Perciò, il caso dell’articolo 21 comma 1 si fa riferimento a una scia a cui vengono allegate dichiarazioni false, con le quali il segnalante abbia volontariamente rappresentato il falso all’amministrazione, e l’attività viene sospesa ma non è conformabile. Mentre il caso del comma 3 dell’articolo 19 fa riferimento ad attestazioni non veritiere, con le quali il privato potrebbe essersi sbagliato, e l’attività resterà sospesa ma sarà conformabile. - caso in cui l’attività del privato possa arrecare un pregiudizio a un interesse pubblico sensibile caso più apparente che reale perché, se l’attività segnalata può recare un pregiudizio a un interesse pubblico sensibile, l’attività non puo neanche essere iniziata con la scia (del tutto illegittima), non rientrando nell’ambito di applicazione della scia ai sensi del primo comma. comma 4 Decors

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