La Politica Internazionale dal XX al XXI Secolo PDF
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Questo documento analizza la politica internazionale dal XX al XXI secolo, partendo dalle radici storiche europee. Il testo evidenzia gli eventi chiave e gli attori principali del sistema internazionale a partire dall'inizio del XX secolo, inclusi il periodo delle rivoluzioni e l'ascesa napoleonica..
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LA POLITICA INTERNAZIONALE DAL XX AL XXI SECOLO CAPITOLO 1 - LE RADICI STORICHE DEL ‘900: IL SISTEMA EUROPEO DEGLI STATI DALLE ORIGINI AL DOMINIO MONDIALE Lo straordinario 900 non può essere pensato come una vicenda distaccata dalla parabola storica precedente dell'umanità, pena la sua incomprensio...
LA POLITICA INTERNAZIONALE DAL XX AL XXI SECOLO CAPITOLO 1 - LE RADICI STORICHE DEL ‘900: IL SISTEMA EUROPEO DEGLI STATI DALLE ORIGINI AL DOMINIO MONDIALE Lo straordinario 900 non può essere pensato come una vicenda distaccata dalla parabola storica precedente dell'umanità, pena la sua incomprensione e la perdita di alcune dimensioni essenziali della profondità storica. Tale problema emerge da un aspetto chiamato periodizzazione: l'utilizzo di schemi secolari per spiegare la storia induce a molti flessibili adattamenti; una periodizzazione mobile invita a far emergere i problemi sottostanti ma non dovrebbe condurre a isolare così nettamente le epoche storiche. Il mondo internazionale di inizio 900 era frutto di una precedente lunga evoluzione, l'Europa era sicuramente il suo centro: il suo sistema diplomatico, economico e militare dominava gli eventi, avendo ampiamente esportato le sue regole e istituito le sue reti imperiali. 1. La nascita del sistema internazionale europeo L'Europa del 900 aveva alle proprie spalle un percorso peculiare: si era sedimentato nei secoli sul continente un sistema di rapporti tra entità politiche diverse che si concepivano come sovrane e Stati moderni. Nati dal processo di dissoluzione e riaggregazione di quell'universo medievale della res publica christiana (nel medioevo era il termine per definire l’Europa), concepito come universale nella matrice di un impero sacrale e di una chiesa cristiana diffusa su tutto il continente. A partire dai secoli XIII-XIV, una serie di monarchi avevano avviato percorsi di autonomia dell'impero e del papato, puntando a centralizzare l'autorità di un ben definito territorio. Le caratteristiche di potere supremo che l'imperatore aveva sempre rivendicato, venivano ora acquisite dai singoli sovrani che non riconoscevano più autorità sacrali o temporali sopra di loro. Tra queste entità sovrane vi era anche la capacità di regolamentare la violenza militare, imponendo la pace all'interno di un territorio e casomai utilizzando la forza verso l'esterno: il “monopolio della forza legittima” interno di un determinato territorio divenne un carattere fondamentale della sovranità degli Stati moderni. Parallelamente, l'impero sacrale consegnato dalla tradizione perdeva le sue caratteristiche universali, riducendo sia un controllo della sola area geografica tedesca (1512: Sacro romano impero della nazione germanica). Questo processo si allargò in tutto il continente, le monarchie occidentali (inglese, spagnola, francese) più antiche e solide ebbero più precoce e duraturo successo, mentre in Europa orientale vi era un movimento più continuo e destabilizzante che rese più difficile consolidare i primi nuclei createsi nel medioevo. Nemmeno nella penisola italiana, dove esisteva l'originale costituzione dei domini temporali del papa, sorse un solo Stato che assumesse una preponderanza territoriale. Si trattò di un processo tormentato e complesso che conobbe il punto di non ritorno verso la metà del 600, normalmente si cita la Pace di Westfalia (1648) che mise fine alla Guerra dei Trent'anni e al ciclo delle guerre di religione centroeuropee. L'affermazione della sovranità di ogni Stato comporta anche il reciproco riconoscimento delle sovranità altrui. Da qui si sviluppò un insieme di regole: lo ius publicum europaeum. Le norme di diritto internazionale non erano più sanzionate da un'autorità superiore. Al concetto di trattato internazionale si connetteva al principio del rispetto degli accordi. Alla fine del 700, forse Jeremy Bentham utilizza per primo il neologismo “internazionale” nel senso moderno, distendo il diritto interno agli Stati da quello relativo ai rapporti tra di loro; in questo quadro nacque la moderna diplomazia. Vista l'egemonia culturale francese nell’Europa di quest'epoca, è comprensibile che il francese divenisse la lingua franca della comunicazione diplomatica. 1 2. Comunità e competizione tra Stati: equilibrio o egemonia? L'altra faccia del riconoscimento e della parità era un’accesa tendenza alla competizione e all'autoaffermazione di ogni Stato a scapito degli altri. Il ricorso allo strumento militare era frequentissimo, tra il 600 e il 700 non si contarono più di vent'anni di pace generali in Europa. L'esercito restava l'ultima ratio legis, lo strumento di potere decisivo per consolidare l'autorità del sovrano e per affermarla nella competizione con gli altri. I monarchi europei, che concepivano lo stato come proprietà personale (patrimonialismo) cercarono anche di organizzare le economie al servizio della sua potenza; una rete di iniziative imprenditoriali e commerciali stava dando il suo contributo alla crescita della ricchezza e della capacità tecnologica europea, creando isole capitalistiche di libertà economica. Ma via via che le dimensioni di queste imprese crescevano, si affermavano le ragioni del modello di Stato territoriale accentrato e allargato, che sosteneva le attività economiche dei propri sudditi per ragioni di competizione e ricchezza nazionale, secondo la visione mercantilistica. L'economia conduceva con le sue esigenze nella direzione di rafforzare la cooperazione interstatale, la nascita di una specifica sfera economica internazionale condusse a nuovi accordi, convenzioni e regolamentazioni intesi a rendere possibili i commerci e le relazioni finanziarie attraverso le frontiere. Rendere comunicato lì gli usi monetari diversi divenne un'esigenza prioritaria. Le diversità strutturali tra gli Stati diventarono un elemento importantissimo, nell’Ottocento viene formalizzato il concetto di “grande potenza”: monarchie territorialmente estese, solide e militarmente ed economicamente. Questi Stati erano 5: Inghilterra, Francia, Austria, Russia, Prussia. Tra questi attori la ricerca di una egemonia era consueta, creava però reazioni e contrapposizioni, il sistema si era assestato in un notevole pluralismo rigettando ogni sogno di ricostituzione di una sorta di monarchia universale. A seguito di queste vicende, la nuova situazione fu interpretata ricorrendo ha un equilibrio pluralistico codificato con il trattato di Utrecht (1713): se è vero che contro i tentativi egemonici nascevano alleanze contrapposte, tale regola non aveva efficacia quando una grande potenza si rapportava soggetti minori del sistema. Il sistema europeo che abbiamo rapidamente introdotto non deve essere concepito come una realtà totalmente chiusa rispetto al resto del mondo, infatti nacquero rapporti più o meno stretto con altri sistemi: dall'Indonesia, al Caucaso e dell'Africa, l'impero ottomano. Meno consueti erano i rapporti con l'impero cinese. Il sistema europeo era entrato in rapporto anche con entità politiche più diffuse e disperse, nelle zone rese raggiungibili dopo l'epoca delle grandi esplorazioni geografiche; le potenze europee avevano cominciato a estendere la propria influenza mondiale ma fino all’Ottocento non si poteva parlare di un controllo esteso del mondo da parte dell’Europa. Alla fine del 600 l'impero coloniale inglese stava diventando il più importante del mondo, costituito da un articolato sistema di basi navali e una serie di colonie centrate sullo sfruttamento schiavistico di un sistema di piantagioni di materie prime attorno al Golfo del Messico. 3. L'età delle rivoluzioni e l'impatto della vicenda napoleonica Questo sistema fu scosso pesantemente dai cambiamenti dei decenni finali del 700: la Rivoluzione americana del 1776-1783 e la Rivoluzione francese del 1789-1799 videro all'opera forze nuove che ebbero influsso anche sul sistema internazionale. La rivoluzione industriale britannica quasi contemporaneamente stava mettendo le basi di un cambiamento permanente del rapporto economia-politica. 2 In termini di potere immediato, le rivoluzioni non mutarono molto: l'emancipazione delle ricche colonie britanniche costituì solo una temporanea battuta d'arresto per lo sviluppo dell'impero inglese e la nascita degli Stati Uniti non rappresentò ancora un allargamento della sfera politica internazionale. Nella cultura fondamentale del sistema, i cambiamenti furono più forti e duraturi: nel contesto rivoluzionario francese cominciò ad essere utilizzata l'idea di “nazione” che alludeva alla comunanza di nascita di un gruppo sociale su un territorio→ il popolo diveniva soggetto politico unitario organizzato di fronte al potere del sovrano. Questa nuova ideologia si proiettava nei rapporti tra gli Stati; la Francia diventa così la Grande Nation: politicamente forte in grado di comunicare a tutta Europa la spinta originale della libertà. Fu Napoleone che dopo il 1804 radicalizzò la tendenza francese verso l'egemonia europea. Solo Gran Bretagna e Russia riuscirono a mantenere un ruolo di potenza di fronte alla Francia, mentre gli altri Stati (Austria e Prussia comprese) divennero satelliti del sistema continentale francese che si estendeva dalla Spagna alla Polonia e dalla Svezia a Napoli. Napoleone non fu però in grado di stabilizzare in modo duraturo tale dominio, spinto ad andare militarmente sempre oltre, non diede ascolto alle reazioni antifrancesi, rivoluzionari traditi e scontenti. Si crea una coalizione europea antinapoleonica che si impegnò a ricondurre la Francia nei suoi storici confini e inoltre ogni potenza dichiarava di voler cooperare per vent'anni con gli altri contraenti per controllare la pace europea. Venne convocato a Vienna un grande Congresso europeo che avrebbe dovuto mettere le basi di un ordine stabile per il futuro, furono i quattro vincitori più la potenza sconfitta francese a prendere le decisioni importanti: le grandi potenze di identificavano sempre più se stesse con “L'Europa”. La revisione della carta d’Europa condotta al Congresso provo comunque che le esigenze delle diverse potenze non erano affatto facili da contemperare. - L'Austria ottenne un'influenza prevalente In Italia e in Germania; - La Gran Bretagna confermo un predominio esclusivo sul settore extraeuropeo; - La Russia si spinge verso il centro dell’Europa occupando la maggior parte della Polonia; - La più modesta potenza prussiana ottenne territori sul Reno in chiave di contenimento dell'espansione francese. Si costituirono poi una serie di “corpi intermedi” che fungessero da cuscinetto rispetto alla potenza francese e più in generale servivano da equilibratori rispetto alle contrapposizioni delle grandi potenze. 4. Il concerto europeo della prima metà dell'Ottocento: successi e limiti Nelle decisioni di Vienna non vi era la sola necessità di risolvere questioni passate, bensì vi era un esplicito sguardo al futuro. Le grandi potenze assumevano un reciproco impegno comune per la stabilità e la pace europea. Lo Zar Alessandro I propose di costituire una Santa Alleanza dei sovrani cristiani europei, che impegnava i firmatari a prestarsi reciproco sostegno; la Gran Bretagna fu l’unica potenza a declinare 3 l’invito. In questa promessa di cooperazione si trovano le basi di quello che viene definito “concerto europeo”: consultazioni, autolimitazioni, decisioni comuni, elaborazione di compromessi. Le regole inespresse ma generalmente accettate dal sistema stabilivano che: - ogni problema europeo dovesse ricevere soluzioni “europee”; - ciascuna potenza prima di agire in un campo che toccasse lo status, gli interessi o diritti di altre dovesse consultarle; - nessuna delle grandi potenze poteva essere esclusa da una conferenza o congresso; - era necessario avere consenso per modificare lo status quo; - i piccoli stati avevano diritto di protezione e di ascolto, ma non di partecipare alla decisioni. La minaccia dello status quo cominciò a provenire dal basso: si moltiplicarono occasioni di rivoluzioni. Da una parte, l’assolutismo e la libertà dei sovrani di organizzare il proprio potere erano sfidati da istanze costituzionali e liberali. Dall’altra si diffondevano nuovi movimenti culturali e politici che facevano delle identità nazionali la loro cifra caratterizzante. Nuovi movimenti elaborano quindi un principio di nazionalità messo a punto tecnicamente da alcuni giuristi internazionali: “a ogni nazione deve corrispondere uno Stato”, un principio eversivo dall’ordine stabilito a Vienna; l’Europa doveva aiutare, in modo solidale, ogni sovrano il cui potere fosse messo in discussione ed anche intervenire in caso di rivoluzione A questa posizione si contrappose la linea britannica che difendeva l’assetto di Vienna solo nella misura in cui ne fossero minacciate le basi territoriali, senza dover sostenere ogni vacillante trono europeo. La tensione fu forte nel caso spagnolo nel 1821: il governo inglese non accettò il mandato europeo della Francia di ripristinare l’ordine, su richiesta del sovrano. Questa situazione si trascina dietro alla questione delle colonie latino-americane, dove nascono movimenti della classe dirigente del governo di Madrid. Di fronte alla sola ipotesi che la Restaurazione attraversasse l’Atlantico, la Gran Bretagna faceva valere il proprio controllo dei mari e chiese anche agli Stati uniti una convergenza su queste posizioni. Gli Stati Uniti presero una prima rilevante posizione internazionale con la famosa “Dottrina Monroe”: “l’America agli americani” era lo slogan che traduceva questa dichiarazione di principio. Complesso fu anche il caso greco negli anni 20, in cui si sommava il tema di una rivoluzione nazionale contro il sovrano turco alla questione della protezione europea delle comunità cristiane orientali che avevano goduto di autonomie nell’Impero ottomano. Nacque da questi fatti la “questione d’Oriente”: ovvero il pluridecennale problema delle crescenti difficoltà dell’Impero Ottomano a gestire la frammentazione dell’area balcanica. Su questa tensione si inseriva uno scontro di potenza tra la Russia zarista protesa all'estensione imperiale verso il Mediterraneo e quindi al controllo degli stretti che chiudevano il Mar Nero e la Gran Bretagna che intendeva controllare le rotte marittime verso l'India e l'oriente. Anche in questi casi vennero raggiunti elaborati compromessi. Il caso delle agitazioni costituzionali in Germania era però complesso, ottenne di unire i maggiori stati tedeschi in Unione doganale che escludeva le terre dell'impero austriaco. La crisi liberal-nazionale si generalizzò infine a tutta Europa nel 1848. A partire dalla rivoluzione parigina del Febbraio 1848, che instaurò la seconda Repubblica, una serie di eventi mise in crisi l'era tedesca e l'impero asburgico e aprì la questione dell'unificazione italiana e tedesca, oltre che dell’indipendenza dell’Ungheria dall'impero. Sia l'esperienza italiana della “prima guerra di indipendenza” sia l'esperienza tedesca del Parlamento liberale, fallirono. 4 5. L'Europa alla conquista del mondo: la “pax britannica” la prima mondializzazione Cresceva intanto verticalmente l'influsso europeo verso il mondo esterno, sull'onda diretta dal successo del processo di industrializzazione. L’applicazione della forza del vapore ai trasporti collegata all’incremento della velocità delle comunicazioni resa possibile dall’invenzione del telegrafo fu il tratto distintivo di quest'epoca “del carbone e dell'acciaio”. Mentre l'espansione finanziaria commerciale oltre i confini nazionali era sempre più considerata una condizione necessaria della crescita; crebbe anche l'emigrazione di europei che colonizzarono altre regioni, si completarono le esplorazioni geografiche e quindi la conoscenza del pianeta. Si innalzò verticalmente il commercio attraverso le frontiere, si sviluppa un sistema di regole globali frutto di elaborate convenzioni e accordi tra Stati: particolarmente cruciale fu la nascita di un sistema monetario internazionale integrato sulla base aurea (la base monetaria è data da una quantità fissata d'oro). La Gran Bretagna era al centro di questo percorso di crescente dominio, la rivoluzione industriale aveva condotto il paese a diventare l'economia più produttiva e a creare un mercato finanziario che era sempre più cruciale per tutto il mondo. La crescita industriale sosteneva la commercializzazione di quote crescenti di manufatti, incoraggiando le dimensioni della Marina mercantile e producendo le basi materiali della forza militare navale. La classe dirigente inglese si convertì definitivamente al libero scambio, abbandonando il mercantilismo e il protezionismo del passato e chiedendo analoga apertura ai propri partner commerciali: molti paesi europei e extraeuropei accettarono di inserirsi in un sistema commerciale aperto che aveva Londra al centro. L'uso limitato della forza serviva per far rispettare i propri interessi o per affermare contro sovrani riluttanti la stessa logica della “porta aperta” verso le merci inglesi. Tra gli episodi tipici in questo senso spicca la guerra dell'oppio contro la Cina, che costrinse l'impero cinese ad aprire alcuni porti al commercio occidentale. Anche in Giappone fu avviata una missione navale statunitense e l'influenza europea si allargò anche in Egitto e nell'impero ottomano. Completavano il quadro le vere e proprie colonie: in primis l'India dove venne imposto il governo diretto della corona su metà circa del subcontinente, con nuovi investimenti e un sistema amministrativo moderno ma mantenendo anche i sistemi poco favorevoli allo sviluppo locale. L'impero indiano aveva un rilevante significato economico di mercato di sbocco per la produzione tessile inglese. Non indifferenti, come terminali di uno scambio tra esportazione di eccedenze di popolazione e sviluppo dei traffici, erano le vecchie colonie di popolazione di accrescente maggioranza bianca: in queste aree si delinearono forme di autogoverno sempre più marcate. A questi possedimenti si aggiunsero nuove acquisizioni selettive di piccoli territori a basi marittime sparse per il pianeta, indispensabili punti d'appoggio per la flotta imperiale per i commerci. 6. Le guerre di ricostituzione nazionale e la modificazione del sistema di Vienna Questi episodi sono stati accomunati nella categoria “guerre di modernizzazione” perché sono servite a realizzare nuovi stati sovrani capaci di integrare popolazioni e territori. Questa espansione creò tensioni tra due parti degli USA molto diverse: 1. quella settentrionale ormai avviata all'industrializzazione è basata sul lavoro libero 2. quella meridionale legata al sistema di piantagione e al lavoro degli schiavi afroamericani. La tensione sfociò nella durissima guerra di secessione (1861-65), conclusasi con la vittoria dell'unione e il consolidamento di un modello in cui lo stato federale assumeva crescente forza. In Cina negli stessi anni si ebbe la grande rivolta del “Regno celeste della grande pace” e il movimento controllo una parte del Sud del paese e fu spazzato via da Pechino solo dopo una guerra civile sanguinosissima. 5 Anche in Giappone sconfisse un sistema chiuso con una breve guerra civile; si lanciò quindi un percorso di modernizzazione che aveva il suo perno nell'acquisizione di modelli europei e statunitensi, orientata a difendere un'antica originalità culturale e civile. Anche in Europa si avviarono movimenti profondi, bastava un momento di contrasto tra le potenze per far crollare le basi del sistema; l'occasione fu la guerra in Crimea, frutto di una nuova iniziativa zarista, contrastata da Francia e Gran Bretagna che portò a rompere il legame tra Austria e Russia, umiliò la potenza militare russa, isolò ulteriormente la Prussia e fece tornare in primo piano il ruolo europeo della potenza francese, che gestì il Congresso di Parigi del 1856. Napoleone III condusse la Francia a un'iniziativa antisistema, mentre l'Austria rimase sola a cercare di salvare l'eredità del Congresso di Vienna. La Crimea inaugurò altre guerre che contrapposero le grandi potenze europee, che modificarono molti dati dell'assetto della Restaurazione ponendo fine al controllo asburgico dell’Europa centrale e conducendo a realizzare l'unità statuale italiana e tedesca. Nel caso italiano, l'operazione politica di Camillo di Cavour riuscì a tradurre il problema italiano in termini di dinamiche internazionali, valendosi della leva militare francese per la guerra all’Austria, che allargò i confini con l'annessione della Lombardia. Con l'appoggio ideologico britannico e l'impotenza delle altre potenze isolate, si giunse a costituire nel 1861 il nuovo Regno d'Italia. L'Italia teneva un posto intermedio tra le grandi e piccole potenze. Il cancelliere prussiano Bismarck utilizzò il sentimento nazionale tedesco per affermare un disegno di unificazione della Germania guidato dallo stato militare prussiano. La dichiarazione di guerra della Prussia all'Austria del 1866 fu il passo decisivo per escludere gli Asburgo dagli affari tedeschi. La guerra alla Francia del 1870 gli permise di fare appello definitivo al nazionalismo tedesco e di completare l'opera di unificazione dei diversi principi tedeschi sotto la corona prussiana. Il 1870 è stato ritenuto una svolta simbolica che ha fatto cambiare lo spirito pubblico europeo, mettendo fine alle illusioni democratiche e imponendo una visione della nazione autoritaria, basata sui dati oggettivi della lingua e della razza, e non sul consenso. Le altre grandi potenze reagirono al successo bismarckiano: - la Russia si accontentò di modesti miglioramenti del proprio status nel Mar Nero e del sostegno bismarckiano alla causa della repressione polacca; inoltre continuava una politica di espansione asiatica che l'avrebbe portata a contrasti con la Gran Bretagna. - La Francia sconfitta considerava sempre più problematico il divario demografico ed economico con il dinamismo tedesco; - L'Austria modificava la geopolitica dell'impero indirizzandola a estendere la propria influenza verso l'area balcanica. - L'élite britannica accentuò invece la potenza marittima e mondiale. Bismarck, “il cancelliere di ferro” impostò la sorveglianza della situazione europea tramite la scelta di imporre l'isolamento francese, la cooperazione conservatrice dei tre imperatori (austriaco, russo e tedesco) e la ricucitura di buoni rapporti con la Gran Bretagna. Al Congresso di Berlino del 1878, Bismarck fece attribuire all’Austria l'amministrazione della Bosnia Erzegovina e ridimensiona il successo politico russo in particolare lo stato bulgaro. L'impossibilità di una pacifica spartizione tra Austria e Russia portò Bismarck a legarsi più strettamente con l'Austria nella Duplice Alleanza del 1879 (Che sarebbe diventata la Triplice con l'ingresso dell'Italia nel 1882). Gli Stati più solidi e gli imperi più tradizionali e pluralistici cominciarono ad assumere caratteri di statualità moderna e nacquero su questo terreno in molteplici percorsi della nazionalizzazione delle masse. 6 CAPITOLO 2 - POLITICA DI POTENZA, IMPERIALISMI E NAZIONALISMI: I NUOVI ORIZZONTI MONDIALI E LE CRISI EUROPEE (1880-1914) Verso la fine dell'800 la società internazionale europea si avvolse in una spirale di contrapposizioni nazionalistiche a carattere ormai apertamente “imperiale”. Il predominio economico europeo sul globo si allargava in una crescente sfera di domini politico-militari. Gli statisti europei affrontarono la competizione con alleanze e intese, inizialmente a carattere difensivo, che si sedimentarono lentamente fino a costituire due veri e propri blocchi contrapposti tra le grandi potenze continentali. Una nuova fase di impetuosa espansione economica e produttiva dell'Europa si innestò verso la fine del secolo su queste rivalità nazionali. La capacità di indirizzare le nuove risorse tecnologiche verso usi militari si rafforzò, come doveva mostrare, per esempio, la corsa alla creazione di grandi flotte da guerra. La consistente crescita del commercio internazionale, che durò fino alla Grande Guerra, fu vissuta come un nuovo campo competitivo tra le potenze. Nel frattempo, la dimensione di massa dei nazionalismi cresceva, mentre si manifestava nella cultura europea una crisi radicale del precedente ottimismo sul progresso e sul miglioramento indefinito dei rapporti tra i popoli. La profezia apocalittica di una catastrofe imminente segnava nel profondo le spensieratezze superficiali della cosiddetta Belle Époque. Tale competizione era ormai inscritta nelle nuove dimensioni mondiali della politica internazionale. L'apparire sulla scena della potenza americana e di quella giapponese tolse l'esclusiva delle relazioni mondiali all'Europa. La gara imperialistica tra le potenze europee per controllare il mondo esterno contribuì a ridurre ulteriormente la fiducia in un tessuto internazionale comune, mentre causava le prime reazioni di popoli soggetti, con una serie concomitante di rivoluzioni, che in qualche caso dovevano avviare nuovi esperimenti politici. Non era più possibile tenere distinte le vicende delle diverse zone geografiche: non fu un caso che il precipitare dei contrasti all'interno dell'Europa, innescati ancora una volta dalla polveriera balcanica, conducesse sulla soglia di una guerra europea che doveva assumere caratteri del tutto inediti. 1. L’età dell’imperialismo Si è parlato di una vera e propria «età dell'imperialismo», esplosa proprio nel decennio 80 dell’800: non che il fenomeno imperiale fosse nuovo, ma in quest'epoca presentò diversi inediti sviluppi intrecciati tra loro. Elemento tipico di questa nuova stagione fu proprio il fatto che al dominio economico informale già ampio e determinante dell'Europa si aggiungessero annessioni formali ed esclusive, da parte di singole potenze, di porzioni crescenti di territori nell' Asia meridionale e centrale, ma soprattutto dell'Africa. Dopo il 1880 molti paesi extraeuropei entrarono così in un regime coloniale. Lo Scramble for Africa (= la zuffa per l'Africa) condusse in quindici anni a spartire quasi tutto il continente: nel 1895, restavano ancora indipendenti solo il negus d'Etiopia (sottoposto alla pressione italiana) e il sultano del Marocco. Asia, Cina e India erano i poli decisivi dell'interesse europeo: attorno all'India britannica si mossero una nuova serie di conquiste inglesi, legate al controllo delle vie di comunicazione, mentre la Cina non perse la sua sovranità formale, ma iniziò a cedere parecchie aree territoriali del paese al controllo europeo. La spiegazione di questa svolta verso la moltiplicazione di domini coloniali formali non può essere mono causale: In primo luogo, il sistema degli Stati arrivato alla sua massima formalizzazione e coerenza vide lo sviluppo di diverse ma diffuse volontà imperiali. La competizione imperiale tendeva a sostituire la stabilità tradizionale, sul terreno ideologico della legittimazione del sistema internazionale. Non è 7 solo un caso che alla fine del secolo tutte le grandi potenze europee (eccettuata la Francia repubblicana, dove un impero era peraltro appena caduto) si definissero in termini imperiali. In secondo luogo, nella cultura europea si dispiegarono nuove giustificazioni intellettuali dell'imperialismo: arrivava a maturazione culturale la coscienza di una superiorità ormai dispiegata dell'Europa, da cui sarebbe scaturito un compito di “civilizzazione” del mondo e dei popoli “arretrati” (Rudyard Kipling parlava di un «fardello dell'uomo bianco»). Lo slancio missionario delle chiese (cattoliche e protestanti), la teoria dell'evoluzione darwiniana, le nuove tendenze razziste, la codificazione di un diritto internazionale che vedeva un certo “standard di civilizzazione” come requisito per essere un soggetto del sistema internazionale: furono tutti elementi propellenti di un nuovo approccio al rapporto tra Europa e resto del mondo. Inoltre, questa evoluzione poggiava sulla nuova situazione multipolare centroeuropea, dominata e in certo modo ingessata dalla costituzione di grandi Stati nazionali accentrati. L'equilibrio instabile e competitivo imponeva alle maggiori potenze di cercare altri sbocchi alle proprie energie espansionistiche, allargando a dimensioni globali la logica per cui le potenze maggiori avevano utilizzato per secoli spazi di compensazione tra loro con i territori degli Stati minori europei. L'antagonismo crescente nei confronti della posizione dominante inglese fu indubbiamente un altro motivo diffuso per ampliare la gara per l'influenza mondiale. Non va sottovalutata la crescente competizione per i mercati nell'epoca di depressione dei prezzi che durò dal 1873 fin quasi alla fine secolo: essa portò i governi dei nuovi paesi economicamente emergenti a voler costruire sfere di influenza economiche privilegiate e quindi a imporre sovranità formali su territori extraeuropei. Il modello liberoscambista dei decenni precedenti si indeboliva: tutte le grandi potenze tranne la Gran Bretagna approvarono attorno al decennio 80 tariffe doganali fortemente protezionistiche. La Gran Bretagna tenne il passo del suo precedente dominio mondiale, partecipando in posizioni di primato anche alla nuova gara coloniale, con una notevolissima serie di estese acquisizioni territoriali. Disraeli negli anni 70 aveva già costruito un imperialismo «popolare», attorno alla proclamazione della regina Vittoria a «imperatrice delle Indie». Gladstone seguì attivamente la nuova epoca imperialista, nonostante le sue preferenze per un'influenza imperiale informale. Dopo aver acquisito il controllo dell'Egitto a seguito dell'implosione della dinastia locale (1882), la conquista della Birmania allargò l'Impero indiano. In Africa, si configurò una direttrice nord-sud quasi continua, dal Cairo al Capo di Buona Speranza. Il peso del mondo sottosviluppato e delle zone imperiali crebbe di importanza nelle relazioni commerciali inglesi, parallelamente al diminuire dei mercati nell'Europa che si industrializzavano e si chiudevano protezionisticamente. Una nuova economia imperiale si sviluppò quindi sulla politica imperiale. Il constructive imperialism di questa nuova classe dirigente pagava però il prezzo di un forte logoramento: le occupazioni non furono sempre segnali di baldanzosa crescita, ma spesso forme di preoccupata difesa di un prestigio declinante, operazioni preventive per evitare che si rafforzassero imperi rivali. Nelle colonie a grande popolazione autoctona come l'India, si aggravava il problema di ottenere lealtà dalle élite locali con un esile strato di amministratori britannici. Il secondo impero coloniale che cominciò a delinearsi fu quello francese. Dopo l'isolata occupazione di Algeri, già Napoleone III ne aveva posto le basi nel decennio 60 con la prima penetrazione in Cocincina (bassa Indocina) nel 1867, e quindi con la conquista del Senegal. La Terza Repubblica vi aggiunse l'Annam e il Tonchino con una vittoriosa guerra contro la Cina nel 1884-1885, l'espansione a Tunisi nel 1881 e la conquista del Madagascar: Si allargò poi progressivamente il controllo dell'Africa occidentale atlantica e sahariana. Jules Ferry, tra i più decisi fautori del colonialismo, usò l'impero 8 soprattutto nel quadro del gioco politico europeo: recuperare prestigio internazionale, senza dimenticare lo scopo primario della revanche antitedesca, ma senza nemmeno farsi frustrare dalla sua momentanea impossibilità. L'imperialismo russo in Asia centrale fu ulteriormente intensificato. La penetrazione in territori cinesi continuò dopo il 1880, con la conquista dell'Amur. I tentativi di facilitare le comunicazioni ferroviarie con Vladivostok, attraverso la Manciuria, avvicinarono quindi ulteriormente il governo zarista al nodo competitivo aperto costituito dalle sorti del Celeste Impero, come vedremo. La successiva pressione sull'Afghanistan innalzò la tensione con la Gran Bretagna nel 1885. Bismarck era invece sempre stato sprezzante nei confronti del colonialismo e degli interessi extraeuropei, ma alla fine si decise anch'egli, tra 1884 e 1885, a compiere una serie di acquisizioni territoriali in Africa (Camerun, Togo, Africa del Sud-Ovest, Tanganika) e nel Pacifico. Anche l'Italia volle partecipare a questa gara di grandi potenze, con l'occupazione negli anni 1885-1889 di Eritrea e Somalia nel Corno d'Africa, avviando poi quella penetrazione in Abissinia che l'avrebbe portata a scontrarsi con uno dei pochi potentati politici organizzati sul territorio africano, l'Impero etiopico. Di fronte alle resistenze del negus Menelik, Crispi forzò la mano, impegnandosi in una guerra espansionista, che doveva condurre il paese fino al disastro militare di Adua del 1896, assorbito nel totale isolamento internazionale del paese. 2. Alleanza europee e nuovi protagonisti mondiali dopo il 1894 I contrasti europei sembrarono inasprirsi quando in Germania finì la sottile e addirittura acrobatica diplomazia di Bismarck, licenziato nel 1890 dal giovane Kaiser Guglielmo II. La nuova leadership imperiale si orientò a costruire una politica estera sempre più avventata e unilaterale. I discorsi però divennero molto diversi dal passato: l'idea di perseguire una «politica tedesca su scala mondiale» (Weltpolitik) si nutriva dell'ipotesi che il paese doveva cambiare gli equilibri mondiali e costruirsi un «posto al sole». Tale impetuosa volontà di accrescere la propria influenza non poteva che porre problemi complessi. La richiesta di una «ridivisione del globo» avrebbe dovuto prevedere una raffinata capacità diplomatica per non attirarsi troppe ostilità. Guglielmo II e i suoi consiglieri si mostrarono invece meno cauti e attenti di Bismarck, conservando ferma soltanto la problematica alleanza con Vienna e lasciando allontanare San Pietroburgo, nonostante una presuntuosa diplomazia personale del Kaiser nei confronti dello zar di Russia. L'incremento della marina da guerra voluto nel frattempo dal ministro Tirpitz era mirato a sfidare la Gran Bretagna. Già nel 1894 il capo di Stato maggiore Schlieffen intraprese la pianificazione di una possibile guerra europea: occorreva prepararsi a liquidare rapidamente la Francia, per poter poi guardare alla lenta mobilitazione russa. Il rinnovato attivismo tedesco precipitò quindi per contrasto una nuova alleanza militare franco-russa, stretta nei primi anni 90. Comuni preoccupazioni spingevano le due potenze a trovare un accordo difensivo: lo scontro con la Germania sul continente si accompagnava alle tensioni parallele di ambedue i paesi con la Gran Bretagna sul terreno coloniale. L'ottica strategica e diplomatica francese e quella russa erano peraltro ancora poco convergenti. Nell'agosto del 1891 fu infatti raggiunta un'intesa politica di cooperazione generale, che secondo la volontà russa assunse un tono prevalentemente antinglese, mentre nel 1892, soprattutto per la pressione francese, fu firmata una convenzione militare che aveva un significato maggiormente antitedesco. Nella società francese, l'alleanza con la Russia esprimeva la nuova forza delle correnti conservatrici, militariste e filoclericali collegate alla forza finanziaria: Parigi era in prima linea nell'investimento in titoli di Stato e azioni ferroviarie o industriali russe. 9 Intanto in Russia si verificava il nuovo slancio di una politica di modernizzazione e industrializzazione indotta dallo Stato, guidata tra il 1894 e il 1903 dal ministro delle Finanze Sergej Vitte. Il continente si trovò quindi diviso in due alleanze difensive contrapposte, la Triplice Alleanza del 1882 tra Germania, Austria e Italia (che venne rinnovata più volte alle successive scadenze quinquennali) e la nuova Duplice franco-russa. Queste due principali alleanze permanenti non erano però ancora due blocchi rigidi, ma alleanze difensive, rigorosamente circoscritte nella loro fattispecie e nelle loro previsioni: non era ancora scontata la loro deriva verso una guerra. Pur se le tensioni politiche restarono alte, non si arrivò mai a guerre tra europei per la divisione delle spoglie coloniali: sia gli aspetti economici che quelli strategici dell'imperialismo erano ritenuti in fondo negoziabili. Addirittura, in alcune situazioni difficili da controllare militarmente, come nei vecchi imperi cinese, ottomano o persiano, il controllo europeo rimase informale: momenti di scontro tra le influenze delle grandi potenze si alternarono a momenti di cooperazione. La nuova situazione continentale stabilizzata nel bipolarismo fece tornare determinanti i problemi della gara imperialistica, che era in pieno svolgimento. In questo senso, soprattutto gli eventi che ebbero luogo tra il 1894 e il 1905 in Asia orientale costituirono una svolta della storia. Il primo intervento massiccio di Giappone e Stati Uniti nella sfera d'azione delle potenze europee in Cina e nel Pacifico diede il senso definitivo di una politica internazionale che non solo aveva raggiunto dimensioni geografiche mondiali, ma in cui ormai le grandi potenze europee della tradizione non erano più gli unici ed esclusivi soggetti. Il Giappone arrivò infatti ben presto ad applicare alle sue relazioni con i più deboli paesi vicini la stessa politica di imposizione che aveva subito dagli occidentali verso la metà del secolo. La guerra cino-giapponese del 1894-1895 scoppiò sulla questione della rispettiva influenza in Corea: si chiuse con la rapida vittoria militare nipponica, che rivelò la debolezza estrema della dinastia Qing, con l'occupazione di porti strategici attorno al Mar Giallo. Con il Trattato di Shimonoseki, l'Impero cinese cedeva al Giappone l'isola di Taiwan e le isole Pescadores, oltre alla penisola di Liaodong, terminale nella Manciuria della ferrovia collegata alla Transiberiana. Riconosceva poi la mano libera del Giappone in Corea, i cui giacimenti di carbone erano ritenuti sempre più importanti per la continuazione dello sforzo di industrializzazione nipponico: miniere e ferrovie facevano parte di una rete collegata di influenze imperiali. Questi episodi suscitarono preoccupazione nei paesi europei continentali che erano rivali nel Vecchio Mondo, ma che avevano comuni prospettive di influenza in Cina: Francia, Russia e Germania decisero quindi un'azione convergente. La cosiddetta “Triplice d'Estremo Oriente” impose al Giappone un ridimensionamento delle conquiste territoriali. La pressione di queste tre potenze aveva però anche un significato implicitamente antibritannico. Sostenendo il vacillante Celeste Impero (Cina), volevano ottenere che Pechino modificasse la politica commerciale «della porta aperta», imposta dagli inglesi, i quali controllavano ancora circa tre quarti del commercio internazionale cinese. Miravano a ottenere dal governo imperiale vere e proprie sfere d'influenza protette ed esclusive, dove esercitare monopoli commerciali e di investimenti finanziari. Il governo cinese dovette quindi istituire delle «concessioni»: si trattava di vere enclaves territoriali, in cui vigeva il diritto e si esercitava il controllo economico e poliziesco della potenza dominante. L'unica potenza che continuò a sostenere la libertà di commercio furono gli Stati Uniti, sempre più attenti all'Estremo Oriente, che nel 1899 presentarono a tutte le potenze una nota del segretario di Stato Hay, chiedendo di salvaguardare il principio della «porta aperta» e minacciando di non riconoscere mutamenti di assetto della sovranità cinese. Il governo della Gran Bretagna acconciò suo malgrado a chiedere anch'esso una zona d'influenza esclusiva, realizzata a Weihaiwei nello Shandong. La successiva rivolta xenofoba dei Boxer scoppiata nel 1900 condusse le potenze europee a cooperare 10 militarmente nella sanguinosa e terroristica repressione, nonostante i contrasti, per garantire il nuovo equilibrio imperialistico. La Cina era ormai sotto controllo straniero pressoché totale. Anche uscendo dall'Estremo Oriente, si moltiplicarono i settori in cui nuove potenze imperiali premevano su situazioni consolidate, spesso in chiave anti britannica. L'influenza tedesca nell'Impero ottomano crebbe fortemente nei primi anni del secolo. Lo scontro fra le direttrici inglesi e francesi di sviluppo della presenza imperiale in Africa ebbe invece il suo culmine nel 1898. La questione dirimente divenne il controllo del Sudan e delle sorgenti del Nilo, verso cui si diresse una spedizione guidata dal capitano francese Marchand, partendo dall'Africa occidentale e arrivando a piantare la bandiera a Fashoda. Il generale inglese Kitchener, che era capo dell'esercito egiziano, risali invece la vallata fino a provocare l'incontro delle due colonne militari. Venne sfiorato lo scontro, anche se alla fine i francesi cedettero e nel giro di qualche mese venne elaborato un compromesso sulla zona, che salvava il controllo britannico del Sudan: Salisbury accondiscese quindi a riconoscere in cambio le posizioni francesi in Africa occidentale. Queste vicende fecero emergere definitivamente le difficoltà in cui si dibatteva la politica estera britannica.Le basi materiali della potenza britannica cominciarono ad apparire troppo ridotte per le nuove competizioni imperiali. Ma esisteva molta esagerazione sui pericoli del presente. Alla vigilia della guerra mondiale, la cantieristica varava ancora il 33% delle navi da guerra del pianeta. L'ipotesi di una futura guerra imperialistica non superava certamente le possibilità di finanziamento inglesi: sconvolgeva piuttosto le prospettive del particolare modello liberale di egemonia mondiale del paese. La guerra anglo-boera del 1899-1902 costituì un passaggio altamente critico. Le colonie boere dell'Orange e del Transvaal, nell'Africa australe, erano eredi di vecchi insediamenti di lingua olandese, con abitanti bianchi, prevalentemente contadini e calvinisti, che si definivano afrikaans. Erano state progressivamente accerchiate da territori britannici, allargatisi dalla Colonia del Capo. Quando furono scoperti nuovi giacimenti auriferi e diamantiferi in quelle repubbliche, i britannici tentarono di inglobarle definitivamente. Una spedizione militare guidata dal commissario al Bechuanaland, Jameson, fallì però nel 1895: l'imperatore tedesco Guglielmo II giunse a inviare un telegramma di felicitazioni al presidente del Transvaal, Krüger, che irritò fortemente l'opinione pubblica britannica. Questi contrasti locali coinvolsero in modo crescente la madrepatria inglese, dato che non ci si poteva permettere un indebolimento delle posizioni imperiali in uno dei punti strategici fondamentali per le comunicazioni marittime. La linea dura verso i boeri, adottata dall'alto commissario sir Alfred Milner, condusse nel 1899 a una vera e propria guerra, che fu durissima. La vittoria del 1902 condusse alla fine a inserire le repubbliche boere in una nuova colonia, che sarebbe divenuta il dominion autonomo dell'Unione sudafricana (1910), a prezzo però del mantenimento della loro autonomia amministrativa e dello stesso regime di discriminazione razziale contro la popolazione nera, la quale aveva in gran parte appoggiato i britannici proprio nella speranza di significative riforme. Per uscire dall'isolamento, occorreva trovare interlocutori. Dopo il 1902, così, nella classe dirigente britannica prevalse un riorientamento complessivo, che portò a ritenere centrale il bipolarismo di potenza e la competizione navale con la Germania. Gli stessi imperialisti proposero strategie completamente nuove, come il protezionismo imperiale e un più stretto legame federale della madrepatria con i dominions bianchi. L'alleanza anglo-giapponese del 1902, che era maturata per gestire la patata bollente cinese, fu un primo segnale della disponibilità britannica a stringere intese per difendere le proprie posizioni, anche se restò un fatto periferico rispetto all'Europa. I due paesi si promettevano di mantenere la neutralità in caso di guerra di uno di loro con un'altra potenza, e di offrirsi sostegno reciproco se attaccati da 11 due potenze. Tale alleanza convinse il Giappone a osare di più negli scontri con la penetrazione russa in Cina settentrionale e in Corea, fino alla crisi che doveva precipitare in guerra aperta nel febbraio del 1904. Nello stupore di tutti gli osservatori, la guerra si concluse l'anno seguente con la sconfitta russa (l'enorme esercito mal guidato non riuscì a prevalere in Manciuria, mentre la flotta del Baltico dopo un lungo viaggio fu annientata dai giapponesi a Tsushima). Il fatto che tale scontro russo-giapponese non coinvolgesse i rispettivi alleati, Francia e Gran Bretagna, era comunque un chiaro segnale del miglioramento dei rapporti tra i due paesi a cavallo della Manica. Nell'aprile del 1904 fu infatti annunciata un'intesa cordiale anglo-francese, che assomigliava molto a un'elaborata risoluzione dei contrasti imperiali che da vent'anni dividevano le due potenze: il punto-chiave era il riconoscimento reciproco e definitivo delle rispettive sfere d'influenza francese in Marocco e inglese in Egitto. Nel frattempo, Delcassé era riuscito anche a mutare i rapporti con l'Italia. La politica italiana post-crispina si era orientata a collegare nuove positive relazioni con la Francia sulla trama della Triplice Alleanza. Nel 1902, si arrivò a stringere alcuni accordi politici italo-francesi che stemperavano molto il significato dell'alleanza italiana con Austria e Germania: l'impegno reciproco a mantenere la neutralità se una delle due potenze fosse stata aggredita non era incompatibile con l'ottica difensiva della Triplice Alleanza, ma senz'altro camminava sull'esile linea del giudizio di responsabilità per l'eventuale aggressione, che era una questione politica, non tecnica. Restava il contrasto anglo-russo. Ma esso si era molto de-potenziato, da quando i vertici del governo britannico avevano mutato linea sulla questione ottomana: avendo ormai ottenuto le basi navali di Cipro e Suez, era molto meno importante per Londra controllare il passaggio negli Stretti. La netta e inattesa sconfitta inflitta dai giapponesi ai russi nella guerra del 1904-1905 fece il resto. Tale disfatta fermò i confusi e avventati progetti russi in Estremo Oriente e fece precipitare la crisi dello stesso zarismo. Nel frattempo, il paese sembrava continuare la crescita economica e la politica di riarmo non si fermò. Ma la crisi politica interna indeboliva e rendeva meno minacciose le pressioni imperialiste russe in Asia. Il nuovo ministro degli Esteri Izvol'skij, che si era opposto alla guerra contro il Giappone, puntava a tornare a occuparsi soprattutto dei Balcani. L'accordo anglo-russo del 1907 sulla divisione di sfere d'influenza in Persia, Tibet e Afghanistan fu la logica conseguenza: il Great Game nell'Asia centrale si era quindi ammorbidito. Nello stesso anno il governo zarista negoziava un accordo segreto con il Giappone sugli interessi rispettivi in Manciuria, quasi chiudendo l'eredità della guerra: qualcuno è arrivato a parlare di una Quadruplice Intesa già raggiunta tra Regno Unito, Francia, Russia e Giappone. Di fronte a questi riallineamenti, la diplomazia tedesca si trovò in crescente difficoltà. Per il Reich tali tendenze segnavano la fine dell'ascesa calcolabile verso il potere mondiale. 3. Sviluppo della potenza americana e reazioni nazionaliste anti-imperiali Proprio alla citata Conferenza di Algeciras fece per la prima volta la sua comparsa in un appuntamento europeo la delegazione di una nuova potenza: quegli Stati Uniti che fino a quel momento avevano mantenuto fede alla logica della distinzione dei due «mondi» continentali, separati dall'Atlantico. Il primato produttivo statunitense non era ancora collegato a una dimensione commerciale e nemmeno finanziaria equivalente: il paese era ancora importatore netto di capitali ed era molto concentrato sul suo enorme mercato interno, oltre che socialmente instabile. Dopo il 1910, però, tale economia era ormai avviata a competere non più solo con le altre economie nazionali, ma per certi aspetti con il continente europeo come tale. La ricerca di «nuove frontiere» era un tema molto diffuso nel paese. L'evento scatenante che rese palese il potenziale nuovo ruolo mondiale degli Stati Uniti fu la questione di Cuba, dove si era riaccesa nel 1895 una guerra civile, a seguito di una rivolta dei coloni contro il governo spagnolo, che usò metodi molto repressivi. Il presidente McKinley, sotto la pressione del Congresso e della nuova stampa popolare 12 della catena Hearst, si mostrò più propenso dei predecessori a intervenire: un ultimatum alla Spagna per ottenere un armistizio a Cuba condusse alla guerra ispano-americana del 1898. La rapida guerra vittoriosa ebbe conseguenze durature per gli Stati Uniti: in primo luogo si avviò una sorta di protettorato informale sull'isola caraibica, che rimase uno Stato semindipendente. Ma non solo: l'influenza mondiale statunitense si allargò ulteriormente con la conquista di Portorico, di Guam nel Pacifico e soprattutto delle Filippine. Tale vicenda dava una nuova e palese dimensione all'imperialismo americano, dando vita a un grande dibattito interno al paese e aprendo la fase in cui era necessario ormai uscire dalla rapsodicità precedente di iniziative e costruire una vera e propria linea di politica estera. La figura che meglio impersonò questi sviluppi fu Theodore Roosevelt, divenuto presidente dopo l'assassinio di McKinley nel 1901. La presidenza Roosevelt si qualificò soprattutto per la politica decisa condotta in America centrale: un corollario alla «dottrina Monroe», proclamato nel 1904, affermava il diritto nordamericano di svolgere un'attiva «polizia internazionale» nella zona caraibica, dove si era alle prese con governi deboli e incerti e soprusi di ogni tipo verso i diritti dei cittadini dell'Unione. La citazione di un vecchio detto che parlava della necessità di parlar piano ma di portare un big stick (grosso bastone) per farsi sentire, alludeva all'aspetto sbrigativo degli interventi americani nell'area, ispirati peraltro a una retorica pedagogica nei confronti di popoli «arretrati». Individuata come zona opportuna l'istmo di Panama, fu perseguito un tentativo di accordo con il governo di Bogotà, che possedeva la sovranità sulla zona. Ma il fallimento del negoziato apri la strada a metodi più spicci: una rivolta locale contro il governo colombiano, favorita apertamente da emissari americani, condusse nel 1903 all'indipendenza di una nuova piccola repubblica, iI cui governo si affrettò a concedere agli Stati Uniti, in cambio di un compenso economico, la sovranità sulla zona dove le imprese americane costruirono il canale, inaugurato nel 1914. L'interesse per la nuova via di comunicazione era senz'altro commerciale, dato che essa accorciava notevolmente le vie marittime tra le due coste degli Stati Uniti, e anche tra i porti statunitensi e quelli dell'America Latina. Si completava però con un nuovo significato strategico, da quando gli Stati Uniti avevano avviato la costruzione di una flotta da guerra. La frenesia dell'espansione verso nuovi mercati tramite rotte e punti d'appoggio da costruire e rendere sicuri contrastava però paradossalmente con le condizioni di un paese in cui il mercato interno in continua espansione rimaneva fortemente prevalente: le esportazioni non superavano il 7% del Pil, come in tutto il secolo precedente, mentre le tariffe doganali protezioniste restavano alte. Alla vigilia della guerra, gli Stati Uniti avevano inoltre ancora scarsi investimenti finanziari all'estero, rispetto a quelli delle maggiori potenze europee. È interessante notare che la crescita della potenza statunitense venne avvertita dalla classe dirigente inglese come una minaccia molto minore dell'affermazione tedesca. Il Vecchio Mondo era quindi impegnato a estendere il suo controllo sulla parte meno sviluppata del pianeta. Proprio in questo vertice del potere europeo si annidavano però i primi sintomi di un'inversione di tendenza. L'imperialismo europeo nella sua fase ascendente aveva suscitato resistenze in genere passive e perdenti, attestate su un’impossibile difesa della tradizione. Già negli ultimi decenni del secolo emerse però una nuova prospettiva: in alcuni settori delle élite indigene dei paesi dipendenti si radicarono culture e competenze tipicamente europee, che furono tradotte nell'invenzione di nuovi nazionalismi, moderni per cultura e metodologie di mobilitazione, quanto antieuropei per finalità. Obiettivo comune diventava tentare di consolidare statualità autonome capaci di proteggere timidi incipienti sistemi produttivi industriali. Scoppiarono in diverse parti del mondo rivoluzioni contro governanti locali. ↓ Il caso del Messico fu rilevante: il lungo regime oligarchico militare-amministrativo di Porfirio Díaz aveva consolidato lo Stato dopo le incertezze e i dibattiti del periodo indipendentista e la sconfitta nella 13 guerra contro gli Stati Uniti di metà secolo. Ma all'inizio del 900 entrò in crisi: la pur rilevante crescita economica affidata in parte agli investimenti stranieri (un quarto circa del capitale) produsse dualismi nel paese e insoddisfazioni sia per la rottura degli equilibri agricoli tradizionali che per nuove esigenze di modernizzazione borghese. Il crollo della dittatura nel 1910 doveva aprire una dura fase di guerra civile, che fu stabilizzata solo dieci anni dopo, a seguito del conflitto mondiale, conoscendo ondate di rivolte contadine, di agitazioni indie, di proteste sindacali. All'inizio del XX secolo, altre rivoluzioni scoppiarono in paesi dalla lontana e alta tradizione di civiltà musulmana, in quel momento ridotti in condizione di semindipendenza nel circuito imperialistico. - Più incisivo fu un iniziale patriottismo egiziano, che aveva un obiettivo polemico diretto nell'occupazione britannica è che era molto «europeo» nelle forme di agitazione politica, ma al contempo era orgoglioso dell'eredità islamica e araba, senza essere per niente attirato dal panarabismo. - Analogo è il discorso da fare per l'Estremo Oriente, soprattutto la vittoria nipponica nella guerra russo-giapponese del 1905, il primo successo militare di un paese extraeuropeo contro una grande potenza europea, suscitò una scossa. Nel 1910 il Giappone annesse la Corea e nel 1911 eliminò le ultime limitazioni alla propria autonomia internazionale, uscendo quindi definitivamente dopo mezzo secolo dalla subordinazione al «sistema europee». La volontà di imitazione dilagò in buona parte dell'Asia e nelle élite colte di vari paesi sottomessi. - In Cina il nazionalismo moderno comparve all'inizio del secolo, con la fondazione di un Lega Giurata. Tale forza raccolse il consenso di molti cinesi che avevano studiato in Giappone e si ispiravano a quel modello di successo, così diverso dalla decadenza cinese. Così, una rivoluzione scoppiata localmente nel 1911 creò un'alleanza tra la Lega e una parte della dirigenza militare, ponendo fine al regime imperiale e instaurando la repubblica. Il suo consolidamento costituzionale fu però difficile. Sun Yatsen fondò un Guomindang (Partito nazionale del popolo), che intendeva fondare il nuovo regime sui «tre principi fondamentali del popolo» (indipendenza nazionale, democrazia e benessere). Il nuovo governo si pose il duplice obiettivo di far della Cina un membro «civile» della società internazionale a tutti gli effetti (con riforme nel campo dell'alfabetizzazione e della modernizzazione dei trasporti e dell'economia), oltre che di abolire i trattati ineguali che erano stati imposti dalle potenze europee. Il risultato fu largamente mancato gettando la Cina in una lunga crisi, che vide lo spezzettamento estremo del governo stesso del territorio e l'intensificazione del controllo imperialistico informale delle potenze europee e del Giappone. 4. La dimensione di massa dei “nazionalismi integrali” Dalla fine dell'800 aumentò generalmente l'organizzazione e la dimensione dei ministeri degli Esteri. Crebbe fortemente anche l'interesse del vasto pubblico per i problemi mondiali. La crescita delle tirature dei giornali quotidiani caratterizzò tutte le società europee: in alcuni casi si assistette a un boom verticale. La stampa popolare di fine secolo raggiunse nuovi strati sociali, come quelli medio e piccolo-borghesi recentemente alfabetizzati, trattando le relazioni internazionali in modo adeguatamente spettacolarizzato, spesso in chiave nazionalista e imperialista radicale. Il controllo di tale ondata di nuovo interesse «popolare» per le dinamiche internazionali sfuggì però ben presto dalle mani dei governi. I nazionalismi di massa presero a condizionare le scelte politico-diplomatiche e si rivelarono difficili da moderare quando la diplomazia imponeva atteggiamenti realisti e pragmatici. Dal tronco della cultura nazionale si erano sviluppate infatti posizioni di «nazionalismo integrale», che facevano dell'affermazione della potenza nazionale un obiettivo politico assoluto. In molti Stati conobbero slancio partiti e movimenti aggressivi e bellicisti, che erano in fondo ancora minoranze, ma raggruppavano migliaia di iscritti. 14 Un «radicalismo nazionalista» tedesco si dispiegò proprio negli anni '90, parallelo alle prime mosse del nuovo corso politico con la fondazione della Lega Pangermanica che pose l'obiettivo di costruire una «più grande Germania», che riunisse tutte le popolazioni tedesche (Lega Navale). In Gran Bretagna, verso la fine del secolo, comparve il vero e proprio jingoismo innestato sull'imperialismo emotivo degli anni 70 e sostenuto dai giornali popolari come il «Daily Mail» di Harmsworth, o il successivo «Daily Express». In Francia la radicalizzazione del nazionalismo a sfondo «sociale» fu evidente negli anni della crisi di fine secolo. Lo «sciovinismo» francese (parola derivata da Nicolas Chauvin, nome forse fantasioso di un tipico soldato ingenuo e patriota dell'Impero napoleonico) si avvitava sulla presunta contrapposizione secolare attorno alle rive del Reno. Nel giovane Regno italiano questa pressione si nutrì delle dottrine di Enrico Corradini e della rivista «il Regno»: riprendendo una terminologia socialista, essi parlavano delle «nazioni proletarie», che dovevano partecipare alla competizione internazionale con la forza della loro pressione demografica e del loro lavoro, contro il potere costituito della ricchezza. Nel 1910, la nascita di un'Associazione nazionalista italiana rappresentò il segnale di una volontà di trasformazione partitica del piccolo gruppo di pressione nazionalista, che restò molto influente nel magmatico Partito costituzionale liberale. Il suo impatto emotivo nell'opinione pubblica fu enfatizzato dalla vicinanza di popolari poeti come Gabriele D'Annunzio. Anche all'interno di Stati e società più tradizionali, come gli imperi asburgico e zarista, queste tendenze nazionaliste ebbero forte presa. Il partito del «nazionalismo integrale», nella sua radicalizzazione strutturale, non poteva che sfociare in una guerra civile, sia sul piano europeo che su quello nazionale. - Da una parte, infatti, spazzava via ogni residua convinzione e fiducia in un tessuto europeo comune, di fronte alla volontà di potenza nazionale. Non restava più nessuna efficacia di quella visione «comunitaria» della società internazionale che si era trasmessa lungo l'800, nelle forme diverse che abbiamo incontrato. - D'altra parte, giungeva a dividere profondamente anche il tessuto sociale e politico interno dei diversi paesi chi non condivideva le loro posizioni auto-definitesi dei «veri difensori della nazione» era per ciò stesso accomunato nella categoria dei nemici o dei traditori. Il movimento pacifista liberale e radicale delle Società per la pace continuò a sostenere l'idea di un'organizzazione giuridica internazionale della pace, nonostante la sempre maggiore divaricazione rispetto alle tendenze politiche concrete. Negli ambienti del pacifismo democratico, nacque alla fine del secolo il progetto di sostenere le proprie idee tramite una manifestazione che riconoscesse ogni anno una persona o un'istituzione che si fosse distinta nella realizzazione della pace. L'idea fu finanziata con un lascito dell'eccentrico chimico e finanziere svedese Alfred Nobel. Il primo premio Nobel per la pace fu attribuito nel 1901. Ma si deve anche ricordare che sia la guerra anglo-boera che la guerra ispano-americana suscitarono in Gran Bretagna e negli Stati Uniti significativi movimenti critici, antimperialisti e pacifisti. Fece la sua apparizione in questo periodo anche un più radicale movimento antimilitarista, imperniato sull'obiezione di coscienza assoluta del singolo individuo al comandamento statale di uccidere nel corso di una guerra. Tutte queste tensioni e riflessioni ebbero però molta difficoltà ad affermarsi nelle società europee di inizio secolo, uscendo da ambienti ristretti e spesso elitari. 15 5. Il bipolarismo instabile e le crisi di inizio secolo: la polveriera balcanica La storia internazionale dopo il 1907 vide una serie ormai continua di incidenti, di tensioni, di crisi, di vere e proprie «prove di forza» tra le potenze europee, che indussero pericolosamente a pensare alla fatalità di uno scontro decisivo. Le crisi tornarono a scoppiare primariamente sul terreno europeo-mediterraneo, contrapponendo soprattutto il blocco austro-tedesco e quello franco-russo. Inoltre, il ruolo britannico era ancora molto particolare, anche se la coscienza di un'irriducibile contrapposizione alla Germania era sempre più chiara nel paese e nell'opinione internazionale. La corsa competitiva agli armamenti fu poi un altro elemento decisivo di minaccia per l'equilibrio. Già dal 1890 le maggiori potenze raddoppiavano le proprie spese militari ogni decennio. Le preoccupazioni per il rafforzamento futuro del blocco avversario (reale o presunto che esso potesse essere) giocavano infatti un ruolo importante nel rendere più accettabile a molte cancellerie l'idea di una guerra preventiva. In questo quadro, la già inquieta “polveriera balcanica” rischiò a più riprese di incendiarsi, con conseguenze sempre più globali. Il dualismo austro-russo tornò a essere molto teso nel 1906, dopo un quindicennio di sostanziale distensione. L'Austria-Ungheria si trovava in difficoltà crescente di fronte alla sfida dei nazionalismi. Sotto i due gruppi dominanti ne erano ufficialmente riconosciuti ben nove (cechi, slovacchi. sloveni, croati, serbi, romeni, ruteni, polacchi e italiani). Nel 1908 scoppiò la crisi bosniaca. Il ministro degli Esteri austriaco Aehrenthal intendeva abbandonare gli ambiziosi piani di influenza ed espansione economica verso Salonicco (città greca), coltivati trent'anni prima a Vienna, lasciando alla Turchia il piccolo Sangiaccato di Novi Pazar e decidendo invece l'annessione della sola Bosnia-Erzegovina, di cui era in scadenza il trentennio di amministrazione concesso al Congresso di Berlino. Era una scelta di raccoglimento delle forze, per bloccare qualsiasi speranza dei serbi di allargamenti futuri. Il governo austriaco concordò la mossa con San Pietroburgo, promettendo in cambio un sostegno alle rivendicazioni russe su Costantinopoli, ma Izvolskij si sentì raggirato all'annuncio unilaterale dell'annessione prima che altre potenze potessero approvare le ragioni russe. Bulow sostenne con decisione le scelte austriache, fino a imporre alla Russia di riconoscere il mutamento. Tornava quindi a presentarsi la prassi pericolosa di imporre modificazioni unilaterali dell'assetto europeo minacciando l'uso della forza. L'Italia dal canto suo vide delusi e irrisi i propri obiettivi di influenza nella stessa regione, nonostante la promessa di compensi contenuta nel Trattato della Triplice, in caso di mutamenti dello status quo. Nel marzo del 1911 si innescò un'altra crisi sulla situazione marocchina. Disordini a Fez con l'intervento della polizia francese portarono a una vera occupazione militare, che la Germania ritenne una violazione degli accordi di Algeciras. L'invio dell'incrociatore Panther ad Agadir simboleggiò una nuova esibizione di muscoli. Il governo francese di Joseph Caillaux resistette, appoggiato diplomaticamente in modo aperto da Londra, oltre che dall'alleata San Pietroburgo. Nel giro di alcuni mesi, fu però elaborato un altro compromesso, che attribuiva alla Germania qualche compenso territoriale in Camerun in cambio del riconoscimento del Protettorato francese del Marocco. In Germania questa acquisizione si collegò ad ambiziosi disegni di una futura spartizione delle colonie portoghesi o dello stesso Congo (su cui nel 1913 si sarebbe raggiunto addirittura un accordo con la Gran Bretagna, che non fu però ratificato). Tale soluzione creò comunque ulteriore frustrazione negli ultranazionalisti dei due paesi: all'inizio del 1912 Caillaux dovette dimettersi, sostituito dal duro antitedesco Raymond Poincaré, che un anno dopo divenne presidente della Repubblica, continuando peraltro a gestire la politica estera. 16 La modificazione dello status quo marocchino indusse anche il governo italiano di Giovanni Giolitti a prendere l'iniziativa conquistando Tripolitania e Cirenaica, operazione lungamente preparata per via diplomatica. Le ostilità con l'Impero Ottomano, aperte nel settembre del 1911, non videro vittorie militari folgoranti, ma condussero a proclamare sollecitamente l'annessione della futura colonia di Libia. La guerra si estese all'Egeo. In questo quadro si spiega la costituzione da parte di Serbia, Bulgaria, Montenegro e Grecia di una poco compatta Lega Balcanica, sostenuta diplomaticamente dalla Russia, con l'obiettivo di cacciare gli ottomani dai Balcani. La Prima guerra balcanica contro i turchi, nell'ottobre del 1912, ottenne un grande successo militare. La vittoria non impedì però la rapida e drammatica autodistruzione della Lega. La Bulgaria, infatti, non accettò la mediazione russa per la divisione dei territori conquistati, e contro di essa si formò un'alleanza degli altri membri della Lega originaria, cui si aggiunsero la Romania e la stessa sconfitta Turchia. La Seconda guerra balcanica del giugno del 1913 portò alla sconfitta bulgara. Le guerre balcaniche rafforzarono ulteriormente questi eccitabili micronazionalismi, che si impegnarono in una drastica opera di omogeneizzazione dei territori acquisiti. Il conflitto era stato per il momento localizzato, ma gli attriti locali si inserivano nella tensione generalizzata del continente. In diverse occasioni fu sfiorato l'allargamento dello scontro. Il governo austriaco si senti sempre più isolato, mentre i bulgari ruppero la precedente solidarietà con la Russia, causando nuove preoccupazioni a San Pietroburgo, dove crebbe un partito della guerra contro l'Austria, mentre il governo francese sosteneva le posizioni più rigide dell'alleato nei Balcani. Di fronte a queste crescenti difficoltà, a Berlino si cominciò a riflettere sul proprio esclusivo sostegno alle delicate e compromettenti posizioni asburgiche. Al contempo, la delusione per la mancata redistribuzione dei territori coloniali tornò a focalizzare l'attenzione sul continente europeo. Si discusse il progetto di una Mitteleuropa a guida tedesca, spinto fino a inglobare gli Stati balcanici, prolungandosi poi nelle posizioni di influenza acquisite nell'Impero ottomano. Tale prospettiva esprimeva il contemporaneo rafforzamento delle posizioni dell'esercito rispetto a quelle della marina, nella dialettica di potere interna al Reich. Era un'ipotesi che poteva allontanare le tensioni con la Gran Bretagna, con cui infatti Bethmann-Hollweg cercò una mediazione rispetto alla corsa navale: gli inglesi però non accettarono la proposta di promettere neutralità in qualsiasi caso di conflitto continentale, in cambio della rinuncia tedesca alla parità navale. Tale linea approfondiva invece ulteriormente il dualismo russo-tedesco. La maggiore debolezza di questa prospettiva di influenza continentale era però costituita dalle dimensioni ancora limitate delle risorse finanziarie che il sistema economico tedesco poteva mettere in campo. 17 CAPITOLO 3 - LA GRANDE GUERRA E IL TENTATIVO DI UN NUOVO ORDINE COOPERATIVO: LA FRAGILE STABILIZZAZIONE INTERNAZIONALE La crisi dell’estate 1914 ebbe due facce: se da un lato era simile ad altre crisi già affrontate pochi anni prima, dall’altro la situazione sfugge di mano molto facilmente, coinvolgendo tutte le grandi potenze europee. Si vengono a creare due fronti: 1. Germania e Austria-Ungheria (imperi centrali) 2. Francia, Russia e Gran Bretagna (Triplice intesa) A questi due schieramenti furono poi rapidamente coinvolti anche l’Impero Ottomano (a fianco degli imperi centrali) e il Giappone (a fianco della Triplice intesa). La guerra assume dimensioni di massa, coinvolgendo tutte le società, persino quella statunitense che entrerà in guerra nel 1917. Diventa uno scontro di logoramento reciproco (senza possibilità di compromesso), con una radicalizzazione delle forme di conflitto, fiammate nazionaliste generalizzate, e spiazzamento delle consuete procedure diplomatiche e mediatorie. Il logoramento portò molti protagonisti vicini al crollo statuale come il caso del crollo dell’impero zarista, nel 1917. Alla fine della guerra, furono gli imperi centrali a non riuscire a reggere la prosecuzione delle ostilità. Alla fine della Grande Guerra si diffonde tra i protagonisti l’idea che non bastasse raggiungere una pace qualsiasi. Infatti appariva l’esigenza di ricostruire un ordine mondiale che ambisse a essere duraturo (almeno quanto quello di Vienna). Inoltre il crollo dei grandi imperi multinazionali europei apriva la strada a una nuova ondata di affermazione del principio di nazionalità e della democrazia. Quindi occorreva legittimare in modo ideologicamente nuovo la cooperazione tra questi Stati. Su questo terreno si batté fortemente il presidente americano Woodrow Wilson (14 punti). La difficoltà nel realizzare un nuovo ordine condiviso apparve evidente sin da subito nella Conferenza di Parigi (1919) → le potenze vincitrici intendevano consolidare i propri sistemi imperiali. La politica di forza e il principio di nazionalità stanno alla base delle contrattazioni e la nascente Società delle Nazioni, proposta dal presidente statunitense Wilson (poi bocciata dal senato americano) ha solo un ruolo marginale, infatti potè soltanto affiancare e non sostituire la politica di potenza. A Versailles (qui viene firmato il trattato di pace con i tedeschi) mancava la guida, in quanto non emerse né una potenza dominante in grado di imporlo, né una solidarietà convinta tra i maggiori vincitori. La prima metà degli anni Venti vede una stabilizzazione europea soprattutto grazie alla ripresa economica, ma la politica ha ancora delle tensioni risolte. 1. Guerra prevista, guerra casuale: il 1914 e lo contro europeo per il primato mondiale Si può giudicare lo scoppio della guerra nell’agosto 1914 come un evento indubbiamente casuale, contingente e quasi imprevedibile, ma anche come la conclusione logica e prevista di una concatenazione di atti precedenti. - casuale e contingente: è una tra le tante crisi internazionali, analoga ad altre che erano state mediate con compromessi ma che questa volta sfuggì di mano ai protagonisti - prevista: c’è un nuovo modo di pensare la guerra→ era andato via a via a svanire la distinzione ottocentesca tra guerre permesse (guerre viste come continuazione della politica con altri mezzi) e guerre non pensabili (rischiose per la stabilità e per la sopravvivenza del sistema). Questo nuovo modo di pensare la guerra si era sviluppato sullo sfondo delle nuove tendenze culturali, segnate: - da un lato, da esuberanti individui (come D’Annunzio e Nietzsche) che esaltavano la militanza e bellicosità dell’affermazione di un nuovo mondo 18 - dall’altro troviamo i timori di "decadenza” della civiltà moderna europea, arrivata al vertice dell’influenza mondiale Lo scoppio “ufficiale” della Prima Guerra Mondiale, avviene con l’assassinio a Sarajevo (giugno 1914) dell’erede al trono d’Austria Francesco Ferdinando, da parte dello studente serbo-bosniaco Gavrilo Princip, militante del gruppo terroristico panserbo Mano Nera (Unione o morte). La Mano Nera è un gruppo nazionalista serbo nato nel 1911 sull’onda dei fatti avvenuti nel 1908-1909, ovvero l’annessione della Bosnia da parte dell’Impero Austro-Ungarico, alla quale sia la Serbia che la Russia avevano provato ad opporsi senza successo. Lo scopo dell’organizzazione era l’unificazione degli slavi del sud, cominciando dall’annessione della Bosnia dove la minoranza serba era molto numerosa. Vienna ritiene la Serbia responsabile dell’attentato e invia il 23 luglio un ultimatum che contiene richieste difficilmente accettabili (come la libertà completa di indagine della polizia austriaca in territorio serbo contro i terroristi e la fine della propaganda antiaustriaca). Il governo della Serbia accetta solamente in parte questo ultimatum. Allora Vienna rompe tutte le relazioni austro-serbe e avvia una serie di pesanti bombardamenti su Belgrado. La Russia quindi mobilita l’esercito in funzione anti-austriaca, minacciando la guerra per evitare che la monarchia slava venisse schiacciata. Dopo le vicende del 1913 e la rottura con la Bulgaria, la Serbia era l’unico fedele alleato balcanico. San Pietroburgo rifiutò di sospendere la mobilitazione nonostante le minacce di Berlino. La Germania quindi si schiera a sostegno dell’Impero austro-ungarico (dopo una logica di rischio calcolato), come risposta alla sfida russa. Alla mossa tedesca, segue la proclamazione francese dello stato d’emergenza, alleandosi con la alleanza con la Russia. Dopo diverse titubanze e rifiuti d’intervento, a questa alleanza si schiera anche la Gran Bretagna, in seguito all’invasione tedesca del Belgio neutrale (piano Schlieffen), per impedire la caduta della Francia e la conseguente egemonia tedesca (contro la quale aveva già in ballo la guerra navale). - 28 luglio l’Impero austro-ungarico dichiara guerra alla Serbia - La Germania si allea a impero-austro ungarico→ nel 1879 venne stretta la Duplice alleanza con la quale i due sovrani si promettevano vicendevole sostegno in caso di aggressione russa. - Russia (protettrice dei serbi) dichiara guerra a Germania e Impero austro-ungarico - 3 agosto la Germania dichiara guerra alla Francia (schierata a fianco dei Russi) - 4 agosto la Gran Bretagna entra in guerra a fianco della Francia e della Russia La guerra balcanica era divenuta rapidamente una guerra europea. Non ha senso indicare un solo responsabile della guerra in quanto anche il comportamento politico austriaco o russo appare molto rischioso. Nonostante ciò, la premeditazione e la preparazione dell’aggressione in vista di un progetto espansionista da parte tedesca, ci portano a dare la colpa a loro come “avviatori della guerra”. Questa è la prima guerra geograficamente paneuropea (relativa a tutta l’Europa), anche se con l’ingresso della Gran Bretagna si sposterà su un orizzonte globale. I paesi neutrali restano pochissimi: Paesi Bassi, Spagna, Norvegia, Svezia, Finlandia e Svizzera. Nell’ottobre del 1914 a fianco della Germania e dell’impero austro-ungarico si aggiunsero la Bulgaria e l’impero ottomano (il governo influenzato dai Giovani Turchi era sempre più angosciato dal 19 mantenimento dell’unità dell’Anatolia e temeva espansionismo russo mentre i tedeschi speravano di poter utilizzare il ruolo del sultano-califfo per lanciare una campagna musulmana anti-inglese in Egitto). Dall’altra parte alla Triplice Intesa si si aggregano Romania, Giappone (che occupò rapidamente l’impero coloniale tedesco in Oriente) e dopo diverse incertezze anche l’Italia. Triplice Alleanza Triplice Intesa Austria-Ungheria, Germania, Impero Ottomano, Russia, Francia, Gran Bretagna, Giappone, Italia, Bulgaria Romania Il caso italiano Il governo del liberale conservatore Salandra, che si era appena sostituito a Giolitti, nell’agosto del 1914, proclamò la neutralità. Ma nel giro di qualche settimana all’interno del Paese di aprì un ampio e travagliato dibattito politico caratterizzato da due fronti: 1. Fronte interventista→ socialisti rivoluzionari, d’Annunziani, nazionalisti, liberali progressisti, irredentisti (volevano annettere all’Italia le terre irredente ovvero il Trentino e il Friuli che si trovavano nelle mani dell’impero austro-ungarico), democratici radicali (combattere fronte tedesco e affermare il principio di nazionalità contro l’Austria conservatrice), sindacalisti rivoluzionari e socialisti intransigenti (favorire possibili soluzioni sovversive e innescare la rivoluzione). 2. Fronte neutralista→ liberali giolittiani, socialisti, cattolici (Papa Benedetto XV aveva elevato delle parole contro la guerra “suicidio dell’Europa civile”). La decisione, se entrare o meno in guerra, viene gestita in segreto (ad insaputa dal Parlamento) dal re, presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri Sonnino, che nell’aprile del 1915 firmano il Patto di Londra. In caso di vittoria, l’Italia avrebbe avuto il completamento dell’unità nazionale con le terre irredente (Trento, Trieste) + espansione territoriale sull’Adriatico (Istria e gran parte della Dalmazia, abitate da molti slavi). Quindi l’Italia entra in guerra nel 1915 contro l’Austria, a sostegno della Triplice Intesa. Molti ambienti ipotizzano una guerra rapida e all'inizio lo è, con l’invasione tedesca al Belgio, ma subito dopo si crea il sistema di trincee. Infatti dopo le prime settimane di apparente guerra di movimento: - Fronte occidentale→ la Germania attraverso il Piano Schlieffen (invasione Belgio e Lussemburgo come via di accesso per la Francia) voleva invadere la Francia. Questo piano si rivelò impossibile da attuare soprattutto per i limiti logistici di spostamento delle risorse necessarie. L'offensiva tedesca fu arginata sulla Marna. - Fronte orientale→ battaglia di Tannenberg in Prussia orientale arrestò l’imprevista offensiva russa. Anche sul mare si viene a creare una situazione simile in cui i sottomarini tedeschi boicottavano i rifornimenti inglesi. Si tratta di una situazione tutt'altro che stabile, dal momento che una serie continua di offensive e controffensive senza molto costrutto strategico consumava continuamente materiali e innumerevoli vite. La configurazione dei due fronti contrapposti mette in campo le premesse di un lungo duello di reciproco logoramento e di massa, coinvolgendo tutti nella produzione di rifornimenti. Le due alleanze risultavano potenzialmente squilibrate a favore dell'Intesa, anche se gli imperi centrali potevano contare su una maggiore compattezza territoriale e su una preparazione bellica forse più 20 avanzata. Il blocco sostanziale dei commerci indebolì gli imperi centrali, anche perché la marina inglese poteva escludere tutte le merci extraeuropee dell'approdo in Germania. La Grande Guerra diventa il primo conflitto veramente moderno. La necessità di coinvolgere tutte le risorse economiche e umane dei paesi nel conflitto portò con sé la mobilitazione della società: allargamento smisurato di eserciti portò alla militarizzazione di fabbriche e delle città. L’ampiezza della mobilitazione innalzò le spese di guerra. Occorrevano quindi, nuove misure per l’approvvigionamento dello sforzo militare e della popolazione civile. Una novità è la collaborazione economica tra paesi alleati. Per il finanziamento delle inaspettate amplissime spese, nessun governo volle inasprire le fiscalità, e di conseguenza gli Stati iniziano a indebitarsi: - Francia e Germania chiedono prestiti alle banche - Gran Bretagna all’inizio si indebita con obbligazioni collocate sulla borsa, ma poi anche lei si indebita con i capitali americani Quella dell’epoca si tratta di una società in cui lo spirito pubblico è sottoposto a pressioni inaudite, per cui le improvvise maggioranze di unità nazionale si trovano a dover mettere in atto meccanismi propagandistici e retorici sempre più sofisticati per controllare e conquistare il consenso sociale. In questo clima trovarono spazio la brutalità e massacri di popolazioni civili in termini molto più duri del passato - dall’occupazione austriaca della Serbia a quella tedesca del Belgio (si diffuse la notizia falsa del fatto che gli occupanti tagliassero le mani dei bambini belgi), dagli spostamenti forzati di popolazioni ai confini dell’Impero russo. 2. La guerra compiutamente mondiale: il tornante del 1917 Tutti i tentativi di compromesso che aleggiano nei primi due anni di guerra o le ricorrenti ipotesi di pace separata sono frustrati. Tutte le mediazioni falliscono, inclusa quella tentata dal vaticano→ Papa Benedetto XV nell’agosto 1917, scrive la famosa Nota in cui definisce il conflitto come una inutile strage. Tutte le potenze entrate in conflitto invece di cercare una pace che desse loro una vittoria parziale, cercarono una vittoria che desse loro una pace definitiva. Intanto, ogni potenza cerca di predisporre accordi per il futuro con i propri alleati, che pervenissero non il ripristino dello status quo (ripristinare la situazione che esisteva prima della guerra) ma anche soddisfare gli appetiti nazionalistici (come il patto di Londra del 1915). Nel 1915 alla Russia viene promesso il controllo di Costantinopoli, mentre l’Italia si inserisce in un piano di spartizione della penisola anatolica. Francia e Gran Bretagna progettano la divisione di sfere d’influenza nelle regioni arabe dell'Impero ottomano con l’accordo di Sykes-Picot. Intanto Wilson riesce anche a far limitare provvisoriamente la guerra sottomarina indiscriminata tedesca, che infrangeva il diritto internazionale→ affondano senza preavviso navi mercantili con passeggeri neutrali e quindi anche americani. Su questa base si costruisce la propria immagine di potenziale mediatore del conflitto da una posizione di superiorità morale. Infatti, alla fine del 1916, lanciò la proposta a tutti i governi di rendere pubblici i propri “scopi di guerra” in vista di una “pace senza vittoria”. Il 1917 costituisce un vero tornante del conflitto. Snodo concettuale fondamentale→ I sistemi nazionali coinvolti nei conflitti cominciano a traballare, la ciclicità della guerra non regge più alla pressione sempre più esasperata. Entrano in gioco: - La Rivoluzione Russa - L’intervento statunitense 21 La Russia zarista crolla per prima sotto il peso della guerra, precipitando nella spirale rivoluzionaria bolscevica: l’esercito era percorso da insubordinazioni crescenti, consigli operai (soviet) spuntavano nelle fabbriche, le campagne senza manodopera ribollivano in agitazione. Dopo il rifiuto della guardia imperiale di sparare sui dimostranti a Pietrogrado, lo zar Nicola II abdica, e inizia un governo provvisorio presieduto prima dal principe L’vov e poi dal socialrivoluzionario Kerenskij. Il governo provvisorio cercò di proseguire lo sforzo bellico ma con scarso successo. Nell’ottobre del 17 sale al potere Lenin, promettendo di realizzare la pace→ si tratta di una pace senza annessioni né indennità. L’Italia riesce a resistere alla disfatta di Caporetto (ottobre del 1917) contro gli austriaci. La tenuta dell’esercito italiano fu messa a dura prova con i vertici disorientati. Il Paese ne uscì solo grazie a una dimensione difensiva assunta dalla guerra. Il fragile accordo tra i dominanti interventisti e una parte degli ex neutralisti si ispirò a una nuova esigenza di salvare la patria in pericolo. In Germania la crisi è altrettanto profonda. Il programma Hindenburg dell’agosto 1916 aveva impostato un’enorme espansione della produzione di armi e un controllo rigido della società e dell’economia, a prezzo dell’aumento dell’inflazione e di notevoli difficoltà nell’approvvigionamento di generi di prima necessità. In Austria-Ungheria l’esplosione della convivenza delle diverse nazioni si accelera nonostante l’ipotesi di avviare delle riforme pensate dall’imperatore Carlo I. I governi francese e inglese si verticalizzano ulteriormente. Il peso finanziario della guerra cresce sempre di più→ alcune insensate offensive francesi e inglesi sul fronte occidentale causano sbandamenti e diserzioni nei rispettivi eserciti. L’esigenza di gestire la stanchezza popolare e il crescente rifiuto della guerra condusse su posizioni sempre più nazionaliste. La Germania decise di riprendere la guerra sottomarina indiscriminata che si sapeva avrebbe provocato in maniera insostenibile il presidente americano Wilson. Nel 1917 gli Stati Uniti entrano in guerra, associandosi alle potenze dell’Intesa (non alleandosi). Sono diversi i motivi per cui gli Stati Uniti entrano in guerra: - la guerra sottomarina tedesca alla Gran Bretagna (che chiude il commercio con gli USA) - incidente diplomatico: viene rivelato un piano tra Messico e Germania in funzione anti-USA - affermare solidarietà con la civiltà europea occidentale - salvaguardare l'interesse commerciale ed economico con i paesi dell’Intesa Wilson arrivò solo con molti dubbi a convincersi dell’intervento, dopo aver condotto la vittoriosa campagna elettorale del 1916 all’insegna dei meriti della neutralità. Il presidente sottolineò il fatto che gli USA intendevano associarsi e non allearsi con le potenze dell’Intesa. Trovandosi a dover intervenire nelle decisioni europee per la prima volta, Wilson crede che il modello americano non doveva solo difendersi dal Vecchio Mondo, ma anche guidare il sistema internazionale verso nuovi orizzonti. Così nel gennaio del 1918 pubblica i 14 punti in vista della pace, che si basano sul principio di autodeterminazione. I 14 punti presentavano alcuni obiettivi generali (trattati pubblici senza segreti, libertà di navigazione e commercio, limitazioni agli armamenti, regolazione coloniale con attenzione a popoli soggetti) e altri specifici su singoli Paesi (ricostituzione Belgio e Polonia, evacuazione di Francia, Russia, Romania, Serbia, regolazione secondo nazionalità dei problemi asburgici, italiani e ottomani). Nel marzo del 1918, i tedeschi riescono finalmente a chiudere il fronte russo, con il trattato di Brest-Litovsk. Il trattato segna la definitiva uscita dal conflitto da parte della Russia. Nel trattato, l’ex Impero russo perdeva i Paesi baltici, la Finlandia, la Polonia e parte della Bielorussia, cedeva alla Turchia i territori 22 caucasici di Batumi, Kars e Ardahan e doveva riconoscere l’indipendenza dell’Ucraina. Il governo bolscevico doveva rinunciare a un terzo della popolazione del paese, come pure alla quasi totalità della produzione di carbone, alla metà degli impianti industriali e dei bacini agrari. La Germania voleva chiudere rapidamente il fronte orientale per concentrare le forze solo su quello occidentale ma anche per ottenere vantaggi immediati e duraturi per sostenere lo sforzo bellico. Le pretese eccessive nei confronti della Russia rallentano lo sganciamento delle truppe tedesche da est, che lentamente iniziano ad esaurirsi. Inoltre i sottomarini non riuscivano a bloccare l’imponente circuito di rifornimenti da oltreoceano per l’Intesa. Nell’aprile del 1918, i capi militari tedeschi dichiarano a Guglielmo II che lo sforzo bellico non poteva più continuare. Il nuovo governo di Von Baden chiede l’armistizio agli USA in base ai 14 punti di Wilson, sperando in una regolazione onorevole dell'uscita dalla guerra. Ma questo non viene concesso perché gli USA consideravano la Germania come responsabile della guerra. Quando il Kaiser, Guglielmo II abdicò, venne proclamata la Repubblica con il social-democratico Scheidemann che si trova obbligato a firmare l’armistizio. Intanto anche il fronte austriaco crolla in Veneto e parti dell’impero Austro-Ungarico si dichiarano indipendenti→ per esempio la Cecoslovacchia e gli slavi del sud (serbi, croati e sloveni). Quest’ultimi progettano un nuovo Stato degli slavi del sud, proclamato il 29 ottobre 1918 Vienna rimane una capitale senza corpo territoriale consistente anche perché da lì a poco anche l’Ungheria si dichiarò indipendente. 3. Il progetto di un nuovo ordine mondiale a Versailles Dopo quattro anni di carneficina, finalmente la guerra finisce nel novembre 1918. La Prima Guerra Mondiale viene assunta come vero spartiacque tra ‘800 e ‘900. Ci furono 9 milioni e mezzo di morti nei campi di battaglia→ tutte le grandi potenze tradizionali erano esauste per il grave logoramento. I costi della guerra sono pari a sei volte e mezzo la somma dei debiti pubblici dell’800. È evidente il fallimento definitivo del vecchio sistema internazionale, e il trionfo del principio di nazionalità, con il crollo di 4 grandi imperi della tradizione: Austro-Ungarico, Russo, Tedesco e Ottomano. Nell’Europa del 1919 varie forze politiche e culturali chiedevano un ordine nuovo, che sostituisse la tradizione europea della sovranità assoluta degli Stati, della competizione imperiale e dell’equilibrio delle forze, che era indubbiamente fallita nella Grande Guerra. Wilson e Lenin diventano nel 1919 divennero i punti di riferimento di ondate di entusiasmo di massa, interpretando due contrapposte ma altrettanto radicali uscite dal passato. Lenin Appena salito al potere, pubblica i trattati segreti stretti negli anni del governo zarista (altrimenti avrebbe avuto difficoltà a realizzarsi e sopravvivere nella stessa Russia). Punta sul contagio della rivolta contro la guerra e il vecchio ordine borghese, dimenticando la diplomazia tradizionale. Le difficoltà del progetto rivoluzionario si evidenziarono però ben presto: la rivoluzione causò una frattura permanente del fronte delle sinistre politiche europee (i comunisti si divisero dai socialisti), che lasciò in minoranza i sostenitori del modello bolscevico, il quale anche per questo strutturalmente si legò all'esistenza dello Stato rivoluzionario russo. Scoppia una guerra civile, tra le armate bianche anticomuniste e le armate rosse bolsceviche. II potere bolscevico restò quindi debole e incerto almeno fino alla fine del 1920 e gli statisti vincitori ebbero un facile pretesto per isolarlo, non invitandolo nemmeno alla Conferenza della pace di Parigi. 23 Wilson Rilancia il principio nazionale/democratico utilizzando nuovi pulsioni di massa come strumento per allontanare la minaccia rivoluzionaria. La sua arma politica più grande è la Società delle Nazioni: un’organizzazione giuridica permanente che conciliasse un metodo democratico delle decisioni e una garanzia collettiva di rispetto delle diverse sovranità contro le aggressioni. Egli insistette fortemente alla Conferenza di Pace tanto da legare le sue stesse sorti politiche alla riuscita di questo progetto. La Conferenza di Pace tenuta a Parigi nel gennaio 1919, smentisce fin dai primi passi le promesse di una diplomazia aperta e pubblica. Le decisioni cruciali furono prese dal Consiglio dei Quattro→ Wilson (USA), Clemenceau (Francia), Lloyd George (Gran Bretagna) e Orlando (Italia). Durante la Conferenza di Pace vengono escluse le potenze vinte e la Russia in quanto si ritira dal conflitto mondiale. Wilson ottiene il primo risultato della conferenza di pace con l’approvazione della Società delle Nazioni, nata il 28 aprile con il Covenant (trattato costitutivo). La sua configurazione prevede un consiglio, costituita da cinque membri permanenti (potenze maggiori), e altri quattro eletti periodicamente dall’assemblea dei 5. L’assemblea incarna l’aspetto democratico e paritario tra gli stati membri (compromesso tra una visione democratica e una gerarchica del sistema internazionale). Erano previste delle sanzioni per il Paese condannato come aggressore. L’operatività continuativa della Società viene rappresentata da un segretario permanente. Wilson sottovaluta ampiamente le difficoltà che potevano sorgere su questo terreno, infatti il fatto che era dominata solo dai vincitori causerà la morte della società. 4. Nazionalità e territori nell’elaborazione della pace in Europa Per quanto riguarda l’assetto territoriale e giuridico della pace, Wilson aveva conoscenze approssimative e idee abbastanza vaghe sulla possibile sistemazione dell’Europa post bellica. Le prospettive dei vincitori europei erano invece ben più concrete e vennero espresse in termini di stretto interesse nazionale. La guerra non si era chiusa con un sconfitta militare totale: Germania era stata lasciata internamente lacerata e sconvolta, ma demograficamente ed economicamente ancora solida. I vincitori devono decidere se cercare di punirla drasticamente e ridimensionare ulteriormente il suo ruolo internazionale, oppure porre le premesse di un suo reinserimento nel sistema. - il governo francese vuole imbrigliarla (bloccarla) in uno Stato di permanente minorità economico-finanziaria - il governo inglese vuole impedire la diffusione di un risentimento tedesco che avrebbe aiutato le spinte rivoluzionarie e reso più difficile ricostruire una struttura economica tedesca necessaria per la vitalità degli scambi europei Il Diktat imposto nei confronti della vinta Germania si focalizza particolarmente sul controverso principio giuridico che fissa a carico della Germania la responsabilità di aver causato la Guerra (art. 231). Il trattato è duro ma non tanto da mettere il paese in condizioni di impotenza: - ridotte le risorse - ridimensionati alcuni domini imperiali - pagare riparazioni economiche 24 - Alsazia e Lorena riconsegnate alla Francia + sottratto alla Germania il bacino carbonifero della Saar - esercito viene limitato a un massimo di 100.000 soldati, senza leva militare - vengono tolti anche territori più consistenti a est: per ricostruire la Polonia vengono selezionate le zone con almeno il 65% di abitanti polacchi. Fu costruito un corridoio che univa la Prussia a danzica per consentire alla Polonia uno sbocco sul Mar Baltico. I governi delle potenze europee dell’Intesa accolgono in termini ambigui il criterio-guida nazionale come base decisiva del nuovo assetto europeo, dovendo entrare nel delicato problema dei rapporti tra le nazioni→ la ricostruzione di stati nazionali nell’area ex asburgica ed ex zarista lascia alla conferenza solo il ruolo non semplice di arbitro e garante di una equa redistribuzione territoriale. Gran Bretagna: risente del