Summary

Questi appunti di biologia molecolare descrivono la cellula e il genoma, esplorando argomenti come la clonazione, il sequenziamento, l'espressione genica e il dogma centrale. I concetti vengono spiegati con esempi e spiegazioni dettagliate, evidenziando l'importanza del DNA, RNA e delle proteine nella vita. Gli aspetti chiave della struttura, funzione e regolazione del genoma e del processo di espressione genica sono chiariti.

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CELLULA E GENOMA La prof introduce la lezione di oggi partendo dalla pecora Dolly, specificando che per clonarla con successo sono serviti circa 600 esperimenti falliti; attualmente è possibile clonare un mammifero con circa 20 tentativi falliti. I primi esperimenti di sequenziamento vedono svilup...

CELLULA E GENOMA La prof introduce la lezione di oggi partendo dalla pecora Dolly, specificando che per clonarla con successo sono serviti circa 600 esperimenti falliti; attualmente è possibile clonare un mammifero con circa 20 tentativi falliti. I primi esperimenti di sequenziamento vedono sviluppare varie tecniche, prima tra tutte il Sequenziamento di Sanger, che permetteva un sequenziamento di circa 60 nucleotidi/ora; negli ospedali che si occupano di ricerca ci sono dei sequenziatori che permettono un sequenziamento intero del genoma (o dell’esoma) umano (ovvero la parte codificante del genoma) in circa 1h. Le maggiori applicazioni le troviamo in merito ai tumori per monitorare la variazione delle cellule tumorali in risposta ad una certa terapia. Sequenziare periodicamente il genoma delle cellule tumorali in risposta a terapia serve a verificare quali sono le mutazioni che sovvengono al fine di identificare quelle che sono correlate alla resistenza al farmaco per sviluppare terapie in grado di superare meccanismi di resistenza; questi strumenti sono così potenti che forniscono centinaia di migliaia di dati. Nel ’95 fu sequenziato il primo genoma batterico, E. Coli: un unico cromosoma completamente mappato ad alta risoluzione, nel ‘96 otteniamo il primo genoma di un lievito eucariotico, saccharomyces cerevisiae (conoscere il genoma di un modello sperimentale è molto importante per la ricerca). Nel 2000, con alcuni anni di anticipo rispetto alla fine del progetto Genoma Umano, si completa la prima sequenza della porzione eucromatinica di Drosophila Melanogaster ed 1 anno dopo viene consegnate alle stampe, attraverso una pubblicazione sulla rivista scientifica Science, il primo draft (una sequenza a bassa risoluzione) dell’intero genoma umano. Quello era il genoma di un individuo e da questo si passa alla Next Generation Sequencing nella quale l’innovazione ha permesso di abbassare costi e tempi passando dalla mappatura di un genoma a quella di tanti individui. Dal sequenziamento del DNA si è passati all’ RNA, mRNa, snRNA, miRNA, piRNA, di cui gli ultimi 3 sono RNA regolatori, ossia non servono per la codifica di una proteina, ma regolano i processi attraverso i quali un gene si esprime. Per espressione genica indichiamo la serie di processi che consente di ottenere un prodotto funzionante nel nostro organismo a partire da una sequenza di DNA; quindi una regolazione su un RNA funzionale o una proteina. Tanti RNA lavorano nella regolazione dei processi che mi portano a dire se quella proteina sarà più o meno espressa in una cellula, in un certo momento, in risposta ad un certo stimolo. Esistono anche modifiche epigenetiche, ovvero modifiche effettuate ad un livello che non affligge la sequenza nucleotidica (la quale può rimanere identica), ma che permettono di distinguere o modificare l’espressione di un gene da un individuo all’altro. Queste modifiche riguardano molte modifiche della cromatina, agendo sulla sua rilassatezza necessaria per la duplicazione del DNA e la trascrizione del RNA. Insomma, la manipolazione del DNA e la sua lettura, o più in generale di un acido nucleico, è diventata alla portata di un laboratorio universitario. Il 1953 è l’inizio dell’epoca genomica con la scoperta della doppia elica. Già dalla meta del ‘600 si capisce che ci sono unità fondamentali della vita, concetto che viene poi espresso nella teoria della cellula intorno alla metà dell’800. Le cellule sono tutte diverse morfologicamente perché quelle terminalmente differenziante assumo caratteri e morfologia ideali per svolgere la funzione che sono chiamate a sostenere. Alcune caratteristiche sono però fondamentali per tutte le cellule, ovvero la caratteristica di stoccare le informazioni che servono per dirigere un processo di divisione e quindi assicurare progenie e per far funzionare tutti i macchinari contenuti nella cellula. L’informazione nelle cellule è totipotente poichè racchiude le istruzioni per far funzionare le cellule ma anche per costruire i moduli che servono per far funzionare la cellula, oltre alle istruzioni d’uso e le caratteristiche per l’autoassemblaggio dei processi. Fu subito chiaro che le cellule non fossero tutte uguali e le divisero in eucariotiche e batteriche, dopo di che si accorsero che anche i batteri non erano tutti uguali; infatti ce n’erano alcuni che sembravano più arcaici per certe caratteristiche, i quali vivevano nelle profondità del mare vicino ai geyser sottomarini, capaci quindi di resistere ad alte pressioni e temperature, produrre metano e vivere anche senza ossigeno, chiamando questa classe archei. 1 Poi andando a fare una tipizzazione molecolare di questi archei mediante il sequenziamento del rRNA 16S, che è molto conservato (se cambia è avvenuto un cambiamento importante), si capì che gli archei fossero più vicini agli eucarioti di quanto ci si immaginasse. In questo momento ci sono due visoni: quella del precursore cellulare unico che dà origine a batteri e archei e da quest’ultimi si evolvono poi gli eucarioti, e quella più gettonata della doppia linea ovvero un unico precursore che si divide in due linee evolutive ovvero i batteri da una parte e dall’altra eucarioti ed archei. La cellula è l’unità strutturale più piccola di un organismo, essa è indipendente e tutte le cellule hanno caratteristiche comuni. Negli eucarioti, nel nucleo avvengono: la duplicazione trascrizione modificazione post-trascrizionale mentre nel citoplasma avviene la traduzione (perciò in tempi diversi). Nei procarioti avviene tutto nel citoplasma e trascrizione può avvenire contemporaneamente alla traduzione. Nella foto vediamo l’unico cromosoma di un batteriofago T2, virus che infetta i batteri, il quale, dal momento che il fago è stato lisato, appare in una fotografia al microscopio elettronico al di fuori della cellula. In questa foto vediamo un nucleo molto organizzato separato dalle membrane nucleari e la cromatina è dentro, oltre ai vari organelli che originano mediante il sistema di endomembrane. Sull’origine della cellula eucariotica esiste una teoria, la teoria endosimbiotica: gli eucarioti furono il prodotto della fusione di 2 cellule, la cellula più sviluppata degli archei (l’archea Asgard) ed un alfa- protobatterio, dando origine ad una cellula nella cellule; ciò giustifica il fatto che abbiamo almeno 2 tipi di DNA diverso nella stessa cellula: il DNA mitocondriale e quello nucleare (i quali sono una reminiscenza dell’esistenza di due cellule che hanno donato il loro materiale genetico nell’unica cellula che si è formata). La cellula è totalmente indipendente, ciò che invece non è una cellula, come un virus, necessita di una cellula per sopravvivere e replicarsi. Essi, infatti, hanno un corpo proteico e una componente genetica contenuta all’interno, ma hanno bisogno di parassitare una cellula per riprodursi. Nel genoma umano ci sono circa 3 bilioni di basi, ed ogni cellula contiene circa lo stesso set di geni. Avere un corredo genetico perlopiù uguale in tutte le cellule, non significa che tutte esprimano tutti i geni nello stesso momento, ma che esiste un fine controllo dell’espressione genica che mi permette di controllare il fenotipo di una cellula: a seconda dell’ambiente e della funzione attivo solo certi geni. Tutta la vita si fonda su DNA, RNA e proteine: 1. Il DNA è unico (nonostante ci siano sia quello nucleare e quello mitocondriale) nella struttura, composizione e funzione: il suo scopo è conservare le informazioni ed autoreplicarsi. 2. Gli RNA invece sono tanti ed estremamente eterogenei, infatti esistono i grandi, i lunghi, i piccoli, i codificanti, i non- codificanti; alcuni RNA non sono mRNA quindi non vengono decifrati per produrre una proteina ma servono per produrre quel macchinario molecolare che mi porta alla traduzione del mRNA: questi sono tRNA e rRNA. Inoltre ci sono una miriade di tanti RNA, che derivano da DNA, che fino a 20 anni fa venivano chiamato junk DNA (ovvero DNA spazzatura); ora questa porzione di DNA che codifica per RNA non codificanti viene chiamata “gene non strutturale” e codifica per RNA diversissimi che servono per regolare processi di trascrizione e in senso lato di espressione genica. 2 Tutti questi RNA non codificanti vengono classificati in base alla lunghezza: in long non-coding RNA, che in genere interferiscono con duplicazione e trascrizione in short i quali presentano tantissime differenze tra loro, perciò, si effettua una sotto-stratificazione in cui abbiamo i miRNA, i piRNA, snRNA ecc. o I miRNA sono importati per regolare il livello di trascrizione di un gene e sono alterati nei processi patologici: un’infiammazione/ neurodegenerazione/ tumore si accompagna ad una produzione diversificata di questi miRNA che posso essere dosati con prelievo di sangue o saliva, diventando strumento per fare diagnosi, permettendo di fare anche prognosi e terapia. 3. Le proteine possono essere: enzimi (catalizzatori) proteine non enzimatiche e quindi strutturali (di una componente cellulare) come l’actina, la tubulina del citoscheletro, la cheratina (principale componente degli annessi cutanei), ecc.. Il DNA presenta una doppia elica in cui ogni filamento è complementare all’altro: la sequenza di un filamento è diversa da quella dell’altro ma essendo tale complementarità fissa, possiamo prevedere la sequenza di uno dei 2 filamenti conoscendo l’altro. È un codice che si basa su 4 simboli (che indicano i 4 nucleotidi ATCG), ma che può formare infinite combinazioni di triplette/ codoni. DOGMA CENTRALE Crick enuncia nel 1958 il dogma centrale della biologia molecolare definendo un flusso unidirezionale dell’informazione genetica: dal DNA, all’ RNA, alle proteine ed una volta arrivati alla proteina l’informazione non ne può più uscire/ non torna indietro: gli acidi nucleici servono per formare le proteine ma non viceversa. Crick non aveva le prove per affermare ciò che ha detto. Si può passare da RNA a DNA solo in alcune occasioni come nel caso di virus che possiedono l’informazione genetica sull’ RNA, la quale passa nel DNA tramite l’enzima trascrittasi inversa in un processo chiamato trascrizione inversa per replicare ed in seguito si verifica la trascrizione per tornare al genoma del virus e formare tutti gli RNA che servono per formare le proteine del virus. Il limite del dogma non è che esistano retroflussi, ma che il ruolo del RNA fosse imbrigliato tra DNA e proteine, invece esistono tantissimi RNA che non sono codificanti ma regolativi. L’informazione è contenuta nel nucleo come una libreria, gli scaffali sono i cromosomi ed i geni che troviamo su essi sono i libri, libri che devono stare sugli scaffali ed in quella posizione precisa perché se si trovassero da un’altra parte significherebbe che si è verificato un riarrangiamento cromosomico, sinonimo di malformazioni. Questi libri possono essere chiusi o aperti in base alle esigenze della cellula (processo reversibile), ma rimangono al loro posto e devono essere richiusi se stati aperti. Abbiamo un nucleo dove è presente il DNA che si è aperto generando due forche replicative utilizzando i desossiribonucleotidi-trifosfato come mattoncini per creare l’elica complementare a quella presa come stampo. Gli RNA come mattoncini usano i ribonucleotidi-trifosfati. Da un filamento di DNA è possibile fare trascrizione mediante RNA- polimerasi ottenendo pre-mRNA, che maturerà all’interno del nucleo per poi essere esportato nel citoplasma dove i ribosomi lo leggono poter produrre una proteina. Nel nucleolo si formano gli rRNA necessari per formare il ribosoma. Un gene viene espresso sempre in 2 step: il primo è la sintesi del RNA, poi il secondo, che è facoltativo, consiste nella produzione della proteina. Se il gene codifica per un microRNA, una volta finita la trascrizione ci fermiamo o al massimo ci 3 sono passaggi di maturazione del pre-microRNA; stessa cosa per gli altri RNA non codificanti. IL CICLO CELLULARE Tutte le volte che la cellula si divide produce due cellule figlie uguali, e l’informazione per fare tutto ciò è contenuta nel DNA. Fondamentale è la complementarietà del DNA, che già suggerisce un meccanismo stampo-copia; il DNA può essere visto come una fotocopiatrice in grado di fotocopiare sé stesso. Tutto viene organizzato all’interno della cellula da un ciclo cellulare, un processo altamente regolato da fattori estrinseci mitogeni, fattori di crescita, e fattori intrinseci (cicline e cicline chinasi). I primi influenzano le altre e tutto questo consente al ciclo di avere quattro fasi che si alternano e che grazie ai fattori di regolazione sono irreversibili. Quindi, partendo da una mitosi, la divisione cellulare, la cellula si ritrova in una fase G1, seguita da una fase S, poi da una fase G2 ed infine conclude il ciclo ritornando in mitosi. Non tutte le cellule fanno questo ciclo in maniera definita, infatti, per esempio è regolato anche il momento in cui dividersi, questo in genere lo fa un mitogeno, cioè un fattore di crescita che innesca il processo di divisione. Ci sono cellule che dividono molto velocemente, cellule che dividono con meno frequenza e cellule che dividono una volta sola; questo dipende dal tipo di cellula e condiziona anche la durata delle fasi del ciclo cellulare, perché noi possiamo raggruppare G1, S e G2 tutto in un “interfase” che è lo spazio di tempo fra due mitosi. L’interfase è variabilissima, mentre meno variabile sono la durata della mitosi, che in genere si conclude entro la mezz’ora, e la fase di sintesi del DNA, che anch’essa ha una durata definita. G1 significa gap 1, S significa sintesi, G2 gap 2 e M mitosi; gap 1 e gap 2 si trovano, se ci si fa caso, fra la mitosi e la sintesi e tra la sintesi e la mitosi; quindi, le due fasi estremamente interessanti sono la sintesi del DNA e la divisione, tra le quali ci sono due gap, ovvero due spazi nei quali la cellula svolge tutti i controlli (check), e produce tutto ciò che le serve per prepararsi alla replicazione e poi divisione. Noi faremo replicazione del DNA e quindi staremo per lo più all’interno di quella che è la fase S del ciclo cellulare, la sintesi del DNA deve compiersi in questa fase. Completata la replicazione del materiale genetico la cellula può muoversi unidirezionalmente verso il G2, fare ulteriori controlli e, se tutto è apposto e il fuso mitotico è ben assemblato, entrare in mitosi. Nel caso qualcosa sia andato storto la cellula possiede dei blocchi a vari livelli, il primo blocco importante nella divisione del ciclo cellulare è da G1 a S: una cellula, infatti, non intraprende la sintesi del DNA nel caso abbia avuto ad esempio un danno irreparabile al cromosoma o se non ha energia sufficiente per produrre materiale che le servirà per fare sintesi. Oltre al primo tra G1-S, un secondo blocco si trova tra S e G2, la cellula non può entrare nel gap che la porterebbe quasi irreversibilmente verso la mitosi se non ha completato tutta la sintesi del DNA, questo la esporrebbe a danni notevoli. L’ultimo, un blocco si trova su M, questo consiste in un controllo sul macchinario necessario per la divisione delle cellule. IL MATERIALE GENETICO DEGLI EUCARIOTI E PROCARIOTI Come detto in precedenza, nella fase S, da una molecola di DNA parentale se ne devono formare due, che saranno assolutamente identiche alla prima: questo è il processo di replicazione del DNA, che affronteremo con tutti i suoi dettagli. Il DNA negli eucarioti è estremamente organizzato, tra l’altro, come c’è scritto all’inizio, anche con microscopi molto rudimentali era possibile vedere questi corpi colorati: i cromosomi. Questi non sono altro che cromatina che si è condensata prima di una divisione cellulare. Si inizierà a parlare del DNA come della doppia elica e dei due filamenti complementari 4 che la compongono. Il DNA ha 3 miliardi di paia basi, pertanto, nella sua forma lineare, apparirebbe come un’unica molecola della lunghezza di circa 2 metri: è evidente che tale dimensione sarebbe incompatibile con quella del nucleo di qualsiasi cellula, perciò è necessaria un’operazione di impacchettamento stretto nel quale l’acido nucleico interagisce con delle proteine formando la cromatina. Queste proteine vengono distinte in istoniche e non istoniche, si avrà un primo avvolgimento del DNA sugli istoni (10 nm), poi un riavvolgimento di questa catena di perle (i nucleosomi) su sé stessa generando delle fibre da 30 nm che diventeranno prima fibre spesse 300 nm, poi un cromatide (700 nm), che verrà poi (durante la replicazione) duplicato in cromatidi fratelli (700*2 = 1400 nm) conferendo al cromosoma la tipica forma con cui è conosciuto. Nei batteri è tutto molto più semplice: questi possiedono un unico cromosoma circolare agganciato alla parete cellulare e del materiale epigenetico in forma di plasmide anch’esso circolare. Sia il DNA del cromosoma che quello epicromosomiale replicano, ma sostanzialmente in maniera indipendente; si possono avere molte copie del plasmide in una singola cellula batterica. Questi plasmidi sono stati ingegnerizzati per essere modificati e per introdurre informazioni genetiche esogene all’interno delle cellule: essi possono essere scambiati nell’ambiente tra due batteri e portano informazioni accessorie a quelle scritte nel cromosoma principale; quindi, se in quello principale ci sono tutte le maggiori informazioni necessarie per la sopravvivenza, nei plasmidi sono presenti delle informazioni che servono per sopravvivere in condizioni particolari. Tutti i geni di resistenza agli antibiotici si trovano per lo più sui plasmidi e la “sfortuna” è che questo può uscire dalla cellula: quindi, un batterio resistente che si trovi vicino ad un altro batterio non resistente, può trasferire il suo plasmide portatore di resistenza conferendo la proprietà di resistenza all’altro batterio. Quindi, attraverso i plasmidi, si trasmette l’informazione di resistenza; ecco perché quando diamo un antibiotico esso deve essere dosato e prescritto dal medico, si deve scegliere il più efficace per quel batterio e deve essere dato con le giuste dosi e i giusti tempi; perché se la dose, l’antibiotico o i tempi di somministrazione sono sbagliati si favorisce la selezione di quei batteri che hanno resistito alla terapia e questi molto “generosamente” replicheranno. Un batterio replica in circa 30 minuti, e saranno in grado di trasferire la loro capacità di sopravvivere anche ad altri, questo è il funzionamento dei plasmidi, della resistenza dei batteri e dell’antibiotico resistenza. La seconda domanda che ci si pone è: questa cosa con cui dobbiamo avere a che fare ma che non ci interessa, la possiamo trasformare in un nostro vantaggio? La risposta è sì. I biotecnologi hanno isolato una serie di plasmidi con caratteristiche di replicazione diverse e attraverso enzimi chiamati “forbici molecolari” in grado di tagliare il DNA in punti ben precisi, hanno costruito dei plasmidi transgenici. Dopo aver tagliato il plasmide, è stato inserito un inserto isogeno e poi reinserito il plasmide nel batterio; a quel punto il batterio, quando replica il proprio plasmide, riproduce anche le informazioni che sono state volutamente messe lì dentro: si ottengono dei batteri geneticamente modificati che possono essere usati ad esempio per la produzione di proteine utili al nostro organismo come l’insulina. I batteri modificati li si tengono in coltura, che saranno poi capaci di produrre non solo le proprie cose ma anche l’insulina che a noi interessa. Quell’insulina è prodotta a partire da una sequenza umana che è stata inserita nel plasmide batterico, in questo modo l’insulina che verrà prodotta è esattamente quella umana. Essa è attualmente alla base della terapia sostitutiva per i soggetti diabetici di tipo I, che non essendo in grado di produrre insulina, la devono assumere prefornita dall’esterno. Una volta veniva somministrata loro l’insulina porcina umanizzata, cioè si modificava la proteina del maiale modificando degli amminoacidi che la “umanizzavano”… tuttavia non era la stessa cosa poichè c’erano sempre dei residui di produzione che portavano qualcosa di esterno. 5 Tutti i cromosomi che noi abbiamo visto in forma condensata, che è la tipica forma a croce nell’uomo, non possono essere visti se la cellula non si sta dividendo e si vedrebbe solo quella matassa di cromatina disavvolta. Nell’immagine sono rappresentati i cromosomi e questo è il cariotipo umano, esso ci serve solo per mostrare, con una tecnica di colorazione apposita, l’assetto completo dei cromosomi di un certo individuo. Usando delle sonde fluorescenti si ottiene un cariotipo rainbow, ad arcobaleno, come nella foto, dove non solo è possibile contare se ci sono tutti (i cromosomi) ma si possono vedere anche i bandeggi colorati e come si distribuiscono, e quindi guardare anche riarrangiamenti che possono suggerire un’alterazione cromosomica e quindi una malattia. Cos’è una sonda? Una sonda è un tratto di DNA che viene marcato con una molecola fluorescente e che è in grado di riconoscere una sequenza ad essa complementare; quindi, grazie alle proprietà di complementarietà, queste mappe si ottengono utilizzando una proprietà unica degli acidi nucleici che è la proprietà di ibridizzazione. È ovvio bisogna conoscere la sequenza per costruire una sonda, però essa, una volta introdotta nella cellula, andrà ad ibridizzare il DNA localizzando quella determinata porzione del cromosoma o quella determinata porzione di gene. Essa fa da tracciante e consente di capire se tutto è a posto, se ci sono delle monosomie, trisomie, dei cromosomi spezzati o altro, permette a spanne di capire se il braccio piccolo è al suo posto, se c’è stata una traslocazione del pezzetto del braccio grande sul braccio piccolo, se un pezzo di cromosoma 2 è andato a finire sul cromosoma 10 e così via. Il cariotipo è composto da ventidue autosomi e una copia di cromosomi sessuali. Si è detto che il genoma umano è tutto il corredo di DNA di una cellula: 3 bilioni di basi, di queste una piccola parte codifica per le proteine (circa 19.000-20.000 geni), questo significa che per un 40% della sequenza si hanno geni (2%) o sequenze collegate ai geni (38%), ma per un 60% è presente DNA intergenico, cioè posizionato tra un gene e un altro, il tutto organizzato su un cromosoma. Bisogna immaginare questo cromosoma in uno spazio fisico nel quale si susseguono i geni separati da materiale intergenico, che è più rappresentato dei geni. Inoltre questa porzione che ora è si considera rappresenti il 40% è cresciuta nel corso degli anni, infatti si è capito che i geni non codificano per le proteine ma per l’RNA; se avessimo visto 10 anni fa questo paragrafo avremmo concluso che il 3% del genoma umano codifica per i geni e tutto il resto 38% si chiamava junk DNA/ DNA spazzatura. Adesso è decisamente in disuso questa dizione perché si è capito che quello che noi diciamo che è spazzatura dipende semplicemente dai nostri limiti di conoscenza: il 2% sono gli esoni dei geni codificanti per le proteine mentre il 38% sono geni per RNA funzionali non codificanti (Long Non Coding RNA, microRNA, piRNA, Small Nuclear RNA…) o sequenze collegate ai geni che non sono codificanti, ad esempio le estremità di un gene non sono mai codificanti, o ci sono frammenti genici, introni, pseudogeni (frammenti inseriti in un gene che vengono eliminati con lo splicing che non servono per codificare) e così via. Da che cosa è rappresentato questo 60% che per il momento si è deciso non essere un gene? Il 18% sono sequenze uniche o a basso numero di copie mentre per il 42% sono un DNA molto o moderatamente ripetitivo, quindi sequenze altamente ripetute. o Tra di esse, le quali sono quelle su cui ci si è concentrati molto, ci sono le sequenze ripetute in tandem, esse sono altamente variabili da individuo ad individuo e sono quelle sulle quali si faceva la RFLP. 6 Essa è stata usata per la prima volta nel processo di O. J. Simpson, nonostante le prove portate dall’analisi del DNA fossero più che valide, l’esito non fu favorevole perché la difesa fu più scaltra dell’accusa, nonostante ciò, da lì in avanti cambiò il panorama della risoluzione delle scene del crimine. Quindi, in queste sequenze ripetute in tandem sono presenti i satelliti, i minisatelliti o microsatelliti e STR; posizionati tra questi, tra il gene o le sequenze ripetute, sono inoltre presenti gli elementi interspersi, questi sono long o small interspersed elements, più o meno ripartiti. Attenzione! Bisogna avere in mente cos’è un cromosoma, cos’è un gene, cosa sono le sequenze non codificanti e come si classificano. Riproduzione cellulare, va saputo cosa sono la mitosi e la meiosi, ma queste le dobbiamo vedere da soli, prima di studiarle bisogna però aver fatto bene la replicazione del DNA. LA STRUTTURA DEL DNA Per acidi nucleici sostanzialmente intendiamo l’acido desossiribonucleico e l’acido ribonucleico, essi sono polimeri di nucleotidi. Il nucleotide è una struttura costituita da uno zucchero, che è sempre un pentoso una base azotata un fosfato; Nel DNA si ha una catena polinucleotidica di desossinucleotidi, nell’RNA si ha una catena polinucleotidica di ribonucleotidi. In entrambi gli acidi lo zucchero è sempre il ribosio, ma nella posizione 2’ (due primo) dello zucchero si ha un ossidrile nei ribonucleotidi che costituiscono l’RNA, questo ossidrile manca nei desossiribonucleotidi che costituiscono il DNA, e lo zucchero sarà un 2’ desossiribosio. Non è sufficiente sapere che abbiamo bisogno di una base, uno zucchero e un fosfato per fare un nucleotide, è richiesto anche sapere questi in che relazione sono tra di loro, perché sono legati attraverso legami covalenti. Le basi possono essere purine o pirimidine e sono legate attraverso un legame N-glicosidico in configurazione b all’atomo 1’ di carbonio dello zucchero. Il fosfato è legato con un legame estere al carbonio: sull’atomo 5’ del carbonio del ribosio c’è un ossidrile che si unisce all’OH di un fosfato, i nucleotidi possono essere monofosfati, ma possiamo anche agganciare più fosfati agli altri e ottenere i difosfati e i trifosfati. Gli acidi nucleici, si è visto che erano già stati isolati nel 1869 da Miescher, ma la grande rivoluzione è stata identificare in che modo questi nucleotidi fossero agganciati uno all’altro, non solo nella catena lineare ma nello spazio. Basi azotate: la capostipite è la pirimidina che dà origine alla serie delle pirimidine (citosina, timina e uracile), essa è un anello aromatico con un eteroatomo, che è l’azoto. Sostituendo in vari carboni o azoti dei gruppi sostituenti otteneniamo citosina, timina o uracile. Nel primo caso abbiamo inserito un gruppo amminico e un carbonile, nel secondo caso due gruppi carbonile e un metile e nell’ultimo due carbonili; quindi, esse sono tutte strutture strettamente correlate tra di loro e correlate con la molecola capostipite. Esse sono idrofobe e sono planari per via della costrizione di rotazione imposta dalla presenza di doppi legami alternati. 7 La purina è il capostipite delle purine (adenina e guanina), con questa si è di fronte ad un composto biciclico, eteroaromatico, che opportunamente sostituito mi darà l’adenina o la guanina. Quindi ricapitolando, se è presente il fosfato in 5’, la base in 1’ e non si ha l’ossidrile in 2’, si tratta di un desossiribonucleotide, che potrà essere una desossiadenosina, desossiguanosina, desossitimina, desossicitosina mono- di- o trifosfato. I simboli utilizzati sono le lettere, il modo più semplice A, G, T, C, e se vogliamo essere più precisi, poiché c’è la possibilità di confonderli con una sequenza di RNA, è possibile mettere una piccola “d” davanti che suggerisce che si sta parlando del DNA per la desossiadenosina (dA). Se vogliamo indicare il numero di fosfati andiamo per esteso ad indicare desossiadenosina monofosfato (dAMP) e così via per tutti (dADP dATP). Ombreggiata in rosa si vede solo una parte della molecola, praticamente tutto a meno che il fosfato, quello è il nucleoside; esso si forma sostituendo un desossiribosio con una base azotata sull’atomo di carbonio in 1’. Quando si parla di 1’, 2’, 3’ sostanzialmente è la numerazione degli atomi di carbonio dello zucchero che oltre ad avere un numero ha un apice, l’apice primo (‘), utilizzato così che non ci si confonda con un carbonio della base, visto che anche l’anello della base può essere numerato sui suoi atomi di carbonio (questo sarà numerato senza l’apice primo). I ribonucleotidi hanno un meccanismo di nomenclatura identico ai desossiribonucleotidi, solo che compare l’ossidrile sull’atomo di carbonio 2’ del ribosio, per il resto rimane quasi tutto uguale se nonché l’uracile U prende il posto della timina T. Se si va a guardare il DNA e l’RNA, si vede che sono catene polinucleotidiche di desossi- o ribo-nucleotidi uniti fra di loro da legami fosfodiesterici tra nucleotidi adiacenti. Un’altra cosa da notare è che ci sono due estremità nel filamento nucleotidico che vengono chiamate estremità 5’ o estremità 3’: all’estremità 5’ si trova il gruppo funzionale dell’ultimo nucleotide legato all’atomo di carbonio 5’, di norma un fosfato che in particolari condizioni può idrolizzare e quindi abbiamo un ossidrile. §Cosa si trova al 5’ di un frammento polinucleotidico di desossi- ribonucleotidi? Risposta: un fosfato o un gruppo ossidrile. In posizione 3’ si trova sempre un OH. Quindi si capisce che c’è una polarità nel filamento, vuol dire che i due estremi non sono uguali e non lo sono perché da una parte si ha l’atomo 5’ e dall’altra si ha l’atomo 3’ e questo ci permette di definire una direzione. La replicazione e la trascrizione avvengono tutti nella direzione 5’→ 3’ e quindi, per convenzione, quando si scrive una sequenza l’inizio del 5’ lo si mette a sinistra, mentre la fine che è il 3’ lo si mette a destra. Un nucleotide o desossinucleotide può essere monofosfato, difosfato o trifosfato: non ci si ferma al primo fosfato agganciato all’ossidrile in 5’ del nucleotide, ma con un particolare legame fosfoanidrinico viene aggiunto un fosfato dopo l’altro. Il fosfato più vicino allo zucchero si chiama fosfato a, quello di mezzo si chiama b e quello più lontano si chiama g; il legame tra gamma e beta e fra beta e alpha e un legame ad alta energia, 8 questo non vale solo per l’ATP ma per tutti i nucleotidi e anche i ribonucleotidi, poiché dipende dalle particolari caratteristiche del legame fosfoanidrinico. In pratica la dissociazione di questo legame produce delle molecole/ un prodotto fortemente stabilizzato in termini energetici e, quindi, lo rende un legame molto energetico. Se scindiamo il legame fra beta e alpha il gruppo uscente sarà una coppia di fosfati uniti fra di loro che hanno un nome ben preciso, pirofosfato. I mattoncini che servono per la costruzione di una catena polinucleotidica non sono mai i desossi- ribonucleotidi monofosfato o difosfato, sono sempre e solo ed esclusivamente i trifosfati. Quindi se devo fare la sintesi del DNA o dell’RNA ho bisogno di desossinucleotidi trifosfato e di ribonucleotidi trifosfato; il motivo è semplice: immaginiamo di avere una catena polinucleotidica lunga n nucleotidi e immaginiamo di doverla allungare di uno che è il processo proprio di sintesi della catena: l’allungamento si ottiene mediante condensazione del nucleotide trifosfato alla catena andando ad agganciare questo nucleotide alla catena preesistente; questa reazione di condensazione produce l’allungamento della catena di un nucleotide e porta all’uscita del gruppo pirofosfato. Ad opera di un enzima chiamato pirofosfatasi (gli enzimi hanno sempre un suffisso -asi; quindi, l’enzima che idrolizza il fosfato) si produce la scissione del legame ad alta energia e viene prodotta energia. Questo è importante in quanto la reazione di condensazione del nucleotide è costosa in termini energetici e possiede un’energia libera positiva, quindi non è favorita come processo a livello energetico. Diventa invece favorita nel momento in cui avviene la reazione di idrolisi del pirofosfato che invece è una reazione che produce energia e quindi negativizza l’energia libera della reazione. Questi sono concetti di termodinamica, alla prof non interessa che noi conosciamo proprio la termodinamica perché la faremo con la parte di biochimica, qui dobbiamo capire che, partendo da un difosfato o da un monofosfato, la reazione di condensazione è possibile che avvenga lo stesso, ma solo in presenza di una condizione in cui qualcosa mette l’energia per permettere quel determinato processo; questo diventa invece automatico se si usa un substrato che di per sé è energetico (trifosfato nucleotide). STRUTTURA DEGLI ACIDI NUCLEICI Nelle scorse lezioni, oltre ad un’introduzione che ci ha fatto capire quali sono le milestones raggiunte attraverso lo sviluppo del pensiero scientifico (intento a definire i principi che sottendono al trasferimento di caratteri, e quindi il trasferimento dell’ereditarietà), abbiamo iniziato a parlare delle caratteristiche delle cellule. Ci siamo soffermati sul fatto che le cellule ciclano e dividono e, in fase S, avviene qualcosa per noi rilevante, che è la sintesi del DNA. Abbiamo dato alcune terminologie, ad esempio genoma, gene, gene codificante per proteine, gene codificante per RNA regolatori. La prof ha presentato uno schema che ci come è organizzato il genoma umano e quanto c’è ancora da comprendere su molto DNA che non codifica per un gene, le cui funzioni non sempre sono note. Abbiamo quindi iniziato a parlare della struttura del DNA e ovviamente iniziamo ora a descrivere i nucleotidi. È necessario sapere cos’è un nucleotide, conoscere la struttura delle 4 basi azotate e dell’uracile, che rimpiazza la timina nell’RNA. Inoltre è necessario sapere come fosfato, ribosio/desossiribosio e la base sono collegate l’uno all’altro, conoscendo anche il tipo di legami che li legano. Abbiamo iniziato a capire perché esiste un tipo di legame che unisce un nucleotide all’altro e che questo è un legame fosfodiesterico, con una direzione polarizzata da 5’ a 3’. Tutti gli enzimi di replicazione del DNA, o più in generale di sintesi di un filamento polinucleotidico (quindi le DNA polimerasi e le RNA polimerasi), svolgono il proprio lavoro dalla direzione 5’ alla 3’. Quindi per definizione il 5’ è l’inizio del filamento e il 3’ è la fine. In 5’ vi è un gruppo ossidrile o un fosfato e in 3’ vi è invariabilmente un ossidrile. L’ossidrile in 3’ è importante perché rappresenta l’aggancio o il gruppo funzionale che consente l’aggancio di altri nucleotidi. Durante la replicazione il materiale di costruzione sono sempre i nucleotidi trifosfato, perché abbiamo bisogno di energia per rendere il processo un processo energeticamente favorevole. L’energia di condensazione di un nucleotide sulla catena polinucleotidica in formazione deriva dalla reazione accoppiata dell’idrolisi del pirofosfato, che risulta essere il gruppo uscente nella reazione di condensazione. Questo è il summary di tutto quello che ci siamo detti finora. CARATTERISTICHE FISICO-CHIMICHE DELLE BASI AZOTATE Le basi azotate sono composti eterociclici, monociclici o biciclici, quindi pirimidine o purine. Hanno delle caratteristiche 9 fisico-chimiche comuni tra di loro, come ad esempio il fatto di essere idrofobi e planari. Un’altra cosa è che se si osserva la loro struttura, si nota la presenza di molti doppi legami alternati, questo significa che nella loro formula di struttura un doppio legame segue un legame singolo ed è seguito ancora da un doppio legame. Questa caratteristica conferisce proprietà particolari di interazione con la luce. La luce è uno spettro elettromagnetico costituito da varie componenti e le molecole interagiscono con la luce, assorbendo porzioni dello spettro. L’alternanza dei doppi legami nelle basi azotate consente loro di assorbire una lunghezza d’onda specifica dello spettro UV visibile, ed è quella a 260nm. È una lunghezza d’onda specifica, una per tutte e 4/5 le basi azotate e di conseguenza anche il DNA assorbe la luce a questa lunghezza d’onda, essendo fatto di nucleotidi. Questa caratteristica di interagire con la luce, rende il DNA visibile, non all’occhio nudo, ma ad alcuni strumenti, ovvero gli spettrofotometri. Una soluzione di DNA, che a differenza delle basi idrofobiche è in grado di andare in soluzione grazie alla presenza di molecole ionizzate e non ionizzate, appare completamente trasparente. Utilizzando lo spettrofotometro, uno strumento in grado di misurare l’assorbimento della luce ad una certa lunghezza d’onda, e valutando l’assorbimento esattamente a 260nm, attraverso una legge fisica che è la legge di Lambert e Beer, si possono mettere in relazione la luce assorbita con la concentrazione della molecola in soluzione. Tutte le basi azotate assorbono la luce a 260nm, ma comunque non ci si può aspettare di avere picchi tutti uguali. Le curve comunque hanno tutte una buona curvatura con un massimo a 260. Quello che cambia quindi è il fatto che i nucleotidi possono avere coefficienti di estinzione diversi, ovvero dicono quanta luce viene assorbita, quindi con quanta efficienza. [LA PROF ACCENNA ANCHE CHE SPESSO METTE DOMANDE RELATIVE ALLE PROPRIETA CHIMICO FISICHE DEI NUCLEOTIDI O DEL DNA] DNA COME MATERIALE GENETICO Fino ad adesso abbiamo capito che il DNA è una catena polimerica o polinucleotidica, nella quale si alternano solo 4 nucleotidi, che si differenziano per una base azotata e creano un legame fosfodiesterico che aggancia i vari zuccheri. A prima vista questa molecola è poco interessante, poiché è molto ripetitiva. Considerando che invece la vita è estremamente diversificata, avere il pensiero che il DNA contribuisca in modo così determinante alla diversità biologica che osserviamo non è un passo facile da fare. A questo passo si arriva attraverso vari esperimenti che si sono susseguiti nel tempo, portati avanti da scienziati diversi. Il primo di questi esperimenti, che costruiscono un pensiero che proverà il fatto che il DNA è il depositario dell’informazione genetica, è del 1928 ed è l’esperimento di Griffith. Il secondo costituito e costruito secondo il disegno sperimentale di Griffith, ma con miglioramenti tecnologici e sperimentali, è quello del 1944 di Avery, McLeod e McCarty. L’ultimo è l’elegante esperimento, eseguito con fagi, di Hershey e Chase, del 1952. L’esperimento di Griffith L’esperimento pioneristico del 1928 di Griffith utilizza come modello sperimentale ceppi di batteri diversi. Questi ceppi si differenziavano per il fatto di essere o non essere virulenti, quindi per il fatto di essere portatori di una patologia, che era la polmonite. Il ceppo batterico virulento era in grado di indurre polmonite, se inoculato in un topo,, non virulento, non era in grado di indurre la malattia. Fortunatamente questi due ceppi, patogenico e non patogenico, potevano essere osservati al microscopio e differenziati attraverso una semplice analisi microscopica perché avevano una capsula, presente o assente, che rendeva le colonie derivate da questi batteri differenziabili nell’aspetto con una semplice analisi visiva. Quindi se si inocula il 10 batterio virulento, il topolino dopo un po’ sviluppa certi sintomi della polmonite (es. mal respirazione) e muore. Il batterio non virulento invece non induce nessun tipo di sintomo e il topo continua a vivere. Se si inattivano al calore i batteri virulenti e si inoculano nel topo, si perde la virulenza, è come una sterilizzazione al calore. Tuttavia se i batteri virulenti vengono inattivati, cioè uccisi al calore, e le loro cellule morte vengono messe nella coltura cellulare di quelle non virulente e sono lasciate in contatto con queste per un po’ di tempo, le cellule non virulente, che potevano essere inoculate nel topo senza dare nessun effetto, inducono ora i sintomi della malattia e il topo va incontro alla morte. Griffith ipotizzò che ci doveva essere un principio trasformante, ovvero un qualcosa di trasferibile dai ceppi virulenti a quelli non virulenti che sopravviveva alle cellule ed era termoresistente. In seguito ad una necroscopia degli animali morti, dopo aver ricevuto l’inoculazione di batteri non virulenti che erano stati a contatto con i virulenti, trovò nei polmoni un’infezione di cellule che morfologicamente riapparivano come virulente. Per questo motivo lo chiamò principio trasformante, poiché questo qualcosa che si era trasmesso dalle virulente alle non virulente, non solo aveva indotto la malattia, ma aveva anche dato quella caratteristica fenotipica alle cellule che era tipica delle virulente. Griffith non poteva ancora affermare che questo principio trasformante fosse il DNA, lo poteva solo ipotizzare. Infatti i risultati sperimentalmente non sono sufficienti ad escludere che il principio trasformante possa essere ad esempio un particolare lipide, un particolare carboidrato, una proteina, un RNA. Quindi si passa all’esperimento del 1944 di Avery, McLeod e McCarty. L’esperimento di Avery, McLeod e McCarty L’ipotesi era che, basandosi anche su una serie di intuizioni, nonché sulla stessa intuizione di Griffith, dovesse essere un acido nucleico. Ma era necessario dimostrare che non fosse una proteina, una frazione lipidica, eccetera. Era necessario avere un disegno sperimentale pulito, non bastava avere sospensioni cellulari nude e crude. Quindi gli studiosi purificarono la sospensione cellulare che aveva studiato Griffith. Questo significa che una volta che il batterio non virulento era stato a contatto con il virulento attivato al calore e si era ottenuta questa sospensione cellulare in grado di indurre la polmonite nei topi, questa fu privata della frazione lipidica, con un primo frazionamento, successivamente privata dei carboidrati e in seguito fu aliquotata in 3 provette. A queste 3 provette si aggiunse un enzima specifico: rispettivamente la proteinasi, DNAasi e RNAasi. Questi sono tutti enzimi di degradazione, molto specifici, in grado di degradare efficientemente e selettivamente solo le proteine, DNA o RNA. Quindi, una volta eseguito questo trattamento, queste tre sospensioni sono inoculate nel topo e ne si osserva l’effetto. Si nota che nella sospensione trattata con RNAasi, i topi sviluppano la polmonite, e così avviene anche nei topi trattati con la proteinasi. Invece nei topi trattati con la DNAasi, essi non sviluppano la polmonite. La conclusione è quindi che solo il DNA è in grado di conferire la trasformazione che porta alla patogenicità. Il DNA è perciò il materiale di supporto dell’informazione genetica, poiché nel momento in cui viene a mancare il batterio non è più in grado di produrre il fenotipo virulento. L’esperimento di Hershey e Chase Questo esperimento del 1952-53 è quello che ci porta fuori dal caso specifico della polmonite indotta dal batterio e si sposta su un concetto generale. L’esperimento indica quali sono le informazioni generali minime per avere replicazione di una certa particella, in questo caso una particella virale. È da specificare che l’utilizzo sperimentale dei virus è una cosa nuova, quindi Hershey e Chase arrivano con un disegno sperimentale completamente diverso anche grazie al fatto di poter manipolare dei fagi. I fagi sono dei virus particolarmente semplici, 11 costituiti da proteine e acido nucleico. Perciò abbiamo un sistema pulito, che permetterà di stabilire se il fago, quando infetta la cellula ospite, ha bisogno di proteine o DNA. A questo quesito si risponde con un modello sperimentale particolarmente felice, poiché non c’è tanto altro nel virus: ha una testa fatta da un capside formato da proteine del capside (envelope) che avvolge il materiale genetico all’interno. Vi è poi un collo, un elemento di congiunzione ed infine delle fibre che permettono l’ancoraggio del virus alla cellula che deve essere infettata. Il virus è quindi è costituito interamente da proteine, ad eccezione dell’acido nucleico all’interno del capside. In particolare nell’immagine è mostrato un fago T2. Il virus arriva, va sul batterio, si aggancia con le sue fibre alla membrana e crea un canale attraverso il quale inocula il proprio materiale genetico. La domanda è: inocula solo DNA o anche componenti proteici all’interno del batterio infettato? Per rispondere a questa domanda gli scienziati generarono dei fagi modificati in due modi. 1. Marcatura del fago T2 con P32 (fosforo 32) = marcatura sul fosfato, un elemento che non troviamo né negli amminoacidi, né nelle proteine, ma che troviamo nel DNA. Perciò con questo isotopo stiamo marcando il DNA. 2. Marcatura del fago T2 con S35 (zolfo 35) = marcatura delle proteine, che contengono infatti amminoacidi solforati. Basta quindi introdurre nelle proteine amminoacidi solforati contenente zolfo 35 al posto di quello normale (zolfo 32) per avere la marcatura dell’intera proteina. Marcare significa introdurre un elemento che mi consente in seguito di eseguire un tracciamento. In questo caso si è marcato con radioisotopi. Successivamente svolsero due infezioni differenziali, una con fagi marcati sul fosfato (quindi il DNA), una con i fagi marcati sullo zolfo (quindi le proteine). I fagi marcati quindi individuato un batterio subito lo infettarono, replicando sé stessi. Questo esperimento è anche chiamato “Esperimento del Waring Blender”, letteralmente esperimento del “frullatore”, poiché una volta avvenuta l’infezione (gli studiosi ne conoscevano la durata), misero la sospensione di fagi in un frullatore, che attraverso la sua agitazione vorticosa staccò la parte dei fagi rimasta fuori dal batterio (ghost), da quella che invece era entrata durante l’infezione. Una volta fatto questo la sospensione cellulare fu sottoposta a centrifugazione, andando a imporre una forza che permette di separare componenti di campione sulla base del loro peso. Sul fondo della provetta rimangono solitamente le componenti più pesanti, in questo caso le cellule contenti tutto il DNA. Furono quindi poi separate le cellule infettate, segregate sul fondo della provetta, da tutto il surnatante, e si andò a ricercare la radioattività. Si vide che solo le cellule contenevano la radioattività legata al fosfato, quindi al DNA. Il surnatante invece conteneva tutta la radioattività dello zolfo. La conclusione fu che le proteine rimangono fuori dalle cellule al momento dell’infezione e non sono richieste per replicare i virus. Per questo la replicazione virale si basa su un solo componente cellulare che è la componente di acido nucleico. Struttura tridimensionale del DNA Tutti questi esperimenti creano un comuna interesse verso una molecola che era stata abbandonata in precedenza. La 12 molecola di DNA altamente ripetitiva costituita da solo 4 basi azotate che costituiscono i nucleotidi è quindi il depositario dell’informazione genetica. Si apre allora tutta la ricerca per capire davvero com’è fatto il DNA, poiché le conoscenze ottenute fino ad allora (nucleotidi, acido nucleico e catena polinucleotidica) erano davvero ancora basiche. Era necessario capire qual era l’organizzazione nello spazio della molecola di DNA. Questi studi furono affrontati principalmente attraverso la tecnica di cristallizzazione di fibre di DNA e studi di cristallografia a raggi X di queste fibre purificate di DNA. Era quello che fecero Wilkins e Franklin nel 1953, quest’ultima ottenne la prima fotografia a raggi X dello spettro di diffrazione di una fibra di DNA. Pur non essendo un cristallografo, a nessuno può sfuggire la simmetria di quest’immagine: è un’immagine a croce, dove vi è un centro e quattro bracci dove vi sono delle spaziature chiaro-scuro alternate con un distanziamento costante. Poi vi è un bandeggio grosso sopra, un bandeggio grosso sotto e si riescono a generare zone geometriche, come se vi fosse una struttura a diamante. Infatti si percepisce l’immagine di due rombi lateralmente e due triangoli sopra e sotto. Queste strutture geometriche servono per orientare il calcolo delle distanze e la disposizione fra gli atomi. Nonostante la Franklin ci lavorò tantissimo, non arrivò a interpretare correttamente quell’immagine. Questo poiché essa fu colta immediatamente come un’elica, ma l’elica allora più famosa era l’Alpha elica delle proteine, e si quindi voleva ricondurre l’immagine proprio a quella geometria. Uscirono da questa costrizione mentale Watson e Crick, che riuscirono a capire che non si trattava di un Alpha elica, ma di una doppia elica e furono aiutati in questa intuizione da altre esperienze precedenti. Ad esempio l’esperienza di Chargaff fu illuminante perché suggerì l’esistenza di rapporti invarianti di Chargaff’s Rules: A=T and G=C adenina-timina e guanina-citosina in qualunque DN. A. purines = pyrimidines Ogni DNA ha una sua composizione diversa, ma A=T e G=C, ovvero le purine eguagliano in quantità le pirimidine, in qualsiasi tipo di DNA. Siccome era nota la caratteristica delle basi in soluzione di equilibrio tautomerico, che Watson e Crick tennero in considerazione nell’immaginare la doppia elica, loro sapevano che le basi introdotte in ambiente acquoso esistono in due tautomeri, che stanno in equilibrio tra di loro. Due tautomeri sono 21 due molecole che hanno la stessa composizione elementare, cioè gli stessi atomi, ma essi sono arrangiati in maniera diversa. Ad esempio la citosina è in equilibrio tautomerico ammino-immino, ciò vuol dire che un idrogeno può staccarsi e andare ad attacarsi in un altro punto, generando la conversione di un residuo amminico in un residuo imminico. L’equilibrio non è un equilibrio 50-50, c’è una forma preferita, ovvero quella di sinistra (infatti la freccia che porta verso sinistra è più marcata). Questo vuol dire che la citosina quando si trova in soluzione è prevalentemente in forma ammino. L’altro tipo di tautomeria la fa ad esempio la guanina, essa è di tipo cheto-enolica, ciò vuol dire che, anche in questo caso, un idrogeno può rompere un legame (in questo caso con l’azoto) ed andarsi ad agganciare all’ossigeno. Un gruppo cheto è quindi convertito in un enolo, cioè un alcol. 13 Anche in questo caso l’equilibrio è spostato a sinistra, cioè la forma cheto è favorita. Perché gli atomi si muovono e abbiamo due equilibri e forme tautomeriche e che cosa implicano queste? Non dobbiamo vedere l’azoto, l’ossigeno, il protone, come semplici atomi che si attaccano e si staccano, ma li dobbiamo valutare anche sulla base della loro elettronegatività e sulla loro capacità di condividere elettroni con un'altra molecola quando si formano dei legami. In pratica queste freccette rosse e verdi ci dicono che alcuni gruppi sono buoni accettori o buoni donatori di legami a idrogeno. Quindi avere per la citosina una forma prevalentemente ammino, e lo stesso per l’adenina, e avere una forma prevalentemente cheto della guanina, e così per la timina, cristallizzò nella mente di Watson e Crick le basi nella forma tautomerica preferita, andando quindi a stabilire che sulla superficie delle molecole c’erano dei buoni donatori o buoni accettori di legami a idrogeno. Quindi con un metodo reiterativo, ovvero eseguendo tanti tentativi (ci provo, fallisco, torno indietro e ci riprovo) e munendosi di bastoncini e sferette, riuscirono a elaborare il modello della doppia elica del DNA, con la quale era possibile risolvere e dare un significato alle distanze misurate sulla cristallografia a raggi X. A questo punto fu definito il passo dell’elica (1/P è 1/passo), ovvero una distanza di rotazione completa, fu definita l’altezza tra le basi impilate, l’angolo di inclinazione tra esse e tante altre dimensioni. Lo specifico appaiamento delle basi, cioè la complementarietà che abbiamo postulato suggerisce un possibile meccanismo di copia del materiale genetico. Cioè il DNA funge esso stesso da stampo nel processo di replicazione. Quindi Watson e Crick oltre ad aver trovato la vera struttura del DNA hanno provato a capire quale fosse il meccanismo replicativo. A pochissimi anni dalla pubblicazione della struttura del DNA, si intensificano gli studi sulla replicazione e si arriva al meccanismo semiconservativo della replicazione del DNA, dove ognuno dei filamenti funge da stampo per la replicazione del complementare. ALTRI MODELLI DI STRUTTURA DEL DNA Un altro modello di struttura del DNA proposto da Pauling è la tripla elica, anche se la sua proposta non ebbe successo. Infatti, per poter tenere insieme tre eliche ponendo al centro la struttura tetraedrica del fosfato con le basi sporgenti verso l’esterno (in ambiente acquoso) si otteneva una molecola instabile. Questa struttura poteva spiegare alcune misure evidenti dalla cristallografia, era compatibile, ma non spiegava la stabilità della molecola in soluzione. I fosfati sono carichi negativamente, le basi azotate hanno nuvole di elettroni, sono superfici piane e apolari e possono dare luogo a interazioni dipolo-dipolo, ma non tendono a stare a contatto con l’acqua (sono lipofile): la repulsione delle cariche negative del fosfato al centro è immediata e non supporta un bilancio di forze che dovrebbe essere invece stabilizzante della struttura. Queste caratteristiche chimiche non permettono alla struttura a tripla elica di stare in soluzione acquosa. APPAIAMENTO DELLE BASI O COMPLEMENTARIETÀ DELLE BASI 14 Gli appaiamenti Watson e Crick derivano dal fotto che basandosi sulla forma tautomerica preferita delle basi, Watson e Crick cercarono le forze che potevano stabilizzare la doppia elica in soluzione. Quindi proposero questo modello nel quale: Lo zucchero e il fosfato rivolti verso l’esterno; Le basi azotato rivolte verso l’interno. Tenendo in mente i rapporti invarianti di Chargraff videro che se sullo stesso piano venivano disposti adenina (A) e timina (T), nella loro forma tautomerica preferita, alcuni atomi sostituenti degli anelli, venivano a trovarsi in relazione di complementarietà con gli atomi dell’altra base. Questa complementarietà non era solo in termini geometrici, ma anche sulla base di quello che è il legame a idrogeno (H). Il legame a H è una tipologia di legame debole. I legami deboli si basano tutti sulla complementarietà delle molecole. Il caso del legame debole ad H è ancora più facile capire questo concetto perché dobbiamo avere un donatore di legame a H e un accettore che complementi il legame. Ad esempio T e A già sono su un piano e possono essere orientate in modo che il carbonile in 4 della timina sia l’accettore di un protone che proviene dal gruppo amminico sostituente in 6 dell’adenina. Senza distorcere niente si forma un altro legame ad idrogeno sullo stesso piano. Possiamo fare la stessa cosa con C e G. Disposti sul piano: T -- A 2 legami H C -- G 3 legami H Considerando la timina nella sua forma cheto e l’adenina nella forma ammino e disponendo queste basi, che hanno una caratteristica planare, orientate in un certo modo, si ottiene una distanza che favorisce la formazione di due legami a idrogeno. Facendo la stessa cosa con guanina in forma cheto e citosina in forma ammino e la distanza tra gli atomi di carbonio 1 è uguale, si ottengono le condizioni per ottenere tre legami a idrogeno. E stanno sullo stesso piano, viene ad essere invariante la distanza con il carbonio 1’ degli zuccheri di questi nucleotidi, cioè la distanza tra lo zucchero dell’adenina e lo zucchero della timina (che si trovano su filamenti opposti) distano poco più di 10 Å ed è esattamente la stessa distanza fra gli zuccheri misurata sul C 1’ (il carbonio dove si attacca la base dello zucchero) è sempre 10,85 se cambiamo coppia di basi e prendiamo G e C. Questo risulta molto importante perché se dobbiamo relazionare due filamenti (che hanno composizione complementare nelle basi) e organizzarli nello spazio, è importante che non ci sia distorsione perché nella cristallografia ai raggi X non era stata rilevata alcun tipo di distorsione, anzi era stata rilevata una molecola molto ripetitiva, costante e simmetrica. Cosa succede se vogliamo mettere sullo stesso piano adenina e citosina? Se vogliamo mettere sullo stesso piano Adenina e Citosina non riusciamo a formare legami complementari, non abbiamo gruppi complementari che possano fornire o donare il legame a idrogeno. Sono solo le basi G con C e T con A che possono dare legami a H? No, possono esserci altri appaiamenti complementari secondo schemi diversi da Watson e Crick come G – T e G – U, quando si formano danno luogo a mismacth che potrebbero portare a problemi nelle replicazione successiva perchè predispongono alle mutazioni. Per questo sono presenti dei sistemi molto efficienti di riconoscimenti di questi mismatch che permettono di evitare e rimuovere gli appaiamenti incorretti. 15 DISPOSIZIONE, ROTAZIONE e DIMENSIONI Come si dispongono i due filamenti uno rispetto all’altro oltre alla complementarietà? Innanzitutto i due filamenti devono avere un orientamento antiparallelo, e per comprendere questo comportamento bisogna rifarsi al concetto di “polarità degli estremi” se un filamento corre in direzione 5 3, l’altro dovrà correre in direzione 3 5. I due filamenti sono complementari per sequenza e antiparalleli per polarità. Le basi si appaiano, sui piani, grazie alla formazione dei legami H e ruotano una sull’altra. Tenendo presente un asse immaginario centrale di rotazione che passa per il centro dei due filamenti sviluppato lungo l’asse verticale o asse Z, l’avvolgimento del DNA è destrorso. La distanza tra le coppie di basi è costante, così come è costante l’angolo di rotazione fra coppie di basi successive e considerando che il passo dell’elica poteva essere definito dalla cristallografia e considerando che poteva essere definita la distanza tra le basi, si capì che, nella rotazione, le basi ruotano uno rispetto all’altro di 36 gradi dell’angolo giro. Se noi guardassimo dall’alto una molecola taglia ta perpendicolarmente sull’asse Z vedremmo esattamente: Tutte le coppie di basi ruotate verso l’interno; Tutti i residui zucchero-fosfato rivolti verso all’esterno. Questa rotazione di 36 gradi dell’angolo giro di una coppia di basi sull’altra cosa ci dice? Se io devo fare un giro completo quante basi devo impilare? 10, in effetti nella struttura w e c il giro completo di elica si ottiene impilando 10 basi distanziate tra loro di 3,4 Å. VERSO DI ROTAZIONE DEL DNA Il verso di rotazione di avvolgimento dell’elica descritto da Watson e Crick è destrorso. La regola della mano destra ci dice che ponendo davanti a me la mano destro con il pollice verso l’alto e chiudendo le dita verso il palmo otteniamo la direzione di avvolgimento del DNA. Nell’avvolgersi un filamento sull’altro, con direzione antiparallela con rotazione destrorsa sull’asse z di 36 gradi per ogni coppia di basi si formano due solchi asimmetrici. Cosa sono i solchi? I solchi sono quelle parti del DNA che stanno tra le “creste” e le creste sono le sporgenze dei gruppi zucchero-fosfato, sono situati esternamente e svolgono una funzione di stabilizzazione della struttura. Dalla rotazione di un filamento sull’altro si formano due solchi dovuti a distanze, cioè avvallamenti che lasciano le basi verso l’interno e lo zucchero con il fosfato verso l’esterno. La motivazione della formazione di due solchi diversi, uno maggiore e uno minore appunto, sta nell’angolo che lo zucchero e il fosfato formano rispetto alla coppia di basi impilate. Il legame verso lo zucchero ha una direzione e l’angolo giro viene frazionato in due porzioni: - una più grande (ottusa) - una più piccola (acuta). Quindi per via dell’angolo formato tra lo zucchero e la base si genera un angolo acuto e uno ottuso che sviluppati nello spazio per avvolgimento delle basi, formeranno un solco maggiore corrispondente allo spazio maggiore (cioè l’angolo ottuso) e uno più piccolo che corrisponde all’angolo acuto. Solco maggiore e minore nel complesso danno il passo dell’elica. Le basi, quindi, non sono semplicemente impilate ma sono impilate e ruotate di 36°. Solco maggiore e solco minore danno il passo dell’elica e hanno un significato importante nella molecola del DNA. Il DNA interagisce con tante molecole per andare incontro a diversi processi come la duplicazione o la trascrizione. Le interazioni possono essere DNA - proteina o proteina - proteina e possono essere a sequenza specifica o meno. La maggior parte delle proteine che interagiscono con i solchi del DNA interagiscono direttamente con le basi, perchè nei solchi vi sono le basi che sporgono. In particolare, le proteine che riconoscono in maniera più specifica le sequenze di DNA interagiscono per lo più con il solco maggiore. La proteina, attraverso l’interazione con il solco maggiore è in grado di capire quali sono le basi azotate rivolte verso l’interno della struttura, questo succede perchè nel solco le basi protendono, più precisamente la parte sporgente sono dei gruppi funzionali, i quali identificano le basi come delle “firme”. 16 Domanda prof: Chi è che postula il principio di complementarietà? Chargaff è sbagliato, perché furono Watson e Crick. Perché complementarietà significa tutto lo studio della complementarietà dei residui delle basi che è una complementarietà geometrica e la capacità di ricevere e donare legami a idrogeno e questo non è oggetto dello studio di Chargaff, il vero concetto di complementarietà è stato introdotto da Watson e Crick. Nel caso di guanina-citosina, nel solco maggiore sporge la firma AADH (che significa Accettore - Accettore - Donatore - (H)idrogeno, cioè i gruppi funzionali che sporgono nel solco maggiore). Nel solco minore ci sarà la firma ADA (Accettore – Donatore - Accettore). Invertendo la stessa coppia, in citosina- guanina si ottiene HDAA sul solco maggiore e sul solco minore di nuovo ADA. Quindi nel solco maggiore si può non solo distinguere la coppia guanina-citosina (la firma della coppia A-T è ADAM, dove M è il metile), ma anche capire se la guanina si trova sul filamento orientato 3’→5’ o sull’altro. Questo è possibile solo nel solco maggiore, per entrambe le coppie di basi. Il motivo per cui la maggior parte delle proteine, che hanno la necessità di distinguere la sequenza delle basi con le quali stanno interagendo, legano il DNA nel solco maggiore è che nel solco maggiore c’è una firma univoca delle basi. Il solco minore permette di distinguere nelle basi una coppia G-C da una A-T ma non permette di capire su quale filamento sono poste le basi. Queste regole sono sempre valide? No, ammettono delle eccezioni. Tra le diverse eccezioni spicca quella della TATA box. La TATA è un elemento conservato ripetuto dei promotori dei geni e con essa interagisce l’RNA polimerasi, è il complesso che si forma per dare inizio alla trascrizione. La TATA box è legata da una proteina che si chiama “tata box binding protein” e questa interazione avviene a livello del solco minore. FORMA e DENATURAZIONE DNA Fino ad ora sono state approfondite le caratteristiche del DNA tramite le scoperte di Watson e Crick ora andremo ad approfondire ulteriormente le caratteristiche: Le forme che possono essere postulate sono la FORMA: A, B, Z La forma B è una forma che è stata verificata strumentalmente, e corrisponde al 90% a quella di Watson e Crick. Questa è la forma che si trova veramente nelle cellule o meglio la forma nella quale il DNA si trova maggiormente rappresentato perché è la forma più stabile nella maggioranza delle condizioni fisiologiche cioè: ambiente acquoso, pH 7, concentrazione salina compatibile con quella della cellula. Ma queste strutture possono essere flessibili perché se noi andiamo ad aumentare la forza ionica della soluzione o andiamo a disidratare la soluzione con sali o alcoli, il DNA tende a cambiare la sua conformazione e tende ad assumere un’altra forma: la forma A. La forma A rimane un elica destrogira, ma ha un diametro aumentato e una forma piu’ compatta. Tabella parametri Il diametro passa da 20 a 26 Å nella forma A Le coppie di basi per ogni giro di elica diventano 11. Nella forma B il giro non è esattamente 10 ma 10,5. La distanza sull’asse verticale di una coppia di basi passa da 3 ,4 Å a 2,6 Å. 17 La forma Z è molto rara, ma presente in natura. È una forma in cui il DNA viene costretto dalla presenza di lunghi tratti di alternanza purina – pirimidina (GCGCGC..) questa alternanza ripetuta per via delle caratteristiche fra la base e lo zucchero quando ci sono questi due nucleotidi alternati provoca una forma a zig-zag della linea zucchero-fosfato. Forma Z a causa dell’andamento a zig-zag. La forma Z si trova in tratti di elevata ripetizione (purina - pirimidina) La forma A non si trova in natura ma è quella che generiamo con manipolazioni di FORMA a Z laboratorio quando andiamo ad aumentare la forza ionica del tampone o andiamo a generare un parziale di disidratazione. [La prof premette che questa parte non è più nel programma d’esame, infatti viene trattata molto velocemente e superficialmente] Approfondimento formazione zig-zag: lo zucchero ha una sua conformazione a sedia, e può avere la conformazione del C 3’ endo o del C2’ endo. La sedia se la deve immaginare con il C2 o C3 verso l’alto, se si ha una guanina ottenimo una forma, se si ha una citosina otterremmo un ‘altra forma, così è l’angolo del legame glicosidico con la base, se si mette una ripetuta rispetto all’altra oscilla sempre tra C2 endo su C3 endo costringendo l’angolo di rotazione con lo zucchero e quindi le crea questa distorsione zig zag dei legami zucchero fosfato. (le ripetizioni di purine – pirimidine alternate sono responsabili del passaggio da forma B a forma Z) Dove sono le purine e pirimidina alternate? Spesso tratti molto lunghi di G e C, dette anche “G C island”, si trovano nei promotori e sono elementi di regolazione della trascrizione di un gene. Quindi questa conformazione Z la troviamo nei promotori e può condizionare il livello di espressione di un gene. L’elica Z non è destrorsa è levogira, ha un diametro più piccolo e ha 12 nucleotidi per giro d’elica. Come può il DNA cambiare la direzione del giro? Passare da destrorsa a levogira è un cambiamento più frequente di quanto sembra. In figura vediamo un filamento di DNA con un’alternanza di DNA B – DNA Z – DNA B (questa possiamo immaginarla come la sequenza di un genoma). La prof si chiede:” cosa deduciamo da questa immagine?” procede: 1. Il DNA è molto ordinato nella sua forma ma non è una struttura rigida è flessibile 2. In riferimento all’alternanza Z – B, facendo semplicemente il flip-out di un paio di basi, cioè la rotazione di due basi dall’interno dell’elica all’esterno, semplicemente estrudendo una timina e un’adenina riusciamo a fare questo “switch” da forma B a forma Z in modo piuttosto semplice. In breve costringere la posizione di un paio di basi fuori si può arriva ad un avvolgimento diverso. Questo conferma che il DNA non è una struttura rigida, bensì ̀ dinamica. È importante ricordare che per gli studi condotti sulla struttura del DNA, nel 1962 fu assegnato il premio nobel a tre scienziati: Watson, Crick e Wilkins, in particolare questʼultimo lavorava con Rosalin Franklin. Wilkins era il socio di Rosalin Frenklin fino a che Franklin non va a lavorare ad un’altra parte e quinid è Wilkins che passa le info delle immagini scattate dalla Franklin a Watson e Crick. L’immagine fu fondamentale per Watson e Crick permise di confrontare le misure. Ancora oggi viene considerata la miglior foto del DNA. PROPRIETA’ FISICHE DEL DNA 18 La formazione di legami a H fra basi complementari stabilizza la doppia elica, sebbene il legame a H sia un legame debole la somma di tutti i legami H che si possono venire a formare è sufficiente per stabilizzare l’elica. La formazione dell’elica è un processo reversibile quando due filamenti complementari si appaiano , se noi forniamo lentamente calore possiamo denaturare il filamento. Denaturare significa aprire i legami a H, significa fornire sufficiente energia per rendere stabile la separazione di quei filamenti, rompendo il legame H. Non è un processo che avviene tutto insieme, è un processo che avviene gradualmente; si iniziano a separare i nucleotidi soprattutto alle estremità poi da qualche altra parte e poi si apre. Quindi si passa attraverso uno stato intermedio dove il DNA è parzialmente denaturato. Denaturando il DNA lo portiamo a singolo filamento, questa rappresenta una delle tecniche di manipolazione del DNA ed è alla base di tante altre tecniche come la PCR (attività replicativa a catena della polimerasi) che procede con i filamenti singoli appunto prodotti tramite denaturazione. È importante conoscere i principi della denaturazione e rinaturazione del DNA e sapere che sono, in determinate condizione, reversibili. La formazione di H fra basi complementare è il lento abbassamento della temperatura, sottraendo calore al sistema. Passeremo prima in una condizione intermedia dove il DNA è parzialmente avvolto e parzialmente separato e infine alla completa rinaturazione. [Questo ultimo paragrafo verrà ripreso più chiaramente nella prossima lezione] TOPOLOGIA DEL DNA E GRADI DI SUPERAVVOLGIMENTO DELLA CROMATINA La prof.ssa introduce la lezione partendo da un riassunto della lezione precedente in particolare soffermandosi e ribadendo la differenza principale tra le strutture del DNA formulate da Watson e Crick e da Linus Pauling. Con questa lezione viene conclusa la trattazione della topologia del DNA, nello specifico vengono analizzati: la temperatura di melting e lo shift ipercromico, altre forme di DNA e il concetto di linking number. Watson e Crick proposero una struttura a doppia elica del DNA, la quale risulterà sperimentalmente corretta con studi successivi, mentre Linus Pauling ne suggerì una a tripla elica. La differenza principale tra questi due modelli è che con la struttura dei primi si arrivò a stabilizzare il DNA in una soluzione acquosa: nella doppia elica, infatti, si minimizzano le forze repulsive e si massimizzano le interazioni tra DNA e solvente. Questo è spiegato dal fatto che tutto ciò che è idrofobo, ossia le basi azotate, sono impilate le une sulle altre all’interno, lontane dall’ambiente acquoso (ricordiamo che le basi azotate hanno un angolo di rotazione, detto twist, di 36° l’una sull’altra rispetto ad un asse centrale immaginario sul quale due filamenti antiparalleli e complementari si avvolgono con andamento destrogiro), mentre i fosfati idrofili sono esposti all’ambiente acquoso cellulare. Nella struttura di Pauling, invece, le tre eliche presentano il fosfato stabilizzato all’interno e le basi azotate esposte all’esterno, questo genera molte forze repulsive con il solvente acquoso: termodinamicamente la struttura di Pauling non è corretta. Sono state citate in precedenza anche alcune proprietà delle basi azotate come la capacità di assorbire la luce ad una determinata lunghezza d’onda: tutte le basi assorbono la luce a 260nm e così anche il filamento polinucleotidico. Questa proprietà ci permette di misurare la concentrazione del DNA utilizzando una tecnica detta rilevazione spettrofotometrica. Si è poi parlato della denaturazione del DNA dove per “denaturazione” si intende l’apertura della doppia elica. Il DNA in forma nativa in soluzione assume la struttura che gli permette di essere massimamente stabilizzato, ossia quella in forma B: costituita da 10,5 nucleotidi per giro d’elica, destrogira, con circa 3,6 Angstrom di distanza verticale (detta Z- stack) tra le basi impilate, struttura che di poco si discosta da quella teorizzata da Watson e Crick. La struttura del DNA non è estremamente rigida come si potrebbe pensare, sono infatti ammissibili alcuni movimenti oltre alla rotazione del Twist: le basi, per esempio, non sono perfettamente sullo stesso piano, ma possono ruotare l’una rispetto all’altra, inoltre il DNA può piegarsi e addirittura assumere forme più stabilizzanti in certe condizioni: forma A in una condizione di deidratazione (forma che si trova in laboratorio della quale aveva già avuto sentore Rosalind Franklin) forma Z del DNA, levogira, una struttura che si trova in natura in quanto condizionata dall’alta ripetizione della sequenza G-C. 19 (La prof.ssa precisa che anche con le ripetizioni A-T si possono ottenere piccole variazioni della struttura del DNA che consistono in una piegatura o curvatura nei tratti in cui queste ripetizioni A-T abbondano.) In generale è corretto ritenere che sequenze ripetute caratteristiche possano far assumere al DNA dei gradi di variabilità rispetto alla struttura ideale. Il DNA può fondere: con “fondere” si intende il processo tramite cui un solido viene convertito in un liquido per somministrazione di energia (calore) fino al raggiungimento di una temperatura di fusione. Nel caso del DNA la fusione non porta al passaggio della molecola da stato solido a liquido, bensì da nativo (DNA con struttura a doppia elica) a denaturato (separazione dei due filamenti costituenti la molecola). La denaturazione, se è graduale, è anche reversibile così come la rinaturazione: raffreddando la soluzione, infatti, i due filamenti precedentemente separati tendono a riunirsi secondo le regole di complementarietà e a riformare la doppia elica. (Fin qui la Prof.ssa ha effettuato un riassunto della lezione precedente specificando alcuni concetti, da qui in poi approfondirà la denaturazione del DNA e alcune caratteristiche della molecola.) La denaturazione è un processo che può essere seguito per mezzo della tecnica di spettrofotometria: se abbiamo una soluzione di DNA e la riscaldiamo, DEFINIZIONE: Per temperatura di melting misurando nel frattempo la variazione (Tm), si intende la temperatura da raggiungere dell’assorbimento della lunghezza d’onda per causare la denaturazione (apertura a 260nm possiamo costruire una curva. tramite rottura dei legami ad idrogeno) al 50% Nell’immagine a fianco è mostrato un grafico (grafico d): di un filamento di DNA sull’asse y si ha la variazione dell’assorbimento a 260nm sull’asse x vi è la variabile indipendente, ossia quella che noi possiamo cambiare: la temperatura. Immaginiamo di analizzare un filamento di DNA di 200 nucleotidi (nt) e di aumentare la temperatura: quest’ultima si alzerà, MA la variazione dell’assorbanza rimarrà minima (plateau 1) fino ad un certo punto in cui si noterà un repentino aumento dell’assorbimento. Questo valore aumenterà fino al raggiungimento di un nuovo plateau (plateau 2) nonostante la temperatura continui ad aumentare. Andiamo quindi a costituire una curva, detta sigmoide, che ha un punto di flesso (identificato come la tangente ad una retta immaginaria parallela all’asse delle y (grafico c)). Prolungando la tangente fino ad intersecare l’asse x individuiamo un punto ben preciso che corrisponde alla temperatura di melting (Tm). Questa costituisce un valore invariante per quello specifico tratto di DNA; infatti, se riprendessimo tale sequenza (200 nt) e ripetessimo l’esperimento, otterremo la stessa curva e la stessa Tm, esclusa l’accettabile variabilità sperimentale (infatti ripetendo un esperimento i risultati ottenuti non sono sempre e necessariamente identici, tuttavia è accettata una certa variabilità sperimentale). TEMPERATURA DI MELTING E SHIFT IPERCROMICO La Tm può essere definita come una temperatura che dipende dalle caratteristiche del DNA che stiamo studiando e che descrive il valore al quale metà della sequenza si trova in stato denaturato e l’altra metà si trova in forma di doppia elica. Abbiamo quindi fornito gradualmente calore fino a raggiungere una temperatura che è servita per separare la metà dei legami ad idrogeno tra le basi che stabilizzano la doppia elica. L’aumento improvviso dell’assorbanza a 260nm (osservato dal grafico precedente) è un processo preciso noto come shift ipercromico, ossia una deviazione ipercromica: questa dipende dal fatto che il DNA in forma nativa (doppia elica) assorbe la luce a 260nm con un certo massimo che aumenta durante la denaturazione (deviazione ipercromica); quando si separano i due filamenti le basi sono libere in quanto non più impegnate nei legami a idrogeno, perciò sono in grado di assorbire molta più luce a quello stesso valore di 260nm causando un aumento del picco di assorbanza. In conclusione, il DNA denaturato avrà un valore di assorbimento massimo più alto alla stessa lunghezza d’onda. Lo shift ipercromico è un valore che va misurato man a mano che si apre la doppia elica. 20 (La prof.ssa specifica che il DNA, i nucleotidi e le basi assorbono ugualmente tutti a 260 nm a causa della proprietà dei doppi legami alternati, ma ciò che cambia è il valore numerico massimo di questo assorbimento: in una doppia elica avremo un massimo misurabile di x, se il DNA viene aperto questo massimo aumenta ad esempio di 10x sempre a 260 nm. Tale aumento o deviazione corrisponde al processo di shift ipercromico.) CURVA SIGMOIDE È la curva da cui ricaviamo la temperatura di melting, descrive e sottende, nei processi biologici, un processo di cooperatività (incontreremo spesso la curva sigmoide, ad esempio nel caso dell’emoglobina nella descrizione del suo legame con l’ossigeno, che nel complesso costituisce un legame cooperativo). La curva sigmoide si costruisce tramite il processo di denaturazione: la separazione dei due filamenti è un processo graduale e osservando la curva si nota che all’inizio la variazione di temperatura non provoca nessuna variazione nell’assorbimento. Tuttavia, ad un certo punto tale fenomeno si verifica improvvisamente (come riferimento osservare il grafico sottostante in cui all’inizio le due temperature sono parallele allo 0 sull’asse delle x e delle y). Questo andamento descrive il fatto che, all’inizio, separare i primi legami delle coppie di base è molto più complesso che procedere una volta che piccoli tratti si sono già aperti, ne deduciamo che l’apertura di un filamento completamente chiuso è all’inizio più complicato, ma man a mano che si apre questo renderà più facile l’apertura dei tratti successivi: si parla quindi di fenomeno cooperativo suggerito dal fatto che, man a mano che il filamento si apre, i tratti già aperti aiutano quelli che si devono ancora aprire. Da cosa dipende la temperatura di melting? Se ho due diversi DNA di cui calcolo le rispettive curve sigmoidi ottengo due diverse Tm: in questo caso Tm1 blu e Tm2 rossa (grafico a fianco); si nota che la seconda risulta più alta della prima essendo spostata sulla destra rispetto all’asse delle x (indicante la temperatura). La differenza tra due Tm si spiega con il fatto che la temperatura di melting dipende dal numero di legami da aprire nel filamento: più legami ad idrogeno bisogna spezzare, maggiore è l’energia da fornire e di conseguenza maggiore è la Tm. Da cosa dipende il numero di legami da aprire? Il numero di legami da aprire in un filamento dipende da 2 fattori: 1. la lunghezza del filamento polinucleotidico: un filamento più corto sarà composto da meno nucleotidi, di conseguenza avrà meno legami a idrogeno, mentre un filamento più lungo comporterà maggiore numero di interazioni, ovvero legami ad idrogeno, aumentando così le forze di legame da spezzare e cioè l’energia da fornire, infine la temperatura di melting. Sebbene esista una relazione di proporzionalità tra lunghezza del filamento e Tm, questa non è una proporzionalità diretta a tutti gli effetti e soprattutto le Tm oltre una certa lunghezza non aumentano più per cui si arriva ad un valore della temperatura di melting di 90/95°, poi questa smette di aumentare. Domanda di uno studente degli anni precedenti: quale temperatura dobbiamo raggiungere, fornendo calore, per denaturare un genoma? Oltre i 200 nt andiamo in una situazione di plateau dove con una temperatura di 90/95° siamo in grado di denaturare qualsiasi tipo di DNA. 2. la composizione, quindi l’assortimento o il contenuto di coppie di basi azotate al suo interno: a parità di lunghezza tra un filamento A che possiede un maggiore contenuto di basi G-C (guanina – citosina) e uno B che ne possiede una minore quantità, la Tm aumenta per il primo filamento (A) che contiene più coppie G-C essendo che queste, rispetto alla coppia A-T, formano tra loro 3 legami ad idrogeno invece di 2, saranno quindi maggiori le interazioni ad idrogeno per il filamento A e bisognerà fornire maggiore energia per spezzarle, così risulta maggiore la Tm di A rispetto alla Tm di B. 21 La variazione della Tm è correlata alla variazione di energia libera (ΔG) che dipende a sua volta alla variazione di entalpia e alla variazione di entropia: definendo quest’ultima come piuttosto costante, ciò che farà la differenza sarà la variazione di entalpia, che è strettamente correlata al calore da fornire per spezzare i legami ad idrogeno. Ponendo in un grafico la Tm (asse x) e la percentuale G-C di vari filamenti di DNA (asse y), ossia calcolando la Tm per alcuni DNA con una percentuale G-C via via più alta, notiamo una correlazione di linearità piuttosto definita: all’aumentare della percentuale G-C linearmente aumenta la Tm. Queste osservazioni permettono di capire che la doppia elica è manovrabile, si possono separare i doppi legami, controllare i processi e si può prevedere quanto calore bisogna fornire per separare i filamenti. Quale può essere un’applicazione pratica di queste osservazioni? Le tecniche di manipolazione del DNA che si servono del singolo filamento trovano riscontro in queste osservazioni: ad esempio volendo amplificare una sequenza attraverso una tecnica detta Reazione a Catena della Polimerasi (PCR, Polymerase Chain Reaction) l’amplificazione avviene sui singoli filamenti e quindi bisogna calcolare le temperature adeguate che consentano di denaturarli nel DNA. ALTRE FORME DEL DNA Ci sono sequenze che influenzano l’eventuale ripiegamento del DNA. 1. DNA A TRIPLA ELICA: H-DNA È un fenomeno piuttosto usuale, anche questa forma di DNA è dettata dalle particolari sequenze che si possono trovare nel DNA, le cosiddette sequenze specchio o invertite – ripetute: si tratta di sequenze ripetute di 2 nucleotidi in corrispondenza delle quali un terzo filamento si introduce nella doppia elica dando luogo ad un particolare ripiegamento. Nello specifico il terzo filamento è in grado di formare legami ad idrogeno con gli altri due filamenti. Si consideri un filamento centrale con ripetizione A-G (nell’immagine a lato) che forma legami a idrogeno non solo con uno, ma anche con un altro filamento sempre di natura G-C o A-T. Questo DNA a tripla elica si forma in particolari condizioni di sequenze ripetute sul filamento come la ripetizione di un tratto di pirimidine. La prof.ssa precisa che i filamenti rimangono due, ma si ripiegano in modo da formare una tripla elica in punti nei quali entra un terzo filamento che faceva parte dello stesso DNA, il quale però si distorce ed entra nella sequenza. H-DNA è diverso dalla struttura di Pauling: nella struttura proposta da Pauling il filamento in più rispetto ai due filamenti era esogeno (aveva considerato tre filamenti nucleotidici distinti) e non appartenente allo stesso DNA, in aggiunta la geometria che aveva previsto era completamente diversa. L’H-DNA è un DNA a doppio filamento che, in alcune regioni, si ripiega in una struttura definita “tripla elica”, e questo fenomeno avviene in particolari tratti del nostro DNA. Il DNA a tripla elica è detto H-DNA ed è stato identificato come motivo molecolare responsabile di alcuni processi biologici, in particolare una malattia genetica piuttosto rara detta atassia di Friederich. ATASSIA DI FRIEDREICH L'atassia di Friedreich è una malattia genetica autosomica che dipende da alterazioni nel gene codificante per la proteina fratassina che viene prodotta in quantità ridotte. Queste alterazioni consistono in un numero eccessivo di ripetizioni GAA che favoriscono la formazione di strutture a tripla elica che causa l’inibizione trascrizionale del gene. Si manifesta con mutazioni a livello di un gene che codifica per la proteina fratassina. Nelle regioni regolatorie del gene considerato si espandono alcune triplette che favoriscono la formazione di strutture a tripla elica con conseguente modificazione di orientamento e distribuzione del DNA nello spazio e cambiamento del livello a cui quel gene viene espresso. Attraverso l’espansione delle triplette GAA si generano quindi regioni a tripla elica che rendono molto più difficile la trascrizione di quel gene, e quindi la sua espressione: la presenza di tali triplette è il motivo per cui si ha una riduzione dei livelli di fratassina che incide sulla capacità di legare ferro, processo alla base della neurodegenerazione causata dall’alta sensibilità dei neuroni sensitivi e delle cellule cardiache alla fratassina. Queste cellule in assenza di fratassina 22 degenerano provocando atassia (mancanza di coordinazione motoria) dovuta alla degenerazione di midollo spinale e cervelletto. Tale malattia è progressiva e costringe infine l’individuo alla sedia a rotelle. Conoscere le varie forme del DNA, oltre a quella canonica, serve ad uscire dallo schematismo della rigidità del DNA, inoltre sulla base di alcune particolari sequenze sono costrette forme alternative a quella a doppia elica canonica; queste forme alternative possono avere un riscontro sulla trascrizione di un gene e infine sui livelli di una proteina. 2. HAIR PIN: RIPIEGAMENTO DI UN SINGOLO FILAMENTO Anche un filamento singolo può esibire una struttura secondaria (doppia elica) qualora presenti due blocchi di sequenze complementari intramolecolari che ne permettono il ripiegamento: questo processo accade di norma nell’RNA, acido nucleico che in natura si presenta a filamento singolo (a differenza del DNA che è difficilmente a singolo filamento). I ripiegamenti di un singolo filamento come appena descritto prendono il nome di Hairpin (letteralmente forcina per capelli) che è costituita da: - Un loop, ossia un’ansa che corrisponde alle regioni di non complementarità (ACTC nell’immagine a fianco) - Uno stelo che corrisponde alle regioni di complementarità perfetta (evidenziate in azzurro nell’immagine) tRNA: presenta ben tre strutture ad hairpin; in natura la molecola è ovviamente tridimensionale; quindi, in corrispondenza degli steli in realtà ci sono delle doppie eliche, dove ci sono le anse invece troviamo filamenti di collegamento e la forma complessiva è ad L rovesciata, ossia la forma con cui i tRNA sono presenti nelle cellule e svolgono il ruolo di trasduttori dei messaggi. Sono chiaramente distinguibili le zone di auto complementarità nelle quali si formano le doppie eliche: la regione dell’anticodone presenta 3 lettere complementari alla regione del codone dell’mRNA (nell’immagine corrisponde alla regione in basso con sequenza GAA; lo stelo accettore è quello che prende l’amminoacido e protrude come filamento singolo); le ultime tre lettere in alto invece (CCA) corrispondono al terminale 3’ e alla regione in cui si legano gli amminoacidi, i quali si legano all’ultima A. 3. STRUTTURE CRUCIFORMI Sequenze ripetute si possono avere anche sul doppio filamento oltre che sul singolo: queste generano scivolamenti dovuti al fatto che su ogni filamento si riconosce la regione di auto complementarità, il che può portare alla formazione di strutture cruciformi in cui la croce è un doppio hairpin. Tale struttura si genera nel momento in cui la sequenza complementare ripetuta è ripetuta invertita sull’altro filamento, cioè in presenza delle cosiddette sequenze palindromiche: si tratta di sequenze identiche sia che siano lette da sinistra verso destra che in verso opposto (nell’immagine si considerino entrambi i filamenti opposti 3’-5’ e 5’-3’ e si noti che la prima fila di sequenze evidenziate in azzurro TGCGAT e ATCGCA è ripetuta identica sull’altro filamento se letto in direzione 5’-3’). Le sequenze palindromiche costringono o favoriscono la formazione di queste strutture a croce con due hairpin a partire dalla doppia elica. Tutte queste forme alternative del DNA, dette forme secondarie, condizionano la struttura terziaria e quindi il modo in cui il DNA interagisce con le proteine: tutti i processi biologici (come trascrizione e traduzione) derivano dall’interazione degli acidi nucleici con le proteine. Le forme secondarie quando si trovano nelle regioni regolatorie di un gene vanno ad interferire con i processi di trascrizione. 23 NUCLEASI E SITI DI RESTRIZIONE DEFINIZIONE: le Nucleasi Le sequenze palindromiche sono interessanti in termini di ricombinazione di sono gli enzimi che agiscono DNA in quanto sono riconosciute da proteine che hanno attività enzimatiche. I sui legami fosfodiesterici che palindromi sono spesso i siti di restrizione per alcuni enzimi particolari legano un nucleotide all’altro. (endonucleasi di restrizione). Quindi non tutte le sequenze palindromiche sono siti di restrizione, ma molto spesso i siti di restrizione sono sequenze palind

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