Biologia e Genetica Vegetale PDF
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Questo documento presenta una panoramica di biologia e genetica vegetale, soffermandosi sulle differenze tra organismi vegetali e animali. Vengono approfonditi argomenti come la fotosintesi, la crescita apicale, il ciclo vitale, la totipotenza e la poliploidia. Il testo approfondisce le funzioni cellulari e i sistemi di trasporto.
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BIOLOGIA VEGETALE DIFFERENZE PIANTE E ANIMALI Le principali differenze tra piante e animali possono essere raggruppate in: 1. UTILIZZO DELLE RISORSE Le piante sono fotoautotrofe, cioè sono in grado di procurarsi da sole gli alimenti attraverso la fotosintesi....
BIOLOGIA VEGETALE DIFFERENZE PIANTE E ANIMALI Le principali differenze tra piante e animali possono essere raggruppate in: 1. UTILIZZO DELLE RISORSE Le piante sono fotoautotrofe, cioè sono in grado di procurarsi da sole gli alimenti attraverso la fotosintesi. Questo permette alle piante di aver bisogno di poco per sopravvivere: acqua, che prendono dal suolo; elementi minerali; CO2; energia radiante come forza motrice di questa trasformazione. ORGANIZZAZIONE DI UNA TIPICA CORMOFITA PER ATTINGERE A RISORSE COLLOCATE IN AMBIENTI DIVERSI Cormo= adattamento alla vita in un ambiente terrestre in cui le risorse sono ripartite tra un ambiente suolo e uno atmosfera. I tre organi che troviamo in un cormofita sono : Radici: necessarie per assorbire acqua e minerali dal suolo Fusto: organo di collegamento, porta l’acqua assorbita dalle radici fino alle foglie Foglie: organo fotosintetico, nelle cellule c’è un’abbondanza di cloroplasti 2. CRESCITA E SVILUPPO a) Crescita delle piante Un organismo vegetale continua a crescere, dalla nascita alla morte, a differenza degli organismi animali che presentano una fase iniziale di crescita che poi si stabilizza nel tempo mantenendo dimensioni statiche. Le piante quindi hanno una crescita continua e indefinita, tende a crescere all’apice mentre il tronco o fusto rimane stabile. Questo fenomeno si manifesta anche nelle radici, in cui si manifesta un aumento continuo delle dimensioni. meccanismo di crescita apicale. Nelle zone apicali sono presenti dei tessuti specializzati, i meristemi, responsabili della crescita delle piante (SAM= shoot apical meristem; RAM= root apical meristem). I meristemi sono presenti già nell’embrione e sono costituiti da cellule staminali, specializzate nella divisione cellulare, e cellula derivate. Queste cellule continuano a dividersi per tutta la vita della pianta aumentando le dimensioni dell’organismo. Esistono due modalità di crescita della pianta: - Modalità per divisione: costante presenza di cellule staminali nei meristemi - Distensione cellulare: le cellule derivate prima di differenziarsi vanno incontro a un aumento delle dimensioni. Accrescimento generale b) Sviluppo embrionale I principi fondamentali sono gli stessi anche per gli animali, si parte da una cellula fecondata (zigote) per arrivare a un organismo. Negli animali però, nell’embriogenesi, tutti gli organi sono disposti in modo giusto e ben definiti nel numero. Nelle piante invece, il piano di sviluppo è prevalentemente post- embrionale. Il numero di organi e la disposizione non è già definita, nelle piante si parla quindi di organogenesi continua post-embrionale. c) Totipotenza delle cellule e capacità di rigenerazione Le cellule staminale dividendosi per mitosi creano due cellule figlie geneticamente identiche fra di loro ma con destini differenti: staminale e derivata (progenitore per gli animali). La cellula staminale continua a riprodursi e ad aumentare il numero di cellule, la cellula derivata può andare incontro a mitosi, ma il suo destino è quello di generare tipi cellulari differenziati. Le cellule staminali si distinguono per il grado di potenza, correlato al numero di tipi cellulari diversi generati dalla stessa cellula staminale. Le cellula staminali possono essere: - Totipotenti: possono dare origine a tutti i tipi cellulari specializzati (es. zigote e cellule embrionali). - Pluripotenti: possono dare origine a molti, ma non tutti, i tipi cellulare (es. cellule emopoietiche) - Unipotenti: originano un solo tipo di cellule differenziate Negli organismi vegetali durante lo sviluppo le cellule staminali mantengono la totipotenza per tutto il periodo embrionale. Inoltre, anche nella pianta adulta permangono delle cellule staminali negli apici, organogenesi continua. Nella vita di una cellula vegetale si susseguono 3 momenti: 1. Origine della cellula per divisione 2. Distensione cellulare con accrescimento 3. Differenziamento cellulare, dove le cellule vegetali nascono e si modificano Una cellula vegetale differenziata che mantiene i suoi organelli può andare in contro a il de- differenziamento, ovvero può tornare a comportarsi come una cellula staminale che può riprendere a proliferare, riacquisendo la totipotenza. Qualsiasi cellula può de-differenziarsi riacquisendo totipotenza. d) Forma cellulare Un organismo vegetale deve poter progettare con attenzione la divisione cellulare perché questo andrà a determinare la forma dei vari organi. A seconda di come vengono ruotati i piani di divisione, alla fine della mitosi si assumono forme diverse dell’organismo dal momento che successivamente le cellule non potranno più spostarsi le une sulle altre per comparsa della parete cellulare. Un organismo con un solo piano di divisione e tante cellule unite insieme è detto filamentoso; se i piani di divisione sono due l’organismo è chiamato laminare; mentre se sono presenti tre piani, si ottengono organismi tridimensionali. La banda pre-profasica è formata dal citoscheletro e determina l’orientamento della nuova parete cellulare alla fine della mitosi e l’orientamento futuro del piano di divisione. È un aggregato di microtubuli e actina molto condensato che si forma tra interfase e profase. La posizione della banda determina la posizione esatta del futuro piano di divisione, nonché della nuova parete alla fine della citodieresi. La banda scompare quando la cellula entra in profase, cioè quando inizia a dissolversi l’involucro nucleare. e) Destino cellulare Nei vegetali, al contrario degli animali, non esiste il concetto di linea cellula poiché le cellule si differenziano solo a seconda della loro posizione. Il destino è legato solo alla posizione rispetto alle cellule vicine. Le cellule vegetali sanno dove si trovano, visto che sono collegate fra loro. Infatti, al momento della divisione cellulare si formano delle comunicazione intercellulare che consistono in dei ponti citoplasmatici fra cellula adiacenti (plasmodesmi) in cui avviene uno scambio continuo di informazioni. Quindi, cambiando la sua posizione, la cellula vegetale cambia anche io suo destino. 3. RIPRODUZIONE Nelle piante è possibile sia la riproduzione sessuale sia vegetativa, visto che sono presenti organi per entrambe. La riproduzione vegetativa si basa sulla totipotenza delle cellule vegetali, la riproduzione sessuale è utile per la variabilità genetica. CICLO VITALEè un intervallo che può coinvolgere tutte le diverse generazioni di una specie che si susseguono tra loro durante riproduzione In tutti i cicli vitali si possono distinguere due fasi: fase aploide e fase diploide. CICLO APLONTE è tipico di molti procarioti, della maggior parte dei funghi e alcune alghe. Lo zigote è originato da gameti. La meiosi dello zigote porta alla formazione di quattro cellule aploidi definite meiospore, che portano allo sviluppo di un individuo completo e indipendente caratterizzato da un patrimonio genetico aploide. CICLO DIPLONTE è tipico di tutti gli animali, ma si può trovare anche in alcune alghe. La fase diploide dell’individuo è rappresentata dall’individuo che si sviluppa per mitosi dallo zigote. Lo zigote è originato da due gameti, i quali sono prodotti per meiosi in organi sessuali specializzati (questo processo di produzione dei gameti è chiamato gametogenesi). La fusione dei gameti aploidi porterà alla formazione di un nuovo individuo diploide. CICLO APLO-DIPLONTE è tipico di tutte le piante. Durante la gamia (=vengono ricombinati insieme interi genomi e avremo diversi assortimenti nello zigote) la fusione dei gameti da origine ad uno zigote diploide. Lo zigote andrà incontro a successive mitosi fino alla produzione dell’individuo pluricellulare diploide, chiamato sporofito (pianta che produce le spore). Questo individuo, a seguito della meiosi, produrrà le meiospore aploidi; queste andranno incontro a mitosi fino alla formazione dell’individuo pluricellulare aploide, detto gametofito (pianta che produce i gameti). L’individuo aploide, dopo la mitosi, produrrà i gameti pronti a dare inizio al ciclo. Nelle sporofita il processo della meiosi non riguarda tutto l’organismo, ma avviene all’interno dello sporangio. Analogamente, nel gametofito, la produzione dei gameti avviene all’interno dell’apposito organo detto gametangio. COMPARTIMENTI CELLULARI COMUNI MEMBRANA PLASMATICA La membrana plasmatica circonda la cellula, nelle cellule animali è il limite esterno della cellula, mentre nelle cellule vegetali delimita il citoplasma ed è rivestita dalla parete cellulare. L’organizzazione della membrana plasmatica nelle cellula vegetali è come quella degli animali, presenta il doppio strato fosfolipidico con all’interno proteine con diversa mobilità. Le differenze tra membrana plasmatica vegetale e animale sono: nelle vegetali non è presenta colesterolo nelle vegetali sono presenti proteine che sono coinvolte nella sintesi della parete cellulare (cellulosa sintasi = produce cellulosa) la pompa Na-K delle animali viene sostituita dalla pompa protonica (sistema di traspoto attivo che utilizza ATP per spostare protoni creando gradienti) I sistemi di trasporto utilizzano energia per portare ioni/molecole contro gradiente. Il sistema primario utilizza fonti dirette di energia (es. pompa protonica) che creano gradienti che vengono sfruttati dai sistemi secondari, deve viene sfruttato il gradiente elettrochimico che si era formato per trasportare ionie/molecole con un trasporto accoppiato. La membrana plasmatica presenta molti punti di collegamento (filamenti di Hecht) con la parete cellulare, visibile solo se la cellula viene sottoposta a plasmolisi, ovvero avviene una perdita d’acqia e viene ridotto il volume cellulare. NUCLEO È circondato dall’involucro nucleare, con dentro pori nucleari, mentre all’esterno si trova in continuità con il RER. Dentro si trova la cromatina e il nucleolo, dove vengono sintetizzati i ribosomi. Nei vegetali le dimensioni del genoma sono variabili. Questa variabilità si accompagna la fenomeno della poliploidia, per questo motivo molte specie vegetali contengono grandi quantità di materiale del nucleo soprattutto per la quantità di cromosomi, che ritroviamo ripetuti nel nucleo stesso. Conseguenze della poliploidia: o aumento dimensioni cellulari = causa aumento dimensioni frutto, usato in agricoltura o aumento metabolismo o meccanismo di speciazioni Piante con grandi quantità di DNA genomico tendono ad avere delle quantità di eterocromatina in interfase che possono essere molto elevate, porta a un diverso aspetto del nucleo. Nucleo cromocentrico/diffuso = nucleo dove è presente molta eucromatina. Nucleo cromonematico/reticolato= nelle piante con genomi grandi che devono mantenere parte del DNA in forma compatta durante l’interfase. MITOCONDRI Presenti sia in cellula vegetali e animali, differiscono per la dimensione del genoma mitocondriale (vegetali>>animali) SISTEMI DI ENDOMEMBRANE RE stesse funzioni delle cellule animali più alcune aggiuntive: produzione e accumulo di proteine di riserva (corpi proteici) comunicazione intercellulare attraverso i plasmodesmi (=canali di comunicazione tra due cellule vicine, costiuiti da membrana tubulare che deriva dal reticolo endoplasmatico di una cellula e continua in quello della cellula accanto. APPARATO DEL GOLGI Ha due funzioni aggiuntive: sinstesi di alcuni polisaccaridi di parete, quelli che formano la matrice della parete cellulare modifica e indirizzamento delle proteine nei vacuoli PARETE CELLULARE La parete cellulare è un compartimento caratteristico delle cellule vegetali, è indispensabile per il sostegno della cellula ed è la base del controllo della crescita e forma cellulare. Inoltre la sua composizione determina la funzione del tessuto in cui si differenzia la cellula (es. le cellule adibite per il sostegno meccanico hanno una parete più spessa), e ha il compito di interagire con il mondo esterno, sia componente biotica (microorganismi e patogeni) che abiotica (clima). La parete cellula accompagna la cellula durante la divisione cellulare, nella distensione(dove aumenta di dimensioni) e durante il differenziamento. Nella divisione cellulare non ci potrà essere la strozzatura della membrana a causa della rigidità della parete cellula, verrà costruita un’altra parete fra le due cellule figlie chiamata parete primordiale. A) PARETE PRIMORDIALE Nelle cellule vegetali non si può formare l’anello contrattile che separa la membrana plasmatica a causa della rigidità della parete cellulare, quindi viene costruita un’altra parete fra le due cellule figlie che si sono formate chiamata parete primordiale. Il piano di divisione delle cellule figlie viene definito nella pre-profase con la comparsa della banda pre-profasica, una struttura citoscheletrica formata da un addensamento di microtubuli sotto la membrana plasmatica. Durante la mitosi andrà a dissolversi lasciando spazio al fragmoplasto. Questo è un’altra struttura scheletrica responsabile della deposizione della parete primordiale. Il fragmoplasto è formato da microtubuli disposti perpendicolarmente al paino di deposizione della parete primordiale, attaccati ad essi si vanno ad unire e fondere delle vescicole che vanno a formare una piastra di crescita con all’interno il materiale portato dalle vescicole. Nella nuova parete primordiale si vanno a creare dei plasmodesmi, sono dei canali di comunicazione tra cellule vicine. In alcuni punti le vescicole non si fondono completamente e lasciano dei canali tra le due cellule. Il RE passa attraverso il canale formano il desmotubulo, il quale mette in comunicazione il RE delle cellule vicine. I plasmodesmi sono delimitati dalla membrana plasmatica, e indirettamente si formano delle proteine acti-miosiniche che uniscono il desmotubulo alla membrana plasmatica, allargando o contraendo le maglie che consentono il passaggio di molecole da una cellula all’altra. La permeabilità dei plasmodesmi può variare: o DIMINUISCE quando: è presente un danno meccanico, i plasmodesmi si occludono grazi al callosio; oppure nel differenziamento vengono chiusi permanentemente o AUMENTA durante infezioni virali per il passaggio di proteine di trascrizione e mRNA Simplasto: insieme delle cellule che comunicano attraverso i plasmodesmi. La comunicazione può interessare sia molecole diverse che molecole segnale. Questo tipo di comunicazione, attraverso i plasmodesmi, serve a coordinare lo sviluppo e il differenziamento di un organismo pluricellulare. Questa è una via di comunicazione basata sulla continuità del citoplasma attraverso i plasmodemsi. Esiste un’altra via di comunicazione, detta apoplastica. Questa è basata sula vicinanza delle cellula e più specificatamente sul contatto della parete cellulare. La parete primordiale contiene unicamente molecole della famiglia delle pectine, formate da monomeri di acido galatturonico (derivato del galattosio dato dalla sostituzione di un gruppo alcolico con un carbossilico. I poligalatturonani danno origine a dei gel, ovvero delle matrici che agiscono da collante per cellule vicine. La gelificazione è resa possibile dai gruppi carbossilici dell’acido galatturonico con ioni bivalenti, come Ca2+, che sono abbondanti nella parete cellulare. Il gruppo carbossile (COO-) forma legami salini con il Ca2+ solo quando dissociato (cioè quando ha rilasciato l’atomo di H), questo legame porta alla formazione del gel pectato di calcio. La consistenza del gel pectato di calcio è regolata da: o pH della parete cellulare: in ambiente acido il gruppo carbossile sarà poco dissociato, questo porta a formare pochi ponti salini e il gel sarà più fluido; in ambiente basico/neutro i gruppi dissociati e i ponti salini sono favoriti, questo porta ad avere un gel più rigido e consistente o grado di metilazione dei gruppi carbossilici: se si aggiunge un gruppo metile all’acido, il gruppo carbossile non si potrà più dissociare e avremo quindi un gel più fluido. B) PARETE PRIMARIA Si forma una volta che è stata depositata la parete primordiale dopo la citodieresi ed accompagnerà le cellule derivate durante la distensione. Nella crescita in dimensioni di un organismo vegetale ci sono due eventi molto importanti che sono: crescita per divisione e crescita volumetrica. La parete primaria deve garantire la rigidità e la protezione esterna della cellula, fungendo da involucro protettivo, deve anche consentire l’espansione del volume cellulare. Lo strato giallognolo rappresenta la parete primordiale, che ha cambiato nome diventando lamella mediana. Nella parete primaria ci sono varie componenti, tra cui una componente fibrillare e il componente di matrice. La componente fibrillare è formata da cellulosa, circa 20% quindi in quantità limitate ma comunque da garantire la rigidità. Mentre la componente di matrice è formata da pectine, emicellulose, proteine, acqua e sali. Le proteine strutturale sono presenti in quantità minima, ma diventano più abbondanti in condizioni di stress (es. quando la pianta è attaccata da un patogeno o stress influenzato dalla temperatura ambientale). La maggior parte delle proteine che si trova nella parete primaria è di tipo enzimatico; si trovano già nella parete primordiale, infatti ci sono molte proteine che vanno a modificare la pectina come la pectinmetilesterasi (enzimi residenti nella parete). Analogamente molte proteine enzimatiche sono presenti nella parete primaria dove svolgono varie funzioni. COMPONENTI DI MATRICE Tutte le componenti di matrice sono sintetizzate nel sistema di endomembrane. Nelle cellule vegetale il Golgi diventa un organulo di neosintesi, per quanto riguarda tutta la componente polisaccaridica della matrice della parete. Sia pectine che emicellulose sono sintetizzate nel Golgi. PECTINE: sono una famiglia che comprende diversi polimeri come poligalatturonani. Quando un patogeno attacca la parete cellulare, e con l’aiuto della pectinasi taglia l’acido poligalatturonico in diversi oligomeri di diverse lunghezze. La pianta ha imparato a riconoscere un determinato frammento di pectina (lungo 12 unità di acido galatturonico) come un segnale che identifica l’attacco di un patogeno. La percezione di questi specifici oligomeri scatena delle difese generiche nella pianta, tra cui la produzione di composti antimicrobici, enzimi di difesa e di stress ossidativo. Tra le risposte di difesa della pianta uno è la produzione di enzimi in grado di attaccare le componenti della parete fungina/patogena. EMICELLULOSE: polimeri eterogenei che compaiono per la prima volta nella parete primaria. Svolgono importanti funzioni nella parete primaria. Interagiscono strettamente con la cellulosa ed entrano a far parte del meccanismo della distensione. Dal punto di vista strutturale, le emicellulose formano dei legami a H con la superficie delle molecole di cellulosa. Le molecole di emicellulosa formano delle griglie che tengono insieme diverse fibrille di cellulosa. Un’altra caratteristica delle emicellulose, insieme ad altri componenti di matrice della parete, possono dare origine a molecole di natura informazionale. Infatti, la parete cellulare non è solo una struttura fisica che circonda la cellula, ma è anche una fonte di informazioni sotto forma di molecole. La cellula vegetale ha dei recettori che sono in grado di riconoscere gli oligosaccaridi (=molecole segnale) e, a seconda del tipo, può scatenare delle reazioni di difesa che porteranno la pianta a resistere all’attacco da parte di un patogeno. CELLULOSA: la singola catena non si trova mai nella pianta, si trova invece la microfibrilla di cellulosa, sovrapposizione lineare di molecole di cellulosa. Le singole catene di cellulosa sono tenute insieme da legami a H. Noi utilizziamo la cellulosa sia come cellulosa nativa, sia come cellulosa modificata nelle preparazioni industriali. La cellulosa nativa la usiamo nella produzione di carta, ed è anche utilizzata come fibra tessile (sia come cotone che come lino). La cellulosa modificata, invece, la si ottiene tramite processi industriali in cui si usano reagenti drastici per scomporre e dissolvere le microfibrille di cellulosa, in modo da allontanare le singole catene. La sintesi della cellulosa comprende due aspetti: o Polimerizzazione della molecola: avviene grazie il complesso enzimatico cellulosa sintetasi, formato da diverse subunità e si trova nello spessore della membrana plasmatica visto che sarebbe difficile trasportare nelle vescicole a causa della rigidità della cellulosa. La posizione della cellulosa sintasi è ottimale perché gli permette di prelevare i precursori per la sintesi della catena direttamente dal citoplasma sottoforma di zuccheri ad alta energia. Ciò consente di polimerizzarli direttamente rilasciando la catena di crescita verso l’esterno. Le catene di cellulosa si unisono a formare una microfibrilla di cellula tramite la formazione di legami a H. Nelle piante la cellulosa ha un’organizzazione caratteristica, che forma una ‘rosetta´ ottenuta da 6 subunità; di fatto sono 3 isoforme diverse di cellulosa sintasi, ciascuna presente a coppia in ogni subunità. In totale ci sono 36 proteine enzimatiche, ciascuna delle quali produce una catena di cellula, le 36 catene andranno ad aggregarsi per formare una microfibrilla di cellulosa. Il funzionamento della cellulosa sintasi spiega anche perché in una microfibrilla di cellulosa nativa tutte le catene sono orientate parallelamente perché tutti gli enzimi lavorano in parallelo o Orientamento delle microfibrille una volta che sono depositate nella parete. Questo ha un’influenza sulla forma che la cellula avrà finita l’espansione. Si può avere un orientamento casuale delle microfibrille di cellula, in questo caso si tratta di disposizione di microfibrille disperse. Durante la distensione cellulare le microfibrille opporranno una resistenza uniforme in tutte le direzioni, di conseguenza la cellula tenderà ad espandersi in maniera isodiametrica, arrivando ad avere una forma sferica alla fine della distensione. Quando le microfibrille sono orientate la cellula non incontrerà una resistenza uniforme in tutte le direzioni in quanto l’espansione sarà maggiore laddove la cellulosa tende a circondare la cellula. La cellula si espanderà nella direzione di minore resistenza: verso l’alto se le microfibrille sono orientate in orizzontale, mentre se sono disposte in verticale si espanderà in orizzontale. La cellula può controllare molto bene ciò che avviene al suo interno e nella membrana plasmatica, ma ha poco controllo diretto su ciò che succede nella parete visto che è un compartimento esterno. Fondamentalmente è il ruolo del citoscheletro, in particolare dei microtubuli corticali. Questi si osservano soprattutto in interfase, cioè quando viene sintetizzata la parete primaria. È stato fatto un esperimento che dimostra che la cellulosa sintasi si muove nello spessore della membrana plasmatica in correlazione dei microtubuli corticali. Su questa osservazione sono state costruite due ipotesi in grado di speigare questo movimento: Modello dl monorail: prevede che il complesso di cellulosa sintasi sia direttamente collegato, con proteine di collegamento, con i microtubuli corticali pur rimanendo nello spessore della membrana plasmatica. Questo modello correla direttamente la posizione, il movimento della cellulosa sintasi con l’orientamento dei microtubuli corticali. Modello del guard rail: non prevede un contatto diretto tra i due ma che questi interagiscano con la membrana plasmatica e limitino il movimento laterale della cellulosa sintasi, costringendola a spostarsi lungo una direzione definita dalla posizione dei micortubuli MECCANISMI DELLA DISTENSIONE CELLULARE Esistono due tipi di deformazione della parete cellulare: elastica e plastica. La deformazione di tipo elastico permette alla parete cellulare di deformarsi e tornare poi alle dimensioni originali. Diverso è quello che accade nella deformazione plastica, poiché dopo aver applicato una forza deformante e averla tolta non si torna più alle dimensioni originali. Questo fenomeno avviene nelle cellule vegetali durante la distensione cellulare. La cellula vegetale può andare incontro a un fenomeno di distensione cellulare solo in una finestra temporale ben precisa, durante la quale la cellula è ‘competente’ alla distensione. Le tappe della distensione cellulare sono: 1) Aumento della pressione interna (p. osmotica o turgore)dentro si deve creare una fora che spinge verso le pareti favorendo l’espansione cellulare. Il vacuolo è un organo che si forma dopo la divisione cellulare, e nel momento che questo compare nella cellula si può avere un forte richiamo di acqua attraverso processi osmotici. Attraverso questi meccanismi osmotici c’è un forte richiamo d’acqua che aumenta la pressione verso l’esterno. 2) Acidificazione della parete cellulare. L’acidificazione è causata dall’attivazione di particolari pompe presenti sulla membrana plasmatica, le pompe protoniche ATPasiche. Queste prelevano protoni dall’interno della cellula, dal citoplasma e li trasportano contro gradiente all’esterno utilizzando ATP. Questo porta a una riduzione del pH. L’acidificazione della parete cellulare porta a un aumento della fluidità del gel di pectato di calcio, questo perché il carbossile in ambiente acido tende a trasformarsi nella sua forma indissociata. 3) Allentamento delle microfibrille di cellulosa. Si tratta di un taglio delle emicellulose che tengono insieme le diverse microfibrille, e solo grazie a questo taglio le emicellulose saranno libere di consentire l’espansione cellulare. C) PARETE SECONDARIA Nel differenziamento cellulare alcune cellule sintetizzano la parete secondaria, che non è sempre presente in tutti i tipi cellulari della fase adulta. La formazione di questa parete avviene dopo 4 tappe: 1) Formazione della parete primordiale che delimita la cellula in divisione 2) La parete primordiale rimane come lamella mediana che una volta depositata dalle due cellule figlie rimane la parete primaria la quale unisce e cementa le due cellule figlie 3) Fase di distensione cellulare 4) Formazione e deposizione della parete secondaria. Questa segue una direzione centripeta nella deposizione, verso l’esterno, quindi l’inspessimento di questa parete porterà alla riduzione del lume cellulare. Durante la fase di formazione e deposizione della parete secondaria le cellula rimangono a contatto tra loro tramite i plasmodesmi. Nella parete secondaria troviamo componenti presenti nella parete primaria, con variazione della loro abbondanza relativa, insieme poi a nuove molecole. I componenti con modifica dell’abbondanza relativa sono: o COMPONENTI IN AUMENTO: cellulosa, questa aumenta non solo la sua abbondanza ma anche il senso di lunghezza e anche il loro grado di polimerizzazione. Le microfibrille di cellulosa hanno l’orientamento mediato e regolato dall’orientamento dei microtubuli corticali che dirigono il movimento della cellulosa sintasi. o COMPONENTI IN RIDUZIONE: pectine, acqua, emicellulose, proteine strutturali. Le emicellulose vengono ridotte ma rimangono in quantità rilevanti perché mantengono la loro funzione di collegamento tra le microfibrille di cellulosa. Le proteine strutturali scompaiono quasi completamente, mentre rimangono invariate le proteine che avevano un ruolo enzimatico nella parete. Compaiono molecole nuove nella parete secondaria, come ad esempio la lignina. Questa è una macromolecola che non è limitata alla parete secondaria, ma si distribuisce anche negli strati precedenti della parete. Le modificazione che avvengono in questa parete portano alla deposizione di nuove molecole; infatti, ad ogni modificazione corrispondono molecole caratteristiche. In genere tutte le altre modificazioni prevedono la comparsa di molecole organiche tendenzialmente idrofobiche che portano ad una ulteriore riduzione della quantità d’acqua; e in più, raramente queste molecole sono depositate in direzione centripeta in quanto formate da monomeri di piccole dimensioni che si muovono nella matrice. La cuticolarizzazione è la più antica forma di modificazione, si osserva solo negli organi epigei ed in particolare nei loro strati superficiali dell’epidermide con la presenza della cuticola, uno strato di materiale idrofobico composto da cere e cutine che rende la superficie dell’epidermide idrofobica e impermeabile all’acqua e ai gas. La comparsa della cuticola è precoce nell’embrione e riveste l’epidermide nella porzione che originerà gli organi epigei della pianta. Le cere sono la componente più idrofobica della cuticola ed è composta da: o Idrocarburi alifatici, costituiscono le cere epicuticolari, la parte più esterna della cuticola o Ceridi, sono leggermente meno idrofobici degli idrocarburi alifatici per la presenza di due atomi di O che creano una leggerissima polarità Le cutine sono più semplici rispetto alle cere, poiché sono formate solo da esteri di idrossiacidi e sono leggermente più idrofile. Hanno gruppi alcoli non legati con i quali possono formare legami con i polisaccaridi di parete funzionando come collante tra cere e componente polisaccaridica. nella parete cuticolarizzata le cere sono più ESTERNE e le cutine più INTERNE secondo un gradiente di idrofobicità. Mentre la cuticolarizzazione serviva ad impermeabilizzare le superfici esterne, la lignificazione è in grado di conferire alle cellule della parete cellulare una grande resistenza di tipo chimico e meccanico. Questa modificazione è stata usata in tessuti come: o Tessuti sostegno o Tessuti protezione o Tessuti conduzione (es. quelli che portano l’acqua dalle radici alle foglie) Nella lignificazione i monomeri di lignina vanno ad inserirsi tra le componenti polisaccaridiche della parete cellulare e la deposizione di questa molecola non segue la regola della direzione centripeta, questo perché la lignina è costituito da piccoli monomeri rilasciati dalla membrana plasmatica, che avnnao a diffondere all’interno della matrice di parete. La deposizione della molecole interessa inizialmente la lamella mediana mentre ce ne molto di meno nella parete primaria e secondaria. Ci sono molti enzimi prodotti sia dalle piante sia da microrganismi in grado di degradare questa componente pectica, quindi viene visto come un meccanismo per cementare insieme le cellule. La lignina è composta da tre monomeri: 1) Alcol cumarilico 2) Alcol coniferilico 3) Alcol sinapilico I monomeri della lignina hanno una struttura simile in quanto derivano dallo stesso metabolismo quello che cambia solo le sostituzioni sull’anello aromatico. Il metabolismo secondario porta alla sintesi di composti particolari che non sono coinvolti nella normale gestione cellulare, è invece il metabolismo primario ad occuparsi della produzione, della sintesi, della degradazione delle componenti di base presenti in tutte le cellule, come proteine, acidi nucleici, grassi e zuccheri. Il metabolismo secondario porta alla comparsa di molecole che sono presenti in alcune specie ed hanno un ruolo particolare nelle interazioni dell’organismo con l’ambiente circostante. Oltre alla lignina ci sono altri metaboliti secondari che si possono identificare principalmente in 3 tipi: composti fenolici (intermedio di partenza è fenilalanina), terpenoidi (prende origine dall’Acetil-CoA), alcaloidi (parte dagli a.a.). La lignina viene sintetizzata attraverso la via del Fenilpropano, questa via parte dalla trasfromazione della fenilalanina in acido cinnamico, grazie alla fenilalanina ammonio liasi (PAL). Questo enzima crea un doppio legame togliendo il gruppo amminico, dopo l’anello aromatico dell’acido cinnamico viene ossidato dando origine all’acido p-cumarico. Ora succedono due cose: l’acido p-cummarico ciene legato al CoA andando a rilasciare l’alcol cumarilico; dopo sul gruppo aromatico del CoA vengono aggiunti altri gruppi ossidrili che possono essere poi metilati ottenendo alcol coniferilico e sinapilico. Questi monomeri sono poi rilasciati singolarmente dalla parete cellulare attraverso la membrana plasmatica dove verranno legati fra di loro. I monomeri nella parete cellulare vanno incontro a un processo di cross link, dove gli enzimi catalizzano la formazione di legami covalenti tra i monomeri di lignina. Questi legami covalenti non uniscono solo i monomeri tra di loro ma anche con la componente polisaccaridica della parete, diventando estremamente resistente dal punto di vista meccanico e chimico. La pianta stessa, infatti, non è in grado di degradare la lignina. VACUOLO È un organulo circondato da una membrana chiamata tonoplasto. All’interno è racchiusa una soluzione acquosa, detta succo vacuolare, in cui possono essere disciolte varie sostanze di tipo idrofilo. Il vacuolo va incontro a un certo dinamismo, sia nel momento della formazione che durante le sue stesse funzioni. È un comparto che svolge molte funzioni diverse dentro la cellula, si distinguono in funzioni generali (presenti in tutte le cellule) e funzioni particolari (dipendono da cosa viene indirizzato questo comparto). Il vacuolo è anche il motivo per cui le cellule vegetali sono più grandi delle cellule animali. Dinamismo del vacuolo Il vacuolo è molto diverso in una cellula meristematica e in una differenziata. Se in una cellula differenziata il vacuolo è un grosso comparto che occupa la maggior parte del volume, in una cellula meristemica si presenta come delle piccole vescicole chiamati provacuolo. Durante le prime tappe della vita della cellula, i provacuoli di fonderanno fra di loro per dare origine a sistemi vacuolari sempre più ampi, fino a raggiungere il vacuolo centrale. Questo dinamismo può presentarsi anche in senso opposto: ad esempio una cellula durante il de- differenziamento, vede la frammentazione del vacuolo centrale. FUNZIONI GENERALI: Crescita cellulare per distensione Omeostasi Omeostasi ionica: il vacuolo riesce a mantenere un’omeostasi ionica grazie a numerosi trasportatori presenti sul tonoplasto. Si tratta di due pompe che utilizzano due forme di energia diverse, entrambe le pompe utilizzano un forte gradiente elettrochimico con il citoplasma: - Pompa protonica ATPasica: idrolizza ATP per trasportare i protoni controgradiente - Pompa protonica pirofosfatasica: utilizza come fonte di energia il pirofosfato Uno degli ioni più importanti che vengono regolati dal vacuolo è il calcio, visto che è un importante regolatore di molte proteine. Il vacuolo è uno dei siti di accumulo del calcio, può essere però rilasciato attraverso dei canali per creare dei picchi di calcio citosolico, che vengono rapidamente ridotti attraverso i sistemi di antiporto descritti. Il calcio nelle cellule vegetali può essere presente sia in forma solubile che insolubile Omeostasi idrica: L’acqua è in grado di attraversare le membrane biologiche anche senza specifici sistemi di trasporto. Nelle membrane cellulari sono presenti le acquaporine che accelerano il passaggio dell’acqua. le piante possiedono molte più acqua porine rispetto all’uomo, questo perché necessitano di regolare attentamente il movimento di acqua al loro interno. Vengono distinte due tipi di acqua porine: quelle presenti sulla membrana plasmatica, le PIPs (plasmamembrane integral proteins), e quelle presenti nel tonoplasto, le TIPs (tonoplast integral proteins). Insieme esse formano le MIPs (membrane integral proteins) che rappresentano il corredo completo della cellula. FUNZIONI PARTICOLARI A seconda di ciò che è presente nel vacuolo possiamo avere funzioni molto diversificate. Funzione litica Si tratta di una funzione autofagica, che dipende dall’accumulo nel vacuolo di enzimi idrolitici. In questo caso il vacuolo assume le funzioni di lisosoma, distrugge singole componenti cellulari, acquisite tramite vescicole o microfagia. Si può passare dalla degradazione di singole componenti alla macroautofagia, che prevede la degradazione di interi organelli differenziati. Questa funzione è importante durante la senescenza o la morte cellulare. Funzione di riserva Questo ruolo dipende dall’accumulo di metaboliti primari, legati ad esempio agli zuccheri o proteine. Vi è una particolare funzione di riserva nei confronti degli acidi organici, che è legata ad una forma di fotosintesi peculiare. Lo zucchero più abbondante nel vacuolo è il saccarosio. Questo è un disaccaride formato da un legame glucosidico tra glucosio e fruttosio. Questo rende il saccarosio un disaccaride non riducente e inerte dal punto di vista chimico. Il saccarosio non ha importanza solo nella riserva ma anche nel trasporto. Tutte le piante sono in grado di sintetizzarlo e utilizzarlo. Alcune specie sono specializzate nell’accumulo di grandi quantità di saccarosio nel vacuolo, come la barbabietola da zucchero. Una volta che il saccarosio è stato sintetizzato le cellule lo trasportano nel vacuolo grazie a un antiporto che sfrutta il gradiente protonico creato dalla pompe protoniche. Questo sistema induce l’uscita di un protone in cambio dell’ingresso di una molecola di saccarosio. Nelle piante specializzate nell’accumulo di saccarosio esiste un sistema aggiuntivo, ossia sistema multienzimatico vettoriale costituito da isoforme dei due enzimi responsabili della sintesi del saccarosio. È detto vettoriale perché i reagenti vengono prelevati dal lato citoplasmatico e i prodotti vengono rilasciati direttamente nel vacuolo. Nel vacuolo possono essere accumulate anche delle proteine di riserva sia di azoto, fondamentale per la costruzione delle biomolecole, sia di amminoacidi che energia. Quando nel vacuolo si accumulano proteine di riserva, si tende a frammentarsi in vacuolo più piccoli chiamati protein storage vacuoles (PSV). Questi PSV sono abbondanti nei semi, nei cereali e nelle leguminose. Nelle leguminose risiedono all’interno delle foglioline embrionali, chiamate cotiledoni, dove costituiscono le sostanze di riserva del seme. Le leguminose possono formare e accumulare molte proteine visto che per loro l’azoto non è limitante, vivendo in simbiosi con dei batteri azoto-fissatori. Nei cereali la quantità di proteine è molto più bassa, poiché le riserve nei semi sono di tipo amilaceo, ma sono comunque presenti o all’interno dell’embrione, il glutine, o in uno strato sottile periferico chiamato strato di aleurone, che purtroppo viene in genere eliminato dai cereali quando vengono raffinati. Meccanismo di sorting: Questo meccanismo indirizza le componenti al vacuolo tramite le endomembrane. Quindi le proteine destinate al vacuolo vengono formate nel RER, passano nel Golgi per andare infine nel vacuolo. Le proteine seguono questo schema per arrivare al vacuolo perché: nelle endomembrane le proteine ricevono un peptide segnale all’N terminale, necessario per entrare nel vacuolo; questo fa si che vengano trasferite insieme a ribosoma e mRNA nel RE, segnando l’inizio della sintesi delle proteine. A seconda del tipo di vacuolo di destinazione, le proteine avranno un segnale aggiuntivo: quelle destinate al vacuolo litico possiedono un segnale aggiuntivo all’N terminale; mentre quelle con ruolo di riserva presentano un segnale al C terminale. Però i segnali aggiuntivi non bastano visto che le proteine saranno poi impacchettate in vescicole. Quindi si è scoperto che le vescicole destinate al vacuolo litico vengono rivestite da uno strato di clatrina; per quanto riguarda le vescicole destinate al vacuolo di riserva proteica non si è ancora capito bene cosa riveste le vescicole ma la membrana che le circonda ha un aspetto denso, da qui il nome dense vesicles (DV). Funzione di riserva nei confronti degli acidi organici È un esempio particolare, in cui nel vacuolo si accumulano acidi organici come parte di una strategia fotosintetica legata a piante che vivono in ambienti secchi e caldi. Questo perché la pianta riceve CO2 tramite gli stomi, però essendo un ambiente secco e caldo c’è il rischio di una fuoriuscita dagli stessi stomi di vapore acqua. Quindi le piante in questi climi hanno sviluppato una fotosintesi particolare in modo da non morire ne di fame né per disidratazione. Questo metabolismo prende il nome di CAM ( metabolismo acido delle crassulacee), di giorno le piante tengono chiusi gli stomi così da non perdere un eccessiva perdita d’acqua, e li tengono aperti solo la notte quando la temperatura è più bassa. La CO2 però non viene consumata la notte in quanto non avviene la fotosintesi, ma viene legata al fosfoenolpiruvato ottenendo un acido organico a 4C. Questo viene ridotto ad acido malico che viene trasportato all’interno del vacuolo dove viene stoccato. Durante il giorno l’acido stoccato nel vacuolo fuoriesce e viene scisso, liberando nuovamente CO2 e un composto a tre atomi di C, da cui verrà rigenerato il fosfoenolpiruvato. La CO2 si diffonde nella cellula fino ad arrivare ai cloroplasti i quali, essendo giorno, saranno in grado di funzionare regolarmente. VACUOLO COME OSMOMETRO CELLULARE il vacuolo, grazie alle sue grandi dimensioni e alla presenza di trasportatori sul tonoplasto, può regolare il movimento dell’acqua verso l’interno e l’esterno della cellula utilizzando l’osmosi. La regolazione del movimento dell'acqua è alla base di importanti funzioni tra cui il sostegno meccanico alla cellula, la crescita per distensione e alcune forme di movimento. A livello cellulare l’acqua è in costante movimento nell’ambiente e si può definire una legge generale che ne regola lo spostamento. Questo avverrà nelle zone in cui il suo potenziale idrico è più elevato, verso in cui è più basso. In sostanza, l’acqua si sposta in funzione di energia potenziale, definita da un valore di potenziale idrico. Il tipo di movimento osservabile può avvenire secondo due modalità diverse: a) Flusso di massa b) Processo di diffusione La differenza tra le due modalità è che nel flusso di massa si ha una quantità di massa di acqua, che contiene altre sostanze al suo interno, che si sposta in un’unica direzione definita dai valori di potenziale idrico. Nella diffusione, invece, il movimento è a livello delle singole molecole, quindi non è detto che queste e il soluto si muovano nella stessa direzione. Quando la cellula vegetale è immersa in una ambiente ipertonico l’acqua tenderà a uscire e il volume si ridurrà, facendo andare la cellula incontro a plasmolisi. Il confine della cellula, in realtà, rimane quello determinato dalla parete cellulare, ma il protoplasto (la parte delimitata dalla membrana) si riduce di volume. Quando, invece, viene posta in un ambiente isotonico la quantità di acqua che fuoriesce sarà uguale a quella entrante. La condizione ideale per la cellula ideale è l’ambiente ipotonico questo perché la cellula si trova in uno stato di turgore, ovvero uno stato di massima idratazione della cellula. In questo stato di turgore, la pressione che l’acqua esercita sulle pareti un sostegno meccanico, e se la cellula fa parte di un tessuto questo sostegno si trasmetterà al tessuto intero. La pressione che l’acqua esercita contro le pareti viene controbilanciata dalla contropressione che le pareti esercitano nei confronti della membrana plasmatica. Lo stato di turgore è molto importante, non solo per una resistenza meccanica ma , perché in piante in cui non sono presenti tessuti di sostegno questo può tenere in piedi l’intero organismo. Attraverso cambiamento dello stato di turgore, una cellula può acquisire o perdere una certa resistenza meccanica. Questo viene utilizzato per compiere vari movimenti (apertura e chiusura stomi, apertura dei fiori, movimento piante carnivore, …) FLAVONOIDI Tra i metaboliti secondari accumulati nel vacuolo se ne trovano numerosi derivati dalla trasformazione di aa; tra questi ci sono i flavonoidi, derivati dal metabolismo del fenilpropano, cioè dalla fenilalanina. Con l’enzima PAL si produce il primo metabolita. Il calcone sintasi (CHS) è responsabile della sintesi del primo e vero flavonoide, il calcone (il progenitore di tutti i flavonoidi). I flavonoidi fanno parte del gruppo dei composti fenolici. I flavonoidi svolgono numerose funzioni all’interno degli organismi, è importante sapere che non tutti i flavonoidi sono stoccati nel vacuolo, ma alcuni vengono secreti dalle cellule. I tre tipi che si trovano nel vacuolo sono: - Medicarpinaha un’attività antimicrobica - Kaempferoloprotegge le leguminose da un eccessivo irradiamento dei raggi UV-B, ovvero le protegge da agenti abiotici - Antocianisono accumulati nei vacuoli di petali e frutti ANTOCIANIDINE = Hanno la caratteristica di essere molecole colorate, quindi sono in grado di assorbire la luce a diversa lunghezza d’onda. La loro funzione principale è quella vessillare, che ha lo scopo di richiamare degli organismi con i quali le piante interagiscono. È possibile trovare questi pigmenti anche in organi non deputati alla riproduzione come le foglie. La pigmentazione è delimitata dal tonoplasto. La loro colorazione dipende da alcuni fattori: Struttura chimica della molecola: più aumenta il numero di gruppi ossidrili più la colorazione vira verso il blu; più aumentano le metilazioni più la colorazione è sul rosso Valore del pH del succo vacuolare Chelazione con metalli: è la capacità di alcune antocianidine di interagire con i metalli. Un esempio è rappresentato dall’interazione con l’alluminio, che porta le ortensie a passare da una colorazione rosa ad una azzurra Oltre ad essere pigmenti, gli antociano hanno anche forti proprietà antiossidanti. ISOFLAVONOIDI = hanno un’importante funzione in campo medico e farmacologico, visto che alcuni di questi mimano l’azione estrogenica. Alcuni di questi composti sono in grado di prevenire le forme tumorali legate a sbilanciamenti ormonali. FITOANTICIPINE = L’accumulo di particolari composti all’interno del vacuolo conferisce a questo organulo un ruolo di difesa dai microrganismi, ma anche da vertebrati e invertebrati. Sono molecole accumulate nel vacuolo in forma non tossica, ma che possono diventarlo in seguito ad un attacco da agenti esterni. Le cumarine inattive, un esempio di questa classe di composti, si trova nel vacuolo, mentre l’enzima attivante si trova nel citoplasma e possono venire in contatto solo dopo un grave danno meccanico ALCALOIDI = sono una classe di composti che deriva dal metabolismo di alcuni aa, e alcuni possono essere accumulati nel vacuolo. Sono metaboliti secondari che hanno un’azione specifica sul sistema nervoso centrale dei vertebrati, e possono causare palpitazioni, perdita di equilibrio, … La cellula vegetale non ha un sistema di escrezione, perciò le sostanze tossiche vengono trasferite all’interno del vacuolo, “liberando” il citoplasma e gli altri compartimenti cellulari dai composti nocivi. Questo meccanismo è chiamato compartimentalizzazione vacuolare. Le sostanze che vengono tipicamente segregate all’interno del vacuolo sono sostanze inorganiche, come i metalli pesanti (tossici per tutti gli organismi determinando la morte della pianta superato un certo livello di concentrazione), o sostanze organiche, come gli xenobiotici (erbicidi, idrocarburi). Il meccanismo di compartimentalizzazione vacuolare non si limita a trasportare le sostanze tossiche all’interno del vacuolo, ma le trasforma anche in modo da renderle incapaci di fuoriuscire, inducendone, per esempio, la precipitazione o la cristallizzazione, inattivandole con l’aggiunta di zuccheri o con altri meccanismi. La compartimentalizzazione vacuolare può avvenire grazie a una serie di trasportatori presenti sul tonoplasto, la maggior parte dei quali sono sistemi di co-trasporto che sfruttano il gradiente protonico tra vacuolo e citoplasma. I co-trasportatori sono specifici per un metallo e hanno affinità diversa per il loro substrato. Oltre a questi sistemi di co-trasporto sul tonoplasto, sono presenti sistemi di trasporto primario, che sfruttano idrolisi di ATP. La detossificazione degli xenobiotici coinvolge il glutatione, che in questo caso viene legato covalentemente con lo xenobiotico, modificandolo e rendendolo meno tossico. Dopodiché il complesso xenobiotico-glutatione viene trasportato attraverso la membrana del tonoplasto, e una volta all’interno può essere degradata. PLASTIDI I plastidi derivano da un evento di endosimbiosi di batteri fotosintetici parenti dei cianobatteri, che ancora oggi si trovano nell’ambiente. I plastidi più conosciuti sono i cloroplasti; il loro genoma è circolare, essendo dei procarioti, ed è in grado di leggere la propria informazione genetica. Questo organello, però, è semi- autonomo perché l’informazione genetica all’interno non è completa per consentire tutte le funzioni. All’interno dei plastidi sono presenti tre comparti separati tra di loro da membrane biologiche: 1) Involucro plastidiale: compartimento più esterno, delimitato all’esterno da una membrana periplastidiale esterna e all’interno da una membrana periplastidiale interna. in mezzo è presente uno sapzio perplastidiale. 2) Stroma: è l’equivalente della matrice mitocondriale. Lo stroma è una matrice acquosa presente dentro i plastidi in cui è immerso il genoma plastidiale, l’apparato biosintetico per la lettura dell’informazione genetica sul genoma plastidiale, enzimi legati alla fotosintesi. Dentro lo stroma sono presenti anche i tilacoidi 3) Sistema tilacoidale: all’interno racchiude il lume tilacoidale La famiglia dei plastidi è divisibile in cinque componenti: plastidi, cloroplasti, amiloplasti, cromoplasti, ezioplasti. La famiglia dei plastidi è divisibile in cinque componenti: proplastidi, cloroplasti, amiloplasti, cromoplasti, ezioplasti. I diversi tipi di plastidi possono trasformarsi gli uni negli altri. 1_PROPLASTIDI Sono i progenitori di tutti gli altri plastidi che si trovano nelle cellule differenziate; quindi, questi si trovano nei meristemi apicali e nell’embrione. Sono molto semplici, hanno piccole dimensioni ma hanno già tutti i compartimenti tipici di questi organelli. L’involucro plastidiale si trova all’esterno, ed è formato da una membrana interna e una esterna. Lo stroma contiene i ribosomi, molti enzimi e il genoma plastidiale. Sono presenti anche le membrane tilacoidali, le quali limitano al loro interno il lume tilacoidale. I proplastidi non hanno una funzione particolare perché non l’hanno ancora sviluppata; inoltre si nota che con il differenziamento della cellula aumenta il numero di proplastidi presenti. Questo significa che durante il differenziamento della cellula i proplastidi, che si differenziano in cloroplasti, si dividono indipendentemente dalla divisione della cellula in cui sono contenuti. La divisione dei plastidi avviene per scissione binaria. 2_CLOROPLASTI Il cloroplasto ha una forma a lente biconvessa. Le dimensioni del cloroplasto variano da 4 a 8 micron di diametro. Dentro si trovano tutti i compartimenti tipici dei plastidi: involucro all’esterno, con le due membrane, in mezzo lo spazio periplastidiale, lo stroma, il materiale genetico e l’estensione del sistema tilacoidale. L’organizzazione dei tilacoidi all’interno dei plastidi è un fattore chiave per il processo di fotosintesi. Da un punto di vista strutturale i tilacoidi presentano delle zone molto scure che si alternano con zone più chiare. Le zone più scure vengono definite grana nel complesso, e granum singolarmente; sono dati da tilacoidi impilati e ciascuna membrana tilacoidale va a delimitare il lume tilacoidale che è al centro. Quindi i tilacoidi impegnati nella formazione del granum vengono definiti tilacoidi granali. Ogni granum va a formare delle cisterne tilacoidali, ovvero delle membrane tilacoidali che all’intenro delimitano il lume. Questi tilacoidi sono detti anche tilacoidi stromatici/intergranali. Tutte le cisterne sono in collegamento tra loro e hanno tutte un andamento a spirale. Le zone dove, apparentemente, il lume tilacoidale è separato sono in continuità tra di loro grazie al fatto che le cisterne formano queste spirali che vanno a collegare i diversi comparti. Il lume tilacoidale dentro un granum è uno solo, dunque è in continuità sui vari livelli, e dal momento che si hanno delle membrane tilacoidali che vanno a unire grana diversi, in realtà possiamo definire che tutto il sistema dei grana sia in comunicazione. Questa continuità è importante per accumulare degli intermedi della fotosintesi che vanno a definire il funzionamento della fase luminosa. I cloroplasti sono verdi perché al loro interno è presente la clorofilla. La clorofilla è un pigmento caratterizzato da una regione idrofobica, detta coda di fitolo, che gli permette di entrare nello spessore delle membrane tilacoidali. La clorofilla è in grado di convertire l’energia luminosa in una forma di energia chimica grazie all’anello porfinirico, detto testa porfinirica, formata da 4 anelli pirolici ognuno contenente un atomo di N. I 4 atomi di N coordinano un atomo di magnesio, in grado di acquisire e rilasciare elettroni fondamentale per il meccanismo di conversione della luce in energia chimica. Esistono due tipi di clorofilla nelle piante: Clorofilla A gruppo metile sull’anello pigmento fondamentale nella conversione di luce in en chimica Clorofilla B gruppo aldeidico sull’anello pigmento accessorio 3_AMILOPLASTI Gli amiloplasti sono molto grandi, la forma è variabile in quanto dipende dalla quantità di amido che contengono. Infatti la loro funzione è quella di accumulare al loro interno l’amido. In questo plastide lo stroma è il comparto più sviluppato in quanto è il più importante per accumulare l’amido. L’amido è un polimero dell’anomero alpha del glucosio con di monomeri che sono tenuti insieme da un legame 1-4. Attraverso questo legame si va a formare un piccolo angolo che si propaga su tutta la molecola dando origine a dei polimeri ad alpha-elica. Ci sono due tipologie di amido: 1. AMIDO PRIMARIO Accumulato a breve termine nel cloroplasto, correlato con la fotosintesi. Quando il cloroplasto funziona nel processo fotosintetico verrà prodotto molto glucosio. Se il sistema di esportazione del glucosio dal cloroplasto non riesce a stare dietro alla produzione, sorge un problema in quanto il glucosio è un soluto e dunque si potrebbero creare dei processi osmotici che porterebbero a un rigonfiamento dei cloroplasti, quindi il glucosio in eccesso viene polimerizzato a formare dei granuli di amido. A questo punto l’amido non è solubile e quindi non incide sul potenziale idrico all’interno della soluzione. Si tratta, quindi, di un amido che viene depolimerizzato per superare il picco di attività. 2. AMIDO SECONDARIO Si trova negli amiloplasti con un significato di riserva energetica. Accumulo a lungo termine, non correlato con la fotosintesi. Le componenti molari dell’amido sono: amilosio e amilopectina. Questi due si internvallano, in particolare le ramificazioni vanno ad agganciarsi sulla posizione 6 dell’amilosio queste zone ramificate sono le amilopectine. L’amilopectina è una molecola altamente ramificata e per questo presenta dei vantaggi: elevato grado di impaccamento; velocità nella sintesi e nella degradazione dell’amido. Si può, quindi, agire molto in fretta sia nella sintesi che nella degradazione delle molecole. Nel momento in cui bisogna rimuovere del glucosio, avere una molecola ramificata consente di aggiungere molto velocemente, a ciascuna estremità del glucosio, delle molecole di amido. BIOSINTESI DELL’AMIDO Trattandosi di una polimerizzazione, è necessario partire da una molecola di glucosio che sia ad alta energia e questo viene ottenuto grazie al legame con un glucosio-1-fosfato con dell’ATP attraverso un enzima che si chiama ADP-glucosio-pirofosforilasi (presente nel citoplasma). Una volta che è stata ottenuta questa forma “energizzata” del glucosio, questo potrà essere aggiunto in coda a una catena in crescita di amilosio ad opera di un enzima che prende il nome di amido sintasi (presente nei plastidi). L’amido sintasi allunga quindi la molecola di amilosio (non ramificata). Per avere zone di amilopectina, dovrà intervenire un enzima ramificante (presente nei plastidi) che stacca una coda di amilosio e va ad attaccarla in posizione 6 sui residui della catena di amilosio stessa. 4_CROMOPLASTI Sono organuli dalla colorazione molto brillante dovuta a dei pigmenti chiamati carotenoidi, sono gli stessi che si trovano nel cloroplasto ma in questo caso sono quelli dominanti. Nei cromoplasti si trovano solo i carotenoidi e derivano da un metabolismo secondario: la via metabolica dell’isopropene, che è lo stesso da cui deriva la molecola di fitolo. Ci sono diversi carotenoidi: beta-carotene; xantofille; licopene. Questi pigmenti sono molto idrofobici, quindi li troviamo sotto forma di goccioline lipidiche all’interno dei cromoplasti; la loro è una funzione vessillare, ovvero di richiamo per gli organi così colorati. i carotenoidi sono importanti perché sono i precursori della vitamina A, essenziale per gli esseri umani. 5_EZIOPLASTO Quest’ultimo plastide non ha una funzione specifica, rappresenta un blocco nella trasformazione tra proplastidio e cloroplasto che si osserva nel momento in cui questo differenziamento avviene al buio. Ciò che rende l’ezioplasto caratteristico è l’organizzazione particolare delle membrane tilacoidali che formano una struttura paracristallina, con una regolarità esterna che viene detta corpo prolamellare ed è composta da tilacoidi. Il corpo prolamellare si dissolverà quando riprenderà il differenziamento alla luce. Gli ezioplasti non contengono clorofilla ma protoclorofilla che non presenta ancora la colorazione verde tipica, questo è il motivo per cui gli ezioplasti danno alle foglie in cui sono presenti una colorazione giallina che è tipica delle piante eziolate, quelle cresciute al buio. FOTOSINTESI La fotosintesi è un processo che converte l’energia luminosa radiante in una forma di energia chimica stabile: il glucosio. È anche fondamentale per l’equilibrio degli ecosistemi, visto che rappresenta la via principale per ridurre la CO2 e mantenere l’O2 nell’atmosfera. Il processo della fotosintesi consiste in due fasi distinte: 1) FASE LUMINOSA: sono presenti reazioni dirette tra luce e materia reazioni fotochimiche A seguito delle reazioni fotochimiche si ha l’ossidazione dell’acqua, la liberazione dell’ossigeno e la conversione di energia radiante in energia chimica temporanea (ATP) e in molecole riducenti (NADPH) 2) FASE OSCURA: non dipende direttamente dalla luce, essendo un insieme di reazioni biochimiche, ma utilizza i prodotti della fase luminosa Le due fasi avvengono in due regioni distinte del cloroplasto. La compartimentalizzazione molto complessa del cloroplasto ha un ruolo fondamentale. La fase luminosa avviene nel compartimento delimitato dai tilacoidi; La fase oscura avviene nello stroma, dove sono presenti tutti gli enzimi necessari a ridurre CO2 e formare gli zuccheri i quali fanno parte del ciclo di Calvin-Benson FASE LUMINOSA La fotosintesi utilizza la luce visibile (400-700nm), che rappresenta una piccola porzione dello spettro di radiazione elettromagnetica. La luce interagisce con i pigmenti fotosintetici, ovvero le molecole in grado di assorbirla. Quando la radiazione luminosa colpisce un atomo di Bohr, un elettrone presente sull’orbitale più interno assorbe l'energia luminosa compiendo un salto energetico su un orbitale più esterno. Per la teoria quantistica, questo salto di orbitale è consentito soltanto nel momento in cui viene assorbito un pacchetto energetico definito che corrisponde esattamente al 𝛥E tra i due livelli energetici dei due orbitali. Questo salto di orbitale è il risultato dell’interazione luce-materia: una molecola o atomo passa da uno stato fondamentale a uno stato eccitato. I pigmenti sono molecole di grandi dimensioni, con doppi legami coniugati, questo fa si che l’energia necessaria per il salto di orbitale degli elettroni sia più bassa visto che gli elettroni sono delocalizzati su tutta la molecola e non sono trattenuti nel nucleo. Non tutti i pigmenti sono utili nel processo fotosintetico, quelli presenti nel cloroplasti e coinvolti nella fotosintesi sono clorofille e carotenoidi. 1. CLOROFILLE La clorofilla presenta una coda idrofobica, costituita da fitolo, che le consente di rimanere nelle membrane tilacoidali, e una coda polare, costituita dall’anello porfirinico, che assorbe luce. È l’anello porfirinico a contenere gli elettroni delocalizzati, e quindi ad assorbire energia. La clorofilla ha due picchi di assorbimento: sia lunghezze d’onda nella zona blu sia nella zona rossa. La clorofilla a riesce ad assorbire delle lunghezze d’onda a maggior contenuto energetico rispetto alla cloriflla b; questo è molto importante perché il pigmento chiave nella conversione da energia radiante a energia chimica. 2. CAROTENOIDI Tra i carotenoidi c’è il betacarotene e la xantofilla, che si distingue dal betacarotene per la presenza di alcuni gruppi contenenti ossigeno. Lo spettro di assorbimento può variare a seconda del tipo di carotenoidi, ma fondamentalmente assorbono nella zona blu. Gli spettri di assorbimento di questi pigmenti spiegano il colore delle foglie, in quanto quello che noi vediamo come colore di una foglia rappresenta sostanzialmente le lunghezze d’onda che non vengono assorbite dai pigmenti fotosintetici presenti nei cloroplasti. Dallo stato eccitato instabile, una molecola isolata di pigmento tende a tornare in uno stato fondamentale, liberando energia che aveva assorbito dalla luce in due modi alternativi: a) Attraverso la dissipazione di energia sottoforma di calore b) Attraverso il fenomeno della fluorescenza, ovvero l’emissione di un fotone di lunghezza maggiore di quello assorbito. Qualsiasi sia la modalità di ritorno allo stato fondamentale, l’energia viene persa dal pigmento. Quando i pigmenti sono fisicamente vicini tra di loro, si può avere un trasferimento dell'energia assorbita originariamente dal primo pigmento a dei pigmenti vicini. Questo trasferimento può avvenire secondo due modalità, entrambe presenti nel cloroplasto: 1. Un trasferimento di sola energia, in un meccanismo di risonanza: un pigmento in uno stato eccitato torna allo stato fondamentale che porterà al salto di orbitale da parte di un elettrone del pigmento vicino. 2. Un trasferimento di elettroni, in un meccanismo di separazione delle cariche: non è solo un trasferimento di energia, ma è anche un trasferimento di materia. In condizioni particolari il salto di orbitale non si limita a un orbitale più esterno, ma viene sbalzato verso l’esterno della molecola, su una molecola di pigmento vicino. Si avrà un cambiamento drastico del della carica delle molecole in questione perché il pigmento che perde il suo elettrone diventerà ossidato, acquisendo una carica positiva, mentre il pigmento che ha ricevuto l'elettrone diventerà ridotto, acquisendo una carica negativa. Per non perdere energia luminosa assorbita, i pigmenti fotosintetici devono essere vicini tra loro. Per questo, all’interno del cloroplasto si trovano dei complessi per l’assorbimento della luce che si chiamano fotosistemi, costituito da due zone funzionalmente diverse tra loro: 1) COMPLESSO ANTENNA. In questo complesso l’energia luminosa viene assorbita dai pigmenti e trasmessa ai pigmenti vicini attraverso il meccanismo di risonanza. La vicinanza fisica necessaria per svolgere questo meccanismo è garantita dal fatto che i pigmenti sono tenuti insieme da delle proteine che creano un complesso pigmento proteine. Il meccanismo di trasmissione dell’energia avviene in una sola direzione ed è irreversibile, si crea una direzionalità nel movimento dell’energia. Questo è il motivo per cui la disposizione dei pigmenti non è casuale, ma è costruita in modo da consentire il passaggio di energia libera, quindi avere pigmenti vicini agli altri che siano eccitabili col pacchetto energetico che viene liberato dal pigmento precedente. La disposizione dei pigmenti conduce l’energia assorbita al centro di reazione: una volta catturato dai carotenoidi il pacchetto di energia della luce, può essere passato alle clorofille. Attraverso questo calo del contenuto energetico nella successione dei passaggi, la luce viene intrappolata e costretta ad andare verso il centro di reazione. La clorofilla a si trova nel centro di reazione perché è il pigmento che può andare in uno stato eccitato con il minore contenuto energetico. 2) CENTRO DI REAZIONE. Presenta un dimero di clorofilla a, il quale trasmetterà l’energia che ha ricevuto attraverso i pigmenti dal complesso antenna attraverso il meccanismo della separazione delle cariche. Qui avviene la separazione delle cariche: quando il pigmento riceve un pacchetto energetico eccita un elettrone, sbalzandolo fuori dalla molecola di pigmento. Questo avviene soltanto se il pigmento che riceve il pacchetto energetico è associato a due componenti: (1) Un accettore di elettroni, che deve ricevere l’elettrone sbalzato via (2) Un donatore di elettroni TRASFERIMENTO DEGLI ELETTRONI (separazione delle cariche) In questo centro di reazione abbiamo la clorofilla a (in verde), all’interno della quale le barrette orizzontali rappresentano i livelli energetici degli orbitali. Si ha lo stato fondamentale, il livello energetico più basso, e lo stato eccitato, più alto energeticamente. A destra c’è l’accettore di elettroni, ovvero una molecola in grado di ricevere l’elettrone una volta che la clorofilla va in uno stato eccitato, e a sinistra c’è un donatore di elettroni. Quando la clorofilla viene colpita dalla luce, l’elettrone che è al suo stato fondamentale va in uno stato eccitato. La separazione delle cariche vede un trasferimento di questo elettrone ad alta energia all’accettore di elettroni: l’accettore di elettroni si riduce e acquisisce una carica negativa, mentre la clorofilla, che perde l’elettrone, si ossida e diventa carica positivamente. Per ripetere il processo è necessaria la presenza si un donatore di elettroni (in grigio) che cederà alla clorofilla ossidata un elettrone per poter ricostruire la situazione di partenza. Nell’ultimo passaggio si ha quindi un donatore che si ossida cedendo il suo elettrone alla clorofilla, la quale si troverò nel suo stato fondamentale di partenza. Da questi passaggi si ottiene un elettrone ad alta energia, il quale è stato sbalzato dalla clorofilla e porta con sé energia radiante e viene sfruttato per completare un lavoro. La sua energia viene usata per la catena di trasporto degli elettroni per arrivare alla sintesi di ATP e produzione di NADPH. ‘separazione delle cariche’ deriva e dal fatto che a questo livello si ha già una separazione di carica da due molecole che erano neutre e man mano che l’elettrone viene spostato e il donatore va a prendersi un elettrone da un’altra parte, le due cariche si allontanano tra di loro EVOLUZIONE DEI FOTOSISTEMI La comparsa del fotosistema è stata fondamentale nell’evoluzione della fotosintesi. Un evento importantissimo per la loro evoluzione è stata la comparsa nei cianobatteri della clorofilla a e di un nuovo fotosistema. Il fotosistema più antico viene chiamato fotosistema 1, mentre quello più nuovo è detto fotosistema 2. Il secondo fotosistema è una grande novità: - Si associa un complesso in grado di strappare gli elettroni necessari a colmare il buco elettronico che si viene man mano a formare nella clorofilla a dal centro di reazione - Recupera gli elettroni necessari direttamente dall’acqua La fotolisi dell’acqua è un processo molto importante, perché essendo l’acqua un solvente universale molto abbondante consente alla clorofilla a di essere sempre rifornita di elettroni per colmare il buco elettronico. L’acqua, quindi, viene ossidata per cedere i suoi elettroni alla clorofilla a, e in questo processo va a formare O2 liberando anche dei protoni che rimarranno in soluzione. Con la comparsa del fotosistema 2 e della clorofilla a nei cianobatteri si attiva un nuovo processo: la fotosintesi ossigenica, ovvero la fotosintesi moderna che produce ossigeno. In sostanza, la comparsa dei cianobatteri ha cambiato la composizione dell’atmosfera. Il fotosistema 1 e 2 lavorano in tandem. La fase luminosa non è altro che un movimento di elettroni una volta che questi hanno ricevuto l’energia assorbita dalla radiazione luminosa; è un processo di ossidoriduzione, cioè di trasferimento di elettroni: una molecola acquista un elettrone e lo cede a un’altra seconda un gradiente di potenziale redox. SCHEMA Z DEL TRASPORTO DI ELETTRONI funzionamento accoppiato dei sistemi 1. Quando il fotosistema 2 viene colpito dalla luce, diventa una mole riducente (rilascia elettroni) 2. Gli elettroni che vengono rilasciati seguono il percorso spontaneo in discesa della reazione, da un potenziale redox più negativa verso una zona a potenziale positivo. 3. Questi elettroni vanno a finire sul fotosistema 1, a colmare il buco elettronico che si forma al centro di reazione del fotosistema 1 ogni volta che questo viene colpito dalla luce, inducendo la separazione delle cariche nel fotosistema 1 Il sistema che funziona in modo accoppiato, con fotosistema 2 e fotosistema 1 che lavorano insieme, è un sistema ottimale perché i due fotosistemi continuano a lavorare senza interruzioni in quanto gli elettroni necessari per compiere a ogni giro la separazione delle cariche sono trasferiti dall’acqua attraverso una catena di trasportatori di elettroni al fotosistema 1. Questo movimento di elettroni si accoppierà alla produzione di molecole ad alta energia, che rappresenta la conversione dell’energia luminosa in una forma di energia chimica, ovvero ATP e NADPH. Questi composti sono indispensabili nella tappa successiva della fase oscura per la produzione della CO2. Membrana tilacoidale e fase luminosa: 1. fotosistema 2 con insieme il complesso per il processo della fotolisi dell’acqua. Due molecole di acqua vengono ossidate liberando un O2 e 4 protoni, questi vengono liberati nel lume tilacoidale. 2. Il fotosistema 1 si associa direttamente con il con l’enzima ferodossina NADP reduttasi, collocato nella zona del cloroplasto e sul lato delle membrane tilacoidali che dà verso lo stoma 3. Plastochinone è una molecola organica che fa parte del complesso che porta gli elettroni dal fotosistema 1 al 2 e può esistere sia nella forma ossidata che ridotta a seconda che abbia acquisito elettroni o li abbia rilasciati alla tappa successiva. Il plastochinone è anche il complesso più importante per la sintesi di ATP. Per poter rimanere nello spessore della membrana tilacoidale si riduce acquistando due protoni per mantenere una carica neutra. Il trucco che il sistema utilizza è che la cessione degli elettroni al plastochinone avviene all’interfaccia tra il fotosistema 2 e la membrana tilacoidale verso il lato stromatico tilacoidale. Il rilascio degli elettroni corrisponderà al rilascio dei protoni che avviene sul lato della membrana verso il lume tilacoidale 4. Grosso complesso dei citocromi: funzionano come trasportatori di elettroni e trasferiscono quelli ricevuti dal plastochinone alla tappa successiva grazie alla plastocianina 5. La plastocianina è un trasportatore di elettroni interessante perché è l’unica porteina che non è integralmente immersa nelle membrane tilacoidali. Infatti può muoversi nel lume durante la fase luminosa e funzionare da vettore anche attraversando degli spazi ampi all’interno del lume La sua informazione genetica si trova nel nucleo della cellula vegetale, quindi fa parte di quei geni che sono stati trasferiti dal genoma plastidiale al genoma nucleare durante l’evoluzione dei cloroplasti La fotolisi dell’acqua e il trasporto di elettroni mediato da plastochinone sono le due tappe fondamentali che portano ad un aumento netto della quantità di protoni presente nel lume tilacoidale. L’aumento di protoni viene sfruttato dall’ATP sintasi per produrre ATP. Sia ATP che NADPH vengono prodotti durante la fase luminosa nello stroma. Differenze tra mitocondrio e cloroplasto mitocondrio cloroplasto L’ATP sintasi è collocata sulla membrana interna e La differenza nella concentrazione di ioni tra sfrutta il gradiente di protoni che si forma tra lo l’interno del lume tilacoidale e lo stroma è molto più spazio intermembrana e la matrice mitocondriale. pronunciata: la membrana tilacoidale è La produzione di ATP viene effettuata grazie a un impermeabile, e il gradiente protonico che si crea è gradiente di pH che corrisponde alla differenza tra i molto elevato portando ad un forte abbassamento due di pH. Si ha una differenza di 3 punti di pH, quindi l’ATP sintasi funziona in modo molto efficiente È possibile che gli elettroni non vengano trasferiti secondo uno schema a Z ma utilizzando solamente il fotosistema 1, tornando a un funzionamento che ricorda molto quello che doveva essere il funzionamento del fotosistema prima della comparsa dei cianobatteri. 1. Il fotosistema 1 quando è colpito dalla luce perde un elettrone con il sistema della separazione delle cariche; questo elettrone non viene utilizzato ma viene reinserito nella catena di trasopsrto degli elettroni a livello del plastochinone 2. L’elettrone si ricollega alla via di trasporto degli elettroni a livello del plastochinone e grazie alla plastocianina viene nuovamente trasferito al fotosistema 1 a colmare il buco elettronico che si era formato 3. Il risultato di questa via alternativa è la sintesi di ATP senza, però, la produzione di NADPH FASE OSCURA Viene detta oscura perché è un insieme di reazioni biochimiche indipendenti dalla presenza della luce solare. In questa fase si svolge il ciclo di Calvin e prevede tre fasi: 1) Fissazione CO2 carbossilazione Una molecola esterna di CO2 entra nel ciclo legandosi a un accettore, ribulosio-1,5-bifosfato. La loro combinazione originerà un intermedio instabile che si scinde spontaneamente in due molecole di acido 3-fosfoglicerato. L’enzima responsabile della fissazione della CO2 è il RUBISCO che costituisce circa il 50% delle proteine plastidiali e che quindi ha una elevata produzione. Ha, inoltre, un complesso enzimatico formato da 16 subunità: 8 subunità con info genetica rimasta nel genoma plastidiale, e le altre 8 con l’info genetica migrata nel genoma nucleare. 2) Riduzione L’acido carbossilico viene ridotto dall’ATP e dagli elettroni donati da NADPH. Questo fa si che da un acido si passi a uno zucchero, gliceraldeide-3-fosfato che è il prodotto dell’incorporazione della riduzione di CO2. Se il ciclo finisse qui ci sarebbe un problema nei conti degli atomi di carbonio: nella G3P solo uno dei suoi atomi deriva dalla CO2 poiché gli altri provengono dall’accettore. Per bilanciare la reazione della fotosintesi e far si che tutti gli atomi di carbonio del glucosio derivino dalla CO2 dobbiamo ripetere il ciclo per altre tre volte; in questo modo una delle molecole di G3P deriva interamente dalla CO2 incorporata in fase 1. 3) Rigenerazione dell’accettore di CO2 Le altre cinque molecole di G3P derivate dalla fase 1, affrontano la fase di rigenerazione per dare di nuovo origine all’accettore. In questa fase si forma il ribulosio-monofosfato, il quale sarà fosforilato dando origine a ribulosio-1,5-bifosfato utilizzando ATP dalla fase luminosa Sono necessarie 6 reazioni di carbossilazione per liberare l’equivalente di una molecola di glucosio 6CO2 + 6H2O C6H12O6 + 6O2 RUBISCO Questo enzima possiede un comportamento singolare, risulta essere una carbossilasi ma anche un’ossigenasi. Se nel suo sito riconosce un’anidride carbonica, la Rubisco porta avanti una reazione di carbossilazione e si avrà l’incorporazione di un C inorganico nella materia organica e la produzione di zuccheri; il significato della fotoautotrofia. Se, invece, la Rubisco riconosce l’ossigeno lo aggiunge al recettore ribulosio-1,5-bifosfato con una reazione di ossigenazione. In questo caso l’intermedio si scinde in maniera spontanea dando origine a una molecola di 3PG e una di 2PG. Quando la Rubisco agisce da ossigenasi il processo innescato prende il nome di fotorespirazione in quanto c’è uno scambio di gas; è strettamente correlato alla fotosintesi, ma al suo contrario consuma energia e non porta alla sintesi di zuccheri. La concentrazione di O2 o CO2 è quello che determina il funzionamento della Rubisco, e l’affinità dell’enzima per i due gas non è uguale. L’affinità è decisamente più bassa per l’anidride carbonica rispetto all’ossigeno, questo significa che se sono presenti entrambi i gas in uguali quantità la Rubisco riuscirebbe a legarsi meglio con la CO2, e sarebbe favorita la reazione di carbossilazione. La pianta è in grado di aumentare la resa fotosintetica con dei meccanismo in grado di agire su vari livelli: Meccanismi di tipo BIOCHIMICO che avvengono a livello del cloroplasto: o La maggior parte di essi ottimizza la fase oscura coordinandola con quella luminosa poiché i prodotti di quest’ultima sono reagenti fondamentali per almeno due reazioni del ciclo di Calvin-Benson. o La riduzione del rischio di fotorespirazione: ovvero attivare la Rubisco con CO2, assicurando l’attivazione dell’enzima solo in presenza di anidride carbonica, ma non c’entra con la carbossilazione Meccanismo di tipo ANATOMICO, riguardante la foglia intera o Regolazione della composizione dei gas all’interno della foglia con la regolazione delle aperture (dette stomi) che permettono i passaggi di questi gas e mettono in comunicazione l’ambiente interno con quello esterno o Fotosintesi CAM o Fotosintesi C4. La PEP carbossilasi è un enzima chiave di questa fotosintesi, è in gradi di aggiungere una molecola di CO2 al PEP. Questo porta alla formazione di Ossalacetato, che successivamente viene ridotto in malato e aspartato. La fotosintesi C4 ha bisogno dell’anatomia Kranz: nell’epidermide, superiore e inferiore, è presente un mesofillo omogeneo e delle cellule della guaina del fascio (cellule che circondano le nervature) abbastanza grandi, questa loro grandezza dà il nome a questa anatomia visto che Kranz vuol dire corona ed è la forma che assumono intorni ai fasci vascolari. Nella parete delle cellule della guaina del fascio è presente un sottile strato di Suberina (SL), riduce la diffusione dei gas e costringe i soluti a passare per la via simplastica. Un’altra caratteristica di queste cellule è la forma dei cloroplasti, i quali possiedono i tilacoidi ma mancano i grana. Quest’assenza significa che manca il complesso formato dal PS2 e dal LHC2 che è ciò che tiene insieme i tilacoidi, inoltre non riescono a produrre ossigeno visto che manca PS2. La separazione a livello spaziale tra cattura di CO2 e produzione di zuccheri avviene poiché la Rubisco è espressa esclusivamente nelle cellule della guaina del fascio, mentre la PEP carbossilasi è espressa solamente nelle cellule del mesofillo; questo porterà i due steps a svolgersi in comparti anatomici differenti. Le cellule del mesofillo e le cellule della guaina del fascio comunicano esclusivamente attraverso plasmodesmi. Da un punto di vista metabolico il sistema è un sistema navetta che serve a trasportare CO2 dalle cellule del mesofillo all’interno delle cellule della guaina del fascio, senza interferire con O2. Per prima cosa la CO2 attraversa gli stomi incontrando le cellule del mesofillo dove la PEP carbossilasi forma ossalacetato. Lo step successivo è preceduto da uno step intermedio dove l’ossalacetato viene ridotto a malato e traferito alle cellule delle guaine del fascio. Dopo il malato viene scisso per liberare CO2, che diffonde nelle cellule dalla guaina del fascio e fa iniziare il ciclo di Calvin formando zuccheri. Nel terzo step il piruvato torna alle cellule del mesofillo dove verrà rigenerato per fornire un nuovo accettore per la PEP carbossilasi. Questa rigenerazione necessità di due molecole di ATP GLI STOMI: sono coinvolti nella fotosintesi e nel processo di respirazione. La direzione del movimento degli scambi gassosi è determinata dalle concentrazioni dei gas all’intenro o esterno, questo vuol dire che il movimento del vapore acqueo avrà sempre la stessa direzione, visto che il potenziale idrico della foglia sarà sempre maggiore di quello atmosferico. Uno stoma p formato da due cellule a forma di rene, dette cellule di guardia; intorno a queste cellule si trovano delle cellule epidermiche, dette sussidiarie, che sono fondamentali nel funzionamento di apertura e chiusura dello stoma. Le due cellule di guardia sono unite alle estremità dalla lamella mediana mentre le parti centrali delle due cellule non si toccano formando la rima stomatica, il canale di passaggio dei gas. Durante il differenziamento le cellule di guardia interrompono le connessioni citoplasmatiche con le cellule sussidiarie, ovvero i plasmodesmi vengono chiusi. Il meccanismo di apertura e chiusura degli stomi si basa su due condizioni: La variazione del potenziale idrico delle cellule di guardia. Il potenziale idrico delle cellule di guarda si abbassa, rispetto alle cellule vicine, quando gli ioni K+ vengono traslocati alle cellule di guardia e accumulati nel vacuolo. Questo porta le cellule a uno stato di turgore aprendo lo stoma. Per la chiusura dello stoma si avrà una fuoriuscita di K+ dalle cellule di guardia e di conseguenza un inversione di potenziale idrico che farà uscire acqua. L’orientamento radiale delle microfibrille di cellulosa. La densità delle microfibrille nelle cellule di guardia è maggiore nelle regioni interne da inspessire la parete, questo a causa della micellazione radiale (disposizione radiale) delle microfibrille REGOLAZIONE FOTOSINTESI Le piante utilizzano diversi meccanismi regolatori per massimizzare la resa fotosintetica in condizioni ambientali non ottimali. Questi adattamenti vengono sia a livello cellulare sia a livello anatomico quando la qualità e la quantità della luce non è ottimale. 1. In caso di scarsa illuminazione, la pianta massimizzerà la conversione di energia luminosa 2. In caso di illuminazione ottimale, si avrà un normale funzionamento 3. In caso di troppa illuminazione c’è la possibilità di avere dei danni, soprattutto nel fotosistema 2, visto che è associato alla fotolisi dell’acqua MECCANISMI ANATOMICO-COMPORTAMENTALI A livello macroscopico le piante possono utilizzare tre tipi di meccanismi per migliorare l’assorbimento della luce: fillotassi, fototropismo e risposta ombrifuga. La FILLOTASSI è la modalità con cui le foglie vengono disposte nel fusto e si tratta di un carattere genetico, ogni specie ha una fillotassi caratteristica poiché si tratta di un adattamento che porta ad evitare che le foglie formate successivamente vadano ad ombreggiare direttamente le foglie formatesi precedentemente. Il FOTOTROPISMO, invece, è un fenomeno che si può osservare quando una pianta è collocata in una zona scarsamente illuminata e ricevono un’illuminazione direzionale. Per massimizzare l’assorbimento della luce la pianta dirige la crescita dei suoi organi fotosintetici verso la fonte luminosa. La RISPOSTA OMBRIFUGA è un meccanismo che le piante mettono in atto quando percepiscono la vicinanza di altre piate, che le porta a sviluppare una crescita verticale, per poter sovrastare le piante vicine. MECCANISMI REGOLATORI CELLULARI E MOLECOLARI Il movimento dei cloroplasti è uno dei meccanismi regolatori che le piante adottano; nelle alghe filamentose, ad esempio, gli permette di spostarsi verso la fonte di luce per assorbirne il più possibile in caso di poca luce, mentre in caso di troppa illuminazione si possono spostare per evitare i raggi. Un altro tipo di meccanismo che gli organismi vegetali utilizzano è l’organizzazione strutturale delle membrane fotosintetiche, questo gli consente di regolare l’efficienza dei fotosistema sulle membrane tilacoidali. La distribuzione dei complessi enzimatici nelle membrane tilacoidali non è uniforme, ma a seconda della zona sono presenti rapporti diversi. Nelle zone di partizione, dove le membrane dei grani sono una di fronte all’altra, sono presenti il fotosistema 2, che si trova solo in queste sezioni, e il Citocromo b6f. Nelle zone che sono esposte sullo stroma, dette zone di margine, sono prevalentemente presenti i complessi ATP sintasi, citocromo e fotosistema 1, perché l’ATP sintasi e fotosistema 1 hanno un grande ingombro nel lato stromatico. Esistono anche complessi antenna- recettore accessori che si muovono nello spessore della membrana tilacoidale e che si possono associare ai sistemi per amplificarne la capacità di assorbimento luminoso. Il LHCII fa parte di questa categoria e si associa al fotosistema 2, quindi si troverà nella zona di partizione. Il complesso PSII-LHCII agisce come ‘colla molecolare’ in grado di tenere associate le membrane tilacoidali nella zona di partizione tramite l’interazione molecolare tra i complessi PSII-LHCII presenti sulle facce delle due membrane. Dove si hanno queste associazioni si ha anche una migliore trasmissione dell’energia luminosa per risonanza. Nelle zone di partizione, quindi, viene potenziata la capacità di assorbimento del Fotosistema II, grazie a queste interazioni con LHCII, aumentando l’efficienza del sistema di assorbimento della luce radiante. Queste migliorie sono molto importanti in condizioni di luce scarsa, ma possono rivelarsi problematiche in caso di forte illuminazione, perché appunto aumentano l’assorbimento di energia. Per evitare questi danni entra in gioco un sistema di regolazione che ha il compito di regolare il grado d’impilamento delle membrane, modificando il numero di zone di partizione. Ad esempio, nella selaginella, un tipo di felce sciafila (ovvero che ha una crescita ottimale a bassa illuminazione), in caso di condizioni di luce scarsa, i grani sono formati da un numero più alto di tilacoidi impilati, per ottimizzare al massimo il momento di cattura della luce, tramite il complesso LHCII-PSII. Nel caso di luce intensa, i grana si assottigliano, per una riduzione delle zone di partizione, questo per ridurre l’efficienza di assorbimento della luce. Il meccanismo molecolare che porta questa questi cambi conformazionali è dato da fosforilazioni e defosforilazioni di LHCII. MECCANISMI DI PROTEZIONE DALLA FOTOINIBIZIONE La clorofilla presenta due picchi di assorbimento, uno per la luce blu e uno per la luce rossa. Chimicamente questi due picchi indicano due diversi livelli di eccitazione: - nel caso di assorbimento di luce rossa l’energia assorbita è tale da permettere il passaggio dell’elettrone ad un orbitale più esterno, mantenendo però lo stesso momento di spin; questo stato si chiama di singoletto; - nel caso di assorbimento di luce blu l’energia è tale da permettere il passaggio dell’elettrone ad un orbitale più esterno, cambiando anche il suo momento di spin; questo stato si chiama di tripletto. Il ciclo delle xantofille, sono dei carotenoidi che accompagnano la clorofilla nel centro di reazione. Entrano in gioco tre pigmenti: la violaxantina, prevalentemente nei momenti di bassa illuminazione e buio; anteraxantina e zeaxantina, sono formati dall’eliminazione di residui epossidici dall’enzima violaxantina deepossidasi che si attiva in caso di luce intensa. Quando la luce torna in uno stato ottimale o subottimale, l’enzima zeaxantina epossidasi fa ricreare i legami epossidici, ricreando la violaxantina, per questo si parla di ciclo delle xantofille. Tutto questo avviene nel cloroplasto, in particolare nel centro di reazione, proteggendolo da fotoinibizione e smaltendo la clorofilla tripletto. Un altro meccanismo che può aiutare a ridurre i danni da fotoinibizione è il meccanismo della fotorespirazione: questo porta a una riduzione della quantità di ossigeno presente nel cloroplasto, andando a ridurre la possibilità di formazione di ROS (specie reattive dell’ossigeno). TARGETING AI PLASTIDI I plastidi si sono formati a partire da un fenomeno di endosimbiosi, che ha portato a un trasferimento di geni al nucleo cellulare. Molte di questi geni trasportati codificano per proteine che svolgono funzioni importanti nei plastidi. Con questo trasferimento genico è dovuto nascere un meccanismo di targeting proteico in gradi di riportare le proteine sintetizzate nei ribosomi citosolici nei plastidi. Molti complessi enzimatici impiegati nella fase luminosa sono delle chimere, formate da proteine codificate da geni nucleari e plastidiale. Anche per le componenti della rubisco c’è un origine chimerica. TARGETING AL CLOROPLASTO Il meccanismo di targeting plastidiale rientra nella filosofia generale di targeting; infatti, tutte le proteine che vengono codificate da un'informazione nucleare, per poter arrivare ad un organulo devono avere: un segnale, delle chaperonine, un recettore e un sistema di traslocazione. Il targeting ai plastidi e mitocondri è post-traduzionale, poiché la proteina viene completamente sintetizzata prima di essere legata da una chaperonina che riconosce il segnale proteico ed accompagna la proteina agli organuli bersaglio. per attraversare l’involucro plastidiale è necessario che le proteine abbiano: un peptide di transito all’N-terminale della proteina la chaperonina Hsp70 che riconosce le proteine destinate ai plastidi un sistema TIC/TOC per la traslocazione La proteina nel citoplasma viene sintetizzata dai ribosomi citosolici, la chaperonina Hsp70 riconosce il peptide di transito e accompagna questa proteina, destinata al cloroplasto, fino al recettore presente sul TOC della membrana esterna. Qui la proteina viene fatta passare con l’utilizzo di ATP, sulla membrana interna il complesso TIC si allinea a TOC e la proteina prosegue fino ad arrivare all’interno dello stroma, anche questo con dispendio di ATP. Grazie a una proteasi il peptide di transito viene tagliato e la proteina potrà andare incontro al folding. Il processo di targeting dei plastidi è molto simile a quello dei mitocondri, poiché è presente: un segnale presequenza nei mitocondri che nei plastidi si chiama il peptide di transito un sistema di traslocazione, per i mitocondri TIM/TOM e per i plastidi TIC/TOC L’unica differenza è che se andiamo a vedere cosa succede nella cellula vegetale, sappiamo che non è il cloroplasto a selezionare le proteine destinate al suo interno rispetto a quelle mitocondriali, ma al contrario è stato il mitocondrio che nelle piante è diventato più selettivo, cioè maggiormente in grado di riconoscere le proteine con presequenza rispetto alle proteine con peptide di transito. I plastidi hanno un comparto interno che è delimitato dai tilacoidi e ci sono molte componenti destinate a questo comparto, come la plastocianina che è destinata al lume tilacoidale ed è codificata da un gene nucleare. Le proteine destinate ai tilacoidi è un ulteriore segnale: una volta che il peptide di transito viene eliminato, queste proteine scoprono un ulteriore segnale che le consente di essere riconosciute da chaperonine presenti nello stroma e di essere poi portate fino alla membrana tilacoidale, dove ci saranno un recettore ed un sistema di traslocazione, che consentirà l’attraversamento della membrana tilacoidale stessa. I sistemi presenti all’interno dei plastidi sono di origine batterica, al contrario di TIC/TOC che è di origine eucariotico. Sulla membrana tilacoidale si possono trovare due sistemi di traslocazione: - sistema Sec - sistema Tat TRANSPLANTOMICA La transplantomica è un aspetto delle biotecnologie vegetali e corrisponde alla trasformazione genetica del genoma plastidiale. La manipolazione di questo genoma può essere molto vantaggiosa, rispetto a quello nucleare per vari motivi, i vantaggi sono: il numero di copie che possiamo ottenere all’interno di una cellula del transgene e quindi del livello di espressione proteica l’organizzazione del genoma plastidiale, visto che è formato da operoni troviamo tanti geni strutturali con un unico sistema di regolazione a monte l’assenza del meccanismo di silenziamento genico, è presente negli eucarioti ma non nei procariti questo meccanismo modalità con cui i plastidi vengono