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This document is a lecture on history of cinema, covering media consumption, media education, and the role of cinema in education. It discusses the impact of technology on society and considers different educational approaches to the topic.

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Giada Francescano Storia DEL CINEMA→ 2024/2025 Lezione 1: O CONSUMI MEDIALI→ Un recente sondaggio statunitense del 2023 ha evidenziato che i bambini di età compresa tra quattro e quindici anni trascorrono 85 minuti al giorno su YouTube, mentre il tempo trascorso a guardare l...

Giada Francescano Storia DEL CINEMA→ 2024/2025 Lezione 1: O CONSUMI MEDIALI→ Un recente sondaggio statunitense del 2023 ha evidenziato che i bambini di età compresa tra quattro e quindici anni trascorrono 85 minuti al giorno su YouTube, mentre il tempo trascorso a guardare la televisione ogni giorno è di 45 minuti. In base ad alcuni studi, i bambini sotto gli otto anni trascorrono il 65% del loro tempo online su YouTube. Secondo un sondaggio condotto dalla rivista di informatica «PCMag», l'82% dei genitori statunitensi affermano che i loro figli guardano troppo YouTube e questa cosa li preoccupa. Sempre un sondaggio recente ha scoperto che il video più visto in assoluto su YouTube è "Baby shark dance", che è per bambini https://www.youtube.com/watch?v=XqZsoesa55w,Il terzo video più visto in assoluto è "Johny Johny yes papa», anch'esso per bambini. Questo evidenzia quanto i bambini siano attratti dai video di YouTube YouTube può avere un impatto positivo sui bambini. Possono imparare dall'ampia varietà di informazioni didattiche disponibili su YouTube a seconda delle diverse età. Rispetto alla TV, YouTube e Internet in generale offrono vantaggi e svantaggi rispetto al modo in cui i bambini imparano a relazionarsi con gli altri: o Materiali diversificati: su YouTube è disponibile una varietà di video più ampia rispetto alla televisione tradizionale, mostrando ai bambini una gamma più ampia di ideologie, culture e hobby di vario genere. o Influenza dei coetanei: guardare i video con i pari può accrescere il senso di comunità dei bambini e influenzare il modo in cui interagiscono. I bambini possono imitare gli atteggiamenti e i comportamenti che vedono nei video, cosa che può aiutare od ostacolare la loro socializzazione. Come risultato positivo di questa interazione, la loro visione del mondo può essere ampliata e possono sviluppare empatia per persone di diversa estrazione. o Interazione con i creatori: I creatori di YouTube possono interagire con i loro spettatori sui social media, nei commenti e durante i live streaming. I bambini potrebbero sentirsi più connessi e creare così un senso di comunità, che potrebbe influenzare la loro socializzazione, perché si fornisce loro dei modelli di ruolo e anche delle figure di mentori. o Controllo genitori: Rispetto alla televisione tradizionale, i genitori possono avere meno influenza sul materiale che i loro figli vedono su YouTube. Possono comunque osservare le abitudini di visione dei loro figli e discutere con loro sui contenuti che stanno guardando. Questo offre ai genitori l'opportunità di guidare la socializzazione dei loro figli e incoraggiare lo sviluppo del pensiero critico. o Impatto della pubblicità: 1 Giada Francescano YouTube è noto per la pubblicità selettiva. Questo può influenzare la socializzazione dei bambini piccoli influenzandone le preferenze e i comportamenti. Ad esempio, la pubblicità può rafforzare gli stereotipi di genere o promuovere il consumismo, il che può influenzare l'immagine di sé e il ruolo dei piccoli nella società. La socializzazione dei bambini potrebbe anche essere influenzata dalle funzionalità del social networking di YouTube, attraverso i commenti o i «mi piace». I commenti negativi o il cyberbullismo potrebbero colpire i bambini, con un possibile impatto negativo sulla loro crescita sociale e sulla loro autostima. In conclusione, un utilizzo sicuro dello schermo da parte dei bambini - controllo del tempo trascorso davanti allo schermo e dei contenuti, che devono essere appropriati alla loro età - può migliorare la loro crescita socio- psicologica. O MEDIA EDUCATION→ Fin dalla tenera età, i bambini entrano in contatto e si relazionano con le tecnologie mediali e diventano in fretta completamente sicuri di sé nel loro utilizzo e nel modo di rapportarsi a esse. Se da un lato questo comporta un aumento del livello di istruzione e comunicazione con persone diverse, dall’altro potrebbe presentare anche diversi svantaggi, qualora l’utilizzo non fosse guidato, come: il venir meno di esperienze nella realtà concreta effetti negativi sulla psiche e sulla salute del bambino, con aumento dell’ansia e del nervosismo cyberbullismo dipendenza Di qui, soprattutto nell’ultimo decennio si è riconosciuta la necessità di costruire percorsi educativi in relazione ai media – Media Education - che consentissero un utilizzo mirato e consapevole dei dispositivi tecnologici odierni da parte dei minori, delle loro famiglie e degli educatori (asili, scuole, ecc.) La definizione inglese «Media Education» sfumature di significato: Educare attraverso i media = imparare contenuti disciplinari «più facilmente» con l’uso di immagini e audiovisivi Educare ai media = favorire l’uso consapevole e critico dei dispositivi mediali Educare nei media = ripensare l’insegnamento all’interno del contesto mediale contemporaneo In Italia l’espressione «Media Education» si comincia ad usare agli inizi degli anni ’90. Fino ad allora si preferivano espressioni come «educazione agli audiovisivi», «educazione all’immagine», ecc. Il termine inglese esprime meglio e in modo più la relazione che deve esserci tra il mondo dell’educazione e il mondo dei media. La Media Education si può definire una prassi educativa, con obiettivi e metodologie specifici per intervenire in campo didattico e con una continua riflessione su queste metodologie. Mira a fornire competenze utili a confrontarsi in modo critico e costruttivo con l’universo dei media, ma anche a stimolare la creatività e a far sì che si possano creare nuove forme espressive. La Media Education deve garantire: l’acquisizione di competenze tecniche 2 Giada Francescano l’utilizzo creativo dei linguaggi mediali lo sviluppo di una consapevolezza critica nei confronti dell’uso dei media, ossia usarli in maniera responsabile e informata Per quanto riguarda, più nello specifico, l’educazione dei bambini in relazione agli ambienti digitali, da diversi studi e analisi sono emerse le seguenti necessità: stabilire una cooperazione tra la famiglia e le istituzioni educative in relazione ai media migliorare l’alfabetizzazione mediatica dei genitori formare in maniera competente e qualificante educatori-pedagoghi in merito all’implementazione della Media Education nella pratica sviluppare la cultura mediatica dei pedagoghi che lavorano nelle istituzioni educative, con un sistema che migliori le loro qualifiche MEDIA EDUCATION formare in termini culturali ed etici gli insegnanti-pedagoghi e i genitori ad affrontare gli attacchi informatici, le minacce e tutto ciò che concerne questo tipo di sicurezza organizzare attività educative e formative sulla realtà mediatica che siano gestite all’interno di un sistema di formazione permanente aumentare l'importanza dei media nel garantire lo sviluppo della personalità dei bambini mirare a educare i bambini a un uso consapevole delle tecnologie mediali per evitare la dipendenza O (MEDIA) EDUCATION E ARTI VISIVE → In passato, il linguaggio delle immagini, statiche o in movimento, non è mai stato preso seriamente in considerazione nei percorsi didattici. L’educazione allo sguardo è invece fondamentale e deve essere implementata in diretta connessione con la Media Education così da definire gli strumenti per sfruttare al meglio le tecnologie digitali in ambito didattico. Oggi, ai docenti e agli educatori sono richieste competenze aggiuntive e diverse rispetto al passato. Si devono modellare dinamicamente sia sugli studenti e le loro inclinazioni sia sugli strumenti digitali, che offrono percorsi di insegnamento-apprendimento basati sulla multidisciplinarità. o Docente oratore→ Si concentra principalmente sulla trasmissione di conoscenze attraverso lezioni frontali e presentazioni. o Docente designer→ Adotta un approccio più incentrato sulla progettazione dei percorsi e il monitoraggio dei processi di apprendimento degli studenti, in modo più dinamico e creativo. L’integrazione delle tecnologie digitali nella pratica didattica richiede un docente designer. Questo implica la definizione di nuovi modelli pedagogici e metodologie didattiche basati principalmente sull’apprendimento attivo. Il docente designer deve facilitare l’apprendimento. Deve accompagnare e guidare gli studenti nella scoperta, nell’esplorazione e nella costruzione del proprio sapere in maniera autonoma, offrendo supporto e incoraggiando la loro creatività. La Media Education che si pone in diretto dialogo con l’educazione visuale sviluppa al meglio questi nuovi meccanismi, riservando un ruolo centrale alla creatività e alle emozioni. O CINEMA ED EDUCAZIONE→ 3 Giada Francescano Il cinema è un’arte che si è sviluppata soprattutto attraverso un’invenzione tecnologica. Alle origini, viene data importanza al fatto che le immagini fossero in movimento. Il contenuto delle immagini era secondario. Il cinema ha consentito di rendere lo spazio dinamico e di spazializzare il tempo. Anche se lo spettatore rimane seduto immobile al suo posto, a livello estetico è in perenne movimento. Il suo occhio si identifica con quello della telecamera. Il cinema è un’arte popolare fin dalle origini. In un saggio del 1934 dedicato al cinema, lo storico dell’arte Erwin Panofsky dichiara di apprezzare la capacità del cinema di aver ristabilito, a differenza di altre arti, una diretta connessione tra la produzione e la ricezione delle immagini; il cinema ha saputo attrarre il pubblico. Il cinema, affermava Panoksy, ha modellato «il gusto, il linguaggio, i costumi, il comportamento e persino l’apparenza fisica di un pubblico che comprende più del 60% della popolazione sulla Terra. Nei primi lungometraggi della Disney, Panofsky ritrova ad esempio una serie di elementi presenti nella cultura popolare (sadismo, giustizia morale, humour, ecc.) tra cui anche il «motivo primitivo e inesauribile di Davide e Golia», cioè del trionfo dell’apparentemente debole sull’apparentemente forte. O GIUDIZI SUL CINEMA IN ITALIA NEGLI ANNI ’50→ Alcuni passaggi tratti da articoli apparsi su Famiglia cristiana negli anni Cinquanta del Novecento: «L’ambiente chiuso e l’aria viziata non giovano alla salute fisica» «Le sale cinematografiche aumentano il rischio di contrarre malattie come la tubercolosi» «Il cinema finisce per creare una psicosi, una visione falsa delle cose e della vita» «Le violente emozioni che i bambini subiscono al cinema alterano profondamente la loro psiche» «La frequenza al cinema deve avere una grande parte di responsabilità nell’apparizione dei segni di squilibrio mentale e anche di delinquenza giovanile» «L’ingordigia di film è una passione morbosa come l’alcoolismo o la morfinomania “ O APPROCCIO INOCULATORIO → Commenti che possono essere rapportati al cosiddetto «approccio inoculatorio», che legge i media come «agenti di declino culturale”. In questa prospettiva, che è stata prevalente fino agli anni ’60, i media erano considerati come una malattia infettiva molto nociva e i giovani dovevano esserne protetti. La Media Education era così interpretata come una sorta di vaccino, un’educazione contro i media, per contrastare la natura manipolatoria di questi ultimi. O MODELLÒ DELLE ARTI POPOLARI→ Il modello «delle arti popolari», che dura fino alla diffusione della TV negli anni ’70, sostiene che non sono il divieto e la censura a proteggere i giovani dai pericoli dei mass media, ma l’educazione a un loro uso consapevole. La Media Education serve quindi ad aiutare gli utenti a riconoscere i film di qualità, applicando allo studio del cinema gli stessi principi e gli stessi metodi dell’educazione alle arti e alla letteratura. L’obiettivo principale era quello di promuovere la conoscenza del linguaggio cinematografico. O MODELLO DEI SISTEMI SIMBOLICI O DI RAPPRESENTAZIONE→ Il modello dei media come «sistemi simbolici o di rappresentazione» è stato teorizzato dallo studioso inglese Len Masterman e chiama in causa tre aree di studio: la semiotica, le teorie sull’ideologia e l’analisi dei contesti sociali legati alla produzione e al consumo di prodotti mediali. 4 Giada Francescano Tiene anche in considerazione gli studi sull’audience, che hanno stimolato il superamento di qualsiasi atteggiamento negativo nei confronti dei media intesi come agenti di declino culturale. Questo modello di Media Education tiene conto delle varie articolazioni dei processi comunicativi, della dimensione sociologica, dei consumi e della consapevolezza da parte del consumatore del sistema di produzione mediale. O MEDIA EDUCATION – EUROPA (ULTIMI GRANDI AGGIORNAMENTI)→ Dicembre 2010: conferenza internazionale Media Literacy for All,organizzata dall’High Council for Media Education a Bruxelles. Viene prodotta la «Declaration of Brussels for Lifelong Media Education». Punti principali dichiarati: o definizione di Media Literacy, ossia «l’abilità di accedere ai media, di comprendere e di valutare criticamente i vari aspetti dei media e i contenuti mediali e di creare comunicazione in vari contesti»; o necessità di integrare la Media Education nelle strutture della didattica e della formazione di lunga durata, così come sarà poi definito dai programmi della Lisbon Strategy e della «Education and Training 2020»; o necessità di garantire l’accesso dei cittadini ai diversi tipi di media, superando le logiche di mercato; se necessario, qualora questo accesso risultasse minacciato, era previsto l’intervento dell’autorità pubblica. O MEDIA EDUCATION – ITALIA→ Anni ’80: i nuovi programmi curricolari per i diversi ordini scolastici (nel 1979 per la scuola media, nel 1985 per la scuola elementare e nel 1991 per la scuola materna) prevedono l’inserimento di attività collegate ai media, alla comunicazione e alle diverse espressioni manipolativo-visiva, sonoro-musicale, drammatico-teatrale e audiovisivo-massmediale. Anni ’90: nascita dell’Associazione Italiana per l’Educazione ai Media e alla Comunicazione (1996); Piano nazionale per la promozione della didattica del linguaggio cinematografico e audiovisivo (1999) Dal 2000 a oggi: la Media Education indica un’attività educativa e didattica della scuola finalizzata a sviluppare negli alunni una comprensione critica dei media, delle tecniche impiegate per costruire i messaggi e produrre senso, dei fattori economici, politici e ideologici che li condizionano e dell’impatto sul pubblico. Gli alunni vengono introdotti anche alla «scrittura con i media», in particolare nella produzione audiovisiva. Lezione 2: O NOI E LE IMMAGINI→ Oggi ogni azione del nostro vivere quotidiano, sia privato sia pubblico, prevede la presenza delle immagini: co- abitiamo con esse e addirittura ci immergiamo in esse, basti pensare alle esperienze di realtà virtuale. È stata l’invenzione della stampa, nel 1455 grazie all'orafo tedesco Johannes Gutenberg, a iniziare la diffusione delle immagini nel mondo occidentale. Ma il processo non è stato immediato. I primi libri stampati erano molto costosi e erano privilegio di chi poteva permetterseli e sapeva leggere e scrivere. Nel Cinquecento e nel Seicento, il mondo popolare cominciò ad aggiornarsi visivamente attraverso una rete di ambulanti, che attraversavano l’Europa a piedi per vendere stampe di santi e di paesaggi.A livello popolare, il riunirsi della gente per spettacoli era raro: accadeva solo in occasione di feste importanti, quando l’arrivo degli 5 Giada Francescano attori era pressoché una novità assoluta per molti.In ogni caso, tutto faceva spettacolo, tutto ciò che poteva attirare l’attenzione; di solito era mostrato a pagamento. Un dipinto di Antoine Watteau, intorno all’inizio del Settecento, mostra ad esempio un povero ragazzo della Savoia che esibisce per strada a Parigi una marmotta, in cambio di pochi centesimi. Venditori e imbonitori di ogni tipo, cantastorie, saltimbanchi, musicanti, sonnambuli, nani, donne giganti, «ragazzi selvaggi» trovati nel bosco, gemelli siamesi e altri prodigi o mostruose creature erano le attrazioni di questi spettacoli (freak shows), spesso crudeli e discriminatori. O ALLE ORIGINI DEL CINEMA→ Fra queste curiosità, già nel Seicento iniziano a comparire gli spettacoli ottici, sia nelle case signorili sia nelle feste popolari. La lanterna magica è la più ammirata. Ha origini probabilmente dai giochi di ombre cinesi, che sono gli antenati del cinema Era una scatola con una candela dentro e una lente anteriore, che proiettava sulle pareti di una sala buia delle figure disegnate su un vetro, come mostra un’illustrazione in un libro di Athanasius Kircher, intellettuale gesuita che era stato molto tempo in Cina. La lanterna magica si è diffusa molto velocemente, con varie funzioni, alcune delle quali rivelano già i due aspetti contrapposti che avrà il cinema lungo tutta la sua storia: 1. uso fantastico (attrazioni) 2. uso didattico (cultura) Come dispositivo fantastico, poteva essere utile per le conferenze o le prediche, che volevano ad esempio illustrare il Giudizio universale, le punizioni dei dannati nelle fiamme, la grazia dei beati in Paradiso. Come dispositivo utile per la didattica, serviva a mostrare luoghi, monumenti, oggetti, piante, animali che nessuno aveva mai avuto occasione di vedere. L’effetto era molto più suggestivo che non una semplice stampa. Nel duplice uso della lanterna magica ci sono già le peculiarità che andranno a definire il cinema lungo tutta la sua storia: strumento di sviluppo dell’immaginazione, ma anche canale di diffusione culturale. Spesso, i due aspetti non sono nettamente separati, ma intrecciati tra loro. Soprattutto fino all’Ottocento, le discipline scientifiche erano ricche di elementi fantastici e la fantasia si appoggiava sempre a certe conoscenze scientifiche. Su alcuni vetrini si potevano vedere animali reali mescolati con animali fantastici o anche mondi diversi accostati. Atlantide si trovava insieme con la Cina, il drago insieme con l’elefante: cose che per gli spettatori di allora e anche per molti uomini di scienza erano tutte reali. I mostri apparivano ovunque fosse installata una lanterna magica. Perfino l'illustrazione di 'sGravesande in un suo rigoroso libro di temi scientifici del 1721 rappresenta la proiezione un mostro deforme La lanterna magica richiedeva delle spiegazioni; per renderle comprensibili, le figure erano accompagnate dalla voce di un narratore, che contestualizzava le scene mostrate.Il narratore poteva essere un predicatore, un insegnante, un «mago» o altre persone, ma le immagini erano sempre parte di una rappresentazione più ampia, che includeva comunque un discorso. La lanterna magica e altri dispositivi ottici erano sempre gestiti da una sorta di presentatore, che parlava al suo pubblico. La comunicazione fra persone in carne e ossa era fondamentale, come succederà anche per le prime forme del cinematografo. Prima di arrivare alla nascita del cinematografo, si elaborano altri strumenti ottici fondamentali: la fotografia. Nel 1826, Joseph Nicéphore Niépce ha sperimentato per primo la permanenza di impressioni luminose sopra una lastra di gelatina, e brevettato la scoperta della fotografia. Qualche anno dopo Louis. Daguerre inventa la dagherrotipia, un procedimento per lo sviluppo delle immagini. Fin dalla sua prima diffusione, anche la 6 Giada Francescano fotografia fondeva il reale e l’immaginario. Poteva essere usata sia per catturare immagini dal mondo reale, sia per far apparire cose fantastiche o sovrannaturali, come le foto spiritiche. Il fenachistoscopio inventato da Joseph Plateau nel 1833: si era scoperto che l’illusione del movimento poteva essere prodotta con la successione velocissima di immagini fisse il fenachistoscopio era un cerchio di carta che conteneva molte diverse pose di una persona; facendolo girare velocemente davanti a uno specchio, sembrava che la persona si muovesse a scatti. Il cerchio è stato poi trasformato in una striscia di carta, antenata della pellicola. Combinando la lanterna magica (= proiezione), la fotografia (= immagini dal vero) e il fenachistoscopio (= movimento), si è giunti all’animazione di immagini fotografiche Eadweard Muybridge (Kingston upon Thames, 1830-1904), un fotografo britannico, usa la fotografia per studiare il movimento degli animali: colloca diverse macchine fotografiche lungo un percorso e scompone la corsa di un cavallo o la camminata di un uomo nudo o il ballo di due danzatori (questo anche se è ancora difficile unificare le varie posizioni in un unico flusso continuo). La Vague (1891) di Étienne-Jules Marey è il più antico documento di fotografia in movimento di cui possiamo disporre. Marey aveva inventato il fucile fotografico per scattare velocemente sequenze fotografiche. Fin dal 1892, a Parigi, il «Teatro ottico» inventato da Charles-Émile Reynaud nel 1888, proiettava disegni in movimento. Reynaud mostrava alcune scenette della durata di un minuto circa, in cui i personaggi si muovevano a scatti: erano le antenate del cartone animato. O GIOCATTOLI OTTICI→ Alcuni dei dispostivi che abbiamo visto rientrano nei cosiddetti «giocattoli ottici» ottocenteschi che hanno anticipato il cinema: o Il taumatropio o Il fenachistoscopio o Lo zootropio o Il prassinoscopio O Il mutoscopio Si possono creare anche attività con i bambini, costruendo ad esempio un flip-book. Lo stratagemma consiste nel cercare di mantenere la figura nello stesso identico punto del foglio (per questo serve la luce: per poter ricalcare se non si stampa la figura) e modificare solo la posizione di un particolare, quello che si vuole far muovere. O NASCITA DEL CINEMA→ Nel 1894 i fratelli Lumière, Auguste Marie (1862-1954) e Louis Jean (1864-1948), che hanno già all'attivo 17 brevetti nel campo della fotografia, osservano alcuni kinetoscopi (o cinetoscopi) nel negozio dei fratelli Werner, concessionari di Edison a Parigi. Il kinetoscopio è il primo apparecchio per la visione di pellicole cinematografiche. È stato brevettato da Thomas Alva Edison nel 1891 e presentato per la prima volta a New York nel 1894. Non proiettava le immagini su schermo, ma potevano essere osservate attraverso un oculare apposito, una sola persona alla volta. I fratelli Lumière copiano dal kinetoscopio l'idea della striscia di pellicola perforata da 35 millimetri, adattandola su un proprio apparecchio Il 13 febbraio 1895 i fratelli Lumière brevettano col numero 245032 «un apparecchio che serve ad ottenere e a guardare prove cronofotografiche». Soltanto in un secondo momento lo chiameranno cinematografo. Il cinematografo dei Lumière si basa sulla scomposizione del movimento in fotografie fisse che, riprese successivamente e proiettate su uno schermo ad una determinata velocità, creano l'illusione del movimento. L’apparecchio dei Lumière s’ispira alla lanterna magica nel formato e nelle caratteristiche. È dotato 7 Giada Francescano di triplice funzione: ripresa, sviluppo e proiezione. Funziona a 16 immagini al secondo e utilizza la stessa pellicola del cinetoscopio di Edison, un nastro perforato di celluloide della larghezza di 35 millimetri. Il 22 marzo 1895, a Parigi, durante una conferenza di Louis sugli studi e i prodotti industriali della Società Lumière presso la sede della Società Francese per il Progresso dell'Industria Nazionale, alla presenza di trecento addetti ai lavori viene proiettato in prima assoluta il film L'uscita degli operai dalle Officine Lumière a Lione (La sortie des ouvriers de l'Usine Lumière à Lyon). In questa occasione l'ingegnere Jules Carpentier chiede ai fratelli Lumière di costruire il cinematografo nei suoi laboratori, dov'è stato appena prodotto un ottimo apparecchio fotografico. Il 28 dicembre 1895 i primi spettatori paganti del cinematografo riempiono 33 delle 100 sedie sistemate nel Salon Indien, saletta sotterranea del Gran Café al numero 14 del Boulevard des Capucines a Parigi. Antoine Lumière (1840-1906), fotografo e imprenditore, vi ha organizzato la presentazione ufficiale dell'invenzione dei figli Auguste e Louis. La stampa, che è stata invitata, è assente. Così come i fratelli Lumière, che hanno già presentato la loro novità in numerose occasioni private tra Parigi e Lione. Alle nove di sera lo schermo s'illumina con una prima immagine fissa, non particolarmente innovativa, della piazza Bellecour diLione. Seguono i cinquanta secondi di pellicola, l'equivalente di ottocento fotogrammi senza soluzione di continuità, de L'uscita degli operai dalle Officine Lumière a Lione. Seguono poi altri nove film da diciassette metri, lunghezza imposta dalla capacità delle scatole in cui si raccoglie il negativo durante le riprese, e della durata di circa un minuto. Per camuffare il rumore del proiettore, nella sala buia si diffondono le note di un pianoforte. In pochi secondi il pubblico passa dallo scetticismo allo stupore, dall'ammirazione al divertimento. Gli spettatori sperimentano però il terrore con il film L'arrivo del treno alla stazione di La Ciotat (L'Arrivée d’un train à La Ciotat), in cui il treno proveniente da Marsiglia incombe su di loro e minaccia di travolgerli, prima di tirare dritto, attraversando diagonalmente lo schermo. Caratteristiche del cinematografo Lumière: Inquadratura unica: ogni film era costituito da una sola inquadratura, senza montaggio; le cosiddette «Passioni di Cristo», per esempio, erano composte anche di parecchie inquadrature, che però venivano proiettate separatamente, come tanti piccoli film differenti. Profondità di campo: ogni veduta mette a fuoco figure vicine e lontane, come un quadro, cosa che ritornerà nel cinema degli anni Sessanta Molteplicità di centri e di soggetti dentro ciascuna inquadratura. Poiché la veduta era legata a una scena o a un luogo, spesso coglieva nello stesso tempo molti passanti, con un movimento continuo di figure che entravano e uscivano dal quadro. Tracce dell’operatore dentro le immagini: le vedute Lumière ci mostrano persone consapevoli di essere riprese, si mettono in posa e spesso guardano in macchina magari anche salutando gli spettatori (come in L’arrivo dei congressisti a Neuville sur Saône) Presenza di un narratore che, durante le proiezioni, spiegava agli spettatori le scene e le eventuali storie. È l’erede degli imbonitori di piazza del passato, e senza di lui lo spettacolo sarebbe stato incomprensibile. Spesso la persona che spiegava le vedute animate era la stessa che proiettava. O LO SPETTACOLO DEL CINEMA→ Il giorno dopo la prima proiezione pubblica del cinematografo Lumière, la polizia è costretta a organizzare un servizio d'ordine all'entrata del Salon Indien (che funzionerà come sala fino al 1901) preso d'assalto da più di 2000 spettatori al giorno. Nei mesi seguenti, con un successo sempre crescente, lo spettacolo si ripete con 8 Giada Francescano poche varianti. Gli operatori dei Lumière, inserendo per errore i film avvolti alla rovescia nel proiettore, scoprono gli effetti comici di uno dei primi trucchi cinematografici: in La demolizione di un muro (La démolition d'un mur) si vede il muro demolito che si ricostruisce da una nuvola di polvere, ne I bagni di Diana (stabilimento per la balneoterapia a Milano) si vede un tuffatore uscire dall' acqua con i piedi all'insù e tornare sul trampolino. Il suono di un pianoforte ha sempre accompagnato in sottofondo i film dei fratelli Lumière, fin dalla prima proiezione al Gran Café. L'accompagnamento musicale offriva numerosi vantaggi, sia tecnici sia artistici: oltre a coprire il fastidioso rumore del proiettore, contribuiva a creare l'atmosfera adatta ed impediva che lo spettatore si sentisse abbandonato a sé stesso nel buio della sala. Erano i pianisti a scegliere i brani musicali, di solito quelli usati nelle feste, nei balli, nei music-hall e nei caffè-concerto. Servivano solo da sottofondo, ma, senza di loro, il pubblico si sarebbe sentito a disagio. In seguito, i pianisti verranno incaricati di vivacizzare lo spettacolo, di suonare negli intervalli tra una proiezione e l'altra, di esibirsi anche fuori delle sale per invitare i clienti ad entrare. Nel 1897, per far fronte alla commercializzazione degli apparecchi concorrenti, i Lumière iniziano a vendere i loro apparecchi e film. All’incirca negli stessi anni, nel loro stile documentaristico, i fratelli girano i primi due filmati pubblicitari della storia: il primo nel 1896 per il sapone da bucato «Sunlight» e il secondo nel 1899 per lo champagne «Mercier». Nel 1905, persa l'attenzione del pubblico malgrado la varietà delle tematiche proposte, i Lumière sospendono definitivamente l'attività produttiva. Di lì a poco, cessano anche la fabbricazione di materiale cinematografico e l'esercizio delle sale. Lezione 3: O IL CINEMA DELLE ORIGINI→ Il cinema dei Lumière era essenzialmente un cinema «mostrativo», che si preoccupava di far vedere allo spettatore la realtà e le novità di quel tempo (le fabbriche, il treno, ecc.). L’idea che il cinema potesse raccontare delle (brevi) storie spettacolari si deve soprattutto a Georges Méliès. Georges Méliès (Parigi 1861 – Orly (Parigi) 1938). Regista, attore e produttore cinematografico francese. Con la sua opera, ha costruito un universo poetico in cui una straordinaria abilità tecnica (può essere considerato l'inventore dei principali trucchi cinematografici ancora in uso) poté ha accompagnato una creatività visionaria ma anche molto ironica. Il più celebre dei suoi film è Il viaggio nella Luna (Le voyage dans la Lune, 1902): l'immagine del razzo che colpisce l'occhio della Luna viene abitualmente associata al suo nome e alla nascita della fantascienza cinematografica. Mago di professione, Méliès intuisce le potenzialità fantastiche del nuovo medium e lo utilizza in modo originale, trasportando sullo schermo i suoi trucchi di illusionismo Méliès inventa il montaggio: arrestando e rimettendo in funzione la macchina da presa al momento giusto era in grado di scambiare il proprio corpo, trasformarlo o modificarlo a piacimento. Il tipo di montaggio inventato da Méliès era usato soprattutto per mostrare delle metamorfosi: un oggetto che si trasformava in un altro, una persona che spariva, e così via. Un aneddoto racconta che durante una ripresa in esterni, la macchina si inceppa e riparte. Solo più tardi, durante lo sviluppo della pellicola, Méliès si sarebbe accorto che al posto di una carrozza appariva improvvisamente un carro funebre, Méliès ne rimane affascinato e capisce che era successa una vera e propria metamorfosi, un gioco di prestigio fatto non sul palcoscenico, ma sul mondo reale. L’aneddoto, sia esso vero o falso, è significativo perché sintetizza il senso del montaggio, che sarà magia di sparizione, apparizione, trasformazione, salto da un luogo all’altro, da un’epoca a un’altra; in altre parole, la metamorfosi. Essendo un prestigiatore e un maestro di giochi illusionistici, Méliès valorizza enormemente la capacità del cinema di operare trasformazioni prodigiose. I trucchi esistenti erano già molti, presenti sia in ambito teatrale, come voli meccanici e le discese dal cielo, o in fotografia, come le sovrimpressioni (ex. le fotografie spiritiche) 9 Giada Francescano Méliès o il cineasta spagnolo Segundo de Chomón (Teruel, 1871 – Parigi, 1929) ne hanno però inventati molti altri, specificamente di natura cinematografica. Trucchi cinematografici; o Il mascherino-contromascherino: permetteva di unificare spazi diversi o di sdoppiare un personaggio (l’inquadratura veniva divisa in due parti, impressionando prima una parte e poi l’altra). Il ritratto misterioso (Le Portrait mystérieux, 1899) o L’arresto della ripresa: gli oggetti e le persone sparivano o apparivano dal nulla. Sparizione di una signora al Robert-Houdin (Escamotage d’une dame chez Robert-Houdin, 1896) o Lo scatto singolo, che faceva muovere le cose inanimate. Si trattava di fotografare dei pupazzi, statuette di cera o utensili muovendoli da un fotogramma all’altro quel tanto che bastasse per dare l’idea del movimento. Il viaggio nella Luna (Le voyage dans la Lune, 1902) o lo spostamento della cinepresa avanti o indietro, usato per fare ingrandire o rimpicciolire i corpi (per esempio una testa umana che diventa enorme e poi ritorna piccolissima). L’uomo dalla testa di caucciù (L'Homme à la tête de caoutchouc,1901) Spesso Méliès diventa attore e interpreta di persona il ruolo di prestigiatore e mago, come nel film L’uomo orchestra (L’homme orchestre, 1902), in cui si moltiplica con ben dieci immagini di sé stesso per creare appunto un insieme di musicisti.Nella stessa inquadratura vediamo dieci Méliès, ognuno dei quali suona uno strumento differente: si tratta di un mascherino-contromascherino ripetuto dieci volte.Ne Il carnefice turco (Le bourreau turc, 1903), il protagonista taglia una serie di teste con un colpo solo, le mette sopra un tavolo, ancora vive e parlanti, poi le riattacca ai loro corpi. Ne L’albergo del buon riposo (L’auberge du bon repos, 1903), un cliente non riesce a dormire perché i mobili si spostano continuamente e la stanza si riempie di fantasmi Il montaggio come metamorfosi usato da Méliès riprende l’«arte della meraviglia» del passato (le wunderkammern, ad esempio), ma grazie al realismo delle scene, i trucchi suscitavano uno stupore immenso e il successo fu immediato -Le leggi della natura e della società civile erano capovolte e ignorate; era il sogno delle possibilità infinite, continuamente ricombinabili. Con il cinema, un nuovo mondo era apparso agli occhi degli spettatori, non così lontano dai «mondi virtuali» che sperimentiamo oggi. Le opere di Méliès possono essere considerate dei film-varietà, basati più sugli effetti spettacolari che non sulla narrazione. Gli interessava mostrare i giochi di prestigio, e le «storie», se mai, erano semplici raccolte di episodi autonomi. Il suo modo di raccontare è stato chiamato da alcuni studiosi “racconto a stazioni», o «a quadri», dato che ogni inquadratura è fissa e comprende un intero episodio, staccato e autonomo. Gran parte del cinema delle origini è basato su questa autonomia dell’inquadratura. Il cosiddetto «cinema primitivo» si rivolgeva a un pubblico ingenuo, che poteva spaventarsi, ad esempio, per la locomotiva dei fratelli Lumière. Dobbiamo fare attenzione a non applicare al cinema delle origini le categorie estetiche o ideologiche che appartengono a epoche successive e nemmeno a considerarlo un cinema narrativo, come sono ad esempio i film hollywoodiani, i lungometraggi a cui siamo abituati. Lo studioso Noël Burch distingue tra il Modo di Rappresentazione Primitivo (MRP) dal Modo di Rappresentazione Istituzionale (MRI). Il Modo di Rappresentazione Primitivo (MRP) riguarda il periodo in cui il cinematografo era una delle tante attrazioni offerte nei luoghi di spettacolo. Il Modo di Rappresentazione Istituzionale (MRI) coincide con la progressiva conquista da parte del cinema della capacità di raccontare e rappresentare vicende complesse e, quindi, di rivaleggiare con il teatro e la letteratura. Il Modo di Rappresentazione Primitivo è caratterizzato dalla frontalità del quadro e dalla fissità della cinepresa; dalla mancanza di articolazioni spazio-temporali e, quindi, narrative; dall’autosufficienza della singola veduta, a cui corrisponde una «esteriorizzazione» della funzione narrativa, con un commento affidato alla voce di un narratore e all’accompagnamento musicale.Il Modo di Rappresentazione Istituzionale (MRI) è caratterizzato da una forma narrativa complessa, basata sulla discontinuità delle immagini (alternanza della scala dei piani) 10 Giada Francescano O IL VIAGGIO NELLA LUNA (1902)→ Il Viaggio nella luna mostra un congresso di astronomi che decide di sparare un razzo sulla luna. Dopo essere stato lanciato da un cannone, con un corteo di ballerine, che festeggiano l’impresa, il missile si conficca in un occhio della luna. I viaggiatori scendono, incontrano i Seleniti da cui vengono catturati, ma riescono a scappare e ripartono, facendo ricadere il missile sulla terra, dove sono accolti in modo trionfale. Si tratta di una divertente successione di 26 inquadrature fisse, con messe in scena teatrali e i personaggi che si muovono quasi nello stile di un balletto. La tecnica della narrazione per immagini integrate con didascalie si svilupperà nel tempo, ma nel periodo de Il viaggio nella Luna non fa ancora parte degli strumenti della narrazione cinematografica. Il viaggio nella Luna risulta articolato in scene e quadri, i cui contenuti e i cui raccordi sono chiariti dallo scenario (in pratica una lista dei quadri), pubblicato nel catalogo della Star Film. I cataloghi fornivano i testi che servivano a garantire una migliore comprensione del racconto: in assenza di didascalie (e in tutti i casi il pubblico del cinema dei primi tempi era spesso analfabeta), spettava al narratore integrare, arricchire e commentare la successione delle immagini. L’opera è stata ideata, realizzata e interpretata da Georges Méliès nel laboratorio di Montreuil-sous-Bois, nei dintorni di Parigi, costruito nel 1897 (un secondo laboratorio più ampio e attrezzato sarà allestito nel 1905). Si trattava di un capannone a vetri che permetteva di sfruttare la luce solare, ma anche di avere tutti i dispositivi di messa in scena di un teatro. L’immagine del missile conficcato nell’occhio della Luna è diventata l’emblema del cinema di Méliès e dei suoi trucchi spettacolari. Il Viaggio nella luna di Méliès rivela diverse influenze letterarie e teatrali. Tra le fonti de Il Viaggio nella luna, ci sono i romanzi di Jules Verne. Dalla Terra alla Luna (De la Terre à la Lune. Trajet direct en 97 heures, 1865) e Intorno alla Luna (Autour de la Lune, 1870), dai quali si possono far derivare l’idea del missile sparato da un cannone gigantesco e alcuni spunti per l’aspetto del suolo lunare. Dal romanzo I primi uomini sulla Luna (The First Men in the Moon, 1901) di Herbert George Wells, vanno molto probabilmente fatti risalire i Seleniti, l’interno del cratere, i funghi giganti e il palazzo del re della Luna. Un’altra fonte potrebbe anche essere l’operetta Le Voyage dans la Lune (1875) del compositore Jacques Offenbach, che era stata messa in scena al Théâtre de la Gaîté a Parigi per la regia di Adolphe d’Ennery (e successivamente ripresa al Théâtre du Châtelet), che potrebbe aver fornito l’idea della scenografia del cannone mostruoso, che spara i viaggiatori sulla luna, della vegetazione che cresce molto rapidamente, dei balletti delle chimere e dei fiocchi di neve. Rispetto alle fonti, Méliès isola degli spunti con i quali dimostra la sua abilità di “mago”, combinandoli secondo la logica di una messa in serie di attrazioni (trucchi, scenografie, performance degli attori, ecc.) A differenza dei romanzi di Verne e Wells, l’opera di Méliès non presenta alcuno spirito didattico e scientifico, ma anzi ne fa quasi una parodia. Gli studi teorici hanno da tempo abbandonato la contrapposizione iniziale tra autentico e artificiale (tra le realizzazioni dei fratelli Lumière e quelle di Méliès), mostrando come i meccanismi di funzionamento del dispositivo cinematografico si basino su un inestricabile intreccio tra questi due aspetti e come il trucco sia essenziale al funzionamento del cinema fantastico quanto di quello realistico. Come ha dichiarato Edgar Morin ne Il cinema o l’uomo immaginario (1957), per trasformare il «cinematografo» in «cinema», ossia per mutare l’attrazione delle immagini in movimento in linguaggio cinematografico, era necessario passare attraverso i trucchi e gli effetti d’illusionismo, in modo che alle proprietà dell’immagine fotograficamente riprodotta si potessero aggiungere quelle del «doppio», dell’ombra, del riflesso, dell’immagine mentale, dell’immaginario. O L’INQUADRATURA→ 11 Giada Francescano I film sono caratterizzati dalla presenza di immagini in movimento. L’unità di base del linguaggio cinematografico, da questo punto di vista è l’inquadratura, definita da molti manuali come un «frammento di girato compreso fra due stacchi di montaggio». L’inquadratura cinematografica descrive gli eventi nel loro mutamento, i gesti e le azioni che comportano un passaggio significativo da una situazione a un’altra. Prima della svolta digitale il cinema era fatto su pellicola, composta da vari fotogrammi che trattenevano la «traccia» di ciò che veniva ripreso, l’inquadratura appunto. Come la fotografia, il cinema ha la capacità di conservare l’apparenza delle cose, ma in aggiunta le mostra in Movimento. Prima della svolta digitale il cinema era fatto su pellicola, composta da vari fotogrammi che trattenevano la «traccia» di ciò che veniva ripreso, l’inquadratura appunto. Come la fotografia, il cinema ha la capacità di conservare l’apparenza delle cose, ma in aggiunta le mostra in movimento. Il teorico del cinema André Bazin sostiene che un tratto comune a tutte le arti rappresentative è il complesso della mummia, ossia tentare di conservare ciò che non c’è più. Etimologicamente «inquadrare» vuol dire «mettere in quadro, incorniciare». Quello si mostra con la macchina da presa è sempre un ritaglio della realtà. L’inquadratura è definita non solo da quello che si mostra, ma anche da quello che «si lascia fuori», ossia il cosiddetto fuori campo, tutto quanto (voci, suoni, immagini) risulta percepito al di fuori dell'inquadratura e, quindi, in maniera indiretta. Le inquadrature sono catalogate nella cosiddetta scala dei campi e dei piani, basata sul rapporto reciproco fra corpo umano e ambiente. Ci sono diversi tipi di inquadratura: o CAMPO: spazio inquadrato dalla macchina da presa, quindi impressionato su fotogramma, la cui ampiezza e profondità dipendono dalla distanza tra la macchina e la quantità di ambiente inquadrato, oltre che dal tipo di obiettivo adottato. Per le inquadrature in cui risulti preponderante la presenza della figura umana, si adopera il termine piano. o Campo lunghissimo (CLL): adoperato per evidenziare la geografia di un ambiente e i suoi dettagli o Campo lungo (CL): adoperato per riprendere un elemento dell'ambiente che risulti molto lontano dalla macchina da presa e inserito in un contesto generale. Il campo totale è simile ma designa specificatamente la totalità di un ambiente, esterno o interno o Campo medio (CM): inquadratura di ampiezza media adoperata, in fase di montaggio, come elemento di raccordo tra campi e piani Campo lunghissimo e campo lungo (Il Signore degli anelli) sono molto comuni nei western, fanno percepire la vastità del paesaggio e la piccolezza dell’uomo al suo cospetto. Il campo totale è solitamente usato per dare una visione d’insieme su ambienti e personaggi (Toy Story). o PIANO: dimensione della figura umana inquadrata dalla macchina da presa, quindi impressionata sul fotogramma, variabile a seconda della distanza interposta tra la macchina e il soggetto inquadrato, oltre che dal tipo di obiettivo adottato. o Figura intera (FI): il soggetto è inquadrato in piedi, in tutta la sua grandezza o Piano americano (PA): il soggetto è inquadrato dalle ginocchia in su (così chiamato perché particolarmente diffuso nei film western, perché permette di inquadrare i gesti più o meno veloci compiuti dai cowboys nell'impugnare le pistole poste nei cinturoni) o Piano medio (PM) o Mezza figura: dalla cintola in su. o Primo piano (PP): dalle spalle in su o Primissimo piano (PPP): soltanto la testa o il volto o Dettaglio o particolare: singolo elemento del volto o del corpo (la bocca, una mano, i capelli, ecc.) 12 Giada Francescano La figura intera è lo spazio del personaggio: vediamo distintamente il corpo, i gesti e le espressioni. È l’inquadratura forse più comune per caratterizzare un personaggio (Power Rangers) Il piano americano è così chiamato perché è stato reso famoso dal western, genere «americano» per eccellenza. Inquadra il personaggio dalle ginocchia in su (Lady Oscar) Il piano medio o mezza figura stringe sul personaggio, è un’inquadratura che necessita di intensità espressiva a metà tra corpo, ancora di peso nell’insieme, e il volto (Io, Daniel Blake di Ken Loach) Il primo piano è una delle inquadrature più importanti del linguaggio cinematografico: ci porta vicinissimi al personaggio, quasi dentro di lui. Il primissimo piano fa la stessa cosa ma l’inquadratura è ancora più ravvicinata (Sailor Moon, Bunny). Lezione 4: 1. LA NASCITA DELL’ANIMAZIONE→ L’animazione è centrale nella storia del cinema, perché ne accompagna degli sviluppi sia sotto il profilo tematico sia dal punto di vista tecnico. Forse ancor più di quanto il cinema di fiction o i documentari abbiano saputo fare, l’animazione è stata in grado di esplorare le infinite possibilità della fantasia, basandosi su materiali di partenza quanto mai eterogenei (dai cartoons alla pittura astratta). Per questo, nel corso degli anni i film di animazione hanno conquistato un largo pubblico di appassionati, creando una produzione su scala industriale. L’animazione è stata impiegata dall’industria cinematografica a partire dal 1906, quando James Stuart Blackton realizzò il cortometraggio Humorous Phases of Funny Faces (Trasformazioni umoristiche di facce buffe) per la Vitagraph.Il film consisteva in disegni di volti eseguiti da Blackton che si trasformavano fotogramma dopo fotogramma, quando Blackton aggiungeva progressivamente dei tratti grafici. I disegni apparivano gradualmente, ma non davano l’impressione del movimento sino alla fine, quando nelle loro facce ruotavano gli occhi o altri elementi. Sempre nel 1906, la società cinematografica francese Pathé produce Le théâtre du petit Bob (Il teatro del piccolo Bob), per il quale il regista spagnolo Segundo de Chomón usava ancora il procedimento a fotogramma singolo (frame-by-frame) muovendo degli oggetti per ciascun fotogramma con lo scopo di animare i giocattoli di un bambino contenuti in una scatola. In questo caso si tratta di oggetti e non di disegni: Realizzare film animati richiedeva molto tempo. Le pellicole erano accurate creazioni di artisti che lavoravano da soli o al massimo con un assistente. Si trattava o di far muovere degli oggetti oppure di produrre disegni per ricreare il movimento. Al primo genere di animazione – il movimento degli oggetti – appartiene, sempre di Blackton, The Haunted Hotel (L’hotel infestato dagli spettri, 1907), che ha avuto molto successo ed è stato anche molto imitato. Nel film, il proprietario di un hotel è perseguitato da forze soprannaturali, rese sullo schermo tramite l’uso della doppia esposizione, di fili metallici, del fermo macchina e di altri trucchi: un coltello si muove ad esempio da solo per tagliare una fetta di pane e spalmarla di burro. Per il secondo genere di animazione – i disegni che ricreano il movimento– la figura chiave è Émile Cohl (pseudonimo di Émile Courtet), che è stato il primo a impegnarsi a tempo pieno nell’animazione. Émile Cohl (Parigi, 1857 - Orly (Parigi), 1938), nome d'arte di Émile Courtet, regista e disegnatore del cinema d'animazione francese. Considerato uno dei padri del cinema di animazione, vi si avvicinò in età avanzata, quasi 13 Giada Francescano a coronamento di una vita artistica ricca di esperienze, iniziata come aiutante di un illusionista e proseguita come caricaturista di riviste, fotografo e autore di commedie leggere; in poco più di vent'anni realizzò una grande quantità di film e disegni animati, la maggior parte dei quali è andata perduta. I suoi disegni animati erano spesso basati su trasformazioni bizzarre di una serie di sagome, l’una che nasce dall’altra. Cohl realizzò anche film con personaggi reali che includevano scene di animazione. Émile Cohl è infatti fra i primi a comprendere che «dev’essere possibile sostituire le immagini della realtà con il disegno, ottenendo il medesimo risultato fisico ma creando degli esseri di sogno» In questa prospettiva, ritroviamo l’atmosfera magica e onirica che abbiamo già incontrato nell’opera di Georges Méliès. Il primo cartone animato di Émile Cohl è stato Fantasmagorie (Fantasmagoria) del 1908, che è stato disegnato con inchiostro nero su carta bianca e quindi stampato in negativo per dare l’impressione che le figure di gesso si muovessero su una lavagna. Per creare un movimento uniforme, Cohl ha posizionato ogni disegno su un piatto di vetro illuminato da sotto, tracciando poi la stessa immagine su un altro foglio di carta, ma apportando dei minimi cambiamenti nelle figure. Secondo lo studioso francese Philippe-Alain Michaud, il cinema delle origini si gioca sulla tensione tra una visione ravvicinata, tattile, che riduce l'immagine a una disposizione di superfici, e una visione ottica distante, che stabilisce la tridimensionalità della forma e la profondità spaziale. Questa forma aptica del cinema, che privilegia il punto di vista ravvicinato su quello a distanza è ben espressa da Fantasmagorie di Cohl. Inizialmente, nella parte superiore del fotogramma appare una semplice linea bianca orizzontale, che traccia una spazializzazione. La mano del cineasta-disegnatore entra in campo e sospende sulla linea la sagoma di un personaggio (una specie di clown), come se fosse una sorta di trapezio. Questa figura oscillante, senza densità né stabilità è rappresentata in una narrazione lineare, ripetitiva e fantasiosa, fatta di un susseguirsi di metamorfosi che sono divertenti, ma che, in realtà, sono anche una riflessione sui dispositivi della rappresentazione e i processi di figurazione. Nelle scene iniziali di Fantasmagorie, infatti, la linea orizzontale si trasforma in una superficie, crea una cornice verticale dietro la quale scompare la figura del clown, mentre al suo posto appare un uomo con un ombrello e un cappello a cilindro. I contorni dell'inquadratura retrocedono verso lo sfondo: prende forma una sala cinematografica e si assisterà progressivamente a una serie di trasformazioni fantasiose. All'inizio e alla fine di Fantasmagoria compaiono le mani del cineasta-disegnatore, prima per tracciare una linea semplice, poi per unire gli arti dislocati del clown e rilanciare la narrazione, oltrepassando il limite che separa l'universo fotografico da quello del disegno. Le mani che disegnano affermano la dimensione tattile dell'immagine: Cohl traccia delle sagome, dei corpi grafici, smaterializzati. Ci sono vedute piatte, figure schematiche, rappresentate di fronte o di profilo; non c'è distinzione tra la figura e il luogo (il cappello diventa una scena, l'elefante una casa, ecc.) Nel disegno animato di Cohl, la successione di forme organiche introduce una sequenza inorganica. La figura, animale o umana, non rimanda a un referente preciso, ma alle figure a cui si incatena all'interno di un processo di metamorfosi presentato come una narrazione. Organico e inorganico si sovrappongono e confondono. Poste su uno sfondo neutro e ridotte al loro semplice contorno, le figure si liberano di spessore, profondità e stabilità. Lo spettatore non presta più attenzione al loro significato ma a come le linee si sviluppano e formano altre figure. Pone attenzione a loro come se fossero dei disegni ornamentali. Da questo punto di vista, Fantasmagorie, con la sua instabilità delle forme, l’equivalenza tra interni ed esterni, lo schematismo delle linee, non è tanto una rappresentazione primitiva che non è in grado di creare l’effetto illusionistico, quanto piuttosto una rappresentazione appositamente anti-illusionistica, che rifiuta i presupposti 14 Giada Francescano realistici dell’immagine fotografica per affermare la bidimensionalità della pellicola e mostrare un approccio ornamentale alla superficie sui principi di tattilità, di cui il cinema sperimentale sarà erede. Nell’ambito dello sperimentalismo cinematografico statunitense, le scarabocchi, le linee disegnate non importa come in A Man and His Dog Out for Air (1957) di Robert Breer o le foglie d'erba e le ali di falena incollate sul nastro perforato della pellicola in Mothlight di Stan Brakhage (1963) non sono lontane da Fantasmagorie di Cohl. 2. LA LINEA→ In Italia, nel 1969, nasce dalla matita di Orlando Cavandoli (nome d’arte: CAVA) «La Linea», un personaggio che ha avuto un enorme successo in tutto il mondo. Si tratta di un omino, dal naso importante, il cui corpo si definisce da un'unica linea tracciata in bianco su uno sfondo scuro. Dotato di un carattere scontroso, irascibile, ma sempre capace di stupirsi Il personaggio de La Linea è diventato famoso in Italia con il Carosello, nella pubblicità per le pentole a pressione Lagostina, ma nel 1972 diventa anche una striscia a fumetti e vince numerosi premi internazionali, oltre che protagonista di altre campagne pubblicitarie all’estero negli anni ’80 e ’90. La Linea dipende dalla volontà del suo disegnatore (Cavandoli), la cui mano ogni tanto è anche visibile all’osservatore. Quando si trova di fronte a un problema, La Linea si rivolge direttamente al disegnatore, che aggiunge gradualmente nuovi elementi nel disegno. Di solito, a fine episodio, Cavandoli lascia cadere il personaggio nel vuoto Episodio 1: Appare ovvio il rimando a Fantasmagorie di Émile Cohl nella linea bianca che si trasforma in personaggi e ambienti diversi e nella, presenza della mano del disegnatore, a dire fino a che punto il dialogo tra organico e inorganico, tra rappresentazione fotografica e rappresentazione stilizzata anti-illusionistica, dell’opera di Cohl abbia influenzato la cultura visiva del Novecento e degli anni Duemila. Il critico cinematografico Adrien Gombeau ha ritrovato l’influenza de La Linea anche nel film di animazione Soul (Quando un’anima si perde, 2020, Pete Docter, Kemp Powers) della Disney e della Pixar, dove c’è una differenza di stile rappresentativo tra la New York in cui vive il protagonista e il mondo ultraterreno delle anime dei defunti, tra la tridimensionalità illusionistica e la stilizzazione degli esseri soprannaturali Nel 2020, Gombeau scrive: «Il nuovo lavoro Pixar combina una New York realistica, l'onda della sua folla, le urla delle sue sirene, il rumore della metropolitana, le chiacchiere dei suoi abitanti... e un Aldilà stilizzato che non ha nulla a che fare con alcuna religione. Lì non incontriamo né dei né angeli ma creature celesti ispirate a Picasso o alla famosa serie italiana di Osvaldo Cavandoli “La Linea”. Ci troviamo di volta in volta su un lungo tapis roulant, in una vasta pianura con vista sul pianeta, in una valle attraversata da una nave pirata o nei labirintici archivi di un'amministrazione”. «La bella idea di Soul consiste nel convincerci che esiste una porta tra terra e cielo. Che nei nostri momenti di sogni ad occhi aperti o di noia, lasciamo la vita raggiungere questo altrove. Il film ne approfitta per evidenziare una modernità straniante che ci strappa alla bellezza della realtà. Incatenati alla routine di compiti ripetitivi, assorbiti dalla luce dei nostri piccoli schermi... stiamo perdendo le bellezze di questo mondo? “ 3. SOUL→ Il protagonista di Soul è Joe Gardner, un musicista e professore di scuole medie di New York. È un pianista jazz molto bravo che sogna di fare della musica la sua vita. Proprio il giorno in cui tutto sembra svoltare e si ritrova davanti a una scelta (non da poco) tra un contratto a tempo indeterminato a scuola e l’opportunità di suonare il piano nella jazz band di una nota musicista, cade in un tombino e muore. Quando l'anima di Joe lascia il suo corpo, inizia un nuovo viaggio, verso un regno cosmico: non volendo morire riesce ad arrivare all’Antimondo (evitando l’Oltremodo), dove vengono create e perfezionate le anime. Qui le 15 Giada Francescano anime vengono istruite, sviluppano le loro passioni e solo dopo essersi diplomate hanno la possibilità di entrare nel corpo delle persone. L'anima di Joe si perde e grazie all'aiuto di tutte le altre anime, viaggia nel cosmo per ritrovare la strada verso la Terra. Soul è un’animazione per adulti? Oggi, gli studi sull'interazione tra l’uso dei media e la cultura popolare si interrogano sulle conseguenze della nostalgia dei genitori per i film della loro infanzia e sulla percezione e l'accettazione di nuovi film animati si discute sul consumo di media da parte dei bambini, sui messaggi mediatici dannosi e sulla necessità di incentivare l'intervento dei genitori durante le esperienze di visione dei figli. Le conversazioni tra adulti e bambini sui contenuti mediali sembrano però essere rare, cosa che appare preoccupante, visto che i bambini considerano i media come fonti di informazione sul mondo in cui vivono. Se da un lato, le conversazioni tra genitori e figli sui media sono poco frequenti e superficiali, dall’altro le conversazioni online tra genitori sono invece abbondanti: i genitori condividono i loro pensieri e i loro commenti sui film, raggiungendo così migliaia di persone in tutto il mondo. In merito ai film della Pixar, gli adulti tendenzialmente ritengono che le narrazioni siano molto accattivanti, sostenendo che la Pixar capisce che le storie più importanti devono essere quelle che fanno appello a verità fondamentali sulla vita. Rilevano che queste storie sono raccontate in modo unico attraverso gli occhi di mostri, pesci pagliaccio, robot o automobili, e così via. Grazie alla riconosciuta capacità di promuovere la creatività, la Pixar è ammirata per il suo team di produzione, che dimostra di avere un livello di conoscenza superiore alla norma rispetto a determinati argomenti. Negli ultimi anni, alcuni genitori, però, sono diventati sempre più preoccupati per l'inclusione da parte della Pixar di argomenti ‘pesanti’, che considerano solo per adulti, cosa che è successa ad esempio anche per Inside Out (2015, Pete Docter). Nei loro commenti online sul film, alcuni utenti hanno addirittura, messo in guardia gli altri dal portare i figli al cinema per vedere quello che ritenevano un ‘pasticcio deprimente’, ‘non per bambini’ e ‘molto cupo e triste. Soul, come Inside Out, è un altro film diretto da Pete Docter, un regista che ha affrontato spesso tematiche che discutono le verità del vivere e i desideri dell’uomo. Soul esplora la crescita di personaggi costretti a muoversi nei discorsi che dominano la nostra società e che spesso alterano il concetto di felicità e il significato della vita. Nel film, la morte è centrale e i personaggi si confrontano con l'esistenzialismo, la teologia e l’Aldilà, con un'attenta considerazione sulle diverse prospettive che affrontano il problema di definire cosa sia realmente un’«anima”. Come rivela Docter, il gruppo di lavoro della Pixar ha lavorato per includere diverse prospettive religiose sulle anime e ha persino assunto dei consulenti per assisterli così da arrivare a una rappresentazione corretta. Alcuni consumatori hanno subito riconosciuto la vastità delle prospettive di Soul, riflettendo sulla capacità del film di trasformare completamente le loro idee o convinzioni precedenti. Alcuni spettatori hanno dichiarato che questo film ha cambiato le loro prospettive sulla vita o che ha fatto loro capire che non devono esercitare tanta pressione su loro stessi. Diversi utenti hanno ritenuto che il film avesse il potenziale per aiutare coloro che soffrono di problemi di salute mentale, affermando che Soul può ‘aiutarvi a comprendere [ansia e depressione] molto meglio’ e incoraggiando i consumatori a evitare di guardare il film fino al ’giorno in cui vi sentirete al peggio della vostra vita e inizierete a mettere in discussione i vostri obiettivi. Altri, invece, sono rimasti delusi e la maggioranza di commenti e recensioni negativi arrivano dai genitori. I tentativi dei produttori di incorporare prospettive multiple su un argomento filosofico, quello dell’anima dopo la morte, che viene raramente discusso con i bambini non hanno stimolato i genitori a intraprendere delle 16 Giada Francescano discussioni sul tema della morte con i loro figli: molti hanno suggerito che era del tutto inappropriato per i bambini. Alcuni blogger hanno dichiarato che la Pixar non è riuscita a ‘educare il pubblico sull’Aldilà’, fornendo ai genitori soltanto un’animazione colma di ‘idee sulla vita dopo la morte e immagini che avrebbero spaventato e ingannato i bambini’. I genitori supportano, perlomeno in parte, la categorizzazione di Soul come film per persone adulte, non solo per i temi legati alla morte, ma anche per la profondità messa in gioco. Alcuni recensori notano che, sebbene il messaggio generale e la profonda attenzione alla morte non siano necessariamente una cosa negativa, non si possono applicare ai bambini, dato che non hanno le capacità cognitive per comprendere idee Astratte. Di fronte a esperienze di confusione che fanno nascere domande, i bambini si rivolgono alle figure adulte e al loro ambiente per avere risposte sulla realtà sociale. Data la natura astratta della morte, è del tutto possibile che i bambini possano avere diverse domande dopo aver visto Soul: questa possibilità sembra essere la preoccupazione principale per quei genitori che considerano il film ‘troppo adulto. Emergerebbe quindi il desiderio dei genitori di evitare discussioni con i loro figli su contenuti mediatici stimolanti e con significati profondi (gli stessi commenti si hanno per Coco, ad esempio). Il focus sulla morte nelle trame ha messo i genitori così a disagio che molti stanno abbandonando definitivamente le produzioni della Pixar. Nonostante l'indignazione dei genitori per le narrazioni della Pixar legate alla morte, quest’ultima non è certamente una novità nei media per bambini. Studi hanno dimostrato che storicamente l'animazione è sempre stata piena di contenuti per adulti, in particolare riguardo a tematiche di morte. Uno studio su 45 film d'animazione per bambini messi in commercio ha scoperto che il 90% conteneva trame omicide e presentava un totale di 895 rappresentazioni di morte con immagini esplicite, tra cui cadaveri e sangue. ‘Classici Disney’ come La sirenetta (1989), Il re leone (1994) e Tarzan (1999) includono morti violente sullo schermo, in cui i personaggi vengono accoltellati, gli animali vengono decapitati e calpestati a morte, gli esseri umani vengono brutalmente sbranati e i loro corpi senza vita giacciono in pozze di sangue. Date queste rappresentazioni tradizionali, è importante chiedersi perché l'analisi non violenta della morte in Soul sia considerata meno appropriata per i bambini rispetto ai rinomati classici animati che sono saturi di violenza e morte. Il motivo della preferenza dei classici potrebbe essere legato alla loro presentazione grafica, meno astratta rispetto a Soul Le preoccupazioni che Soul includa immagini di anime potenzialmente spaventose per i bambini deriva dal fatto che queste sono raffigurate come macchie blu pressoché informi, con caratteristiche però simili a quelle umane (occhi, bocca, arti). Gli stessi genitori che preferiscono far evitare ai loro bambini di guardare Soul poi sembrano non avere problemi con film, come Il re leone, dove Scar, assetato di potere, uccide il fratello, tenta di uccidere il nipote e alla fine assassinato da un branco di iene quando i suoi tradimenti vengono svelati. Altri temi sociali ‘pesanti’ potrebbero ritrovarsi ne Il gobbo di Notre-Dame, in cui Esmeralda è costruita come una sorta di oggetto sessuale e, in quanto tale, viene spesso toccata e molestata da Frollo. Oppure La bella e la bestia è stato letto come un film sulla sindrome di Stoccolma, perché Belle sviluppa un legame di dipendenza con la Bestia durante la sua prigionia forzata. La differenza tra i film ‘classici’ presi a testimonianza e Soul è che quest’ultimo affronta direttamente la morte come un concetto astratto e lo fa in modo non violento, evitando di mostrare scene di morte e crudeltà. In questa prospettiva, è sicuramente più appropriato per i bambini. Emblematicamente, però, anche se alcuni genitori identificano chiaramente i problemi di violenza in altri film Disney, tendono a scartarli. Per Il re leone un 17 Giada Francescano commento afferma, ad esempio: «Questo è uno dei migliori film della Disney. Penso che non permettere ai bambini di guardarlo sia essere iperprotettivi. C'è della violenza, ma ha una storia fantastica e una morale. La reazione negativa che la Pixar ha ricevuto per Soul testimonia una crescente preoccupazione per lo statuto dei discorsi culturali anche al di fuori dei media per bambini, così come l'accresciuta urgenza di Media Education. Nella cultura occidentale, gli argomenti come la morte sono ormai per tradizione scomodi da discutere. Quando gli adulti si impegnano in una conversazione sulla morte con i bambini, spesso lo fanno in modi indiretti, senza riuscire a spiegare chiaramente le diverse sfumature di alcuni concetti. Date le loro limitate capacità cognitive, i bambini si affidano all’ambiente in cui vivono per raccogliere informazioni riguardanti le loro esperienza sociali e, in assenza di conversazioni significative sulla morte con i loro genitori, i media potenzialmente possono riempire quel vuoto. La morte non solo è un evento comune nei media per bambini, ma è solitamente rappresentata in modi violenti che giustificano in un certo senso la cancellazione dei dialoghi sulla morte nel mondo reale. La rappresentazione violenta della morte può essere preoccupante per la comprensione da parte dei bambini di come funziona la morte nel mondo reale, ma ancora più preoccupanti sono le rappresentazioni grafiche di violenza e omicidio. Invece di presentare la morte in modo violento, gli studi suggeriscono che i media per bambini dovrebbero rappresentare la morte come un evento naturale, affrontato apertamente, in maniera intenzionale e ‘sana’, come la Pixar ha tentato di fare in Soul. Le critiche pesanti che ha ricevuto Soul da parte dei genitori, a differenza dei classici Disney, illustrano gli effetti creati dalla nostalgia, perché gli adulti trascurano o sminuiscono l'inadeguatezza dei film legati alla loro infanzia. La sfida per i genitori e gli adulti in generale è dunque quella di superare la nostalgia e combattere i discorsi culturali che pervadono la società contemporanea per cui parlare della morte è scomodo e inappropriato. Lezione 5: 4. IL CINEMA NARRATIVO→ Fin dalle sue origini, le funzioni del cinema potevano essere molteplici: strumento utile alla ricerca scientifica, oppure alla documentazione in ambito storico e giornalistico, oppure come un archivio visivo per conservare la memoria sia pubblica sia privata. Nonostante alcuni di questi ambiti abbiano fatto ricorso al cinema, la funzione primaria che questo ha assunto nella storia e che lo caratterizza in maniera specifica è stato l’aspetto narrativo, il racconto Valutando gli stretti rapporti tra cinema e letteratura fin dagli inizi –abbiamo visto, ad esempio, che il Viaggio nella luna di Méliès era ispirato ai romanzi di Jules Verne e di H.G. Wells –, il critico cinematografico francese Christian Metz ha dichiarato: «Che il cinema potesse diventare prima di ogni altra cosa una macchina atta a raccontare storie, ecco qualcosa che non era stato davvero previsto”. Il racconto cinematografico è «chiuso» perché vi saranno sempre un inizio e una fine, anche per quanto riguarda i film che lasciano un significato aperto e ambiguo, un film avrà sempre un’immagine di chiusura. Il racconto del cinema è caratterizzato da due tempi diversi: 1. Il tempo della cosa raccontata, che può significare ore, giorni, mesi, anni, o secoli 2. Il tempo di durata del film, che si misura in ore (solitamente un’ora e mezza, ma anche di più o di meno). Come si forma il racconto nel cinema? 18 Giada Francescano Il primo passo che deve fare lo sceneggiatore è quello di elaborare un’idea drammatica o story-concept. Si tratta di un brevissimo riassunto, un racconto molto sintetico di quanto si vorrebbe rappresentare, dove ci sono il/i protagonista/i, la motivazione, il conflitto, lo sviluppo e la risoluzione finale. Gli addetti ai lavori chiamano lo story-concept anche telegramma, fatto idealmente di 25 parole riassuntive di tutto il film. Ci sono due tipi di story-concept: 1. High-concept: si tratta di una narrazione intrecciata sulle azioni, su un conflitto evidente tra il protagonista e l’antagonista, con la ricerca di colpevoli. Riguarda gran parte dei film commerciali 2. Low-concept: la narrazione è incentrata sugli stati d’animo e sugli aspetti psicologici del protagonista. Lo sviluppo della trama è a volte ambiguo e difficile da capire. A volte anche perché per lo sceneggiatore (o sceneggiatrice) può trattarsi di fatti personali. Lo story-concept nasce sostanzialmente dalla domanda: «Cosa succederebbe se?...». È la domanda che dà inizio a una storia, che dovrebbe avere sempre una componente di originalità o curiosità «Cosa succederebbe se il primogenito di un soldato volesse andare in guerra al posto del padre per salvaguardarne l’onore?» «Cosa succederebbe se la primogenita di un soldato volesse andare in guerra al posto del padre per salvaguardarne l’onore?» Mulan (1998, Tony Bancroft, Barry Cook). «Cosa succederebbe se un ragazzo si innamorasse di una ragazza?»(l’originalità non appare per niente presente in questo caso)«Cosa succederebbe se un ragazzo si innamorasse di una ragazza appartenente alla famiglia rivale, con l’opposizione di entrambe le famiglie?» Romeo e Giulietta (The Most Excellentand Lamentable Tragedy of Romeo and Juliet, 1594-96) di William Shakespeare Romeo + Juliet (1996, Baz Luhrmann). Premio Oscar 1997 per la migliore scenografia. Per rispondere al «Cosa succederebbe se…» e definire una trama, occorre creare una story line: «è la storia di … [il protagonista] che … [risolve un conflitto] Occorre individuare un protagonista e il conflitto principale che è chiamato ad affrontare. Nel caso di Mulan, la story line è molto semplice: «è la storia di Mulan, una ragazza che vuole andare in guerra anche se le sarebbe proibito, essendo donna» Dopo la story line, occorre definire un soggetto, che è un breve riassunto in forma narrativa (3 o 4 pagine, ma si può arrivare anche a 10) di quanto si vuole rappresentare da sottoporre ai produttori. Il soggetto soddisfa di solito le seguenti domande: dove e quando si svolge la storia; chi è il protagonista e chi sono i personaggi principale; qual è il conflitto che fa muovere il protagonista; quali sono gli eventi principali e come sono legati tra loro (i meccanismi di causa effetto); le proporzioni tra le varie parti della storia (quanto sarà lungo il fatto X? E Y in reazione a X quanto durerà?); risoluzione del conflitto. In seguito alla preparazione del soggetto, occorre definire una scaletta per punti, che traccia gli episodi del film senza entrare nei dettagli, ma offrendone la struttura di base Mulan è spensierata con la sua famiglia. Arrivano i cattivi che minacciano la Cina. Viene chiamato in battaglia il padre. Il padre non può andare. Mulan prende il suo posto. Mulan si veste da uomo e parte. Mulan raggiunge l’esercito e iniziano gli allenamenti …. 19 Giada Francescano Segue poi il trattamento, che, come il soggetto, è sempre un riassunto in forma narrativa del film, ma molto più elaborato (30 pagine circa) Il trattamento prende in considerazione gli spunti narrativi del film, approfondisce la psicologia del protagonista e degli altri personaggi e approfondisce le sequenze e gli avvenimenti del Film. In seguito, la scaletta per scene elenca proprio tutte le scene (non gli episodi) del film, in una prospettiva più tecnica dal punto di vista cinematografico. Nella scaletta, ogni scena, che viene numerata, deve essere descritta brevemente negli aspetti essenziali. Solitamente, il numero di scene in questa scaletta è abbastanza elevato. Al termine, il tutto deve essere finalmente trasformato in una sceneggiatura. Nella sceneggiatura definitiva, le scene sono ordinate una per una, vengono introdotti i dialoghi e spesso vengono suggeriti anche altri elementi, a seconda del modo di lavorare e della personalità del regista La sceneggiatura è la parte più letteraria del film, perché riguarda la «storia», i contenuti di una narrazione e, storicamente, è modellata sugli intrecci letterari dei romanzi dell’Ottocento, come ha segnalato il cineasta russo Sergej M. Ėjzenštejn (1898-1948), in un saggio sul rapporto tra il cinema del regista americano David W. Griffith (1875-1948) e le opere dello scrittore inglese Charles Dickens (1812-1870). In Italia, per soddisfare un pubblico che voleva sempre più storie e racconti, sono stati proposti fin dal secondo decennio del XX secolo brevi filmati di poche decine di minuti che erano ispirati alle opere di Omero, Dante, Shakespeare o D'Annunzio e che non segnalavano nemmeno chi era alla base della loro realizzazione. Ai tempi, gran parte dei letterati italiani era contro il cinema, perché lo consideravano un’arte poco colta e troppo popolare. Nonostante questo, alcuni di loro, come Giovanni Verga (1840-1922) e Guido Gozzano (1883-1916), collaboravano con il cinema in veste semi-clandestina. Negli anni Venti del Novecento, cinema e letteratura si accomunano come arti dello sguardo e del racconto. Entrambi sono accomunati dal fatto che vogliono riconfigurare il tempo attraverso il racconto, anche se arrivano a risultati diversi perché utilizzano mezzi diversi. Il racconto letterario produce un’esperienza narrativa, mentre quello cinematografico produce un’esperienza immaginativa. In ogni caso, sia nella letteratura sia nel cinema esistono entrambe le componenti – narrativa e immaginativa –, con percentuali diverse. Il racconto cinematografico (ma anche quello letterario) mostra la vita, i nessi spesso invisibili che esistono tra le persone e le cose, i luoghi reali e immaginati. La sceneggiatura offre una mediazione tra il razionale e l’irrazionale, il sensibile e l’ideale, la realtà (storica) e la fantasia. Il racconto cinematografico è una sorta di sfida che vuole mostrare il vivere e anche il tempo del vivere attraverso il ritmo delle immagini, i dialoghi, le inquadrature, gli spazi, il suono. Un film è un’immersione totale nella vita tra razionalità e irrazionalità e stimola attività sensoriali e cerebrali che probabilmente usavamo in maniera più intensa durante l’infanzia. Lo spettatore di un film non contempla solamente le immagini, ma si mette direttamente in relazione con esse, riconoscendosi o confutandole, derivando le proprie conclusioni e contestualizzando la storia all’interno della propria esperienza. Il cinema rende visibile l’incrocio tra la realtà e la finzione La sua modalità di relazione è sia cognitiva sia emotiva. La sceneggiatura è fondamentale per creare un processo immaginativo che poi si mostra nella rappresentazione filmica. Il cinema narrativo per eccellenza, quello più famoso ed espressione piena della tradizione, è il cinema hollywoodiano. Non a caso, le avanguardie sperimentali nascono proprio in reazioni a questo modello, per contrastare il dominio stilistico e commerciale di Hollywood. Ad esempio, nel 1910 circa nascono in Francia i «ciné-club», ossia delle sale dove venivano proiettati film d’arte. 20 Giada Francescano Per «tradizione» si intende soprattutto tutto ciò che compone l’immaginario culturale che forma il nostro sapere, la nostra memoria collettiva, i nostri modelli di comportamento, le nostre consuetudini e così via. In Occidente, i miti greci sono alla base dell’identità culturale, come ha ben argomentato Joseph Campbell nell’Eroe dai mille volti (The Hero with a Thousand Faces, 1968). Campbell dimostra che anche oggi le storie riproducono il modello dell’eroe dei miti classici e il suo viaggio iniziatico verso il sapere. Il modello dell’eroe, rilavorato con numerose variazioni, presenta alcuni elementi di base che rimangono costanti e che mostrano il protagonista che abbandona il posto in cui vive o viene esiliato e si mette alla ricerca della conoscenza, che raggiungerà dopo molte imprese, sofferenze e pericoli. Valutandone la struttura archetipica, i temi e i personaggi,Campbell vede, ad esempio, in Guerre stellari (Star Wars,1977) di George Lucas un possibile anello di congiunzione ideale tra il mito classico e il cinema hollywoodiano. In Mitologia creativa (Creative Mythology, The Masks of God, 1968, Campbell ritiene che la saga di Guerre stellari riproponga, con un linguaggio aggiornato in grado di arrivare a un pubblico mondiale, il messaggio di Faust (personaggio letterario).La leggenda di Faust – riportata in diversi testi tra cui The Tragical History of Doctor Faustus di Christopher Marlowe del 1592 – racconta della dannazione del protagonista, che vende l’anima al diavolo in cambio di conoscenza, potere e nuova giovinezza. La cultura occidentale è stata definita faustiana perché basata su forze antitetiche, come materia/spirito, luce/ombra, diavolo/dio, e così via. Il messaggio faustiano che Campbell legge in Guerre stellari è che la tecnologia non ci salverà se non riusciamo a dominare le nostre passioni negative. In Il ritorno dello Jedi (The Return of the Jedi, Richard Marquand, 1983), c’è la celebre sequenza della morte di Darth Vader (o Dart Fener nella versione italiana), dove il mostro appare senza maschera: Si rivela il volto di un uomo segnato e deturpato che suscita compassione, perché non è mai riuscito a sviluppare appieno la sua umanità: è stato un automa, rispettando un modello di vita imposto dal sistema. Ne Il viaggio dell’Eroe. La struttura del mito ad uso di scrittori di narrativa e di cinema (The Writer’s Journey: Mythical Structures for Storytellers and Screenwriters, 1993), Chris Vogler suddivide gli elementi evidenziati da Campbell in diverse tappe, presentando gli snodi principali della sceneggiatura di molti film occidentali. Mondo ordinario Chiamata all’avventura, fuori dal focolare Rifiuto della chiamata Incontro con l’amico, il mentore, la guida Superamento della prima soglia Incontro con gli alleati o con gli avversari Avvicinamento al paese straniero Prova suprema Premio Sulla via del ritorno Resurrezione e comprensione Ritorno al focolare Molti film presentano sostanzialmente questa struttura, magari con un ordine diverso o con meno tappe. Il modello del viaggio dell’eroe è, non a caso, vicino al modello che Vladimir Propp aveva già individuato per le fiabe (Morfologia della fiaba, 1928). In breve, nel cinema narrativo la storia si può suddividere in tre fasi principali: l’ordine, la trasgressione e il ripristino dell’ordine Il bene e il male sono solitamente alla base del racconto classico, così come la necessità di un lieto fine, perché il rientro nella normalità è sempre necessario per rassicurare lo spettatore. Come nelle favole, questo modello contiene sempre dei personaggi tipizzati, fra cui i principali sono l’eroe buono e quello cattivo (che minaccia la comunità). Ma ci sono anche l’aiutante magico, il mandante, il donatore. 21 Giada Francescano Nel libro From Fairy Tale to Film Screenplay (2015), Terence Patrick Murphy analizza alcuni film hollywoodiani famosi attraverso i personaggi tipizzati presenti nelle favole dei fratelli Grimm.Utilizza, ad esempio, il «principe ranocchio» (che preferisce a Cenerentola) come modello per analizzare Pretty Woman (Garry Marshall, 1990); il «gatto con gli stivali» per The Mask –Da zero a mito (The Mask, Chuck Russell, 1994); e Cappuccetto Rosso per Psyco (Psycho, 1960) di Alfred Hitchcock. Analisi di Pretty Woman (1990) del regista Garry Marshall attraverso la favola Il principe ranocchio (1812) dei Fratelli Grimm. Il film Pretty Woman è una commedia romantica, in cui il ricco uomo d’affari Edward Lewis (Richard Gere) ha bisogno di una compagna femminile al suo fianco per eventi sociali ed assume una bella prostituta, Vivian Ward (Julia Roberts), di cui alla fine si innamorerà. Pretty Woman è stato associato immediatamente e senza grosse incertezze da parte della critica cinematografica e del pubblico alla favola di Cenerentola, le cui versioni più famose sono quella di Charles Perrault e quella dei Fratelli Grimm. Nella trama del film però mancano elementi fondamentali: il matrimonio del padre con un matrigna cattiva, le sorellastre, la scarpetta di cristallo, e così via. A livello di elementi strutturali non ci sono molti parallelismi, tranne la presenza del principe, e, infatti, il regista Garry Marshall non ha mai paragonato il film a Cenerentola, bensì al mito classico di Pigmalione, lo scultore che si innamora della propria opera. Per quanto riguarda le favole dell’immaginario tradizionale, una storia che narra in maniera centrale di un cambiamento è Il principe ranocchio o Enrico di Ferro. Nella fiaba, una principessa fa amicizia con un ranocchio come ringraziamento per aver recuperato la palla d'oro che aveva fatto cadere in uno stagno. Il ranocchio è in realtà un principe vittima di un incantesimo da parte di una maga cattiva. Nella fiaba dei Grimm, l'incantesimo viene spezzato quando la principessa lancia il ranocchio contro il muro in un atto di disgusto, dopo che questo aveva insistito per dormire nel suo letto. Nelle versioni più moderne, invece, succede quando la principessa lo bacia (forse una variazione introdotta dalle traduzioni inglesi della favola). Nella favola dei Grimm, il principe ha un cocchiere di nome Enrico che ha cinto il suo cuore con tre anelli di ferro affinché non scoppiasse per l’angoscia causata dalla trasformazione del suo signore in ranocchio. Quando vede il principe ritrasformato, gli anelli si staccano per la gioia. Da qui viene il secondo titolo Enrico di Ferro. Secondo Murphy, nel film Pretty Woman, i ruoli di genere si invertono: è Vivian Ward (Julia Roberts) a essere la Principessa ranocchia ed Edward Lewis (Richard Gere) a impersonare il principe riluttante. La bella e dolce Vivian, prima dell’inizio della storia, è stata accidentalmente, essendo sfortunata nella vita, trasformata in una prostituta e nel film Edward cerca di capire il perché Edward decide di rompere questo «incantesimo» e rimane con Vivian più di quanto dovuto. Murphy sostiene che nel film ci sono due viaggi iniziatici paralleli, uno per Edward, l’uomo d’affari-principe riluttante, e uno per Vivian, la prostituta-principessa ranocchia. Entrambi rispondono agli snodi delle favole, con prove da superare, avversari, battaglie, ma i loro percorsi si intrecciano, definendo anche la storia d’amore. Ovviamente la ricompensa finale è quella di Edward che va a cercare Vivian, la chiama principessa e sale le scale antincendio per raggiungerla, nonostante soffra di vertigini, ed entrambi con un bacio dichiarano di credere alle favole. Il rapporto tra letteratura e cinema è stato occasione di numerosi dibattiti, che hanno indagato questioni come i modi e gli strumenti più opportuni per far confluire un mezzo narrativo nell'altro; l'autonomia del film rispetto alle sue fonti; La traduzione in immagine delle forme retoriche letterarie; il valore della sceneggiatura come testo autonomo.Al di là del legame tra opere filmiche e opere letterarie, la maggior parte dei film destinati alla grande distribuzione hanno carattere narrativo, come del resto anche i film che analizzeremo. 22 Giada Francescano In qualità di spettatori di film narrativi, siamo spesso più attratti dalla trama e dalle storie che raccontano piuttosto che dalle strategie visive che utilizzano. Questo perché la narrazione (lo storytelling) è parte centrale di qualsiasi tipo di esperienza umana e, solitamente, oltre che produrre conoscenza è in grado di attivare le emozioni. Alcuni critici associano esplicitamente lo storytelling al gioco Anna Affede afferma ad esempio che: «La narrazione è dunque in prima istanza un atto conoscitivo e comunicativo che si svolge in due momenti: da una parte la riappropriazione del vissuto, che avviene attraverso l’attribuzione di senso ai fatti, dall’altra la condivisione della conoscenza acquisita, rappresentata attraverso l’utilizzo di artefatti linguistici secondo delle dinamiche che potremmo associare a quelle del gioco» (Orientamenti e prospettive della mediazione narrativa, in L.Cataldo, Dal Museum Theatre al Digital Storytelling, 2011, p. 15). Di fatto, come il gioco, la sceneggiatura cinematografica è direttamente collegata all’immaginazione. È l’immaginazione che collega le parole alle immagini che permette al lettore di «visualizzare» la storia Pier Paolo Pasolini definiva l’immaginazione «cinema mentale»: dà vita allo scritto cinematografico, fondando le basi del film. Anche per il ruolo centrale della narrazione nelle nostre modalità conoscitive, in qualità di spettatori di film narrativi siamo spesso più attratti dalla trama e dalle storie che raccontano piuttosto che dalle strategie visive che utilizzano. Le storie – la narrazione – possono trovare articolazione attraverso media molto diversi tra loro e, a volte, anche media diversi che si intrecciano tra loro, come ad esempio video, film, videogiochi, fumetti, offrendo ognuno il proprio contributo al racconto. Si parla in questo caso di «narrazione (o storytelling) transmediale» Si tratta di «pezzi» di storia, ognuno dotato della propria autonomia di senso, che rientrano in una sovranarrazione i cui contenuti sono affidati ai diversi media dell’industria culturale, ma, grazie anche a Internet, anche a vari utenti che si riappropriano delle tematiche e le ridistribuiscono. Ad esempio, il film Matrix (Andy e Larry Wachowski, 1999) è articolato in una trilogia di film, in cortometraggi Animatrix, in fumetti, in videogiochi, in giochi di ruolo online, ecc. Lezione 6: Nel contesto cinematografico europeo degli anni Venti e Trenta, il cinema delle avanguardie si distingue radicalmente dal cinema narrativo commerciale sviluppato negli Stati Uniti, portando con sé un desiderio di esplorazione visiva e concettuale che mira a rompere con la tradizione. Questo movimento pone l'accento sugli aspetti visivi del cinema, distogliendo l'attenzione dalla trama per concentrarsi sulla forma, il movimento e l'esperienza sensoriale. Artisti come i futuristi italiani e i loro omologhi russi vedevano nel cinema uno strumento per esprimere il dinamismo e il rinnovamento, ma anche la liberazione da modelli preesistenti, sfidando i codici sociali, morali e narrativi. I futuristi italiani, in particolare, vedevano nel montaggio un mezzo per "cambiare il mondo", seguendo un principio di libertà creativa che si opponeva a ogni tipo di tradizione. Il Manifesto della Cinematografia Futurista (1916) di Marinetti e altri autori sottolineava come il cinema, libero da vincoli storici e estetici, dovesse distaccarsi dalla realtà fotografica per diventare un "deformatore", capace di esprimere dinamismo, modernità e rottura. I futuristi riscoprono le potenzialità dissacratorie dei trucchi cinematografici, un aspetto che, dopo l'era del cinema delle attrazioni, era stato in gran parte dimenticato. Tra gli esperimenti più significativi di questa avanguardia ci sono i lavori dei fratelli Ginna e Corra, che sperimentano con la pellicola, manipolandola manualmente per creare film astratti, come Accordo di colore e Studio di effetti tra quattro colori (1911), in cui l'animazione diventa un mezzo per esplorare visivamente 23 Giada Francescano temi musicali e poetici. Questi primi esperimenti saranno ripresi da artisti successivi come Hans Richter e Viking Eggeling, i quali, con il cinema astratto, cercano di portare la pittura in movimento, conferendo alla struttura dinamica dei dipinti una nuova dimensione. Un altro esempio significativo è Thaïs o Perfido incanto (1916), un film futurista diretto da Anton Giulio Bragaglia. Questo lavoro gioca con la figura della femme fatale e ne de-costruisce i meccanismi, riducendo la diva cinematografica a un "simulacro" di immagine filmica, che esiste solo come rappresentazione. Il film, sebbene narrativamente convenzionale nella prima parte, si distingue per l'estetica futurista del finale, dove le decorazioni geometriche e i giochi di luci e colori riflettono la sensazione di un mondo in trasformazione. La morte finale della protagonista non è tanto una punizione morale, ma la conferma che il suo esistere dipende dalla sua rappresentazione cinematografica. In questo stesso periodo, in Italia, si sviluppa il "diva-film", un genere che sfrutta le potenzialità del primo piano per esaltare la figura della diva come oggetto di ammirazione e desiderio. Attrici come Francesca Bertini, Lyda Borelli e Pina Menichelli diventano icone di questo genere, dando vita a una recitazione che alterna momenti di grande naturalismo e altre di eccessiva teatralità, dove le pose d'amore e passione si trasformano in quadri statici da contemplare. Il diva-film, pur raccontando storie drammatiche, diventa soprattutto una forma di rappresentazione estetica, dove la storia passa in secondo piano rispetto all'immagine della diva, ormai al centro del cinema come fenomeno pubblicitario. Nel complesso, il cinema delle avanguardie non solo promuove nuove forme di espressione visiva e narrativa, ma sfida anche le convenzioni sociali e culturali, creando opere che sono al contempo una riflessione critica sulla società e un invito a liberarsi dalle forme tradizionali di rappresentazione. l Diva-Film rappresenta un fenomeno cinematografico legato al culto della celebrità e del volto femminile, in particolare, nell'ambito del cinema muto italiano. Questo tipo di cinema è caratterizzato da un forte uso dei primi piani, che non solo enfatizzano il volto, ma trasformano la sua espressività in un mezzo di comunicazione emotiva potente, molto diverso dalla tradizione narrativa americana dell'epoca. Le attrici come Lyda Borelli e Pina Menichelli diventarono icone del cinema italiano, il cui volto divenne il centro emotivo e simbolico del film. Questi film, al di là della trama, cercavano di esplorare la psiche e le emozioni attraverso il viso, portando una nuova forma di "intensità" visiva che rompeva con il racconto convenzionale. Le Avanguardie Il cinema delle avanguardie si distinse per l'uso radicale di nuove tecniche espressive, e il primo piano giocò un ruolo fondamentale. Le avanguardie, in particolare il cinema espressionista tedesco e quello francese, esplorarono il volto umano come una superficie emotiva e simbolica, influenzata dalle correnti artistiche del periodo come il futurismo e l'espressionismo. Il volto umano, in quanto "territorio" da esplorare e "mutante", diventò una via per esprimere l'interiorità, e le tecniche di montaggio, inquadrature particolari e effetti visivi vennero utilizzate per evocare una realtà che sfuggiva alla rappresentazione ordinaria. In particolare, il futurismo russo fu un movimento che cercava di trasmettere l'energia del cambiamento attraverso l'arte e il cinema. Filmmaker come Dziga Vertov e Sergej M. Ėjzenštejn rifiutavano le convenzioni tradizionali, e il cinema venne visto come uno strumento capace di stimolare una reazione attiva nel pubblico. Il montaggio di Vertov, nella sua teoria del cine-occhio, fu fondamentale in quanto suggeriva che la cinepresa potesse vedere il mondo in modo nuovo, rendendo quotidiane le cose che ci erano invisibili. Questo approccio portò alla creazione di film come L’uomo con la macchina da presa (1929), che non aveva una narrazione lineare ma un flusso di immagini, dove la città stessa si trasformava in un organismo vivente. Ėjzenštejn, d'altra parte, introdusse il concetto di montaggio delle attrazioni, in cui l'accostamento di immagini potenti e contrastanti poteva suscitare forti emozioni nel pubblico. Il film Sciopero! (1924) divenne un esempio di questo tipo di montaggio, che non si limitava a raccontare una storia, ma a scatenare una reazione emotiva nel pubblico attraverso un uso radicale delle immagini. 24 Giada Francescano Nel cinema francese, le avanguardie si concentrarono sull'integrazione del fantastico con il reale, e sull'uso di tecniche come la fotogenia, un concetto sviluppato da Louis Delluc. La fotogenia cercava di catturare l'aspetto poetico e la bellezza intrinseca degli oggetti e dei volti, attraverso inquadrature particolari e l'uso di luce e ombra. Il volto umano, in particolare, veniva visto come una superficie che esprimeva emozioni, spesso enfatizzando il lato psicologico e soggettivo dei personaggi, come evidenziato da teorici come Béla Balázs, che vedeva nel primo piano uno strumento per rivelare l'anima. Anche il cinema tedesco delle avanguardie si distinse per l'uso innovativo del movimento della cinepresa e per l'esplorazione di mondi fantastici e allucinatori, come nei film dell'espressionismo tedesco. Il film simbolo di questa corrente è senza dubbio. Il gabinetto del dottor Caligari (1920), in cui le scenografie distorte e i trucchi filmici erano usati per creare un'atmosfera onirica e inquietante, esplorando la psiche dei personaggi e il loro mondo interiore. Il film racconta una storia di omicidi misteriosi e sonnambuli, ma la sua potenza risiede nella forma visiva, nella costruzione di mondi distorti dove il sogno e la realtà si confondono. In sintesi, il cinema delle avanguardie fu caratterizzato da una ricerca costante di nuove forme espressive, che puntavano a esplorare la realtà attraverso la distorsione del normale, la soggettività e la forza visiva. Attraverso l'uso innovativo del primo piano, il montaggio, e tecniche come la fotogenia e il movimento della cinepresa, i cineasti delle avanguardie riuscirono a creare un cinema che non solo raccontava storie, ma trasformava la visione del mondo, invitando lo spettatore a percepire la realtà da nuove prospettive. Lezione 7: O IL CINEMA E IL SOGNO → Ne Il cinema o l’uomo immaginario (1957), Edgar Morin definisce la nascita del cinema narrativo, che è avvenuta tra il 1906 e il 1915, la «trasformazione del cinematografo in cinema». Il cinematografo illustrava storie, che erano già conosciute o raccontate da altri, mentre il cinema è in grado di raccontarle da solo, facendo a meno del presentatore, della musica e di ogni altro tipo di aiuto. Gradualmente, soprattutto con l’arrivo del sonoro, gli spettatori rimangono da soli davanti a una macchina. Morin valuta il motivo per cui, fin dagli esordi, l’utilizzo del cinematografo sia stato dedicato allo spettacolo e alla rappresentazione di una vita legata alle emozioni più che a fini scientifici o tecnici. Secondo il filosofo, la macchina cinematografica è assurda perché «serve a proiettare immagini solo per il piacere di vedere immagini». Morin mette in rilievo il legame tra cinema e sogno che, fin dagli inizi del Novecento, tutti i registi, gli artisti, ma anche i teorici

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