Chimica Industriale 1 PDF
Document Details
Uploaded by Deleted User
Tags
Summary
Questi appunti introducono i concetti di base della chimica industriale, coprendo argomenti come cinetica chimica, termodinamica, e ingegneria delle reazioni chimiche. Gli argomenti includono l'industria chimica e i suoi settori, la petrolchimica, la produzione di coloranti ed esplosivi, i polimeri, la chimica primaria e secondaria, ed infine l'importanza della sostenibilità nel settore.
Full Transcript
CHIMICA INDUSTRIALE 1 Gli argomenti fondamentali sono: - Cinetica Chimica - Termodinamica delle reazioni chimiche - Ingegneria delle reazioni chimiche L’industria chimica L’industria chimica è il settore industriale che si basa sulla trasformazione di alcune materie prime per dare pr...
CHIMICA INDUSTRIALE 1 Gli argomenti fondamentali sono: - Cinetica Chimica - Termodinamica delle reazioni chimiche - Ingegneria delle reazioni chimiche L’industria chimica L’industria chimica è il settore industriale che si basa sulla trasformazione di alcune materie prime per dare prodotti che possono essere finali o intermedi per altre industrie. I prodotti di cui si occupa la chimica industriale sono: - Materie prime che si ricavano dal petrolio, dal gas naturale, dall’aria (ossigeno per fare ossidazioni, azoto per fare ammoniaca), acqua (reagente o sistema controllo o di servizio di T e scambi di calore e raffreddamenti o utilizzata come vapore), metalli e minerali. La chimica industriale o industria chimica nasce a fine 800 e coinvolge lo sviluppo delle scienze chimiche legate all’economia e al progresso. È una materia o un sistema che nasce da applicazioni delle scoperte scientifiche e delle reazioni studiate in chimica. Più scoperte scientifiche e più attività industriale per la produzione di massa degli elementi e per questo ci fu un grosso sviluppo a fine 900 per la guerra. Fondi per la ricerca messi a disposizione della ricerca per attività belliche e le prime grosse produzioni sono legate a esplosivi e coloranti (nitrazioni con sistemi aromatici). L’industria dei coloranti si sviluppò per prima, assieme agli esplosivi e lo studio della chimica organica ci può aprire la mente su questo concetto. Sono state le prime industrie per lo sviluppo dello studio della chimica organica e la stessa cosa si può dire per la industria dei polimeri legata alla creazione dei polimeri di sintesi. A metà degli anni 50 degli anni 90 si iniziano a sviluppare polimeri di sintesi e questa è una attività di chimica industriale. Avvengono reazioni di polimerizzazioni su reattori di certo tipo adatti alla polimerizzazione. Naturalmente, le materie prime si trovano su una fonte discussa ad oggi, ovvero il CARBONE all’inizio e poi si è passati allo sfruttamento del PETROLIO come fonte di idrocarburi di diversi tipi e, di conseguenza, Agip e la petrolchimica che si sviluppa per creare benzine. Nasce anche l’Eni negli stessi anni. L’industria chimica necessità di energia ed è molto legata la raffineria all’energia elettrica utilizzata per fare reazioni. Settori dell’industria chimica La chimica industriale è divisa in CHIMICA PRIMARIA ed in CHIMICA SECONDARIA, a seconda del grado di trasformazione della materia prima. - Chimica primaria: parte da petrolio o gas naturale (fonti idrocarburiche) per estrarre e produrre e generare prodotti chimici + semplici di base che possono servire tal quali, ma principalmente come materie prime per altre industrie secondarie. Le materie prime le tiriamo fuori da fonti idrocarburiche, la + preziosa è il petrolio, ma oggi ne stanno scoprendo ulteriori a questa. Produzione di fenolo, benzene, propilene, etilene. Questa industria ha la caratteristica di operare su impianti di grande scala e quindi dimensioni di reattori e colonne di distillazioni molto grandi. Tipicamente sono aziende che lavorano in continuo e questo implica organizzazione logistica continua. Anche zolfo, pirite considerate come materie prime che servono per produrre alcuni minerali. La petrolchimica solitamente è un settore a parte in quanto è complessa e si basa sulla separazione degli idrocarburi e separare per ottenere prodotto singolo è complicato. - Chimica secondaria: utilizza come materie prime i prodotti della industria chimica primaria e in questo caso si fanno reazioni chimiche che producono molecole + complesse, come coloranti, farmaci ed altro. I prodotti costano molto e si possono vendere ad un prezzo + alto e, di conseguenza, avendo mercati minori possiamo avere impianti più piccoli di dimensioni e discontinui in quanto le produzioni sono minori per richieste minori, il guadagno è elevato lo stesso. In questo ambito si parla anche di CHIMICA FINE o di CHIMICA DELLE SPECIALITÀ. La chimica fine è la produzione di intermedi che possono essere materie prime per altre trasformazioni, principi attivi, additivi, coadiuvanti, catalizzatori per altre industrie manifatturiere. La parachimica è gran parte e quasi la metà della produzione chimica mondiale ed è la chimica delle formulazioni. Oggi qualsiasi prodotto chimico in commercio che non sia un solvente, deriva da aziende che mescolano un insieme di reagenti per ottenere un prodotto finale e questi sono additivi alimentari, adesivi ed altro che non sono singole molecole, ma ricette specifiche con determinati prodotti all’interno. Una colla vinilica o acrilica indica il polimero, una colla non funziona se non ha tutto il resto ed uguale per le vernici che non funzionano senza coadiuvanti ed altro. L’industria alimentare ha molti reagenti chimici all’interno, come stabilizzanti per la decomposizione alla luce e all’attacco dei batteri, per esempio, ed anche altri anti-coloranti che rendono il prodotto più appetibile. A monte c’è una azienda che mescola le materie per ottenerne di altre, come per il PVC che per lavorarlo e dargli una forma abbiamo dovuto vendere il PVC all’industria che fa il compound dove si aggiungono additivi specifici. L’esito positivo di una formulazione dipende dai rapporti di quantità e dalla qualità del prodotto. Anche l’aspirina, per esempio, non è solo un principio attivo, ma ha altri componenti all’interno anche. A partire dalle materie prime naturali o di riciclo (biomasse, insieme di idrocarburi per le sostanze petrolchimiche), si passa alla chimica primaria di base e dai prodotti mescolati in natura dobbiamo ricavare i prodotti di base che ci servono per costruire la chimica fine. Dal grafico si vede dove finiscono i prodotti ed il 67% va alle industrie (gomma, plastica, metalli, costruzioni). L’albero della petrolchimica Dal petrolio otteniamo diversi composti. Il petrolio per un’alta % va al carburante e una piccola % va alla chimica e chiameremo quindi una raffineria ed una petrolchimica. Dalla petrolchimica ci servono materie prime, come anelli aromatici vari per poi fare reazioni chimiche di polimerizzazioni di vari monomeri oppure reazioni con altri copolimeri per produrre oggetti di uso comune (magliette, auto ed elementi vari). La chimica industriale si occupa sia delle materie prime (sistemi che vanno all’esaurimento e quindi riciclo) sia dei prodotti finali (prodotti di scarto che contengono materie prime e possono essere rimessi in circolo). La chimica industriale si occupa delle reazioni chimiche che avvengono per ottenere i prodotti della petrolchimica. L’albero del cloro Il cloro ha diversi prodotti in cui è presente. Si formano una serie di prodotti clorurati che hanno un impatto ambientale notevole, ma creano una serie di prodotti utili, come il PVC usato per finestre e sacchetti. Hanno anche applicazioni in aeronautica, bottiglie e via dicendo. L’albero dell’acido solforico L’acido solforico porta una serie di prodotti come reagente e porta ad una serie di prodotti presenti nell’albero. Molti prodotti sono solfonati e quindi dobbiamo per forza usare acido solforico come agente solfonante. La chimica industriale ha cambiato vari aspetti durante gli anni e si parlava di chimica del carbone, di petrolchimica fino ad arrivare ad oggi alla chimica del riciclo e dell’alimentazione. Si parla sempre di economia circolare che è l’obiettivo della comunità europea ad oggi, questa economia circolare ha vari step. Per avere una economia circolare gli impianti andrebbero riprogettati secondo una serie di informazioni di risparmio energetico e di materie prime. Anche lo scarto e l’oggetto non utilizzato andrebbe riutilizzato e non gettato. Si cerca al massimo di avere un riciclo meccanico o chimico oppure un recupero energetico e riutilizzo della anidride carbonica. Alcuni riutilizzano i monomeri separandoli, ma questo comporta l’utilizzo di molti soldi. Sostenibilità La sostenibilità si rivolge al benessere delle persone e del pianeta e quindi del progresso. Lo sviluppo tecnologico e la scienza devono fornire gli strumenti per rendere meno impattante quello che viene prodotto. Non si parla di chimica verde, ma di chimica sostenibile. Alcune cose non sono fattibili dal punto di vista industriale, in quanto delle volte serve quella molecola specifica. La sostenibilità cerca di attenuare l’impatto nei vari stadi del processo di ciò che avviene, il processo è ciò che sta attorno anche alla reazione chimica e quindi anche l’energia utilizzata. L’albero della chimica da fonti rinnovabili Petrolio e carbone sono materie naturali, ma oggi si sta studiando molto sull’utilizzo delle biomasse (scarti vari) che sostanzialmente sono idrocarburi in miscela e quindi vengono utilizzate e trattate nella raffineria classica dove si metteva dentro il petrolio. Varieranno alcune cose nell’impianto, ma alla fine otteniamo sempre la stessa identica cosa come prodotto finale. La ricerca chimica offre una serie di soluzioni (chimica verde, ingegneria chimica…) che possono rendere più sostenibile un processo. Allo stesso tempo creare un impianto chimico costa molto e quindi questi costi devono essere ammortizzati. L’impatto può essere non solo nell’ambiente, ma anche un impatto sui lavoratori sia dal punto di vista economico sia dal punto di vista dei problemi di salute. Progettazione di un impianto industriale – Analisi tecnico-economica Pensiamo ad avere la mentalità di ciò che accade in industria. La mentalità del chimico in laboratorio è diversa da quello che si occupa di un impianto industriale. Il centro ricerche ha poi tutto quello che si studia ha un passaggio intermedio nell’impianto pilota e poi passa all’impianto industriale. Non tutte le industrie seguono questo passaggio di scala, soprattutto quelle più grandi e di grandi dimensioni. In particolare, tutto quello che riguarda la sicurezza dei lavoratori. Quello che fa il chimico è studiare le reazioni chimiche considerando che si parte dai reagenti attraverso delle reazioni chimiche si passa a dei prodotti, la reazione chimica in grandi quantità deve essere controllata e manipolata in maniera sicura per sé stessi e per gli altri lavoratori dell’impianto o del laboratorio chimico. Dobbiamo conoscere la termodinamica e la cinetica delle reazioni e la pericolosità dei reagenti e dei prodotti. Dobbiamo applicare le schede di sicurezza e attuare delle norme specifiche per evitare sversamenti, esplosioni o di farsi male in laboratorio. Anche l’esposizione è pericolosa, bisogna manipolare i reagenti in maniera consapevole e capire come intervenire se accade un evento non desiderato e all’infortunio. Bisogna conoscere la TERMODINAMICA e la CINETICA delle reazioni chimiche. Ci sono tabelle e manuali che ci aiutano a vedere se il solvente è volatile e tutte le caratteristiche chimico-fisiche delle sostanze utilizzate. Come chimici per la ricerca bisogna controllare e manipolare le sostanze esposive, tossiche e nocive. Cosa accade in un impianto chimico industriale? L’impianto chimico industriale è un sistema complesso dove comunque dobbiamo applicare le leggi della termodinamica, la reazione andrà condotta in quantità elevate rispetto al laboratorio. Però per tutti i principi studiati di termodinamica e cinetica e l’aspetto della catalisi vanno applicati considerando lo sviluppo di calore molto maggiore in questi apparati industriale e tutto ciò che sta attorno al reattore. Se nel laboratorio di ricerca, la reazione viene fatta in piccolo e nel becher o nel reattore di dimensioni ridotte. Per il chimico industriale i reattori sono fatti in acciaio perché si lavora ad alte pressioni e temperature. Analizzando solo la natura del reattore dobbiamo fare dei sistemi che controllino le variabili di processo considerando il passaggio di scala che comporta problemi di smaltimento del calore, mantenimento della agitazione e altro e problemi che vanno risolti naturalmente. Quello che accade è che bisogna passare in scala industriale, ovvero non solo avere un reattore più grande, ma avere un sistema complesso di tubi, sistemi di controllo che sono di servizio al reattore. Quindi, dalla foto si vede un esempio caotico di un impianto industriale. Tutto questo comporta un aumento di attenzione del rischio, ma anche una serie di professionalità coinvolte nella gestione di questi sistemi. La chimica industriale che si occupa di varie produzioni ha a che fare con materiali abbastanza stabili, infiammabili, tossici, nocivi per uomo e ambiente. Tutto quello che si fa in laboratorio, tradurlo in un impianto industriale è difficoltoso. I prodotti maggiormente acquistati sono diversi: acido solforico, etilene, ossigeno, propilene, cloro, ammoniaca e molti altri. Di questi ne vengono prodotti a milioni di tonnellate. Impianto chimico La complessità che si è vista dalla foto deriva dalle necessità dell’impianto, necessità dell’impianto si possono analizzare così: - Materie prime: acquistate dalle aziende e messe in zona di stoccaggio. Le materie prime devono arrivare e sono prodotti in altri stabilimenti e derivano da altre lavorazioni, come quella del petrolio. Le materie prime necessitano di una zona di stoccaggio e devono essere usate in maniera automatica con tubi, pompe e sistemi di controllo e dosaggio per entrare nel reattore vero e proprio. La zona a valle del reattore è la zona di gestione dei prodotti ottenuti che devono essere stoccati e venduti successivamente. In tutto ciò deve entrare, per far funzionare il sistema, una serie di risorse come, operai, tecnici, chimici e via dicendo. - Risorse - Prodotti Non funziona tutto per magia, ma c’è bisogno di molta energia elettrica, molti combustibili per far funzionare le cose e molte risorse idriche. Ognuna delle fasi precedenti può essere problematica nella sua gestione. Ogni gestione è indipendente e ogni reparto avrà il suo dirigente ed il suo team. Un impianto chimico va considerato nel suo insieme e in ingresso si trovano ingresso personali e ingresso mezzi differenziati per evitare incidenti. Mezzi che sono camion che portano materie prime e portano via i prodotti dalla zona di stoccaggio eventuale. Abbiamo la zona di produzione dove c’è il reattore e servizi del reattore (cuore dell’impianto), ma subito dopo c’è il reparto serbatoi, i magazzini e nella zona centrale si vede anche il reparto manutenzione. In ogni reparto ci sono diverse persone e diversi pericoli. Tutto ciò ha bisogno di energia, di movimentazioni di liquidi, solidi e gas e quindi si ha zona di compressori per far circolare i fumi del sistema, ma anche una zona di manutenzione e officina e zone caldaie per avere non solo la zona di lavoro calda, ma anche il serbatoio caldo. C’è sempre una zona di depurazione ed un impianto di depurazione perché scarti devono essere depurati secondo normative, prima di finire in atmosfera. Abbiamo anche il sistema antincendio importante per evenienze di incidenti e fumi. È un sistema complesso che è difficile da gestire e serve del personale competente in materia per evitare incidenti nell’industria stessa. Le zone devono essere separate per evitare interferenze e tutto va organizzato al meglio per abbattere il rischio di incidenti. Studio di fattibilità di un impianto industriale Se noi andiamo a monte di quando si progetta di fare un impianto nuovo, bisogna fare uno STUDIO DI FATTIBILITÀ. Per fare impianto nuovo bisogna fare questo studio di fattibilità considerando: - Tipo di processo - Tipo di servizi richiesti - Economia della produzione: costi per vedere se è conveniente costruire un impianto nuovo in quel luogo preciso. L’analisi di fattibilità non può prescindere dalla analisi di mercato, ma parte comunque dalla analisi di mercato sempre. Analisi di mercato significa vedere dove conviene e cosa conviene produrre e soprattutto vedere i concorrenti presenti nel mercato, per avere il monopolio. Azienda che viene comprata viene chiusa per avere il monopolio nel mercato tipicamente. Si fa lo studio del prodotto, lo studio del processo (quanto costa, reattore da utilizzare, quanto produrre), lo studio dei servizi e lo studio economico. Si passa poi alla progettazione e alla realizzazione del progetto. Nell’analisi che verrà fatta ed è complicata da fare, si analizza: - Chi le produce - Miglior fornitore - Materie ausiliarie - Catalizzatori - Energia: quanto consuma lo stabilimento nuovo - Costo - Tempi e metodi di lavorazione: tempi in economia sono importanti per produrre velocemente. Nella sintesi dell’ammoniaca c’è uno studio sotto per produrre ammoniaca in tempi adeguati per esempio. - Eventuali lavorazioni affidate all’esterno - Stipendi dei lavoratori - Manodopera richiesta Quindi, i costi da considerare vanno proporzionati ai ricavi come in tabella: Processo produttivo: è importante per la vita dell’impianto è continuare a produrre e a guadagnare e quindi tutto quello detto è qualcosa di legato. Una delle fasi può cambiare e quindi dare problema all’intero processo. La cosa più banale è che aumenti il costo della materia prima e quindi aumenta il costo del prodotto finale e non sono più competitivo nel mercato mondiale. Politiche di produzione: quello che mette a riparo alcune volte a seconda delle produzioni. Molte produzioni sono MONOPRODOTTO (non flessibili come sistemi) e non permettono, se cala richiesto del mercato, di produrre altro e quindi permette la chiusura dell’impianto. Questo successe al cracking a Marghera per il petrolio. Mentre, gli impianti FLESSIBILI sono coloro che possono variare la reazione o apportare modifiche e quindi l’impianto si salva dal fallimento. La produzione monoprodotto non è semplice da convertire ed ha dei costi e bisogna pensare a cosa produrre. Rappresentazione del sistema: Grado di complessità: gli impianti si distinguono per grado di complessità nella produzione e alcune produzioni sono monoprodotto, monolinea e monofase ed altri sono multiprodotto, multilinea e multifase. Possono quindi variare le tipologie di reattori, le dimensioni e quindi varia tutto l’impianto. In genere c’è relazione tra prodotto e processo. Ci sono delle industrie che lavorano a progetto per esempio, su commessa specifica, altre che hanno una produzione a lotti ed altre a flusso. Si possono avere sistemi in produzione a flusso e continua, per la chimica e petrolchimica, dove si usano alti volumi e molti prodotti che sono standardizzati e sono processi + rigidi e strettamente collegati nella catena produttori-fornitori. Queste industrie si difendono meno rispetto alle piccole industrie nel cambiamento della linea produttiva. Vincoli alla produzione Bisogna considerare anche dei VINCOLI quando si fa una produzione su una reazione studiata in laboratorio. Ci sono VINCOLI TECNOLOGICI che riguardano la tecnologia esistente nel momento in cui io vorrei decidere di fare quella produzione, riguarda l’ingegneria chimica e quella dei materiali per esempio. Cinquanta anni fa avrei bocciato la produzione per un vincolo tecnologico ad esempio. Ci sono anche i VINCOLI ECONOMICI, ad esempio il costo del prodotto è elevato e non sarei competitivo nel mercato. A questo si può aggiungere un terzo vincolo, quello di OPPORTUNITA’ AMBIENTALE, ovvero devo valutare la zona ed il relativo impatto ambientale di tutto il sistema aziendale. Nel senso che la produzione ha un certo impatto ambientale relativamente a reagenti, prodotti e reattore impiegato (T, P, condizioni impiegate, tossicità), ma l’impatto ambientale è relativo a tutta la zona che devo costruire e quindi serbatoi, area vasta di tutto l’impianto e anche relativamente alla viabilità (camion che viaggiano) e le autorizzazioni ottenute dai comuni tengono conto anche di questo. Impianto industriale (o Stabilimento) Vediamo le varie tipologie di impianti industriali. Perché esistono poi i poli industriali, ovvero un insieme di impianti di produzione che sono complessi, messi uno vicino all’altro? È un utilizzo di tipo economico e per ogni impianto si parla di IMPIANTO DI PRODUZIONE e di IMPIANTO DI SERVIZIO (riguarda struttura produttiva). Se abbiamo un insieme di impianti, negli anni in cui sono stati costruiti i poli chimici, si sono messe delle produzioni una di fianco all’altra per usufruire degli stessi impianti di servizio e del prodotto di lavorazione del primo impianto, come prodotto di trasformazione per il secondo, abbattendo così i costi di trasporto. Nascono così i poli chimici che esistono ancora. Si chiamano cluster ed occupano aree molto vaste e sono delle vere e proprie città, dove le case sono gli impianti e abbiamo diverse strade dove si trovano tutti i servizi necessari. Ognuna di queste attività può essere a rischio di incidente. Anche i rischi possono essere dei sistemi che si propagano a catena su tutti gli impianti. Anche la gestione della sicurezza deve essere comune e per questo che in questi poli chimici esiste all’interno un piccolo ospedale di primo intervento (pochi posti letto). Abbiamo anche una centrale elettrica indipendente all’interno di questi poli chimici, ma anche un servizio di vigili del fuoco interno allo stabilimento e di personale addestrato per interventi specifici per ogni impianto. Reti di distribuzione - Energia elettrica - Acqua - Gas - Trasporti: tubi che trasportano acqua, energia elettrica, gas (vapore, reattivi vari, acidi) - Calore Anche il sistema di manutenzione va aggiunto ai costi di un impianto. Il vapore è un modo per trasportare il calore ed è un modo quello del vapore in pressione. Questo può essere uno dei prodotti di alcune reazioni quando si lavora ad alta T e poi si raffredda, il calore viene recuperato come calore e riutilizzato o venduto ad altri impianti. Nei poli chimici i servizi sono necessari per abbattere i costi e sono dimensionati nell’ottica che qualcuno si aggiunga alla rete del polo. L’energia elettrica non viene utilizzata solo per i forni, ma anche per sistemi di servizio (illuminazione), per le officine ad esempio. Il grosso dell’energia elettrica riguarda alcune produzioni, come quelle dove vengono usati i forni, riscaldatori, saldatrici, bagni galvanici ed altro. La distribuzione dell’energia ha una sua filosofia a parte. Acqua di stabilimento Importante è l’uso dell’acqua che può essere quella industriale, quella antincendio e quella potabile. Ci sono tubi dell’acqua separati tra loro e ben divisi. L’acqua viene presa dalla falda, soprattutto a Marghera. Si può prendere da pozzi profondi, dai fiumi, dal mare se c’è impianto di desalinizzazione. Non deve essere salata per problemi di corrosione. L’acqua va trattata per togliere sospensioni o materiali solidi che ostruiscono i tubi. Il problema dell’acqua è che quando la usiamo, essa torna dove è stata prelavata, ma non torna nelle stesse condizioni. Se ha subito trattamento termico avrà T + elevata, ma può contenere anche contaminanti se usata per altri scopi. Soprattutto sulle emissioni gassose, ogni stabilimento le ha, sono soggette a limitazioni per legge e sono molto basse per legge per alcune sostanze. L’acqua industriale è importante come: - Mezzo di raffreddamento in impianti o processi di lavorazione - Materia prima nelle lavorazioni che richiedono acqua per lo sviluppo di certe reazioni - Mezzo di lavaggio o solvente - Agente meccanico negli impianti, apparecchiature e macchine di tipo idraulico - Produzione di vapore e trasporto di calore - Preparazione di bagni per trattamenti - Trasporto di materie prime o di scarto - Raffrescamento dell’aria ambientale - Lavaggio di polveri e gas Le principali fonti di alimentazione dell’acqua industriale sono: - Acquedotti pubblici - Acque superficiali - Falde sotterranee Serve anche l’acqua in pressione e quindi servono SERBATOI, POMPE, SISTEMI DI RACCOLTA, CENTRALI DI POMPAGGIO che indicano dei costi per l’impianto. C’è anche il costo dell’impianto di potabilizzazione per l’acqua. Aria compressa L’aria compressa è portata dai tubi dentro all’impianto o nei laboratori di ricerca, serve per comando di valvole di regolazione, come forza motrice o anche parte integrante del processo di ossidazione per esempio. Quello che costa sono i COMPRESSORI che aspirano aria atmosferica, la filtrano e la comprimono alla pressione desiderata. Nei poli chimici ci sono compressori di grandi dimensioni nelle cabine. Ci sono centrali tecniche raccolte in aree precise nelle ISOLE TECNICHE. Ci sono poi uffici, aree di ristoro, aree di assistenza medica, impianti igienici e spogliatoi, aree scoperte e piazzali, reparto manutenzione, strade di accesso. Non è da meno l’aspetto esterno, non è indispensabile, ma anche l’occhio vuole la sua parte e quindi ci sono ambienti ben curati. Problemi di sicurezza Da ultimo, come detto la SICUREZZA è di natura diversa. In un impianto la sicurezza può essere vista sotto due punti di vista: - Incidenti da evitare - Sabotaggio: posti di guardia, muri di cinta, fari illuminanti ai cancelli e sistemi di televisione a circuito chiuso. Ci possono essere anche calamità come terremoti, uragani, alluvioni, eventi vandalici, incendi e via dicendo e quindi bisogna valutare anche la zona dove si costruisce un impianto. C’è un costo di sicurezza in aumento, in un impianto chimico è tutto l’impianto un rischio chimico e non solo la manipolazione delle sostanze. Naturalmente, più si cura l’impianto e si spende in sicurezza e meno si spende nel pagare i danni relativi alla sicurezza e al bloccaggio della produzione. Naturalmente, la prevenzione può anche fallire. La rappresentazione grafica dei processi chimici La complessità degli impianti chimici e la complessità del polo chimico l’abbiamo affrontata e questa si riflette sulla complessità di intervento in caso di incidente, di rischio chimico + complesso rispetto alle normali produzioni. C’è anche la complessità relativa all’impatto ambientale. Nei poli chimici quando viene dismesso un impianto non si fa il riutilizzo di quello vecchio, ma si costruisce quello nuovo senza demolire quello vecchio. Questo ha portato ad avere strutture decadenti che hanno contribuito all’inquinamento del suolo. Con il tempo si è cercato di smantellare il tutto, con dei costi. La complessità dell’impianto si ripercuote su chi deve intervenire ed interpretare e gestire l’impianto stesso e quindi tutte le maestranze che devono gestire la produzione: da sala controllo a operai e dirigenti che devono controllare e monitorare la produzione. Per questo è importante la RAPPRESENTAZIONE GRAFICA. È necessaria una rappresentazione grafica dei processi che essendo molto complicati, ci sono vari livelli di rappresentazione grafica e quindi parliamo degli ELEMENTI DI DISEGNO DI IMPIANTI CHIMICI. Registrare e comunicare le informazioni fa parte del sistema di rappresentazione grafica ed ogni zona dell’impianto ha una serie di elementi che vanno classificati e indicati e avremo flussi, portate, T e P. Siccome sono successioni di elementi vediamo i sistemi principali di rappresentazione. DIAGRAMMA A BLOCCHI: prima cosa che si fa quando si vuole rappresentare schematicamente il processo. Si riportano gli stadi fondamentali del sistema tipicamente, senza preoccuparsi di definire la tipologia e il numero di apparecchi e senza andare nel dettaglio. La rappresentazione è con dei rettangoli, cerchi, triangoli e via dicendo. Non si usano simboli chimici per descrivere il tipo di elemento che si sta analizzando e sono collegati questi elementi con delle frecce che indicano flussi in entrata ed in uscita. Un esempio: Si può osservare che c’è scritto per esempio compressione, sintesi e non il reattore utilizzato o il compressore. Andrebbe annotato che, aiuta anche a risolvere esercizi, tutto quello che entra e tutto quello che esce. Sulla freccia di ingresso si indicano le condizioni: cosa entra, quantità, T e P di ingresso e uscita. Questo si fa anche diagrammi industriali che sono grandi fogli dove è descritto l’impianto con tutti ingressi ed uscite ed è essenziale per il bilancio di materia ed analizzare se il processo sta andando bene e come si voleva. Ingressi ed uscite sono monitorati con dei misuratori. Questo richiede una cosa + complessa, ovvero devo sapere che reattore è, che tipo di controllo c’è, valvole di flusso, controllo della T e della P. Si passa ad uno schema + complesso dove vengono richieste le norme UNICHIM. Tutto quello che accade nei rettangoli non è richiesto nell’esame. SCHEMA SEMPLIFICATO O DI PRINCIPIO: esistono schemi + complicati, come quello semplificato con disegni semplici da capire con compressore, valvola. SCHEMA DI PROCESSO: Le norme UNICHIM sono una serie di regole in riferimento al reattore (agitato multistadio, multilivello, a letto fisso con catalizzatore solido), pompe, scambiatori di calore, compressori vari, valvole. La rappresentazione di un letto fisso è semplice, con quadro con una x all’interno. Le valvole di intercettazione possono avere vari controlli. In questi schemi esistono delle sigle per indicare i fluidi di servizio e quelli di processo (acqua, gas, soda caustica, olio…). A cosa servono gli schemi di processo? Esistono sistemi di controllo di processo che analizzano valvole di ingresso ed uscita e T e P, le pompe hanno tutte un controllo. Ci sono schemi + complicati dove uno li usa per fare le manutenzioni in quanto mando operai in quella zona e loro la conoscono prima di arrivare. I problemi maggiori si hanno nelle giunzioni dei tubi, nelle flange e nei tubi perché possono rompersi. Dei software hanno dentro sistemi complessi globali con le norme UNICHIM, abbiamo possibilità di zoomare ed estrarre il cuore dell’impianto ed il sistema singolo e questo è quello che uno farà quando vedremo i bilanci di materia. I software hanno anche all’interno i bilanci di materia e quindi la materia che esce ed entra e quella generata dalla reazione. Una veloce panoramica di quella che è l’IMPIANTISTICA DI SERVIZIO. Ci sono valvole, tubi e flange varie in questa zona. Ci interessano i sistemi di stoccaggio e trasporto dei gas e dei liquidi e quindi i tubi sostanzialmente. I tubi devono essere di un certo tubo: devono sopportare sforzi meccanici, azione chimica del reagente che passa, la P e la T. Sono tubazioni che devono avere la stessa resistenza del reattore e quindi hanno un certo costo, ovvero 60% del costo totale circa sono dati dai tubi di collegamento e ci sono ditte specializzate che valutano e vedono spessore e diametro dei tubi per essere idonei. La tipologia del tubo ed il tipo di materiale dipende dal fluido che passa all’interno. Anche questi hanno una simbologia ed una normativa che indica il tipo di materiale, ci sono delle colorazioni con delle frecce che indicano il flusso e le sostanze che passano all’interno del tipo. C’è poi tutto il mondo dei metalli e degli acciai. I contrassegni e i codici tubazioni servono in caso di controllo, rottura o rottura accidentale. La rottura di un tubo causa danni economici elevati. Chi agisce deve avere in mano lo schema di impianto per capire cosa è successo e dove si trova. L’unione di 2 tubi viene fatta con GIUNTI e con RACCORDI. I giunti possono essere saldati o incollati, ma molto spesso vengono collegati attraverso le FLANGE. Abbiamo dei dischi tenuti assieme da bulloni ed è la parte + debole dell’impianto. La saldatura può durare anche poco se fatta male. Ci possono essere variazioni sul tema: giunti a manicotto filettato, a bicchiere o a bocchettone. Per inciso, chi fa attività di ricerca in chimica industriale lavora con reattori in acciaio e anche i raccordi sono tubazioni in acciaio che si raccordano con sistemi specifici a tenuta. Altre cose che fanno parte dei vari ACCESSORI di linea, come i FILTRI IN LINEA, SOFFIETTI, ISOLAMENTI TERMICI se il tubo necessità di evitare la dispersione termica con dei cappotti nei tubi e nei reattori. Servono quindi le COIBENTAZIONI fatte da lane di roccia, lana di vetro, magnesite e via dicendo. Non dimentichiamo le GUARNIZIONI, che sono le giunzioni che se devono tenere la pressione non la tengono, hanno bisogno delle guarnizioni che devono essere messe tra i tubi e tra le flange e possono essere di vari materiali e devono avere resistenza meccanica e chimica. Bisogna stare attenti al tipo di materiale che si sceglie per queste guarnizioni. Vengono definiti come O- RING. Materiali sono BUONA, EPDM, SBR e quindi materiali plastici, grafite, metalli malleabili rispetto all’acciaio. Bisogna stare attenti quando si usano queste o-ring in quanto il materiale potrebbe essere solubile nel solvente della nostra soluzione e quindi bisogna prestare attenzione. Le VALVOLE sono di vario tipo e vengono definiti come sistemi di intercettazione del flusso, possono essere: - Valvole di intercettazione: azione tutto aperto, tutto chiuso. Valvole on/off e non consentono di conoscere e dosare in maniera regolare la sostanza. Le valvole possono essere a saracinesca, a rubinetto, a farfalla e a cieca. Hanno diversi meccanismi di azione. Le valvole a saracinesca sono tipiche e si vede volante che esce e disco blocca il flusso essendo mandato giù. Quelle a rubinetto che girate possono bloccare il flusso. - Valvole di regolazione: azione portata variabile. Sono + complesse delle precedenti e permettono di regolare il flusso in maniera regolata. Non sono delle saracinesche, si oppongono al flusso in maniera tarata e c’è un pistone che riduce area di passaggio. Ve ne sono di varie tipologie. - Valvole di non ritorno o di ritegno: escludere inversione di flusso; - Valvole di sicurezza: evitare sovrapressioni o fuoriuscite. Dischi di rottura sono dei rubinetti aperti bloccati da un disco, composto da materiale che resiste ad una certa P, se P supera la P di rottura del materiale la valvola sfiata e tutto viene intubato nella valvola di sfiato che va ai sistemi di depurazione. Ci sono valvole a molla per impianti grandi e anche in laboratorio, al pistone si contrappone la pressione che mi alza il pistone quando supera la forza della molla. Cambiando tipo di molla cambio la forza con cui la molla si contrappone. - Valvole di respirazione: evitano sovrapressioni o vuoti. Ci sono le valvole a controllo elettrico e sono utili perché permettono controllo a distanza rispetto alle valvole manuali. Si chiamano ATTUATORI e a seconda dell’impulso che viene dato avremo costi e manutenzione diverse. Operazioni unitarie Andiamo a vedere cosa sono le operazioni unitarie. Noi studiamo le trasformazioni della materia, tutta la reazione, ma abbiamo bisogno di tubi e valvole di sostegno, ma anche di preparare le materie prime alle reazioni e anche di depurare e separare le materie da vendere. Si razionalizza dividendo il processo chimico in + stadi, pensando che ogni stadio sia indipendente dal resto del sistema. Avremo quindi diverse unità con diverse gestioni. 1. Operazioni unitarie: processi fisici che non coinvolgano le reazioni chimiche. Però per arrivare al reattore dobbiamo trasferire solidi, liquidi, macinazioni, stripping, compressioni e via dicendo che sono indispensabili per la formazione del prodotto. 2. Processi unitari: le reazioni chimiche vere e proprie, intense non come reazione specifica, ma lo studio cinetico e termodinamico delle famiglie di reazione. I due diversi aspetti contribuiscono e generano la produzione. È un approcio concettuale, ovvero è un approcio che mette ordine in un sistema complesso e permette di studiare ogni singola operazione in maniera specifica, senza preoccuparsi di ciò che avviene nel reattore. Queste operazioni di purificazione, di arricchimento costituiscono il grosso del lavoro, al di là della reazione chimica che avviene nel reattore specifico. Tutto questo nella sua complessità viene studiato nello studio di trasferimento di materia ed energia, anche tra fasi diverse tra loro. Quello che bisogna gestire in un sistema complesso di reagenti, prodotti e solvente e quindi materiale che dobbiamo trasportare all’interno dell’impianto, è essenziale conoscere le leggi che governano il trasporto di materia ed energia. Questo fa parte della fisica. Le leggi utilizzate per descrivere questi fenomeni di trasferimento di materia ed energia sono fenomeni fisici. In particolare, quando siamo in presenza di 2 fasi a contatto diverse tra loro, dobbiamo identificare la FORZA SPINGENTE, ovvero quello che mi consente di spostare la materia e l’energia da una parte all’altra del sistema, quindi scaldare, raffreddare e separare. Questo può essere fatto in quanto è stato studiato. Questi concetti torneranno quando parleremo di catalisi. Il catalizzatore mi favorisce la reazione chimica. Ogni processo industriale, all’80% usa un catalizzatore di solito eterogeno dove le fasi devono venire a contatto. Le reazioni di solito sono multifase ed il catalizzatore è eterogeno solitamente. La reazione avviene ed è gestita dai trasporti di materia, questo perché i reattivi devono arrivare nella superficie del catalizzatore e generare i prodotti di reazione che poi devono essere separati da reagenti non reagiti. Questo meccanismo di fasi diverse è descritto da modelli fisici e matematici da cui derivano le leggi di trasporto. Quello che si fa generalmente è fare un MODELLO FISICO. I chimici fanno i meccanismi di reazione ed i fisici il modello fisico, dove descrivono il fenomeno. Il modello fisico richiede una eleborazione matematica e qui si giunge ad avere una equazione matematica che mi descrive il modello fisico e quindi il fenomeno, con i limiti del modello fisico in quanto riferito ad un modello finto e non reale. In particolare, quando parliamo di trasferimento delle fasi è importante sapere qual è il motore, quali sono i sistemi che mi spostano energia e materia nell’impianto e qual è la condizione al contorno e gli stadi finale, e quindi il raggiungimento di un equilibrio. Sfruttando questo, si arriva a delle equazioni descrittive del fenomeno. Di solito sono equazioni differenziali, o sistemi di equazioni differenziali. Un altro metodo di approcio è la velocità di trasferimento e l’equazione che si cerca è una equazione di velocità e quindi quantità trasferita nell’unità di tempo, che verrà moltiplicata per il tempo di contatto tra le fasi. Di conseguenza, si va a dimensionare l’apparecchiatura conoscendo la quantità di materia. La velocità di trasferimento in forma generale si definisce coma la forza spingente / resiste o unità di area. Inoltre, oltre a questa velocità di trasferimento bisogna anche considerare l’equilibrio termodinamico dei sistemi e le equazioni di bilancio. In fisica si possono fare diversi BILANCI: - Materia - Energia - Quantità di moto - Momento angolare - Calore - Entropia - Entalpia - Carica elettrica Tutti questi bilanci nel campo dell’ingegneria di processo riportano ad una equazione di progetto che descrive il comportamento o dimensiona l’apparecchiatura chimica e permette di mettere assieme le varie informazioni. Le EQUAZIONI DI PROGETTO possono essere riferite a sistemi continui o discontinui e qui entra sicuramente la fluidodinamica. La composizione deve rimanere costante nel tempo, a parte dei problemi quando si inizia un processo di start up e quando si chiude un impianto. Soprattutto nei sistemi di piccole produzioni conviene usare i sistemi in discontinuo ed in questo caso avremo parametri di valutazione diversi. Tutto questo sarà la base per analizzare i reattori reali con cui lavoreremo. Vedremo come si legano le portate, le diverse variabili al volume del reattore, la velocità di reazione e via dicendo. Il FLUSSO può essere stazionario, non stazionario, turbolento, comprimibile, non comprimibile, ideale o non. Il flusso STAZIONARIO è quello che diciamo nel quale il fluido ed il suo moto viene descritto da un campo di velocità e dove il tempo non compare, in quanto la variabile non dovrebbe variare. Il flusso stazionario può essere che all’interno del tubo abbia velcità diverse, ma in quel punto ha sempre la stessa velocità. In una rappresentazione vettoriale abbiamo tutte le frecce con stesso verso. Il sistema può essere NON stazionario, quando il campo di velocità ha la sua importanza. Il caso estremo è il FLUSSO TURBOLENTO dove le velocità del fluido variano in modulo ed in verso. Il flusso VISCOSO è legato alla viscosità del fluido. L’opposizione e la resistenza che si pone allo scorrimento del fluido è legato all’attritto interno delle molecole e noi lo misuriamo come viscosità. Il fatto che sia viscoso e che ci sia resistenza indica che ci sia una dissipazione di energia, ed i fisici la legano all’attrito. Flusso COMPRIMIBILE ed INCOMPRIMIBILE dipende dai gas o dai liquidi. Il fluido IDEALE ha viscosità nulla, senza attriti e scorre senza sviluppare attriti. I fluidi devono garantire uno scambio termico con le pareti e sono incomprimibili con viscosità nulla e si parla di fluido ideale e questo si usa solo per un modello ideale e non reale. Il flusso si definisce LAMINARE perché i filetti e le linee di flusso sono parallele, quello turbolento ha linee di flusso caotiche. È un punto importante e lo vedremo più avanti. Tutta questa complicazione e tutta questa serie di variabili, porta ad avere complicazioni di calcolo e sistemi di equazioni difficilmente risolvibili e via dicendo. Quello che si fa è quello di avere approcio trafsormando sistema in grandezze adimensionali. Le grandezze adimensionali sono dei numeri che definiscono istantaneamente una certa proprietà. Equazioni dimensionali Ad ogni grandezza misurata si associa una dimensione che è indipendente dall’unità di misura con la quale viene espressa. Ciascuna grandezza fisica può essere espressa mediante un’equazione dimensionale. Ogni grandezza che entra su una equazione ha una sua dimensione e dipende dall’unità di misura con cui viene espressa. Non elenchiamo le unità di misura, ma esistono quelle fondamentali e quelle derivate. Degli esempi sono velocità, area, volume e via dicendo. Grandezze adimensionali Definite come rapporto di grandezze omogenee. In questa maniera il loro valore è indipendente dal sistema di misura scelto. Esempio: angoli che si misurano in radianti. Nel sistema MKS le unità di misura fondamentali sono: - Metro - Kilogrammo - Secondo Le equazioni che noi utilizziamo in fisica, abbinate a qualche modello particolare, devono avere dimensioni uguali tra loro al termine. Quindi, la rappresentazione del modello fisico richiede delle equazioni che si esprimono con diverse modalità e le terminologie scelte. In genere, si determina una funzione. Per introdurre il discorso delle grandezze adimensionali, che si ottengono dal rapporto di grandezze avente stesse dimensioni e sono numeri puri che derivano da rapporto. Le equazioni dimensionali possono essere trasformate in equazioni adimensionali opportunamente rivedendo le nostre variabili indipendenti, facendo l’operazione di adimensionalizzazione e dividendo per opportuni valori. In questo caso esiste una letteratura ed il cardine fa capo al TEOREMA DI BUCKINGHAM o del PIGRECO che determina i vantaggi di queste trasformazioni. Quindi, dato un processo fisico descritto da una equazione anche indefinita nella sua forma analitica, nella quale compaiono n variabili fisiche. Le n variabili contengono grandezze fondamentali e derivate e le fondamentali le indichiamo con k (massa, lunghezza e tempo). Il teorema dice che la funzione può essere trasformata in numero inferiore di variabili utilizzano n-k gruppi adimensionali. Se abbiamo 5 grandezze e le grandezze derivate sono date dalla combinazioni di 3 grandezze fondamentali, allora la nuova equazione che riscriviamo sarà una funzione di 2 gruppi adimensionali. Questo si fa perché su problemi complessi si semplifica l’equazione che descrive il fenomeno e passiamo da 5 a 6 variabili e quindi l’equazione risolvibile con 5 variabili in maniera completa, è più semplice descriverla in funzione di 2 variabili. Da un punto di vista matematico questo teorema sta in piedi se le grandezze si dicono dimensionalmente indipendenti. In particolare, questo tipo di operazione di creare gruppi adimensionali ed esprimere equazione che descrive il fenomeno in funzione di numeri adimensionali, viene impiegata in diversi campi, dove i fenomeni sono complessi e in funzione di diverse variabili. Per esempio, nella fluidodinamica che riguarda movimento di fluidi all’interno dei tubi. Altri numeri sono molto importanti, come il numero che descrive il coefficiente di scambio termico, ovvero il numero di Nusselt, numeri di Prandtl e anche Reynolds e la combinazione di questi numeri possono servire per descrivere il fenomeno. Modello matematico adimensionale Il problema sta nelle equazioni dimensionali che quando descrivono il fenomeno che dipende da molte variabili, sono molto complicate e quindi anche le soluzioni sono a volte difficilmente realizzabili. Spesso si usano soluzioni approssimate basate su modelli + semplici. Per esempio: equazione che governa il moto di un oggetto lanciato verso l’alto con posizione iniziale z0 e velocità iniziale v0. Ha una serie di variabili dimensionali e costanti dimensionali anche. L’operazione di rendere adimensionale il sistema è quello di costruire delle nuove variabili, dividendo per le grandezze omogenee. Riscrivendo l’equazione, apparentemente diventa + complessa e vado ad introdurre un gruppo adimensionale che chiamerò Numero di Froude che è un parametro che esprime rapporto tra velocità iniziale e grandezza proporzionale alla velocità di caduta del grave. Ottengo una equazione adimensionale che mi descrive il fenomeno. Avrò una soluzione in termini adimensionali che graficamente ha una forma di parabola parametrica per numero adimensionale di Froude. Vantaggi modello adimensionale Il vantaggio è nell’analisi dei risultati, se lavoro con modelli dimensionali avrò un numero di variabili che non mi permette di fare un unico grafico. Se la posizione iniziale è fissa avrò grafico ulteriore che descrive questa cosa e le varie velocità. Quindi, comincia ad essere complicato da analizzare, soprattutto se pensiamo di avere + variabili. Se noi usiamo l’equazione ADIMENSIONALE abbiamo sulle ordinate l’altezza adimensionale e il tempo sulle ascisse e le curve sono parametriche per numero di Froude e questo mi dice come può andare e mi descrive il fenomeno istantaneamente. Altri sono anche i vantaggi. In particolare, quando dobbiamo descrivere dei fenomeni fisici, in realtà i fenomeni fisici nel nostro caso o sistemi fisici sono anche i nostri reattori e le nostre tubazioni e via dicendo e sono sistemi fisici in cui avviene o una trasformazione chimica o fisica. Sono l’insieme dei fenomeni che accadono in quel luogo o sistema. Quando i sistemi si complicano, descrivere matematicamente diventa complesso e spesso si ricorre allo studio attraverso l’uso di modelli/prototipi di varia natura. Questo viene fatto per predire e capire se quello che stiamo costruendo e se la nostra reazione ha lo stesso comportamento su un impianto di 10 m^3 rispetto ad un pallone di laboratorio con 10 mL. Diventa fondamentale studiare le variabili che intervengono nel passaggio di scala. Quindi, passare da uno studio in piccolo in laboratorio, ad un processo industriale vero e proprio richiede una sicurezza che le cose vadano sotto controllo. La reazione chimica ha tutta una serie di esigenze termodinamiche e cinetiche che possono portare ad un non controllo e ad esplosioni e a vari disastri. Dobbiamo essere sicuri che il calore asportato sia adeguato e quindi che lo scambiatore di calore abbia dimensioni giuste, che l’acqua abbia T opportuna. Allora si fanno una serie di passaggi: si passa dai modelli ai prototipi ad altre scale maggiori e tutto questo deve essere valutato e descritto da EQUAZIONI che devono considerare tutti i parametri che vanno all’interno delle operazioni. Similitudini Per passare da modello in piccolo ad uno grande ci si basa sulle SIMILITUDINI che possono essere: - Geometriche - Cinematiche - Dinamiche: rispetto al prototipo dico che anche le forze che agiscono in quel sistema sono scalabili, ovvero proporzionali alla stessa maniera. Posso fare in laboratorio un becher, nel passaggio di scala potrei avere che faccio un becher maggiore e questa è una similitudine geometrica. Avrò quindi un fattore che mi dice che la dimensione geometrica è moltiplicata X volte nel reattore, piuttosto che nel becher del laboratorio. Però poi io potrei in questo caso avere e rispettare la parità di forma, allora devo avere una similitudine cinematica, ovvero in qualunque campo di moto, le velocità devono essere proporzionali rispetto a quelle del prototipo nei punti corrispondenti. La similitudine cinematica è possibile se esiste quella geometrica. La velocità in coppie di punti corrispondenti sono in rapporto costante e quindi vuol dire che il passaggio da una parte all’altra la velocità aumenta rispetto al modello. Ho aumentato le dimensioni ed aumenta anche la velocità. Questo sistema di similitudine mi permette di studiare la fluidodinamica che se studiata da un punto di vista numerico sarebbe difficilmente gestibile. Mentre, da un punto di vista geometrico, l’operazione di similitudine può andar bene, alcune grandezze analizzate non sono così facilmente scalabili e non rimangono tal quali aumentando la geometria del reattore. La vera similitudine si ha solo quando le condizioni provate sono tali per cui l’esperimento mi dà i numeri reali che devo misurare nel passaggio di scala geometrico. Questa operazione si chiama SCALE-UP (passaggio di scala) e può essere gestita attraverso utilizzo di numeri adimensionali e equazioni adimensionali. Questo, mi genererà una serie di equazioni e funzioni che mi descrivono il passaggio di scala o leggi di scala. I numeri adimensionali utilizzati sono tanti e dipendono dal tipo di applicazione. L’analisi dimensionale è usata in vari campi e quando abbiamo a che fare con sistemi reali. Chi lavora nel settore ha ampio utilizzo di questi numeri adimensionali, soprattutto nell’ambito reattoristico e con le operazioni unitarie. Analogie adimensionali Spesso numeri adimensionali hanno numeri diversi, ma presentano analogie tra loro. Per esempio quando si parla di diffusione termica e quando si parla di diffusione di materia, le grandezze sono diverse, ma sempre di diffusione si parla e i numeri adimensionali usati sono simili. Quindi, a volte i fenomeni sono legati molto tra loro ed il trasporto di energia è legato al trasporto di materia. Numero di Reynolds Numero adimensionale che ci da una idea di quanto un fluido che si muove nel tubo possa essere influenzato dalle resistenze viscose. Il rapporto tra velocità del fluido con certa densità su un condotto / viscosità del fluido stesso. Questo è legato al GRADO DI TURBOLENZA, ovvero quanto maggiore è questo numero e tanto più si va verso il regime turbolento. Reynolds minore di 2000 indica un regime LAMINARE, poi abbiamo regime intermedio per valori maggiori e poi per valori maggiori di 3000/4000 si è in un regime TURBOLENTO. Questo numero è specifico per il moto dei fluidi in un tubo e questo fenomeno è descritto da equazioni in cui ci sono i numeri adimensionali, tra cui Reynolds. Per descrivere fenomeno nella sua globalità ci sono funzioni in cui le variabili sono numeri adimensionali opportuni. Idrodinamica Ora parleremo di PORTATA, ovvero il volume di fluido che defluisce attraverso una sezione nell’unità di tempo, si indica con Q (L^3/s). Spesso si parla di velocità media e di portata media. Altro concetto fondamentale ad esempio è se la portata è costante nel tempo, allora si dice STAZIONARIA. In questi ambiti, la fisica ha delle simbologie specifiche ed uguali, in questi ambiti delle volte cambiano, possiamo avere anche la portata come q minuscola anziché maiuscola. La portata si può definire anche come area della sezione trasversale per la velocità. È importante sapere anche rivedere le equazioni di continuità, dove se siamo in un tubo e se ci sono perdite dobbiamo fare equazioni di continuità. Se cambia la sezione cambia anche la velocità per mantenere uguale la portata e quindi se facciamo passare fluido su sezione minore abbiamo velocità maggiore per proporzionalità inversa. Entra anche l’ATTRITO VISCOSO, ovvero il contatto con la superficie del tubo con questo moto del fluido. Questo mi definisce la viscosità come costante di proporzionalità tra la forza, la portata e la distanza dalla parete. Il tutto dipende dal tipo di fluido che scorre all’interno del tubo. PORTATA DI MASSA: si parla di kili al secondo o kili in ora e quindi si trasforma il volume. Equazioni di trasferimento Nei nostri sistemi considereremo anche le equazioni di trasferimento, dove avremo in termini generali una portata che viene trasferita che dipende da una forza spingente (delta di proprietà) sulla resistenza al movimento. Queste si chiamano equazioni di trasferimento, ovvero hanno che la portata grandezza trasferita è data dalla forza che costringe il movimento / resistenza al movimento. La forza spingente è la causa che determina il trasferimento. Il trasporto di materia è la forza motrice per il gradiente di concentrazione, quindi esprimibile come il differenziale della concentrazione rispetto alla distanza. Legge di Fick: Qui parliamo delle leggi di Fick, ovvero il flusso molare e la diffusione della materia è descrivibile dalla legge di Fick che deriva dalla definizione della quantità di soluto che attraversa un’area unitaria di una barriera nell’unità di tempo. La legge di Fick dice che il flusso di materia è proporzionale al gradiente di concentrazione. Il coefficiente si chiama appunto coefficiente di diffusione. Nel caso in cui siamo allo stato stazionario, il gradiente di concentrazione è costante ed abbiamo proporzionalità lineare con la concentrazione e la legge di Fick si semplifica e si scrive F = Kd x deltaC. In termini grafici questa equazione è una retta, dove x è la distanza e y è la concentrazione e mi descrive come avviene il fenomeno in un certo spessore, detto strato limite. Questo modello viene utilizzato nella catalisi eterogenea e se dobbiamo descrivere il fenomeno tra superficie solida e reagente si usano questi modelli e il contatto tra fase solida catalitica e fase liquida non è diretto, ma c’è uno strato in cui la concentrazione varia. Nel bulk dove c’è il liquido ho una certa concentrazione, quando la massa viene in contatto con il solido dove non ho reagente si crea zona dove avviene il trasferimento e questa zona ha un certo spessore e dove la concentrazione varia da quella del bulk a quella della superficie. La seconda legge di Fick: mentre avviene il fenomeno, la concentrazione C1 e C2 variano nel tempo e devo descrivere il fenomeno che osservo e sostanzialmente, elaborando ed applicando la legge di Fick e eguagliando la variazione di concentrazione nel tempo con variazione del flusso in funzione di x, ottengo una derivata seconda che mi indica come varia la concentrazione in funzione del tempo in quello strato. Fenomeni di trasporto Più della metà della letteratura tratta di fenomeni di trasporto e basa molto su queste due leggi di Fick. Sono aspetti fondamentali perché è fondamentale questa operazione sia nelle separazione sia nella catalisi. La descrizione di questi fenomeni è utile nel reattore. Questo mi aiuta a calcolare le perdite di carico, ovvero la resistenza e la perdita di forza motrice che trova un fluido nel condotto. Ci sono degli attriti che si chiamano perdite di carico, o degli impedimenti. Il profilo di velocità che assume il fluido nel condotto, cioè definire come varia il profilo del fronte del fluido ed è importante nei reattori, perché il flusso può essere che abbia profilo di concentrazione variabile. Questo mi indica se il fluido che si muove è omogeneo. Mi dà informazioni sulle lunghezze di condotto, sulla quantità di calore dissipata dalla superficie di contatto oppure sulla superficie di contatto necessaria tra due fasi per trasferire una desiderata quantità di materia in un tempo definito. In termodinamica noi studiamo la termodinamica di equilibrio, qui invece si studia quella di non equilibrio che è più complessa. Quando scorre un fluido in un condotto che sistemi si possono trovare? - Fronte di una sostanza che si muove in un tubo con moto laminare - Moto turbolento: omogeneità elevata - Con fluidi bifasici si possono avere varie opzioni: movimento di bolle, movimento a tappo (bolle più grandi), a schiuma, anulare e via dicendo. Moto complicato e pericoloso rispetto a quello turbolento o a quello laminare. Tutto ciò è importante perché se non è omogeneo, o se il moto ha questo profilo laminare, allora vertice avrà certo parametro, quello che passa tramite le pareti avrà altro valore. Abbiamo diverse modalità di trasporto come la convezione dove molecole si muovono nel sistema mantenendo le proprietà a loro associate, è provocata da agitatori (convezione forzata). La convezione naturale presenta dei gradienti. Abbiamo poi la differenza tra proprietà intensive e proprietà estensive. Le intensive non dipendono dalle dimensioni del sistema mentre altre dipendono dall’estensione del campione. Nel bilancio di materia, rientrano alcuni numeri adimensionali che vanno a descrivere la quantità di moto. C’è Reynolds ma ce ne sono altri che partecipano alle equazioni. Infatti è presente anche il numero di resistenza, il numero di Froude e il numero di Grashof. Entrano in ballo una serie di problematiche che complicano lo studio del sistema. Non è solo un fluido in un tubo ma il tubo può avere diverse conformazioni ed entrano in gioco diversi parametri. Si tiene conto anche del trasporto di massa che implica trasporto di calore/energia e quindi abbiamo i numeri di Peclet. I numeri di Peclet sono esprimibili come il prodotto di altri numeri adimensionali. Scale-up Tutto questo è importante per il passaggio di scala che evita i problemi nella produzione. Lo scale-up è tutto ciò che dobbiamo fare per riprodurre i dati di laboratorio a livello industriale ed è il metodo di un certo processo industriale. I motivi per cui non è automatico che dal laboratorio le azioni siano uguali nel reattore perché a livello industriale i reagenti hanno pirex diverse, i sistemi materiali delle apparecchiature sono diverse rispetto al vetro del laboratorio, ci possono essere anche fenomeni di massa che dipendono dalle dimensioni, trasferimento di calore, cambiamenti della natura dei reagenti e dei prodotti. I problemi principali sono gestire le reazioni endotermiche o esotermiche, reazioni dove ci sono trasferimenti di massa o reazioni dove precipitano i solidi. 1. Si parte quindi dal laboratorio dove si lavora con flussi di g/h. 2. Si passa poi ad un impianto pilota dove si passa a kg/h. 3. Poi si arriva a impianti mock-up ovvero impianti simulati dove non si studia la reazione ma si simula quello che avviene nel reattore. 4. Poi abbiamo impianti dimostrativi dove si fanno produzioni industriali dove si valuta la qualità del prodotto. 5. Poi si passa all’impianto industriale vero e proprio. Il passaggio di scala è una parte integrante dell’innovazione del processo e da questo dipende il successo o il fallimento della produzione. Questo non significa che la fase di studio in laboratorio sia inutile: le prove in piccolo servono soprattutto per determinare ed ottimizzare i dati che non dipendono dalle dimensioni. Lo studio cinetico fatto in laboratorio è lo stesso che viene riportato tal quale nell’impianto industriale e lo stesso vale per la termodinamica. Le equazioni che determinano la reazione rimangono le stesse e sono indipendenti dalle dimensioni, possono poi essere realizzate in piccolo visto che costa meno. Si parla di reattori che possono avere diametro di 5mm e altezze di 30mm, si usano per studiare la cinetica dove i numeri che si tirano fuori vanno molto bene. Se invece bisogna studiare i problemi della diffusione, cambia molto se andiamo nel reattore industriale che ha dimensioni di metri cubi. In particolare quando parleremo di catalisi eterogenea si vedranno le difficoltà della gestione di certi parametri come viscosità, densità e calore specifico. Il passaggio nell’impianto pilota vede aumentare molto le dimensioni, nell’industria chimica sono molto importanti gli impianti pilota che servono per studiare gli effetti fisici a lungo termine e di disattivazione del catalizzatore, accumulo di sottoprodotti, impurezze, formazione di incrostazioni e corrosione durante la reazione. L’impianto pilota produce una quantità più elevata di prodotto quindi serve a valutare la qualità del prodotto da un punto di vista qualitativo. Il mock-up va a studiare i fenomeni fisici separati da quelli chimici come l’effetto del passaggio di scala soprattutto usando modelli fluidi, solidi-modello per studiare la fluodinamica, il tipo di agitatore che bisogna utilizzare, avendo condizioni meno drastiche di T e P per vedere fisicamente cosa succede dentro. In laboratorio quindi si studiano i fenomeni chimici senza porci problemi su quelli fisici, salendo di scala si studiano i fenomeni chimici che interferiscono con quelli fisici ma poi si studiano anche i fenomeni fisici che dipendono dalle dimensioni delle apparecchiature separati da quelli fisici. Solo dopo si passa da un impianto industriale di produzione vera e propria. I numeri adimensionali sono usati per questo perché nello scale- up intervengono variabili che sono difficili da studiare singolarmente. La selettività, quando parleremo di cinetica, è importante nelle reazioni chimiche, non sempre una reazione dà il 100% del prodotto voluto siccome le variabili sono tante, nel passaggio di scala potrebbe cambiare la temperatura e fenomeni diffusivi che intervengono sulla selettività. CINETICA Parlando di diffusione, vediamo un po' i problemi legati a questa. La CINETICA delle reazioni chimiche l’abbiamo già vista. Le reazioni chimiche sono dei processi termodinamici, cioè delle trasformazioni di sistemi chimici, in cui i reagenti si trasformano nei prodotti. In più rispetto a quello visto, vedremo quando la cinetica in sistemi eterogenei può esser influenzata da fenomeni diffusivi e ci ritorneranno utili le leggi viste. In questo ambito parleremo anche di CATALISI e catalizzatori e la collegheremo alla diffusione e lo approfondiremo. Andremo a vedere come le produzioni, le condizoni di reazioni vanno adattate secondo i problemi cinetici e termodinamici, con unico scopo di produrre selettivamente e in quantità elevate il nostro prodotto. Diciamo che, questi due aspetti vanno chiariti e presi in considerazione. Alla velocità di reazione deve seguire uno studio accurato che può esser fatto in scala di laboratorio. La velocità non dipende dal passaggio di scala, però è importante conoscere e controllare le reazioni in quanto potrebbero avere esiti catastrofici. Per quanto riguarda le reazioni chimiche è importante conoscere il meccanismo di reazione. La velocità di reazione ha vari aspetti, può essere che una reazione sia composta da vari step e lo studio della cinetica globale deve distinguere cinetica dei vari step, studiando il meccanismo di reazione. Dobbiamo quindi otimizzare il sistema e controllare la velocità di reazione e la selettività. Ci sono reazioni che hanno velocità maggiori ed altre minori. Alcuni esempi sono le reazioni acido/base, esplosioni molto rapide, reazioni veloci tra ioni, reazioni organiche in soluzione, fermentazioni ed ossidazioni. Come si studia la cinetica? Definendo la velocità di reazione e vedendo come variano le concentrazione dei reagenti o dei prodotti nel tempo. Per definizione la velocità di reazione si definisce come velocità di scomparsa di un reagente in un arco temporale. La quantità dei reagenti si esprime in varie forme e a seconda della stechiometria. Le velocità di comparsa e scomparsa possono essere eguagliate e normalizzate per i diversi coefficienti stechiometrici. Un altro modo per esprimere la velocità di reazione è la LEGGE CINETICA, dove si scrive equazione del tipo v = K [R] elevata all’ordine di reazione. La somma degli esponenti è l’ordine di reazione totale. I grafici tipici sono quelli della quantità che diminuisce o aumenta nel tempo. Gli ordini di reazioni sono caratteristici delle reazioni e legati alle concentrazioni in qunto abbiamo reazioni di 0 ordine, 1° ordine o pseudo 1°ordine ed anche 2° ordine. Ad ognuna di queste equivale una equazione semplificata, le K cinetiche comprendono all’interno ciò che non varia. Alle equazioni corrispondono dei grafici con concentrazione in ascissa e velocità in ordinata. Reazioni complesse: - Reversibili - Competitive - Consecutive Di conseguenza, si possono in questi casi dove le reazioni sono complesse e si possono ricavare delle relative equazioni cinetiche con diversi ragionamenti. La classica è la reazione all’equilibrio dove le velocità di reazione 1 e 2 vengono eguagliate. Noi lavoreremo con reazioni non all’equilibrio e faremo curve parametriche. Naturalmente, parliamo sempre di reazioni ideali in fase omogenea dove non ci sono impedimenti. Nel caso dell’equilibrio abbiamo scritto una equazione + complessa delle precedenti e sarà utile per descrivere l’impianto. Nel caso delle reazioni competitive si ha problema che lo stesso reagente può dare diversi tipi di prodotti diversi, ognuno con la propria costante cinetica e se vado a scrivere la mia velocità di reazione come d[A]/dt e avendo diversi passaggi dovremmo sommare le diverse k cinetiche. Vediamo per esempio reazione competitiva con ordini di grandezza diversi e si vede equazione maggiormente complicata. Le reazioni consecutive sono importanti e prevedono formazione di un INTERMEDIO e quindi una prima reazione k1 e una seconda reazione k2. I grafici relativi sono tipicamente concentrazione contro tempo e con k2 e k1 simili si ha curva formazione dell’intermedio B che passa per un massimo e poi viene consumato per la formazione del prodotto C, se l’intermedio è l’A e k2 è maggiore di k1 in alcuni casi non si vede nemmeno. Tutto ciò serve per impostare equazioni cinetiche che saranno utili in quanto portano senza semplificazioni ad equazioni complesse. Questi sono casi noti e studiati lo stesso. Una delle approssimazioni classiche è quella dello STATO STAZIONARIO, dove si dice che l’intermedio è in stato stazionario e tanto si forma e tanto si consuma e la sua concentrazione si assume piccola e costante. Tutto ciò serve per capire quali sono i meccanismi su cui interveniamo per ottimizzare i parametri di processo: aumentare velocità, favorire una reazione piuttosto di un’altra e anche per poi capire come sta andando il meccanismo di una reazione. Lo studio cinetico è volto a studiare le costanti cinetiche. È facile vedere l’ordine della reazione, con vari calcoli si determina l’equazione cinetica, però parliamo di reazioni semplici. Se le reazioni sono complesse le K compaiono tra parentesi e sono elevate, mal che vada si osserva una k osservata o una k media. Diventa fondamentale avere la k cinetica ed è un lavoro di studio che si fa tutt’oggi. Quello che aiuta nelle reazioni complesse è determinarne il meccanismo di reazione. Le reazioni complesse sono quelle che avvengono in più stadi ed occorre avere uno studio sul meccanismo di reazione per determinare k cinetiche ed intervenire sui parametri. La k cinetica dipende anche dalla T e quando scriviamo le k abbiamo le dipendenze diverse dalla T. La cinetica di una certa reazione è determinata dal suo percorso di reazione e quindi da energie in gioco che consentono rottura e formazione dei legami secondo un percorso accessibile e favorevole. Per determinaere il meccanismo di reazione si fa ricorso al concetto di reazione elementare: 2 molecole che danno reazioni bimolecolari e la velocità è proporzionale al semplice prodotto delle concentrazioni. Se si tratta di reazioni omogenee è + semplice, per reazioni eterogenee è + complesso. La stechiometria delle reazioni elementari mi fornisce già la legge cinetica ed abbiamo un modo di scrivere l’equazione per le reazioni elementari, nel meccanismo le reazioni elementari vengono unite. La velocità globale è determinata dalla fase lenta, tutte le altre fasi raggiungono l’equilibrio e sono + veloci rispetto a questa fase. Approssimazione dello stato stazionario: entra anche nei meccanismi se abbiamo un intermedio ed è una prima approssimazione. Poi è importante anche capire come è legata la k cinetica con la T e capire quindi energia in gioco che determina la velocità, parlando di energia di attivazione e deriva da una elaborazione chimico-fisica e modelli teorici e modelli dei gruppi. Sostanzialmente quello che si va a ricordare meglio è il grafico che serve per l’energia di attivazione, ovvero l’energia da dare ai reagenti affinchè rompano i loro legami e possano ricombinarsi nei legami nuovi in cui si formano i prodotti. È quell’impulso che bisogna dare affinchè i reagenti reagiscano. C’è un massimo da passare (energia di attivazione) e poi reagiscono liberando energia. Differenza di energia dei reagenti e dei prodotti si lega al deltaG0 (energia libera di Gibbs). È un grafico bidimensionale che deriva da quello tridimensionale. Coordinata di reazione: è un percorso energetico dal minimo energetico all’energia minima da fornire che porta alla formazione del prodotto. Il punto di sella è lo stato di transizione e poi se parliamo di intermedio, parliamo di qualcosa visto isolato ed ha una sua energia ed ha 2 massimi ed 1 minimo. Ci saranno due energie di attivazione per arrivare dai reagenti all’intermedio e poi da intermedio al prodotto. Allora questo ci introduce a quello che può essere un meccanismo di reazione in cui utilizziamo un catalizzatore e quindi al posto di fare reazione diretta che richiederebbe energia di attivazione elevata, inseriamo un catalizzatore che forma degli intermedi che mi creano queste curve abbassate, ovvero abbassano livelli energetici da superare per ottenere il prodotto e mi creano processo conveniente che utilizzi meno energia. Abbiamo reazioni esotermiche ed endotermiche a seconda che l’energia dei prodotti sia maggiori o minore di quella dei reagenti. Nel caso dell’intermedio i due picchi non è detto che siano i + bassi e questo è lo studio della cinetica di reazione. Allora, posso intervenire sulla reazione elementare con catalizzatore diverso o variando le condizioni operative. Come posso aumentare la velocità della reazione sempre considerando che sia termodinamicamente permessa? Termodinamicamente permessa significa che ha un deltaG0 < 0, quindi negativo. Invece, la legge che regola la velocità di reazione, ovvero la k di velocità è legata alla T ed un aumento della T fa sempre aumentare la velocità di reazione. Se io ho una reazione lenta, in laboratorio può andare bene, in impianto no, e quindi devo accelerarla. La prima cosa che penso è quella di aumentare la T, è sempre la scelta giusta? Si, ma dipende dalle limitazioni pratiche che vediamo. Innanzitutto va sempre considerata la termodinamica: se è esotermica non è favorita dall’aumento della T, ma quella endotermica si. Poi ci sono altre limitazioni legate alle apparecchiature: non posso andare a T troppo elevate e i materiali fonderebbero. Non è l’unica limitazione, può essere anche dovuta al funzionamento del catalizzatore, in quanto tutti i catalizzatori hanno T efficaci in cui funzionano bene, sia omogenei e sia eterogenei. Per esempio catalizzatore omogeneo ha T massima di utilizzo che è legata a quella di decomposizione del catalizzatore stesso. Un catalizzatore eterogeneo è legato alla T che il metallo presente all’interno ha di fusione. Oppure altri limiti anche dovuti alla perdita di attività catalitica. Le forme con cui varia la velocità di reazione possono essere di vario tipo e dipende dal tipo di reazione che ho. Il classico è il grafico 1 che segue la legge di Arrhenius, la 2° è una reazione esplosiva e così via. Nel caso 3 si hanno reazioni enzimatiche e catalitiche con andamento a massimo, in quanto il catalizzatore si decompone ad un certo punto e si ha massimo dell’efficienza e poi decade. Il 4° caso è tipico dell’ossidazione del C ed NO a NO2. Quelli + comuni sono i primi 3. La legge di Arrhenius è quella che descrive la reazione tipica, come varia la k cinetica al variare della T. È una equazione esponenziale, ma esiste anche quella di Eyring ed ognuna ha campo di applicazione specifico. Arrhenius si esprime in funzione di reagenti e prodotti. Eyring richiede di conoscere meccanismo di reazione, Arrhenius è semplificata. Quello che si usa di solito è la LINEARIZZAZIONE, ovvero si passa dall’esponenziale ai logaritmi e si ha grafico lineare. Può comparire anche il termine entropico nel caso di Eyring. Più sofisticata quella di Eyring e necessita conoscenza degli intermedi e dei meccanismi. È importante capire se siamo ad un livello e per raggiungere i prodotti si è spesa dell’energia che quando questa energia deve essere tipica della rottura di legami, siamo in regime chimico ed abbiamo energia che spendo per rompere i vari legami e questo torna con ragionamento fatto per le equazioni cinetiche e scrivo equazione cinetica che descrive reazione chimica perché rompo i legami. Se questo valore è maggiore di 20 J/mol posso dire che si stanno rompendo dei legami ed è una reazione chimica che segue il suo percorso e vedo che energia richiesta è quella che mi serve. Se trovo valore inferiore alle 4 Kilocalorie non è una energia sufficiente e si dice che siamo in REGIME DIFFUSIVO, perché io misuro imput di alzare la T. Anche la costante di diffusione dipende dalla T, ma in maniera diversa e quindi quello che misuro è la variazione della diffusione e non la variazione della k cinetica perché ho avuto aumento di velocità relativamente a quell’aumento di T poco energetico. Questo ci dice che siamo sotto controllo diffusivo e equazione cinetica che scriviamo non è corretta in queste condizioni. È una equazione che deve includere fenomeni diffusivi e quindi, questo significa che per aumentare quella velocità, l’effetto della T è basso, l’effetto della [ ] è regolato dalla legge di Fick e non dalla legge cinetica e si aumenta con meccanismi fisici, come agitazione ed altre procedure, in quanto queste influiscono sulla diffusione e sullo strato limite. Nel caso di regime cinetico abbiamo identificato fattore cinetico e fattore termodinamico nel grafico ed è importante questo e ne vedremo un esempio industriale, ovvero sintesi dell’ammoniaca dove queste cose sono palesi ed evidenti e le soluzioni trovate sono esemplari. La reazione che ha deltaG0 intorno ai 193-197 °C ma ha cinetica lentissima, anche a 193°C ed è improponibile anche in laboratorio ed industrialmente. Essa necessita l’utilizzo del catalizzatore, ma anche uso del catalizzatore a T inferiori ai 200°C è inutile. CATALISI: il catalizzatore abbassa energia di attivazione e lo fa interagendo e formando degli intermedi e la curva si abbassa perché il percorso di reazione è diverso. Quando inseriamo il catalizzatore si va a formare una seria di intermedi che sono delle specie chimiche che scompaiono ed hanno energia di attivazione minore e questi possono essere tanti ed ognuna di esse indica il ciclo catalitico, soprattutto in catalisi eterogenea. Quindi, dai reagenti ottengo i prodotti e il ciclo è tale per cui quando si forma ultimo prodotto, il catalizzatore torna allo stadio iniziale e fa un altro ciclo. Se non fa un altro ciclo lo chiamo PROMOTORE, se fa un altro ciclo lo chiamo CATALIZZATORE. Il catalizzatore deve essere in quantità bassa e fare molti cicli. Questo perché dobbiamo fare reazione industriale, il promotore o il rapporto substrato/catalizzatore può essere basso se lo faccio in laboratorio, ma su una reazione industriale il catalizzatore deve avere rapporto molto alto substrato/catalizzatore. La catalisi può essere OMOGENEA o ETEROGENEA ed esistono anche quelle ENZIMATICHE. Ognuna di queste catalisi ha delle peculiarità e dei vantaggi e dei svantaggi. - Enzimatica: usata con bioreattori, parte della chimica industriale che richiede accortezze specifiche in quanto enzimi hanno problemi con la T e via dicendo. - La grossa industria di trasformazione dei prodotti organici usa catalisi omogenea o eterogenea. CATALISI L’80% dei processi industriali utilizza un catalizzatore, forse anche di più. Il catalizzatore poi nei processi industriali, spesso un'altra % si usa come catalizzatore eterogeneo. Questo perché entrano nei sistemi produttivi altri problemi, in particolare il problema di recuperare uin catalizzatore a fine ciclo. In catalisi omogenea il recupero del catalizzatore richiede una serie di OPERAZIONI UNITARIE complicate industrialmente, mentre una catalisi eterogenea permette il recupero del catalizzatore in maniera più semplice per filtrazione o con letti catalitici fissi che richiedono solo di essere rigenerati o sostituiti e permettono uso + semplice di sistemi in continuo. Ci sono delle eccezioni, perché la catalisi omogenea di per sé è una catalisi che permette reazioni molto + selettive soprattutto quelle metallo-catalizzate, quella eterogenea è soggetta a fenomeni diffusivi avendo a contatto due fasi diverse. Un classico ciclo catalitico in immagine che si usa per descrivere catalisi omogenea, in cui sono messe in evidenza diversi aspetti. L’esempio è la reazione di cross-coupling di Heck dove alogenuro arilico reagisce con olefina e viene catalizzata da metalli di transizioni, ma complessi di metalli di transizione. Abbiamo complessi di palladio 0 con leganti porfirinici, come si vede si parte sempre da un precursore e nell’ambiente di reazione si genera il catalizzatore vero e proprio. Nei meccanismi proposti si identificano una serie di reazioni. Si parla di complesso di palladio 0 che reagisce con l’alogenuro arilico per dare reazione di addizzione ossidativa, fa un primo intermedio che è un complesso di palladio 2 in cui si formano 2 nuovi legami: si rompe legame fenile-alogenuro e si formano 2 legami palladio-alogenuro e palladio- fenile. Per permettere questo è successo qualcosa al complesso, c’è un meccanismo complicato di approcio dell’alogenuro arilico al complesso con formazione di stadi non stabili e palladio 2 ha configurazione planare quadrata e i siti vengono occupati 2 dai leganti e 2 dall’alogenuro arilico. Semplificando accade ciò. Otteniamo il primo intermedio che si è formato attivando il nostro reagente, ma deve attivare anche l’altro reagente che è l’olefina che si coordina secondo regole di coordinazione con i metalli. Il risultato è che otteniamo intermedio instabile che si stabilizza per inserzione, olefina interagisce prima con centro metallico e poi vede legame attivato fenile-metallo che è più debole e c’è una migrazione dell’arile sull’olefina che lega il palladio. Accade poi che si ha formazione ed eliminazione di un idruro da questa molecola e formazione del prodotto. Poi il prodotto di cross-coupling (uniti i due reagenti) e si forma un sottoprodotto in quanto l’intermedio è instabile e mi da eliminazione riduttiva dell’acido tramite la base e mi riforma il catalizzatore. Questo è un esempio semplificato e molto studiato isolando gli intermedi e si è stabilito il meccanismo di reazione proposto. Posso stabilire lo stadio lento, l’effetto della T e se veramente mi velocizza la reazione e via dicendo. Lo studio specifico di perché si formano quelli intermedi è importante e fa parte della chimica di sintesi e organo-metallica. Se lo devo applicare industrialmente devo capire qual è lo stadio lento ed intervenire con le mie variabili di processo, ovvero manovre su cui intervengo (concentrazioni, pressione e T e rapporto tra reagenti). Questo mi permette anche di scrivere una equazione cinetica, l’equazione cinetica mi serve perché entra in quella che abbiamo chiamato EQUAZIONE DI PROGETTO che mi dimensiona il reattore e contiene la velocità di reazione. Sapere meccanismi di reazione e stadio lento diventa studio complicato, ma fondamentale. Il vantaggio di lavorare con il catalizzatore è evidente: senza catalizzatore magari ho rese del 100% ma tempi non buoni, con catalizzatore posso regolare tutto ciò. Non è detto che la reazione proceda solo con 1 catalizzatore, magari ne esistono di diversi tipi. Urge quindi richiamare delle definizioni di CONVERSIONE, SELETTIVITA’, RESA e VELOCITA’. Queste definizioni bisogna conoscerle, perché si parlerà spesso di ciò. Nella identificazione e nella scelta di un catalizzatore ci si orienta in questo modo: - Deve generare alta conversione in tempi brevi e quindi alta attività: significa che meno ne uso e comunque produco molto e significa anche spendere meno. - Deve generare alta selettività: preferibile il 100% e significa che non faccio altri trattamenti di separazione del prodotto, magari separo solo dal solvente il prodotto. - Deve avere un tempo di vita lungo: + si rigenera senza deteriorare e + sistema funzione e spendo poco nella rigenerazione del catalizzatore. Attività di un catalizzatore: attività ha vantaggio se molto attivo di ridurre quantità e anche il volume, e riduce anche il volume del reattore. Se molto attivo si diminuisce il tempo e anche diciamo che un aspetto importante in catalisi omogenea, se un catalizzatore è molto attivo ne uso quantità bassa, se troppo bassa in ppm per alcune applicazioni lo lascio all’interno, tanto è talmente basso che non si disturba (sempre se non parliamo di prodotti alimentari) e non conviene separarlo perché costa maggiormente. Da un punto di vista industriale, non sempre si sceglie il catalizzatore + attivo perché ha prezzi elevati ed è soggetto a variazioni del mercato (come le terre rare ed i metalli preziosi). Nel caso di grosse produzioni si usa un catalizzatore con stesse funzioni, ma meno costoso. Si sceglie il catalizzatore + selettivo per abbattere costi di separazione, ma anche per disinquinare scarti ed avere meno sprechi della materia prima. La vita del catalizzatore determina la scelta del reattore. Un reattore a letto fisso va bene se si sceglie un catalizzatore che non va rigenerata per almeno 6 mesi o anni, questo perché quando si rigenera il catalizzatore si interrompe la produzione. In ogni caso le fermate dell’impianto sono costose. Richiamiamo alcuni termini che dobbiamo conoscere. Spesso abbiamo viso che in catalisi omogenea la specie catalitica si forma nell’ambiente di reazione e si usa un PRECATALIZZATORE, anche se si usa comune nel linguaggio comune. Tecnicamente in catalisi omogenea sarebbe un precursore della specie attiva + stabile, ma facilmente attivabile nella reazione. Stabile così possiamo immagazzinarlo. + catalizzatore è attivo e + è instabile. + è instabile e talmente instabile delle volte che non si isola e non si osserva. Spesso in certe catalisi si inserisce un altro componente, un’altra specie che non è un catalizzatore, ma aiuta a riformarsi la spoecie catalitica e viene definita come COCATALIZZATORE e attiva e stabilizza, ma da solo non è una specie catalitica. INIBITORE è qualsiasi composto estraneo alla reazione che diminuisce la velocità di reazione catalizzata andando ad interagire con il catalizzatore e rallentando le reazioni elementari di cui il ciclo si compone. Se blocca la reazione si parla di VELENO. Ci sono sistemi autocatalitici in cui il catalizzatore viene generato dalla reazione stessa. Importante in certe catalisi è il periodo di induzione, cioè una fase in cui si passa dal precatalizzatore alla specie attiva che può essere molto lenta. Passata questa fase si osserva la velocità voluta di reazione. Spesso questo si osserva in catalisi eterogenea, ma anche nella omogenea che è più breve. Quando il processo è a REGIME, periodo di induzione è iniziale di solito e nel processo continuo non se ne tiene conto. Lo stadio lento ne determina la velocità di reazione ed è lo stadio cineticamente determinante della reazione. Quindi, tutte le velocità delle varie reazioni che compongono il ciclo dipendono da questa velocità. Soprattutto in catalisi omogenea parliamo di ATTIVITA’ DEL CATALIZZATORE, ovvero velocità della reazione riferita all’unità di peso. Si usano 2 indicatori: TON (turnover number) ed il TOF (turnover frequency), TON ovvero numero totale di moli di substrato convertite per mole di catalizzatore. Il TOF rappresenta una attività ed è una produttività / tempo di reazione. Questo non va sempre bene, è usato in catalisi omogenea, può essere utilizzato in catalisi eterogenea ma non è corretto, perché il numero di siti attivi è diverso dalla quantità di catalizzatore presente. La SELETTIVITA’ può essere influenzata dal catalizzatore e questo accade perché selettività significa che il substrato può generare un prodotto ed un altro non voluto. Avendo un catalizzatore selettivo significa che produco più veloce la reazione che va verso il prodotto desiderato. Catalisi omogenea Si parla di organometallica e poi i catalizzatori omogenei possono essere di varia natura, anche stereospecifici e via dicendo. Noi parlando di catalisi omogenea mettiamo chiarezza e spesso quando si indica la catalisi la velocità di reazione ed il catalizzatore esso è una specie che entra nella equazione cinetica. Quando si usa una quantità costante perché il processo usa sempre quella, allora la velocità viene semplificata in quanto la legge cinetica include nella costante cinetica la concentrazione del catalizzatore. In catalisi omogenea il catalizzatore funziona dal punto di vista energetico abbassando l’energia di attivazione e seguendo un percorso energetico più favorevole. Applicazioni industriali in catalisi omogenea Più dell’80% dei processi industriali utilizza catalisi omogenea per semplicità di utilizzo del catalizzatore e separazione. Ci sono processi che utilizzano catalizzatori omogenei a base organometallica. Alcuni di questi sono anche stati rivisti e ristudiati per essere utilizzati in nuovi impianti industriali. Tuttavia, senza soffermarci anche sulle catalisi acide sono catalisi omogenee, vediamo dei processi storici con catalisi omogenea, tra cui: 1. Produzione dell’acido acetico 2. Sintesi dell’acetaldeide 3. Sintesi del metilmetacrilato Quando si usa catalisi omogenea, il metallo catalizzata, dove catalizzatore è un metallo di transizione che fa un complesso in vari stati di ossidazione che sono stabilizzati dai leganti. Tutta la catalisi omogenea si basa su interazione del centro metallico e varie molecole che sono i leganti (fosfine, CO, alcheni, ammine, anionici, gruppi alchilici). Qui abbiamo un mondo di sintesi organometallica. La chimica industriale va ad applicare queste sintesi in larga scala. I leganti servono per stabilizzare stato di ossidazione del metallo e altri sono leganti deboli per lasciare siti del metallo liberi per i reagenti. Il catalizzatore interagisce con i reagenti e quindi devono formarsi dei complessi di coordinazione in cui i reagenti legano al centro metallico. I leganti si suddividono in: - Leganti spettatori o non partecipativi o ancillari - Leganti attori o partecipativi Le molecole vengono attivate dal legame con il centro metallico ed avviene la reazione. Non solo queste possono influenzare l’attività catalitica intesa in termini di selettività e stereospecificità. Anche l’intero complesso e le proprietà acido-base del catalizzatore, facilità di ossidazione e riduzione, tipo di legami con i substrati e naturalmente anche dove avviene la reazione ed il solvente dove avviene la reazione. Tutto questo poi da un punto di vista industriale va valutato anche dal costo. Per fare studio completo, abbiamo valutazione degli stati energetici con modelli molecolari, sintesi e studio degli effetti elettronici e sterici dei leganti, come questi influiscono sulla cinetica e quindi studi spettroscopici del caso per studiare gli intermedi. Tutto questo compone la catalisi omogenea. Le produzioni industriali sono indirizzate alle materie specifiche ed abbiamo costo elevato del prodotto e studio del catalizzatore e del legante è compatibile con costo di vendita del prodotto. Un grosso problema è il recupero del catalizzatore in catalisi omogenea, tramite recupero chimico oppure si usa e si cerca di avere catalizzatore attivo in modo da sprecarne il meno possibile. Alcuni sistemi sono anche bifasici e servono per separare il catalizzatore e si hanno sistemi in 2 fasi e la separazione avviene per solubilità di vari prodotti e reagenti in due solventi immiscibili. La sintesi della acetaldeide Il processo Wacker prevede la sintesi di acetaldeide per ossidazione dell’etilene. È un processo che studieremo come ciclo di reazione ed in particolare, vedremo necessità di usare cocatalizzatore. È catalizzato da palladio II che fa specie planare quadrate. Queste possono essere favorite da alcuni leganti chelanti, in genere buoni leganti sono delle fosfine aromatiche sostituite o chelanti, oppure sostanze azotate che favoriscono la configurazione planare quadrata. In questo caso, si deve vedere la specie A che è la specie cataliticamente attiva. Non è detto che noi siamo partiti dalla stessa specie. In questo caso è una specie di Pd(II) che sarà partita da specie stabile e si è trasformata nella specie attiva. Il palladio II interagisce con una olefina (etilene) che dà una coordinazione pigreco che poi quando va ad interagire con l’acqua si trasforma dà una inserzione e si forma specie acilica con palladio II legato. Non si indica l’intero processo, solo se è coordinato in quale modo e se è attivo. L’acqua coordina il palladio tramite ossigeno che diventa instabile e perde protone e diventa OH-. L’obiettivo è che questo sistema si stabilizza nella specie D perdendo un altro protone e poi si riarrangia nella specie E. È chiaro che in questo caso ci sono delle reazioni possibili e per capire se il meccanismo è adeguato, bisognerebbe isolare le singole specie e osservarle e fare la simulazione con il calcolo numerico per vedere se sono energeticamente favorite. Non sempre è possibile, se isolo una delle speci, quello diventa uno stadio lento. La simulazione fatta con software e studio dei livelli energetici mi indica la via e mi dice l’olefina mi dà proprio quella reazione e quel prodotto specifico. Io potrei scrivere altri percorsi e dovrei fare lo studio specifico per ogni caso possibile. Alla fine, questo meccanismo serve a giustificare perché si è formato quel prodotto e osservo la formazione di aldeide. Tutto lo studio che va fatto è sul vedere come e quale potrebbe essere il ciclo e quanti step intermedi ci possono essere per capire come va la catalisi e lo stadio cineticamente determinante su cui vado ad incidere. I punti fermi sono che si forma selettivamente l’ALDEIDE (se non si forma selettivamente, questo mi aiuta a capire qual è il ciclo che mi porta alla formazione del prodotto) e poi c’è un’altra osservazione da fare, ovvero finito ciclo ho il Pd 0 allo stato metallico. Il palladio 0 è un complesso ma può decomporre a Pd metallico ed il ciclo muore. In questo caso, questo processo è simbolo dei processi dimetallici utilizzando cocatalizzatore e catalizzatore e si ossida palladio 0 con sale di rame 2 che si riduce a rame 1 e però per avere ciclo vero dobbiamo rimettere il rame, allora interviene l’ossigeno. Ossigeno non è mai stato presente nel ciclo, ed è indispensabile perché riossida il rame e mi forma acqua che rientra nel ciclo. Questo significa che il mio reagente sacrificale è l’ossigeno, se fosse il rame ed esso finisse allora finirebbe il ciclo catalitico. L’ossigeno è sempre presente nell’aria e risolvo il processo. A volte si usano anche 2/3 cocatalizzatori. Queste sono reazioni a catena con catalizzatori particolari dove bisogno di ossidoriduzioni che avvengono continuamente. Il precursore del Pd(II) può essere il complesso di [PdCl4]2-. Processo Monsanto Processo che porta alla sintesi dell’acido acetico a partire da metanolo e monossido di carbonio. Questa è una reazione che è stata trasformata in processo industriale, in quanto conveniente e green. In questo caso si utilizza un catalizzatore al RODIO, metallo di transizione molto utilizzato come catalizzatore. Viene usato molto come catalizzatore il RODIO perché è un metallo che porta a vari stati di coordinazione e quindi è utile perché la specie attiva è un complesso di iodio carbonile del rodio che reagisce con il metanolo e lo ioduro di metile che si forma in-situ dal sistema catalitico che libera acido iodidrico. Nel ciclo principale si ha addizione di ioduro di metile che porta ad un complesso esa coordinato. Il rodio lo può fare, il palladio no. Il rodio è ideale per questo sistema. In questo caso si ha CO coordinato che va ad inserire sull’alchile e forma complesso carbonilico, poi per stabilizzare la specie, un altro CO deve coordinare sul rodio esavalente e si ha eliminazione riduttiva tra iodio e complesso acilico per dare iodio derivato che reagisce con acqua per dare acido acetico. Il sistema ossido-riduttivo con cambiamento di stato di ossidazione non necessità di cocatalizzatore in quanto dà addizione ossidativa e addizione riduttiva. Nei processi moderni si usa IRIDIO perché da addizione ossidativa + rapida ed è un catalizzatore + attivo. Si libera ioduro acilico che poi reagisce con acqua e da acido acetico. Si va a cercare un metallo con molti stati di ossidazione, che permetta coordinazione di 6 leganti e abbia siti di coordinazione multipli e quindi la famiglia di complessi diventa adatta per questo tipo di catalisi. Sintesi del metilmetacrilato (MMA) A fine corso vedremo impianto di Marghera che producono con sistema questo prodotto. È un prodotto importante industrialmente, circa 2.7 milioni di tonnellate l’anno del 2007. È un prodotto che serve per fare polimetilmetacrilato ed ha mercato esteso grazie all’applicazione del polimero e diventa un business notevole. MMA ha molte applicazioni, come schermi piatti e vernici. Per la sua importanza ci sono diverse vie, quella che vedremo è il processo con acetone cianodrina che passa attraverso formazione e utilizzo dell’acido cianidrico. Acetone + HCN genera acetoncianidrina e si fa reagire con acido solforico e si forma complesso con solfato acido con ammide intermedia che libera solfato acido d’ammonio a formarmi un acido metacrilico che viene fatto reagire con metanolo per dare estere finale del MMA. Nello specifico, lo vedremo dal punto di vista impiantistico, gli step principali sono quelli + pericolosi dell’acido cianidrico prodotto in situ e si può ottenere dalla ammoniaca o dalla formammide. Si utilizzano catalizzatori eterogenei (delle reti di rodio e vari metalli). Esiste anche un altro processo, ovvero il processo BASF che parte da una catalisi omogenea e prevede una idroformilazione (per fare aldeide si fa reagire CO, H2 con olefina). Questo attraverso una serie di step che comprendevano ossidazione ed esterificazione porta all’MMA. Infine, anche il processo Alpha è famoso ad oggi ed utilizza catalisi omogenea a partire da etilene, CO e metanolo che sarà il solvente. Questa è una carbonilazione che viene catalizzata da palladio ed è omogeneo come catalizzatore. Avviene in 2 step. Il primo step è quello della formazione dell’estere (metilpropionato) per carbonilazione di etilene in presenza di metanolo. Non si parte da aceton cianidrina, ma è un processo alternativo come idea e competitivo. Il metilpropionato veine convertito in catalisi eterogenea ed il resto del processo è catalisi omogenea. Catalisi eterogenea Qui vedremo ampi esempi e reattori che utilizzano catalizzatori eterogenei. Quando si parla di catalisi eterogenea, ci sono 2 fasi del tipo gas/solido, ma anche liquido/liquido, liquido/solido e anche gas/liquido/solido e gas/liquido/liqui