Biologia Vegetale - Complete Notes PDF
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Stefano Martellos
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These notes cover various aspects of plant biology, from the basic definition and disciplines within the field to the historical context of plant classification and naming conventions. The summary also discusses the differences between plant and animal life and the process of photosynthesis.
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1 BIOLOGIA VEGETALE prof. Stefano Martellos, esame 24/01 e 26/02 BOTANICA: branca della biologia che studia gli organismi vegetali, ma si occupa anche dello studio dei funghi e licheni, che non sono...
1 BIOLOGIA VEGETALE prof. Stefano Martellos, esame 24/01 e 26/02 BOTANICA: branca della biologia che studia gli organismi vegetali, ma si occupa anche dello studio dei funghi e licheni, che non sono vegetali. Ci sono piante che non fanno fotosintesi, invece ci sono animali che fanno fotosintesi (capaci di mangiare alghe). Come tutte le scienze, la botanica si avvale del metodo scientifico che prevede: effettuare un elevato numero di osservazioni; formulare un’ipotesi basata sulle osservazioni fatte; verificare tale ipotesi acquisendo nuovi dati e quando necessario, realizzando esperimenti che confermano quanto formulato; costruire un modello o una teoria che rappresenti il fenomeno. DISCIPLINE BOTANICHE È solo per tradizione che nei corsi di botanica vengono trattati anche i funghi, oggetto di una disciplina a sé stante: MICOLOGIA. Ad oggi sono sorti diversi settori disciplinari e specializzazioni che hanno dei temi di interesse comune. Si distinguono le seguenti discipline: MORFOLOGIA VEGETALE: studia forma e struttura delle piante, comprende l’ANATOMIA che studia come sono organizzati i tessuti e gli organi, e la CITOLOGIA che studia i compartimenti cellulari e la divisione cellulare. BOTANICA SISTEMATICA o TASSONOMIA VEGETALE: comprende tutti gli studi finalizzati a produrre sistemi predittivi di classificazione degli organismi vegetali, che riflettano al meglio la totalità delle somiglianze e differenze e le relazioni evolutive tra organismi. FISIOLOGIA VEGETALE: studia i fenomeni e i meccanismi associati alle funzioni dei vegetali Altri… A COSA SERVONO LE PIANTE? 1. sono alla base delle catene alimentare → loro corpo consumato da altri organismi viventi: ERBIVORI (organismi eterotrofi che mangiano piante, erbe; primo step catena alimentare) → predati da CARNIVORI→ DECOMPOSITORI mangiano tutto (anche morti) 2. dalle piante si estrae di tutto (oli, cibo, legna, materiale tessile, cotone) 3. le piante sono parte integrante della vita dell’uomo sin dalle origini della nostra specie. prima come cibo (quando eravamo raccoglitori di frutta, bacche) → poi cacciatori → come cibo, materiale edile (da agricoltori). In seguito abbiamo appreso come sfruttare le piante per altri scopi, dalla cellulosa per la carta, all’uso di composti vegetali per sviluppare medicinali e così via. → da qui l’importanza dello studio della botanica. potenzialmente le piante forniscono qualsiasi cosa di cui noi abbiamo bisogno (plastica a parte) I primi studi documentati sono stati svolti dal filosofo greco ARISTOTELE (384-322 a.C), che evidenziò come le principale differenze tra piante e animali ricadesse nelle modalità di nutrizione (fatto che animali devono mangiare qualcosa per nutrirsi a differenza delle piante). Il suo allievo, TEOFRASTO, diede input a botanica, scrisse due trattati: 1. Historia plantarum focalizzato sulla classificazione delle piante. 2. De causis plantarum incentrato sulla fisiologia, coltivazione a agricoltura. Fu anche precursore della nomenclatura botanica, introducendo un tipo di nomenclatura binomia. Era fondamentale trovare un nome univoco per identificare le cose, affinché tutti intendessero la stessa cosa con lo stesso nome → valido in ogni campo → relazione tra semantica e sintassi deve andare di pari passo. → importante dare un nome alle piante. Un importante salto in avanti lo si fece con LUCA GHINI, nel periodo rinascimentale. Ghini fu ricercatore che inventò gli ERBARI: collezione di piante appositamente essiccate e preservate in modo da poter conservare conoscenza sotto forma di campioni biologici (a temperatura,, luce costante…) si mette il campione di piante in un giornale, si essicca e pressa e poi attaccate su fogli di carta, scritta etichetta che identifica. … Prima della sua iniziativa esisteva la ricerca finanziata dai mecenati: persone che pagavano ricercatori affinché svolgessero ricerche. Il più grande contributo alla botanica dato da CARL NILSSON LINNAEUS, LINNEO analizzò tutti gli organismi viventi conosciuti e li organizzò in uno schema sistematico, ovvero li organizzò in gruppi sempre più simili tra loro. Scrisse due opere fondamentali 1 2 1. systema naturae in cui istituisce la nomenclatura zoologica 2. species plantarum in cui istituisce la nomenclatura botanica (nome vegetali) in entrambe le opere cerca di organizzare nomi. LA SPECIE Il concetto di specie è evoluto con lo sviluppo delle conoscenze biologiche. La TEORIA DI DARWIN ci dice che le specie non sono fisse e immutabili ma evolvono e questo fa sì che vengano inventati nuovi nomi. Il nome continente info su posizione specie nell’albero sistematico. Quando viene descritta una specie, si delimita una porzione del continuum evolutivo. A tale entità viene dato un nome che, dalla pubblicazione del Systema Naturae di Linneo del 1735 è costituito da un binomio latino. La cui prima parola definisce il genere e la seconda specie. La classificazione biologica definisce diversi ranghi tassonomici, con la specie come ultimo livello. Linneo definì solo 2 REGNI: ANIMALE e VEGETALE → col progredire delle conoscenze, vennero definiti nuovi regni, fino ai 6 attualmente accettati: Eubacteria, Archeabacteria, Protista, Fungi, Plantae, Animalia. Conosciamo un po' di insetti, poco di piante e molto molto poco di aracnidi, funghi, molluschi. Dunque di fatto quello che noi conosciamo ora è pochissimo. COME SI SCRIVONO I NOMI DELLE SPECIE? Per convenzione in botanica, zoologia, e batteriologia ci sono regole ben precise che fanno si che i nomi delle specie siano scritti secondo regole comuni in ogni dominio. Queste regole sono esplicitate in testi detti codici di nomenclatura. Il fatto che ciascun dominio abbia le sue regole può generare confusione. Linneo si è inventato la NOMENCLATURA BINOMIA (già introdotta da Teofrasto, ma perfezionata da Linneo). In ogni caso il nome per sempre costituito da 3 parti 1. nome genere in cui sta 2. epiteto che differenzia la specie da quelle appartenenti allo stesso genere. 3. autorità che ha istituito il binomio Esempio: Quercus cerris L. - quercus (genere) - cerris (epiteto) → binomio: quercus cerris è scritto in corsivo - L: da Linneo (inventore) → scritto non in corsivo (è l’autorità) Qualora siano presenti dei ranghi infraspecifici (come sottospecie, varietà, forma, cultivar) le cose sono un po’ più complicate, come ad esempio: Quercus petraea (Matt.) Liebl. subsp. petraea. Nel caso in cui la sottospecie sia quella tipica si omette l'autorità. invece riportata negli altri casi. Achillea barrelieri Il vantaggio dell’uso del latino per i nomi scientifici è che è una lingua morta, e quindi il nome è invariante, quale che sia la lingua di chi lo usa. Inoltre, si evitano problemi di traduzione da una lingua all’altra. Tuttavia organizzò nomi su morfologia, aspetto, quindi su come sono fatti… Il nome scientifico essendo una combinazione di genere e specie consiste in sé in un'ipotesi della collocazione della specie stessa in uno schema gerarchico, fornito dalla sistematica. questo comporta un problema non da poco. Infatti quando si scopre che un determinato taxon ha relazioni filogenetiche diverse da quanto si credeva, allora questo deve occupare una posizione diversa nello schema sistematico allora anche il nome della specie deve cambiare, volte solo nel genere, a volte anche con l'epiteto. Può mantenere nome specie ma no genere → problema: due nomi per stesso Esempio: il rosmarino → Rosmarinus Officinalis L. scoperto che il rosmarino è un tipo di salvia → cambiato nome e diventato Salvia rosmarinus Spenn. La riorganizzazione dello schema causa problemi ai ricercatori e a tutti coloro che usano i nomi. Questo problema è discusso ma non ha ancora una soluzione. Il problema grosso è che qualunque sistema ti inventi è molto più complesso o difficile da applicare. Per il momento si usa ancora la nomenclatura di Linneo. (LEGGERE ARTICOLO “A TALE FROM BIOUTOPIA" su moodle) GLI ORGANISMI VEGETALI Sono tutti gli organismi che sono autotrofi per il carbonio, ovvero sono in grado di trasformare carbonio inorganico in composti organici (zuccheri) attraverso il processo fotochimico (fotosintesi) ovvero che utilizza l’energia radiante emessa dal sole. 2 3 Un simile processo viene svolto anche da alcuni batteri, capaci di CHEMIOSINTESI: ovvero un processo di sintesi di trasformazione di carbonio inorganico (bio disponibile) in carbonio organico che non utilizza la luce. Un simile processo viene svolto anche da alcuni batteri. AUTOTROFI → Auto (da sè) + trophos (nutrirsi) si alimentano di sostanze inorganiche, forniscono cibo agli eterotrofi. sono in grado di sintetizzare le molecole organiche di cui necessitano a partire da sostanze inorganiche semplici CO2 e H20. sono alla base catena alimentare sono le piante verdi e fanno la fotosintesi clorofilliana Il termine autotrofo non è necessariamente limitato agli organismi che organicano il carbonio. A seconda delle fonte di energia di cui usufruiscono per attuare le reazioni di sintesi, i microrganismi autotrofi possono essere classificati in fotosintetici e chemiosintetici. → AUTOTROFI FOTOSINTETICI: fonte di energia è il Sole, catturano energia solare per costruire le molecole organiche di cui necessitano. Attuano la fotosintesi. → AUTOTROFI CHEMIOSINTETICI: per attivare i loro processi vitali e per costruire le molecole organiche di cui necessitano usufruiscono dell'energia liberata da particolari reazioni inorganiche (chemiosintesi). In particolare essi si procurano l'energia ossidando molecole inorganiche, quali certi composti chimici dell'azoto, dello zolfo e del ferro. Esempi di organismi autotrofi: alghe eucarioti e procarioti, alcuni batteri. ETEROTROFI → etero (altro) + thropos (nutrirsi) Ricavano le materie prime e di cui necessitano da molecole assunte dall'esterno. I microrganismi eterotrofi possono nutrirsi per: ingestione: essi fanno penetrare il cibo all'interno del loro corpo per poi procedere alla sua demolizione enzimatica e al successivo assorbimento delle sostanze ottenute dal processo di demolizione. assorbimento: essi demoliscono il cibo al loro esterno per poi assumere le sostanze ottenute dal processo di demolizione facendole passare attraverso la membrana cellulare. Esistono organismi autotrofi per altre sostanze, ad esempio i CIANOBATTERI, oltre a essere organismi fotosintetizzanti, cioè autotrofi per il carbonio sono anche autotrofi per l’azoto, ovvero capaci di organizzare questo importante elemento. I viventi si possono dividere in grandi gruppi, sulla base: - delle loro caratteristiche strutturali - sulla modalità di assunzione dei nutrienti. Tutti gli esseri viventi noti, sia fossili sia viventi, venivano classificati in 3 DOMINI o SUPER-REGNI, due dei quali comprendono esclusivamente procarioti. I 3 domini erano: ARCHAEA, BACTERIA, EUKARYA. mentre i primi due domini includono ciascuno un Regno, il dominio Eukaria veniva suddiviso in 4 regni: PROTISTI, PLANTAE, FUNGI, ANIMALIA. Recenti ricerche filogenetiche hanno portato alla suddivisione degli eucarioti in 6 supergruppi. Nel 2015 Ruggiero e collaboratori hanno riclassificato tutti gli esseri viventi organizzandoli in 2 Super-regni: PROCARIOTI ED EUCARIOTI, e 5 regni; secondo questo schema 3 4 classificatorio i Prokaryota includono i due Regni Archea e Bacteria; gli Eukaryota sono invece organizzati in 5 regni: ANIMALIA, FUNGHI, PLANATE, PROTOZOA, CHROMISTA, ove solo i primi due prendo esclusivamente organismi eterotrofi. CLASSIFICAZIONE MONERA → unicellulari procarioti, assenza nutrizione per ingestioni PROTISTA eucarioti unicellulari, fotosintesi e ingestione PLANTAE → eucarioti pluricellulari, fotosintesi ANIMALIA → eucarioti pluricellulari, ingestione → ingeriscono altri viventi FUNGI → eucarioti, uni/pluricellulari, assorbimento CELLULA EUCARIOTA → complessa e strutturata CELLULA PROCARIOTA → non organizzati al suo interno in scomparti La classificazione dei viventi è cambiata molto da Linneo, per il quale esistevano solo due regni (evoluzione delle conoscenze). L’evoluzione delle conoscenze è andata pari passo con l’evoluzione degli strumenti per lo studio dei viventi, dal miglioramento degli strumenti ottici, fino alla possibilità di analisi chimiche e molecolari. Oggi la sistematica si basa su un approccio integrato, ovvero un approccio che combina morfologia e analisi molecolare. PROGRESSIONE SISTEMATICA DELLA CLASSIFICAZIONE DI DOMINI E REGNI Man mano che le tecnologie evolvono e si impara ad analizzare, più diventa complesso l’organizzazione nello schema sistematica che deve rappresentare relazioni filogenetiche (evolutive) 4 5 Ad oggi: - Eucarioti: animalia, plantae, fungi, chromista, protozoa - Procarioti: batteri I PROTISTI → gruppo artificiale gruppo eterogeneo, polifiletico eucarioti (nucleo, membrane cellulare, endomembrane, organuli cellulari) monocellulari ( alcuni sono coloniali, altri pluricellulari ) vivono in acqua, ambienti umidi mitocondri per respirazioni e cloroplasti per fotosintesi flagelli per muoversi non hanno organizzazione a tessuto DNA a doppio filamento riproduzione sessuata ed asessuata , cicli riproduttivi complessi possono formare cisti latenti patogeni di piante ed animali sono i maggiori componenti del plancton MONOFILIA: tutti i taxa di un gruppo sono discendenti da un unico progenitore. PARAFILIA: i taxa di un gruppo derivano tutti da un comune progenitore, ma il gruppo non include tutti i discendenti di quel progenitore POLIFILIA: i taxa di un gruppo derivano da diverse linee evolutive, e non hanno un unico progenitore. DIFFERENZE PIANTE E ANIMALI PIANTE radicate in un luogo e non si muovono contengono clorofilla e fanno il proprio cibo emettono ossigeno e prendono carbonio fornito dagli animali → indipendenti hanno parete cellulare, che pe esterna la membrana cellulare, essa dà forma e rigidità non hanno organi di senso non hanno sistema nervoso ma hanno dei feedback (es. fiore si chiude quando non c’è luce) autotrofi Prima degli organismi fotosintetizzanti nell'atmosfera quasi non c’era ossigeno (quindi uomo non primo responsabile emissione CO2)→ chimica riducente. Le piante fanno fotosintesi → respirano CO2 ed emettono O2, ma hanno anche i mitocondri che permettono la respirazione. Di notte la fotosintesi non avviene perché hanno bisogno di energia luminosa → emettono CO2 e consumano O2. ANIMALI capacità di muoversi nello spazio dipendenti da piante → non fanno cibo proprio emettono carbonio usano ossigeno per respirare cellule animali hanno forme diverse di quelle delle piante organi di senso e sistema nervoso eterotrofi → la respirazione l’esatto opposto della fotosintesi 5 6 DIFFERENZE CELLULE VEGETALI E ANIMALI CELLULE VEGETALI grandi parete cellulari nucleo sul lato un vacuolo di grande dimensioni sintesi nutrienti plasmodesmi: canali di comunicazione attraverso cui passano sostanze, permettono comunicazioni tra cellule CARATTERI CHE HANNO SOLO VEGETALI ❖ Cloroplasti: per fotosintesi ❖ parete cellulari: da forma precisa ❖ plasmodesmi CELLULE ANIMALI piccoli non hanno parete cellulari, solo membrana nucleo nel centro molti vacuolo non possono sintetizzare i composti organici no plasmodesmi QUANDO SI SONO EVOLUTI GLI ORGANISMI VEGETALI? Ma come si origina una nuova specie e quali sono i meccanismi dell’evoluzione? Il concetto fondamentale per capire questi meccanismi è la SELEZIONE NATURALE la quale fa sì che vengano favorite quelle mutazioni che portano gli individui ad avere caratteristiche più vantaggiose determinate condizioni ambientali, dando loro un vantaggio adattativo in termini di sopravvivenza e riproduzione. PS: La selezione naturale opera su mutazioni già esistenti in una popolazione. accumula caratteristiche positive ed elimina le negative, le mutazioni avvengono a caso Esistono selezione naturale e selezione artificiale (operata dall’uomo, il quale va a selezionare gli organismi da fare riprodurre. ANAGENESI Scompare un gruppo di gazzelle con selezione, a causa di una serie di episodi di selezione naturali. → L’evoluzione di una specie, o di un gruppo di categoria superiore, che si trasforma globalmente in un’altra specie, o gruppo superiore, senza ramificarsi in più forme. CLADOGENESI Da una specie se ne formano diverse, è una ramificazione l’evoluzione ramificata, per cui da una specie o gruppo più elevato iniziale si originano diverse specie o gruppi, che si evolvono poi indipendentemente La speciazione avviene per ISOLAMENTO RIPRODUTTIVO, ovvero l’impossibilità tra due popolazioni di avere un flusso di geni tra di loro. Esistono diversi tipi di isolamento riproduttivo. (una mutazione che appare da una parte, non torna da un'altra, quindi popolazione accumuleranno mutazioni diverse ed evolveranno in maniera diversa → origineranno specie diverse) Esempio interessante di ISOLAMENTO GEOGRAFICO La speciazione del genere Tamiasciurus o scoiattolo rosso nord-americano è un caso di speciazione per un isolamento geografico peraltro ancora in atto. Alla fine dell’ultima glaciazione le foreste di conifere che ricoprono i fondovalle di molte aree del nord america, sono scomparse creando quindi un gap tra le diverse montagne, ove le foreste permanevano. Gli effetti di questo isolamento è di 3 specie e un numero elevato di sottospecie, alcune delle quali dibattute da diversi autori come vere e proprie specie. 6 7 ESTINZIONE Per ogni specie vi è un momento di nascita (SPECIAZIONE) ed uno di morte (ESTINZIONE) si stima che circa il 98% delle specie comparse sul pianeta nel corso delle ere sia estinta. L'esplosione di biodiversità del cambriano non è continuata ininterrottamente. La biodiversità del pianeta ha avuto alti e bassi, a causa di diverse estinzioni di massa. Ci sono giunte prove di 5 Estinzioni di massa, ma ogni specie ha un inizio e una fine. 1. 435 mln di anni fa → causa:glaciazione prolungata → effetti: abbassamento livello mari con riduzione ecosistemi marini. perdita 85% biodiversità 2. 360 mln → glaciazione o impatto di un asteroide (si dice così perchè hanno stesso effetto), interesso decine di migliaia di specie marine, più diverse specie pteridofite e spermatofite terrestri che si erano appena evolute 3. 240 mln → eruzione vulcanica o impatto di una grosso meteorite → segna fine era Paleozoica → si suppone che impatto di meteorite abbia oscurato il sole sollevando immense quantità di polveri uccidendo autotrofi fotosintetizzanti. Interessate decine di migliaia di specie marine, più diverse specie pteridofite persa 85%-95% biodiversità terrestre → esiste come prova un cratere di 120 km di diametro in Australia 4. 200 mln → sconosciuta, le principali vittime furono anfibi e i primi rettili. Questa estinzione aprì la strada a quella dei dinosauri. Perdita stimata del 75% delle specie. 5. 65 mln → impatto di uno o più asteroidi, scomparsa dei dinosauri e molte specie vegetali ed animali. Esiste cratere di 195km di diametro nello Yucatan; inoltre, sono state trovate tracce di iridio nelle rocce di quel periodo nei pressi di Gubbio. Perdita stimata del 75% biodiversità. Nonostante questi effetti catastrofici, le specie continuamente si estinguono. Si definisce TASSO DI ESTINZIONE NORMALE come il numero di estinzioni per milione di specie per anno. Questo tasso viene di solito stimato per classi o categorie di specie. Per gli invertebrati marini va ad esempio da 0,1 ad 1. TEN=E/MS/Y Il periodo di sopravvivenza specie va da 1 a 10 milioni di anni. La SESTA ESTINZIONE DI MASSA sarà causata dalla pressione antropica sull'ambiente. Si suppone che sarà diversa dalle altre per: Velocità di estinzione: attualmente 0,5% delle specie totali / anno Numero di specie minacciate: circa 2/3 del totale, che oggi è molto superiore rispetto al passato Tipologia di specie minacciate: tutte, in particolare a causa della distruzione degli hot-spots della biodiversità planetaria Le sue cause principali sono: Cambiamento climatico Accelerazione della crescita demografica Aumentato sfruttamento agricolo del suolo Sostituzione di specie autoctone con specie alloctone Frammentazione e distruzione degli areali CIANOBATTERI/CYANOBACERIA I cianobatteri sono il primo gruppo di organismi (ovviamente si intendono gli antenati dei primi cianobatteri). Sono il gruppo più ampio e diversificato di Procarioti fotosintetici. → sia FOTOSINTESI OSSIGENICA sia RIDUZIONE DELL’AZOTO (N2→NH3) ← Unicellulari o filamentosi, capaci di formare colonie a forma di filamento sia fotosintesi ossigenica, ovvero che libera ossigeno; sia la riduzione dell’azoto non contengono organuli cellulari (a parte un tipo) non ci sono specie flagellate solitari o riuniti in colonie (a forma varia) TRICOMA: forma coloniale più caratteristica comprendono circa 150 generi con oltre 200 specie, distribuite in tutto il globo in HABITATS DIVERSI: - mare specie planctoniche e bentoniche - acque dolci 7 8 - suolo nei primi strati del terreno, sino a qualche cm di profondità - rocce specie endolitiche (che penetrano nella roccia) - sorgenti termali (le acque termali più ricche di cianobatteri sono quelle alcaline, con pH basico (pH=9) NOSTOC Cianobatteri fissatori di azoto → sono azotofissatori. Vivono liberamente in natura in simbiosi. Ci sono cellule che si specializzano a sintetizzare azoto, formano parete più spessa a O2, usano enzimi chiamati nitrogenasi: N2→ NH4+ La nitrogenasi è un complesso enzimatico coinvolto nella fissazione biologica dell'azoto atmosferico (N₂) per convertirlo in ammonio (NH₄⁺), una forma di azoto che può essere utilizzata dagli organismi viventi. L’ossigeno è un inibitore di nitrogenasi, infatti la nitrogenasi è un enzima anaerobico, funziona meglio in assenza di ossigeno. ORMOGONI: (nei cianobatteri) Gli ormogoni sono piccoli gruppi di cellule che si separano dalla colonia madre e svolgono un ruolo nella riproduzione e nella formazione di nuovi individui. Nel contesto specifico di Nostoc e di alcuni altri cianobatteri, gli ormogoni sono spesso coinvolti nel ciclo di vita della colonia. Il processo di formazione di ormogoni e la successiva formazione di nuovi individui possono avvenire in risposta a condizioni ambientali sfavorevoli o come parte del ciclo vitale della colonia. Questi ormogoni possono avere caratteristiche morfologiche e fisiologiche specifiche che li distinguono dalle cellule normali della colonia madre → si separano dalla colonia madre formano un nuovo individuo. AKINETI: strutture specializzate nei cianobatteri, organo di resistenza, ovvero cellule ingrossate con parete particolarmente resistente e ricche di sostanze di riserva, che superano periodi difficili per poi dare origine, germinando, a nuovi ormogoni. Il COLORE delle cellule dei Cianobatteri varia (tutti hanno clorofilla di diverso tipo): blu-verde, rosso, violacea → ← proporzione dei pigmenti fotosintetici e pigmenti protettivi depositati a livello della guaina gelatinosa esterna. - clorofilla a - carotenoidi: b-carotene; xantofille comuni come ela zeaxantina; xantofille particolari quali echinenone, mixoxantina, calozantina, nostocxantina, oscillaxantina; - ficobiliproteine: C-ficocianina, allo-ficocianina, C-ficoeritrina. Processi ossido-riduttivi a livello del plasmalemma o membrane dei tilacoidi. Non hanno compartimentazioni interne ma hanno una serie di membrane TILACOIDALI distribuite ai margine della cellule, non in grana → al contrario nei CLOROPLASTI le membrane tilacoidali sono organizzati in grana, membrane in cui avviene il processo fotosintetico. I cianobatteri planctonici sono dotati di VACUOLI GASSOSI che permettono loro di galleggiare e fare più fotosintesi, delimitati da un rivestimento proteico, utili per il galleggiamento in modo da garantire all’organismo una posizione ottimale per la luce. STRUTTURE DI PROTEZIONE ESTERNA DEI CIANOBATTERI Hanno insieme di membrane tilacoidali caratteristiche di essere e quelle su cui avviene processo FOTOSINTETICO, senza queste non accadrebbe. Si organizzano in pile di dischetti, una sull’altra. - membrana cellulare (plasmodesma) - parete composta (sacculum di peptidoglicani + membrana esterna) - glycocalyx: spessa guaina gelatinosa, visibile al microscopio PIGMENTI FOTOSINTETICI clorofilla a carotenoidi: beta-carotene, xantofille, (comuni=zeaxantina; particolari=echinenone, mixoxantina, caloxantina, nostocxantina, oscillaxantina; ficobiliproteine: FICOBILISOMA: complesso proteico sulle membrane tilacoidali. Hanno il ruolo di catturare la luce di lunghezza d’onda 500-650 nm, per poi “passarla” alle clorofille del fotosistema II. RIDUZIONE DELL’AZOTO N2 → NH3 o NH4+ L'azoto molecolare (N2) presente nell'atmosfera viene ridotto e trasformato in ammoniaca (NH3) o ione ammonio (NH4+). 8 9 La fissazione consiste nella riduzione dell'azoto molecolare atmosferico N2 ad NH4+ (ammonio) che viene per la maggior parte organicato negli aminoacidi e quindi nelle proteine. La molecole di N2 è particolarmente stabile, per la presenza del triplo legame: Il TRIPLO LEGAME è il legame più forte che esiste in natura. Più forte è il legame, più duro sarà da rompere → per romperlo bisogna investire moltissima energia. Il problema dell’azoto è che, essendo una molecola così difficile da rompere, viene rotta esclusivamente dall’energia dei fulmini che hanno elevata carica elettrica (sono scariche elettriche) trasformano azoto atmosferico in ammoniaca. Tuttavia i fulmini non ci sono sempre, questo azoto va a coprire il 10% dell'azoto della biosfera, però è fondamentale, infatti gran parte delle molecole con le quali viviamo sono composte da azoto. → La rottura avviene in condizioni di alta energia, per es. scariche elettriche. La fissazione dell’azoto avviene quindi tramite: - i fulmini - attività dei cianobatteri Organismi capaci di ridurre azoto in ammoniaca Oltre a quello di origine atmosferica, gli ecosistemi naturali godono degli input da parte di pochi gruppi organismi, che sono capaci di ridurre l'azoto molecolare (N2) a NH4, grazie a processi enzimatici. Eubatteri liberi ed eterotrofi → ottengono carbonio da organismi organici, più frequentemente anaerobi obbligati, o aerobi facoltativi che operano in condizioni anaerobiche Eubatteri fotoautotrofi liberi → usano luce come fonte di energia per sintetizzare il proprio cibo (es.: Rhodospirillun rubrum, anaerobo facoltativo, batterioclorofille, fotosintesi senza produzione di O2) Cianobatteri → possono svolgere la fotosintesi. La capacità di fissare l'azoto nella linea evolutiva dei batteri è comparsa numerose volte → meccanismo che si è evoluto numerose volte nel percorso evolutivo dei batteri. La reazione è fortemente ENERGIVORA: N2 + 8H+ + 8e- + 16ATP → 2NH3 + H2 + 16 ADP + 16 Pi Sensibilità della nitrogenasi all’ossigeno e le soluzioni evolute dai cianobatteri La NITROGENASI: è un enzima che stimola, accelera questo processo, ma il problema è che viene inattivata molto rapidamente in presenza di O2. Ha una bassa specificità di substrato: riduce N2, ma anche N2O (N2+H20) e acetilene (C2H2). Infatti viene inattivata rapidamente e in modo irreversibile dall'O2. - Il fenomeno è limitato a condizioni di anossia, o perché le cellule sono coperte dal sedimento o perché la fissazione viene svolta al buio, durante la notte: - Il fenomeno è limitato a cellule coloniali povere di pigmenti fotosintetici: - È nata una super-specializzazione, con suddivisione delle funzioni tra cellule dello stesso filamento: per fare ciò deve esistere un continuum dei citoplasmi («simplasto») → ETEROCISTI i quali hanno una parete spessa e impermeabile all’ossigeno. ETEROCISTI forma tondeggiante (di solito sono cilindriche) più grandi (da 2 a 12 volte) delle normali cellule del filamento connessione fisica tra l’eterocisti e le due cellule adiacenti, tramite una speciale ponteggiatura attraversata da microtubuli citoscheletro producono 3 parte cellulari supplementari, che comprendono glicolipide che forma una barriera impermeabile all'ossigeno producono nitrogenasi e altre proteine per la fissazione dell'azoto Non hanno il fotosistema II, che produce ossigeno (nella cellula ci sono 2 fotosistemi) producono proteine che catturano il rimanente ossigeno che passa Presentano dei "tappi" composti di cianoficina che rallentano comunicazione cellula - cellula (riducono passaggi) 9 10 Il potere riducente (NADPH) e parte dell' ATP vengono forniti all'eterocisti dalle cellule adiacenti, tramite un flusso attivo di zuccheri, che viene "ripagato" con le molecole contenenti l'azoto ridotto di neo-formazione sotto forma di aa, il tutto grazie al connessioni citoplasmatiche. Per alcuni ecosistemi l'approvvigionamento di azoto da parte dei cianobatteri è fondamentale. Si è dimostrato ad es, che il cianobatterio planctonico Trichodesmium marinum è la più importante fonte di azoto per la zona eufotica (=illuminata) dell’Atlantico tropicale. (la luce arriva fino ad una certa profondità nell’oceano/mare aperto). Quindi: Le eterocisti hanno un ispessimento della parete perché al loro interno avvengono meccanismi di fissazione dell’azoto (funzione di protezione). Gli akineti danno forme di resistenza. Il necridio è una cellula che si svuota diventando un punto fragile di rottura per potere frammentare le colonie. Eterocisti vengono usate dai cianobatteri per fissare l’azoto elementare. Una volta differenziate non si dividono più. Esse sintetizzano l’enzima nitrogenasi. Alcuni cianobatteri sono privi di eterocisti ma producono egualmente la nitrogenasi. Questo enzima permette loro di fissare l’azoto. Queste caratteristiche appartengono a specie che vivono in acque che tendono ad abbassarsi di livello. Le eterocisti non fanno la fotosintesi e dipendono da altre cellule della colonia per il nutrimento. Questo è possibile perché le cellule coloniali e le eterocisti sono tra loro in continuità citoplasmatica attraverso pori di giunzione detti micro plasmodesmi (piccoli passaggi di citoplasma), attraverso i quali fluiscono appunto i nutrienti e le molecole necessarie al processo di azoto-fissazione. I prodotti della fissazione dell'azoto passano all'opposto dalle eterocisti alle cellule contigue. La fissazione dell’N atmosferico consiste nella riduzione dell’N molecolare ad azoto ammonico. Poi si ha la trasformazione di questo nel radicale amminico – NH2 che viene incorporato negli amminoacidi. I cianobatteri sono fondamentali anche perché formano in alcuni casi delle simbiosi con le piante ad esempio, questo fenomeno fa sì che il cianobatterio vada a vivere all’interno come ospite nella pianta; questo crea un ambiente protetto e viene facilitato il meccanismo di fissazione dell’azoto. IMPORTANZA EVOLUTIVA ED ECOLOGICA DEI CIANOBATTERI Gli antenati dei cianobatteri, probabilmente, sono stati i primi essere viventi a fare la fotosintesi. Precambriano (4,6 bya till 541 mya) Stromatoliti: presenti nelle rocce calcaree sedimentarie, stratificate, fo da batteri e cianobatteri Teoria endosimbiontica → primi endosimbionti di altri organismi formando i primi cloroplasti. Cianobatteri come epibionti (sul tallo di macroalghe) Cianobatteri come simbionti (ectobionti) in licheni, briof felci, angiosperme, diatomee, spugne, coralli, amebe Sintesi di micosporine (MAA, microbial sunscreens) Assorbimento di radiazioni UV alte → schermo/protezione protezione da stress ossidativo e disseccamento LA CELLULA VEGETALE Differenze: 10 11 - PARETE CELLULARE (rivestimento che obbliga la cellula ad una determinata forma e dimensione da resistenza), è molto grande → c. vegetali possono essere più grandi delle c. animali. Mantiene plasticità solo durante la crescita cellulare. - PLASMODESMI: perforazioni pareti attraverso cui passano ponti citoplasmatici che favoriscono scambio di sostanze e informazioni tra cellule vegetali (altrimenti con parete di mezzo sarebbe impossibile comunicazione intercellulare) - PLASTIDI, in particolare il PROTOPLASTO, che è la cellula senza parete cellulare. La parete dà alla cellula la forma, altrimenti il protoplasto sarebbe tondeggiante. L’aumento di dimensioni è garantito anche dalla dimensione del VACUOLO. protoplasto CITOSOL: porzione del protoplasto escludendo comparti ed organelli circondati da membrana, soluzione colloidale proteine strutturali ed enzimatiche, zuccheri, nucleotidi, ormoni. CITOPLASMA è l’insieme degli organelli cellulari delimitati da membrana e il citosol. MEMBRANE: ci sono diversi tipi di membrane della cellula vegetale: - membrana nucleare: riveste nucleo, contiene acidi nuclei - Tonoplasto: membrana del vacuolo - Plasmalemma: membrana cellulare - membrane reticolo endoplasmatico - membrane del Golgi - membrane degli organuli come mitocondri e cloroplasti → si parla di doppia membrana (2 strati) → risale a teoria endosimbiontica. La membrana NON è una struttura statica (manca di lega covalenti), ma è DINAMICA → libertà di movimento dei suoi componenti (flip-flop → modello a mosaico fluido, diffusione laterale), creata per fissione e crescita di quelle esistenti doppio strato; selettivamente permeabile. I MITOCONDRI Ci sono anche nelle piante, perché non solo fanno la fotosintesi, ma anche respirano. Morfologia identica in cellule animali e vegetali, DNA e ribosomi propri Riproduzione per scissione. Origine batterica (endosimbiontica) Pleomorfi: soggetti a rapidi cambiamenti di forma. Delimitati da due membrane con funzioni diverse: membrana esterna (con porine) e membrana interna complessa, formata da creste mitocondriali, delimita la matrice. PEROSSISOMI Compartimenti metabolici, enzimi ossidativi Originano dal Reticolo Endoplasmatico Forma sferica, circondati da membrana propria (doppio strato fosfol nucleoide (inclusi cristallini o fibrillari, amorfi o densi) Perossidasi - catalasi: Degradano il perossido di idrogeno (H2O2) in O e H2O. Ossidasi: degradano acidi grassi o altre sostanze tossico per la cellula 11 12 Negli organi fotosintetici ci sono: i PEROSSISOMI FOGLIARI che si chiamano GLIOSSISOMI: ciclo del gliossilato, svolgono la loro funzione nei tessuti di riserva e dei oleaginosi, con enzimi per la produzione di carboidrati da lir (catalisi lipidica). Il ciclo del gliossilato è coinvolto nella fotosintesi delle piante. Durante le fasi in cui la fotosintesi è limitata, ad esempio durante la notte o in condizioni di stress, le piante possono utilizzare il ciclo del gliossilato per convertire gli acidi grassi in carboidrati. Questo processo aiuta a mantenere la produzione di zuccheri anche quando la fotosintesi tradizionale è ridotta. Vi è un SISTEMA DI ENDOMEMBRANE: RETICOLO ENDOPLASMATICO + APPARATO DI GOLGI + VACUOLO + MB. PLASMATICA. Tutte queste membrane sono in comunicazione per scambio di vescicole o comunicazioni diretta. La differenza principale è che il reticolo endoplasmatico, solo nelle cellule vegetali, ha la peculiarità di attraversare i plasmodesmi (giunzioni cellulari, perforazioni parete) creando un continuum tra cellule adiacenti → per facilitare la comunicazione e gli scambi tra le cellule. APPARATO DI GOLGI Le cisterne sono distribuite in tutto il citoplasma, mentre nelle cellule animali vi è solo un complesso perinucleare. Sintesi dei glicolipidi di plasmalemma e tonoplasto, e dei polisaccaridi parete cellulare. CITOSCHELETRO Polimeri proteici filamentosi che non differiscono molto da c. animale: Microtubuli Filamenti di actina Filamenti intermedi ❖ Ciclo cellulare (apparato interfasico di microtubuli corticali, banda preprofasica, fuso mitotico, formazione del fragmoplasto) ❖ Polarità cellulare → Espansione cellulare (Il citoscheletro contribuisce alla polarità cellulare e all'espansione cellulare, fornendo una struttura dinamica alla cellula) ❖ Accrescimento apicale (oinvolge l'estensione della parte apicale delle cellule, un processo che richiede la dinamica degli elementi del citoscheletro.) ❖ Comunicazione cellulare (attraverso i plasmodesmi) ❖ Differenziamento elementi conduzione → l citoscheletro è coinvolto nel differenziamento di strutture specializzate, come ad esempio gli elementi di conduzione nei tessuti vegetali. ❖ Interazioni (sim)biotiche → Il citoscheletro può essere coinvolto in interazioni simbiotiche e nella risposta a stimoli ambientali. Nelle cellule vegetali, dove la divisione cellulare è un po’ diversa da come avviene negli animali, interagisce il FRAGMOPLASTO: una sorta di parete che si frappone tra le due cellule figlie. COMUNICAZIONE CELLULARE: nei plasmodesmi i filamenti di actina (componenti del citoscheletro) controllano il trasporto di sostanze tra le cellule. I plasmodesmi sono strutture presenti nelle pareti cellulari delle piante che permettono lo scambio di materiali tra cellule adiacenti. Gli elementi del citoscheletro, come i filamenti di actina, possono essere coinvolti nel controllo di questi processi di comunicazione cellulare. Tuttavia, è importante notare che ciò potrebbe variare in base al contesto specifico e alla tipologia cellulare. In generale, la regolazione della dimensione e dell'apertura dei plasmodesmi può coinvolgere componenti del citoscheletro come l'actina. 12 13 INTERAZIONI SIMBIOTICHE: sono associazioni a lungo termine tra organismi di specie diverse che comportano vantaggi reciproci. Due tipi comuni di simbiosi sono il mutualismo e la simbiosi micorrizica. COMUNICAZIONE CELLULARE NELLE PIANTE Il successo dell’esistenza di organismi pluricellulari dipende dalla capacità delle singole cellule di comunicare l’una con l’altra in modo da poter collaborare per formare tessuti, organi e quindi un organismo. La comunicazione viene realizzata attraverso segnali chimici, cioè mediante sostanze che sono sintetizzate all’interno della cellula per essere poi trasportate all’esterno e viaggiare verso un’altra cellula. Nelle piante i segnali chimici sono gli ORMONI, i quali sono prodotti da un tipo di cellula o tessuto allo scopo di regolare la funzione di cellule o tessuti che si trovano altrove. Le molecole devono essere sufficientemente piccole da passare attraverso la parete cellulare. La membrana plasmatica ha un ruolo chiave nel riconoscimento del segnale. Quando le molecole segnale raggiungono la membrana plasmatica della CELLULA BERSAGLIO → possono essere trasportate dentro la cellula mediante un processo di endocitosi. In alternativa possono restare all’esterno della cellula, legandosi a specifici recettori sulla superficie esterne della membrana → i recettori sono proteine transmembrana che diventano attive quando legano la molecola segnale (PRIMO MESSAGGIO) e generano segnali secondari o SECONDI MESSAGGERI. I secondi messaggeri, la cui concentrazione all’interno della cellula aumenta in risposta al segnale, fanno procedere il segnale alterando le caratteristiche di determinate proteine cellulari, capaci di innescare cambiamenti chimici nella cellula. Questo processo mediante il quale una cellula converte un segnale extracellulare in una risposta è la TRASDUZIONE DEL SEGNALE. Secondi messaggeri comuni: - ione calcio - AMP ciclico (negli animali e nei funghi) Il percorso della trasduzione del segnale può essere diviso in 3 tappe: 1. ricezione → corrisponde al legame di un ormone con il suo specifico recettore 2. trasduzione → viene formato e rilasciato nel citosol il secondo messaggero capace di amplificare lo stimolo e di dare inizio alla risposta della cellula (ione Ca ^2+ → secondo messaggero in molte risposte della pianta) → il legame di un ormone al suo specifico recettore stimola il rilascio di ioni Ca2+, immagazzinati nel vacuolo, nel citosol. → Ioni entrano nel citosol attraverso specifici canali di Ca2+ nel tonoplasto → gli ioni si combinano con la calmodulina, la principale proteina che lega il calcio nelle cellule vegetali → il complesso Ca2+ - calmodulina influenza numerosi processi cellulari, attraverso l’attivazione di appropriati enzimi. 3. induzione → il secondo messaggero migra nel citosol e attiva specifici processi cellulari. In altri casi i segnali chimici penetrano nella cellula e si legano a uno specifico recettore all’interno. I PLASMODESMI Sono strette strisce di citoplasma che connettono i protoplasti di cellule vegetali vicine, sono vie importanti per la comunicazione da cellula a cellula. SIMPLASTO: insieme dei plasmodesmi e dei protoplasti. TRASPORTO SIMPLASTICO: movimento delle sostanze da cellula a cellula tramite plasmodesmi. TRASPORTO APOPLASTICO: movimento delle sostanze nel continuum delle pareti cellulari che avvolge il simplasto. Un plasmodesma è formato durante la citocinesi da una striscia tubolare di reticolo endoplasmatico, che resta nella piastra cellulare durante il suo sviluppo. I plasmodesmi possono anche formarsi de novo in una preesistente prete cellulare. Plasmodesmi primari: formati durante la citocinesi. Plasmodesmi secondari: formati dopo la citocinesi. La formazione dei plasmodesmi secondari è essenziale per stabilire comunicazioni tra cellule vicine non derivate dalla stessa linea cellulare. Struttura dei plasmodesmi Un plasmodesma appare come un canale allineato alla membrana plasmatica e attraversato da una briglia tubulare di reticolo endoplasmatico chiamato desmotubulo, che è in continuità con il reticolo endoplasmatico della cellula adiacente. Sebbene alcune molecole possano passare attraverso il desmotubulo, quasi tutto il trasporto mediante plasmodesmi avviene attraverso il canale citoplasmatico che circonda il desmotubulo: il manicotto citoplasmatico → è suddiviso in alcuni canali più piccoli da proteine 13 14 globulari che sono immerse fra la parte interna della membrana plasmatica e la porzione esterna del desmotubulo e che sono interconnesse da strutture a raggiera. I PLASTIDI I plastidi sono un gruppo esclusivo delle cellule vegetali. Sono organelli dove si svolgono molte delle attività metaboliche, come la fotosintesi, la biosintesi degli acidi grassi, degli amminoacidi e dell’amido. In base al colore i plastidi maturi sono distinti in cloroplasti, cromoplasti, leucoplasti. CARATTERISTICHE DEI PLASTIDI 1. DNA extracellulare circolare (detto "PLASTOMA", cioè il genoma dei plastidi), responsabile parte dell'ereditarietà extranucleare della cellula; → hanno dei propri acidi nucleici. 2. Ribosomi 70S, ovvero di tipo procariotico (nel citoplasma ribosomi 80S tipo eucariotico) e della macchina di trascrizione e traduzione proteica; 3. due membrane (come nei mitocondri!): membrana esterna e membrana interna; 4. al loro interno: sviluppo di ulteriori membrane chiuse e delimitanti spazi interni che originano dalla membrana interna per un processo di evaginazione. In mais (Zea mais, i plastidi più intensamente indagati) il plastoma codifica per circa 100 proteine (= 1/3-1/2 del totale delle proteine presenti nel plastidio). Sono presenti diverse copie per cloroplasto (che può essere considerato "poliploide", con 40-100 copie di ptDNA). → Ogni cloroplasto può avere diverse copie di DNA per la produzione di proteine. Affinità "procariotica": - struttura circolare - mancano sequenze ripetitive Affinità "eucariotica": - esistono introni - complessi multienzimatici codificati almeno in parte dal genoma nucleare. TEORIA ENDOSIMBIONTICA La teoria endosimbiontica spiega come potrebbero essere nati sia i cloroplasti sia i mitocndri. Probabilmente il cloroplasto era un antenato del cianobatterio. Secondo questo modello, i mitocondri e i cloroplasti deriverebbero da antichi procarioti che si sono introdotti in cellule più grandi. Qui i procarioti avrebbero dato origine a un rapporto di simbiosi, cioè uno scambio reciproco di favori: la cellula più grande avrebbe fornito biomolecole e sali minerali, mentre i procarioti avrebbero fornito energia. A) Endosimbiosi PRIMARIA: il proto-eucariote fagocita un cianobatterio che darà luogo al cloroplasto con doppia membrana. B) Endosimbiosi SECONDARIA: un eucariote eterotrofo fagocita (=ha mangiato) un'alga unicellulare di degenerazione degli altri organuli, rimane nel simbionte solo un cloroplasto delimitato da un involucro di due strati (che conteneva cianobatterio → creatosi legame simbiotico tra cellule fagocitante e cellula fagocitata → processo molto lungo). 14 15 Il primo fenomeno di endosimbiosi è stato quello dei mitocondri. IL DNA plastidiale NON codifica per tutte le proteine nei plastidi, ma per ⅓ o ½. Processo di differenziazione e sviluppo dei plastidi nelle piante, dai proplastidi, che rappresentano la forma immatura dei plastidi, fino alle diverse forme mature come cromoplasti, cloroplasti e leucoplasti. 1. Proplastidi: I proplastidi sono le forme immaturi dei plastidi. Di solito si trovano nelle cellule dei tessuti meristematici, che sono attivamente coinvolte nella divisione cellulare e nello sviluppo delle piante. Nello zigote, i proplastidi possono derivare dalla cellula uovo materna. 2. Differenziazione e Sviluppo: Durante il processo di differenziazione cellulare e sviluppo, i proplastidi possono subire una serie di cambiamenti per diventare specifici tipi di plastidi in base alle esigenze della cellula e del tessuto. La differenziazione può portare alla formazione di diversi tipi di plastidi, ognuno con funzioni specifiche. 3. Forme Mature di Plastidi: I plastidi sono una famiglia di organuli propri degli organismi fotoautotrofi ossigenici eucarioti. Essi hanno molteplici funzioni. CLOROPLASTI: assimilazione CO2 (FOTOSINTESI) e molto altro LEUCOPLASTI: deputati ad accumulo sostanze di riserva → amiloplasti → elaioplasti → proteoplasti CROMOPLASTI: accumulo di pigmenti lipofili (per colorare i tessuti), capaci di dare colori a frutti, fiori) Il destino del proplastide, se diventerà un organulo di riserva o di assimilazione, dipende dalle esigenze specifiche della cellula e del tessuto in cui si trova. In sintesi, il processo di differenziazione dei plastidi è cruciale per la funzione e l'adattamento delle cellule vegetali in risposta alle loro esigenze metaboliche e di sviluppo. EZIOPLASTI Gli ezioplasti sono dei precursori dei cloroplasti e cromoplasti, accumulati nei tessuti di piante che si sviluppano al buio o in condizioni di scarsa illuminazione. L'assenza di clorofilla, e dei principali complessi proteici di membrana responsabili della fase luminosa della fotosintesi, rende questi organelli fotosinteticamente inattivi.Essendo al buio non sviluppano pigmenti (non servono). struttura: corpo prolamellare in cui i tubuli del citoscheletri sono disposti regolarmente. Nel momento in cui arriva la luce si disgregano dal corpo prolamellare ed evolvono in: - cromoplasti - cloroplasti A seconda della cellula in cui stanno. 15 16 PLASTIDI DI RISERVA: 1. in tessuti di riserva degli organi di riserva (tuberi, bulbi, bulbo tuberi, radici tuberizzate, frutta, verdura), 2. nella parte corticale di alcuni cauli (subito sotto lo strato più esterno), 3. nelle radici (ricche di amido). Leucoplasti: TRE TIPI DI SPECIALIZZAZIONE granuli di amido → AMILOPLASTI cristalli di proteine → PROTEOPLASTI olii o grassi → ELAIOPLASTI AMILOPLASTI Tubero di patata: Parenchima amilifero con amido secondario Amido primario: si trova nei tessuti attivi dal punto di vista fotosintetico. amido secondario: di trova nei tessuti di riserva A volte la deposizione dell'amido avviene in senso centrifugo a partire da una struttura centrale definita ILO. → ILO: Centro di aggregazione dell’amido CROMOPLASTI Negli strati esterni dei frutti, nei petali dei fiori sgargianti. Il colore rosso è tale perché i pigmenti assorbono tutta la luce colorata, tranne il rosso, che viene riflesso, quindi noi percepiamo quello riflesso. I cloroplasti: - La differenziazione in cromoplasti segue un preciso piano di sviluppo, può anche essere reversibile (trasformazione inversa). - hanno geni nucleari regolatori della cromoplasto genesi sono correlati alla biosintesi dei carotenoidi. proplastidi - il loro sviluppo dipende da fattori eso- ed endogeni agiscono su differenziamento (fitormoni con funzione antagonista). Cromoplasti globulari: i più primitivi, in frutti (es. ara pesca) e in alcuni fiori (es Ranunculus). Le vescicole interne sono delimitate da un monostrato di lipidi e proteine. Cromoplasti membranosi i più poveri di pigmenti (3% di carotenoidi), fortemente apolari; nei petali del fiore del frutto del peperone. Cromoplasti cristallini: accumulano cristalli di beta carotene (radice di carota) o di licopene (frutto di pomodoro). GERONTOPLASTI Sono plastidi che si formano durante il processo di invecchiamento. L’emergere dei carotenoidi nei cromoplasti puo influenzare il cambiamento di colore. La sintesi ex novo di elevate quantità di carotenoidi è l'evento che definisce i veri cromoplasti. In foglie senescenti o in tessuti verdi attaccati da patogeni (es. funghi degenerazione dei cloroplasti con degradazione delle clorofille e tilacoidi, per cui i pigmenti verdi mascherano più i carotenoidi già presenti. Togliendo il pigmento verde, la foglia diventa gialla. → plastidi senescenti sono i gerontoplasti. CLOROPLASTI Derivano dai proplastidi. Struttura particolare: membrane tilacoidali e volume differenziato (fornisce spazi per processi fotosintetici) Membrana interna è anche fortemente ripiegata al suo interno a formare una struttura definita TILACOIDI: sacchetti impilati gli uni sugli altri, i quali al loro interno hanno un volume che è differente dallo stoma del cloroplasto. Fondamentalmente sono verdi (non sempre) In alghe i cloroplasti si differenziano molto per morfologia ultrastrutturale. Ad esempio in alghe come la Spirogyra, la struttura è nastriforme, avvolge l’intera cellula CONFRONTO CLOROPLASTI E MITOCONDRI: membrana differisce. DIFFERENZE DI COMPOSIZIONE E PROPRIETÀ DELLE DUE MEMBRANE PLASTIDIALI: Membrana esterna: relativamente permeabile; organizzazione relativamente semplice; composizione apparentemente simile a quella di altre membrane presenti nella cellula (es. sono presenti gli steroidi), ma in realtà con alcuni markers procariotici. 16 17 Membrana interna: barriera selettiva (ricco corredo di trasportatori selettivi); ricca di proteine (50%), sede di enzimi (es. sintesi fosfolipidica); composizione diversa da quella di altre membrane cellulari, simile alla membrana plasmatica degli EUBATTERI (e presenza di cardiolipina diphosphate-glycerol phospholipid). In alcuni taxa algali il cloroplasto risulta delimitato da membrane soprannumeraria, da 1 a 3 (numero finale di membrane = da 3 a 5) ← endosimbiosi secondaria. TILACOIDI: evaginazioni interne della membrana interna; delimitano il lume tilacodiale; particolarmente sviluppate in cloro- e cromoplasti, particolarmente ricche in: - pigmenti apolari (liposolubili) - complessi enzimatici. Mougeotia Non sempre verde. Possono avere altri colori per la prevalenza di altri “pigmenti fotosintetici accessori” coinvolti nel processo fotosintetico. Da qui la suddivisione delle alghe in gruppi tassonomici empirici: alghe rosse, brune, dorate, ecc → a seconda percentuale di pigmenti il cloroplasto può essere più o meno verde. I cloroplasti nelle alghe del genere Mougeotia presentano le caratteristiche tipiche delle alghe verdi, con una combinazione di clorofilla e altri pigmenti accessori che contribuiscono alla loro colorazione specifica Nelle Characeae (alghe verdi) e nei taxa derivati, comprese tutte le piante superiori, i cloroplasti son più "banali" Nei cloroplasti algali: tilacoidi isolati o paralleli (in alghe rosse) in gruppi da 2 a 4 tilacoidi granali di solito assenti possibile presenza di tilacoide circolare, parallelo membrana interna del cloroplasto, che racchiude gli altri Pirenoide (pyrenoid): area stromatica densa in cui accumula l' enzima RUBISCO (enzima più abbondante in natura). PIRENOIDE: presenti nelle alghe, anche in alcune epatiche; associati al meccanismo di concentrazione della CO2 presso l'aggregato enzimatico della rubisco. Pigmenti dei cloroplasti: Clorofilla a: Sempre presente nei cloroplasti. Abbondante al punto da mascherare la presenza di altri pigmenti. Assorbe principalmente nella regione 400-450 nm e poi anche nella regione del rosso. Riflette bene il verde e il giallo, conferendo alle piante la colorazione verde. Struttura molecolare con anello porfirinico simile a quello dell'emoglobina. Clorofilla b: Presente nelle alghe verdi e in tutte le piante superiori. Associata alla clorofilla a, con strutture molecolari simili ma proprietà diverse. Assorbe principalmente tra 450-500 nm e poi ha un picco intorno a 630 nm. Carotenoidi: Beta-carotene sempre presente. Svolgono un ruolo importante nella fotoprotezione e come pigmenti antenna. Assorbono principalmente nel verde, motivo per cui le foglie degradate possono diventare gialle. Spettro d’azione della fotosintesi, ovvero la combinazione della capacità di assorbire la luce di questi pigmenti: 17 18 I cloroplasti sono la centrale chimica della cellula vegetale. Nel metabolismo vegetale molte attività, che sono citosoliche in altri organismi, negli organismi vegetali superiori si svolgono nei PLASTIDI: gran parte delle capacità biosintetiche di una cellula vegetale è locali nei plastidi, e nei cloroplasti in particolare. Attività metaboliche nei plastidi 1) sintesi degli acidi grassi; 2) riduzione e assimilazione primaria del nitrito nella neosintesi del glutamato; 3) riduzione e assimilazione del solfato nella neo sintesi della cisteina; 4) biosintesi degli altri aminoacidi; 5) biogenesi dei pigmenti fotosintetici; 6) sintesi dell'amido primario; 7) parte delle reazioni della FOTOSINTESI. Le prime quattro hanno potere riducente. Interno del cloroplasto Nello stroma (parte esterna ai tilacodii ma interna alla membrana): DNA, ribosomi, prodotti, substrati. Contiene enzimi coinvolti in processi metabolici, la RUBISCO: Ribulosio 1,5 bifosfato carbossilasi-ossigenasi enzima chiave della fissazione di CO2 su substrato orgarico. Sulle membrane: pigmenti per assorbimento della luce organizzati in fotosistemi (in unità funzionali), catene ossidoriduttive formate da molte molecole diverse per natura e struttura. Nel lume tilacoidale: altri enzimi, compreso il complesso enzimatico responsabile della "rottura" della molecola dell'acqua (fotolisi dell’acqua). LA FOTOSINTESI Processo che assorbe 6 molecole di anidride e 12 di acqua → produce/libera: 1 molecola di glucosio, 6 acqua e 6 di ossigeno 6CO2 + 12H2O → C6H12O6 + 6H2O + 6O2 Gran parte della vita sulla terra come la conosciamo oggi dipende dai prodotti delle reazioni della fotosintesi che fissano la CO2 in composti organici. In molti casi, questo processo libera O molecolare come rifiuto. Si tratta di un processo complesso, presente solo in alcuni gruppi di batteri, nelle alghe e nelle piante superiori. L'evoluzione della fotosintesi è stata la causa della trasformazione dell’atmosfera primordiale della terra da ambiente riducente (in origine) a ossidante (adesso) con 20% di O. Una serie di organismi, in particolare piante, alghe, batteri fanno fotosintesi, producono composti organici che vengono bruciati da meccanismi eterotrofi (uomini) e che liberano CO2 e H2O, poi riutilizzate. Attività mitocondriale va a prendere gli zuccheri e a scinderli in CO2, O2 e H2O (PROCESSO INVERSO) AUTOTROFIA: capacità di essere autotrofo, avviene tramite fotoautotrofi (fotosintesi) e anche chemiolitoautotrofi. Si noti che le piante sono autotrofe solo dopo che sono emerse dal suolo. Nella fase precoce di sviluppo i germogli si nutrono del contenuto dei cotiledoni. (infatti prima di uscire, il seme è bainco) La fotosintesi è il principale processo biochimico che ci sia sulla terra. Ogni anno gli organismi fotosintetizzanti trasformano in sostanze organiche più di 700 mld di tonnellate di CO2. 18 19 Questo colossale percorso chimico implica un trasferimento di energia dal sole al sistema vivente. Una parte dell'energia del Sole rimane conservata sotto forma di energia di legame chimico nelle molecole organiche, in particolare grazie alla parziale RIDUZIONE DEGLI ATOMI DI CARBONIO. Si può correttamente affermare che la fotosintesi trasforma energia luminosa in energia di legame chimico. Chi fa la fotosintesi? Organismi procarioti (batteri e cianobatteri) e organismi eucarioti (alghe verdi, piante). Quelle che noi chiamiamo “alghe verdi” sono un gruppo parafiletico, alla cui base sta un ipotetico antenato verde flagellato. ALBERO FILOGENETICO DELLE PIANTE Dalle prime alghe→ muschi→ felci → gimnosperme → angiosperme L'albero filogenetico delle piante rappresenta l'evoluzione e la diversificazione delle piante nel corso del tempo. Ecco una sintesi semplificata dell'albero filogenetico delle piante, che comprende i principali gruppi: 1. Alghe Verdi (Clorofite): Le prime forme di vita che hanno sviluppato la capacità di fare la fotosintesi. Alcune alghe verdi sono considerate precursori delle piante terrestri. 2. Briofite (Muschio, Epatiche, Antocerote): Le piante terrestri più primitive. Non hanno tessuti vascolari per il trasporto dell'acqua e dei nutrienti. Dipendono spesso dall'acqua per la riproduzione. 3. Pteridofite (Felci, Lycopodiophyta): Introduzione dei tessuti vascolari, permettendo una migliore conduzione di acqua e sostanze nutritive. Ancora dipendenti dall'acqua per la riproduzione. 4. Gimnosperme: Seme non protetto (nudo), spesso coni o strobili. Include conifere, ginkgo, cicadi. 5. Angiosperme (Piante Fiorite): Seme protetto all'interno di un ovario, che si sviluppa in frutto. La maggior parte delle piante terrestri attuali appartiene a questo gruppo. Riproduzione spesso facilitata da fiori e insetti impollinatori. PIANTE : piante erbacee e piante arboree (dominanti sulle terre emerse) Si stima che circa il 40% dell’attività fotosintetica totale sia dovuto ai microscopici organismi del plancton (organismi planctonici) (cianobatteri, diatomee, dinoficee, ecc.) che galleggiano sulla superficie dei mari (che occupano il 71% della superficie totale del pianeta). ovviamente il restante 60% è dovuto alle piante, in particolare quelle vascolari, che colonizzano le terre emerse (cioè il 29% della superficie totale del pianeta). STORIA DELLA SCOPERTA DELLA FOTOSINTESI La comprensione del fatto che le piante si nutrono in modo diverso dagli animali, nasce con Aristotele. Al tempo si pensava traessero nutrimento dal terreno, erano visti come animali con la bocca “sotto” Questa visione venne messa in dubbio solamente in tempi molto più recenti, circa 400 anni fa, prima si pensava che le piante si nutrissero da sole, poi si pensò che l'acqua era il mezzo per veicolare i nutrienti dal terreno alle piante, ovvero che l’acqua avesse solo un ruolo passivo. Con un semplice esperimento, circa 400 anni fa, in uno dei primi esperimenti biologici accuratamente documentati, il medico belga VAN HELMONT (1577-1644) offrì la prima prova sperimentale che il terreno da solo non bastava a nutrire una pianta. Egli è noto anche per essere colui che inventò la ricetta per generare i topi. (secondo lui mettendo panni sporchi + farina + aspettare 21 giorni → nascevano i topi). Esperimento per le piante: 19 20 Ma nel caso delle piante il suo esperimento fu semplice e geniale allo stesso tempo. Egli prese una piantina di salice (5 libbre) e la piantò in un vaso contenente terra (200 libbre). Dopo 5 anni, la piantina era diventata un alberello di 169 libbre, mentre il peso del terreno era rimasto pressoché invariato. Com’era possibile? Dimostrò che era sbagliata l’ipotesi (infatti per la scienza non si dimostra nulla di vero, ma si falsificano ipotesi precedenti → la scienza procede per falsificazioni). Sulla base di questi risultati Van Helmont giungeva alla conclusione che il corpo della pianta non era stato costruito a spese del terreno, falsificando per la prima volta l’ipotesi di Aristotele su base sperimentale. Purtroppo ipotizzò anche (falso!) che la materia derivasse dall’acqua piovana somministrata alla pianta nei cinque anni. Non lo sfiorò l’idea che ad essere coinvolto fosse un costituente dell’aria, cosa del resto logica perché a quei tempi le conoscenze su cosa fosse l’aria erano molto primitive. Verso la fine del diciottesimo secolo era opinione comune che un oggetto che brucia libera nell'ambiente una sostanza, il "flogisto". L'aria è necessaria per la combustione perché diluisce questo flogisto. In un ambiente chiuso, se l'aria si satura di flogisto, la combustione non può continuare. L'aria che non permette la combustione, cioè "ricca di flogisto", non permette neanche la vita animale. A quel tempo i fenomeni di combustione venivano interpretati con la teoria del flogisto (da un termine greco che significa “arso”). Essa era stata formulata intorno al 1700 dal chimico tedesco Georg Ernest Stahl (1660-1734) e prevedeva che tutti i corpi soggetti a mutare mediante ignizione fossero ricchi di flogisto, una sostanza misteriosa che conferiva loro vita ed energia ma che si allontanava quando bruciavano mentre ciò che rimaneva era privo di flogisto e quindi non bruciava più: il flogisto ad esempio era presente nel legno ma non nella cenere. Nel 1774 un sacerdote inglese, Joseph Priestley (1733-1804), riporta di aver scoperto per caso un metodo per rigenerare l'aria trasformata precedentemente dalla fiamma di una candela. Il 17 agosto 1771 Priestley "mise un rametto di menta in un ambiente in cui aveva precedentemente bruciato una candela, avendo così riempito l'aria di flogisto”. Il 27 dello stesso mese Priestley constatava che in quella stessa aria poteva bruciare un'altra candela. Su questa base Priestley concludeva che: la natura utilizza le piante per la rigenerazione dell’aria. Priestley in seguito descrittore della CO2, dell’O2, dell’ammoniaca e dell’ossido di azoto, ampliò le sue osservazioni constatando che l’aria, rigenerata dalle piante, permetteva la vita di un topo. Gli esperimenti di Priestley gli portarono molti onori, culminati nella consegna di una medaglia d'oro della Royal Society di Londra, che portava inciso: "per le scoperte che ci hanno permesso di capire che nessuna pianta cresce invano ma pulisce e purifica l'atmosfera". Oggi possiamo spiegare gli esperimenti di Priestley dicendo semplicemente che le piante assorbono la CO2 prodotta dalla combustione e dalla respirazione e liberano ossigeno, che viene consumato dalla combustione e dai processi respiratori (di tutti gli organismi! piante comprese). Fu il chimico francese Antoine Laurent LAVOISIER (1743-1794) a demolire, nel 1775, la teoria flogistica dimostrando che la combustione di una sostanza non consiste nella perdita di qualche cosa ma al contrario nella combinazione di parte della sostanza che brucia con un gas presente nell'aria, ossia con Antoine Laurent Lavoisier l'ossigeno. Lavoisier, intorno al 1775, era giunto alla conclusione che l'aria è costituita fondamentalmente di due gas: ossigeno e azoto. Un quinto del suo volume era ossigeno (dal greco "generatore di acido", perché si pensava che quell'elemento fosse presente in tutti gli acidi, ma ciò non è vero in quanto esistono anche acidi senza ossigeno, e tuttavia il nome rimase) AZOTO si chiama così perchè assenza di vita. Pensava che negli organismi viventi avvenisse una sorta di combustione che forniva l'energia per vivere. Oggi la lenta combustione prevista da Lavoisier, si chiama respirazione: essa brucia gli alimenti con l'apporto di ossigeno, mentre l'azoto, se presente da solo, la impedisce. La respirazione può essere sintetizzata dalla seguente equazione: Alimenti + O2 → CO2 + H2O + energia (EQUAZIONE RESPIRAZIONE SECONDO LAVOISIER) Un altro ricercatore INGENHOUSZ dimostrò che la rigenerazione dell’aria avveniva solo in presenza di luce solare e solo ad opera della parte verde delle piante. Nel 1796, Ingenhousz, facendo proprie le idee di Lavoisier, identifica in CO, e O i gas coinvolti. Nella sua ipotesi, la CO2 sarebbe scissa dal processo fotosintetico per dare carbonio. utilizzato per costruire la materia organica della pianta, e O che si libera come gas. Egli quindi introdusse una ipotesi errata, che sarà falsificata solo molto tempo dopo. Secondo Ingenhousz, quindi, il processo fotosintetico si basava sulla reazione: 20 21 CO2 (Luce) → C zuccheri + O2 Agli inizi del 1800 lo studioso ginevrino Nicolas Théodore DE SAUSSURE (1767-1845) affronta il problema della nutrizione delle piante da un punto di vista quantitativo misurando la quantità di anidride carbonica assunta dalla pianta e l'aumento di peso dei suoi tessuti. Egli dimostrò che le foglie verdi alla luce del sole decompongono l'anidride carbonica dell'aria ed emettono ossigeno. Si comprese quindi che la respirazione avveniva anche nei vegetali. La respirazione dei vegetali come quella degli animali consiste nella immissione di ossigeno e nella emissione di anidride carbonica, ma di giorno l'anidride carbonica emessa dalle piante non si aggiunge a quella presente nell'aria perché viene immediatamente utilizzata nell'assimilazione. Saussure scoprì che la somma dei pesi delle sostanze organiche e dell'ossigeno prodotti era maggiore del peso della CO2 consumata. Dato che le sue piante da esperimento ricevevano solo acqua la differenza di peso doveva essere necessariamente legata all'acqua. Concluse in seguito che negli zuccheri e nell'amido il rapporto era di un atomo di carbonio per molecola d'acqua (CH2O)n da cui il termine da lui introdotto di "carboidrati" (carbo-idrato → carbonio bagnato, idea che l’acqua si unisse al carbonio, da cui era stata staccata la molecola di ossigeno). DE SAUSSURE propose che nell'equazione globale della fotosintesi [equazione parzialmente fuorviante] si dovesse assumere che i carboidrati derivino da una combinazione del carbonio e dell'acqua, anche se l'ossigeno liberato continuava ad essere fatto derivare dalla molecola di anidride carbonica. Questa ipotesi, abbastanza ragionevole, fu largamente accettata ma, messa in questi termini, è sbagliata. Si dimostrerà solo negli anni successivi alla II guerra mondiale che l'ossigeno deriva dalla molecola di acqua. Gli studi continuarono negli anni, a mettere in crisi questa ipotesi più di un secolo dopo la sua formulazione fu uno studente universitario, Cornelis Bernardus VAN NIEL, che conduceva esperimenti su diversi tipi di batteri fotosintetici. Tra i vari tipi di batteri studiati, alcuni, noti come solfobatteri purpurei, riducono l'anidride carbonica a carboidrati senza liberare ossigeno. Questi solfobatteri utilizzano l'acido solfidrico per la fotosintesi, e ciò comporta un accumulo di granuli di zolfo all'interno delle loro cellule. Quindi usano acido solfidrico, CO2, LUCE → producono pezzetto di zucchero H2O e zolfo. Van Niel propose per questi la seguente reazione per la fotosintesi: Questa scoperta non destò particolare interesse finché van Niel non fece una coraggiosa estrapolazione, generalizzando la sua equazione. Propose un’idea rivoluzionaria: propose per la fotosintesi la seguente equazione generale → equazione che ci dice che Ossigeno liberato deriva dall’acqua, NON dalla CO2 In questa equazione H2A sta sia per «H2O», sia per qualsiasi altra sostanza ossidabile, come, ad esempio, l'acido solfidrico (H2S) o l'idrogeno molecolare (H2). Nelle alghe e nelle piante verdi H,A sta per H,O e 2A sta per O2 («fotosintesi ossigenica»). In poche parole, van Niel ipotizzava che ad essere scissa fosse l'H2O, non la CO2. Questa brillante ipotesi, proposta nel 1930, fu provata solo un ventennio più tardi, quando, usando un isotopo dell'ossigeno (^18 O2=uso di ossigeno 18), si potè dimostrare che l'ossigeno gassoso che si sviluppa nella fotosintesi deriva effettivamente dall'acqua e non dall'anidride carbonica: (--> con uso di ossigeno 18 fu possibile dimostrare che ipotesi di Van Niel era corretta acqua pesante era unica fonte di carbonio → O liberato era ossigeno 18 (?) ) Un'altro esperimento molto importante per comprendere la natura della fotosintesi e dei suoi processi biochimici fu condotto nel 1937 da Robin Hill. Egli sottopose dei cloroplasti (organuli fotosintesi) alla luce in assenza di anidride carbonica, ed osservò che questi producevano comunque ossigeno molecolare (evento strano; questa ulteriore prova a favore dell’ipotesi di VN). Ovviamente, questo sarebbe stato impossibile se l'ossigeno, come era credenza comune, fosse derivato dalla scissione della molecola di anidride carbonica. Questo fenomeno è detto REAZIONE DI HILL, e prevede che i cloroplasti siano illuminati e forniti di un accettore artificiale di elettroni. 21 22 Sulla base di questi risultati nelle alghe e nelle piante verdi, dove l'acqua funziona da donatore di elettroni. L'equazione globale e bilanciata della fotosintesi viene comunemente riportata come: Tuttavia questo non è proprio vero, nelle cellule che fanno la fotosintesi non viene praticamente sintetizzato glucosio. In realtà, il primo prodotto stabile del Ciclo di Calvin è un trioso (zucchero a tre atomi di carbonio), da cui il nome di ciclo C3. FASE LUMINOSA E FASE OSCURA Oggi sappiamo che il processo fotosintetico consta di due fasi nettamente distinte, chiamate "fase luminosa" e "fase oscura", poste in serie. Nella FASE LUMINOSA predominano le reazioni fotochimiche, c'è l'assorbimento dell'energia luminosa, il trasporto di elettroni, che derivano dalla molecola dell'H2O, il cui ossigeno viene ossidato, con cambiamento dello stato redox di molte molecole, che fanno parte di catene di trasporto. Si formano alla fine NADPH+H+ (= potere riducente), e ATP (energia), che saranno utilizzati nella fase oscura. Nella FASE OSCURA, non usa direttamente l'energia luminosa, ma usa i prodotti della fase luminosa, predominano le reazioni enzimatiche che, sfruttando l'ATP (energia sotto forma di legame fosfato) e il NADPH, legano la molecola di CO2 ad una molecola organica preesistente, e finalmente riducono l'atomo di carbonio. Durante le reazioni alla luce, l'energia luminosa è utilizzata per formare ATP a partire da ADP e fosfato inorganico e per ridurre molecole trasportatrici di elettroni, in particolare il coenzima NADP+. Il NADP+ ha una struttura simile a quella del NAD+, presenta un fosfato in più su un ribosio, ma il suo ruolo biologico è nettamente differente. Come si è visto che, nel mitocondrio il NADH trasferisce i suoi elettroni alla catena di trasporto degli elettroni, di conseguenza, guida il pompaggio dei protoni attraverso la membrana interna del mitocondrio. Il NADPH, al contrario, è utilizzato per fornire energia nelle vie biosintetiche, inclusa la sintesi degli zuccheri durante la fotosintesi. Durante le reazioni luminose della fotosintesi, le molecole di acqua sono scisse, l’O2 è liberato, e gli elettroni che sono rilasciati. Sono utilizzati per ridurre il NAD P più NADPH. → NADPH utilizzato per fornire potere riducente per le reazioni di fissazione del carbonio della fotosintesi. Durante le reazioni di fissazione del carbonio, l’energia dell’ATP è usata per legare covalentemente CO2 a una molecola organica, e il potere riducente del NADPH è usato per ridurre poi gli atomi di carbonio, appena fissato, a zucchero semplice. In tale processo, l’energia chimica dell’ATP e del NADPH è utilizzata per sintetizzare molecole adatte al trasporto (saccarosio) e alla riserva (amido). Allo stesso tempo si forma uno scheletro di carbonio dal quale si possono formare tutte le altre molecole organiche Vista la forte elettronegatività dell'ossigeno, nell'anidride carbonica gli elettroni sono spostati verso di esso, e di fatto l'atomo di carbonio è in uno stato ossidato +4* ovvero ha "perso" 4 elettroni, due a favore di ciascun atomo di ossigeno. La molecole di anidride carbonica è lineare, con i due atomi di ossigeno ai lati opposti. 22 23 NADP+ riceve due elettroni e un H+, diventando NADPH. Quando viene utilizzato per ridurre un'altra molecola, ridiventa NADP+. NADP+ è un agente ossidante (ossida la molecola con cui reagisce), e diventa NADPH, ovvero un agente riducente. Quindi: 1. fase luminosa: reazioni fotochimiche cattura luce processo fotolisi dell’acqua, liberando O2 produce 2 NADPH+ H+ e 3 di ATP → che vanno nella fase oscura 2. fase oscura dipendente dai prodotti della luce solare per attivare gli enzimi entra molecola di CO2 usando i prodotti della fase l., la CO2 viene organicata in un composto organico [CH2O] → Il costo per molecola di CO2 è 2 NADPH+ H+ e 3 di ATP - Lo stato di ossidazione del C è +4. Le prime prove per un processo a due fasi furono pubblicate nel 1905 dal fisiologo vegetale inglese F.F. BLACKMAN. Blackman misurava singolarmente, e in combinazione, gli effetti dell'intensità di luce e della temperatura sulla velocità di fotosintesi. L'esperimento di Blackman usava una pianta acquatica del genere Elodea. Un ramo di Elodea veniva immerso in una soluzione di NaHCO3-. Nell'ambiente sperimentale, Blackman poteva variare o mantenere costanti sia la temperatura che l'intensità luminosa, che la concentrazione di NaHCO3 (lo ione bicarbonato, HCO3- è la forma in cui si trova l'anidride carbonica in soluzione acquosa). Becker pieno di acqua dove poter misurare temperatura, quantità d'acqua, fornire luce a diversa intensità. Contenitore con pianta in cui controllata la concentrazione di bicarbonato di sodio → controllava i tre parametri: intensità luminosa, temperatura e concentrazione di CO2. COSA SCOPRI’? Grazie alla luce che proviene da una lampada, la pianta fa fotosintesi, e produce quindi un certo numero di bollicine di ossigeno nell'unità di tempo. La conta delle bolle da una misura dell'intensità della fotosintesi. A bassa intensità luminosa: c’è problema di carenza di ATP, poi con poca CO2 (NO substrato) la fotosintesi rimane limitata Cominciò quindi ad aggiungere CO2 fino ad avere eccesso di CO2, e temperatura di 20 gradi (seconda linea nel grafico). Aumentando la temperatura a 35 gradi → CO2 aumenta ulteriormente → dimostro che le reazioni dipendono da CO2, intensità luminosa sia da temperatura, ma in modo diverso. Ci devono essere per forza due processi: 1. uno limitato da energia luminosa 23 24 2. uno limitato dalla temperatura. Quindi: La prima evidenza che Blackman ottenne fu che la quantità di fotosintesi non continua a crescere indefinitamente con l'intensità luminosa. Questo fece ipotizzare a Blackman che nella fotosintesi siano coinvolti due processi, uno che utilizza la luce, e l'altro che non ha bisogno della luce per funzionare. Questo venne definito fase oscura, sebbene esso sia attivo anche in presenza di luce. Blackman ipotizzò che a intensità luminose moderate i processi dipendenti dalla luce sono quelli che limitano il passo dell'intera fotosintesi. In altre parole, a modeste intensità luminose, le reazioni della fase oscura riescono a utilizzare completamente i prodotti della fase luminosa. Il fatto che a temperature elevate (e quindi con gli enzimi della fase oscura che lavorano speditamente) la fotosintesi sia lenta a basse intensità luminose dimostra che la velocità delle reazioni della fase luminosa è invece direttamente dipendente dalla quantità di luce fornita. Quindi, la velocità delle reazioni della fase luminosa dipende dall'intensità luminosa, mentre quella delle reazioni della fase oscura dipende dalla temperatura. Tuttavia, l'aumento di velocità con la temperatura non avviene se la quantità di anidride carbonica è limitata. Come si può vedere dal grafico, la velocità di fotosintesi raggiunge uno stato stazionario più basso se la quantità di anidride carbonica è limitata. All'aumento dell'anidride carbonica, anche la velocità della fotosintesi aumenta. Per cui la concentrazione di anidride carbonica è il terzo fattore che regola, assieme a intensità luminosa e temperatura, la velocità della fotosintesi. In atmosfera, la quantità di anidride carbonica disponibile è di 35 parti per milione, ovvero lo 0.035%. (adesso è aumentato un pochino) Tuttavia vedremo che non sempre le piante hanno a disposizione un quantitativo così "elevato", ma spesso sono costrette a lavorare con molto meno. NB: La sintesi di carboidrati nella fase oscura a partire da anidride carbonica è una reazione endoergonica, e non potrebbe avvenire senza un input energetico, fornito dalla fase luminosa. Questa usa l'energia luminosa, e produce ATP ("moneta" energetica degli organismi viventi) e NADPH (potere riducente). Il nome di "fase oscura" è alquanto infelice in quanto essa comunque avviene in presenza di luce in quanto (a) richiede i prodotti della fase luminosa; (b) alcuni enzimi sono addirittura attivati dalla luce. L'espressione "fase oscura" si usa ancora adesso per indicare che la luce non è coinvolta direttamente in queste reazioni. La comprensione delle lunghezze d'onda capaci di attivare la fotosintesi venne da un elegante esperimento di Theodore Wilhelm Engelmann (1843-1909), nel 1882. Volendo comprendere lo spettro d'azione della fotosintesi, usò come organismo modello un'alga filamentosa del genere Cladophora. Egli usò dei batteri mobili attratti dall'ossigeno come bio- indicatori. Illuminando porzioni diverse dell'alga con lunghezze d'onda diverse, osservò in quali zone si concentreranno batteri, indicando quindi le porzioni dell'alga che maggiormente producevano ossigeno, e che quindi erano più attive dal punto di vista fotosintetico. Un altro aspetto ormai consolidato legato alla fase luminosa derivò dagli esperimenti di EMERSON, che descrisse (1957) un fenomeno ora noto come effetto Emerson: l'assorbimento della luce è legato alla presenza di due gruppi macromolecolari distinti, a cui sono associate specifiche reazioni fotochimiche. 24 25 Emerson giunse a queste conclusioni studiando l'efficienza fotosintetica nella porzione rossa dello spettro. Questa scelta era dovuta a due fattori: 1. In questa porzione l'assorbimento è quasi interamente a carico delle clorofille. L'azione di pigmenti accessori è nulla o limitata, e quindi praticamente ininfluente sui risultati. 2. Questa banda dello spettro contiene quanti di luce con minore energia, e ci si aspetta che quasi tutta la loro energia venga utilizzata per i processi fotochimici. Studiò porzione rossa perché l’assorbimento della luce è interamente a carico delle clorofille. nella porzione rossa l'assorbimento è interamente a carico delle clorofille) Quantità di energia dei guanti di luce è inferiore: la radiazione totale che riceviamo dal sole è composta: - 40% radiazione UV (più ricco di energia, infatti al sole si usano le creme protettive; considerando anche che, dei UV, solo il 10% totale giunge sulla terra, il resto bloccato dallo strato dell’ozono, ed è il meno violento ma comunque causa danni → es. scottature) - 40% infrarosso parzialmente bloccato dalle nuvole - 20% visibile → radiazione meno bloccata dall’atmosfera, più o meno è sempre disponibile, e la più disponibile sul pianeta. Emerson osservò che fornendo solo luce a lunghezza d'onda superiore ai 680 nm, l'efficienza del processo fotosintetico in Chlorella (un'alga) diminuiva bruscamente (red drop effect), mentre era molto alto e costante per lunghezze d'onda tra 600 e 680 nm. Questo poteva essere dovuto al quantitativo di energia troppo basso dei quanti di luce oltre questa lunghezza d'onda. Tuttavia, egli notò anche che, contrariamente alle sue ipotesi, fornendo contemporaneamente luce delle due lunghezze d'onda (680 e 700 nm) l'effetto non era additivo, ovvero il risultato non era la somma delle due efficienze, come ci si sarebbe potuti aspettare. (era un poì più delle due efficienze d’onda separate). Al contrario l'efficienza risultava molto maggiore della somma delle due efficienze misurate in condizioni di isolamento. La radiazione a 700 nm, se supplementata da quella a 680 nm, non solo non causava il RED DROP, ma permetteva una migliore efficienza totale del processo fotosintetico (effetto Emerson). Le osservazioni di Emerson su Clorella furono completate da French & Myers i quali osservarono che le due luci collaborano insieme con effetto più che additivo anche se non vengono date contemporaneamente, bensì separate da un intervallo buio lungo sino a 1 secondo. → effetto emerson avveniva anche se due fornite in un intervallo di 1s La spiegazione più plausibile è che esistano due serie di reazioni fotochimiche distinte che vengono messe in moto/attivate a due diverse lunghezze d'onda. Le due reazioni sono però connesse l'una all'altra, anzi una sta a valle dell'altra. I DUE FOTOSISTEMI I fotosistemi sono due complessi macromolecolari che collaborano e assorbono lunghezze d’onda leggermente diverse. - fotosistema 1 → assorbe a 700 nm, ma non è in grado da solo di produrre tutti i reagenti che servono per la fase oscura, produce ATP ma non produce NADPH; - fotosistema 2 Oggi noi sappiamo che il fotosistema I (che contiene clorofilla a con un picco di assorbimento a 700 nm) da solo funziona, ma ha una efficienza bassa, in quanto non è in grado di produrre tutti i metaboliti necessari alla fase oscura (produce solo ATP, ma non NADPH+, che deve essere prodotto per altre vie, consumando energia). Le esperienze di Emerson e Arnold con flash di luce portarono a un'altra importante conclusione. Se si calcola il rapporto tra quantità di ossigeno emessa dalle alghe unicellulari dopo un brevissimo lampo di luce e quantità di clorofilla in esse contenuta si ottiene un valore costante. ( → valore costante tra quanto O2 riusciva a produrre un’alga e quanta clorofilla conteneva). 25 26 La costanza del rapporto "ossigeno : clorofilla" (1 molecola di O2 prodotto per 2500 molecole di clorofilla nelle particolari condizioni sperimentali dei due ricercatori) suggeriva che fosse necessaria la collaborazione di più molecole di clorofilla per evolvere una sola molecola di ossigeno. Nasce quindi l’idea di unità fotosintetiche o FOTOSISTEMI che sono di due tipi (I, II) → dai quali dipendeva la fotosintesi. L’acronimo è PS, che sta per PhotoSystem(s) - F.1 non fa fotolisi dell’acqua, - F.2: liberando protoni produce NADPH, fa fotolisi dell’acqua F2 libera protoni e d elettroni che poi trasportati nella catena ossido riduttiva producendo ATP → F.1 completa il processo I fotosistemi sono complessi di molecole inserite nelle membrane tilacoidi dei cloroplasti. Le sigle che li contraddistinguono, P680 e P700, sono le lunghezze d'onda di massimo assorbimento delle clorofille negli "special pair" dei centri di reazione. PS2 PS680: assorbe a 680 nm, mentre PS1 è P700 il suo centro lavora a 700nm. Ogni fotosistema contiene da 200 a 400 molecole di pigmenti (non solo clorofille), e può essere diviso in un complesso antenna (cattura energia luminosa a diverse lunghezze d’onda, carotenoidi sono l’esempio, ampliano lo spettro di assorbimento delle clorofille, e la passa a molecole), e un centro di reazione (coppia solitamente sempre omodimero di clorofilla a libera e e riceve da fotolisi del H2O). Il ruolo del complesso antenna è quello di "raccogliere" l'energia luminosa, e di convogliare al centro di reazione. Qui, una coppia speciale di molecole di clorofilla a (lo special pair) è in grado di trasferire un elettrone a un accettore. Tutte le altre molecole di pigmento invece non hanno questa capacità, e servono esclusivamente per far arrivare l'energia allo special pair. I pigmenti sono mantenuti in posizione nei fotosintesi grazie al legame con specifiche proteine di membrana, che hanno quindi una funzione strutturale. Questo è la rappresentazione schematica di un fotosistema 1. I Fotoni vanno a colpire i pigmenti antenna, 2. i pigmenti antenna passano l’energia derivante dal fotone di luce allo special pair che perde l’elettrone 3. l’elettrone viene passato ad una cascata di accettori di eletttroni, che poi producono ATP e NADPH 4. la coppia ovidimero di clorofilla viene ricaricato grazie ad e- che vengono rubati → tutto questo avviene sulle membrane tilacoidali Importante: il F2 libera i protoni all’interno dei tilacoidi. 26 27 Rappresentazione del pigmenti antenna e special pair. Alcuni gruppi hanno anche altre molecole che hanno la stessa funzione dei pigmenti antenna, servono ad ampliare lo spettro di energia luminosa che può essere catturata ed usata per procedimenti fotosintetici. Più è ampio spettro pigmenti antenna, più energia può catturare quindi e può lavorare a diverse lunghezze d’onda. SINTESI: riassunto delle informazioni chiave sui fotosistemi e sulla fotosintesi: Fotosistemi nella Fotosintesi: 1. Ci sono due fotosistemi, Fotosistema I (PSI) e Fotosistema II (PSII), che collaborano per catturare energia luminosa durante la fotosintesi. 2. PSI assorbe a 700 nm e produce ATP; PSII assorbe a 680 nm e produce protoni per la creazione di un gradiente di concentrazione e NADPH. 3. La fotolisi dell'acqua avviene in PSII, rilasciando protoni e ossigeno. 4. Ogni fotosistema contiene pigmenti, inclusi carotenoidi, che formano un "special pair" nei centri di reazione. Struttura e Funzionamento: 1. I fotosistemi sono complessi di molecole nelle membrane tilacoidali dei cloroplasti. 2. Il complesso antenna cattura l'energia luminosa e la convoglia al centro di reazione. 3. Il "special pair" di clorofilla nel centro di reazione trasferisce elettroni a un accettore. 4. I pigmenti antenna producono ATP e NADPH attraverso una cascata di accettori. Ruolo Strutturale e Pigmenti Antenna: 1. Le molecole di pigmento sono mantenute in posizione nelle membrane tilacoidali grazie al legame con specifiche proteine di membrana. 2. Clorofille e altri pigmenti antenna contribuiscono a catturare energia luminosa. 3. Alcuni organismi hanno molecole aggiuntive che fungono da pigmenti antenna, ampliando lo spettro di energia catturata. In sintesi, i fotosistemi sono complessi molecolari chiave che, collaborando tra loro, permettono alle piante di catturare e convertire l'energia luminosa in energia chimica durante il processo di fotosintesi. L'importanza della membrana tilacoidale del cloroplasto → il sito in cui i fotosistemi sono inseriti e dove avviene la fotosintesi. Esempio di endosimbiosi primaria nelle specie del genere Paulinella. Endosimbiosi Primaria in Paulinella: 1. Contesto Evolutivo: L'endosimbiosi primaria è un evento chiave nella storia evolutiva delle cellule eucariotiche, che ha portato all'acquisizione dei cloroplasti attraverso l'incorporazione di cianobatteri. 2. Genoma dei Plastidi in Paulinella: Le specie di Paulinella presentano un genoma plastidiale con dimensioni più elevate rispetto a plastidi più "antichi". Ciò suggerisce che la fase di riduzione del genoma, tipica degli eventi di endosimbiosi, potrebbe essere ancora in corso. 3. Cronologia dell'Endosimbiosi:** L'endosimbiosi in Paulinella è stata stimata a un periodo relativamente recente, tra 60 e 140 milioni di anni fa. Questo è notevolmente più giovane rispetto agli eventi di endosimbiosi primaria più antichi, datati a circa 1,5 miliardi di anni fa. 4. Persistenza del DNA: La presenza di un genoma plastidiale più esteso suggerisce che la perdita del DNA associato all'endosimbiosi potrebbe essere ancora in corso. Ciò indica che l'evento di endosimbiosi potrebbe essere relativamente recente in termini evolutivi, dato che il processo di riduzione del genoma richiede tempo. Questi dettagli evidenziano la dinamicità degli eventi di endosimbiosi primaria e la loro influenza sulla struttura genomica delle cellule ospiti. Il caso di Paulinella fornisce un'opportunità unica per studiare gli stadi iniziali di questo processo evolutivo complesso. COME FUNZIONA IL MECCANISMO? Arriva fotone di luce che eccita un elettrone che va ad occupare un orbitale da minore energia a maggiore → si dice che l’atomo passa in uno stato eccitato. Quando una radiazione elettromagnetica colpisce una molecola, causa una oscillazione elettronica. Se la radiazione ha una lunghezza d'onda pari o superiore quella della differenza energetica tra due orbitali, può provocare il "salto" di un elettrone da un orbitale a bassa energia ad uno ad alta energia. La molecola ha quindi ì assorbito il fotone, e passa uno stato "eccitato" Nel caso dei pigmenti (non solo quelli fotosintetici), la radiazione elettromagnetica deve cadere nel campo del visibile. Per quelli fotosintetici, la lunghezza d'onda massima deve essere di circa 700 nm (anche due vedremo che ci sono alcuni casi particolari, come