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Chirurgia Bariatrica e Obesità PDF

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Summary

This document discusses bariatric surgery and obesity. It covers definitions, epidemiology, complications, types of bariatric procedures, and selection criteria. It also examines the different approaches and the complications associated with each.

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Chirurgia Bariatrica e Obesità  Obesità Definizione: condizione clinica caratterizzata da eccessivo peso corporeo per accumulo di tessuto adiposo, tale da influire negativamente sullo stato di salute e con riduzione dell’aspettativa di vita (l’aspettativa di vita migliore si ha con un BMI...

Chirurgia Bariatrica e Obesità  Obesità Definizione: condizione clinica caratterizzata da eccessivo peso corporeo per accumulo di tessuto adiposo, tale da influire negativamente sullo stato di salute e con riduzione dell’aspettativa di vita (l’aspettativa di vita migliore si ha con un BMI tra 20 e 25). Epidemiologia: circa 400 milioni di persone al mondo sono obese (+ frequente nei paesi industrializzati), in Italia il 9% della popolazione (li 35% è sovrappeso). Complicanze associate: 1. Epato-gastro-enteriche: calcoli biliari, steatosi epatica 2. Metaboliche: diabete (è stato coniato il termine “Diabesità”) 3. Endocrine: infertilità e disturbi del ciclo mestruale 4. Psicosociali 5. Cardiovascolari: cardiopatie ischemiche, ipertensione arteriosa ecc. 6. Osteoarticolari: artrosi, gotta ecc. 7. Respiratorie: OSAS ecc. 8. Cancro L’obesità si suddivide in 2 tipi:  Androide: “a mela”, tipica dell’uomo con un rapporto vita/fianchi a favore della vita.;  Ginoide: “a pera”, tipica della donna con un rapporto vita/fianchi a favore dei fianchi. I due tipi non sono esclusivi del M o F, inoltre l’obesità di tipo androide (dove c’è un maggior accumulo di grasso addominale viscerale) è quella maggiormente associata a Sindrome Metabolica. BMI: rapporto PESO (kg)/ALTEZZA (m2), ci consente di distinguere 3 gradi di obesità (che potete vedere nell’immagine). Inoltre ci indica la scelta della terapia più adeguata:  BMI 40: chirurgia dell’obesità. Ma perché operare? Con il solo cambiamento dello stile di vita, dopo aver perso inizialmente peso lo si riacquista. L’opzione chirurgica permette un risultato permanente e significativo.  Chirurgia Bariatrica Definizione: è quella branca della chirurgia che si occupa di pazienti affetti da obesità. Outcomes da valutare in chirurgia bariatrica: perché una procedura che abbia come obiettivo la perdita di peso sia ritenuta di successo, deve rispettare determinati parametri/obiettivi:  Perdita di peso e mantenimento della perdita: deve essere di almeno EWL >50% (EWL: Excess Weight Loss/Perdita di eccesso di peso, intendiamo la % di peso in eccesso oltre il mio peso forma). Esempio: il pz pesa 140kg e ne dovrebbe pesare 70, ha un EWL di 70kg quindi la procedura ha avuto successo se mi induce la perdita di almeno 35kg.  Risoluzione a lungo termine delle principali comorbidità associate all’obesità: DM, Ipertensione arteriosa, Dislipidemia, OSAS.  Mortalità e morbidità perioperatorie e a distanza (rapporto rischio/beneficio favorevole).  Qualità di vita, stato nutrizionale ed effetti collaterali che si offrono devono essere accettabili. Linee guida SICOB: criteri di eleggibilità ad un trattamento di chirurgia bariatrica: 1. BMI ≥ 40kg/m2 o BMI ≥ 35kg/m2 con almeno 1 comorbidità associata; 2. Età compresa tra 18-65 anni; 3. Rischio medico-chirurgico accettabile; 4. Storia di tentativi di cambio dello stile di vita e dietetici infruttuosi; 5. Stabilità psicologica; 6. Non avere false aspettative; 7. Consenso informato; 8. Pz consapevole di doversi sottoporre a controlli post-operatori; 9. Supporto familiare e sociale adeguato; 10. Risoluzione abuso di alcol e stupefacenti; 11. Assenza di malattie psichiatriche. Classificazione delle procedure bariatriche in base al meccanismo d’azione: 1. Interventi restrittivi: limitano l’introduzione del cibo con un’azione prevalentemente meccanica:  Bendaggio gastrico  Sleeve gastrectomy (Gastrectomia verticale, è il + effettuato) 2. Interventi malassorbitivi: limitano l’assorbimento del cibo:  Diversione bilio-pancreatica (Duodenal switch) 3. Interventi misti: hanno una componente restrittiva ed una assorbitiva:  Bypass gastrico standard (Roux-en-Y)  Mini-Bypass (ad unica anastomosi). Palloncino intragastrico BIB (Bionterics Intragastric Balloon): è una procedura endoscopica, un trattamento Transitorio non chirurgico (leggi descrizione nell’immagine). Esecuzione: con il pz sedato l’endoscopista introduce un palloncino sgonfio nello stomaco, poi tramite un raccordo lo gonfia con circa 600ml di H2O, abbiamo quindi un corpo estraneo nello stomaco che occupa spazio che “dovrebbe” obbligare il pz a mangiare meno, per via del senso i sazietà derivante dalla distensione del fondo gastrico. Può essere mantenuto in sede per max 6 mesi e la perdita di peso è minima. Palloncino ELIPSE: palloncino da ingoiare, non serve infatti l’endoscopista. Il pz ingoia questa pillola collegata ad un filo sottile, poi si fa una RX per avere conferma della sua posizione e poi lo si gonfia. E’ riassorbibile, quindi poi viene eliminato da solo con le feci. L’indicazione a questi trattamenti è quella di aiutare il Super obeso a perdere un po’ di peso per poi accompagnarlo in maniera più sicura al letto operatorio (maggior peso = maggior rischio intraoperatorio).  BENDAGGIO GASTRICO Esecuzione: si posiziona in laparoscopia un anello di silicone sul fondo gastrico, inclinato di 45°. Poi lo si gonfia attraverso un tubo di raccordo endoaddominale che diventa sottocutaneo e, si collega al Port, dal Port si può decidere quanto stringere l’anello. E’ una metodica associata a molte complicanze: 1) Scivolamento verso l’alto con perdita dell’effetto; 2) Scivolamento verso il basso con quadri occlusivi (vomito incoercibile); 3) Migrazione intragastrica dovuto a lesioni da decubito indotte dal bendaggio sullo stomaco.  SLEEVE GASTRECTOMY/GASTRECTOMIA VERTICALE Esecuzione: in laparoscopia, utilizzando delle suturatrici laparoscopiche si sparano 3 file di clips da entrambi i lati e poi una lama taglia (sulla guida di una sonda oro-gastrica di calibrazione) riducendo il volume dello stomaco dell’80/90% (eliminando la parte di stomaco rimossa). E’ una tubulizzazione gastrica (rimane un piccolo tubulo di stomaco). Il paziente ha una sazietà precoce e si alimenta di meno (restrizione meccanica), inoltre c’è un meccanismo neuro-ormonale: il fondo gastrico produce Grelina quando è vuoto e questo ormone induce fame, rimuovendo il fondo si elimina la produzione di questo ormone ed il pz mangia di meno. Complicanze: 1) eliminando il fondo gastrico non si produce più fattore intrinseco, quindi supplementazione di vit. B12 intramuscolo; 2) sanguinamento; 3) non saldatura della zona tagliata con fistolizzazione gastrica conseguente che non guarisce spontaneamente.  BYPASS GASTRICO STANDARD ROUX-EN-Y In laparoscopia si confeziona una piccola tasca gastrica (circa 30cc), sempre attraverso una suturatrice ed una sonda (lo stomaco viene sezionato ma rimane lì). Su quella tasca si anastomizza un’ansa distale dell’intestino, misurando 150cm dal Treitz, mentre la via bilio-pancreatica l’anastomizzo alla base. Ha 2 anastomosi (ad Y appunto). Il paziente mangia di meno perché ha una piccola tasca gastrica ed assorbe per 250cm di meno (150cm di canale con alimenti ma senza succhi e 100cm di canale con succhi ma senza alimenti). Complicanze: Malassorbimento di Ca, Fe → è necessaria integrazione a vita.  MINI-BYPASS In laparoscopia si confeziona un tubulo gastrico che verrà collegato direttamente a 250cm dal Treitz portando su l’ansa così com’è (ad omega) anastomizzandola. Ho quindi 1 anastomosi. La differenza tecnica con il Bypass standard è che qui ho un reflusso di bile, quindi non verrà effettuato nei pazienti H.pylori + (2 fattori di rischio per K gastrico: reflusso di biliare e infezione da HP).  DIVERSIONE BILIO-PANCREATICA (Duodenal Switch) In questo caso non si misura più dal Treitz bensì dalla valvola Ileo-ciecale. Consiste nel separare l’intestino creando 2 canali (con 2 anastomosi): 1) un nuovo canale alimentare anastomizzato allo stomaco (250cm dalla valvola); 2) un canale bilio-pancreatico anastomizzato a 50/100cm dalla valvola Ileo- ciecale. E’ un intervento fortemente malassorbitivo, perché l’unica parte assorbente dell’intestino (dove si incontrano le 2 componenti) è di 50cm. Complicanze: Malassorbimento, tant’è che le integrazioni post-operatorie sono massive (vit. A, vit. D, Fe, Ca), il problema è prevalentemente per le femmine che rischiano anemia microcitica da carenza di Fe. Criteri di scelta dell’intervento chirurgico bariatrico: sulle indicazioni alla chirurgia bariatrica c’è un accordo comune, ma sui criteri di scelta dell’intervento no, quest’ultimi sono: Efficacia e rischio: quindi la scelta dell’intervento dipende anche dal rapporto beneficio/rischio, che varia a seconda del tipo d’intervento (come si vede nell’immagine). Comunque, non esiste una tecnica perfetta perché nella maggior parte dei casi hai una efficacia massima nel primo anno e poi si riprende peso (ma sicuramente meno che con altri trattamenti). Inoltre, c’è una remissione totale del diabete nel 70/90% degli obesi diabetici che si sottopongono a procedure chirurgiche (dipende dal tipo di procedura); c’è anche un recupero dell’aspettativa di vita ed un aumento della qualità di vita. Le principali complicanze chirurgiche sono il sanguinamento e la fistolizzazione. Follow-up: fondamentale (vedi immagine sotto) Colon e retto Anatomia e Fisiologia Anatomia: (rivedila e vedi immagine) il grosso intestino inizia a livello della valvola ileocecale e termina al canale anale. Comprende: il colon (cieco, colon ascendente, flessura epatica, colon trasverso, flessura splenica, colon discendente e sigma) ed il retto (ne parliamo più ne dettaglio nelle patologie del retto). Il cieco è posto nella fossa iliaca DX, si presenta come un cul di sacco sulla cui parete infero-mediale si impianta l’appendice. Il colon ascendente si estende cranialmente fino alla superficie inferiore del lobo epatico di destra, ove si continua con la flessura epatica. Abbiamo poi il colon trasverso che termina nella flessura splenica (posta più in alto della epatica). Il colon discendente è compreso tra flessura splenica e sigma ed è fissato alla parete posteriore dell’addome. Il sigma termina in corrispondenza della terza vertebra sacrale/promontorio sacrale (giunzione sigmoido-rettale) ed è estremamente mobile. Infine abbiamo il retto si estende dalla terza vertebra sacrale sino alla linea pettinata (o dentata) che lo separa dal canale anale. È schematicamente suddiviso in tre porzioni: superiore, medio ed inferiore. E per ultimo abbiamo l’ano. Anatomia microscopica: la parete del colon è formata, dall’interno all’esterno, da più strati: la mucosa, la sottomucosa, la muscolare e la sierosa. Vascolarizzazione (vedi immagine): i vasi mesenterici sup. irrorano cieco, ascendente, flessura epatica e metà prossimale del trasverso. In particolare: i tronchi ileo-colici irrorano l’ultima ansa ileale (l’a.ileocolica è fondamentale nella chirurgia del colon DX) il cieco ed il colon DX; poi troviamo i vasi colici DX (non sempre presenti); infine i vasi colici medi che irrorano il trasverso. Troviamo poi l’arcata di Riolano che forma un’anastomosi tra l’a.mesenterica sup. e inf. I vasi mesenterici inf. per mezzo dei vasi colici SX, dei sigmoidei e degli emorroidari superiori, vascolarizzano il tratto distale del trasverso, il colon discendente, il sigma ed il retto superiore. Il retto medio e quello inferiore sono irrorati dai vasi emorroidari medi ed inferiori (rami delle ipogastriche). Le vene del colon DX, trasverso, SX e retto superiore drenano nella vena mesenterica sup. che si getta nella porta insieme alla splenica. Mentre le vene del retto medio ed inferiore drenano nella vena mesenterica inf. che si getta nella cava inf. (quindi un tumore del colon o del retto superiore metastatizza prima al fegato, mentre un tumore del retto medio/inf. prima al polmone). Drenaggio linfatico: lungo i vasi arteriosi troviamo linfonodi (nel colon si trovano nel meso insieme ai vasi, quindi asportando i mesi si asporta tutto). Fisiologia: presenta diverse funzioni: 1) Assorbimento: di H2O ed elettroliti; 2) Secretoria: mucopolisaccaridi ed Ig; 3) Meccanica: per far progredire il chilo tramite i movimenti di peristalsi e segmentazione; 4) Continenza: la capacità di trattenere le feci, di discriminarle dai gas e di permetterne la espulsione periodica. E’ correlata a tre fattori: capacità di serbatoio del retto, apparato sfinteriale (lo vediamo meglio quando parleremo del retto), configurazione anatomia della regione anale; 5) Microbiota intestinale: la flora batterica del colon è molto vasta, sono presenti sia specie areobie (soprattutto Bacterioides) che anaerobie (Escherichia coli). Malattia diverticolare del colon Definizione: condizione patologica caratterizzata dalla presenza di diverticoli a livello del colon. Distinguiamo 2 stadi principali della malattia: la diverticolosi e la diverticolite (quando insorge un processo infiammatorio). Con malattia diverticolare invece, si intende il complesso di sintomi associati. Diverticoli: estroflessioni sacciformi della parete del tubo digerente. Ne esistono 2 tipi: 1) Diverticoli veri: estroflessioni di tutti e 3 gli strati della parete, sono congeniti e più frequenti in esofago; 2) Diverticoli falsi: estroflessioni solo di mucosa e sierosa attraverso un “locus di minoris restistentiae” nella muscolatura, sono acquisiti e più frequenti nel colon, si formano per un meccanismo di “pulsione”. Epidemiologia: più frequente in Occidente, picco di incidenza dopo la 6° decade di vita. Anatomopatologia: i diverticoli del colon sono di tipo acquisito, si realizzano per “pulsione” e sono costituiti soltanto da due strati parietali: la mucosa e la sierosa. Localizzazione: il sigma è il più colpito (65% vedi immagine). La maggior parte dei diverticoli ha un diametro inferiore al centimetro ed il loro aspetto macroscopico è quello di numerose estroflessioni sacculari. Eziopatogenesi:  Diverticolosi: il diverticolo colico costituisce il risultato di una erniazione della mucosa in corrispondenza dei punti deboli della parete del viscere, in seguito all’aumento della P endoluminale che si instaura per la possibile partecipazione di più fattori concomitanti: 1) Alterata motilità del colon; 2) Segmentazione: onde ad alta P non propulsive, che tendono ad isolare i segmenti colici; 3) Riduzione della forza di tensione della parete.  Diverticolite: microperforazione del diverticolo su base ischemica (per compressione dell’arteria nutritizia a livello del colletto) con contaminazione dei tessuti pericolici. Clinica: è possibile suddividere la malattia diverticolare i 3 stadi: 1) Stadio 1/Diverticolosi: forma più frequente (80%), è asintomatica o può determinare dolori addominali vaghi localizzati in fossa iliaca SX, flatulenza e lievi alterazioni dell’alvo, generalmente inquadrati nella “sindrome da colon irritabile”; 2) Stadio 2/Forma sintomatica NON complicata: dove troviamo 2 forme:  Lieve: dove abbiamo dolore addominale più frequente in fossa iliaca SX lieve e ricorrente; alterazioni dell’alvo (diarrea, stipsi o alvo alterno);  Moderata: con diverticolite (addome acuto): dolore più forte e duraturo, febbre e leucocitosi. 3) Stadio 3/Forma sintomatica complicata/Forma Severa: Diverticolite + complicanze:  Ascesso: è la più frequente e consegue alla perforazione del diverticolo. Abbiamo: dolore circoscritto ed alla palpazione, iperpiressia, leucocitosi.  Perforazione: quella in cavità libera è infrequente ma può essere causata da una indagine strumentale (clisma, colonscopia). Porta a peritonite che si manifesta col quadro di addome acuto, abbiamo: dolore addominale + contrattura di difesa, distensione addominale (pneumoperitoneo: aria libera in addome, all’RX livelli idroaerei), OI dinamica di tipo paralitico.  Fistolizzazione: possono essere molteplici: colon-enterica, colon-vescicale (fecaluria), colo-uterina, colon-cutanea.  Stenosi: per fibrosi/fenomeni aderenziali dovuti ai ricorrenti episodi di diverticolite. Può causare un quadro di OI (può essere causato anche da una stenosi infiammatoria).  Emorragia: favorita da FANS, generalmente lieve ed autolimitante (sangue rosso scuro dal retto), più raramente è così massiva da richiedere l’intervento chirurgico. Classificazione Hinchey: basata esclusivamente su esame tc perché il pz ha addome acuto, e si articola in 4 stadi: 1. Piccolo ascesso pericolico nel mesocolon 2. Ascesso pelvico distante con peritonismo locoregionale (peritonite localizzata) 3. Peritonite generalizzata e rottura ascesso in cavità peritoneale (resistenza diffusa) 4. Rottura ascesso e perforazione del sigma, quindi peritonite addominale. Negli stadi: 1 e 2 si può tentare trattamento conservativo e farmacologico Negli stadi 3 e 4 ,si ricorre necessariamente alla sala operatoria sennò i pazienti sviluppa setticemia. IMP: paziente per operarlo deve essere emodinamicamente stabile. Il prof. evita di porre l’ attenzione su altre classificazioni che ritiene poco importanti. Nella foto a sx si evidenzia immagine tc di malattia complicata, con bolle d’ aria a parete non propria e ascesso pericolico, quindi Hynches di stadio 1). L’ ascesso si forma o per traslocazione batterica (microperforazioni) o per parete colica sottilissima. Se non c’ è un processo infiammatorio, la parete aderisce e si creano fistole. Nelle fasi iniziali di m. diverticolare complicata: si hanno strane cistiti ricorrenti o fecaluria o pneumaturia(urinare facendo area). Penseremo quindi a malattia infiammatoria cronica complicata da fistola in paziente giovane. In anziano si discriminerà tra k. colon o a diverticolite con fistola. Riscontro di fistola in tc con mdc: la fistola appare come una bolla d’aria eventualmente da porre in d.d. con catetere vescicale. Nella foto a sx si evidenzia un immagine intestinale di Clisma opaco : non si riesce spesso a distinguere malattia diverticolare da k. colon. 5 - Immagine soprastante a dx: piccoli coaguli - Immagine sottostante a dx: segni di sanguinamenti attivi per malattia diverticolare. Conoscere la storia naturale delle malattie è fondamentale: Nel caso in cui si evidenzino ascessi, l’ecografia può essere utile per eseguire un drenaggio ascessuale. -Gold standard diagnostico per malattia diverticolare: tc addome con mdc, che normalmente viene eseguita in urgenza. Ore 11:00-13:00. Algoritmo terapeutico diverticolite acuta non complicata: Se abbiamo globuli bianchi normali, proteina C normale, ma soprattutto assenza di febbre si tratta di paziente a basso rischio di evoluzione. Quindi possiamo eseguire un trattamento ambulatoriale trattandolo con antibiotico per os anche a fini medico- legali. Se presenta febbre, si tratta di un paziente che ha una malattia complicata, quindi è obbligatorio il ricovero. Esso dovrà essere eseguito in ambiente medico e non chirurgico e inizio con digiuno( in tutte le patologie acute addominali, il digiuno è un trattamento perché mette a riposo l’ intestino). Se il paziente ha appetito non è segno di danno, ma di benessere. Nella categoria anziani e bambini, l’appetito è un segno fondamentale. Se non si alimenta deve introdurre liquidi ed elettroliti ed iniziare antibiotico-terapia per ev. Si aspetta alcuni giorni e se c’è scomparsa di febbre e miglioramento dei sintomi, dovrebbe migliorare in pochi giorni e lo si manda a casa. Se invece il paziente non risponde al trattamento lo si sposta in un reparto di chirurgia e si valuta un eventuale intervento chirurgico. 6 Diagnosi: dipende dalla forma:  Asintomatica: diagnosi casuale (ad es. dopo colonscopia richiesta per SOF +);  Forma lieve: clinica + esami strumentali: clisma opaco a doppio contrasto (ci consente la DD tra malattia diverticolare e disturbi della motilità → “stato prediverticolare”), la colonscopia è da fare con attenzione (possibile perforazione);  Forma moderata o complicata/severa: clinica + esami ematochimici (leucocitosi, VES/PCR, anemia ecc.) + ECO per escludere altre cause, TC che ci mostra i diverticoli e le complicanze (altri esami come il clisma, l’entero TC o la colonscopia sono da effettuare con cautela per possibile perforazione). Trattamento: dipende dalla forma:  Asintomatica: trattamento conservativo con dieta ricca in fibre e probiotici;  Forma non complicata: come sopra + antibiotici non assorbibili per os (es. Rifaximina);  Forma complicata: antibiotici + chirurgia per le complicanze. Vediamo gli interventi:  In 2 tempi (secondo Hartmann): resezione, colostomia terminale e chiusura del moncone rettale (vedi immagine). E’ quello più usato, rimuove il focolaio settico e risolve il problema delle esecuzione di una anastomosi rischiosa in condizioni settiche. La ricostituzione della continuità intestinale viene praticata dopo 6 settimane, escidendo la colostomia e confezionando una anastomosi colon-rettale;  In tempo unico: resezione-anastomosi senza colostomia. Polipi e poliposi Definizione: Il polipo è una neoformazione, sessile o peduncolata, aggettante nel lume intestinale. Distinguiamo 2 tipi di polipi:  Polipi non neoplastici: che non hanno tendenza alla cancerizzazione e che comprendono i polipi iperplastici, i polipi amartomatosi (quelli giovanili e quelli della sindrome di Peutz-Jeghers) ed i polipi infiammatori;  Polipi neoplastici: rappresentati dagli adenomi (distinti in: villosi, tubulari e tubulo-villosi), precursori dell’adenocarcinoma del colon. Possono essere sporadici o ereditari (FAP: poliposi adenomatosa familiare). Polipi non neoplastici:  Polipi iperplastici: sono i più comuni nell’età adulta. Hanno, in genere, piccole dimensioni (diametro inferiore a 0,5 cm), sono sessili e, spesso, multipli. Sono generalmente asintomatici e la loro diagnosi è, per lo più, occasionale in corso di esame endoscopico.  Polipi infiammatori: localizzati prevalentemente nel retto e nell’ileo terminale, sono costituiti da tessuto linfoide iperplastico ed ipertrofico. Possono essere osservati anche nei pazienti con RCU e, con minore frequenza, nel MC.  Polipi amartomatosi: possibile (seppur rara) trasformazione maligna, possono essere sporadici ma più frequentemente ereditari nell’ambito di 2 sindromi (vediamo più avanti):  Polipi giovanili: frequenti tra i 4 ed i 5 anni. Localizzati in prevalenza nel retto, hanno dimensioni contenute (0,5-3 cm), si presentano peduncolati, di forma ovalare, a superficie liscia. Clinica: emissione di modeste quantità di sangue rosso vivo durante, o immediatamente dopo, la defecazione. Classificazione Hinchey ascesso diverticolare: -Hinchey 1: ascesso inferiore a 3-4 cm, assenza di segni di sepsi, di immunocompromissione o di comorbidità -L’ascesso di hinchey 2 è maggiore di 3-4 cm, prima della terapia chiedere aiuto al radiologo interventista per un eventuale drenaggio ascessuale tc guidato. -Hinchey 3 e 4 il paziente diventa chirurgico, è settico, può essere emodinamicamente instabile e può passare in sala operatoria. Nel paziente emodinamicamente instabile si opterà per l’ esecuzione di colostomia(abboccamento del colon alla cute). In un paziente emodinamicamente stabile, si può tentare l’ esecuzione di un’ anastomosi primaria colon- colica o eseguire la procedura di Hackman. Stadio 2 di Hinchey, esecuzione di drenaggio tc guidato: procedura terapeutica che prevede l’introduzione, dopo avere praticato l’anestesia locale, di un sistema coassiale di speciali cateteri nell’organo o tessuto affetto dalla patologia in esame, al fine di favorire la fuoriuscita di materiale fluido biologico, che potrà anche essere inviato all’U.O.C. di Anatomia Patologica per essere analizzato. Alla TAC, l’ascesso appare come una raccolta liquida e con una bolla d’aria prodotta da necrosi e batteri. Per poter drenare bisogna avere una finestra, vuol dire che non ci deve essere trasposizione di visceri ( usiamo un ago a pig tail, il cui “ricciolo” drena all‘esterno il materiale sporco). Si posiziona il drenaggio, si aspira con la siringa e il materiale viene portato al di fuori. Un’ indicazione alla resezione del sigma vi è per futili episodi di diverticolite non complicata. La procedura di Hackman prevede una seconda procedura di ricanalizzazione, dopo sei mesi bisogna riportare il paziente in sala operatoria per togliere la colonstomia, ecco perché si evita di operare in urgenza evitando così di eseguire una seconda operazione. Esecuzione procedura di Hackman: moncone chiuso a valle e si confeziona un’anastomosi colon-rettale. Ciò si può fare anche in laparoscopia. I batteri più facimente convolti in caso di ascesso sono: E. coli. e Klebsiella Pneumonie. Terapia farmacologica ascessuale: solitamente si usano farmaci ad ampio spettro es. cefalosporine (ceftriaxone o rocefin associate a metronidazolo). O anche piperacillina tazobactam o al suo posto meropenem. Trattamento Fistola: rimuovere il sigma e parte di vescica o una parte di vagina, o una parte di cute in base a dove si forma la fistola stessa. 7  Polipi della sindrome di Peutz-Jeghers: presenti anche nello stomaco e nell’intestino tenue hanno un diametro di media grandezza (1-1,5 cm) e sono multipli. Spesso associati a pigmentazioni mucocutanee (macchie melanotiche a livello della cute, delle labbra, della mucosa orale, dell’ano). Polipi neoplastici: adenomi, hanno un’incidenza molto elevata (5-10% della popolazione); compaiono in qualsiasi età ma sono rari al di sotto dei 20 anni. La varietà tubulare è molto più comune (75% dei casi), ma la forma tubulo-villosa è quella a più alto rischio. La loro distribuzione nel colon è sovrapponibile a quella che ha il cancro. Clinica: può rimanere a lungo asintomatico e costituire reperto occasionale in corso di colonscopia o di clisma opaco. Si può, invece, manifestare con:  Emissione di sangue: più o meno abbondante, di colore rosso vivo o rosso scuro, durante o al di fuori della defecazione;  Mucorrea: il muco riveste le feci oppure viene emesso indipendentemente da esse;  Diarrea acquosa: rara;  Sintomi meno comuni: tenesmo rettale, dolori addominali, protrusione attraverso l’orifizio anale. Diagnosi: colonscopia + biopsia (che è effettuata come screening dai 50 anni in su e con SOF +). Trattamento: polipectomia endoscopica. Poliposi: la presenza di numerosi polipi (generalmente > 20) in segmenti diversi del grosso intestino e talora in altri distretti del tubo digerente. Possono essere forme non ereditarie (ad es. Sindrome di Cronkhite-Canada: condizione non ereditaria nella quale la poliposi gastroenterica, di natura amartomatosa, si accompagna ad alopecia, atrofia ungueale ed alterata pigmentazione cutanea) ed ereditarie. Vediamo queste ultime:  Poliposi giovanile: malattia a trasmissione autosomica dominante che si caratterizza per l’esistenza, alla nascita, di molteplici polipi amartomatosi nel colon-retto.  Sindrome di Peutz-Jeghers: malattia autosomica dominante, nella quale si rileva una poliposi digestiva, con interessamento più frequente dell’ileo e del digiuno, associata a pigmentazione melanica mucocutanea (bocca, labbra, dita, vagina, ano).  FAP (Poliposi adenomatosa familiare): sindrome ereditaria a trasmissione autosomica dominante con penetranza del 90%, caratterizzata dalla presenza, a livello colon-rettale, di numerosissimi (da qualche centinaio fino ad alcune migliaia) polipi adenomatosi. Viene ereditata una copia mutata del gene APC, quando poi si muta l’altra copia compaiono i polipi. Questi, di dimensioni variabili, peduncolati o sessili, “tappezzano”, la mucosa del viscere; non sono presenti alla nascita ma compaiono dopo la prima decade di vita e progressivamente aumentano di numero e di grandezza; se non asportati, vanno sicuramente incontro a trasformazione maligna nel 100% dei casi. Abbiamo alcune varianti come: Sindrome di Gardner, di Turcot ecc. (vedile da internet). Clinica: i sintomi sono sovrapponibili a quelli del polipo adenomatoso singolo e sono: emissione di feci verniciate o commiste a sangue, rettorragia, mucorrea ed alterazioni dell’alvo in senso diarroico. Diagnosi: colonscopia + biopsia. Screening: sigmoidoscopia ogni anno partire dai 12. Trattamento: proctocolectomia profilattica vista la % di trasformazione maligna. Carcinoma del colon Epidemiologia: è la neoplasia più frequente sia nel M che nelle F, ed è la 2° per mortalità (nel M dopo il K polmone, nelle F dopo il K mammella). L’incidenza è in aumento e la mortalità in riduzione, questo sia per i miglioramenti terapeutici, ma soprattutto per i programmi di screening che consentono una diagnosi precoce, vediamo:  SOF (ricerca sangue occulto nelle feci): per tutti > 50 anni ogni 2 anni; se – si ripete ogni 2 anni; se +:  Colonscopia: se – rifaccio SOF dopo 10 anni; se + può essere:  Polipo: e faccio polipectomia endoscopica + esame istologico;  Tumore: che tratto in base allo stadio. Ovviamente i pz sono divisi in categorie di rischio e seguiranno diversi programmi di screening. Per tutte le categorie tranne quelle ad alto rischio il programma è quello già visto sopra. Per le categorie ad alto rischio:  FAP: sigmoidoscopia ogni anno a partire dai 12 anni, test genetico e successivamente proctoclectomia profilattica;  Sindrome di Lynch (HNPCC): colonscopia ogni 1-2 anni a partire dai 20 e test genetico (proposto anche ai familiari),  MICI: colonscopia ogni 1-2 anni dalla diagnosi (vedi MICI). La forma principale è l’adenocarcinoma ed il tratto più colpito è il colon DX, poi abbiamo il sigma, il retto, il colon SX ed il trasverso. Abbiamo 4 sottotipi molecolari (CMS1234 vedili) nei quali cambia la prognosi. Eziopatogenesi: il cancro del colon si può formare:  Per trasformazione di un polipo adenomatoso sporadico o ereditario (FAP) e si parla di sequenza adenoma- carcinoma;  Per la trasformazione direttamente maligna delle cellule epiteliali della mucosa, o sporadicamente o per la HNPCC. Diciamo che esistono 3 forme di carcinoma del colon-retto:  Ereditario: FAP ed HNPCC;  Familiare: c’è una predisposizione familiare (rischio doppio);  Sporadico: è il più frequente (80%), nel quale riconosciamo diversi fattori di rischio:  Età: > 50 anni;  Stili di vita: dieta ad eccessivo consumo di carni rosse ed insaccati, scarso consumo di frutta e verdura, obesità, fumo, alcol ecc;  MICI. Sequenza adenoma-carcinoma (vedi immagine): il piccolo adenoma crescendo infiltra la lamina basale e le altre tonache (facendo una polipectomia in questo stadio si può prevenire il cancro), fino a trasformarsi in un adenocarcinoma invasivo che può dare metastasi. Vie di diffusione:  Per continuità: può non oltrepassare la lamina basale e diventare un carcinoma in situ;  Per contiguità: oltrepassa i confini dell’organo diffondendosi agli organi vicini (reni, fegato, parete addominale → carcinosi peritoneale, vagina, vescica ecc.);  Per via linfatica: dapprima ai linfonodi loco-regionali nel meso;  Per via ematica: il primo organo interessato è il fegato (mentre nei tumori del retto medio/inferiore è il polmone perché il drenaggio avviene attraverso le vene rettali inferiori). Clinica:  Nelle fasi iniziali la sintomatologia è aspecifica: calo ponderale, anemia (sideropenica, dovuta al sanguinamento occulto/stillicidio ematico, soprattutto quando il carcinoma è a DX);  Man mano che cresce abbiamo una sintomatologia più specifica: alterazioni dell’alvo (alvo alterno), retto/enterorragia (con feci frammiste a sangue), tenesmo se interessa il retto, dolore nelle fasi più avanzate;  Nelle fasi avanzate o quando è molto grande possono insorgere delle complicanze:  OI: frequente nelle localizzazioni a SX e nella valvola ileo-ciecale. Il pz si presenta con: nausea, vomito, dolore, distensione addominale, alvo chiuso a feci e gas;  Perforazione: che può essere causata dalla propagazione per continuità o dalla distensione del viscere. Il pz si presenta con un quadro di addome acuto, causato dalla conseguente peritonite;  Emorragia acuta: che porta alo shock ipovolemico;  Da invasione locale: ascessi, fistole, ulcere ecc. Diagnosi: iniziamo con l’anamnesi per valutare la familiarità ed i sintomi, passiamo all’E.O. ed alla esplorazione rettale (ci consente di esplorare al massimo 8 cm, quindi potremo palpare al massimo le lesioni più basse). Il gold standard è la colonscopia + biopsia che ci dà la diagnosi di sede e la diagnosi istologica. La colon-TC è effettuata in tutti quei casi nei quali la colonscopia non può essere effettuata o l’esame risulti incompleto. Stadiazione: si utilizza la classificazione TNM (ma esiste anche quella di Dukes, vedi immagini). Gli esami utilizzati sono: 1) TC con Mdc total body: usata sia nella stadiazione che nel follow-up; 2) RM con Mdc: nei casi dubbi alla TC, soprattutto le lesioni epatiche; 3) CEUS (ECO con Mdc): possibile impiego nelle lesioni epatiche dubbie alla TC (in fase preoperatoria); 4) PET-TC: usata nel follow-up e per la valutazione delle recidive (molto sensibile). Molto importanti sono gli stadi 2 e 3 che si differenziamo principalmente per il parametro N (nel 3 c’è invasione linfonodale che richiede terapia adiuvante e la prognosi è peggiore). CEA125: marker con valore sia prognostico che diagnostico. Se al follow-up c’è un aumento del CEA con TC negativa, dobbiamo pesare ad una recidiva che non riusciamo a vedere. Trattamento: L’approccio terapeutico al cancro del colon-retto è, in prima istanza, esclusivamente chirurgico, al quale è possibile associare una CT adiuvante (schema FOLFOX-FOLFIRI) nel 3/4 stadio (nel 4° anche il Bevacizumab) che riduce il rischio di recidiva. E’ possibile anche resecare le metastasi epatiche. Abbiamo diversi tipi di interventi a seconda della localizzazione del tumore, ma vediamo prima i principi di terapia chirurgica:  La resezione prevede l’escissione del supporto ematico e dei vasi linfatici fino all’origine dell’arteria principale del tratto di viscere interessato dal tumore;  Quando si reseca un tratto di viscere è fondamentale che ci siamo almeno 5cm di margine libero, con la neoplasia che deve essere resecata “en bloc” → resezione R0;  La linfoadenectomia deve essere estesa fino all’origine del peduncolo vascolare e vanno rimossi “en bloc” almeno 12 lnf. Interventi chirurgici: possono essere effettuati sia in open che in laparoscopia (questa ha maggiori vantaggi):  Per i tumori a DX che vanno dal cieco fino alla flessura epatica, l’intervento indicato è l’Emicolectomia DX (vedi immagine): prevede la legatura dell’a.ileocolica all’origine, colica DX (se c’è) e ramo SX della colica media, si asportano tutti i lnf. fino all’origine dei vasi. Per ripristinare la continuità intestinale si effettua una “sezione/taglio” dell’ultima ansa ileale e del colon trasverso prossimale e poi si fa un’anastomosi ileo-colica;  Se il tumore è a livello della flessura epatica si lega anche l’a.colica media e dovrò fare una resezione più ampia, fino al terzo distale del trasverso;  Per tutti i tumori localizzati sia nella flessura splenica, sia nel colon SX, sia a livello del sigma, si effettua l’Emicolectomia SX (vedi immagine): prevede la legatura dell’a.mesenterica inf. a 1cm dall’origine e dell’a.colica SX e l’asportazione del colon che va dal trasverso distale fino al retto prossimale. Per la ripresa della continuità intestinale si effettua un’anastomosi colon-rettale che può essere fatta sia per via trans-anale che perineale. In urgenza, in caso di OI o perforazione si effettua la resezione secondo Hartmann (resezione sigma-retto con “affondamento/sutura” del moncone rettale e confezionamento di una colostomia temporanea/definitiva). Bridge to surgery o stenting: pz occluso che arriva in urgenza, si posizionano degli stent endoscopicamente per aprire l’occlusione, si ricanalizza il pz, lo si riequilibra e poi lo si opera con calma. Cancro del retto + Anatomia e Fisiologia del retto e del canale anale Anatomia: il retto si estende dalla terza vertebra sacrale sino alla linea pettinata (o dentata) che lo separa dal canale anale. È schematicamente suddiviso in tre porzioni: superiore → 8-12cm dal margine anale, medio → 4-8cm dal margine anale, ed inferiore → 4cm dal margine anale (la vascolarizzazione ed il drenaggio linfatico sono descritti sopra, nell’anatomia del colon). Fisiologia: l’arrivo delle feci nel retto, distendendo le pareti del viscere e stimolando i recettori meccanici nella linea dentata, determina l’inizio del riflesso alla defecazione, che comporta il rilasciamento dello sfintere anale interno (riflesso retto-anale inibitorio) ed il passaggio delle feci nel canale anale (poi la loro espulsione è controllata dallo sfintere anale esterno). Una volta finita la defecazione c’è un riflesso retto-anale eccitatorio che ripristina la funzionalità (contrazione dello sfintere anale interno). La continenza, ovvero la capacità di trattenere le feci, di discriminarle dai gas e di permetterne l’espulsione, è correlata a 3 fattori (vedi immagine): 1) Capacità di serbatoio del retto: è legata a fattori anatomici (ampiezza dell’ampolla rettale, distensibilità ecc.); 2) Apparato sfinteriale: costituito dallo sfintere interno (involontario, ispessimento dello strato circolare della muscolatura liscia del retto, dotato di un tono basale) e dallo sfintere striato (volontario) che comprende lo sfintere esterno il m.pubo-rettale. 3) Configurazione anatomica della regione anale: il canale anale anatomico va dal margine anale fino alla linea dentata. Il canale anale chirurgico, lungo 4cm, va dal margine anale fino all’anello rettale (struttura che comprende la porzione sup. dello sfintere anale esterno, lo sfintere anale interno ed una parte del m.pubo- rettale). In condizioni basali descrive con l’asse dell’ampolla rettale l’angolo ano-rettale, a convessità anteriore (80°). Alla formazione ed al mantenimento di questo angolo contribuisce il m.pubo-rettale che, avvolgendo la giunzione retto-anale a fionda, induce anche la chiusura del canale anale, superiormente, ad opera della parete anteriore del retto (flap valve). Dal punto di vista epiteliale distinguiamo 3 zone del canale anale: 1) Zona superiore alla linea dentata: mucosa ghiandolare simile al retto; 2) Zona intermedia (nella linea) detta anche zona di transizione: sono presenti i recettori per la discriminazione del contenuto liquido, gassoso, o fecale solido (fondamentale per distinguere i momenti in cui andare o meno in bagno); 3) Zona inferiore alla linea dentata: epitelio pavimentoso pluristratificato senza ghiandole e follicoli. Cancro del retto: il cancro del colon e del retto sono compresi in un unico gruppo di neoplasie, ma dal punto di vista anatomico, diagnostico e terapeutico sono entità distinte pur essendo entrambi degli adenocarcinomi. Infatti, se parliamo di retto superiore o intraperitoneale (> 10-12cm dal margine anale), la neoplasia andrà gestita come un tumore del colon (dopo la colonscopia + biopsia in cui si ottiene la diagnosi di natura e sede, se il pz non ha metastasi si invia a chirurgia). Diverso sarà il discorso per il retto medio/inferiore o extra-peritoneale (< 10-12cm dal margine anale), che ora vedremo. Per quanto riguarda l’epidemiologia e la sintomatologia vedi li cancro del colon. Diagnosi: colonscopia + biopsia: ci dà la diagnosi di natura e di sede, ci mostra le caratteristiche macroscopiche del tumore (escavato, ulcerato, polipoide/vegetante, stenosante ecc.), ma soprattutto quanto è distante dal margine anale. La distanza dal margine anale è importante perché ci permette di distinguere il retto extra-peritoneale dall’intraperitoneale, perché proprio qui (ne retto medio/inferiore) troviamo il mesoretto o grasso mesorettale (che dovrà essere asportato in alcuni casi), nel quale sono presenti i linfonodi. La distanza dal margine si misura con il colonscopio in uscita (desufflando) o con il rettoscopio rigido. Stadiazione: viene utilizzata la classificazione TNM (vedi colon), inoltre nel cancro del retto c’è una sottoclassificazione del T1 (vedi immagine, classificazione di Kikuchi) che descrive il livello di infiltrazione della sottomucosa e la probabilità di metastasi linfonodali → questa aumenta con l’entità di invasione della parete rettale: 6-14% nei T1 (con il rischio che è diverso anche nei sottogruppi: 1-3% T1sm1; 8% T1sm2; 23% T1sm3), 17-23% nei T2, 49-66% nei T3. Questo è molto importante dal punto di vista terapeutico. Comunque, la stadiazione è effettuata mediante:  Ecoendoscopia (EUS): per il parametro T ed N locali. Ha una sensibilità maggiore della RM nella valutazione dell’infiltrazione di parete (discriminare T2 da T3) e nella valutazione dei linfonodi peri-lesionali (lnf. ipoecogeni a margini netti e rotondeggianti, con diametro ≥ 1cm sono generalmente sede di metastasi). Possiamo aggiungere anche l’agoaspirato. Il problema è che non può essere fatta nei tumori stenosanti (la sonda non passa) ed è operatore dipendente.  RM della pelvi: è un esame complementare all’EUS in quanto ha una maggiore accuratezza e sensibilità nella valutazione delle lesioni localmente avanzate (T3 e T4) e del coinvolgimento linfonodale complessivo.  PET-TC: utile nei casi di malattia avanzata in cui gli esami di 1° livello sono dubbi, oppure utile nel follow-up per recidiva, ed anche nella rivalutazione del pz che ha fatto RCT neoadiuvante.  TC total body: per la valutazione del parametro N ed M a distanza. Nelle lesioni epatiche dubbie si può usare la RM con Mdc, la CEUS e la PET-TC. Trattamento: l’approccio principale è chirurgico, ma a seconda dello stadio si possono associare terapie neo/adiuvanti. Vediamo:  Neoadiuvante: è una RCT le cui indicazioni sono: II (T2-T3 N0) e III (qualsiasi T con N +) stadio. Si ottiene un down-sizing nel 70% dei casi (ad es. permette di evitare l’amputazione addomino-perineale per infiltrazione degli sfinteri → intervento di Miles, ed effettuare una chirurgia conservativa dello sfintere → resezione anteriore del retto). Abbiamo 2 schemi:  Short-course: pz irradiato solo per 5 giorni e poi chirurgia;  Long-course: RT per 25-28 giorni con CT (capecitabina per os) e poi chirurgia.  Adiuvante: RCT usata solo in caso di errore di stadiazione clinica, di tecnica chirurgica non corretta o in urgenza. Indicazioni trattamento:  Tis (tumore in situ che non ha superato la lamina basale): resezione locale, preferibilmente con TEM;  I stadio: chirurgia;  II e III stadio: RTC neoadiuvante + chirurgia;  IV stadio: terapie palliative + metastatectomie (dipende da quante sono e dove ecc.) Trattamenti chirurgici nel K del retto extra-peritoneale:  Microchirurgia endoscopica trans anale (TEM): escissione locale, senza rimozione di retto e mesoretto, ma soltanto della lesione mucosa fino al grasso peri-rettale. Indicazioni: l’ideale è per un T1sm1 della parete posteriore del retto basso, o per tumori benigni (vedi immagine);  Resezione anteriore del retto (vedi immagine C): per via anteriore con una laparotomia mediana xifo-pubica o meglio per via laparoscopica (addirittura anche in robotica oggi). Effettuata per le lesioni della giunzione sigmoido-rettale, del retto superiore e del retto medio. Prevede: legatura dell’a.mesenterica inf. ad 1cm dall’origine (o dopo l’origine della colica SX), si fa poi una resezione del colon SX sotto la flessura splenica ed infine un’anastomosi colon-rettale o colon- ano bassa. A tutto ciò si associa la TME (Total Mesorectal Excision): asportazione completa del mesoretto che garantisce l’asportazione completa dei linfonodi di drenaggio. E’ una chirurgia conservativa che risparmia lo sfintere anale. Almeno 2cm di margine libero.  Resezione addomino-perineale secondo Miles (vedi immagine D). Effettuata nelle lesioni del retto inferiore. Prevede: legatura come sopra, dopo di che si asporta il colon discendente distale, il sigma, il retto e l’ano nella sua interezza (canale anale con la cute circostante, apparato sfinteriale, muscoli elevatori e tessuto cellulo-adiposo delle fosse ischio-rettali e pelvi-rettali); si instaura quindi una colostomia definitiva. Questo intervento si fa perché i tumori vicino al margine anale infiltrano o danno metastasi linfonodali verso il basso e lateralmente.  Amputazione secondo Hartmann solo nei casi d’urgenza. Complicanze della chirurgia rettale:  Lesioni viscerali, vascolari e spleniche;  Lesioni urinarie e nervose e loro sequele (anche la RT neoadiuvante le causa);  Sanguinamento anastomostico;  Deiscenza anastomotica: maggiore causa di mortalità e mobilità, le feci vanno in addome e causano una peritonite (il pz va rioperato e fatta una colostomia terminale); se l’anastomosi è molto bassa (sottoperitoneale) si potrebbero formare solo ascessi peri-anastomotici (drenaggio TC-guidato);  Stenosi anastomotica: soprattutto nei pz radio trattati;  Sindrome da resezione anteriore del retto (o sindrome post-proctectomia): condizione patologica caratterizzata da una serie di sintomi: urgenza, frequenza ed incontinenza fecale (la funzione di serbatoio del retto è perduta); possiamo avere anche: stitichezza, gonfiore addominale, frammentazione delle feci. Questa sindrome viene valutata mediante questionari come il LARS, in base al punteggio possiamo capire se il pz ha la sindrome. Trattamento: è progressivo:  Modifiche dello stile di vita ed uso di lassativi o farmaci che inducono la stipsi;  Biofeedback: riabilitazione del pavimento pelvico;  Irrigazione trans-anale: per un wash-out meccanico;  Neuromodulazione sacrale;  Intervento secondo Malone: consiste nell’abboccare l’appendice alla cute (appendicostomia), attraverso tale stomia il pz può fare irrigazioni anterograde del colon per svuotare l’intestino;  Colostomia definitiva. Cancro dell’ano Preliminarmente è utile distinguere se il carcinoma anale origini dal margine o dal canale anale; in quest’ultimo caso, infatti, si possono avere anche degli istotipi diversi dallo squamocellulare (adenocarcinoma, carcinoma squamoso non cheratinizzante). La distinzione d’origine è importante in quanto raramente i carcinomi del margine metastatizzano ai linfonodi delle arterie emorroidarie superiori come avviene invece per i carcinomi del canale anale; però entrambe le forme diffondono ai linfonodi inguinali. Epidemiologia: età media d’insorgenza 60 anni, il carcinoma del margine è più frequente nei M, quello del canale nelle F. Clinica: di solito ulcerati, i carcinomi del canale causano: dolore e sanguinamento con la defecazione. Quelli del margine, invece, sono meno dolorosi e sanguinano con lo sfregamento. Diagnosi: il primo approccio prevede l’anamnesi e l’esplorazione digito rettale, successivamente si procede con endoscopia + biopsia che dà la diagnosi. DD:  Ragadi anali: di solito collocate sulla linea mediana posteriore e di aspetto ellittico abbastanza regolare;  Morbo di Crohn che coinvolge l’ano: si associa di solito una proctite con il classico quadro endoscopico e con lo scolo di muco e pus legato alla presenza di fistole sottomucose;  Condilomi anali ed ipercheratosi: biopsia. Stadiazione: ecoendoscopia per T ed N locali, RM per T, N ed M. Fare una valutazione dei lnf. inguinali. Trattamento: la RCT neoadiuvante ci consente di effettuare una chirurgia conservativa (escissione locale), ma in alcuni casi c’è bisogno della resezione addomino-pernineale secondo Miles. I lnf. inguinali vanno rimossi solo se metastatici. Patologie del retto Prolasso rettale: consiste nella fuoriuscita, attraverso il canale anale, di una porzione del retto. Epidemiologia: più colpiti sono i > 65 anni, F>M. Tuttavia, il prolasso rettale può insorgere anche in alcuni individui giovani, ma è raro. Anatomia del pavimento pelvico e del perineo (rivedila). Distinguiamo 2 tipi di prolasso (vedi immagine):  Prolasso rettale completo: prolasso che coinvolge tutti gli strati della parete rettale, è quindi un prolasso a tutto spessore;  Prolasso rettale mucoso: è la fuoriuscita (intussuscezione) solamente della mucosa rettale. Distinguiamo inoltre, un prolasso di:  Forza: si ha prevalentemente nei giovani, questi hanno un complesso sfinterico normale (non degenerato), un pavimento pelvico integro, per cui si tratta di una malattia primaria del retto (PS: in questi pz l’approccio migliore è per via addominale laparoscopica/tomica). 3 sono gli elementi principali:  Sigma ridondante: maggior calibro ma ugual lunghezza del sigma;  Verticalizzazione del retto;  Perdita dei mezzi di fissità posteriori.  Debolezza: si ha soprattutto nelle F anziane e non è altro che una malattia degenerativa del perineo (PS in questo caso l’approccio ideale è per via perineale, dal basso). Ha una eziologia multifattoriale nella quale, appunto, dobbiamo considerare diversi fattori:  Sigma ridondante;  Diastasi degli elevatori dell’ano;  Ampiezza e profondità dello sfondato del Douglas;  Perdita dei mezzi di fissità posteriori;  Perdita dell’angolo ano-rettale (rettilineizzazione del retto).  Dissinergia del pavimento pelvico: mancata coordinazione dei muscoli del pavimento pelvico (è spastico e la pz ha bisogno di riabilitazione). Clinica: vediamo segni e sintomi:  Protrusione: il prolasso ha un aspetto ad imbuto (a pliche concentriche) se è un prolasso completo;  Tenesmo rettale (falso stimolo alla defecazione, peggiora la situazione);  Sindrome da ostruita defecazione: manca il riflesso retto-anale inibitorio (fasi avanzate);  Incontinenza fecale;  Sanguinamento;  Nel 40% dei casi abbiamo associato un prolasso uterino, vescicale o una sindrome perineo-discendente (chiedendo al pz di “spingere” vedo la protrusione degli organi pelvici). Diagnosi:  Anamnesi: indagare sui parti, regolarità alvo e consistenza feci;  Esame obiettivo: esplorazione addominale e poi rettale dove valuto la beanza del canale anale (se presente indica una disfunzione dello sfintere anale interno), inoltre posso escludere una neoplasia del basso retto;  Anoscopia: l’anoscopio viene riempito completamente dal prolasso impedendo la visualizzazione;  Si passa poi agli esami strumentali. Esami strumentali:  Manometria ano-rettale: consente di valutare la lunghezza del canale anale, la P anale basale dello sfintere anale interno (40-70mmHg), P di contrazione volontaria dello sfintere anale esterno (100-200mmHg);  Compliance (capacità di adattamento dell’ampolla rettale): introduco con una sonda un palloncino fino a 4/5cm dal margine anale, durante l’esame il palloncino discende dalla sonda mezzo cm alla volta;  Defecografia: esame cardine nei prolassi rettali mucosi e nei rettoceli. Consiste nella introduzione all’interno del retto di una soluzione bario che colora le pareti del canale anale fino al retto, per evidenziare alterazioni;  Colpo-cisto-defecografia: studia anche l’apparato urinario e genitale. A riposo avremo un riempimento normale, dopo contrazione (visto che c’è un’invaginazione) sarà evidente la patologia;  Defeco RM: una RM durante la defecazione. In base alla posizione del prolasso rispetto alla linea pubo-coccigea si valuta il grado della patologia:  Grado 1: < 3cm dal margine anale;  Grado 2: 3-6cm dal margine anale;  Grado 3: > 6cm dal margine anale. Trattamento: abbiamo diversi tipi di interventi chirurgici, vediamo quelli con accesso per via perineale:  Intervento di Altemeier: si esegue nei prolassi completi > 5cm. Si fa una incisione circonferenziale ad 1cm dalla linea dentata permettendoci accesso al Douglas, resechiamo quanto intestino possiamo e poi anastomosi colon-anale;  Intervento di Delorme: si utilizza nei prolassi mucosi (intussuscezione). Si fa una incisione mucosa ad 1cm dalla linea dentata, si esegue una prolassectomia: si scolla la mucosa del retto portando in su la muscolatura circolare, poi si confezione un’anastomosi muco-mucosa. Quelli per via addominale (laparotomica/scopica):  Resezione + rettopessi (Frykman-Goldberg): si reseca il sigma e poi si fa una pessia, ovvero si va a fissare il retto per rettilineizzarlo a livello del promontorio;  RVL (Rettopessi ventrale laparoscopica): ci permette di eseguire anche una colpopessi. Consiste nel posizionamento di una protesi con incisione a J. Entrando dall’addome abbiamo il retto ed il setto retto- vaginale, si fa una incisione in questo spazio che va a costeggiare a J la parete rettale e si posiziona una protesi. Malattia emorroidaria: ingrandimento sintomatico e dislocamento dei cuscinetti anali al di fuori della loro normale posizione. Definizione di emorroidi: sono dei cuscinetti di tessuto angio-cavernoso con shunt artero-venosi, che hanno la funzione di chiudere completamente il canale anale contribuendo alla continenza. A riposo contribuiscono al 20% della P, mentre lo sfintere anale interno all’80% (questa struttura è anche chiamata plesso emorroidario: struttura fisiologica che induce una chiusura stagna, a tenuta di gas completa, del canale anale, dove sono presenti delle lacune o shunt artero-venosi chiamati anche corpi cavernosi del retto, sono tutti sinonimi di emorroidi). Abbiamo delle emorroidi interne ed esterne (accessorie/secondarie) in base alla localizzazione. Quindi se sono posizionate sopra (interne) o sotto (esterne) la linea dentata. Normalmente i cuscinetti emorroidari (detti anche gavoccioli) sono posizionati ad ore 3, 7 ed 11, mentre le emorroidi accessorie sono 2 ed in posizione variabile (vedi immagine). Le emorroidi stanno in sede perché sono all’interno di una struttura muscolare propria (fatta dalle fibre muscolari dello sfintere anale interno e del muscolo longitudinale congiunto), i legamenti di Parks. Dal punto di vista vascolare abbiamo l’a.rettale sup. (ramo della mesenterica inf.) che va ad irrorare in maniera esclusiva l’emorroidi, con effetto nutritivo e funzionale (ne determina il rigonfiamento permettendo la chiusura); il plesso emorroidario venoso segue in maniera identica il drenaggio dei rispettivi rami arteriosi. Eziopatogenesi: multifattoriale, inoltre nel tempo si sono susseguite diverse teorie. Oggi si prendono in considerazione diversi fattori che portano alla malattia emorroidaria:  Dilatazione dei canali vascolari: i pz con la malattia presentano un aumento del flusso e del calibro della branca terminale dell’a.emorroidaria sup. Si verifica una iperplasia del network artero-venoso della mucosa ano-rettale (i corpi cavernosi per intenderci) con scivolamento. Quindi: iperplasia → rigonfiamento per congestione veno-arteriosa → prolasso. Ovviamente tutto ciò è favorito da fattori che contribuiscono alla congestione venosa:  Ipertonia dello sfintere interno; utero gravido o un tumore pelvico.  Cedimento del tessuto connettivo: si ha un cedimento del tessuto connettivo di sostegno (i legamenti di Parks) che tiene in sede i cuscinetti anali con conseguente prolasso. Ovviamente tutto ciò è favorito da:  Età avanzata; sforzi prolungati durante la defecazione: stipsi, il trattenere le feci quando si ha lo stimolo di defecare (ovviamente si spinge e si sforza l’ampolla rettale fino al cediemento), tipo di alimentazione ecc.  Malattia infiammatoria: secondo gli ultimi studi si è visto che i pz con malattia emorroidaria avevano una maggiore rappresentazione di Metalloproteasi prima dell’intervento. Questi enzimi degradano i componenti della matrice extra-cellulare contribuendo al cedimento delle strutture;  Emorroidi esterne: il plesso emorroidario esterno, posto sotto la linea dentata, può inoltre prolassare e complicare ulteriormente il quadro. Classificazione: la classificazione di Goligher individua 4 tipi di emorroidi (vedi immagine):  I grado: emorroidi sanguinanti, che non prolassano, ma rimangono all’interno del canale anale;  II grado: emorroidi che fuoriescono alla defecazione con l’aumento della P addominale;  III grado: emorroidi che devono essere riposizionate manualmente, meccanicamente;  IV grado: emorroidi che non possono più stare in sede, si richiede intervento chirurgico. Clinica: vediamo la sintomatologia:  Sanguinamento/rettorragia senza dolore: caratteristica principale, è di colore rosso luminoso per la comunicazione artero-venosa (ovviamente DD con altri tipi di sanguinamento ad es. melena con sangue rosso scuro da tumore gastrico),  Dolore anale: c’è soprattutto in caso di trombosi emorroidaria esterna (delle emorroidi esterne), si può avere anche edema con l’emorroidi esterne che stanno perennemente fuori;  Prurito: per la fuoriuscita di muco e secrezioni che vanno ad irritare la zona perianale, provoca dermatite ed incontinenza paradossa.  Prolasso: non sempre evidente, è “a grappolo”, si differenzia con il prolasso rettale in quando quest’ultimo è ad “imbuto/pliche concentriche”. Diagnosi: clinico-strumentale: si inizia con l’anamnesi dove si raccoglie la sintomatologia del pz, poi si procede con l’esame rettale: eseguito in decubito laterale SX, si valuta la presenza o meno di emorroidi o altro; si accompagna alla ano/retto-scopia per valutare se c’è una ragade anale, il colore delle feci o per osservare il gonfiore delle emorroidi interne, inoltre ci dice se dobbiamo proseguire con una colonscopia (per escludere altre patologie, ad es.: diverticoli, cancro del colon-retto, MICI ecc. che si presentano con sintomatologia simile). Trattamento: è un trattamento step-by-step. Si inizia con il:  Trattamento conservativo: serve solo a correggere i sintomi. Inoltre è il gold standard in caso di emorroidi complicate (associate ad altre condizioni: MICI, gravidanza, pz immunodepressi ecc.). Abbiamo:  Dieta ricca in fibre: per risolvere la stipsi;  Terapia comportamentale: buona idratazione; posizione per andare in bagno: usare una posizione a 35° per aprire l’angolo ano-rettale e facilitare la defecazione (posizionare un supporto sotto i piedi);  Agenti topici e flebotonici: per determinare la riduzione delle metalloproteasi e quindi l’infiammazione associata (effetto anti-infiammatorio);  In caso di trombosi emorroidaria: entro le 72H possiamo eseguire l’asportazione del coagulo mediante una piccola incisione; dopo le 72H usiamo un trattamento conservativo con: semicupi, antidolorifici ed emollienti delle feci.  Trattamento ambulatoriale:  Scleroterapia: serve per il trattamento delle emorroidi di 1° e 2° grado. Si infiltra sopra la linea dentata (una zona che non è innervata e non è dolorosa) una sostanza che causa fibrosi/cicatrizzazione del tessuto vascolare e va a fissare il tessuto emorroidario;  Legatura elastica: posizionamento, tramite device, di un elastico alla base del cuscinetto emorroidario, questo anello provoca l’ischemizzazione del tessuto che cadrà in 4-5 giorni.  Trattamento chirurgico non escissionale:  Emborrhoid: è una embolizzazione. Tramite catetere (dalla femorale) si arriva nell’a.rettale sup. che viene embolizzata, occlusa. Trattamento indicato nei pz con comorbidità importanti (es. pz anziani e sanguinanti);  TRANSTARR (Transanal rectal resection): si va a resecare la mucosa e la sottomucosa del canale anale andando a riportare in sede l’emorroidi. Indicato per quelle di 2° e 3° grado;  DHT (De-arterializzazione trans anale delle emorroidi con mucopessi): sotto guida doppler si identificano le arterie, si vanno a legare e poi si esegue una pessia (una serie di punti) dall’alto verso il basso, all’ultimo si fa un nodo e si riposiziona in alto il tessuto emorroidario. Indicato per quelle di 3° grado;  HelP (Hemorroid laser procedure): con un laser, sotto guida doppler, si bruciano le arterie riducendo il flusso vascolare;  LHP (Laser hemorroid plasty): evoluzione di sopra, si usa nel 3° e 4° grado e prevede una coagulazione all’interno del gavocciolo.  Trattamento chirurgico escissionale: per le emorroidi di 3° e 4° grado, soprattutto quando abbiamo il triangolo di Milligan & Morgan → i gavoccioli emorroidari ad ore 3-7-11 prolassati:  Escissione secondo Milligan & Morgan: è una emorroidectomia escissionale aperta (che può essere fatta con elettrobisturi, dispositivo ad RF, ecc.). Possiamo avere anche una emorroidectomia semi- aperta (secondo Parks) o una chiusa (secondo Ferguson); in questi interventi le ferite vengono chiuse per ridurre il dolore post-operatorio. C’è rischio di apertura e possibile infezione del 50%. intervento di Longo Complicanze della malattia emorroidaria:  Stenosi: è una stenosi anatomica che si viene a creare se non si sta attenti ai ponti mucosi o ai gavoccioli secondari. C’è il rischio di chiusura del canale anale completa, perciò non possiamo asportare tutti i gavoccioli, ma saremo costretti a lasciare dei ponti mucosi in mezzo alle incisioni, necessari per mantenere la continenza ed evitare una stenosi;  Dolore post-operatorio, emorragie;  Nella scleroterapia se si sbaglia l’infiltrazione si può avere: ascesso della prostata, epididimite, fascite necrotizzante (soprattutto la Gangrena di Fournier in questo caso). Ascessi e fistole perianali: l’ascesso perianale e le fistole rappresentano due momenti diversi di un’unica patologia, la malattia suppurativa perianale, di cui: l’ascesso ne costituisce il momento acuto, mentre la fistola è la sua cronicizzazione. Epidemiologia: età media d’insorgenza 40 anni, M>F. (Il testosterone stimola la sintesi di citochine pro-infiammatorie TNF, IFN, TGFb ecc.) Eziopatogenesi: nel canale anale abbiamo la linea dentata, a questo livello sono presenti le colonne di Morgagni, delle pieghe longitudinali a livello delle quali sboccano le ghiandole anali (di Hermann e Desfosses) con un numero da 6-10. Queste ghiandole, confinate inizialmente nella sottomucosa, tendono ad attraversare ed arrivare a livello dello sfintere anale interno (vedi immagine sopra). Se la secrezione di queste ghiandole viene bloccata per un trauma, materiale fecale, corpi estranei ecc. le secrezioni non possono fuoriuscire e si forma un ascesso, che nel 30-50% dei casi si trasforma in una fistola. Ma queste ghiandole possono diramarsi ed interessare tutti i tessuti della regione anale, quindi vuol dire che si possono formare ascessi e fistole anche in essi: confinato nella sottomucosa, sfintere anale interno, muscolo longitudinale, spazi intersfinterico e sfintere anale esterno. Nel 95% dei casi l’origine dell’ascesso è lo spazio intersfinterico, per poi svilupparsi ed essere: perianale (più superficiale, che non riguardano la componente muscolare, numero 1 immagine sotto), può rimanere intersfinterico, può essere sopraelevatoriale (sopra l’elevatore dell’ano), oppure nella fossa ischio-rettale (ed essere parallelo al canale anale). Questi ascessi possono avere uno spread/distensione definita “a ferro di cavallo” (portando alla formazione delle fistole omonime), ovvero si estendono per una semicirconferenza, un ascesso bilaterale (vedi immagine). Parlando delle fistole queste presentano un orifizio esterno (che dipende dal tipo di coinvolgimento muscolare) ed un orifizio fistoloso interno (che sta all’interno del canale anale o del retto), mentre un ascesso è una raccolta che non per forza avrà un orifizio, oppure può trovare uno spontaneo drenaggio nella cripta originaria (fistola cieca) con 1 solo orifizio. Classificazione di Parks delle fistole perianali (vedi immagine):  Fistola intersfinterica (2): sono quelle più frequenti (45-70%). Non coinvolgono lo sfintere anale esterno ma solo quello interno;  Fistola tran sfinterica (3) (23-30%): si dividono in basse che coinvolgono meno del 30% di porzione dello sfintere anale esterno; ed alte con un coinvolgimento > 30%;  Fistola sovra sfinterica (4): coinvolge anche il muscolo pubo-rettale;  Fistola extra-sfinterica (5): bypassa il complesso sfinterico, può essere dovuta ad una diverticolite complicata, MC ecc. Inoltre, è definita:  Fistola semplice: se non è tale da provocare un deficit al pz relativamente alla continenza (non coinvolge la componente muscolare). Sono fistole semplici quelle: intersfinterica, tran sfinterica bassa, fistole superficiali (perineali), sottomucose o nella cavità ischio-rettale.  Fistola complessa: comprendono quelle sovrasfinteriche, extra-sfinteriche e transfinteriche alte che coinvolgono più tessuti. Inoltre includiamo anche una serie di patologie e soggetti. Ad es. una donna con una fistola anteriore, seppur transfinterica bassa avrà una fistola complessa, in quanto le donne hanno anteriormente la vagina che è una zona di debolezza; o ad es. pz con RCU, MC ecc. Clinica: un ascesso perianale determina dolore sordo e continuo nella regione anale esacerbato dalle manovre di ponzamento (tosse, defecazione ecc.), sarà presente una tumefazione con i segni dell’infiammazione. Possono essere presenti manifestazioni sistemiche: febbre e malessere generale. L’ascesso sottomucoso può determinare anche tenesmo. Nei pazienti con fistole la cronica fuoriuscita di materiale purulento può determinare prurito perianale e lesioni da grattamento. A tutto ciò si possono aggiungere i sintomi delle eventuali patologie correlate (MICI ecc.). Diagnosi: è prettamente clinica. Iniziando dall’anamnesi passiamo poi all’esame obiettivo andando a guardare il perineo. In fase acuta è facile identificare la tumefazione dolente dell’ascesso, mentre in fase cronica si può apprezzare l’orifizio fistoloso esterno dal quale fuoriesce materiale siero-ematico-purulento. Si passa alla esplorazione rettale, talvolta dolorosa, grazie alla quale possiamo apprezzare ad es. negli ascessi intersfrinterici una tumefazione nel canale anale, mentre nelle fistole l’orifizio fistoloso interno (fondamentale la sua individuazione per la terapia). Legge di Goodsall (vedi immagine): gli orifizi posteriori rispetto ad una linea immaginaria che passa per il centro dell’ano originano da una cripta mediana posteriore; quelli posti anteriormente derivano invece da una cripta corrispondente. Per quanto riguarda gli esami strumentali in aiuto ci viene l’ECO transanale che ci permette di analizzare il complesso sfinterico, la sede degli ascessi ed i tramiti fistolosi. Nelle fistole complesse è consigliabile una RM pelvica. Trattamento: - La terapia atb è inutile per la presenza della capsula ascessuale.  Ascessi: il trattamento d’elezione è l’incisione ed il drenaggio (identificato l’orifizio interno possiamo drenarlo inserendo un setone drenante: un filo che mi collega l’interno con l’esterno e che mantiene la cavità pulita);  Fistole: si basa sul mantenimento della continenza e sulla riduzione delle recidive. Abbiamo diversi tipi d’interventi. Nelle fistole semplici possiamo usare i tradizionali, nelle complesse gli sphinter saving:  Tradizionali: generalmente danneggiano il muscolo ma danno meno recidive:  Fistulotomia: messa a piatto di tutto il tragitto fistoloso dall’interno verso l’esterno, o viceversa, tramite uno specillo su guida;  Fistulectomia: è un carotaggio, cioè l’asportazione del tragitto fistoloso dall’interno verso l’esterno o viceversa. In un primo tempo si asporta solo la parte malata, in un secondo tempo andiamo a chiudere la fistola, o meglio, l’orifizio interno con varie tecniche.  Procedure “sphinter saving”: danno più recidive ma non danneggiano il muscolo:  FLAP endorettale di scorrimento: tecnica che permette, tramite avanzamento di un lembo di mucosa ano-rettale o con associata muscolatura, di coprire l’orifizio fistoloso. Ad es. chiudiamo l’orifizio con dei punti, poi proteggiamo la chiusura con questo FLAP di mucosa (il tutto dopo aver curettato e resecato la porzione malata); deve essere tension free  Cellule staminali autologhe: tramite un kit si prelevano le cellule dal grasso addominale del pz, le si mettono in soluzione e poi si impiantano nel tramite fistoloso. Loro essendo multi potenti si vanno a differenziare e hanno un effetto riempitivo (ovviamente è una tecnica da associare alle altre);  LIFT (Legatura del tramite intersfinterico): tramite unno specillo inserito nel tragitto fistoloso riusciamo ad individuare l’orifizio interno ed esterno. Su questo andiamo a chiudere la fistola eseguendo una chiusura a valle e a monte senza ledere il muscolo;  VAAFT: tramite un fistuloscopio pediatrico possiamo entrare nel canale fistoloso con una ottica (tecnica sia diagnostica che terapeutica) e poi, tramite gli strumenti inseriti nei canali operativi, fare un brushing del tramite fistoloso;  FILAC (Fistula-tract Laser Closure): si entra nel canale fistoloso e lo si brucia in senso disto- prossimale in modo che collabisca su se stesso. Idrosadenite suppurativa (Malattia di Verneuil): malattia infiammatoria cronico-ricorrente che colpisce le aree ricche di ghiandole apocrine (sudoripare). Epidemiologia: esordio in pubertà, 3° decade più colpita, F>M nel post-menopausa. Localizzazione: ascella, inguine, perineo, regione perianale (DD con le fistole), mammelle e pliche sottomammarie, glutei e pube. specie nelle donne specie negli uomini Eziopatogenesi: multifattoriale, S. aureus sembra il patogeno più coinvolto, ma in realtà è una sovra infezione. Riconosciamo diversi fattori di rischio: fumo, obesità, cannabinoidi, familiarità. Nella prima fase della malattia c’è una cheratosi infundibolare ed una iperplasia follicolare → si accumulano detriti cellulari che portano alla formazione di NB: fumo--> nicotina aumenta la virulenza; obesità --> stress meccanico; cannabinoidi--> sembra essere un trigger cisti (noduli dolenti, profondi e ricorrenti). C’è distruzione dell’apparato pilo-sebaceo con risposta immunitaria locale e poi massiva, che porta alla formazione di ascessi, fistole e poi cicatrici ipertrofiche. Non è stato identificato un gene, ma sembra correlata ad alterazioni di NOTCH: nel 30-40% dei casi c'è familiarità. NOTCH riduce l'attività i TLR ed è implicata nello sviluppo dei follicoli piliferi Clinica: oltre ai rilievi che troviamo sul corpo del pz, quest’ultimo riferisce: dolore, depressione, alterazioni della salute sessuale, stigmatizzazione della malattia. Una qualità di vita molto ridotta. Spesso associata ad obesità (fattore predisponente), !Sembra essere associata ad un aumento del R di K squamocellulare! insulino-resistenza, amiloidosi, M. di Crohn... Diagnosi: prevalentemente clinica, si fa in base alle info comunicate dal pz, in base alla sede dei noduli ed i base alla presenza di criteri obbligatori dermatologici. Gli esami ematochimici saranno normali, gli esami strumentali sono gli stessi usati nelle fistole perianali. DD: viene fatta con l’E.O. e l’esame rettale consente di escludere altre patologie: CRITERI DERMATOLOGICI - ANAMNESI: storia di lesioni dolorose o purulente; LOCALIZZAZIONE: inguine, ascella, perineo, area sottomammaria; CLINICA: in fase precoce abbiamo follicolite, noduli e ascessi mentre in fase tardiva cisti, fistole e cicatrici)  Fistole perianali: l’idrosadenite non comunica col canale anale (è localizzata intorno), in più ci sono altre localizzazioni (es. ascella);  Morbo di Crohn: spesso l’idrosadenite è una manifestazione primitiva di MC;  Cisti epidermoidi infette: diversa localizzazione.  Fistole pilonidali: differente localizzazione;  Ecc. (Mal. di Fox-Fordyce: dermatite cronica, più granulare rispetto agli ascessi da idrosadenite) Classificazione di Hurley: nel 75% dei casi rimangono al 1° stadio:  1° stadio: molti noduli, ascessi senza estensione sottocutanea, senza fistole e senza cicatrizzazioni ipertrofiche;  2° stadio: ascessi ricorrenti con fistole, cicatrizzazioni ipertrofiche, una sola lesione o lesioni estese multiple;  3° stadio: localizzazioni diffuse, con tragitti fistolosi che comunicano fra loro. (irrigando con acqua ossigenata una fistola, si nota la fuoriuscita da tutti i fori) Trattamento: varia in base alla estensione della malattia: ATB poco efficaci  Fase acuta: terapia locale con antibiotici ed antisettici; terapia sistemica con antibiotici ed antinfiammatori. Se si forma un ascesso va inciso e drenato. Se è coinvolto l’apparato muscolare si è formata una fistola.  Fase cronica: antibiotici, gluconato di zinco (inibitore della 5α-reduttasi), retinoidi, anti-androgeni. Terapia biologica in alcuni casi (Adalimumab, Infliximab, Etanercept). Necessario approccio multidisciplinare: consulenza dermatologica  2° e 3° stadio è possibile ricorrere a: sempre utile per eventuale trattamento (pre- o post-chirurgia).  Incisione e drenaggio;  Escissione totale e guarigione per seconda intenzione dei lembi: gold standard;  Innesti: lembi di avanzamento per ricoprire il tratto escisso. > Trattamento con laser; >"deroofing" (rimozione del tetto della fistola e medicazione con ATB locali) Fistole pilonidali o sacro-coccigee: è una infezione acuta o cronica della regione sacro-coccigea, generalmente sulla linea mediana. Epidemiologia: tende a colpire soprattutto i soggetti tra 15-25 anni, M>F, razza bianca più colpita. Eziopatogenesi: diverse teorie, quella più supportata è la teoria acquisita, basata sul ruolo patogenetico della penetrazione dei peli nel tessuto sottocutaneo. I peli provocano infiammazione e dunque una risposta immunitaria da corpo estraneo, la cui conseguenza sono gli ascessi prima e le fistole dopo. Questo spiega anche le recidive post- chirurgiche. Fattori predisponenti: M, ipertricosi, obesità, scarsa igiene, sudorazione eccessiva, traumatismi locali ripetuti. Anatomopatologia: si tratta di una cavità pseudo cistica nel tessuto sottocutaneo del solco intergluteo, in corrispondenza del sacro e del coccige. I tramiti fistolosi possono trovarsi a 4-8cm di distanza dall’orifizio primario. Clinica: la sintomatologia varia a seconda dello stadio della malattia (nei casi di fistola congenita, senza secrezione, non c’è sintomatologia e non necessita di trattamento, a meno che non si riacutizzi). Nella fase acuta c’è l’ascesso che si manifesta con le caratteristiche dell’infiammazione. A questo può far seguito la cisti se non si forma l’orifizio esterno o una fistola se c’è la comunicazione. Può esserci localizzazione extra-sacrococcigea: es. periombelicale e interdigitale. Si classificano in 5 stadi: Tipo 1 - Cisti asintomatica senza storia di ascessi o secrezioni. Le cisti sono disposte nell'area navicolare e non richiedono terapia chirurgica. Sufficienti buona igiene e depilazione dell'area. Tipo 2 - Ascesso pilonidale acuto. Si tratta con il drenaggio tramite incisione laterale. Tipo 3 - Cisti pilonidale entro l'area navicolare con storia di ascessi o secrezioni. Si tratta chirurgicamente. Tipo 4 - Almeno una cisti pilonidale all'esterno dell'area navicolare. Richiesto trattamento chirurgico aggressivo per rimuovere interamente le cisti ed il tramite fistoloso. Tipo 5 - Malattia ricorrente. Recidiva dopo le procedure chirurgiche. Il trattamento è comunque chirurgico. Diagnosi: prettamente clinica, si fa stendere il pz in posizione prona e si apprezzano gli orifizi fistolosi nel solco intergluteo. Trattamento: varia a seconda dello stadio. Come al solito se c’è un ascesso si incide e si drena. Per la fistola/cisti abbiamo diverse tecniche chirurgiche:  Trattamento aperto: si esegue una incisione ellittica arrivando all’aponeurosi sacrale (senza attraversarla) e si asporta tutto il tratto fistoloso, senza ricoprirlo. Ferita più grande e maggior dolore, ma miglior tasso di successo;  Trattamento chiuso: con FLAP di chiusura della incisione. Meno dolore ma maggior rischio di deiscenza ed un risultato estetico inferiore;  Trattamento mini-invasivo: l’eccellenza è la EPSiT (Endoscopic Pilonidal Sinus Treatment), il principio è simile a quello della VAAFT. Meno dolore post-operatorio ma il tasso di recidiva è elevato. Un altro trattamento è il PiLAT (Pilonidal Disease Laser Treatment) simile alla FILAC. Ad un pz con malattia pilonidale cronica sospetta, è utile fare una biopsia e richiedere una TC o PET-TC. Questa malattia va trattata come un tumore ed è necessaria una resezione “en bloc” con margini adeguati. Ragadi anali: ulcerazione lineare dell’epitelio squamoso dell’ano (dermo- epidermica), distale alla giunzione muco-cutanea e solitamente nella linea mediana posteriore (ad ore 6). Distinguiamo 2 tipi di ragadi anali:  Acuta: lacerazione che dura da meno di 3 settimane;  Cronica: quando dura da più di 3 settimane, con la presenza di una papilla anale e di un nodulo sentinella (segni clinici). In questo caso si avrà una vera e propria ulcera escavata all’interno della mucosa che mette in evidenza lo sfintere anale interno (vedi immagine). * Eziopatogenesi: abbiamo 3 fenomeni che si susseguono, ma possono anche coesistere: 1. Meccanico: emissione di feci dure e per la fragilità del canale anale si crea una lesione che non guarisce (solo 1/4 dei pz con ragade sono stitici); 2. Vascolare: a livello della linea mediana posteriore sono presenti meno arterie, di conseguenza ci sarà meno O2 e la cicatrizzazione della ferità sarà lenta; 3. Sfinterico: lo sfintere anale interno è responsabile del tono anale basale, quando abbiamo un danno che si chiude avremo un ipertono riflesso in risposta allo spasmo. Ipertono e spasmo causano il dolore. Nelle F nel 90% dei casi si ha una ragade posteriore, mentre il 10% è anteriore, questo è legato alla gravidanza (presentano una ragade normotonica dovuta al parto). Nel M nel 99% dei casi è posteriore. La sede classica sarebbe quella posteriore, quando si presenta anteriormente abbiamo la coesistenza, o la paternità della ragade è di un’altra patologia: MC, neoplasia, tubercolosi, trauma dovuto alle feci dure, immunodeficienza ecc. Clinica: la sintomatologia è caratterizzata da un dolore a 3 tempi: 1. Prima di andare in bagno; 2. Una remissione transitoria dopo essere andati in bagno; 3. Una recidiva post-irritazione che può durare ore. Abbiamo anche il riscontro di tracce di sangue rosso vivo nella carta igienica. Diagnosi: è clinica, in aiuto possiamo usare diversi esami strumentali:  Colonscopia: se la ragade anale è laterale, va fatta prima dell’intervento chirurgico;  ECO transanale;  Manometria anale: ci permette di quantizzare l’ipertono, in questo modo decidiamo se intervenire chirurgicamente o meno; (se il pz non risponde a terapia medica-conservativa e resta ipertono --> sfinterotomia)  RM: nei casi più complessi. Trattamento: è un trattamento step-by-step:  Conservativo-Medico: accorgimenti dietetici, accorgimenti igienico-sanitari, dilatatori anali criotermici (riducono l’ipertono). Si associano farmaci, quali:  1° linea: nifenipina (Ca antago); molto efficace a lungo termine, può causare lieve emicrania, meno eff. coll. dei nitrati.  2° linea: rectogesic; ( = TriNitroGlicerina ); è associata ad emicrania, anche severa  3° linea: tossina botulinica (induce un blocco simpatico, ha 2 problemi: effetto dopo 24-72H, l’effetto non è duraturo). Il 50% delle ragadi si risolve con il solo trattamento conservativo.  Chirurgico: abbiamo diverse tecniche:  Fissurectomia;  Sfinterotomia laterale parziale interna: è superiore al trattamento medico ma solo il 5% dei pz lo esegue. Può essere fatta con 2 metodiche: aperta e chiusa. Vediamo cosa prevede (vedi immagine): si fa una incisione a livello perianale, si entra con una forbice e si taglia lo sfintere anale interno, una quantità di muscolo che varia in base alla dimensione della ragade (meno muscolo si taglia e minore sarà il rischio di incontinenza). Complicanze sfinterotomia: incontinenza all’aria; sanguinamento; non guarigione della ferita; prurito anale; ematoma della ferita; infezione del sito chirurgico. Porta ad una deformazione dell'ano, che causa incontinenza più o meno importante, spesso con perdita di secrezioni. Può avvenire con metodica aperta o chiusa (attenzione a non causare ematoma e complicanze ulteriori!). La sfinterotomia è superiore al trattamento medico, ma è riservata al 5% dei pz che non rispondono ad altre terapie. PROCEDURE NON ESCISSIONALI (grado 2 e 3) INTERVENTO DI LONGO (mucoprolassectomia con emorroidopessi mediante utilizzo di stapler) Si basa sulla teoria meccanica delle emorroidi. In tale intervento, con una stapler, ovvero con una suturatrice circolare, si va ad eseguire una mucopessia, nel senso che i gavoccioli emorroidari vengono riportati nella loro posizione naturale dopo resezione di un tratto di mucosa e di sottomucosa. Vantaggi: ridotto dolore post-operatorio e ridotto ricovero. Svantaggi: alta percentuale di recidive (20-30%). DEARTERIALIZZAZIONE EMORROIDARIA DOPPLER GUIDATA (THD) Si basa sulla teoria dell’iperplasia vascolare. Dal momento che i rami arteriosi che vanno a nutrire le emorroidi in posizione litotomica sono disposti in posizione 1, 3, 5, 7, 9 e 11, la dearterializzazione emorroidaria consiste nella legatura di queste sei arteriole. Sotto guida di un doppler si identificano le arterie e vengono eseguite delle legature che permettono sia di bloccare il supporto vascolare delle emorroidi sia di eseguire una mucopessia perché, partendo dall’alto e andando verso il basso, l’ultimo punto sarà un punto che andrà a portare in alto il tessuto emorroidario. PROCEDURE ESCISSIONALI: EMORROIDECTOMIA (grado 3 e 4) - Emorroidectomia aperta (secondo Milligan-Morgan): ancora oggi gold-standard con evidenza Ia. Lo scopo dell’intervento è quello di asportare i gavoccioli emorroidari in corrispondenza dei tre peduncoli vascolari principali (laterale sx, posteriore dx, anteriore dx), partendo dalla cute perianale per risalire nel canale anale fino a raggiungere il retto. In questo modo si rimuovono le emorroidi e il prolasso mucoso rettale, quasi sempre associato. Nella fase di dissezione è importante preservare gli sfinteri anali, quello interno in particolare, perché una loro lesione potrebbe compromettere il tono anale. Inoltre bisogna lasciare tra le ferite dei ponti di ano-derma (ponti mucosi) intatti per evitare complicanze post-operatorie, come l’emorragia e la stenosi anale. Si effettua in anestesia loco- regionale, ed è associato a trascu

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