Genetica Molecolare - Past Paper PDF

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Paolo Porporato, Alessandra Ghigo, Miriam Martini

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molecular genetics biological bases biology scientific method

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These notes introduce the course on biological bases, covering topics such as molecular genetics, classical genetics, and cell biology. The course is structured around three modules, with a focus on understanding concepts rather than rote memorization. Core biological principles, and the genes encoding them, are maintained through evolution.

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GENETICA MOLECOLARE PRIMO ANNO, CANALE D Paolo Porporato, Alessandra Ghigo, Miriam Martini Basi biologiche Professore: Paolo Porporato Lezione 1 Sbobinatore: Davi...

GENETICA MOLECOLARE PRIMO ANNO, CANALE D Paolo Porporato, Alessandra Ghigo, Miriam Martini Basi biologiche Professore: Paolo Porporato Lezione 1 Sbobinatore: Davide Pedreschi 02/10/2023 Revisore: Eliseo Peirano INTRODUZIONE AL CORSO DI BASI BIOLOGICHE Il docente specifica che per contattarlo sarà necessario farlo tramite i rappresentanti di classe. Non risponderà a mail inviate da altri studenti, a meno che non siano i rappresentanti. Il professore all’inizio della lezione fa una breve introduzione sul corso, specificando che sarà costituito da tre moduli: basi biologiche, biologia molecolare e genetica umana. Il modulo di basi biologiche è a sua volta costituito da tre moduli: genetica molecolare, genetica classica o formale, biologia cellulare. L’esame di basi biologiche è scritto, in particolare per biologia cellulare e molecolare prevarranno le risposte aperte. Per la parte di genetica classica ci saranno anche “problemi” da risolvere. Il professore pretende che all’esame vengano conosciuti i concetti più che le nozioni. I tre moduli di basi biologiche verranno valutati contemporaneamente e faranno media ponderata con gli altri moduli. Il libro di testo consigliato è: biologia molecolare della cellula (Alberts). Inoltre, da non sottovalutare le slides perché contengono informazioni importanti. La disciplina che il professore insegna è in continua evoluzione, occorre, secondo lui, cambiare mentalità (forma mentis) rispetto a quanto studiato al liceo e aggiornarsi continuamente. N.B.: per gli esami ci si dovrà registrare agli appelli parziali del corso. Una volta sostenuti gli esami (tutti e 3 i moduli) ci si dovrà registrare all’appello verbalizzante. INTRODUZIONE AGLI ORDINI DI GRANDEZZA DI MOLECOLE, ORGANELLI, CELLULE… Il professore cita alcune delle dimensioni proposte nell’immagine a sinistra: cellule animali e vegetali (visibili attraverso il microscopio ottico), mitocondri (1 micron), per poi arrivare a virus, fagi, proteine… visibili solo con il microscopio elettronico. Unità di misura importante è l’Å (=0.1 nm). Ci sono quattro livelli con cui si possono studiare le cellule: cellula e organelli, complessi sopramolecolari (cromosomi), macromolecole (proteine…) e le unità monomeriche (acidi nucleici, amminoacidi). LA GENETICA tocca diversi ambiti: genetica di trasmissione, genetica molecolare e genetica di popolazione. In basi biologiche ci si concentrerà sulle prime due. La genetica mendeliana si occupa di: trasmissione dei caratteri da una generazione all’altra, relazione tra genotipo e fenotipo, relazione tra cromosomi ed ereditarietà dei caratteri e posizione dei geni sui cromosomi. La genetica molecolare studia invece la natura chimica dei geni e la loro struttura e i meccanismi attraverso i quali il materiale genetico è espresso e trasmesso. CONOSCENZE E RICERCA è fondamentale verificare ogni informazione o conoscenza. Esempio: È “naturale” che il figlio di un uomo sia un uomo, un cane derivi da un cane, una pianta da un’altra pianta. Ma uno scienziato non può considerare nulla come ovvio: ci sono leggi che regolano questi eventi e queste leggi possono essere individuate. Come? Attraverso il metodo scientifico. Si basa su: osservazioni, ipotesi (falsificabili) e verifica (tramite esperimenti). MA esistono del bias cognitivi, ovvero dei pattern sistematici di deviazione dalla norma o dalla razionalità nel giudizio. Essi ci portano a considerare e a vedere le cose secondo una nostra interpretazione dei fatti, motivo per cui, nell’ambito della ricerca, è fondamentale la peer review (si sottomettono le ipotesi a dei pari che validano una determinata ricerca in forma anonima). Essa ci permette dunque di “evitare” i bias cognitivi. 1 1 IL CONTINUUM DELLA RICERCA CLINICA si parte dalla ricerca biomedica di base, per poi arrivare alla ricerca traslazionale e alla ricerca clinica, fino ad arrivare a un miglioramento della pratica clinica. Questi step sono collegati l’un l’altro e sono indispensabili. Questo schema, inoltre, rappresenta la base per l’aggiornamento scientifico ed è fondamentale per garantire un processo di sviluppo adeguato. L’immagine qui sotto mostra come le evidenze scientifiche siano a solidità crescente: esistono le osservazioni preliminari in vitro, poi vengono verificati su animali, in seguito le scoperte ottenute vengono pubblicate e possono essere condivise da altri scienziati. Si lavora con i “case reports” (= singoli casi, che possono essere pazienti con fenotipi particolari o sperimentazioni), per poi arrivare ai “Trials randomizzati in doppio cieco” (quando né il paziente né il medico sanno se la terapia è rappresentata dal placebo o dal medicinale). In molti casi, gli studi omeopatici non hanno evidenziato grandi differenze dal trattamento farmacologico. Occorre saper distinguere la conoscenza dalla pseudoscienza. CORRELAZIONE ≠ CAUSA la correlazione non implica un nesso causale. Esempi: vedi grafici “Age of miss America correlates with murders by steam” “Correlazione tra elevato consumo di formaggio e morti soffocati nelle lenzuola”. CHERRY PICKING significa prendere da un grande insieme di dati solo i dati che ci interessano per dare valore a una determinata teoria. Esso è alla base del metodo pseudoscientifico (il professore fa l’esempio delle teorie “magiche” per il trattamento dei malati Covid e le teorie cospiratrici che creano una teoria avvincente legata al cherry picking). “I singoli dati non sono conoscenza e avere la conoscenza non implica aver capito cosa sta succedendo” CHE COS’È LA RICERCA? Indagine sistematica volta ad accrescere le conoscenze che si posseggono in una disciplina. Le conoscenze possono essere legate alla tradizione, a un’autorità o a esperienze particolari (credenze, buon senso…). Con la ricerca possiamo: descrivere, predire e spiegare. 1. Per descrivere possiamo fare una ricerca descrittiva (quantificare un dato, ad esempio). Dobbiamo poi verificare con la ricerca correlazionale se questo questi dati o fenomeni sono in relazione tra loro. 2. La ricerca correlazionale ci permette di predire qualcosa: se esiste una correlazione tra due variabili, allora si può predire una variabile a partire dalla conoscenza dell’altra. Esempio: a quali livelli di obesità e ipertensione sono associati malattie cardiovascolari e ictus? C’è relazione tra esercizio fisico e livelli di colesterolo? 3. Tuttavia, la completa comprensione di un fenomeno è raggiunta solo quando il ricercatore identifica la CAUSA del fenomeno in esame. La spiegazione non compete alla ricerca correlazionale, la quale non permette di fare un’inferenza causale sulla relazione tra due variabili che sono correlate. ESEMPIO DI BIAS COGNITIVO: il caso delle rane “mutanti” negli USA del 1993. Le persone pensavano che nella loro acqua c’erano sostanze inquinanti a causa del rinvenimento di rane morte con più arti. Come agirono gli scienziati? Si isolò l’acqua ma non si trovò nulla di chimico e inquinante, come si pensava, ma vennero identificati dei parassiti (Ribeiroia). Esperimento effettuato dagli scienziati: in una vasca si inseriscono rane senza microorganismi, nella seconda vasca si inseriscono le rane con Alaria, microorganismo che non causa la deformazione (questo è il controllo negativo), nella terza vasca si inseriscono le rane con Ribeiroia, responsabile della mutazione, e infine nella quarta vasca vengono inserite le rane con entrambi i parassiti. L’esperimento permise di constatare in modo inequivocabile che sono i Ribeiroia a determinare la mutazione. 2 2 ORGANISMI MODELLO: permettono di fare esperimenti controllati e avere risposte rapide per verificare o negare delle ipotesi. Cosa fa o ha un organismo modello? Un ciclo di vita breve, una progenie numerosa, in modo da consentire lo studio di numerosi individui per varie generazioni, la facilità di allevamento/coltivazione, manipolazione (facile da allevare in un ambiente di laboratorio), possibilità di effettuare incroci genetici controllati, disponibilità di numerose varianti genetiche, conoscenza approfondita sui loro sistemi genetici, il basso costo. Esempi di modelli: topi, ricci di mare… perché? I principi biologici fondamentali, come le vie metaboliche, di regolazione e di sviluppo, e i geni che le codificano, si mantengono attraverso l'evoluzione. Altri modelli sono: Il lievito Saccharomices cerevisiae, il moscerino della frutta, il moscerino Drosophila melanogaster, la piccola pianta Arabidopsis thaliana, il verme nematode Caenorhabditis elegans, tra i vertebrati, il pesciolino Danio rerio, presentano gran parte di tali caratteristiche e perciò hanno avuto ed hanno enorme importanza nella ricerca scientifica (questi modelli vengono solamente citati dal professore). GENETICA MOLECOLARE la genetica molecolare è la disciplina scientifica focalizzata sullo studio della struttura e sulla funzione dei geni a livello molecolare. Di cosa si occupa, ad esempio? Di duplicazione del DNA, dogma centrale della biologia (DNA RNA PROTEINE, questa è la definizione iniziale di Crick. Watson la migliorerà). Questa definizione di dogma tuttavia non è corretta al 100% (basti pensare ai retrovirus che usano la transcrittasi inversa, che converte l’RNA in DNA). COSA SIGNIFICA MOLECOLARE? La saliva ha una funzione batterica. Perché? Contiene il lisozima, un enzima che distrugge la parete batterica. Oggi possiamo conoscere addirittura la struttura chimica del lisozima: attraverso un sito catalitico, l’enzima riconosce la catena polisaccaridica di un batterio e facilita la sua degradazione. L’esempio fatto dal professore serve per mostrare che comprendere come funzioni un processo biologico da un punto di vista molecolare ci aiuti a capire, ad esempio, come si sviluppi una malattia (ad esempio per il malfunzionamento di un enzima). NOZIONI DI CHIMICA siamo composti prevalentemente da idrogeno, carbonio, azoto e ossigeno. Siamo composti al 70% d’acqua e 30% da proteine, polisaccaridi, lipidi, acidi nucleici… Energia di legame: energia necessaria a rompere il legame. I legami intramolecolari possono essere: covalenti o ionici. I legami covalenti possono essere doppi (gli atomi sono più vicini e sono legami più forti dei singoli). I legami ionici sono interazioni forti tra due cariche di segno opposto (NaCl) e sono responsabili della forza di alcuni minerali come il marmo. Il sale (NaCl) si può dissolvere in soluzione acquosa perché gli ioni Na+ e Cl- possono essere neutralizzati dall’interazione con molecole d’acqua. Poiché noi esseri umani siamo ricchi di acqua queste reazioni sono fondamentali. Nelle proteine si possono creare delle “tasche”, dove sono presenti molecole di acqua e questo favorisce un’interazione in base alla carica tra enzima e substrato. L’insieme di interazioni tra cariche e format dimensionale permette dunque un incontro tra due molecole (enzima e substrato). I legami intermolecolari sono: legami idrogeno e forze di VdW. Essi sono legami non covalenti. I legami a idrogeni sono molto deboli, hanno 1/20 della forza di un legame covalente e sono più forti quando gli atomi coinvolti sono allineati. Sono importanti da un punto di vista biologico (determinano ad esempio la tensione superficiale). Sono anche fondamentali nelle proteine e nel DNA: le doppie eliche del DNA sono tenute insieme da legami a idrogeno, le basi azotate tra loro possono fare 2 o 3 legami a idrogeno. Anche le proteine, ripiegandosi, fanno legami a idrogeno. 3 3 Nell’immagine viene mostrata l’interazione tra DNA e proteine. La collaborazione tra legame a idrogeno e legame ionico permette un riconoscimento specifico. FORZE DI VAN DER WAALS attrazioni molto deboli che avvengono tra due atomi: si verifica una leggerissima interazione positiva a una certa distanza. Il grafico mostra che a una distanza di 4 Å avviene una leggerissima attrazione tra due atomi. Quando agiscono più forze di Van Der Waals in sincrono, c’è grande forza di interazione (vedi zampine del geco). (Il professore specifica che le forze non covalenti non verranno chieste all’esame ma serviranno per capire gli argomenti successivi). FORZE IDROFOBICHE non sono forze, ma legate alla repulsione tra molecole idrofobiche e idrofiliche. Non sono polari, non hanno cariche. Esse permettono alle proteine di interagire con le membrane fosfolipidiche: le proteine che passano attraverso la membrana plasmatica hanno una parte di amminoacidi non polari e si dispongono specificamente a contatto con la membrana fosfolipidica. MACROMOLECOLE esistono 4 classi. Sono fatte da “moduli”, unità monomeriche che sono vantaggiose perché permettono un minor dispendio energetico, possono essere riutilizzate. Esempio di monomeri sono gli amminoacidi, che possono essere polari e apolari. Hanno una struttura standard, con un gruppo carbossilico, amminico, un H e un gruppo radicale che varia in base all’amminoacido. Esempio legato all’importanza della presenza di alcuni legami nelle proteine e di come essi interagiscano tra loro: l’albumina, proteina presente nell’albume dell’uovo. Si tratta di una proteina globulare a cui, quando è sottoposta a calore e dunque a energia, vengono rotti i legami. Avviene la denaturazione, le varie proteine si distendono e collassano. Le componenti idrofobiche delle catene proteiche interagiscono tra di loro formano una sorta di “rete da pesca”. L’albume diventa bianco e cambia consistenza. Ogni proteina ha una temperatura di denaturazione diversa. 4 4 Basi biologiche Professore: Paolo Porporato Lezione 2 Sbobinatore: Miriam Pescatore 05/10/2023 Revisore: Alexia Petre Il professore ricorda di non basarsi sulle sbobine degli anni precedenti, perché possono essere inesatte e ogni professore si sofferma su determinati esempi. LE PROTEINE L’essere umano è composto al 70% da acqua, nel restante 30% rientrano principalmente le macromolecole, che per metà sono proteine (15% della nostra massa corporea). La parola PROTEINA, infatti, deriva dal termine “proteos”* che in greco significa “primario”. Le proteine sono dei polimeri di residui amminoacidici e il processo chiave per la formazione di una proteina è la reazione di disidratazione, dove due residui vengono condensati; la reazione di idrolisi, invece, serve per separare una macromolecola. Come mostra l’immagine sulla destra, ogni macromolecola ha un ruolo. Le proteine, in particolare, possono avere un ruolo funzionale (trasporto, enzimi) oppure strutturale (come la cheratina che è una componente di capelli e pelle). *(il professore specifica che non è necessario saperlo). GLI AMMINOACIDI: DIVERSE VIE PER DIFFERENZIARLI La proteina è un polimero di residui amminoacidici legati da legame peptidico, che, appunto, è una reazione di condensazione. Gli amminoacidi presentano sempre la stessa struttura: un gruppo amminico, un carbossilico, un carbonio centrale detto alfa e la catena laterale, la quale è l’elemento chiave dell’amminoacido, perché conferisce la specificità allo stesso. Possiamo distinguerli in base alla composizione o alla carica. IN BASE ALLA CARICA Possiamo distinguerli: Fra polari e non polari; fra i polari distinguiamo quelli a carica negativa e quelli a carica positiva; quelli che presentano un anello aromatico (fenilalanina, tirosina e triptofano). Se un amminoacido è carico positivamente interagisce con uno carico negativamente e ha forze repulsive nei confronti di un altro amminoacido con la stessa carica (ciò medierà sulla conformazione della proteina). Se l’amminoacido è non polare interagisce con uno non polare e tende ad essere più diffuso nella membrana plasmatica (una proteina transmembrana, per esempio, tenderà ad 5 5 esporre i residui amminoacidici non polari a contatto con la membrana, viceversa, se la proteina è globulare tiene i residui idrofobici al suo interno). IN BASE ALLA COMPOSIZIONE La figura a sinistra mostra vari amminoacidi, si può notare che tutti presentano una struttura simile, a parte la prolina, la cui catena laterale forma un anello, ciò fa sì che la catena polipeptidica abbia una particolare angolatura (il collagene, per esempio, è ricco di prolina e, per questo, ha una struttura molto avvolta). Anche la glicina ha una struttura leggermente differente rispetto alle altre, data la presenza di un H al posto della catena laterale, ma può essere comunque avvicinabile. Altre proteine da attenzionare sono la metionina e la cisteina, che contengono zolfo. ESSENZIALI/NON ESSENZIALI/SEMIESSENZIALI Gli amminoacidi possono essere suddivisi anche in base all’essere essenziali (alias può essere assunto solo con la dieta) o non essenziali. MA ESISTONO ANCHE DEGLI AMMINOACIDI SEMIESSENZIALI🡪 In condizioni particolari della vita (es. crescita) serve un apporto esterno di questi amminoacidi, perché l’organismo non ne produce abbastanza (es. la glutammina è richiesta dal corpo in stato di stress o, per esempio, i tumori captano grandi quantità di glutammina, essendo cellule che proliferano rapidamente, e hanno bisogno di un apporto esterno di tale amminoacido). COME SI FORMANO LE PROTEINE Tramite un legame peptidico, cioè un legame covalente formato attraverso una reazione di condensazione (si produce H2O) tra gruppo carbossilico e un gruppo amminico di due amminoacidi. Tale legame è rigido e planare, quindi gli atomi si trovano sullo stesso piano e non possono ruotare tra di loro, ed è molto forte (la lunghezza atomica è minore rispetto a quella di un classico legame singolo, risulta intermedio tra un legame singolo e un legame doppio). Tali caratteristiche conferiscono una resistenza strutturale notevole al polipeptide (le proteine disidratate possono essere conservate a temperatura ambiente, non si degradano spontaneamente). Come si nota nell’immagine al lato, le proteine possono essere rappresentate in maniera molto semplice: una catena polipeptidica è costituita da uno scheletro covalente, formato dalle reazioni di condensazione tra i residui amminoacidici, contornati da catene variabili laterali (le catene laterali degli amminoacidi), che dando variabilità conferiscono alla proteina le sue peculiarità. Per convenzione, le proteine vengono segnate dal residuo amminoterminale (o alleleterminale) o da 6 6 quello carbossiterminale (o alciterminale). Es. La tirosina ha residuo aromatico, la glicina ha un semplice H come catena laterale, la fenilalanina o la leucina che hanno una catena laterale grande. QUATTRO LIVELLI DI STRUTTURA Le proteine possono essere rappresentate in diversi modi. Si definiscono quattro livelli di struttura: 1. Primaria🡪 una semplice sequenza di amminoacidi; 2. Secondaria🡪 si forma quando la struttura primaria si ripiega. In base all’insieme di caratteristiche dei residui amminoacidici (polarità, carica, ingombro sterico, presenza di proline), tenderà ad assumere strutture secondarie diverse: l’alfa elica (la prima struttura secondaria a essere codificata nel 900) e il beta foglietto; 3. Terziaria 🡪che contempla l’intero ripiegamento proteina; 4. Quaternaria🡪 che è l’interazione tra più catene polipeptidiche. Es. emoglobina DENATURAZIONE: Quando una proteina perde la sua struttura viene denaturata (alias viene mantenuta la struttura primaria e distrutta la terziaria o addirittura la secondaria). Si può denaturare la proteina attraverso il calore, il pH, le concentrazioni ioniche forti; ciò che distrugge la carica dei residui amminoacidici e i legami deboli che garantiscono la struttura della proteina (forze di Van der Waals, legami a H, interazioni idrofobiche e interazioni elettrostatiche). Nell’immagine accanto si possono notare tutti i tipi di legame che danno la conformazione alla proteina (legame peptidico, legami a idrogeno, interazioni idrofobiche e i ponti disolfuro🡪 legami forti, che non tutte le proteine presentano) e che vengono rotti se diamo uno stress alla proteina (es. se immettiamo energia nel sistema- la scaldiamo- distruggiamo tutti i legami a idrogeno e tutte le interazioni idrofobiche, oppure, se trattiamo con delle soluzioni ioniche o delle cariche molto forti- normalmente si denaturano con grandi quantità di urea- distruggiamo le interazioni ioniche). Si pensi all’esempio dell’uovo: l’albumina si denatura con il calore e l’uovo diventa bianco, ma l’uovo si può cuocere anche immergendolo in etanolo puro, perché in questo caso vengono distrutte le varie interazioni all’interno della proteina e anche in questo modo viene denaturata. FOCUS SULLE VARIE STRUTTURE La struttura più semplice è la primaria Nel 1953 (lo stesso anno in cui fu caratterizzata la struttura secondaria del DNA da Watson e Crick), è stata caratterizzata la prima struttura primaria da Sanger (lo scienziato che sequenziò anche gli 7 7 acidi nucleici con il metodo ancora oggi definito “sequenziamento di Sanger”); in particolare, la prima proteina ad essere sequenziata fu l’insulina e ciò permise di identificare una sequenza ben definita. Le strutture secondarie Le proteine, ovviamente, non sono lineari, acquisiscono una conformazione quando i legami all’interno della catena polipeptidica si ripiegano e formano degli angoli. Il legame peptidico è rigido, ma sul carbonio alfa possono ruotare sia il residuo carbossilico sia quello amminico. Nell’immagine accanto si noti: un carbonio alfa con il proprio residuo carbossilico legato con legame peptidico all’amminoacido successivo (la parte amminoterminale), essendo tale legame rigido, non ruota, tuttavia, i due legami del carbonio alfa del secondo amminoacido possono ruotare e avere differenti angoli di rotazioni, chiamati phi - per la parte sinistra- e psi-per la parte destra-, che può ruotare indipendentemente. In teoria i due angoli possono ruotare a 360 gradi, ma, in pratica, gli atomi presentano ingombro sterico. Per convenzione, l’angolo 0 di entrambi è quando i due legami peptidici si trovano planari sullo stesso piano, condizione praticamente impossibile da ottenere per l’ingombro sterico, gli atomi si respingerebbero tra di loro. Non tutti gli angoli possono essere ottenuti dai peptidi, perché in base al tipo di amminoacido certi angoli non posso essere raggiunti sempre a causa dell’ingombro sterico. Il grafico di Ramachandran permette di osservare tutte le varie combinazioni che possono avere psi e phi, ma si noti che non si distribuiscono su tutto il grafico, solo certe parti del grafico presentano delle conformazioni reali, a causa dell’ingombro sterico. Le zone molto ricche sono quelle che rappresentano le angolature delle classiche strutture secondarie degli amminoacidi: foglietti beta e alfa eliche- una minima parte tende ad avere delle alfa eliche destrorse-. (Il professore specifica che non chiederà il grafico all’esame, ma che basta sapere che le sequenze amminoacidiche possono avere un numero definito di conformazioni secondarie, principalmente foglietto beta e alfa elica destrorsa). L’ALFA ELICA L’alfa elica presenta una struttura molto regolare, infatti, tende ad avere 3,6 (5. 4 Armstrong🡪 0.54 nm) residui amminoacidici per giro e la sua struttura è supportata dalla presenza di molti ponti idrogeno. I primi ricercatori che definirono la struttura dell’alfa elica furono Pauling e Cory, grazie alla cristallografia. Per convenzione è mostrata con tutti i gruppi CO rivolti verso il basso che formano un legame a idrogeno con i gruppi NH, rivolti verso l’alto, quattro residui dopo (banalmente: ogni quattro residui si formano dei ponti idrogeno). Le alfa eliche possono essere destrogire e levogire, 8 8 cioè che girano rispettivamente verso destra o sinistra (per convenzione si definisce dalla parte carbossiterminale all’amminoterminale). Importante è ricordare che le più frequenti sono le destrogire. Essendo una struttura secondaria molto stabile, una proteina ricca di questo tipo di struttura secondaria avrà una resistenza strutturale molto marcata (es. Le cheratine sono proteine fibrose, molto presenti nelle corna, le piume, le unghie e i capelli, e hanno una resistenza elastica superiore al kevlar. Uno studio approfondito sulla cheratina ha dato dei risultati originali: ogni giro ha una lunghezza di 5.1 Armstrong, perché la proteina è composta da alfa eliche a loro volta avvolte, come asciugamani avvolte e strizzate, quindi il giro è ancora più breve. Nella loro sequenza primaria, infatti, gli amminoacidi presentano una striscia di amminoacidi idrofobici che interagisce con un’altra striscia di amminoacidi idrofobici sull’altra alfa elica, interagendo fra loro e minimizzando i contatti con la superficie esterna (perché, come tutte le sostanze idrofobiche, rifuggono l’acqua e le sostanze cariche), queste catene si impaccano in maniera semi-spontanea per formare una struttura più rigida. I FOGLIETTI BETA Sono costituiti da ripiegamenti di più catene polipeptidiche, possono essercene anche molteplici. Come si può notare nell’immagine accanto, i foglietti beta, per convenzione, sono rappresentati con delle frecce e fra ogni foglietto beta c’è una zona amorfa variabile. Pauling identificò questa struttura. La differenza con l’alfa elica è che, invece di essere avvolti sono disposti in maniera lineare, le catene laterali si dispongono sopra e sotto l’asse planare del foglietto (hanno un andamento a “zig zag” - espressione non consigliabile nel compito, ma passabile-). I foglietti beta possono essere disposti in maniera antiparallela se il C terminale e l’ENE terminale sono vicini e paralleli se sono sullo stesso lato. (il professore specifica che basta dire che i foglietti beta possono disporsi in maniera parallela o antiparallela) I vantaggi di tale struttura sono l’essere lineare e instaurare tantissimi ponti a H, che stabilizzano ulteriormente la struttura (più foglietti beta ci sono, più la struttura resterà stabilizzata) e rendono le proteine ricche di foglietti beta molto resistenti e flessibili. Per esempio, la fibroina, proteina presente nella seta del ragno (usata per il filo di sutura) ha una forte resistenza allo stiramento e una forte flessibilità essendo ricca di beta foglietti. LA STRUTTURA TERZIARIA Se la struttura secondaria valuta il ripiegamento degli amminoacidi nell’immediato, quella terziaria, invece, si parla della disposizione nello spazio di residui amminoacidi lontani fra di loro e quindi del ripiegamento di tutta la catena polipeptidica nel suo insieme. Anche in questo caso, la struttura terziaria deriva dalla combinazione di tutti i residui amminoacidici e dalla capacità delle catene 9 9 polipeptidiche di istaurare legami di H, ionici o ponti disolfuro (un legame covalente, simile a delle graffette che fissano una struttura). Le regole del ripiegamento terziario sono uguali a quelle che valgono per le strutture secondarie: le strutture idrofile sono a contatto con la membrana e quelle idrofobiche sono all’interno della proteina, ci sono poi delle regioni irregolari, definite anse, che hanno una conformazione variabile. ESEMPIO DI STRUTTURA TERZIARIA: LA GREEN FLUORESCENT PROTEIN🡪 associata ad un premio Nobel. Proteina tipica delle meduse, che ha una fluorescenza spontanea. E’ usata in ricerca, perché permette di marcare proteine e organelli. Oggi, si possono produrre proteine di fusione, fuse con la GFP, e vedere come una proteina si muove all’interno della cellula. Sono stati prodotti molti analoghi di questa proteina, infatti, mutando i singoli residui si possono alterare leggermente le capacità strutturali della proteina che cambierà lo spettro di fluorescenza e, con questo metodo, si è ottenuto un palco di fluorofori che coprono tutto lo spettro del visibile. È importante per la ricerca biomedica: possiamo tracciare il percorso di ogni singolo assone di neuroni grazie ad un sistema combinatoriale di diversi GFP con lunghezze d’onda differenti (brainbow). Con lo stesso sistema possiamo osservare l’eterogeneità dei tumori, in particolare, esistono dei modelli spontanei di tumoregenesi nel topo e si può osservare come certe cellule si sviluppano e prendono la parte preponderante del tumore e che altre, invece, restano rinchiuse in poche cellule. UN CONCETTO CHIAVE NELLA STRUTTURA TERZIARIA: I PONTI DISOLFURO Si formano tra due residui di cisteina quando vengono ossidati; Sono legami covalenti; Possono portare avanti un processo di ossidoriduzione; Esistono una serie di enzimi che possono regolare i ponti disolfuro. ES. LA CHERATINA🡪 Esistono persone con capelli lisci e quelle con capelli ricci, ciò deriva, in parte, dalla differenza della sequenza primaria della cheratina. Essa è formata quasi totalmente da alfa eliche, ma una sequenza diversa di amminoacidi può distorcere leggermente queste alfa eliche: se una persona nei propri capelli presenta tante cisteine che formano tanti ponti disolfuro tenderà ad avere i capelli molto ricci e per renderli lisci si tratta la cisteina con composti riducenti molto forti che rompono i ponti disolfuro e poi si piastrano. Viceversa, per fare la permanente si trattano con composti riducenti i capelli, si dà la piega che si vuole impartire al capello e si lasciano riformare i ponti disolfuro. Inoltre, il capello diventa più liscio quando viene sottoposto ad alta temperatura, quando viene stirato, perché, grazie all’alta temperatura, si rompono i ponti di H e il capello si 10 10 distende, anche se è un processo temporaneo, perso più rapidamente rispetto ai trattamenti precedentemente spiegati. Nell’immagine sopra è mostrato uno schema di strutture terziarie. Per convenzione, le alfa eliche sono rappresentate come dei cilindretti, i foglietti beta con le frecce che ne indicano la polarità (in questo modo si può comprendere se sono paralleli o antiparalleli). Molte di proteine mostrano un mix di strutture secondarie. LA MIOGLOBINA🡪 La prima proteina di cui si è conosciuta la struttura. È composta da una serie di residui amminoacidici idrofobici e residui polari e neutri. Gli idrofobici sono tutti al centro, con un gruppo prostetico (un atomo di ferro con EME). È un Eme-proteina come l’emoglobina. ESEMPIO DI STRUTTURA TERZIARIA VARIABILE: LE PROTEINE PRIONICHE Normalmente sono molto ricche di alfa eliche, ma in seguito a stress, traumi o mutazioni possono convertirle in foglietti beta. Tendenzialmente, le proteine ricche di foglietti beta non sono più degradabili e non essendo più gestibili dalla cellula tendono a collassare e formare dei cristalli molto ben strutturati che si assemblano in maniera semi-spontanea e formano delle fibre. Tali fibre possono arrivare a dimensioni tossiche per la cellula, portandola, così, a morte cellulare. IL MORBO DELLA MUCCA PAZZA era una malattia prionica molto rara, che colpiva le mucche (una mucca su un milione veniva colpita), in cui certe proteine, alla luce di una mutazione della proteina prionica, tendevano più facilmente a produrre fibre neurotossiche. Diventò molto famosa negli anni ’90 perché si era soliti sfruttare le carcasse di capi bovini per trasformarli in farine animali da dare ad altri capi bovini e la proteina prionica a fibre tende a catalizzare e stabilizzare il cambio di altre proteine prioniche, anche proteine prioniche sane, quindi una mucca pazza usata per farine infettava tante altre mucche. Si abbatterono tantissimi capi bovini, ci fu proprio un morbo di mucca pazza. Anche le persone iniziarono ad ammalarsi di mucca pazza, perché chi consumava carne affetta poteva sviluppare il morbo a sua volta. Tale situazione creò il panico (era una malattia non diagnosticabile in anticipo, presente nella popolazione, e che si sarebbe sviluppata dopo 10-15-20 anni), emerse, poi, che solo persone con determinate mutazioni erano predisposte a svilupparla, anche se ci furono abbastanza morti. Il nome scientifico del morbo della mucca pazza nell’uomo è “variante della Creutzfeldt-Jakob”. La Creutzfeldt-Jakob è una patologia prionica presente anche negli esseri umani, ma data da mutazioni di questa proteina prionica che è prona a cambiare la conformazione della sua struttura terziaria e tende a dare adito a malattie neurodegenerative, attraverso la formazione di fibre amiloidi. Tutti i mammiferi presentano malattie simili, nelle pecore, per esempio, si trasmette attraverso la saliva e quando una pecora con tale malattia bruca in un campo, altre pecore tendono ad avere la stessa patologia. RISPOSTA AD UNA DOMANDA POSTA: Sono proteine resistenti anche alla digestione umana, infatti, chi lavora con proteine prioniche non può disinfettare o detossificare una superficie contaminata, deve solo autoclavare di candeggina le sostanze prioniche. Sono tra le proteine più resistenti in assoluto, sono resistenti all’autoclave. Ci sono casi di contaminazione con trapianto della cornea o attraverso mucose. LE STRUTTURE QUATERNARIE Le proteine possono essere composte da varie catene polipeptidiche. Un esempio chiave è l’emoglobina, composta da quattro catene diverse: due subunità alfa e due beta. 11 11 ANEMIA FALCIFORME🡪 È una mutazione puntiforme nella catena beta dell’emoglobina e questa singola mutazione porta ad un cambio della struttura quaternaria dell’emoglobina. Infatti, in condizione fisiologiche presenta una conformazione abbastanza simile a quella non mutata, ma essendo più sensibile allo stress, quando la proteina si trova priva di ossigeno o in ambiente acido è più prona a formare delle fibre, a precipitare e ad aggregarsi, a formare dei macro-aggregati che precipitano nel globulo rosso. Per questo, i globuli rossi si deformano acquistando una forma a falce, che dà una serie di problematiche legate a questa conformazione. È una mutazione piuttosto diffusa, perché dà resistenza all’infezione della malaria: tendenzialmente i globuli rossi infettati dal plasmodio cambiano il pH a livello intracellulare, forniscono uno stress e anche in presenza di eterozigosi i globuli rossi tendono a formare queste falci, che vengono riconosciute dal sistema immunitario e vengono rimosse insieme con l’infezione del plasmodio. UN ALTRO ESEMPIO: L’ ATPASI DI MEMBRANA. Le strutture quaternarie, quindi, sono più frequenti di quanto immaginiamo, perché molte proteine sono composte da molte subunità, è frequente avere una proteina composta da 7-8 catene polipeptidiche. Tutte le strutture terziarie di questa proteina ruotano, perché sono sottoposte ad un gradiente protonico che passando all’interno della proteina stessa imprimono una rotazione alle varie strutture che facilita l’avvicinamento di fosfati e adenina per la formazione di ATP. https://www.youtube.com/watch?v=kXpzp4RDGJI POST TRANSLATIONAL MODIFICATION Quando vengono tradotte le proteine maturano con diverse modalità, per esempio, il polipeptide prodotto può essere tagliato per proteolisi, quindi solo alcune parti diventano la proteina attiva. L’insulina, invece, è un esempio rappresentativo per tutte quelle piccole proteine che vengono prodotte in modalità “pre”, “pro” e poi vengono convertite in ormone, una modalità che fa sì che vengano tagliate progressivamente solo quando servono. Le proteine possono anche essere coniugate agli zuccheri, vengono glicosilate; modificazione importante per imprimere la funzione alla proteina. Una delle modificazioni più studiate è la fosforilazione: un gruppo fosfato può essere attaccato a certi amminoacidi (i principali amminoacidi fosforilati sono la tirosina- il più raro, presente circa al 3-4%-, la serina e la treonina). Negli ultimi 5 anni ogni 3x2 c’è una nuova modificazione post-trasduzionale identificata che è associata ad un nuovo tipo di patologia, che è associata a un nuovo tipo di segnalazione cellulare. LE PROTEINE PRESENTANO UN’ALTRA QUALITA’ IMPORTANTE: SONO MODULARI I moduli sono riproducibili e presenti in diverse proteine, perché da un punto di vista evolutivo spesso c’è evoluzione convergente o certe parti della proteina spesso si evolvono e vengono utilizzate in 12 12 altre proteine (per esempio, la fosfolipasi C del mammifero presenta quattro domini che si trovano anche in altre quattro proteine diverse). Dal punto di vista evolutivo è più semplice ottimizzare un modulo per una determinata funzione, che può essere sfruttato da altre proteine con modalità induttive. Nella trimochipsina, per esempio, è presente un dominio implicato nella degradazione di proteine (ottimizzato per tagliare dei polipeptidi), che si ripresenta in diverse altre proteine, in cui, come si può immaginare, avrà una funzione simile. *I domini sono sottoparti di proteina, rientrano nelle terziarie in teoria, ma non sono parte dei quattro livelli strutturali. UN CASO STUDIATISSIMO È QUELLO DELLA PROTEINA SRC È la prima proteina ad essere stata associata ad una mutazione che produce un tumore, per questo è spesso definita oncoproteina. Questa proteina presenta tre domini: Un domino SH3; Un dominio SH2, che è una struttura che ha la funzione di riconoscere tirosine fosforilate (cioè che hanno come modificazione post traduzionale un fosfato); UN DOMINIO PROTEINCHINASICO. I domini proteinchinasici sono dei domini che sono ottimizzati per fosforilare altre proteine. La proteina SRC è inattiva quando la tirosina 527 è fosforilata. Quando la proteina è fosforilata in posizione 527, il dominio SH2 sulla proteina SRC riconosce la tirosina e la lega, “strozzando” il dominio chinasico (che solitamente fosforila le proteine). Quando la tirosina non è fosforilata il dominio SH2 è libero di andare dove vuole e il dominio chinasico è in grado di fosforilare altre proteine, perché non si ritrova più ripiegato e può accogliere al suo interno delle proteine e fosforilarle. In questo modo, trovandosi davanti ad un’altra proteina che presenta il dominio SH2 e il dominio chinasico si può capire in base alla struttura se questa verrà o meno attivata o fare delle ipotesi sul suo funzionamento in base alla presenza o assenza di determinati domini. Quando la proteina SRC presenta una mutazione e quindi non ha più la tirosina 527, non potrà essere spenta, sarà sempre attiva e potrà produrre la formazione di tumori. SRC, infatti, è un protooncogene. DOMANDA POSTA: quando la proteina SRC è attiva, che cosa significa? Quando è attiva significa che il dominio chinasico può fosforilare altre proteine. Solitamente la fosforilazione di altre proteine è un modo per mediare il segnale e spesso la fosforilazione corrisponde all’attivazione di segnali. Nel caso di SRC, quest’ultima attiva tutta una serie di proteine coinvolte nei processi di proliferazione. GLI ENZIMI SONO CATALIZZATORI CHE ACCELERANO LE REAZIONI BIOLOGICHE di migliaia o milioni di volte. (Il professore specifica di voler saltare la parte di enzimologia, perché sarà trattata in altri corsi, ma che è possibile comunque leggere le slides) 13 13 ESEMPIO DI UNA FUNZIONE SPECIFICA DI UNA PROTEINA: LA CHINESINA Presenta una struttura quaternaria. È composta da due catene polipeptidiche avvolte insieme in un’alfa elica iperavvolta. Questi due polipeptidi sono derivati dallo stesso polipeptide associato, quindi è un omodimero (un dimero di due catene polipeptidiche identiche). La testa di questa proteina può cambiare conformazione: quando è legata ad una molecola di ATP, infatti, diventa molto affine ai microtubuli e storce la sua struttura, in modo che l’altra catena riesca a fare un passo in avanti e possa legare un’altra molecola di ATP e continuare a cambiare conformazione. Il cambio di conformazione è supportato dall’idrolisi di ATP (la molecola energetica della cellula), che dona energia al sistema e induce un cambio conformazionale alla proteina e questa fa un passo avanti. Dall’altra parte la proteina lega delle molecole cargo che trasporta per tutta la cellula. Domanda posta: ma la velocità mostrata nel video è reale? No, in realtà il processo è molto più rapido, avviene in pochissimi secondi. https://www.youtube.com/watch?v=wJyUtbn0O5Y 14 14 Basi biologiche Professoressa: Miriam Martini Lezione 3 Sbobinatore: Martina Piazza 06/10/2023 Revisore: Antonella Picherri IL DNA COME MATERIALE GENETICO La professoressa comunica che tornerà per la quinta lezione e per qualche lezione di biologia cellulare, il resto delle lezioni saranno svolte dal prof. Porporato. Ricorda che è necessario mandare mail esclusivamente tramite rappresentanti (tranne casi particolari). La professoressa sottolinea che è importante per un medico capire come funziona la ricerca, anche per chi lavora in ambito non strettamente connesso ad essa (ad esempio sapere il funzionamento degli anticorpi monoclonali). Precisa inoltre che è fondamentale ricordare almeno i principi base della biologia, anche per poter aiutare meglio il paziente. INTRODUZIONE La lezione tratterà di come è stato dimostrato che il DNA è il materiale genetico che contiene tutte le informazioni. La biologia, rispetto ad altre scienze, come ad esempio la chimica, è una scienza “giovane”, nata nell’800 ed in continua evoluzione. Nel giro di pochi anni, infatti, saranno presenti molte nuove nozioni, motivo per cui è fondamentale rimanere costantemente aggiornati. (Per rendere un’idea di quanto siano recenti le scoperte in questo ambito basti pensare che uno dei due premi Nobel che ha scoperto il DNA è ancora vivo). L’UNITÀ DI BASE DEL DNA: IL NUCLEOTIDE Se si scompone una molecola di DNA, così come si fa per ogni altra macromolecola presente nelle cellule, si individua come unità di base il nucleotide (così come per le proteine si individua l’amminoacido). Nella cellula sono presenti molti nucleotidi ma nel DNA, tendenzialmente, ci sono solo 4 nucleotidi. Di recente, è stato però scoperto che nel DNA sono presenti anche altre basi, seppur poco rappresentate. Queste non sono state scoperte prima perché solo il 3% del DNA è codificante e ancora non si conosce la funzione del restante 97% non codificante, denominato fino al 2000 Junk DNA e ora Dark genome. Si pensa che probabilmente il Dark genome contenga degli elementi regolatori o degli pseudogeni, ma si spera di scoprirlo con più precisione in futuro. Le basi tendenzialmente sono adenina, timina guanina e citosina (da ricordare che la timina è sostituita dall’uracile nel RNA, sempre appaiato con l’adenina). 15 LE INFORMAZIONI CONTENUTE NEL DNA La quantità di informazioni presenti nel 3% del DNA codificante è sufficiente perché anche una piccola differenza tra il DNA di tre individui diversi (ad esempio siamo più simili ai ricci di quanto si creda) dia origine a tre strutture del tutto differenti. Il DNA ha come caratteristica intrinseca la trasmissibilità in via diretta dalla cellula madre alla cellula figlia durante la mitosi, passando così le informazioni non solo da cellula a cellula ma da generazione a generazione. Le informazioni contenute nelle cellule germinali (oociti e spermatozoi) della generazione 0 passano infatti alla generazione 1. LA RESISTENZA DELLE INFORMAZIONI AGLI STRESS ESTERNI Dato l'importante ruolo dell'informazione contenuta nel DNA, è essenziale preservarla al massimo anche di fronte a fattori di stress esterni, come l'esposizione ai raggi UV. In effetti, quando una piastra di cellule è esposta ai raggi UV, questi possono causare la rottura delle molecole di DNA su entrambi i filamenti, un processo noto come 'double strand break', che a sua volta porta alla morte delle cellule. Per preservare le informazioni ed evitare che si deteriorino servono quindi dei meccanismi di difesa, non solo contro i raggi UV, ma anche contro lo stress quotidiano. Ogni volta che una cellula si divide, è fondamentale replicare con assoluta precisione l'intera informazione genetica. Anche piccole mutazioni possono portare a difetti nella generazione successiva, soprattutto se coinvolgono regioni codificanti * Sarà l’argomento della quinta lezione IL CODICE GENETICO DELLA CELLULA Il DNA rappresenta il codice genetico fondamentale all'interno di una cellula. Questo codice genetico si basa sulla struttura del DNA e sulla disposizione dei nucleotidi al suo interno. Le regole che governano come una sequenza di DNA, composta da quattro nucleotidi, viene tradotta in proteine sono fondamentali per la comunicazione tra il DNA e le proteine, in modo simile a una 'password'. Tuttavia, la comunicazione pratica tra il DNA e le proteine è mediata principalmente dai t-RNA, noti come RNA transfer. LE CARATTERISTICHE DEL MATERIALE GENETICO 1. Il DNA contiene tutte le informazioni necessarie perché la cellula abbia un determinato fenotipo, ovvero struttura anche dal punto di vista macroscopico: ad esempio le informazioni del perché la cellula neuronale presenti un albero dendritico mentre la cellula epiteliale sia più piatta sono contenute nel DNA. Oltre alla struttura, il DNA porta anche le informazioni sulla funzione cellulare, come ad esempio il processo di contrazione delle cellule muscolari. Inoltre, il DNA contiene le istruzioni per lo sviluppo cellulare: sia una cellula staminale che una completamente differenziata condividono lo stesso DNA, il che significa che i cromosomi devono contenere tutte le informazioni necessarie per guidare la cellula attraverso i vari stadi di differenziamento, da totipotente a pluripotente, progenitore e, infine, cellula differenziata. 2. La replicazione del DNA deve essere molto accurata. 16 3. Il DNA però oltre a replicarsi in modo accurato deve essere capace di andare a incontro a variabilità. Come sottolineato da Darwin, la capacità di variare e adattarsi è cruciale per il successo proliferativo delle cellule. Ad esempio, le cellule tumorali dimostrano resistenza agli attacchi esterni grazie alla loro variabilità genetica, che consente alle varianti più adattabili di sopravvivere a trattamenti come la chemioterapia. Inoltre, è importante considerare i vantaggi e i benefici derivanti da determinate situazioni. Ad esempio la Beta Talessemia da una parte causa l’anemia ma dall’altra protegge dalla zanzara portatrice di malaria (perché si hanno meno globuli rossi). Questo spiega perché in alcune regioni, come la Puglia, le forme di anemia erano più comuni, proprio perché permetteva loro di sopravvivere alla malaria. È sempre la variabilità del DNA a determinare la maggiore espressione della melanina nelle popolazioni che vivono all’Equatore rispetto a quelle che vivono in Antartide, perché l’ambiente esterno seleziona la variante più adatta all’ambiente stesso. 4. Infine si deve poter controllare l’espressione dei tratti genetici, ovvero quando e quanto esprimere le proteine o gli enzimi. Ad esempio, la melanina viene prodotta solo dalle cellule epiteliali, mentre l’epatocita del fegato, poiché non è esposto al sole, non sintetizza la melanina ma gli enzimi per la regolazione dell’omeostasi del glucosio. Nonostante ciò, le informazioni contenute nella cellula epiteliale e nell'epatocita sono identiche; è la cellula stessa a determinare quale pattern genico attivare. La regolazione del pattern genico è quindi il risultato di una combinazione tra la genetica e l'influenza dell'ambiente circostante LA GENETICA La genetica studia: il funzionamento, la trasmissione da una generazione all’altra e la variazione dei geni. I GENI Un gene non è solo una sequenza di DNA localizzata in una specifica zona di un cromosoma (locus), ma è una unità funzionale responsabile della trasmissione dei caratteri ereditari da madre a figlio. * Le cellule dei mammiferi sono di tipo diploide, il che significa che per ogni gene sono presenti di solito due varianti, chiamate alleli. Il carattere che si manifesta nell'individuo è determinato dall'allele specifico. Prendiamo come esempio il colore dei capelli (si tratta in realtà di un carattere multigenico ma ai fini dell’esempio lo si consideri come regolato da un solo gene con due alleli). È presente l’allele per i capelli biondi e l’allele per i capelli castani. L’allele che determina i capelli castani è dominante. La differenza tra i due alleli è la variabilità, le varianti definiscono la differenza. *la professoressa sottolinea l’importanza di chiarire fin da subito la definizione di gene così da non avere problemi quando si affronterà la regolazione della trascrizione. IL FLUSSO DELL’INFORMAZIONE GENICA L’informazione genetica è monodirezionale, dal gene sul DNA, trascritto in RNA, poi tradotto in sequenze di amminoacidi. Non è sempre monodirezionale, esistono alcuni virus a RNA che grazie all’enzima retrotrascrittasi (non presente nelle cellule di mammifero) sono in grado di trascrivere un tratto di DNA a partire da RNA. Fatta esclusione per questi virus, il flusso dell’informazione genica è sempre monodirezionale. 17 I PRIMI ESPERIMENTI DI GENETICA I primi esperimenti di genetica sono stati svolti intorno al 1860 dal monaco Gregor Mendel, impiegando le piante di pisello odoroso. Ancora oggi le sue regole governano l’ereditarietà. Le piante di pisello mostrano diverse variazioni nelle loro caratteristiche: altezza, colore del fiore e forma dei semi. Attraverso gli incroci tra queste piante, Mendel scopre che ci sono alcuni caratteri passati alle generazioni successive e altri che sembravano scomparire nella prima generazione, solo per riapparire in seguito alcune generazioni dopo. L’informazione veniva quindi conservata, ma alcuni alleli erano espressi o non espressi in base alla generazione. Nel 1865 scopre le leggi di genetica. I suoi risultati vengono presi in considerazione solo 40 anni dopo, nei primi del Novecento. La ricerca viene successivamente rallentata dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale, ma riprende durante la Seconda Guerra Mondiale. Nel 1944 viene dimostrato da Avery, McLeod e McCarty che il materiale genetico è contenuto nel DNA. Nel 1953 Watson e Crick (sfruttando i risultati di Rosalind Franklin) descrivono la struttura a doppia elica del DNA, che ha poi permesso di scoprire il meccanismo con cui le informazioni sono passate da una generazione all’altra. Nel 1966 viene scoperto il codice degenerato che permette di convertire le informazioni da DNA a proteine*. *la struttura del DNA e il codice degenerato saranno trattato in modo più approfondito nelle lezioni successive. 18 ALTRE SCOPERTE Adesso capita più raramente che le scoperte siano frutto di più gruppi di ricerca a causa della competizione tra questi, all’epoca invece la collaborazione all’interno della comunità scientifica era molto più elevata ed era molto meno settoriale. Miescher scopre nel 1869 che nei globuli bianchi è contenuta quella che lui definisce “nucleina”. A fine 1800 Kossel (un biochimico) scopre quali elementi sono contenuti nel DNA, ovvero l’azoto nelle basi azotate. Nel 1910 Levene (un matematico) propone che il DNA fosse formato da 4 nucleotidi, ovvero la teoria dei tetranucleotidi. LA TEORIA CROMOSOMICA DELL’EREDITARIETÀ (1902) di BOVERI e SUTTON Nel 1902 Theodor Boveri e Walter Sutton propongono la teoria cromosomica dell’ereditarietà, oggi considerata scontata ma all’epoca rivoluzionaria. Attraverso i loro studi propongono che i geni si trovino sui cromosomi. Se si osserva un nucleo al microscopio i cromosomi non sempre sono visibili, ma dipende dalla fase del ciclo cellulare in cui si trova la cellula osservata: se inattiva in fase di sintesi il DNA è srotolato. Come i cromosomi si comportano nella meiosi fa sì che le informazioni possano essere trasmesse e variate. La scoperta che i cromosomi siano divisi durante la meiosi e l’informazione sia riunita durante la fecondazione era coerente con i risultati ottenuti da Mendel. Le cellule germinali contengono metà del patrimonio genetico con informazioni complementari una all’altra (ovulo e spermatozoo) e dopo la fecondazione le informazioni vengono unite: il fenotipo risultante è dato dall’unione delle informazioni provenienti dalla madre e dal padre. Alla base della teoria di Boveri e Sutton c’è un esperimento molto semplice: eliminando parzialmente o totalmente i cromosomi del riccio di mare notano che il riccio non si sviluppa in modo corretto. Se tutti i cromosomi sono necessari per lo sviluppo corretto della cellula allora questi sono fondamentali. Cromosomi del riccio di mare Riccio di mare 19 EREDITARIETÀ DI CERTE PATOLOGIE di GARROD Nello stesso periodo (1908) sulla base di questa teoria sono formulate altre teorie sull’ereditarietà dal biochimico Garrod. Garrod studiando l’alcaptonuria teorizza l’ereditarietà di certe patologie (con un esperimento che vedremo in seguito). Il collegamento tra mutazione di un tratto di DNA e carenza di un enzima presentato da alcuni pazienti è rivoluzionario per l’epoca. Infatti all’epoca si pensava che le proteine contenessero le informazioni genetiche e non il DNA. La teoria di Garrod si è poi rivelata corretta ma è stata difficile da accettare per i suoi contemporanei. IL BIAS DELLE PROTEINE CONTENENTI LE INFORMAZIONI GENETICHE All’epoca era presente un forte bias verso le proteine, credendo che avessero principalmente una funzione informativa, mentre si assegnavano al DNA principalmente ruoli strutturali. Questo pregiudizio era anche dovuto al fatto che nel 1910 Levene aveva proposto la teoria dei tetranucleotidi, secondo cui il DNA era composto da una molecola che contenesse una base azotata, uno zucchero e un gruppo fosfato. La base era la porzione di nucleotide che distingueva un nucleotide dall’altro mentre il resto della struttura era fisso (eccetto la presenza del ribosio nell’RNA e del desossiribosio nel DNA). Sulla base di questa teoria gli scienziati dell’epoca ritenevano impossibile che 4 soli nucleotidi fossero responsabili dell’intera informazione genetica e ritenevano più probabile che fossero le proteine, in quanto i ben 20 amminoacidi avevano una possibilità di combinazione molto più elevata. GLI ESPERIMENTI L’ESPERIMENTO DI GRIFFITH (1928) È uno degli esperimenti che dimostrò che il DNA è alla base del codice genetico. Griffith (microbiologo) si dedicava allo studio del Pneumocco Pneuemoniae (batterio che causa la polmonite). Nel corso del suo studio, Griffith coltivò i batteri su piastre di Petri rivestite di agar e notò la presenza di due tipi di colonie: le colonie lisce (S, smooth) e le colonie ruvide (R, rough). Successivamente, scoprì che le colonie R erano in realtà mutanti delle colonie S, anche se inizialmente basava la sua distinzione solo sull'osservazione visiva. Colonie S e R Fece picking della colonia, la prelevò e fece crescere in beuta la colonia del ceppo S o del ceppo R. La colonia S o R venne quindi iniettata nei topi ( all'epoca, la sperimentazione veniva effettuata su topi, senza le norme etiche odierne). Sapeva che il ceppo S era virulento e come previsto il topo morì. Il ceppo R era avirulento e il topo sopravvisse. Questo però non fu sufficiente per dimostrare che il DNA era alla base del materiale genetico. 20 Domanda posta da Griffith: se estratte cellule batteriche virulente morte e iniettate nel topo questo muore? - Primo esperimento: (a) ceppo virulento iniettato nel topo (controllo positivo)→ risultato: il topo muore - Secondo esperimento (b): ceppo non virulento iniettato nel topo (controllo negativo)→risultato: il topo vive - Terzo esperimento (esperimento vero e proprio) (c): batteri virulenti S inattivati sul fuoco e iniettati nel topo→risultato vive - Quarto esperimento (d): mix di batteri virulenti S inattivati sul fuoco mescolati con batteri non virulenti R→risultato più significativo: il topo muore Schema dell’esperimento Dopo la conclusione dell’esperimento ha effettuato ulteriori analisi per comprendere i risultati ottenuti: 1. Nell’esperimento 1 (batteri virulenti vivi) ha rintracciato batteri virulenti. Questo risultato era atteso, poiché il ceppo S era notoriamente virulento. 2. Nell’esperimento 2 (batteri non virulenti) non ha rintracciato batteri. Questo dimostrava che i batteri non virulenti da soli non erano in grado di causare l'infezione. 21 3. Nell’esperimento 3 (batteri virulenti inattivati) non rintraccia batteri. Questo risultato indicava che i batteri virulenti, se inattivati, non potevano causare l'infezione. 4. Nell’esperimento 4 (batteri S virulenti inattivati e batteri R avirulenti) rintraccia batteri virulenti di tipo S. Questo risultato dimostrava l’esistenza di una sostanza che sopravvive in batteri virulenti uccisi con calore che ha trasformato (è un termine tecnico) i batteri non virulenti ( R ) in batteri virulenti ( S). L’IDENTIFICAZIONE DEL PRINCIPIO TRASFORMANTE DI AVERY, MCLEOD E MCCARTY ESPERIMENTO DI AVERY Partendo dai dati di Griffith, l’obiettivo era identificare se il principio trasformante fosse costituito dalle proteine (come si pensava all’epoca) o dal DNA. Si doveva impiegare qualcosa di diverso dai batteri. Avevano già capito che il DNA conteneva il fosforo ed era già risaputo che le proteine contenessero lo zolfo (necessario saperlo per poter marcare DNA e proteine). Per condurre l'esperimento, i ricercatori hanno preso il ceppo S (virulento) e hanno separato le proteine dal DNA. Questa separazione è stata effettuata lisando i batteri con detergenti e centrifugando la soluzione. Ciò che rimaneva in soluzione veniva considerato proteine (in realtà c’è anche altro, come lisosomi e organelli, ma così si pensava all’epoca) e il precipitato era il DNA. Successivamente, hanno preso il ceppo R (non virulento) e lo hanno mescolato sia con le proteine del ceppo S virulento che con il DNA del ceppo S: Nel primo caso, quando venivano aggiunte le proteine del ceppo S virulento, i topi sopravvivevano. Nel secondo caso, invece, quando veniva aggiunto il DNA del ceppo S virulento, si osservava la trasformazione dei batteri R non virulenti in batteri S virulenti e, di conseguenza, la morte dei topi. Questo esperimento dimostrò che l'informazione genetica responsabile del trasferimento della virulenza era contenuta nel DNA In seguito il DNA venne separato dall’RNA trattando il precipitato che si formava con l’RNAasi (degrado RNA per ottenere DNA) o il DNAasi (degrado DNA per ottenere RNA). Ulteriori test sono stati condotti utilizzando lipidi e carboidrati, ma i risultati sono stati coerenti con quelli ottenuti in precedenza con le proteine. Solo il DNA isolato dai batteri S si è dimostrato capace di trasformare i batteri R in batteri S virulenti. 22 CRITICHE ALL’ESPERIMENTO DI AVERY L’esperimento all’epoca è stato reputato poco convincente. Una delle critiche principalmente mosse all’esperimento riguardava la possibilità di separare del tutto DNA e proteine. Si pensava che dei residui di proteine “contaminassero” il DNA e trasformassero quindi i batteri R in S. ESPERIMENTO DI HERSHEY E CHASE Esperimento con i batteriofagi (virus dei batteri). Il fago T2 infetta le cellule di E.Coli. Come tutti i virus, sono dei parassiti che necessitano della cellula ospite per proliferare e crescere, perché non contengono i componenti essenziali per la loro replicazione. Il fago T2 è usato come vettore per comprendere i fattori responsabili della sua virulenza e per identificare quale parte del fago contenesse effettivamente l’informazione genetica, consentendogli di sopravvivere e replicarsi con successo. STRUTTURA DI UN FAGO: Il fago ha una struttura molto essenziale (ancora più semplice di quella dei virus che attaccano gli eucarioti), costituita da una testa proteica con all’interno il DNA e una lunga coda di proteine che permette di riconoscere recettori sulla membrana del batterio ed entrare al suo interno. Tutta la struttura resta all’esterno del batterio infettato, ad eccezione del DNA. Non si conosceva bene la struttura, ma si sapeva che fosse costituito approssimativamente dal 50% di DNA e dal 50% di proteine. Si sapeva inoltre che il fago, dopo essersi appoggiato alla parete della cellula, inietta al suo interno qualcosa che permette di replicare il materiale virale. Di conseguenza, l’unica parte trasmessa alle cellule figlie è quella iniettata nella cellula. 23 Nel processo di infezione del batteriofago, il fago si attacca alla parete cellulare del batterio ospite, rilascia il suo cromosoma fagico e induce la replicazione del suo DNA. Durante questo processo, il DNA del batterio ospite si frammenta, mentre il DNA virale fa si che vengano create nuove particelle virali, tra cui la coda e la capside, che vengono assemblate e rilasciate all'esterno della cellula ospite. Per determinare quale parte del batteriofago contenesse l'informazione genetica, i ricercatori hanno utilizzato isotopi radioattivi. Marcano con un isotopo di fosforo P32 il DNA e con un isotopo dello zolfo S35 le proteine. Per marcare un fago si prende la colonia di E.Coli e si fa crescere o con P32 o con S35 e si ottengono così dei fagi o marcati con fosforo 32 o con zolfo 35. Viene creata la coltura di fago P32, vengono estratti i batteri, centrifugati (fatti per entrambi gli esperimenti) e poi vengono infettati nuovamente i batteri. Nel caso della progenie marcata con il fosforo, contenuto nel DNA, viene trovato il fosforo nella progenie. Ciò significa che la progenie ha ricevuto l’informazione e l’ha passata. Viene ripetuto lo stesso procedimento con i fagi con la porzione proteica marcata con S35 e nella progenie non viene trovata traccia radioattiva. Ciò significa che le proteine marcate con lo zolfo radioattivo sono rimaste all’esterno del batterio e non sono state passate alla progenie. Questi risultati avvalorano la teoria per cui le informazioni genetiche sono contenute nel DNA e non nelle proteine. Si conclude così il percorso per arrivare alla dimostrazione che il materiale genetico sia il DNA e non le proteine, dopo l’esperimento di Griffith (qualcosa è in grado di trasformare batteri non virulenti in virulenti), la teoria del principio trasformante di Avery (le informazioni sono nel DNA e non nelle proteine). Se avessero fatto altri esperimenti con i fagi avrebbero scoperto che il segnale del fosforo 32 veniva dimezzato ad ogni ciclo di replicazione, perché la sintesi del DNA è semireplicativa e non conservativa. 24 NOZIONI TECNICHE SULL’USO DEI BATTERI IN LABORATORIO TRASFORMAZIONE PLASMIDICA DI E.COLI Una tecnica usata in quasi tutti i laboratori è quella che permette di coltivare E.Coli e tramite la trasformazione fare loro esprimere una proteina che normalmente non esprimono. Questo processo avviene attraverso la trasformazione delle cellule batteriche con plasmidi circolari di DNA che contengono il gene di interesse. Vengono fatti dei buchi (compatibili con la vita) con il plasmide sulla membrana di E.Coli in modo tale che il DNA possa entrare nel batterio. Questa permeabilizzazione si può fare con ioni calcio o shock elettrico (usato anche con le cellule di mammifero quando si fa gene therapy per fare entrare il DNA). Per migliorare la selezione delle colonie batteriche, è possibile aggiungere un gene di resistenza agli antibiotici al plasmide. Questo gene di resistenza consente alle colonie batteriche di diventare resistenti a un antibiotico specifico selezionato, oltre a far esprimere la proteina di interesse Esempio di vettore utilizzato per trasferire informazioni. In questo caso è vuoto perché non contiene nessun gene. Se piastrati batteri su una piastra di agar e posto antibiotico su quella piastra cresceranno solo batteri resistenti a quell’antibiotico. Questo è stato ottenuto coltivando dei batteri, rendendoli resistenti agli antibiotici e forzandoli ad esprimere delle proteine fluorescenti, in questo caso delle diverse varianti della GFP (Green Fluorescent Protein, per la quale è stato anche vinto il premio Nobel). Le colonie normalmente sembrano tonde, in questo caso il disegno si ottiene con lo stricking sulla piastra. PRODUZIONE DI INSULINA DAL DNA RICOMBINANTE Questo è l’approccio alla base della produzione di proteine ricombinanti usate nella pratica quotidiana. Fare esprimere GFP può infatti servire in laboratorio, ma nella pratica quotidiana può ad esempio essere utile fare esprimere l’insulina così da evitare di doverla “spremere” dal pancreas del maiale. Questa pratica permette di ridurre, oltre al costo animale, il rischio che il paziente abbia una reazione allergica all’insulina. Nel caso dell’insulina non si usano cellule procariote ma delle cellule mammifere in quanto l’insulina è una proteina molto complessa, che deve avere delle modifiche post traduzionali complesse. Il procedimento è però lo stesso: si trasformano le cellule e le si rendono capaci di produrre tonnellate 25 di insulina. L’insulina può così essere estratta con tecniche più raffinate, poi quantificata, standardizzata e venduta al paziente. Si prende il gene (in questo caso la sequenza genica) dell’insulina, si tolgono gli introni e si tengono solo gli esoni ( parte codificante del gene) e si fanno esprimere dal batterio modificato ( in realtà è una via di mezzo tra batterio e cellula mammaria). Con produzione molto elevata sono usate taniche di fermentazione in cui vengono cresciute tonnellate di batteri, da cui viene estratta insulina, che viene poi purificata. 26 Basi Biologiche Professore: Paolo Porporato Lezione 4 Sbobinatore: Eleonora Pipitone 10/10/2023 Revisore: Letizia Pionzo Il professore accenna al fatto che abbiamo introdotto il Dna con la professoressa Miriam Martini. IL DNA Molti si divertono a descrivere il Dna come se fosse un fusillo di pasta, ma quest’ultimo ha una forma a tripla elica molto armonica e regolare. Il DNA, invece presenta una conformazione differente, in quanto la sua struttura non è perfettamente regolare e la sua angolatura porta alla formazione di un solco maggiore (major groove) ed un solco minore (minor groove) dati dalla ripetitività della doppia elica. LA STRUTTURA DEL DNA Il DNA è costituito da un doppio filamento contenente delle paia di basi, che si riconoscono tra loro e formano dei legami idrogeno. Abbiamo 4 basi azotate: Adenina, Timina, Citosina e Guanina che interagiscono in questo modo: Adenina-Timina (o Uracile nell’RNA) e Citosina-Guanina. Il DNA è composto da unità, chiamate nucleotidi formati da una base + uno zucchero fosfato. Questo zucchero fosfato ha una polarità. Per certi versi potrebbe essere paragonato ad un “mattoncino lego” (il professore precisa di non usare questo esempio all’esame). Esso presenta un carbonio fosfato in posizione 5 e un carbonio privo di fosfato in posizione 3 che interagisce con un altro gruppo fosfato dello zucchero successivo. Il DNA è costituito da un doppio filamento con andamento antiparallelo: i due filamenti hanno polarità inversa, il filamento che va in direzione 5’-3’ si appaia con il filamento di polarità opposta (che va in direzione 3’-5’). I filamenti si riconoscono in base alle basi azotate e queste ultime si legano alle loro complementari con legami a idrogeno, che sono diversi tra Guanina e Citosina (legame più 27 forte in quanto sono 3 i legami a idrogeno che si formano) e tra Timina e Adenina (legame più debole in quanto sono 2 i legami a idrogeno che si formano). A delimitare il DNA è presente un’ossatura zucchero-fosfato. Il DNA si ripiega su sé stesso formando la celebre doppia elica, ma non è sempre così in quanto il DNA può avere differenti conformazioni, non soltanto la doppia elica detta conformazione DNA-B. Nella prima immagine possiamo visionare la riproduzione della prima struttura rappresentata da Watson e Crick con fili di ferro, dove si evidenzia il concetto chiave del minor Groove e major Groove. È possibile notare che il giro della doppia elica corrisponde a 3,4 nm (34 Armstrong) e che le basi che si appaiano tra di loro, sono planari e parallele come se fossero tanti scalini di una scala a pioli (il professore precisa di non spiegare così questo concetto all’esame). Le basi formano tra di loro con una certa regolarità uno spazio di 0.34 nm (3.4 Armstrong). Tutte queste caratteristiche sono ben illustrate nella figura sottostante. Le basi azotate del DNA sono planari e regolari poiché, oltre al legame a idrogeno che le tiene insieme, sono abbastanza idrofobiche, e quindi l’acqua le respinge. Disidratando il DNA, la sua struttura sarebbe radicalmente diversa. Il DNA ha generalmente una carica negativa, determinata dalla carica dei gruppi fosfato. Il professore cita il seguente esempio: “Se mettessimo il DNA in un campo elettrico, questo migrerebbe verso il polo positivo, proprio grazie alla carica negativa dei fosfati “. Aggiunge che vedremo diversi esempi su quanto sia utile la negatività del DNA per separare i vari frammenti. 28 RIASSUNTO SUI CONCETTI CHIAVE DEL DNA: L’unico dato non citato precedentemente è che il diametro medio del doppio filamento è regolare, pari a 20 Armstrong (2 nm). COMPONENTI DEGLI ACIDI NUCLEICI Le principali differenze tra DNA e RNA sono la diversità dello zucchero e la presenza dell’Uracile al posto della Timina. LO ZUCCHERO: Dna: 2-desossiribosio (manca l’ossigeno in posizione 2) Rna: Ribosio Entrambi gli zuccheri sono dei pentosi, composti da 5 atomi di carbonio. 29 PERCHE’ C’E’ QUESTA DIFFERENZA? PERCHE’ NON ABBIAMO UN UNICO ZUCCHERO? 2 motivazioni principali: L’assenza dell’ossigeno in posizione 2 rende più resistente il DNA. L’RNA è molto più instabile e tende a degradarsi spontaneamente in breve tempo. Il professore fa il seguente esempio: Se io dimenticassi sul bancone del laboratorio un campione di RNA, il giorno dopo sarà degradato; se, invece, dimenticassi un campione di DNA, anche per più tempo, sarebbe ancora perfetto. Per dare un esempio della resistenza del DNA: L’anno scorso Svante Pääbo vinse il Nobel per la medicina per lo sviluppo della paleo- medicina. Egli sviluppò protocolli specifici per estrarre DNA da reperti archeologici e studiarne le origini e lo sviluppo. Oggi noi conosciamo la prevalenza di certe malattie nella popolazione di diverse parti del mondo grazie anche ai suoi studi. Facciamo risalire l’arrivo della peste bubbonica in Europa ad almeno 2000 anni fa perché siamo stati in grado di isolare il DNA all’interno della cavità dentaria di alcuni scheletri ritrovati, e di identificare il DNA del bacillo che portava la malattia. Tutto questo grazie al fatto che il DNA è estremamente resistente. Gli atomi hanno una dimensione e quindi un ingombro sterico; la presenza dell’ossigeno in posizione 2 renderebbe impossibile la conformazione a doppia elica del DNA. Il professore specifica nuovamente il fatto che l’Rna ha l’Uracile anziché la Timina. Il DNA e l’RNA condividono le altre basi: Timina, Citosina e Guanina. LE BASI AZOTATE: Abbiamo 5 basi azotate: Guanina, Citosina, Timina, Adenina e Uracile. (Il prof dice che non è necessario imparare la formula, ma che potrebbe essere utile per biochimica). - PURINE (derivano dalla Purina, composto progenitore) → Sono Adenina e Guanina, composte da 1 anello pirimidinico e un anello imidazolico (non è necessario scriverlo all’esame). Complessivamente sono delle strutture a doppio anello. - PIRIMIDINE (derivano dalle Pirimidine) → Sono Citosina, Uracile e Timina. Hanno una struttura molto semplice a singolo anello. Le purine sono quindi più grandi delle pirimidine e proprio per questo ognuna si appaia reciprocamente con l’altra: (Purina+Pirimidina) → A+T/U e C+G 30 PERCHE’ NELL’RNA L’URACILE RIMPIAZZA LA TIMINA? Il fatto che ci sia la Timina nel DNA anziché l’Uracile è un grande vantaggio, in quanto la Citosina può andare incontro a fenomeni di degradazione come la deaminazione, causata da raggi ultravioletti, radiazioni, composti chimici reattivi (es. ROS, cioè le specie reattive dell’ossigeno) o altre sostanze ancora. Se la Citosina perde il gruppo amminico, diventa un Uracile. In questo caso, se nel DNA fosse presente anche l'Uracile, sarebbe impossibile distinguere la mutazione e quindi correggerla. Domanda: Anche l’Uracile se perde il gruppo metilico può diventare timina? No, la Timina se perde il gruppo metilico ha delle differenze rispetto all’Uracile come il doppio legame. Il prof specifica che è molto più frequente la perdita del gruppo amminico e che quindi è più frequente che la citosina diventi un uracile. Il professore per chiarezza fa un esempio: “Immaginate una sequenza di DNA dove una Citosina perde una componente e diventa un Uracile. La cellula riconosce che quella in realtà è una Citosina deaminata. Se al posto della Timina noi avessimo l’Uracile, la cellula non avrebbe nessun modo per distinguere un Uracile da una Citosina deaminata e quindi si fisserebbe una mutazione nel nostro DNA”. Le molecole di Citosina possono deaminarsi anche nell’RNA, (anzi è più probabile perché nel citosol gli stress sono maggiori e ci sono più molecole che possono creare danno), ma l’RNA è una specie molto labile, quindi, un errore o una mutazione vanno via con la degradazione di quella singola molecola di RNA. Il DNA invece è per sempre e la mutazione si fissa. Domanda di chiarimento sul perché il nostro corpo non riconosce l’Uracile come base del DNA. Nel nostro organismo ci sono meccanismi di riparazione per cui la Citosina che si degrada e diventa un Uracile all’interno del DNA viene riconosciuta come errore; questo perché l’Uracile non dovrebbe stare all’interno del DNA. Esistono una serie di enzimi che riconoscono l’errore e lo riparano. Se avessimo la sequenza di un frammento di DNA: “TCT” con la deaminazione della Citosina diventerebbe “TUT”. La cellula riconosce l’errore e lo ripara. Se in un mondo ipotetico il DNA avesse l’Uracile e avessimo la sequenza “UCU”, con la deaminazione della Citosina otterremmo “UUU” e la cellula non saprebbe riconoscere che in realtà la U centrale è una citosina deaminata. Domanda: Perché l’RNA è una molecola labile? Perché il ribosio lo rende molto più prono all'auto-degradazione ed esistono anche una serie di enzimi che lo degradano; invece, una molecola di DNA è fatta per durare decenni. Il professore ripete il concetto che una purina si appaia con una pirimidina. Non sono mai due purine o due pirimidine insieme. 31 STRUTTURA DEGLI ACIDI NUCLEICI: Gli acidi nucleici sono composti da base + zucchero + fosfato. Il precursore è una desossiadenosina trifosfato (dATP), che è una molecola come l’ATP. Nel nostro corpo l’ATP è molto importante per la cellula perché fornisce energia per le reazioni, è la nostra “moneta energetica”. Il precursore dei nucleotidi dATP presenta 3 molecole di fosfato perché 2 vengono usate per fornire l’energia sufficiente alla sintesi di DNA tramite la loro idrolisi. COS’E’UN NUCLEOTIDE? Un nucleotide è l’insieme di BASE+ZUCCHERO+GRUPPO FOSFATO. IL NUCLEOSIDE è costituito solo da BASE + ZUCCHERO. Nell’ immagine sottostante vediamo la base, ovvero la guanina, il suo nucleoside (guanosina) e il nucleotide trifosfato (guanosinatrifosfato). 32 Sotto troviamo lo schema con tutti i nomi (il prof precisa che non gli interessano i nucleosidi, ma bisogna solo ricordare i simboli delle basi A,G,T,C e i nomi dei nucleotidi. Precisa anche che spesso in laboratorio vengono chiamati con i loro simboli, per esempio: dAMP,dATP, etc…). Di seguito troviamo date importanti riguardo gli studi sul DNA e l’RNA Il professore ricorda le ipotesi fatte alla lezione precedente (Levane, Griffith e Avery) con la professoressa Martini e inizia a parlare della struttura del DNA. LA STRUTTURA DEL DNA La struttura del DNA si basa principalmente sugli studi di Chargaff e quelli di Watson e Crick. Di seguito la spiegazione di come si sia arrivati a comprendere la struttura della doppia elica. La scoperta della doppia elica è stata una delle scoperte biomediche del ‘900 che è penetrata di più nell’immaginario comune. Il concetto di doppia elica si è consolidato anche in seguito all’autobiografia rilasciata da Watson (intitolata appunto: “La doppia elica”). La struttura della doppia elica si basa principalmente su 2 nozioni preesistenti: Gli studi della composizione delle basi di Chargaff 33 Gli studi di diffrazione a raggi x compiuti da Rosalind Franklin e Maurice Wilkins, (soprattutto di Rosalind Franklin). CHARGAFF Egli fece un lavoro chiave per la struttura del DNA. Si mise a studiare diversi organismi (batteri, piante, lieviti, H. sapiens e moscerini della frutta) notando un pattern ricorrente: la quantità di Adenine era pari a quella di Timina, e la quantità di Guanine pari a quella di Citosina. Quindi, A+G=T+C. Il rapporto era sempre tendente ad 1 (mai esattamente 1 perché ci sono sempre variabili di misurazione e sono presenti anche nucleotidi liberi). Emerge che il rapporto tra guanina e adenina è molto variabile da specie a specie, ma che A è sempre uguale a T e C è sempre uguale a G. Sopra la tabella con i dati degli studi. Un altro contributo importante lo diedero gli studi sulla diffrazione a raggi X del DNA, compiuti principalmente da Rosalind Franklin. (Il professore dice di aver lasciato 2 video di approfondimento sulla storia della diffrazione a raggi X e sulla storia della “foto 51”, cioè una delle migliori foto ottenute durante gli esperimenti, sfruttata poi per molti studi). Photo 51: Rosalind Franklin's X-ray Diffraction Pattern of DNA (explained ) | DNA structure R. Franklin: Rosalind Franklin: DNA's unsung hero - Cláudio L. Guerra Di seguito lo schema della tecnica della diffrazione a raggi X: Abbiamo la sorgente di raggi X che emette raggi X e lo schermo di piombo che permette di filtrare un fascio di raggi X polarizzato. Il fascio polarizzato va a colpire un cristallo della molecola che stiamo studiando. Questo cristallo porterà alla diffrazione dei raggi X producendo una particolare figura di diffrazione in base a come i raggi X colpiscono le molecole del cristallo stesso. I raggi diffratti colpiscono una lastra fotografica, e viene restituita una figura di diffrazione. La lastra fotografica è composta da fogli coperti da sostanze chimiche a base di argento che, una volta colpite da un raggio (da un fotone/ 34 qualsiasi sorgente di energia), formano dei precipitati che danno la formazione di colore; poi con alcune sostanze chimiche, il precipitato viene fissato alla lastra e si ottengono dei film colorati. Si vede il negativo come se fosse il rullino di una macchina fotografica o una lastra. Il professore ricorda che abbiamo incontrato la stessa tecnica negli studi di Pauling sull’alfa- elica e il foglietto-beta; anche Pauling all’epoca era uno dei ricercatori che stava portando avanti lo studio della struttura del DNA. In questo momento storico, Avery e Chase fecero delle scoperte chiavi riguardo il DNA, e quindi l’attenzione si spostò dalle proteine al DNA, questo portò all’aumento della competizione. Grazie a questi studi Rosalind Franklin ottenne la “foto 51”, quella che Watson riuscì a visionare, intuendo la struttura del DNA. Rosalind Franklin stava portando avanti questi studi al King’s College di Londra, mentre Watson e Crick lavoravano a Cambridge. Tutti e 3 facevano parte di uno stesso consorzio dedicato alla definizione della struttura del DNA. Rosalind Franklin applicava la cristallografia a raggi X, Watson e Crick invece utilizzavano altre metodiche chimiche e fisiche. Parlando di Rosalind Franklin, il professore dice che nel video viene ben spiegato come vengono interpretati questi schemi. Aggiunge che lascerà delle diapositive integrative al termine della lezione, consultabili per curiosità personale, ma che non chiederà all’esame. Lo spettro di diffrazione ci dice che la struttura del DNA era molto regolare, quasi armonica e che la formazione della x nello spettro di diffrazione è associata, dagli strutturisti, alla forma elicoidale. L’angolatura delle macchie è indice della regolarità dell’elica e, andando a vedere la distanza tra un punto e l’altro, si poteva capire che tra una base e l’altra c’erano 0.34 nm, che un giro completo dell’elica era di 3.4 nm, e che i giri dell’elica corrispondono a 10.4 nucleotidi. Il professore dice di aver lasciato una slide supplementare dove si vede l’esperimento con cui si definisce perché erano 10.4 nucleotidi (precisa che anche questo non verrà chiesto all’esame). La peculiarità dell’intuizione di Rosalind Franklin rispetto agli altri era che lei otteneva dei cristalli ancora in soluzione acquosa (risultava una massa gelatinosa di DNA), rispecchiando quindi le condizioni fisiologiche (essendo ancora idratato manteneva la struttura del DNA-B così come noi la conosciamo). Molti altri invece, disidratavano il più possibile il DNA per ottenere un bel cristallo, ma quella non era la conformazione reale del DNA perché quest’ultimo all’interno delle cellule, è presente in forma idratata. Costoro, quindi, ottenevano un cristallo dove il DNA assumeva la conformazione che si trova in natura nelle spore batteriche fortemente disidratate. Molte storie raccontano che Watson rubò la foto a Franklin, ma queste sono esagerazioni. Per molti anni il contributo di Franklin fu dimenticato ma non totalmente. In realtà quello che successe fu che da un lato c’era il team di Franklin e Wilkins che studiavano il cristallo del DNA, e dall’altra parte Watson e Crick. I 4 si incontravano spesso, condividendo gran parte dei dati. Il casus belli fu che in realtà la “foto 51” venne mostrata a Watson da Wilkins senza chiedere prima il permesso a Franklin. Su “Nature” però vennero pubblicati 2 articoli in successione dove almeno una volta compaiono tutti e 4 i nomi. La copia dell’articolo firmata da Watson e Crick proponeva la struttura della doppia elica del DNA, l’articolo successivo 35 portava invece la firma di Franklin e Wilkins e trattava lo studio della struttura molecolare del DNA. Quindi possiamo dire che i due articoli si integravano insieme perfettamente. Watson e Crick diedero un contributo sulla struttura della doppia elica, mentre Franklin e Wilkins diedero il loro contributo sulle distanze molecolari tra le varie parti. Gli studi si confermavano reciprocamente. Questo articolo uscì nel 1953, stesso anno del sequenziamento dell’insulina (prima proteina ad essere totalmente sequenziata). Grazie alle immagini, alle regole di chimica strutturale, agli studi di Chargaff, integrati alle intuizioni di Watson, si arrivò all’ipotesi più probabile, cioè al fatto che l’Adenina doveva legarsi alla Timina con legami ad idrogeno. Questo significava che le basi stanno all’interno dell’ossatura e che l’Adenina e la Timina si univano insieme, così come Guanina e Citosina. Se non fosse stato così, non sarebbe stata mantenuta la struttura regolare di 20 Armstrong, ma la grandezza sarebbe stata irregolare e non avrebbe rispettato le indicazioni date da Chargaff del rapporto tra le basi. Questa fu una delle più grosse scoperte del ‘900. Per questa scoperta presero il premio Nobel: Watson, Crick e Wilkins; Franklin era morta qualche anno prima. Non si sa come sarebbe andata a finire l’assegnazione, a causa della limitazione dei 3 nomi per il Nobel, ma era chiaro che il contributo maggiore arrivasse da Rosalind Franklin rispetto che da Wilkins. A differenza di Martha C. Chase, che dopo la sua scoperta finì di fare ricerca scientifica e non contribuì ad altre scoperte, Rosalind Franklin continuò gli studi, spostandosi in un altro centro di ricerca e continuando a lavorare alla struttura delle molecole. Si appassionò di biologia virale, partecipando alla definizione della struttura del virus del mosaico del tabacco. Ricostruì una delle prime strutture di virus della storia, tanto che l’Expo di Bruxelles (1958) si aprì con la sua scoperta. 36 Parallelamente a questi studi, Franklin stava anche studiando la struttura del virus della poliomielite; il suo gruppo di ricerca dopo la sua morte portò avanti le ricerche vincendo un premio Nobel. Si legge adesso sulla lapide di Franklin: “Il suo contributo alla virologia non verrà mai dimenticato”. Dopo la sua morte l’attenzione si spostò alla struttura dei virus. IL MODELLO A DOPPIA ELICA Emergono 6 caratteristiche fondamentali dal modello sviluppato dall’articolo di Watson e Crick e grazie alla cristallografia di Franklin e Wilkins. 2 catene polinucleotidiche si avvitano insieme in maniera destrorsa le catene nucleotidiche sono antiparallele l’ossatura zucchero-fosfato è sul lato esterno della doppia elica mentre le basi sono orientate sull’asse centrale le basi complementari sono unite da ponti a idrogeno le basi distano 0.34 nm e un giro completo dell’elica richiede 10.4 basi gli zuccheri fosfato non sono sempre regolari ma formano dei solchi (minor groove e major groove) Analizzando il DNA vediamo che questo è come se fosse una vite e, partendo dall’estremità 5’, girerà sempre in senso orario (in maniera destrorsa). Abbiamo lo zucchero fosfato e le basi che vanno dal 5’ al 3’ in maniera antiparallela legate dai ponti a idrogeno. Il professore precisa nuovamente di notare l’accoppiamento delle basi cioè purina+ pirimidina, perché nel caso di 2 purine o 2 pirimidine il diametro non sarebbe costante. IL LEGAME A IDROGENO Come già detto precedentemente, la parziale carica positiva e la parziale carica negativa interagiscono fra di loro formando una forza di attrazione. Guanina e Citosina formano più ponti a idrogeno (3) e quindi interagiscono più saldamente. Esempio: Se noi in laboratorio prendessimo due frammenti di DNA, li potremmo separare tra di loro aumentando la temperatura, così da immettere sufficiente energia al sistema per rompere i legami a idrogeno. In base al numero dei legami a idrogeno, sapremo a che temperatura il nostro DNA si denatura. In laboratorio spesso si lavora con piccole sequenze di DNA, e quindi possiamo anche prevedere in maniera informatica a che temperatura due frammenti di DNA si separeranno fra di loro. Domanda fatta dal professore: Secondo voi è maggiore la temperatura a cui si separa un frammento di

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