Filmografia di Charles Chaplin (PDF)
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This document is a filmography of Charles Chaplin, outlining his works, years, and some summaries. It includes details such as the production companies he worked for and the roles he played. This detailed overview presents a rich account of Chaplin's career.
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storia del cinema FILMOGRAFIA DI CHARLES CHAPLIN 1914 con la Keystone 35 cortometraggi. 1915/16 con la Essanay 14 cortometraggi 1916/17 con la Mutual 12 cortometraggi (tra cui Easy Street e The immigrant) 1918/23 Con la First National 9 cortometraggi (tra cui A Dog’s...
storia del cinema FILMOGRAFIA DI CHARLES CHAPLIN 1914 con la Keystone 35 cortometraggi. 1915/16 con la Essanay 14 cortometraggi 1916/17 con la Mutual 12 cortometraggi (tra cui Easy Street e The immigrant) 1918/23 Con la First National 9 cortometraggi (tra cui A Dog’s Life e Shoulder Arms del 1918 e Pay Day del 1922). 1921 The Kid (“Il monello”) Una ragazza madre in preda alla disperazione abbandona il figlio neonato sul sedile di un’auto di lusso. Si pente e torna sul posto, ma è troppo tardi: due ladri l’hanno rubata. Costoro, accortisi del bambino, lo lasciano tra i rifiuti. Charlie si accorge di lui e, dopo qualche riluttanza, lo adotta. Cinque anni dopo lo vediamo impegnato a rompere i vetri del quartiere che il padre poi si offre di riparare. La madre è diventata un’attrice di suc- cesso, e dedica le sue energie in opere di carità nei quartieri poveri; così si imbatte sen- za saperlo anche in suo figlio. Intanto le autorità si sono accorte che il bambino non è figlio di Charlie e glielo portano via. Lui riesce a riprenderselo e scappano insieme. Nel dormitorio però il guardiano gli sottrae il bambino e lo porta alla stazione di polizia. Là però la madre, che è venuta a sapere tutto, riprende suo figlio e il giorno successivo invita anche Charlie. 1923 A woman of Paris (“La donna di Parigi”) Marie e Jean si amano, ma una serie di circostanze li separano. Marie, a Parigi, diventa l’amante del ricco Pierre. Jean si trasferisce a Parigi con la madre, incontra Marie, e si rimettono insieme. Ma una serie di incomprensioni li separano di nuovo. Jean si suici- da. Marie lascia il mondo dorato ma ipocrita di Pierre e con la madre di Jean si impe- gna in un orfanatrofio fuori dalla capitale. 1925 The Gold Rush (“La febbre dell’oro”) Nell’Alaska del 1898 tre cercatori d’oro, Charlie, Big Jim e Black Larsen, si ritrovano nella stessa capanna a causa di una bufera. Larsen si allontana, e i due, rimasti soli, sof- frono la fame. Dopo che, grazie alla carne di un orso, si sono rifocillati, si lasciano. Big Jim incontra Larsen che intanto ha trovato una miniera d’oro, lottano, e Big Jim ha la meglio, ma perde la memoria. Intanto Charlie nel villaggio minerario si innamora della soubrette Georgia, che però si prende gioco di lui. Big Jim incontra Charlie nel villaggio e insieme ritrovano la miniera d’oro: diventano milionari. Sulla nave che li riporta in patria, Charlie incontra in abiti da vagabondo, Georgia che ricambia il suo amore. 1928 The Circus (“Il circo”) www.cinescuola.it storia del cinema 1931 City Lights (“Le luci della città”) Charlie salva dal suicidio un milionario che gli è riconoscente solo quando è ubriaco, ma lo caccia via quando è sobrio. Con i soldi avuti dal milionario Charlie regala la possibilità ad una fioraia cieca di sottoporsi ad una operazione per recuperare la vi- sta. Il milionario, da sobrio, lo denuncia per furto e Charlie finisce in prigione. Uscito qualche tempo dopo incontra la ragazza che intanto ha aperto un bel negozio di fiori. Lei, mettendogli una moneta in mano, lo riconosce. 1936 Modern Times (“Tempi moderni”) Charlie è operaio meccanico in una grossa fabbrica, dove è addetto alla catena di montaggio con ritmi disumani. Perde così il contatto con la realtà e comincia a girare viti in tutta la fabbrica seminando confusione e incidenti. Quando esce dall’ospedale raccoglie per sbaglio una ban- diera di segnalazione e guida così senza accorgersene un corteo di disoccupati, disperso dalla polizia. Intanto una ragazza ruba per sfamare le sorelle più piccole, il padre disoccupato viene ucciso durante una manifestazione di disoccupati, lei riesce a sfuggire all’affidamento. Charlie, uscito di carcere, si ritrova senza lavoro e decide di commettere dei reati per tornare in carcere dove alme- no si mangia.Viene arrestato ma il cellulare che lo tra- sporta e dove c’è anche la ragazza, si ribalta. I due fuggo- no. Charlie ottiene impiego in un grande magazzino dove fa entrare di nascosto la ragazza. Entrano anche tre malvivienti, uno di loro però è un ex compagno di fabbrica. Così tutti festeggiano.Viene licenziato. Dopo varie peripezie Charlie e la ragazza trovano impiego in un locale (lei come ballerina lui come cameriere), ma le autorità individuano la ragazza costringendo i due di nuovo a fuggire. 1940 The Great Dictator (“Il grande dittatore”) Un barbiere ebreo, sosia del dittatore Hynkel, è perseguitato dalle “cami- cie grigie”. Reagendo ad uno dei loro soprusi, si guadagna la simpatia di una ragazza del ghetto, Hanna. Hynkel invade l’Ostria, dopo aver trovato un accordo con un altro dittatore, Benzino Napaloni. Hanna e la sua famiglia, che vi avevano trovato rifugio, si trovano di nuovo in pericolo. Intanto il barbiere, scappato da un campo di concentramento, fugge e si imbatte nelle colonne militari dell’invasore.Viene scambiato per Hynkel e portato su un palco per pronunciare il discorso della vittoria. Il barbiere ne approfitta per lanciare un appello di fratellanza e amore. 1947 Monsieur Verdoux 1952 Limelight (“Luci della ribalta”) 1957 A King in New York (“Un re a New York”) 1966 The Countess from Hong Kong (“La contessa di Hong Kong”) www.cinescuola.it storia del cinema Chaplin autore. Chaplin controlla per intero il processo produttivo dall’i- dea al montaggio, compresa la musica, da “A Woman from Paris” in poi. Per questo possiamo dedurre dalla sua opera una “poetica”. Ideologia. Chaplin sta sempre dalla parte degli oppressi (poveri, lavoratori, donne, bambini...) e vede negativamente chi ha potere, dai Recitazione. governanti ai poliziotti ai predicatori religiosi. Ma non pensa che gli Il personaggio di oppressi possano, unendosi tra loro, sconfiggere chi li affligge. Spera Charlie (Charlot in un cambiamento dell’animo umano che favorisca la fratellanza e in Italia e Fran- l’altruismo. In questo senso la sua ideologia è radicale nella critica e cia) è ben carat- “umanitaria” nelle soluzioni. terizzato e coe- rente in ogni suo aspetto (gesticolazione, mimica, trucco, costume). Sa- piente uso dello spazio cinema- tografico e dei suoi tempi (rit- mo fermo/acce- lera). Supera- mento della Fotografia. Nei film di Chaplin la macchina da presa è al servi- recitazione en- zio della recitazione e non vuole farsi notare dal pubblico. Per fatica. Opposi- questo Chaplin usa pochissimo i movimenti di camera. La distanza zione al sonoro. apparente privilegia la figura intera e si avvicina sul PP solo per sottolineare un’emozione forte o una gag. Messa in scena. Nonostante quasi sempre i suoi film avessero intenzionalità comiche, le sue ambientazioni erano realistiche sino alla maniacalità (la trincea in “Shoulder Arms” o l’interno della casa di Charlie di “The Kid”). Psicologia. Introduce per la prima volta la dimen- sione psicologica dei personaggi nella narrazione cinematografica con il film “A Woman from Paris”. Ellissi. Il primo esempio di ellissi in campo cinematografico: una sequenza in cui manca un elemento che di norma viene espresso ma il significato risulta chiaro ugualmente e con maggior efficacia (le luci del treno sul volto di Marie in “A Woman from Paris”). Gag. Le trovate che puntano a far ridere sono costantemente in bilico tra il comi- Tragico. Chaplin è conosciuto come un comi- co e il dramma (l’al- co, ma nella realtà fu sempre attratto dalla tra- lucinazione per fame gedia shakespeariana. Può esprimerla compiu- di Big Joe che scam- tamente solo in “A Woman from Paris”, ma se bia Charlie per un ne sente l’eco in altri suoi film, dove l’happy end pollo in “The Gold non è scontato (ad esempio in “The Circus”). Rush”). www.cinescuola.it storia del cinema Charles Chaplin. Biografia. Infanzia. Charles Chaplin nasce in un sobborgo povero di Londra da Charles senior, guitto di music-hall, alcolizzato, e Hannah Harriette Hill, cantante. I due si separano pre- 1889-1906 sto. La madre e i due figli vivono nella povertà. Hannah ha crescenti problemi psichici e viene ricoverata, mentre i due ragazzi vanno e vengono da orfanatrofi e cominciano pre- sto a lavorare nello spettacolo. Gli inizi nello spettacolo. Lavora in ruoli comici nello spettacolo di Fred Karno (c’è anche Stan Laurel) che è a metà tra il circo e il varietà. Qui impara l’arte della pantomima 1907-1912 e le gag comiche. Cominciano le tournée all’estero. In una di queste Charles viene notato dal produttore USA di corti comici Mack Sennett. I cortometraggi. Nel 1913 Mack Sennett lo mette sotto contratto per la Keystone con cui realizza 35 cortometraggi. Il genere è quello delle slapstick (comicità fisica, basata sul ritmo, parodie dei film seri, torte in faccia e inseguimenti). In pochi mesi dà vita al per- sonaggio dell’omino con il bastone, povero, ma che cerca di mantenere la propria dignità, 1913-1917 ribelle e che vive di espedienti. Il successo del pubblico arriva rapidamente. Poi passa, di- sponendo di sempre maggior potere di contrattazione, alla Essenay (1915, 14 cortome- traggi) e poi alla Mutual (1916-17, 12 cortometraggi), dove accentua la polemica sociale. La sua fama è mondiale. I capolavori. Nel 1918 passa alla First National con un contratto di un milione di dolla- ri, il più alto mai pagato, con la quale realizza 9 cortometraggi e “The Kid” nel 1921, che ha un enorme successo. Nel 1919 fonda una casa di produzione indipendente con due star dell’epoca (Douglas Fairbanks e Mary Pickford): la United Artists. Seguono una serie di 1918-1936 capolavori: “A Woman of Paris”, 1923 (che non ebbe successo di pubblico, ma fu un punto di riferimento per i registi per molto tempo), “The Gold Rush”,1925, “The Circus”, 1928. Rifiutò di adeguarsi all’invenzione del sonoro (1927) e realizzò nel 1931 “Citylights”, muto, e “Modern Times” con limitati effetti sonori (1936). Le persecuzioni politiche. “Modern Times” era un film fortemente critico dal punto di vista sociale e ciò cominciò ad attirargli le antipatie della stampa che già lo aveva attac- cato per le sue vicende sentimentali e il rifiuto di chiedere la cittadinanza statunitense. Suscitò polemiche anche il suo film “The Great Dictator” in un momento in cui gli USA non avevano intenzione di entrare in guerra. Anche “Monsieur Verdoux” suscitò proteste: 1936-1957 la tesi del film era che gli assassinii di un serial killer erano poca cosa di fronte ai crimini di chi promuove le guerre. Così Chaplin divenne una delle principali vittime del maccarti- smo, accusato di essere comunista. Nel 1952, durante una tournée in Europa, seppe che le autorità USA non avevano intenzione di farlo rientrare, così decise di restare nel vecchio continente e si stabilì in Svizzera. Nel film “A King in New York”, del 1957, un re europeo si scontra con i costumi statunitensi e finisce per prendersi cura di un bambino i cui geni- tori sono stati arrestati per le loro idee di sinistra. Declino e morte. Nel 1966 gira il suo ultimo film “The Countess from Hong Kong” con Marlon Brando e Sophia Loren, di scarsissimo successo. Nel 1972 torna negli USA 1958-1957 per ritirare un oscar alla carriera e nel 1975 riceve una onoreficenza inglese (“cavaliere”) che non gli era stata assegnata prima per ragioni poliche. Muore in Svizzera nel 1977. “Senza dubbio egli è un grande artista, certamente rappresenta sempre un’unica e medesima figura, quella del giova- notto non forte, povero, abbandonato, maldestro che alla fine tuttavia ha successo. Egli rappresenta sempre e sola- mente se stesso, così come era nella sua triste giovinezza. Non riesce a liberarsi di quelle impressioni, e ancor oggi si prende la rivincita per le privazioni e le umiliazioni di quell’epoca. Egli è, per così dire, un caso particolarmente semplice e trasparente.” Sigmund Freud, 1931 www.cinescuola.it storia del cinema Charles Chaplin fu il primo artista cinematografico ad affrontare in maniera si- stematica i maggiori problemi sociali e politici della sua epoca, analizzandoli, prenden- do posizione e mantenendo sempre un forte legame con il pubblico. Pagò per questo un alto prezzo. Dal 1840 al 1920 arrivarono negli USA una quantità senza Il sogno precedenti di emigranti: circa 37 milioni di individui (tra i americano quali quasi 5 dall’Italia). Erano assunti nei settori di più bassa manovalanza con salari molto bassi e senza alcun diritto. L’ideologia statunitense favoriva la speranza che con un The Immigrant, 1917 The Gold Rush, 1925 duro lavoro l’individuo potesse emergere dalla massa. La Grande Guerra (1914-1918) vide all’inizio contrapposti Guerra Germania e Impero Austro-Ungarico da un lato e Francia, Gran Bretagna e Russia dall’altro (ai quali si unirono l’Italia nel 1915 e gli USA nel 1917, mentre la Russia sovietica si Shoulder Arms, 1918 ritirò pochi mesi prima della fine). Fu una guerra combattu- The Great Dictator, 1940 Monsieur Verdoux, 1947 ta tra le grandi potenze per l’egemonia mondiale. Dalla seconda metà del XIX sec. gli USA si industrializzaro- Povertà no a ritmi vertiginosi. La politica protezionista favorì la for- mazione di potenti monopoli. A questo aumento di ricchez- za nelle mani di pochi si contrapponeva l’esistenza di una The Kid, 1921 massa di diseredati e di lavoratori senza diritti, spesso im- The Circus, 1928 City Lights, 1931 migrati, che abitavano nelle immense periferie urbane. Disoccupazione Subito dopo la Grande Guerra fino al 1920 anche negli USA si ebbero fortissime proteste sociali, duramente re- presse, di disoccupati, operai e neri. Gli anni ‘20 furono di relativo benessere fino alla crisi che cominciò nel ‘29 e che produsse milioni di disoccupati. All’inizio degli anni ‘30 le A Dog’s Life, 1918 Modern Times, 1936 lotte dei lavoratori riuscirono ad imporre qualche diritto. Lo statunitense Taylor sviluppò tra la fine dell’800 e l’inizio Taylorismo del ‘900 un metodo di organizzazione del lavoro basato Fordismo sull’estrema specializzazione delle mansioni lavorative. Il metodo fu applicato su grande scala negli anni ‘20 da Ford nella produzione di automobili attraverso l’attivazione di Modern Times, 1936 enormi catene di montaggio. Il fascismo è l’ideologia del movimento che prese il potere Fascismo in Italia nel 1922 con l’appoggio dei grandi proprietari agri- Nazismo coli e degli industriali. Ispirò il nazismo che prese il potere in Germania nel 1933. Ambedue sono ideologie dichiarata- mente imperialiste, sostengono cioé la necessità dei popoli The Great Dictator, 1940 ariani di dominarne altri. L’Austria fu invasa nel ‘38. Negli USA tra la fine degli anni ‘40 e la metà degli anni ‘50, Maccartismo anche a seguito delle tensioni della Guerra Fredda, si scate- nò una campagna anticomunista che aveva per emblema il senatore McCarthy. Una serie di processi e di persecuzioni colpirono anche molti intellettuali e artisti del cinema, ac- cusati per le loro idee di essere agenti del nemico. A King in New York, 1957 www.cinescuola.it dall’8 dicembre nelle sale italiane Charles Chaplin Modern Times – Tempi moderni (USA/1936, 87’) edizione restaurata nuova registrazione della colonna sonora originale di Charles Chaplin Restauro promosso dalla Cineteca di Bologna in collaborazione con Criterion Collection e realizzato dal laboratorio L’Immagine Ritrovata Regia, sceneggiatura e montaggio: Charles Chaplin Fotografia: Rollie Totheroh, Ira Morgan Scenografia: Charles D. Hall, Russell Spencer Musica: Charles Chaplin Interpreti: Charles Chaplin (il Vagabondo), Paulette Goddard (la Monella), Henry Bergman (il padrone del ristorante), Chester Conklin (il capo-meccanico), Stanley J. Sanford, Hank Mann, Louis Natheaux (i ladri), Allan Garcia (il direttore della fabbrica) Produzione: Charles Chaplin per United Artists In collaborazione con Ufficio stampa Cineteca di Bologna Il Cinema Ritrovato. Al cinema Andrea Ravagnan www.cinetecadibologna.it Classici restaurati in prima visione (+39) 0512194833 www.ilcinemaritrovato.it (+39) 3358300839 [email protected] Con questo film non mi propongo di trattare alcun problema politico e sociale. I miei eroi saranno degli operai. Il mio personaggio è l’uomo. Non l’ho mai battezzato; non ha nome: è l’uomo. Charles Chaplin Tempi moderni è il film del commiato di Charlot Punto di fusione ideale tra il personaggio di Charlot e la Storia collettiva, Tempi moderni e una perfetta sintesi dell’umanesimo chapliniano e di tutto il suo cinema precedente. Sorprendono ancora, a più di ottant’anni dalla sua uscita, la lucidità dello sguardo, le invenzioni comiche, il rigore stilistico, la modernità del linguaggio e la disarmante attualità. “Chaplin – scrive Gian Piero Brunetta – è riuscito a fissare il senso dello scontro tra diverse realtà storiche, forme di lotta e protesta sociale e forza dell’utopia, e a racchiudere in un gesto l’anima di un momento storico per lanciarlo, come un messaggio in una bottiglia, alle generazioni future”. Ma Tempi moderni è innanzitutto il film del commiato di Charlot, quello che mette fine alla sua parabola mitologica. La differenza tra gli eroi come Ulisse e Rolando e Charlot – ci aveva detto André Bazin – consisteva proprio nell’esistenza finita dei primi, le cui avventure si erano ormai concluse. Charlot invece continuava a scrivere la sua storia, esisteva tra un film e l’altro, libero di entrarne e uscirne come voleva. Dopo Tempi moderni, Chaplin si rimetterà in gioco. Il congedo avviene in strada, poiché e ad essa che appartiene Charlot, Vagabondo per antonomasia, ed è in strada che la macchina da presa l’aveva immortalato per la prima volta, nel febbraio del 1914 in Kid Auto Races at Venice, un prodigioso film di sette minuti appena. (Cecilia Cenciarelli, responsabile del Progetto Chaplin della Cineteca di Bologna) Una storia di industria e di impresa individuale Nella prima “sinossi della storia” scritta da Chaplin, intitolata Commonwealth, la struttura del soggetto sembra essere costruita attorno a un racconto principale arricchito di gag più o meno d’impatto, già sperimentate in alcuni film precedenti o che già aveva in mente. Di solito Chaplin chiama queste gag “business”, numeri, cioè piccole unità narrative autonome pronte ad essere girate. In una prima stesura del trattamento la storia è fortemente imperniata sulla relazione tra la Monella e il Vagabondo, il tono è spesso melodrammatico o schematico. La maggior parte degli episodi che scandiranno la versione definitiva del film sono già presenti, ma non ancora narrati allo stesso modo né posizionati nello stesso punto. Tra le scene girate ma non montate sono da segnalare quelle che descrivono le difficoltà del Vagabondo ad abituarsi al traffico urbano. L’elemento più significativo è lo spazio minimo riservato alla fabbrica; tuttavia, un altro testo preparatorio alla sceneggiatura, intitolato The Masses, è interamente dedicato alla sequenza in questione. Sebbene non datati, questi due documenti non possono che succedersi cronologicamente, poiché sembra logico che Chaplin abbia scelto di sviluppare uno dei temi, in questo caso quello che riguarda la fabbrica e il lavoro alla catena di montaggio, solo dopo aver tracciato a grandi linee il soggetto. In The Masses, Chaplin si occupa solo di quelle parti che verranno poi utilizzate per la scena d’apertura del film: l’evocazione dell’industria pesante e della sua disumanità. Nella descrizione dei piani, i titoli “Le Masse, una storia di industria e impresa, l’umanità in lotta per la ricerca della felicità”, si alternano a vedute di ciminiere e di altiforni, di fiamme e di fumo, subito seguite da inquadrature di bestiame che viene liberato dai recinti e di gente che esce dal sottopassaggio della metropolitana. Questa successione di piani è fortemente connotata drammaticamente. Al calore delle fornaci e alla vitalità degli operai si contrappone in seguito la freddezza con cui viene controllata l’energia elettrica e umana necessaria a ottenere sempre i massimi livelli di produttività. Mentre tutti sono indaffarati alle proprie postazioni lungo la catena di montaggio, appare il Vagabondo, che stringe dei bulloni, ma viene subito distratto dal passaggio di una segretaria alla quale sorride, interrompendo il ritmo della catena. (Christian Delage, autore di Chaplin, la grande histoire) La fabbrica Aprendo il suo film con la messa in scena di un terzetto di operai, tra cui il Vagabondo, assoggettati alla catena di montaggio, Chaplin affronta immediatamente una delle maggiori scommesse del realismo cinematografico: la realtà, se osservata da un occhio attento, o addirittura analizzata nella sua complessità, non può essere filmata così com’è. Occorre ricostruirla. Il vantaggio dell’attore-regista è che si trova egli stesso costretto a misurarsi con l’oggetto o la situazione prescelti. Dopo la sua visita agli stabilimenti automobilistici Ford, Chaplin fece ricostruire la catena di montaggio per Tempi moderni basandosi sulla sua esperienza diretta. È notevole la somiglianza che lega i disegni preparatori alle fotografie che Chaplin chiese di scattare al suo scenografo ad alcuni edifici industriali. L’operaio impazzisce dopo aver tentato di seguire fino in fondo il ritmo della catena di montaggio ritrovandosi negli ingranaggi della macchina, ma questo è anche un modo per rovesciare il rapporto di forza con le macchine, che egli può, con un semplice gesto, privare dell’alimentazione elettrica. Attraversando a grande velocità le diverse postazioni di lavoro all’interno della fabbrica, Charlot segue un percorso che ripristina un movimento libero, quando tutto intorno a lui è pensato per controllare i gesti e gli atteggiamenti degli operai. Cosparge d’olio tutti quelli che trova sul suo cammino e se la prende persino, virtualmente, con il monitor televisivo che rimanda all’immagine del principale. (Christian Delage) I primi progetti del film: il ricordo della visita agli stabilimenti Ford nel 1923 Tempi moderni è il primo film a portare sullo schermo, in chiave comica, le alienazioni della modernità e il rapporto uomo-macchina, così come s’era affermato in America a partire dal primo dopoguerra. Nell’ideazione del film Chaplin attinse indubbiamente al ricordo della visita compiuta nel 1923 agli stabilimenti industriali della Ford di Highland Park. Chaplin inizia a lavorare al soggetto di Tempi moderni nel settembre del 1933. Una prima stesura della storia inizia con il dialogo tra due vagabondi che discutono solennemente la crisi mondiale e i loro timori per l’abbandono della base aurea: “Il primo vagabondo si guarda il dito del piede che spunta da un buco del calzino e dice: ‘Questo significa la fine della nostra prosperità, dovremo fare economie’. Rimettono le cicche di sigarette nella scatola e uno si mette il fiammifero acceso in tasca. ‘Il cibo costerà di più e immagino che in futuro faranno i buchi dei donut e del gruviera molto più grandi’”. La prima bozza di sceneggiatura porta il titolo di Commonwealth. Gli episodi comici sono più numerosi di quanto saranno nel film e la struttura narrativa meno definita. Sono già ben delineati però il rapporto di Charlot con la Monella e il motivo della ricerca del lavoro. Tra le scene che saranno poi eliminate c’è una lunga sequenza slapstick in cui Charlot trova lavoro come operatore di spalatrici meccaniche, con risultati catastrofici. Nelle versioni successive della sceneggiatura, la fabbrica produce prima giocattoli, poi munizioni. Qui gli operai, come forma di protesta, decidono di sostituire alle bombe a mano il gas esilarante: durante lo sciopero, i poliziotti, chiamati per sedare la rivolta, non riescono a smettere di ridere. In un’altra versione degli Appunti per la storia, in fabbrica si progettano macchinari pesanti per futili operazioni quali schiacciare noci o scuotere cenere dai sigari. In diversi appunti preparatori Chaplin sviluppa una scena di scontri tra la polizia e gli scioperanti, con la polizia che carica a cavallo e il lancio di pomodori o pietre. Alcune di queste scene furono effettivamente girate. (Cecilia Cenciarelli) Le sequenze tagliate Due scatti sul set lasciano supporre che Chaplin avesse girato scene poi scartate: nello stesso luogo e al posto della manifestazione, vediamo sfilare i soldati, tra i quali figurano la Monella e l’operaio. In un’altra foto un titolo a caratteri cubitali, che l’operaio sembra voler nascondere alla ragazza, annuncia lo scoppio della guerra. In questi primi abbozzi di sceneggiatura la fabbrica è solo parzialmente delineata, è uno dei tanti set nei quali si svolge l’azione. Anche The Masses (Le masse), il successivo titolo di lavorazione, non è ancora un film sulla catena di montaggio, ma sulla ricerca del lavoro e il degrado sociale. L’idea di un film parlato Chaplin fu uno degli artisti che maggiormente sperimentò gli effetti sonori, integrandoli al commento musicale. Tempi moderni è il film dell’invenzione musicale, sonora e vocale per eccellenza. Alla ricchezza della partitura orchestrale si uniscono effetti sonori ingegnosi e voci filtrate da altoparlanti, grammofoni e radio: anche la voce è assoggettata alla macchina. Chaplin aveva però accarezzato l’idea di realizzare Tempi moderni come un film parlato. Furono effettuati test per il sonoro e scritti dialoghi per quasi tutte le scene: l’officina, la prigione, il furgone della polizia, la strada di campagna, la ‘Casa del sogno’, il grande magazzino, la capanna, la caffetteria. Il 14 dicembre 1934 il diario di lavorazione riporta: “Girati gli interni dell’ufficio del direttore del carcere. Provati i dialoghi per la versione parlata della stessa scena”. E quattro giorni dopo: “Scena della ‘Casa del sogno’ non più girata con sonoro come annunciato”. Evidentemente non soddisfatto dei risultati, Chaplin accantona del tutto l’intenzione iniziale di girare il film completamente parlato. “Il film procede bene”, scrive nel gennaio del 1935 il manager dei Chaplin Studios, Alf Reeves, al fratello di Chaplin, “non ci sarà dialogo, ma molti effetti sonori e musica. Detto tra noi, ha provato alcune sequenze parlate, ma ha deciso di non utilizzarle, e la maggior parte di noi è d’accordo. Impoverisce il film”. Le riprese del film Per la prima volta, Chaplin non interpreta il solito ruolo del Vagabondo, ma quello di un operaio, un cambiamento questo così importante per lui da menzionarlo durante il procedimento legale intentatogli per plagio. Tempi moderni è il quinto film prodotto da Chaplin per la United Artists. Come d’abitudine, per proteggere il soggetto, Chaplin lo chiamerà solo con il numero corrispondente, dunque Production n. 5; messo in cantiere nell’autunno del 1933, il titolo definitivo venne annunciato solo il 18 luglio 1935, e depositato per il copyright della Library of Congress il 18 novembre. Anche in questo film Chaplin è protagonista sia davanti che dietro alla macchina da presa, ma accetta, per la prima volta, di dividere la scena con un’altra attrice, Paulette Goddard. Le riprese iniziarono l’11 ottobre 1934 con un solido staff tecnico e artistico. L’ultima ripresa riporta la data del 30 agosto 1935. La sola realizzazione del film richiese dunque undici mesi, anche se ci furono alcuni giorni di pausa o di riposo. (Christian Delage) L’altro finale La mattina del 30 agosto del 1935 la Sierra Highway vicino ad Acton, in California, fu chiusa per ultimare le riprese di Tempi moderni. La scena era quella finale, in cui Charlot e la Monella si allontanano verso l’orizzonte con lo schermo che si chiude a iris. Lo studio dei materiali rivela però che Chaplin modificò il finale dopo averne girato un altro, presente fin dalle primissime stesure della storia. L’impressione è che, reduce dal successo di Luci della città, Chaplin avesse pensato a un epilogo ugualmente ricco di pathos: quando l’operaio esce dall’ospedale scopre che la Monella, sconfitta dagli eventi, ha deciso di prendere i voti. I due si ritrovano per poi separarsi definitivamente. L’uscita di scena di Charlot rimanda quasi esattamente a quella di 20 anni prima con The Tramp il film che aveva inaugurato il finale chapliniano archetipico in la cui malinconia è stemperata dalla speranza di un futuro migliore. Il finale venne infine riscritto: nel congedarsi definitivamente dal suo pubblico, Charlot aveva deciso di non essere più solo. Un cambiamento sicuramente suggerito anche dalla presenza di Paulette Goddard: è evidente che fu lei, e l’amore che legava i due fuori dal set, a ispirare a Chaplin un film a due voci, nel quale Charlot trova finalmente il suo alter ego femminile. Già ballerina in alcune produzioni di Broadway come Ziegfeld Girl negli anni Venti, Goddard aveva tentato già la fortuna a Hollywood nel 1929 apparendo in ruoli non accreditati. Vi si era poi stabilita definitivamente nel 1932 dopo aver firmato un contratto con Samuel Goldwyn, e aver lavorato con Hal Roach rimanendo però relegata a ruoli minori. In quello stesso anno incontra Charlie Chaplin con il quale stringe un sodalizio artistico e sentimentale che durerà otto anni. Chaplin fa di Paulette una star: le fa prendere lezioni di canto, di ballo e di recitazione e le fa abbandonare la capigliatura biondo platino per tornare al suo colore naturale. Lei, è bellissima, vitale, ambiziosa e intelligente. La stampa celebra questa coppia perfetta. “Il legame che ci unì fu la solitudine” scriverà Chaplin nella sua autobiografia, a proposito dell'incontro con Paulette Goddard. “Paulette era appena arrivata da New York e non conosceva nessuno. Come Robinson Crusoe, scoprimmo tutti e due il nostro Venerdì”. Le due figure che si allontanano verso l’orizzonte portano a compimento perfetto la prima descrizione che Chaplin aveva dato dei due personaggi: “Sono gli unici due spiriti vivi in un mondo di automi. Sono veramente vivi. Entrambi possiedono l’eterno spirito della giovinezza e sono assolutamente privi di morale. Vivi perché sono bambini senza senso di responsabilità. Spiritualmente liberi, mentre il resto dell’umanità è oberata di doveri. Non c’è attaccamento romantico nel rapporto fra questi compagni di giochi, fra questi bambini legati nella colpa da una complicità ingenua e innocente”. Una colonna sonora miracolosa 18 novembre – 17 dicembre 1935. La colonna sonora di 83 minuti per Tempi moderni prende forma tra le mura degli studi di registrazione della Fox, affittati per l’occasione dalla United Artists, sotto la supervisione del suo compositore, Charles Chaplin. Durante la sessione di registrazione di quattro ore, una durata senza precedenti per gli standard dello studio, Chaplin conobbe momenti di soddisfazione e sconforto; quanto ai musicisti e al direttore d’orchestra, si trattò spesso di sottostare alle richieste esigenti di un compositore meticoloso e attento. Una volta completata la partitura per Tempi moderni, avrebbe composto le colonne sonore di tutte le sue produzioni a venire. Dal 1942 al 1976 compose le musiche per le riedizioni dei suoi film muti La febbre dell’oro (1942), Il circo (1968), Il monello (1971) e La donna di Parigi (1976). Nel 1959 si dedicò alle composizioni per le ‘featurettes’ Vita da cani, Charlot soldato e Il pellegrino, raccolte sotto il titolo di The Chaplin Revue, mentre le partiture per Idillio nei campi, Una giornata di piacere, Charlot e la maschera di ferro e Giorno di paga risalgono agli anni che vanno dal 1971 al 1976. Chaplin raggiunse l’apice della sua carriera di compositore proprio con la colonna sonora di Tempi moderni, una partitura innovativa ed estremamente complessa che segnò indubbiamente un balzo in avanti da un punto di vista musicale e pratico: Chaplin passò da un’orchestrazione per meno di 30 musicisti per Luci della città a un’orchestra sinfonica di 64 elementi richiesta da Tempi moderni. A dettare un organico così imponente fu la natura stessa del film: le sequenze portanti di Tempi moderni avrebbero suggerito un insieme complesso di “idee sinfoniche” a qualunque compositore. Come in Luci della città, la colonna sonora di Tempi moderni comprendeva al contempo musica ed effetti sonori, ma, a differenza della sua impresa precedente, Tempi moderni conteneva anche una sporadica presenza di parti parlate, disseminate all’interno dei quasi novanta minuti del film. Tuttavia, anche il dialogo è rigorosamente utilizzato come effetto sonoro, ne sono un esempio i monitor e gli altoparlanti in fabbrica, la radio nell’ufficio del direttore del carcere e il registratore del rappresentate di apparecchiature meccaniche. L’eccezione più significativa è costituita dalla versione di Titina, la celebre canzone di Léo Daniderff, interpretata da Chaplin verso la fine del film, che rappresenta la prima testimonianza sonora della voce del Vagabondo. La colonna sonora di Luci della città era, e resta tuttora, un successo sotto tutti i punti di vista, scaturita dal suo amore per la canzone, la danza e la tragedia, tutti elementi che permeano il ritmo del film e risultano chiaramente leggibili sulla partitura come sulle pagine di un libro. Tuttavia l’approccio adottato per Tempi moderni richiedeva una direzione musicale ben diversa. Normalmente Chaplin era affiancato dalla figura del ‘musicista associato’, che aveva il compito di assisterlo nella scrittura e nell’orchestrazione della partitura. Tre le figure chiave che assistettero Chaplin nella scrittura della monumentale partitura per Tempi moderni: il direttore d’orchestra e compositore Alfred Newman, l’arrangiatore Edward Powell e l’allora ventitreenne David Raksin. Quest’ultimo era stato assunto da poco dalla Broadway’s Harms/Chappell su raccomandazione di George Gershwin, ed era stato invitato da Chaplin a recarsi a Hollywood come suo assistente personale. Come di consueto, durante le riprese di Tempi moderni Chaplin ricevette molte celebrità in visita ai suoi studi. (Timothy Brock, direttore d’orchestra) L’uscita americana L’uscita di Tempi moderni a New York fu preceduta da una massiccia campagna di lancio. L’“Evening Journal” di New York organizzò un grande concorso a puntate in cui i lettori dovevano riconoscere, tra tanti diversi, il cappello, i baffi, i pantaloni, il bastone da passeggio e le scarpe di Charlot. Durante l’ultima settimana, per facilitare i partecipanti, Macy’s, il più importante dei grandi magazzini newyorchesi, allestì una le sue vetrine con gli abiti del Vagabondo. Fu un soldato a vincere il premio in palio di cento dollari e la sua foto finì sui giornali. Al Rivoli Theatre, dove ebbe luogo la serata di gala per la presentazione del film, il botteghino registrò $ 63.790 di incasso solo durante la prima settimana. Nelle settimane in cui la prestigiosa sala proiettò il film in esclusiva, fu registrato il più alto incasso nei diciotto anni della storia del Rivoli. Questo successo valse a Chaplin la medaglia d’oro della divisione cinematografica della League of Nations, assegnatogli dalla stampa. (Anna Fiaccarini, responsabile degli Archivi non filmici della Cineteca di Bologna) I nazisti proibiscono il film “In Germania il nuovo film di Charlie Chaplin Tempi moderni è stato messo al bando. L’agenzia Reuter ha appreso questo pomeriggio da un comunicato della sede del Ministero per la propaganda, che al momento non è previsto che il film venga distribuito nel Paese. Un altro portavoce nazista ha affermato che secondo notizie provenienti dall’estero il film presenterebbe un’‘impronta di stampo comunista’ ed è certamente questo il motivo per cui la pellicola è stata giudicata inaccettabile. Si tratta dell’ultima mossa dei nazisti nel loro tentativo di depurare la Germania da Chaplin. Le fotografie di Chaplin sono scomparse dalle vetrine di tutta Berlino, e secondo alcune voci una disposizione ufficiale ne avrebbe vietata la riproduzione. Nel loro ultimo spettacolo al music-hall di Berlino, i famosi clown Rivels hanno sostituito i baffetti e la bombetta del clown che interpretava Chaplin in una parodia del comico, con un altro travestimento. La scorsa notte, il direttore pubblicitario della Gaumont British Film Company A.E. Newbould ha suggerito che: ‘nonostante possa sembrare assurdo, ritengo che l’enorme somiglianza dei baffi di Chaplin con quelli di Hitler possano avere avuto un peso nella sua decisione di proibire il film’.” (Luigi Freddi, Il cinema. Il governo dell’immagine, CSC, Gremese Editore, 1994, pp. 81-82) L’uscita italiana Nel febbraio del 1936 Tempi moderni venne presentato a Londra; in marzo, a Parigi. In Italia e Germania il film incontrò però degli ostacoli, e nel nostro Paese l’ufficio censura rilascerà il nullaosta solo un anno più tardi. Attraverso un carteggio conservato presso l’Academy of Motion Picture Arts and Sciences è possibile ricostruire le ragioni che indussero a sospendere temporaneamente il film. Il 6 aprile del 1936, il signor Luporini, distributore italiano dei film della United Artists, scrive all’ufficio responsabile della distribuzione internazionale comunicando di essere stato informato che la polizia, in diverse città italiane, ha ricevuto istruzioni di ritirare Tempi moderni. Il 9 aprile scrive nuovamente confermando che, nonostante egli non avesse ricevuto alcuna notifica ufficiale dell’interdizione, i commissariati di polizia in tutta Italia avevano ricevuto l’ordine di bloccare la presentazione del film. Il responsabile dell’ufficio di distribuzione della United Artists a Londra scrive a Harold Smith – diplomatico americano in Francia che si apprestava a partire per l’Italia – , chiedendogli di indagare sull’accaduto ed eventualmente fare rimostranze a chi di dovere in relazione alla censura italiana di molti film della casa di produzione. Il diplomatico riceve una risposta dal suo corrispondente in Italia solo diversi mesi dopo, ma senza nuovi elementi di rilievo, se non il fatto che era stata notificata, in data 27 agosto, una lettera ufficiale che ordinava di sospendere il film dalla programmazione, senza però specificare i motivi di questa decisione. Per altre vie, l’ufficio newyorchese della United Artists riceve maggiori informazioni. Dall’ambasciata americana a Roma giungono le seguenti precisazioni sui motivi che hanno portato all’interdizione di diversi film tra cui Tempi moderni: “L’interdizione dei primi due film (These Three e Garden of Allah) è legata alla disapprovazione da parte del Vaticano; il terzo (Dodsworth) perché offende la concezione italiana di vita familiare; il quarto (Tempi moderni) poiché è incline al bolscevismo”. Confrontando queste motivazioni con le memorie di Luigi Freddi, capo della Direzione generale della cinematografia – dunque responsabile della censura in epoca fascista – questa ricostruzione dei fatti sembra essere inesatta. Infatti, a suo avviso, l’ostilità nei riguardi del film sarebbe stata alimentata da motivi esclusivamente di concorrenza commerciale, che sfruttarono i pregiudizi razziali nei confronti del regista. Secondo questa versione, prima che la censura avesse emesso il suo verdetto, sarebbero emersi altri elementi che contribuirono alla decisione di ritirare il film dalle sale. Dopo aver elogiato lo stile e la poesia delle immagini, Freddi passa all’analisi dell’aspetto politico e morale del lavoro, esprimendosi in questi termini: “In Tempi moderni l’autore condanna il super-capitalismo e il super-macchinismo della democrazia americana quanto tutte quelle forme di vita che riducono gli uomini a massa e, con esse, mi sembra chiaramente il socialismo e il comunismo. L’episodio della bandiera rossa è in ciò indicativo. Ma Charlot da individualista quale egli è, oltre i regimi politici condanna e disprezza le folle e le loro passioni e manifestazioni. Questa mentalità e questo atteggiamento devono essere anche capiti, in quanto gli elementi condannati da Charlot in questo film, sono quelli condannati, in parte, dallo stesso fascismo. Anche noi siamo contro il super-meccanismo, l’abbrutimento dell’operaio, contro la massa ridotta a gregge, come in Russia, o aggiogata alla macchina, come in America.” Il verdetto del censore fu il seguente: 1) Potrebbe essere non politicamente opportuno proibire un film di Charlot del quale tutti hanno sentito parlare. 2) Il film ha per bersaglio principalmente il mondo americano e ciò esorbita dalle nostre opportunità censorie. Comunque, si resta in attesa delle superiori decisioni. Il Duce vide il film, si divertì e ordino di concedere il nullaosta. Suggerì soltanto di togliere una scena: quella in cui Charlot, carcerato, si ciba involontariamente di droga. Il Duce osservò che, anche se la scena era caricaturale, non si doveva portare dinanzi a milioni di persone il problema degli stupefacenti. “Spesso – egli disse – basta l’enunciazione di un problema perché se ne determinino gli effetti”. Tempi moderni tuttavia non fu accolto positivamente dalla critica filofascista. Vittorio Mussolini sul “Popolo d’Italia” del 20 aprile 1937 afferma che il film presenta indubbi segni di agonia: “Chaplin, complice forse la giovane Paulette Goddard, si è sepolto con le sue stesse pesanti pietre di filosofo moderno”. Tra i suoi colleghi della rivista “Cinema” serpeggiava lo stesso giudizio. La satira sociale, in questa forma, e manifestazione tipica di spiriti deboli e poco virili, sempre propensi a cercare fuori di loro, e in cause estranee al dominio, le ragioni prime di una decadenza spirituale. I seguaci dell’individualismo, memori della vita comoda e signorile dell’anteguerra, si lasciano facilmente sedurre dalla tentazione di accusare la macchina... che non può difendersi”. (Anna Fiaccarini) Tempi moderni nell’Archivio Chaplin I materiali cartacei e fotografici relativi a Tempi moderni presenti all’interno dell’archivio Chaplin ammontano a quasi 3.000 pagine e documentano praticamente tutte le fasi della realizzazione del film in un arco di tempo che si estende dai rapporti di produzione e i diari di lavorazione datati settembre 1933, alla rassegna stampa successiva alla prima del film, nel febbraio del 1936, fino ai carteggi relativi alla riedizione della pellicola negli anni Cinquanta e Settanta. Centinaia le carte di appunti preparatori in maggioranza dattiloscritti (con note manoscritte a margine o sul retro delle pagine) tra cui una prima sinossi della storia e alcune bozze di soggetto e trattamento dai titoli provvisori The Masses (in cui sono già presenti i tratti salienti della storia) e Commonwealth. Gli appunti per la storia, le prime forme di caratterizzazione dei personaggi e gli spunti per gag e numeri comici sono per lo più divisi in plichi dotati di titoli autonomi come Strike Sequence, Cafe Sequence, Dynamo Set, Robot Sequence. Numerose le varianti non utilizzate. Sono inoltre presenti diversi appunti per le didascalie e copioni per la maggior parte delle scene, indicazioni per la registrazione e la sincronizzazione delle musiche, carteggi tra Alfred Reeves, David Raksin e Alfred Newman, spartiti (Je cherche après Titine, anche in versione manoscritta, e Smile), guide e brochure pubblicitarie, certificati di copyright (Library of Congress) e censura (Breen Office), contratti con gli attori, statistiche sugli incassi e rapporti di produzione, documenti riservati in relazione alle accuse di plagio da parte della Film Sonores Tobis produttrice di A nous la liberté. Estremamente ricca la parte della corrispondenza. Antologia critica Ammiro troppo il Signor Chaplin per ritenere che l’elemento più importante del suo nuovo film sia costituito da quei pochi minuti in cui ci è consentito di ascoltare la sua voce, piacevole e profonda, in una canzone. Il piccolo uomo ha decisamente fatto il suo ingresso nel mondo contemporaneo. Fino ad ora il suo coraggio e le sue vicissitudini avevano sempre avuto un retrogusto ‘antico’, non solo per via delle torte alla crema dell’epoca di Karno, ma per i suoi modi, per quell’abbigliamento singolare, per il suo senso di pathos e quella sua povertà un po’ datata. Un cambiamento evidente c’è stato anche nella scelta dell’eroina: fin qui erano chiare di capelli e carnagione, prive di lineamenti memorabili, con quell’effetto di sbavatura degli acquerellisti alle prime armi. Mentre Paulette Goddard, con la sua capigliatura corvina, sudicia, con quella faccia divertente, urbana e plebea, è una garanzia che il piccolo uomo non rimarrà vittima di un’altra situazione sdolcinata, il pathos della ragazza cieca e del bambino orfano. Per la prima volta il piccolo uomo non si congeda da solo, con la sua bombetta malconcia e il bastone che ondeggia lungo la strada infinita fin fuori dallo schermo. Stavolta si allontana in compagnia, pronto a cogliere quello che il futuro ha in serbo per lui. Fino a quel momento gli era toccato un lavoro in un’enorme fabbrica a stringere i bulloni di una macchina senza nome che gli scivolavano davanti su un nastro trasportatore. Dopo aver lasciato l’ospedale viene scambiato per un leader comunista e quindi arrestato, e dopo aver sventato una rivolta in prigione viene nuovamente rilasciato. Disoccupazione e detenzione fanno da contrappunto alla sua esistenza, così come la fame e i colpi di fortuna, e in un qualche momento il corso della sua vita si lega a un altro essere umano rifiutato dal sistema. Qualunque siano le sue convinzioni politiche, il Signor Chaplin è un artista e non un uomo di propaganda. Non cerca di spiegare ma presenta con vivida fantasia quello che gli sembra un mondo folle e tragicomico che avanza senza una strategia. Ma nel suo disegno della fabbrica disumana non c’è niente che ci lasci supporre che il piccolo uomo si sentirebbe più a casa a Dneipostroi. Chaplin si limita a presentare la realtà senza offrire delle soluzioni politiche. Graham Greene, Tempi moderni, “The Spectator”, 14 febbraio 1936 Alla sua uscita, nel 1936, Tempi moderni fu accolto con qualche riserva. Fu questo film a suscitare le prime insofferenze nei confronti di un clown e della sua tendenza a filosofeggiare sull’uomo e sulla società. Oggi, al contrario, emergono con forza sia la distanza con cui Chaplin guarda il suo oggetto che il primato costante dello stile. Intendiamoci, con questo non voglio dire che la forza e il valore della sua parabola trovino oggi, al di là delle polemiche circa la sua attualità, una migliore espressione. Criticare il ‘regno delle macchine’ e la divisione del lavoro non ha, effettivamente, piu molto senso, e la critica al capitalismo che emerge dal film potrebbe applicarsi anche allo stacanovismo sovietico; a quanto pare infatti, Tempi moderni fece alzare ‘un vento freddo’ su Mosca. Tempi moderni e tutt’altro che un ‘film a tema’ e se Chaplin effettivamente si schiera a favore degli uomini contro la società e le sue macchine, il suo messaggio non si pone su un piano politico o sociologico, ma unicamente morale, e sempre attraverso un esercizio del suo stile. Lo slancio creativo deriva sempre dall’intenzione comica ed è la perfetta messa in scena di ogni situazione a far emergere il significato. Più che affermare che Charlot sia dalla parte dei poveri, sarebbe più appropriato dire che sono i poveri a fianco di Charlot, ovvero dalla parte dell’uomo, il perno di ogni situazione resta, tuttavia, l’individualismo assoluto del Vagabondo. Tempi moderni e dunque un susseguirsi di situazioni comiche incentrate attorno a Charlot e al tema comune della vita industriale con le sue conseguenze. È questo l’aspetto che rende questo film diverso dai lungometraggi precedenti di Chaplin, in particolare da Luci della città, considerato spesso il suo capolavoro; ed è forse proprio questo il suo punto di forza. Non esiste, in Tempi moderni, una sola scena volta a illustrare un’idea astratta; al contrario, le idee scaturiscono dalle situazioni e sembrano traboccare in ogni direzione. Tempi moderni appare come la sola favola cinematografica che sappia cogliere lo sconforto dell’uomo del Ventesimo secolo di fronte alle meccaniche sociali e tecnologiche. Non è la prima volta che Chaplin ci diverte mettendo in scena l’eterna lotta di Charlot con gli oggetti. Contro la loro ostilità, Charlot si avvaleva di una furbizia tutta spirituale, trovando loro un diverso impiego rispetto a quello a cui erano destinati. Per sconvolgere e disorientare la cattiveria delle cose, faceva finta di scambiarle per altre. In questo senso, l’intero film dovrebbe essere considerato come una trasposizione del conflitto dell’uomo con le cose che ha creato, che viene elevato, per mezzo della macchina, al livello della Storia e della Società. Ciò che prima era il motore delle singole gag, diviene qui il tema generale e morale dell’intero film. Il film di Chaplin, completamente muto, appariva allora desueto e anacronistico. Ma il tempo, cancellando le prospettive, lo restituisce al suo classicismo e rivela chiaramente che al di la degli stili, l’importante e lo stile. E più che lo stile, il genio. André Bazin, Le Temps rend justice aux Temps modernes, “Arts”, n. 485, 13 ottobre 1954 Invischiato nella sua fame cronica, l’uomo-Charlot si situa sempre un gradino al di sotto della presa di coscienza politica: lo sciopero è per lui una catastrofe perché minaccia un uomo letteralmente accecato dalla fame; quest’uomo non raggiunge la condizione operaia se non nel momento in cui il povero e il proletario vengono a coincidere sotto lo sguardo (e i colpi) della polizia. Storicamente Charlot riprende a un dipresso l’operaio della Restaurazione, il manovale in rivolta contro la macchina, disorientato dallo sciopero, dominato dal problema del pane (nel vero senso della parola), ma ancora incapace di accedere alla conoscenza delle cause politiche e all’esigenza di una strategia collettiva. Ma appunto perché Charlot rappresenta una specie di proletario bruto, ancora al di fuori della Rivoluzione, la sua forza rappresentativa e immensa. Nessuna opera socialista e ancora arrivata a esprimere la condizione umiliata dal lavoratore con tanta violenza e generosità. Il povero si trova continuamente tagliato fuori dalle sue tentazioni. È per questo in fondo che l’uomo Charlot trionfa di tutto: proprio perché sfugge a tutto, respinge ogni accomandità, e nell’uomo non investe altro che l’uomo solo. La sua anarchia, discutibile politicamente, in arte rappresenta la forma forse più efficace della rivoluzione. Roland Barthes, Mythologies, Paris, Éditions du Seuil, 1957 La forza del film sta proprio nell’aver scelto a protagonisti due personaggi che non vogliono cambiare il mondo, ma, più umilmente, inserirsi alla meno peggio. Perché il film riceve forza da questa scelta? Crediamo perché esso punta non già sul futuro e sull’utopia ma sul passato e sul senso comune. Il protagonista e un disoccupato, un derelitto, un paria ma non un rivoluzionario né un rivoltato, perché, se lo fosse, allora non soffrirebbe nella sua carne le contraddizioni dei tempi moderni, sarebbe un eroe consapevole ossia una proiezione dell’autore, vale a dire un intellettuale, poco rappresentativo come tutti gli intellettuali. Soltanto, infatti, un protagonista come il Charlot di Tempi moderni, privo non solo di coscienza di classe ma anche di qualsiasi coscienza, può far diventare comiche le sequenze sul macchinismo. La comicità, oltre che dalla bravura del clown Chaplin, deriva dal fatto che Charlot ‘non sa’ di essere un operaio, si crede in buona fede un uomo come tutti gli altri. Di fronte alla ricchezza e alla celebrità, Chaplin reagisce secondo il senso comune, come tutti i classici: cercando di liberarsene attraverso la rappresentazione della povertà e dell’insuccesso. Alberto Moravia, Un clown su misura per i ceti medi, “L’Espresso”, 12 marzo 1972 dall’8 dicembre Il Cinema Ritrovato. Al cinema Tempi moderni www.cinetecadibologna.it Classici restaurati in prima visione di Charles Chaplin www.ilcinemaritrovato.it edizione restaurata anni e molte cose cambiano nel suo Paese. Il dittatore Adenoid Hynkel ha instaurato in Toma- nia una dittatura repressiva e violenta e il ghetto, dove il barbiere viveva, subisce i continui attac- chi dei militari che imbrattano le vetrine dei negozi con la scritta "jew". Il barbiere non riesce a capire la gravità della situazione e sbeffeggia i militari. La pena per un simile affronto sarebbe l'impiccagione ma, all'ultimo momento, l'uomo viene salvato da Schultz che, riconoscendolo, decide di ricambiare il favore ricevuto tanti anni prima, salvandogli la vita. Intanto Hynkel proget- ta di invadere l'Ostria e da lì procedere con la conquista dell'intero Pianeta. Schultz rifiuta di © Roy Export Company S.A.S assecondare i criminali e follli piani del dittatore, condannandosi così alla prigionia in un campo di concentramento. Da qui riesce fortunatamente a SCHEDA DIDATTICA Per le scuole secondarie di primo e secondo grado scappare, ritrovando, nel ghetto, il barbiere ebreo. I due cercano di elaborare un piano cospiratorio contro Hynkel ma, scoperti, vengo- no catturati e confinati in un campo di concen- tramento. Quando la situazione si sta facendo ormai disperata, con il dittatore che ha conqui- stato anche l'appoggio militare del dittatore di Batalia, Bonito Napoloni, ecco che sembra IL GRANDE DITTATORE un film di Charlie Chaplin (USA/1940) 126' arrivare una soluzione definitiva. Il barbiere, in tutto e per tutto identico fisicamente al ditta- tore, verrà spacciato per quest'ultimo che nel frattempo è stato arrestato perchè scambiato,a sua volta, per l'altro. Pochi film hanno saputo imporsi nell'immaginario collettivo con tanta forza e profondità quanto il capolavoro di Charlie Chaplin: Il grande dittatore; SECONDA GUERRA MONDIALE Considerato uno dei capolavori della storia del un'opera che, attaverso un uso dissacrante della cinema mondiale, Il grande dittatore gioca a parodia, ha saputo analizzare, con grande lucidità, rappresentare in maniera estremamente esplici- una delle pagine più tragiche della Storia. Chaplin, ta Hitler e la Germania nazista. Individua, nel regista e protagonista del film, utilizza la figura del film, gli elementi che fanno riferimento a quel "doppio" per dare vita a una situazione paradossale, periodo. in cui attraverso il sovvertimento dei ruoli e la rottura dell'ordine costituito, colui che è vittima del sistema acquista improvvisamente potere mentre il gran dittatore di cui è sosia, viene arrestato e imprigionato. COMMEDIA/TRAGEDIA La scelta di Chaplin di trattare un argomento Siamo nel 1940 e il grande dittatore e il suo sostituto tanto tragico in una chiave comica che effetto ha hanno le fattezze di Adolf Hitler. sul tono della narrazione? Acuisce o smorza la tragicità della rappresentazione? SINOSSI Prima guerra mondiale. Durante una pericolosissima operazione aerea, un barbiere ebreo che sta combat- MUSICA Nel film, c'è una sequenza dove la musica ha un tendo nell'esercito della Tomania, salva la vita all'uffi- ruolo estremamente importante. Ricordi qual è? ciale Schultz. A causa dell'impatto, il barbiere perde la In che modo enfatizza le immagini? memoria e viene ricoverato in ospedale. Passano gli PUNTO DI VISTA Chaplin, oltre ad essere il regista e produttore del film, ne è anche l'interprete principale, vestendo i panni sia Curiosita’ del personaggio del barbiere che quelli del dittatore. Ciò determina una precisa posizione dell'autore rispetto alla storia o è una scelta puramente formale? CENSURA A causa del potere nazifascista in Europa, la distribuzione del film fu vietata in molti Paesi fino al 1945. In Inghilterra, il film fu inizialmente DITTATURA e PAURA Nel film uno dei temi centrali è quello del rapporto fra censurato per paura di incrinare ulteriormente i rapporti con la Germania. La pellicola vide la sua potere e paura. Secondo te quali sono le strategie prima proiezione a Londra nel 1941. In Italia, non attraverso cui le dittature esercitano il proprio potere e fu possibile vedere il film fino al 1949, quando fu alimentano le paure dei popoli? distribuito con il titolo Il dittatore. La pellicola subì grossi tagli, ben 25 minuti. Fra le parti tagli- ate anche il discorso finale che venne quasi IL DOPPIO Nel film, il personaggio del barbiere e quello del ditta- dimezzato perchè considerato troppo lungo. Altre modifiche rispetto all'opera originale tore sono l'uno speculare all'altro. Secondo te, quali riguardarono il personaggio ispirato alla figura di sono i momenti, nella storia del film, che maggior- Benito Mussolini. Nella prima versione italiana, si mente evidenziano le differenze fra i due personaggi? chiamava Benzino Napaloni invece che Bonito Napoloni ed era dittatore di Bacteria. Nel 1972, in una nuova edizione, il film venne intitolato Il LA GUERRA Come Il grande dittatore uscito in pieno conflitto, altre grande dittatore, Napoloni riprese il nome origi- nale di Bonito e divenne dittatore di Batalia. due opere di Chaplin sono state realizzate durante la guerra: Charlot soldato e The Bond usciti entrambi nel 1918. Aver lavorato quando ancora il conflitto era in atto pensi che abbia pregiudicato la capacità critica dell’autore? CHARLOT Il grande dittatore è l'ultimo film di Chaplin in cui compare la maschera di Charlot, incarnazione di un ideale di innocenza e semplicità. Secondo te, c'è un legame fra l'addio definitivo a questa maschera e quanto raccontato in questo film? DISCORSO FINALE C'è una sequenza, all'interno del film, in cui il pensiero di Chaplin è espresso in maniera evidente attraverso le parole di uno dei personsaggi. Puoi dirmi qual è? UOMO MACCHINA Chaplin, in tutta la sua filmografia, è tornato spesso sul rapporto uomo-macchina e sul riconoscimento della libertà di ogni individuo, vedi l’appello finale in cui Charlot invita i soldati a resistere contro i dittatori, descritti come inumani ovvero come «uomini-macchine con una macchina al posto del cervello e una macchina al posto del cuore!». Rifletti sul rapporto uomo e © Roy Export Company S.A.S macchina oggi. Charlie Chaplin IL GRANDE DITTATORE LA STORIA DEL FILM Il Dittatore così come appare sullo schermo assomiglia abbastanza a ciò che volevo realizzare. Avevo una storia da raccontare e qualcosa da dire. L'ho detta. Mi ha dato molta soddisfazione. Credo che il lm sia comico quando voleva essere comico […]. Il grande dittatore non è un lm di propaganda. È la storia del piccolo barbiere ebreo e del potente dittatore a cui, per caso, assomiglia. È la storia dell'ometto di sempre che ho raccontato per tutta la vita. Il punto di vista della narrazione è simile a quello che a suo tempo potevano avere La capanna dello zio Tom o Oliver Twist. Forse 'compassione' è un temine migliore di propaganda? (Charlie Chaplin, “The New York Times”, 28 ottobre 1940) Chaplin, che notoriamente manteneva il riserbo più assoluto sulla creazione dei suoi lm, fu costretto a ripercorrerne la genesi nel corso di una deposizione per un caso di plagio. Konrad Bercovici, scrittore e sceneggiatore rumeno di origini ebree a cui Chaplin aveva chiesto di lavorare ad alcuni soggetti politici , sosteneva di avergli fornito sia l’idea di interpretare Hitler sia quella del doppio ruolo. Chaplin dichiarò invece che era stato Alexander Korda a suggerirgli di realizzare una commedia sui dittatori basata sul vecchio escamotage dello scambio di persona, sulla falsariga del Prigioniero di Zenda, ma che l’espediente era già presente nel suo progetto su Napoleone Bonaparte, nel quale l’imperatore, esiliato a Sant’Elena, veniva sostituito da un sosia per fare ritorno segretamente in Francia. Dalla deposizione di Chaplin e da fi fi fi quella dei suoi collaboratori emerse inoltre con chiarezza che a fornire lo spunto fu principalmente la stampa, che ironizzava con insistenza sulla somiglianza tra Charlot e il Führer già dal 1933. In particolare, nel febbraio 1936, le pagine di tutti i quotidiani d’America furono inondate da vignette satiriche alla notizia che Hitler aveva messo al bando Tempi moderni, accusato di essere un lm di ispirazione comunista, realizzato da un ebreo ma soprattutto interpretato dal comico più famoso al mondo la cui sionomia, in particolar modo i baf , ricordava in maniera offensiva quella del Führer. (Cecilia Cenciarelli) Inevitabilmente, Il dittatore doveva segnare una serie di rivoluzionarie modi che nei metodi di lavoro chapliniani: era il suo primo lm veramente parlato, dunque per la prima volta doveva partire da una sceneggiatura vera e propria. Al vecchio sistema di completare una sequenza alla volta, alternando periodi di preparazioni e riprese, magari cambiando idea e scegliendo o scartando soluzioni alternative man mano che il lavoro procedeva, si doveva sostituire una fase preparatoria il più possibile completa e precisa; e gli appunti dettati da Dan James [assistente alla regia di Chaplin] alla Pryor [Kathleen Pryor, una delle segretarie di edizione] documentano le varie trasformazioni subite in questa fase dal progetto. Premessa originaria e chiave di volta del lm doveva essere la somiglianza sica fra il dittatore e un piccolo ebreo, e tutte le versioni preliminari del soggetto cominciano con il ritorno nel ghetto dei soldati ebrei, molti fra loro sicamente menomati, alla ne della guerra mondiale. Tutti ricevono il più affettuoso benvenuto da mogli e parenti, tranne “il piccolo ebreo” (ovviamente congedato dopo il servizio prestato in Charlot fi fi fi fi fi fi fi fi fi soldato) che “si aggira solitario per le vie del ghetto” e “assetato d'affetto nisce per abbracciare un palo della luce”. (David Robinson) Mentre ero a metà del Dittatore cominciai a ricevere allarmanti comunicazioni da parte della United Artists. L'uf cio Hays li aveva avvertiti che stavo per cacciarmi nei guai. Anche quelli della sede inglese erano molto preoccupati all'idea di un lm anti-hitleriano e dubitavano che lo si potesse proiettare in Gran Bretagna. Ma io ero deciso a tirare avanti, perché Hitler doveva essere messo alla berlina. Se avessi conosciuto gli orrori dei campi di concentramento tedeschi non avrei potuto fare Il Dittatore; non avrei certo potuto prendermi gioco della follia omicida dei nazisti. Ma ero ben deciso a mettere in ridicolo le loro mistiche scemenze sulla purezza del sangue e della razza. [...] Altre lettere preoccupatissime mi furono spedite dall'uf cio di New York, per implorarmi di non fare il lm, dichiarando che non sarebbe mai stato proiettato né in Inghilterra né in America. Ma io ero deciso a portarlo a termine, avessi anche dovuto noleggiare personalmente le sale da proiezione. (Charlie Chaplin) Dalla stesura delle prime bozze di Il grande dittatore alla sua uscita in sala, trascorsero esattamente due anni, durante i quali mutarono gli assetti mondiali: il 12 novembre 1938, tre giorni dopo la famigerata Notte dei cristalli, Chaplin fece richiesta di depositare il titolo The Dictator alla Library of Congress. Un mese dopo, la stampa diffuse la voce che il progetto sarebbe stato accantonato per non peggiorare le sorti degli ebrei in Europa, notizia che rimbalzò anche nei primi mesi del 1939 e fi fi fi fi fi che Chaplin smentì puntualmente, dichiarando senza esitazione che né gli eventi storici, né le intimidazioni dei censori, le pressioni politiche del consolato britannico o del governo, sarebbero riusciti ad dissuaderlo. Era pronto a investire personalmente due milioni di dollari e, cosciente che la pellicola sarebbe stata bandita in molti paesi in Europa e America Latina (solo la Gran Bretagna e i suoi Dominion rappresentavano il 35% del mercato), era determinato a distribuire il lm in maniera indipendente e fuori dai circuiti commerciali tradizionali. Nell’estate del 1939 Chaplin annunciò che avrebbe devoluto tutti i proventi europei del lm alla causa ebraica. Le copie della sceneggiatura furono distribuite il 3 settembre 1939, giorno in cui l’Inghilterra dichiarò guerra alla Germania. La mattina del 9 settembre 1939, otto giorni dopo lo scoppio del secondo con itto mondiale, fu battuto il primo ciak sul set del ghetto. (Cecilia Cenciarelli) fl fi fi Sul set Il grande dittatore fu il primo lm di Chaplin completamente scritto e meticolosamente piani cato e sono poche le eccezioni in cui la scrittura lasciò spazio all’improvvisazione, non a caso in due momenti del lm completamente muti, due vere e proprie danze. La prima: la rasatura coreografata sulle note della Danza ungherese n. 5 di Brahms, che Chaplin provò e riprovò per oltre tre ore il pomeriggio del 30 settembre 1939, utilizzando una versione riorchestrata della musica. La seconda – una sorta di risposta speculare della prima – quella di Hynkel con il mappamondo accompagnata dal preludio del Lohengrin di Wagner, più piani cata nei movimenti (anche perché prevedeva l’uso di funi) ma comunque ‘riscritta’ da Chaplin, che eliminò la spada e l’ombrello che guravano nell’ultima versione scritta. In ne, il primo comizio di Hynkel, in cui i dialoghi riportano solo la parola “gergo”. Le riprese del comizio si tennero, nella San Fernando Valley vicino a Los Angeles, il 30 dicembre 1939, esattamente una settimana dopo aver completato la danza col mappamondo: “Penso che su quella scena saremo tornati almeno una dozzina di volte – ricorda Dan James – con tutte le comparse schierate di fronte a lui, Charlie disse ‘girate, girate senza fermarvi, tenete il motore acceso’ e andò avanti con quel suo gergo insensato per oltre duecento metri di pellicola. La temperatura superava i trentasette gradi all’ombra”. (Cecilia Cenciarelli) A dicembre Chaplin aveva già cominciato le scene di Hynkel. Splendido attore, Chaplin entrava sempre totalmente nel ruolo che stava sostenendo, come i suoi colleghi hanno testimoniato; e quando per la prima volta indossò i panni di un personaggio fi fi fi fi fi fi crudele e dispotico, rimase sconcertato egli stesso dai risultati. Reginald Gardiner [che nel lm interpreta Schultz] ricordava bene che quando arrivò per la prima volta sul set pronto a girare nell'uniforme di Hynkel, Chaplin apparve subito più freddo e più asciutto nei modi di quando interpretava il barbiere; e raccontava anche che un giorno, mentre stavano andando insieme in auto – Chaplin era già in uniforme – verso il luogo dove dovevano girare un esterno, Chaplin improvvisamente cominciò a insolentire il conducente di un'altra macchina davanti alla loro che stava procedendo troppo piano. Immediatamente si riprese, e accennò ridendo a una precedente discussione sui poteri dell'uniforme e sul falso senso di superiorità che può creare. “È solo perché ho addosso questa dannata cosa che mi comporto così”. (David Robinson) fi IL DISCORSO FINALE Per concludere: il nale. Mi sembrava la ne più logica per questa storia. Qualcuno ha scritto che è in contrasto con il personaggio del barbiere. E con ciò? Cosa c'è di male ad aver deciso di concludere la mia commedia con una nota che ri ette, in modo onesto e realistico, la situazione in cui viviamo facendo appello a un mondo migliore? Sarebbe stato molto più semplice far scomparire il barbiere e Hannah sulla linea dell'orizzonte, al tramonto, in cammino verso la terra promessa. Ma non esiste alcuna terra promessa per gli oppressi del mondo intero. Non esiste nessun luogo oltre l'orizzonte in cui possano rifugiarsi. Devono cercare di restare in piedi, come noi. (Charlie Chaplin, 1940) Il momento clou del lm arriva alla ne. Invece di arringare la folla come tutti si aspettano, Charlie pronuncia un appello potente e ostinato a favore della democrazia, della tolleranza e del buon senso. È un discorso straordinario, una sorta di Discorso di Gettysburg di Abraham Lincoln in inglese hollywoodiano, uno dei messaggi di propaganda più forti che abbia sentito da molto tempo. […] Qual è, dunque, il dono speciale di Chaplin? È la capacità di rappresentare l’essenza più profonda dell’uomo comune, di riporre una ducia incrollabile nell’etica, nella moralità che risiede nel cuore delle persone comuni. Viviamo in un’epoca in cui la democrazia sta progressivamente scomparendo, il mondo fi fi fi fi fi fl è messo in scacco da dei ‘superuomini’, il concetto di libertà ci viene spiegato da capo e i ‘paci sti’ trovano argomentazioni per giusti care il rastrellamento degli ebrei. (George Orwell, The Great Dictator, “Time and Tide”, 21 dicembre 1940, poi in All Art Is Propaganda: Critical Essays by George Orwell, a cura di Keith Gessen, Mariner Books, New York 2009) L’ultima gag del lm è quella in cui, per la prima volta, Chaplin parla. È lui che pronuncia la requisitoria. I formalisti e gli esteti gli hanno rimproverato questa scelta, per loro la trama dell’opera è più importante dell’appello di un essere umano. Ma Chaplin la pensa diversamente. Film dopo lm ha maturato l’urgenza della protesta sociale. Nelle sue comiche, e anche ne Il monello, la sua critica era rivolta alla divisione tra ‘buoni’ e ‘cattivi’. Eppure l’incubo sanguinoso del fascismo, frutto ripugnante del capitalismo, ha dato a Charlot la voce per gridare la sua protesta a pieni polmoni. (Sergei M. Eisenstein, 1941, in La protesta di Chaplin nel giudizio di Eisenstein, “L’Unità”, 3 febbraio 1961) Durante gli anni Trenta, un lungo viaggio nel cuore dell’Europa avviata verso la Seconda guerra mondiale permise a Chaplin di allargare ulteriormente gli orizzonti delle sue ri essioni. Probabilmente, tra tutte le personalità che ebbe occasione di incontrare, quella che maggiormente esercitò un impatto sul suo pensiero, perché forse più af ne già in partenza, fu proprio Albert Einstein. Nel marzo del 1931, durante la sua tappa berlinese, Chaplin fu invitato a prendere un tè nella casa a sud- ovest della città dove Einstein riceveva regolarmente scienziati, fi fi fi fi fi fl attivisti, scrittori, loso , giornalisti e artisti, con cui discuteva di teoria quantistica, guerra, razzismo, religione, politica e sionismo. Da quanto si deduce leggendo i suoi diari di viaggio, l’incontro offrì a Chaplin un’occasione per sfoggiare il suo neonato interesse per la materia politico-economica, per esporre il suo punto di vista su questioni complesse quali l’effetto dell’introduzione delle macchine sulla richiesta di manodopera, il sistema capitalistico, il prezzo del denaro e il sistema aureo. Ma di fatto appare indubbio che il vero terreno di condivisione tra Chaplin e Einstein fosse quello di un profondo umanesimo nella sua accezione più moderna, la ducia nella ragione scienti ca e i valori di una libera condizione individuale e collettiva. Nell’appello nale del Dittatore riecheggiano gli scritti, le lettere pubbliche e i discorsi pronunciati da Einstein durante la prima metà degli anni Trenta: la sua esortazione all’uomo a riappropriarsi delle proprie sorti e ad ostacolare in ogni modo l’asservimento del progresso al nazionalismo distruttivo. (Cecilia Cenciarelli) L'appello agli uomini non tratta il nazismo come un incidente di percorso della storia, ma come il frutto di una scelta che è insieme politica ed etica. Quando mette in scena le paranoie di Hynkel e dei suoi proseliti (Goering e Goebbels in primo luogo, ma anche il buffonesco Napoloni), rappresenta un mondo che è moralmente votato alla scon tta, ma con la consapevolezza che questa scon tta non è altro che un sogno, l'infrazione di quel minimo di paradigma di realtà che rimane nella deformazione comica. Alle parole incomprensibili e violente di Hynkel, ai suoi urli scomposti e rabbiosi, oppen l'accoratezza di una presa di posizione etica, non un'ideologia opposta e perciò fi fi fi fi fi fi fi complementare. Il nazismo – sembra dirci Chaplin – non si combatte con un diverso programma politico, democrazia o comunismo che sia, bensì solo gridando il proprio sdegno e la propria illusione. È facile oggi – col senno di poi – accusare di ingenuità l'appello agli uomini che chiude il lm: facile da destra, per evitare corresponsabilità e sensi di colpa più o meno revisionisti – e facile da sinistra, come a dire un più solido impianto politioc, per esempio marxcista, avrebbe avuto più successo sulla storia. Come se un lm potesse cambiare il mondo... Non è escluso che Chaplin ci abbia in qualche modo creduto, ma non cambia nulla: quello che conta è che ci ha rivolto quelle parole e non altre. […] Intendiamoci: non c'è da scherzare né sul nazismo, né sull'Olocausto; ma ciò non toglie che si possano deridere coloro che li hanno sostenuti o li sostengono tuttora. L'evidenza della crudeltà e della prevaricazione che è alla base di ogni fascismo colpisce più in quelle parole retoriche che non in un trattato di politica che pochi leggerebbero. In questo senso Il dittatore è ancora un lm estremamente moderno. (Giorgio Cremonini) fi fi fi L'USCITA IN SALA È un grande lm, valeva proprio la pena farlo ma non incasserà un soldo. (Harry Hopkins, consigliere di Roosvelt, a Chaplin) L’uscita in sala del Dittatore rappresentò un evento mediatico senza precedenti: il lancio pubblicitario fu condotto su due piani non solo distinti, ma ideologicamente antitetici. Da un lato la United Artists puntava sull’impegno paci sta di un autore maturo, che con il suo primo lm parlato, ma anche il più ambizioso e perfetto, s dava le dittature e i regimi totalitari. Dall’altro lanciava, all’interno di guide coloratissime, una seconda strategia promozionale destinata esclusivamente a tranquillizzare gli esercenti, attraverso la quale trasformava i simboli dell’ideologia nazista in rassicuranti prodotti commerciali a uso e consumo della famiglia americana. Oltre alle ‘decorazioni a tema’ pensate per le sale – palloncini, stendardi e striscioni con la ( nta) svastica, sagome cartonate dei dittatori a grandezza reale – la United Artists proponeva una serie di gadget per bambini, che includeva, tra l’altro, la fascia da braccio e la spilla con la doppia croce, una maschera del Führer e una serie di cartoline ologra che in cui il piccolo ebreo si trasformava nello spietato dittatore, braccio alzato e saluto romano. (Cecilia Cenciarelli) fi fi fi fi fi fi Per Il grande dittatore (il suo lm più costoso per l'uso monumentale di comparse, per la ricchezza delle scene e dei costumi, per il sonoro), Chaplin si espose al rischio di un asco commerciale da due milioni di dollari. Era consapevole del fatto che la maggior parte dei mercati europei avrebbe ri utato di distribuire il lm. In Italia, per esempio, il Minculpop emanò una perentoria disposizione: "Ignorare la pellicola propagandistica dell'ebreo Chaplin"; peraltro, anche la riedizione di Il grande dittatore nel 1961 rimase a lungo in censura: fu avanzata la proposta di tagliare tutte le scene in cui appariva Napaloni/ Mussolini, poi ci si limitò a tagliare quelle in cui appariva la moglie del personaggio, per evitare le eventuali reazioni della vedova Mussolini, unica persona vivente fra quelle a cui il lm alludeva. Nonostante le avversità, Il grande dittatore è stato, tra tutti i lm di Chaplin, il maggiore successo in termini commerciali. Chaplin aveva colto perfettamente gli stereotipi della rappresentazione del potere: nel lm le scene dei raduni o delle parate militari sono costruite tenendo in mente l'iconogra a del comizio (l'uomo solo, di spalle e in primo piano, guarda la massa informe); evidente appare anche lo studio dei lmati di propaganda, l'analisi attenta delle pose e della tecnica oratoria di Hitler. (Anna Fiaccarini) L'uscita italiana Le vicende distributive e censorie legate a Il grande dittatore sono indubbiamente tra le più complesse della storia del cinema. In Italia è stato possibile vedere la famosa scena del fi fi fi fi fi fi fi fi fi ballo tra Madame Napaloni (ovvero Rachele Mussolini) e Hynkel solo nel 2002, quando il lm è tornato in sala nella versione in cui Chaplin parla con la voce di Oreste Lionello. Prima di allora, il lm era stato assente dagli schermi italiani dal 1973, per quasi trent’anni. A inizio 2016, Il grande dittatore torna nelle sale di prima visione in versione restaurata, integrale e in lingua originale, permettendo nalmente agli spettatori italiani di godere anche di tutte le straordinarie invenzioni linguistiche di questo lm. Ovvero, quanto più simile possibile a come lo vide Chaplin quel 15 ottobre 1940 durante la prima proiezione pubblica al Capitol e all’Astor di New York. (Cecilia Cenciarelli) Quattro anni. Tanti ne trascorsero tra la prima mondiale di Il grande dittatore (New York, 15 ottobre 1940) e la prima proiezione pubblica italiana del lm (Roma, ne ottobre 1944). Il motivo è duplice: economico e, ovviamente, politico. […] È n troppo ovvio che in Italia la proiezione di un lm americano e antinazista come Il grande dittatore, che ridicolizzava non solo il Führer nazista Hitler ma anche l’indiscutibile (ma già non più indiscusso) duce fascista Mussolini, venisse vietata al pubblico dalla censura. Le armi propagandistiche del regime andarono spuntandosi, invano, in favore di una guerra impopolare, il cui andamento nel luglio 1943 (lo sbarco in Sicilia degli Americani, il primo bombardamento di Roma, poi dichiarata ‘città aperta’) fece perdere la fede tutt’altro che solida degli italiani sulla “immancabile vittoria” e acuì nell’opinione pubblica il senso di ostilità verso il fascismo, provocando rapidamente all’interno delle gerarchie una gravissima crisi, che nì per porre Mussolini in minoranza di fronte al Gran Consiglio del Fascismo, il fi fi fi fi fi fi fi fi fi massimo organo del partito, all’alba dello storico 25 luglio. In questo complesso e travagliato quadro politico, sociale ed economico dell’Italia liberata (da Firenze in giù) si ebbe la spinta alla ripresa della produzione cinematogra ca nazionale, ripresa che dovette fare i conti dall’estate 1944 (ma anche prima) con il ritorno in massa del cinema americano, bloccato dal Monopolio da quasi sei anni. […] Tra questi lm c’erano anche La febbre dell’oro, uscito a settembre in riedizione sonorizzata, e appunto Il dittatore, che venne proiettato alla ne di ottobre 1944 a Roma (Cinema Corso, Moderno e Splendore) e Firenze, e poi a Napoli e nelle altre città più importanti del Sud (Palermo, Catania, Bari). Lo recensirono, tra gli altri, Carlo Levi, Vladimiro Caioli e Antonio Pietrangeli. Il lm di Chaplin, dopo quattro anni, passava così dal divieto assoluto di proiezione alla liberissima proiezione in pubblico.E venne, nalmente, anche per il Nord Italia la Liberazione. La lotta partigiana si era sviluppata soprattutto nell’Italia settentrionale, per effetto dell’andamento delle operazioni belliche. Infranta la ‘linea gotica’, gli Alleati dilagarono nella Val Padana, mentre le città insorgevano contro le forze nazifasciste. Quando l’esercito Alleato giunse nelle regioni settentrionali, le principali città erano già state liberate dalle forze partigiane. Così, dopo la Liberazione (25 aprile 1945), Il dittatore di Chaplin venne proiettato nel maggio 1945 anche nel Nord Italia (Bologna, Venezia, Milano, Torino, Genova). (Maurizio Graziosi) fi fi fi fi fi IL DITTATORE E IL CINEMA: CHAPLIN E HITLER Quel tipo è uno dei più grandi attori che abbia mai visto. (Charlie Chaplin dopo aver analizzato Adolf Hitler nei lmati di propaganda) A parte i valori intrinseci del lm, Il dittatore costituisce un fenomeno davvero unico, un evento epico e senza precedenti nella storia dell'umanità: il clown più universalmente famoso e amato del suo tempo s dava apertamente l'uomo che aveva causato più orrori e sofferenze di chiunque altro nell'epoca moderna. (David Robinson) Chaplin e Hitler nacquero nello stesso anno, nella stessa settimana dello stesso mese, la terza di aprile del 1889. Non è necessario credere all’astrologia per interpretarlo come un segno. Le loro carriere, le loro vite, i personaggi che hanno incarnato coincidono sotto molti aspetti, e il fatto che Chaplin abbia realizzato un lm su Hitler non è affatto casuale. fi fi fi fi Con Il grande dittatore Charlie Chaplin raggiunse l’apice artistico, sia rispetto alla sua opera che al cinema nella quale essa si iscriveva. […] Mai come negli anni che videro la oritura delle dittature e delle gure dei leader totalitari, cinema e politica sono stati così intimamente legati. La storia del cinema (teorica e pratica), ma anche la storia con la S maiuscola, hanno piuttosto tralasciato questa relazione: si è discusso ampiamente di come i dittatori manipolassero il cinema, ma ben poco di come i dittatori fossero manipolati dal cinema. Stalin, Hitler e Mussolini appartenevano alla prima generazione di politici cresciuti con il cinema, tutti e tre provenivano dalla piccola borghesia per la quale, all’alba del N o v e c e n t o, i l c i n e m a d i v e n n e i l p r i n c i p a l e m e z z o d’intrattenimento e di conoscenza sociale. Amavano l’arte ‘bella e super ua’: il teatro (Mussolini), l’opera (Hitler), la danza (Stalin), ma era il cinema, quella più triviale, ad accompagnare le loro esistenze in maniera diretta. Si tratta di un fenomeno senza precedenti: i politici a loro coevi si interessavano al cinema solo quando dovevano censurare un lm. Reinhold Hanisch [socio in affari di Hitler negli anni viennesi] raccontò di quella volta in cui Hitler tornò a casa dopo aver visto un lm che aveva per protagonista un oratore: era tras gurato, come ‘ubriaco’, e ne parlò per ore. L’arte oratoria di Hitler fu indubbiamente ispirata dalla visione di immagini in movimento di oratori politici e del loro pubblico. Più che nelle parole, Hitler credeva nelle immagini, nei simboli, nello spettacolo. L’ascesa dei dittatori avvenne durante l’epoca d’oro del cinema muto, mentre il loro apogeo coincise con l’avvento del sonoro. La nostra immagine cinematogra ca del Terzo Reich – Il trionfo della volontà, Olympia, La bella maledetta, Die Deutsche fi fi fl fi fi fi fi Wochenschau – è in bianco e nero, estremamente curata nella retorica, ricca di suoni e musica, diretta e montata con sapienza (in modo che tutti i lm amatoriali dell’epoca, girati con una macchina da presa a spalla, muti e a colori, sembrassero degli atti sovversivi, anche quelli di Eva Braun, ampiamente sfruttati, senza essere compresi, dalla televisione). Il che ci riporta a Chaplin e a Il grande dittatore. Chaplin e Hitler furono visibilmente accomunati dai baf. Soggetti nel tempo a piccole mutazioni, resistettero comunque, con ostinazione, ai ripetuti attacchi dei rasoi, per tramutarsi, in ne, in una barba appena accennata. Entrambi ne ebbero cura e li protessero, quasi che dai baf dipendesse la loro forza, come i capelli per Sansone. A differenza di Hitler, Chaplin portò i baf solo sullo schermo, e se ne liberò dopo aver interpretato Hitler. Per entrambi erano forse il segno di una profonda insicurezza nelle relazioni sociali, che con sforzi sovrumani tentavano di fi fi fi