Storia del Cinema (PDF) - Past Paper 2024

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This document is an extract of a 2024 exam paper on the history of cinema, focusing on early Italian cinema.

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STORIA DEL CINEMA 22 10 2024 1. LE SERIE COMICHE LA FIGURA DI MAX LINDER Un altro grande filone della Pathé è quello delle serie comiche, interpretate da personaggi come: o André Deed, che interpretava il pe...

STORIA DEL CINEMA 22 10 2024 1. LE SERIE COMICHE LA FIGURA DI MAX LINDER Un altro grande filone della Pathé è quello delle serie comiche, interpretate da personaggi come: o André Deed, che interpretava il personaggio di Boireau; a partire dal 1909, iniziò a lavorare in Italia, modificando il nome del suo personaggio in Cretinetti; o Charles Prince, che creò il personaggio di Prince Rigadin; o Max Linder, che iniziò la sua carriera cinematografica nel 1905; iniziò la sua carriera lavorando in brevi pellicole, ma in seguito gli fu affidata una serie di comiche dove sviluppò il personaggio di Max, prendendo il posto di André Deed, che nel frattempo si era trasferito in Italia. Max Linder era un attore di grande eleganza e presenza scenica: in uno dei suoi sketch più noti, «Premier cigare d’un collegien», Linder interpreta un giovane che fuma il suo primo sigaro e finisce per sentirsi male. A differenza di André Deed, il cui personaggio era grottesco e assurdo, Max Linder interpretava il tipico uomo di città, elegante e ordinato; la sua comicità si basava sul contrasto tra questo suo aspetto impeccabile e gli incidenti grotteschi che gli capitavano. Linder è stato il primo vero genio comico del cinema e il suo stile ebbe un’enorme influenza su molti comici successivi, come i Fratelli Marx, ma soprattutto su Charlie Chaplin, che lo considererà il suo maestro per tutta la vita. Dopo la morte di Max Linder avvenuta in circostanze piuttosto misteriose (forse omicidio forse suicidio) nel 1925, Charlie Chaplin gli dedicò uno dei suoi film con questa frase: «for the unique Max, the great master: his student Charles Chaplin» («all’inimitabile Max, il grande maestro: dal suo allievo, Charles Chaplin»). LE PRIME ANIMAZIONI STOP-MOTION Un’altra figura di rilievo della Pathé fu il regista spagnolo Segundo de Chomón, specializzandosi nel «film acting» e negli effetti speciali (dopo Georges Méliès): come Méliès, anche lui lavorava molto sugli effetti attrattivi e sui trucchi cinematografici, realizzando diversi film a tema fantastico, molti dei quali imitavano le opere di Méliès (come «Excursion dans la Lune», che è un palese calco a «Voyage dans la Lune»). Chomón si appassionò agli effetti speciali e perfezionò la tecnica dello stop-motion (o ripresa passo uno), già sviluppata da Méliès: nello stop-motion, gli oggetti vengono spostati di pochi centimetri tra un fotogramma e l’altro, permettendo così di animare cose inanimate. In particolare, «Le Théâtre de petit Bob» («Il teatro del piccolo Bob», 1906) è realizzato interamente con questa tecnica (tranne la cornice iniziale, che è sempre realistica e racchiude poi l’evento fantastico) dove Chomón anima una scatola di giocattoli; in «La Maison ensorcelée» («La casa stregata», 1907), invece, Chomón fa prendere vita a oggetti e cibi su una tavola, utilizzando anche la tecnica della doppia esposizione. Grazie a queste sperimentazioni, Segundo de Chomón è considerato uno dei pionieri del cinema d’animazione. In qualche modo, il suo lavoro anticipa quello di uno dei più grandi animatori di sempre: Jan Švankmajer, un regista e sceneggiatore cecoslovacco attivo soprattutto tra gli anni ‘80 e ‘90. Sebbene si muova in un contesto completamente diverso, Švankmajer presenta una matrice surrealista e, a tratti, grottesca, che ricorda il lavoro di Chomón (come «Lunch», 1992). LA PATHÉ VS LA GAUMONT Tornando alla Pathé, già nel 1904, grazie al successo di film come «Vita e Passione di Gesù Cristo», l’azienda poté aprire filiali in tutto il mondo, espandendosi non solo in modo verticale ( integrazione verticale: la stessa società si occupa di tutte le fasi della filiera produttiva, dalla realizzazione del film alla distribuzione e, infine, alla proiezione nelle sale cinematografiche), ma anche orizzontale ( integrazione orizzontale: apertura di diverse filiali estere, come Italia, Russia e Stati Uniti). In questo modo, la Pathé diventa uno dei primi colossi industriali del cinema. Con la Pathé, il cinema uscì da una dimensione artigianale per diventare un’industria vera e propria, in cui le sperimentazioni linguistiche continuarono, ma vennero subordinate alle esigenze del mercato. La principale rivale della Pathé fu la Gaumont, fondata nel 1895 dall’ingegnere e inventore Léon Gaumont. Come la Pathé, anche la Gaumont iniziò occupandosi di materiali fotografici; nel 1895, Léon Gaumont acquistò i diritti del cronofotografo da Georges Demenÿ, e avviò la produzione dei primi proiettori cinematografici. Nel 1905, Léon Gaumont si rese conto che l’unico modo per rendere i suoi proiettori più appetibili sul mercato era produrre film. Così, fondò a Parigi la sede della sua società, chiamata «Cité Elgé (LG)» (dalle sue iniziali), dove iniziò a realizzare documentari e successivamente film a soggetto. LA PRIMA REGISTA: ALICE GUY Una figura centrale nella storia della Gaumont, che abbiamo già menzionato, è Alice Guy-Blaché. Inizialmente impiegata come segretaria di Léon Gaumont, Alice fu invitata a partecipare a diverse proiezioni, inclusa quella dimostrativa dei fratelli Lumière nel marzo 1895. La sua carriera come regista iniziò quando, osservando i filmati dimostrativi realizzati dai collaboratori di Gaumont per promuovere i proiettori, Alice si convinse di poter creare storie migliori. Chiese quindi a Gaumont il permesso di scrivere e dirigere brevi scenette con suoi amici e parenti. «La mia giovane età, la mia inesperienza, il mio sesso, tutto cospirava contro di me. E invece ottenni il suo consenso, alla precisa condizione che tutto ciò non intralciasse i miei compiti di segretaria. Dovevo essere in ufficio alle otto, aprire, prendere gli appuntamenti, distribuire la posta. Poi mi era permesso prendere l’omnibus a quattro cavalli che, attraverso rue La Fayette, s’arrampicava fino alle Buttes Chaumont, e impiegare al meglio il tempo che mi era concesso. Alle quattro e mezzo dovevo essere di ritorno in rue Saint-Roch, per occuparmi della corrispondenza, delle firme e quant’altro. Spesso non finivo prima delle dieci o undici di sera. A quel punto avevo la libertà di rientrare a casa, per qualche ora d’un riposo che potevo considerare ben meritato. A Belleville, accanto ai laboratori di stampa fotografica, mi venne concessa una terrazza in disuso, pavimentata d’asfalto (cosa che rendeva impossibile l’ancoraggio di una vera scenografia), coperta da una vetrata traballante e aperta su un terreno abbandonato. In questo palazzo mossi i miei primi passi. Un lenzuolo dipinto da un pittore di ventagli (nonché attore fantasista) del quartiere, una scenografia a dir poco approssimativa, file di cavoli ritagliati nel legno da falegnami, costumi noleggiati qua e là nei mercati intorno a porte Saint- Martin. Come attori: alcuni amici, un neonato frignante, una madre inquieta che entrava continuamente in campo; e il mio primo film, «La Fée aux choux», vide la luce. Esagererei se dicessi che si trattava d’un capolavoro. Ma il pubblico allora non era schizzinoso, gli interpreti erano giovani e carini, e il film ottenne abbastanza successo da permettermi di riprovarci» [A. Guy, Memorie di una pioniera del cinema, 2008 (1976), p. 79] Alice Guy è ritenuta la prima regista nella storia del cinema e tra il 1896 e il 1907 realizza circa 200 film (di breve durata). Appena 23enne, esordisce con «La Fée aux Choux» («La Fata del Cavolo»), datato 1896. Questo cortometraggio, della durata di circa un minuto (20 metri di pellicola), rappresenta una donna che alleva bambini in un orto di cavoli, e contiene elementi fiabeschi che lo collegano al cinema fantastico di Georges Méliès. Il dibattito sulla datazione di questo film è stato a lungo oggetto di discussione tra gli storici del cinema, poiché alcuni storici si domandarono se «La Fée aux Choux» potesse essere il primo film a soggetto della storia, superando persino le opere di Méliès. Sebbene non ci sia consenso definitivo, «La Fée aux Choux» rimane uno dei primissimi esempi di cinema di finzione. Nel 1899, Alice Guy fu nominata responsabile del Dipartimento di Produzione Cinematografica della Gaumont (ruolo che mantenne fino al 1907, quando fu sostituita da Louis Feuillade): qui, insegnò il mestiere a numerosi impiegati a contratto presso Gaumont. Nell’ultimo periodo di attività alla Gaumont, formò una squadra di lavoro composta da cinque persone, tra sceneggiatori e registi. Dal 1903, iniziò a lavorare con attori professionisti su storie tratte dalla letteratura e teatro, realizzando film con una lunghezza sempre maggiore: per esempio, «Esmeralda» del 1905, il primo adattamento del «Notre-Dame de Paris» di Victor Hugo, e «La Vie du Christ» del 1906, un film che coinvolgeva oltre 300 comparse e che è considerato uno dei primi colossal della storia del cinema. Alice Guy inizia anche a lavorare sulla sincronizzazione del suono con le immagini, iniziando nel 1892 a realizzare diverse fonoscene utilizzando il chronophone. Inoltre, porta avanti anche delle riflessioni piuttosto originali per l’epoca: per esempio, nel 1906, Alice Guy realizzò un cortometraggio intitolato « » («Le conseguenze del femminismo»), in cui, con sarcasmo e ironia, immagina una società in cui le donne hanno preso il potere e sottomesso gli uomini, invertendo i ruoli tradizionali. In questo cortometraggio, pur giocando con l’idea di inversione dei ruoli, non c’è un vero e proprio travestimento; il tutto si basa più su una “conversione dei ruoli” senza trasformazioni fisiche. Dal punto di vista tematico è una satira sociale: è interessante vedere come gli uomini, dopo essersi sottomessi, alla fine si ribellano e riprendono il loro posto tradizionale, cacciando le donne dal bar. Questo finale potrebbe essere interpretato come un messaggio reazionario, una sorta di monito contro i pericoli del femminismo. Tuttavia, si può anche leggere all’inverso: se, in un mondo ribaltato, le donne si comportano in modo tale da giustificare la ribellione maschile, allora nel mondo reale, dove i ruoli sono tradizionalmente invertiti, forse sono proprio le donne a dover ribellarsi. Il film, dunque, offre diversi spunti di lettura. Il successo di queste opere di Alice Guy convinse Léon Gaumont ad aumentare la produzione di film, che diventò l’attività principale dell’azienda, mettendo in secondo piano la fabbricazione degli apparecchi cinematografici. Inoltre, l’introduzione del sistema di integrazione verticale, inaugurato dal principale rivale della Gaumont, ovvero la Pathé di Charles Pathé, spinse anche la Gaumont ad adeguarsi: in risposta, la società creò una propria rete di sale cinematografiche, il cui gioiello fu il Gaumont Palace, all’epoca il più grande teatro cinematografico del mondo, inaugurato a Parigi nel 1912. Nel frattempo, Alice Guy, che aveva chiuso la sua collaborazione con la Gaumont, nel 1907 emigrò negli Stati Uniti, dove proseguì la sua carriera insieme al marito, Herbert Blaché, che aveva lavorato con lei durante il suo periodo in Francia, fonda una casa di produzione chiamata Solax Company, a Fort Lee (New Jersey). LE ANIMAZIONI DI COHL E BLACKTON Il trasferimento di Alice Guy negli Stati Uniti liberò spazio all’interno della Gaumont, consentendo l’emergere di nuove figure, tra cui Émile Cohl: Cohl combinava l’arte cinematografica dei fratelli Lumière con la tradizione delle pantomime del teatro ottico di Émile Renaud. Nel 1905 iniziò a lavorare come scenarista per la Gaumont e nel 1908 realizzò «Phantasmagorie», uno dei primi film di animazione su pellicola. La tecnica di Cohl si basava su disegni animati bidimensionali che utilizzavano le metamorfosi di una linea continua: questo stile influenzò anche i suoi lavori successivi, caratterizzati da personaggi stilizzati come il personaggio di Fantoche. Cohl disegnava figure nere su fogli bianchi, che venivano ripresi con il negativo, invertendo i colori, dando l’illusione di disegni realizzati con gesso su una lavagna. Lavorerà anche con oggetti e materiali di uso comune come fiammiferi, bottoni, sabbia, aghi, ecc.., cui dava vita attraverso una serie di trucchi ottici. Cohl si ispirò a una tecnica inventata pochi anni prima da James Stuart Blackton in «Humorous Faces of F unny Faces» del 1906. Blackton, un altro pioniere del cinema muto, operava nel contesto americano e non in Francia. Oltre a essere un regista, era anche un imprenditore e fondatore della VitaGraph, una società di produzione americana nata nel 1897. La principale differenza tra Blackton e Emile Cole è nella loro tecnica di animazione: nel caso di Blackton, utilizzava la stop-motion su una lavagna, aggiungendo gradualmente dettagli al disegno. Per questo motivo, le animazioni di Cohl risultavano più fluide: l’uso della matita su un foglio consentiva a Cohl di controllare meglio le sequenze dei suoi disegni. Inoltre, Cohl comprende che per rendere più fluido il movimento era sufficiente disegnare di più: più disegni realizzava, maggiore era la pulizia dell’immagine e la fluidità del movimento. Cohl riuscì così ad arrivare a un totale di 12 disegni al secondo (lo standard attuale è di 24 fotogrammi al secondo). LOUIS FEUILLADE E LA STAGIONE DEL SERIAL Nel 1906, Louis Feuillade assunse la direzione artistica degli studi Gaumont, sostituendo Alice Guy. Feuillade si rivelò un abile regista di serial, una tecnica che iniziò ad adottare sistematicamente a partire dal 1910. I serial presentavano intrecci narrativi suddivisi in episodi, ciascuno dei quali si concludeva in un momento di tensione (il cliffhanger); inoltre, alternava scene girate in esterno, nei dintorni di Parigi, a scene in studio, creando un contrasto tra la quotidianità e storie fantastiche. Le due serie più significative furono le serie criminali di «Fantomas» e «Les Vampires». o «Fantomas» è un personaggio letterario protagonista di numerosi romanzi popolari in Francia, che influenzò figure simili (es. Diabolik, il quale nelle sue prime storie riprese intere sequenze dai romanzi di «Fantomas»). Fantomas è un criminale estremamente intelligente, capace di architettare piani complessi (simile a Arsène Lupin, suo contemporaneo o poco precedente). Feuillade realizzò un adattamento in cinque lungometraggi, suddivisi in circa 20 episodi; un attore di spicco in questo contesto era René Navarre, che interpretava il ruolo di Fantomas. o In «Les Vampires», la protagonista di questa serie era Musidora, attrice e regista che raggiunse il successo con i serial di Feuillade, interpretando il personaggio di Irma Vep (anagramma di “vampiri”). Anche in questo caso, la trama ruotava attorno a imprese criminali, con una banda di fuorilegge che si faceva chiamare “vampiri”. Anche esteticamente, le opere di Feuillade erano abbastanza complesse (come il riflesso in uno specchio che mostrava l’azione alle spalle del protagonista). Siamo a metà degli anni ‘10, periodo in cui si iniziava a sperimentare in questo senso. Tuttavia, la rappresentazione di tutti questi criminali portò a diverse critiche: accusato di istigare alla criminalità, Feuillade creò in seguito una serie intitolata «Judex» (letteralmente, “giustizia”), in cui il protagonista era un giustiziere che combatteva contro il crimine, ribaltando così la tematica dei suoi serial precedenti. Nonostante ciò, mantenne l’ambientazione noir e poliziesca. I serial di Louis Feuillade erano estremamente popolari tra il pubblico, ma suscitarono anche l’interesse di intellettuali e artisti surrealisti: ad esempio, Magritte fece di «Fantomas» quasi un’ossessione, rendendolo protagonista di molte delle sue opere, mentre Apollinaire e Max Jacob contribuiranno a fondare la società degli «Amici di Fantomas»; Musidora, invece, diventerà una musa ispiratrice per il gruppo surrealista, venendo costantemente invitata alle loro serate e manifestazioni. Nel 1996, Olivier Assayas, regista contemporaneo, ha realizzato un film intitolato «Irma Vep», un evidente omaggio alla serie di Feuillade: un’attrice di Hong Kong che arriva a Parigi per girare un remake della celebre serie «Les Vampires», in cui interpretava il ruolo di Irma Vep. Nel 2022, HBO ha prodotto una serie sempre diretta da Assayas, con lo stesso titolo, in cui Alicia Vikander interpreta Irma Vep. La produzione di serial continuerà a essere significativa in Francia e in altri paesi almeno fino agli anni ‘20, mentre negli Stati Uniti verrà declassata a una produzione di basso costo, pur mantenendo un certo risalto nel contesto europeo fino agli anni ‘30. A FI M D’A T La Film D’Art fu fondata da Paul Lafitte nel 1908 su sollecitazione della Comédie-Française, il teatro più celebre di Parigi che ha poi creato una compagnia statale (cioè sovvenzionata dallo Stato) con una compagnia permanente di autori. La Film D’Art ha l’obiettivo di attrarre le classi elitarie, ampliando così il pubblico del cinema con produzioni ad hoc: lavorano su ricostruzioni storiche, scene mitologiche e adattamenti letterari e teatrali, ingaggiando attori e registi di fama, prevalentemente teatrali. Il film che segna il debutto della F D’Ar è «L’A o D c G », del 1908, una attualità ricostruita (cioè l’assassinio del Duca di Guisa per mano del re Enrico III di Francia, avvenuto alla fine del Cinquecento). Le attualità ricostruite, infatti, non sono solo fatti storici recenti, ma anche a eventi più datati. Il film è interpretato da diversi attori noti dell’epoca, i cui nomi vengono utilizzati per promuovere l’opera, in quanto attori teatrali di grande rilievo; pur essendo un film muto, presentava una colonna sonora originale eseguita dal vivo in sala composta specificatamente per il film da Camille Saint-Saëns. La Film D’Art continuerà a produrre film con queste modalità fino a cessare la sua attività negli anni ‘20. Anche se la sua vita fu breve, avrà un’enorme influenza sul cinema mondiale, in particolare sulla cinematografia italiana. 2. IL CINEMA DELLE ORIGINI IN ITALIA Il cinematografo Lumière arriva in Italia poco dopo la sua prima proiezione in Francia, ma da un punto di vista operativo l’Italia si trova in ritardo rispetto ad altre nazioni. Fino al 1905, la maggior parte dei film proiettati in Italia è di produzione estera, soprattutto francese. Il motivo principale di questo ritardo è che l’Italia è ancora una nazione prevalentemente agricola e non ha le condizioni favorevoli per lo sviluppo di un’industria cinematografica. Inoltre, la popolazione è in gran parte povera e non ha le possibilità economiche per frequentare teatri, caffè o cinema. Solo una ristretta parte della popolazione può permettersi di andare a vedere i film, e il cinema è considerato un intrattenimento effimero. Altri paesi avanzati come Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti vedono la nascita di aziende pronte a investire capitali significativi nel cinema; in Italia, invece, si realizzano solo alcune riprese di attualità dal vero, grazie alle poche macchine da presa disponibili (sebbene ci siano operatori italiani che lavorano per i Lumière). Ci sono figure marginali e solitarie che già prima del 1905 sperimentano nel settore, ma manca un’idea di industria, come avviene in Francia, o una vera e propria scuola, come la Scuola di Brighton. Il cinema delle origini in Italia si articola principalmente attorno a due figure principali, operatori dei Lumière: i torinesi Vittorio Calcina e Giuseppe Filippi. Vittorio Calcina è il primo a ottenere la concessione Lumière per il Nord Italia, e subito dopo coinvolge Giuseppe Filippi. «Sua Santità Papa Leone XIII» di Calcina (1896) è considerata la prima pellicola italiana conosciuta: girata nei giardini vaticani, riprende il Papa mentre impartisce la sua benedizione. Un altro film è quello di Giuseppe Filippi, «Bains de Diane à Milan», che mostra i bagnanti ai Bagni di Diana di Milano, vicino alla Porta Orientale (oggi Porta Venezia), che era uno stabilimento balneare aperto al pubblico e chiuso nel 1906. Anche questo è uno dei primissimi film italiani che ci sono pervenuti, molto simile ai soggetti dei film dei Lumière. Francesco Felicetti si occupa, invece, della concessione per il Centro e il Sud Italia per i Lumière. Ci sono anche personalità autonome (alcuni di questi gestori e operatori, altri solo operatori): o Filoteo Alberini e Giuseppe Cocanari a Roma; o Rodolfo Remondini a Firenze; o Leonardo Ruggeri a Napoli; o Italo Pacchioni a Milano. All’epoca, questi professionisti erano indicati come cinematografisti o esercenti. Si narra che, Italo Pacchioni, dopo aver assistito a una proiezione dei Lumière (o a Milano o in Francia), solamente osservando il funzionamento del cinematografo, con l’aiuto del fratello Enrico e di un meccanico di nome Veronelli, Pacchioni realizza un cinematografo simile a quello dei Lumière e inizia a girare i suoi film. Una delle principali differenze tra la sua macchina e quella dei Fratelli Lumière è il primo tentativo di stereoscopia realizzato da Pacchioni, che aveva già esperienza con la stereoscopia fotografica. Pacchioni realizza, così, una macchina in grado di far scorrere due strisce di pellicola a distanza ravvicinata per offrire una visione binoculare e dare tridimensionalità alle immagini. Tra le sue prime proiezioni, c’è il film «Arrivo del treno alla stazione di Milano», che ricalca in parte una delle prime proiezioni dei Lumière, e «Il finto storpio», proiettato nel marzo del 1893 a Torino solo per un pubblico dell’elit torinese, e successivamente, fu mostrata a un pubblico pagante. Ne «Il finto storpio», tutta l’azione si svolge fuoricampo: il protagonista si trova sulla destra dell’inquadratura, e noi possiamo solo percepire la sua presenza, mentre alla fine lo vediamo inseguito dalle guardie sullo sfondo della scena. All’inizio, davanti a lui, sfila tutta la nobiltà torinese. Molti dei pionieri di quel tempo erano esercenti che si conoscevano tra loro, e quindi c’era o uno scambio di conoscenze o una competizione accesa. Un esempio è Filoteo Alberini, un impiegato con una grande passione per la fotografia, che incontrò Francesco Felicetti durante un’esposizione internazionale di fotografia a Firenze. In quell’occasione, Alberini vide per la prima volta il funzionamento dell’apparecchio cinematografico. Grazie alla sua amicizia con Felicetti, Alberini riuscì a ottenere la concessione per aprire una sala cinematografica a Firenze il 16 novembre 1899, chiamata Reale Cinematografo Lumière, la prima della città. Nonostante non fosse il suo lavoro principale, Alberini si dimostrò un esercente innovativo, introducendo pratiche che sarebbero poi diventate comuni, come l’abbassamento del prezzo dei biglietti, la promozione giornaliera sui quotidiani e l’organizzazione di proiezioni dedicate alle scuole. Pochi mesi dopo, nell’estate del 1899, Rodolfo Remondini, un impresario di Ferrara, aprì una seconda sala a Firenze, in diretta concorrenza con Alberini, chiamata Ala Edison, dove utilizzava le attrezzature di Edison, sincronizzando l’audio con il fonografo e proiettando film più lunghi. Inoltre, Remondini offriva due spettacoli al giorno, distinguendo la sua sala da quella di Alberini. La competizione tra i due si svolse anche attraverso la stampa, dove ciascuno rivendicava la superiorità delle proprie pellicole e tecnologie. Tuttavia, Remondini aveva maggiori risorse economiche e, alla fine, costrinse Alberini a chiudere la sua sala. Alberini si trasferì a Roma, dove la situazione cinematografica era meno sviluppata rispetto a Firenze, e nel 1904, aprì la prima sala cinematografica della capitale in Piazza della Repubblica, che prese il nome di Cinematografo Moderno (oggi ancora in funzione ma con il nome di THESPACE). LE CASE CINEMATOGRAFICHE ITALIANE A partire dal 1905, con una maggiore stabilità economica e politica, iniziò a formarsi una rete stabile di sale cinematografiche in Italia. Fu anche il periodo in cui vennero fondate le prime case di produzione: Filoteo Alberini fondò la Alberini & Santoni a Roma nel 1905, che sarebbe diventata la celebre Cines nel 1906; e Torino, Arturo Ambrosio fondò la Ambrosio Film; Carlo Rossi creò quella che sarebbe diventata l’Itala Film, che nel 1908 sarà la società di Carlo Sciamello e Giovanni Pastrone (regista di «Cabiria»); infine, nel 1909, sempre a Torino, venne creata la Pasquali Film da Ernesto Pasquali. Rispetto alla Francia, ciò che appare evidente in Italia è il policentrismo nella nascita dell’industria cinematografica: mentre in Francia si concentrava tutto principalmente a Parigi, in Italia le società cinematografiche si distribuivano tra diverse città, come Roma e Torino. Questi centri iniziarono a moltiplicarsi, con ciascuno che sviluppava una propria produzione. Dal 1905, si registrò anche una crescita significativa sia nel numero di società di produzione che di film realizzati. Si passò da 50 titoli nel 1905 a circa 270 nel 1908; ma già nel 1909 il settore cominciò a soffrire a causa di una crisi economica che colpì in particolare la distribuzione e l’esercizio. A differenza della Francia, infatti, dove la Pathé aveva introdotto il noleggio delle pellicole, in Italia si continuava con la vendita diretta, un sistema che permetteva ai proprietari di cinema di acquistare una copia del film e proiettarla a piacimento fino all’esaurimento. Con il noleggio, invece, le pellicole dovevano essere restituite dopo un periodo limitato, causando costi ricorrenti per i cinema. Inoltre, c’era un evidente divario tecnologico con i francesi: per esempio, durante le proiezioni si verificavano spesso problemi tecnici, come lo sfarfallio dell’immagine, che rendeva la visione faticosa per il pubblico. Questo ritardo tecnologico era ulteriormente aggravato da un esaurimento delle forme narrative tradizionali: per contrastare ciò, le società italiane iniziarono a innovare, introducendo nuovi generi, come la comica seriale. L’Itala Film lanciò questa formula con il personaggio comico Cretinetti (André Deed); Ambrosio e Cines, seguirono rapidamente l’esempio, creando i loro personaggi comici, come «Troppo bello!», Cretinetti rispettivamente Robinet (Marcel Fabre) e Tontolini (Ferdinand Guillaume). Ferdinand Guillaume poi passerà alla Pasquali, diventò famoso con il personaggio di Polidor. Parallelamente, il cinema italiano cercava anche di elevarsi culturalmente, sviluppando il filone del film d’arte, ispirato al modello francese. Questo tipo di cinema si caratterizzava per: o scenografie verosimili di intenso valore evocativo; o recitazione di alto livello (presenza di celebri attori teatrali come Ermete Zacconi, Ermete Novelli, Ruggero Ruggeri); o elevati contenuti letterari, teatrali, operistici (come per il modello francese); o forte valore istruttivo e pedagogico. La Ambrosio è la prima a occuparsi di questo genere, e produsse nel 1909 «Spergiura!», tratto da un’opera di Balzac, inaugurando la cosiddetta serie Oro; la Cines, nel 1911, inaugura la serie Artistica, iniziata con «La Gerusalemme Liberata». La prima versione del film, tratta dal poema di Tasso, purtroppo andò perduta, ma una nuova versione fu realizzata nel 1918. A partire dal 1911, alcune case di produzione iniziarono a proporre film di durata sensibilmente superiore alla media: fino a quel momento, la lunghezza standard dei film era di circa 150-300 metri di pellicola, corrispondenti a 10-15 minuti di proiezione. Uno dei casi più emblematici di questo periodo è «L’Inferno», tratto dalla cantica della «Divina Commedia» di Dante e fu prodotto dalla Milano Films. Oggi è considerato il primo lungometraggio italiano, con una lunghezza senza precedenti: 1.400 metri di pellicola, un’enorme differenza rispetto alla lunghezza standard dell’epoca. Questo film è la prima trasposizione cinematografica completa di un’intera cantica dantesca, in questo caso l’Inferno; prima di esso, vi erano stati solo adattamenti di singoli episodi. «L’Inferno» è composto da 54 quadri, che corrispondono più o meno ai gironi descritti da Dante: alcuni di questi quadri sono suddivisi in più inquadrature, altri consistono in un’unica inquadratura. In ogni quadro, Dante e Virgilio incontrano i personaggi e le creature più famose durante il loro viaggio nell’Inferno. Molte delle immagini e scenografie sono ispirate alle illustrazioni di Gustave Doré (come il caso di Paolo e Francesca), celebre illustratore francese che aveva raggiunto la fama grazie alle sue rappresentazioni della «Divina Commedia». Il film utilizza una serie di trucchi teatrali, come personaggi che fluttuano nell’aria grazie all’uso di corde (es. Paolo e Francesca) e carrucole (es. i dannati che fluttuano), esposizioni multiple (es. nel girone di Maometto, anche se in altri casi gli attori sono semplicemente coperti da una veste nera; nel girone dei giganti), arresti e riprese della pellicola per creare illusioni. «L’Inferno» è una produzione che combina l’uso di scenografie realizzate in un teatro di posa con riprese in ambientazioni reali (es. la fine del film). La lunghezza del film «L’Inferno» rappresenta un passo importante per il cinema italiano e contribuisce a mettere in crisi il formato breve, tipico dei film comici o seriali dell’epoca; il film storico, al contrario, si presta a narrazioni più complesse e articolate. Nel film si notano anche alcuni movimenti di macchina, come piccole panoramiche e carrelli, insieme a un utilizzo del montaggio, impiegato per separare i quadri, ma non ancora per esplorare la psicologia dei personaggi. Tuttavia, siamo già in cammino verso una maggiore complessità stilistica, e il lungometraggio si dimostra particolarmente adatto al genere di ambientazione storica, noto anche come peplum.

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