Antropologia del Diritto e Disabilità

L'antropologia medica si concentra sullo studio di malattie, cure e la relazione tra pazienti e dottori.

Edgerton, negli anni '60, ha studiato il ritardo mentale applicando l'antropologia per comprenderne la complessità.

Un'indagine antropologica sulla sordità o il nanismo.

Ablon ha studiato le reazioni della comunità ai disabili, evidenziando come l'idea di disabilità sia una costruzione sociale.

Analisi della relazione tra disabilità e accesso alle risorse, inclusione sociale e marginalizzazione.

Lo spazio, fisico e relazionale, crea ostacoli per i disabili, poiché spesso progettato per le persone normodotate.

Stiker ha ripercorso l'evoluzione delle rappresentazioni sociali della disabilità, evidenziandone il legame con l'ordine sociale.

Il concetto di diritto non è universale e immutabile, ma è influenzato dal contesto storico e culturale.

Lo studio antropologico che mette in discussione l'universalità del diritto, analizzando i sistemi giuridici di diverse culture.

Malinowski sosteneva che ogni società ha un sistema giuridico, anche se non sempre simile a quello occidentale.

Radcliffe Brown credeva che il diritto fosse presente solo nelle società con un'organizzazione politica che garantisce l'applicazione della legge.

Un metodo di ricerca che analizza casi concreti di conflitto e come vengono risolti.

Gli antropologi giuridici hanno discusso se usare categorie occidentali per studiare sistemi giuridici diversi.

Gluckman studiò i Lozi e sostenne la possibilità di applicare le categorie del diritto occidentale ad altre culture.

Gli antropologi mettono in discussione l'universalità del diritto, riconoscendo la diversità di sistemi giuridici e il loro legame con la cultura e la storia.

Le famiglie formate da persone dello stesso sesso mettono in discussione il modo in cui pensiamo alla sessualità, alla riproduzione e alla parentela. L'amore e la cura diventano centrali nel costruire nuove idee di famiglia e di legami.

Le famiglie omosessuali e quelle eterosessuali hanno differenze ma anche molte somiglianze. Le differenze emergono da prospettive diverse sulle relazioni e dal modo in cui si percepiscono le diversità sessuali.

Le famiglie omosessuali e quelle eterosessuali condividono la struttura di base: una coppia che si impegna in un amore e una fedeltà reciproca.

Non esiste un solo modo di fare famiglia. Le famiglie sono costruzioni sociali che cambiano nel tempo e nei luoghi.

Il ciclo di vita rappresenta le fasi chiave dell'esistenza individuale, i rituali associati e i valori che le governano in una data società.

Il ciclo di vita è un'esperienza transculturale, con fasi simili e differenze che variano nel tempo e nello spazio.

Tradizionalmente, il modello familiare nucleare composto da coppie eterosessuali è stato considerato dominante. Questa visione, però, ha un periodo di influenza limitato nella storia.

Il modello familiare nucleare eterosessuale ha avuto il suo apogeo tra la fine del XIX secolo e gli anni '50 del XX secolo.

Studiosi come Broca e Mantegazza si dedicavano alla misurazione dei crani per studiare le differenze fisiche tra le varie popolazioni. Tuttavia, mentre Mantegazza rifiutava un'interpretazione razzista, Broca, invece, si lasciava guidare da pregiudizi razzisti, ritenendo che la dimensione del cranio fosse correlata all'intelligenza e che questo potesse essere utilizzato per classificare le razze.

Biasutti era un antropologo che, sotto il regime fascista, classificò l'umanità in quattro gruppi principali, suddivisi in 53 razze. Tale classificazione era fortemente influenzata da ideologie razziste e perpetuava l'idea di superiorità di alcune razze.

Secondo Blumenbach e Buffon, la diversità delle razze umane era il risultato di una degenerazione progressiva dall'Adamo ed Eva bianchi (creati ad immagine e somiglianza di Dio) verso altre razze considerate inferiori. L'ambiente e il clima avrebbero poi contribuito a intensificare queste differenze.

Le teorie poligeniste, contrarie al racconto biblico della Genesi, sostenevano che le diverse razze umane si erano evolute indipendentemente, in seguito a fattori ambientali e evolutivi differenti. Questo approccio, spesso legata alla difesa della schiavitù, negava l'unità del genere umano.

I monogenisti, sostenitori dell'unità del genere umano, credevano che tutte le razze derivassero da un unico antenato comune. Le differenze razziali erano considerate superficiali e non influenzavano la fondamentale unità della specie umana.

L'imperialismo britannico era spesso giustificato con la cosiddetta “missione civilizzatrice”. Secondo questa visione, l'Occidente aveva il dovere di imporre la sua cultura e la sua civiltà ai popoli colonizzati, ritenuti inferiori.

Kipling, autore de “Il libro della giungla”, sostenne l'idea della missione civilizzatrice dell'imperialismo britannico. Secondo lui, il colonizzatore bianco aveva il dovere di diffondere la sua civiltà e il suo benessere alle popolazioni sottomesse, nonostante le loro eventuali resistenze.

La Chiesa cattolica si oppose alle teorie evoluzioniste di Darwin e alle teorie poligeniste, sostenendo invece la tesi monogenista dell'unità del genere umano. Questo approccio si basava sulla Bibbia, credendo che tutti gli esseri umani fossero creati da Dio e quindi uguali.

Ernesto de Martino fu uno studioso che si concentrò sulla cultura popolare italiana, in particolare quella del Mezzogiorno, con particolare attenzione alla Lucania. Decise di stabilire una connessione tra le classi subalterne del Sud e i popoli extraoccidentali, che accomunava un "dramma sociale" simile, ovvero un senso di precarietà e di alienazione, a causa della loro condizione di dominio e di totale esclusione dalle decisioni che li riguardavano.

De Martino si riferisce alla categoria dei riti di passaggio come un punto di arrivo della sua ricerca sociale. I riti di passaggio sarebbero la risposta che la dimensione magico-simbolica darebbe ai momenti critici dell’esistenza. Attraverso i riti, le comunità affrontavano gli aspetti simbolici della transizione dalla nascita alla morte.

Per De Martino, i riti di passaggio non servono unicamente a garantire coesione e continuità sociale, ma soprattutto a tutelare dagli effetti negativi del mutamento. In particolare, c'è una connessione profonda tra i riti e il senso di angoscia e di crisi che si genera a causa del cambiamento e del passaggio inconcluso.

Victor Turner mise in evidenza il concetto di dramma sociale nei riti di passaggio, che definì come momentanee violazioni di norme sociali e della struttura sociale. Questo implica una rottura delle norme, una incrinatura della struttura sociale legittimata attraverso una fase di transizione chiamata liminalità.

La liminalità è un concetto basilare nell’analisi di Victor Turner, che descrive uno stato di transizione, una fase di passaggio tra due stati differenti dove si è fuori da una fase sociale e non ancora entrati in un’altra, che si verifica durante i riti di passaggio.

Turner nota che la liminalità, in età postindustriale, non è più solo una fase di transizione, ma assume autonomia e assume un ruolo più ampio. Nei contesti moderni, essa si manifesta in forme diverse, come gruppi o movimenti che sfidano le convenzioni e le norme consolidate.

Turner sosteneva che la liminalità, in età postindustriale, si trasforma in liminoide, un concetto che descrive una condizione di continua non-definizione, dove le persone si trovano in uno stato di margine permanente, in cui non ci sono chiari confini tra le diverse realtà e non è possibile stabilire un percorso lineare verso una nuova identità.

L'antropologia interpretativa di Clifford Geertz si concentra sulla comprensione dell'uomo come un essere culturale, con un'identità plasmata dalle sue esperienze e dalle sue interpretazioni del mondo. Secondo Geertz, non esiste una natura umana universale, ma piuttosto una molteplicità di modi di essere umano che sono definiti dalle diverse culture.

Secondo Geertz, l'antropologo deve cercare di capire come gli individui all'interno di una cultura interpretano il mondo, i loro comportamenti e le loro esperienze. Questo significa mettersi nei panni dei nativi, cercando di vedere le cose dalla loro prospettiva.

L'antropologo interpretativo deve indagare il significato degli eventi e dei comportamenti sociali, comprendendo le interpretazioni e i significati che gli individui all'interno di una cultura attribuiscono a tali eventi. Questo processo comporta la comprensione dei sistemi simbolici, dei valori e delle credenze che sottostanno alle azioni sociali.

Geertz crede che l'antropologo debba mettere in relazione le sue idee e le sue interpretazioni con quelle degli individui appartenenti alla cultura che sta studiando. Questo significa costruire un ponte tra le idee native e le idee occidentali, creando un'analisi che sia culturalmente sensibile e che tenga conto delle diverse prospettive.

L'obiettivo dell'antropologia interpretativa è creare una descrizione densa dei fatti culturali. Questo significa andare oltre la semplice descrizione degli eventi e dei comportamenti, cercando di comprendere i significati e le interpretazioni che gli individui attribuiscono a tali eventi e comportamenti.

Geertz sottolinea che l'uomo è un essere che interpreta e attribuisce significato al mondo che lo circonda. L'uomo costruisce la sua esperienza attraverso interpretazioni e significati, dando ordine e senso al caos.

La scrittura dell'antropologo interpretativo è caratterizzata dall'analisi dei testi e delle narrazioni culturali. L'antropologo raccoglie le esperienze e le opinioni degli individui studiati, traducendole in una forma comprensibile e significativa per il lettore.

L'antropologo interpretativo cerca di comprendere le dinamiche culturali in base alle interpretazioni degli individui che partecipano a quelle dinamiche. Questo significa studiare le azioni sociali come un sistema di significati condivisi, in cui ogni azione è interpretata e interpretata dagli altri membri della comunità.