Diritto Penale - Principi Fondamentali (PDF)

Summary

Questo documento tratta i principi fondamentali del diritto penale italiano, concentrandosi sulla riserva di legge, la determinatezza, la tassatività e l'irretroattività della legge penale. Analizza la relazione tra diritto penale e fonti del diritto, in particolare la legislazione nazionale e quella dell'Unione Europea. Espone i concetti chiave e le rispettive giustificazioni con richiami alla Costituzione e alla CEDU.

Full Transcript

Il diritto penale è un ramo del diritto pubblico, perché è costituito da norme che regolano i rapporti tra Stato e consociati, attraverso l’esercizio della potestà punitiva. PRINCIPI FONDAMENTALI: La Costituzione sancisce dei principi in relazione alla materia penale agli articoli 25 e 27. Questi...

Il diritto penale è un ramo del diritto pubblico, perché è costituito da norme che regolano i rapporti tra Stato e consociati, attraverso l’esercizio della potestà punitiva. PRINCIPI FONDAMENTALI: La Costituzione sancisce dei principi in relazione alla materia penale agli articoli 25 e 27. Questi principi sono: Principio legalità (art. 25): Secondo questo principio nessuno può essere punito se non in forza di una legge che preveda in modo espresso un fatto come reato e che sia entrata in vigore prima del fatto commesso. Questo principio ha una genesi storico-politica nell’illuminismo, al fine di salvaguardare i consociati da possibili abusi da parte dei poteri legislativo, esecutivo, e giudiziario assicurando duplice garanzia: Ratio di certezza: in quanto i consociati devono conoscere in anticipo quali sono i fatti penalmente rilevanti e con i quali saranno puniti; Ratio di garanzia: ossia assicurare ai consociati la predeterminazione delle sfere d'azione nelle quali può svilupparsi la libertà individuale senza interferenze del potere punitivo. Alla ratio di garanzia si collega il favor libertatis cioè la possibilità di applicare in senso favorevole all'autore del reato una norma, a condizione che tale applicazione determini un effetto a favore del soggetto; Alla base del principio di legalità c’è una giustificazione più strettamente penalistica: se le pene devono svolgere una funzione di prevenzione generale è necessario che siano conoscibili in anticipo, in modo che i loro destinatari siano messi in condizione di sapere quali sono i comportamenti penalmente rilevanti e le conseguenze sanzionatorie in caso di trasgressione dei precetti. Il principio di legalità si articola in quattro sotto-principi: Riserva di legge, sul piano delle fonti; Principio di determinatezza, sul piano del contenuto delle norme penali; Principio di tassatività, in relazione ai limiti di applicazione e giudiziale della norma; Principio di irretroattività, della legge penale in relazione alla successione delle leggi penali nel tempo; Si tratta di principi tra loro strettamente connessi, nel senso che la ratio di garanzia in favore dei consociati è assicurata nella sua pienezza se questi sotto principi sono tutti rispettati. Riserva di legge: Il principio di riserva di legge in maniera penale ha trovato consacrazione alla Costituzione all’art. 25, comma 2, ai sensi del quale “Nessuno può essere punito se non in forza di una legge entrata in vigore prima del fatto commesso”. Deve essere una legge a prevedere quali fatti costituiscono reato ed indicare le pene che conseguono in caso di trasgressione del precetto. Nel quadro dei principi costituzionali, l’affermazione della centralità del Parlamento assume un significato di garanzia, poiché fonte delle norme penali è l’organo che “incarna la rappresentazione politica della Nazione”, in quanto è rappresentativo delle diverse forze politiche che si esprimono nel Paese. I costituenti hanno voluto assicurare la riserva di legge in materia penale, le sanzioni penali incidono sulla libertà personale ed era necessario conferire la podestà punitiva 1 all’organo maggiormente rappresentativo: la riserva di legge è una garanzia perché volta a preservare i consociati da possibili abusi del potere esecutivo e del potere giudiziario. La legge può essere intensa in senso: Legge formale: emanata dal Parlamento; Legge materiale/sostanziale: testo che proviene dal governo (decreto legge/decreto legislativo); Possono essere fonti del diritto penale anche: Decreti legislativi delegati : sono approvati dal Governo, in attuazione ad una legge delega che fissa oggetti definiti, principi e criteri direttivi e determina i tempi di attuazione: il rispetto della ratio della riserva di legge è assicurato dalla presenza della legge delega. C’è una garanzia a priori; Decreti legge: sono adottati direttamente dal governo, in casi straordinari di urgenza e necessità e se non vengono convertiti in legge entro 60 giorni decadono. In tal caso la ratio di garanzia della riserva di legge è assicurata dall’intervento del Parlamento ex post in sede di conversione. C’è una garanzia a posteriori; Le leggi regionali non possono essere fonte del diritto penale, in quanto l’art. 117 Cost. attribuisce l’ordinamento penale della potestà esclusiva della legge statale. Ugualmente non può essere fonte del diritto penale la consuetudine, essa può avere una funzione integrativa di una fattispecie quando sia la stessa a fare ad essa richiamo. Il sistema penale italiano è retto dal principio di riserva di legge assoluta, nel senso che solo la legge può prevedere quali fatti costituiscono reato e le relative pene, la legge non può delegare ad una fonte subordinata alla determinazione di questi elementi. È ammesso un parziale ingresso delle fonti subordinate, si parla di riserva di legge assoluta temperata. Si tratta di due casi: Fattispecie costruita attraverso elementi che richiedono integrazione tecnica: la legge deve individuare il contenuto fondamentale della disciplina penalistica, ma gli elementi tecnici di specificazione sui quali non ha la competenza necessaria possono essere delegati alla fonte tecnica. La legge deve stabilire tutti gli elementi fondamentali del reato, ma poi la sua specificazione può essere per questioni tecniche delegata a una fonte sub legislativa; Norme penali in bianco: la legge indica la sanzione, mentre il precetto consiste nella trasgressione di una fonte subordinata. La Corte Costituzionale considera questa fattispecie in linea con la riserva di legge a patto che sia assicurato il principio della sufficiente specificazione, ossia è necessario che la fonte subordinata sia emanata in forza di una legge che fissi in modo preciso i casi ed i limiti di intervento della fonte subordinata; L’Unione Europea ha una potestà diretta in materia penale, in quanto gli atti normativi comunitari non possono prevedere norme penali direttamente applicabili nei singoli ordinamenti nazionali. Le fonti normative dell’Unione Europea incidono sulla legislazione penale degli ordinamenti nazionali in due direzioni: Attraverso atti normativi ad incidenza diretta: si tratta delle disposizioni dei trattati e dei regolamenti che sono direttamente applicabili dal giudice nazionale degli Stati dell’unione. Qualora la norma penale interna sia in contrasto con una disposizione di un trattato o di un regolamento spetta al giudice penale disapplicare la norma interna. Il rapporto tra legge penale fonte comunitaria si esprime in termini di disapplicazione e non di abrogazione, qualora il regolamento fosse abrogato, la norma penale tornerebbe nuovamente ad espandersi. 2 Attraverso scelte di politica criminale decisa a livello sovranazionale: non hanno invece efficacia diretta le direttive che vincolano gli Stati a dare attuazione al loro contenuto. Se lo Stato non dà attuazione alla direttiva, questa diventa immediatamente applicabile da parte del giudice penale. Per questa ragione si parla di direttive self-executing che hanno una incidenza interna analoga a quella dei regolamenti. Sebbene questi atti dell’Unione Europea siano immediatamente applicabili nell’ordinamento nazionale, la loro incidenza è sempre in favore dell’autore del reato, in quanto il giudice disapplicare la norma penale contrastante con quella comunitaria. Se l’Unione Europea non può prevedere norme penali direttamente applicabili negli Stati membri, può tuttavia tramite direttive fissate norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni. Si tratta di scelte di politica criminale che si giustificano per garantire una disciplina omogenea nell’ambito degli Stati dell’unione. Trattandosi di direttive sono prive di efficacia diretta, ma vincolano gli Stati a dare loro attuazione. Principio di determinatezza: Questo principio e quello di tassatività esprimono sostanzialmente lo stesso contenuto, ma visto da due punti di vista diversi: del legislatore e del giudice. Il principio di determinatezza prevede che il legislatore deve stabile una norma penale che sia ben definita nel proprio significato e nel proprio contenuto, in modo da consentire a tutti i consociati ci conoscere cosa è lecito e cosa è illecito, in modo da non creare problemi all’interprete in sede di applicazione. Alla base vi è una ratio di certezza per i consociati, ma anche di garanzia rispetto a possibili abusi del potere giudiziario in sede di interpretazione della norma. Questo principio trova anche fondamento nella CEDU all’art. 7 , che fissa il principio di legalità. La corte europea dei diritti dell’uomo richiede che le norme che prevedono fatti di reato e le relative pene siano accessibili e prevedibili: il primo requisito riguarda le condizioni per fare in modo che i consociati possono venire conoscenza delle norme; il secondo interessa la conoscibilità del loro contenuto e la determinatezza della norma è una condizione per assicurare questo profilo della legalità. Il mancato rispetto di questo principio comporta non solo la violazione dell’articolo 25 della Costituzione, ma anche del 117 che impone l’esercizio della potestà legislativa in conformità degli obblighi internazionali. Se la norma non fosse chiara, il giudice per interpretarla, le darebbe un proprio significato al momento dell’accertamento giudiziale, cioè a fatto commesso, frustrando la garanzia dell’autodeterminazione dei consociati sottesa al principio di irretroattività. La determinatezza è garantita dalla presenza nella norma di termini il cui significato sia delineato tra due confini chiari, come avviene nei termini naturalistici. Sono invece spesso vaghi i termini di carattere etico, come morale, osceno, vergognoso, scandaloso, ecc., perché il significato è suscettibile di interpretazioni soggettive. Principio di tassatività: Il principio di tassatività si rivolge al giudice e si traduce nel divieto di analogia, egli deve applicare le norme penali nei limiti di quello che esse stabiliscono, senza andare oltre. Gli è fatto divieto, infatti, di estenderle a casi simili/analoghi che, pur nella massima apertura interpretativa, non sono ricompresi nella portata della norma. Il divieto di analogia trova fondamento art. 1 c.p., in particolare nell’avverbio espressamente e all’art. 14 delle preleggi del codice civile. Questo implica che le leggi devono essere chiare e non possono essere applicate retroattivamente. Per una parte della dottrina il divieto vale solo quando l’estensione analogica è a sfavore del reo (es. norme incriminatrici), c.d. analogia in malam partem, non quando è a favore (es. cause di giustificazione), c.d. analogia in bonam partem, fermo restando che per le norme penali favorevoli che abbiano carattere eccezionale (circostanze attenuanti, cause di non punibilità) vale il divieto di analogia per leggi eccezionali. 3 Principio di irretroattività: Il principio di irretroattività sostiene che nessuno può essere punito se non in forza di una legge entrata in vigore prima del fatto commesso. La ratio è di garantire l’autodeterminazione dei consociati, in quanto, rendendo conoscibile ciò che è vietato prima di agire, si dà loro la possibilità di scelta tra comportarsi in modo conforme o non conforme alla legge penale. Si tratta di un principio fondamentale che il legislatore riconosce all’art. 25 comma 2 della Costituzione, lo troviamo anche ribadito in due norme di fonte sovranazionale: art. 7 CEDU e art. 49 Carta dei diritti fondamentali dell’UE. Gli ambiti di applicazione dell’irretroattività sono: Legge penale che introduce nuovi reati (legge incriminatrice); Legge modificatrice della disciplina in modo più sfavorevole al reo, con una legge che inasprisce le pene o introduce circostanze aggravanti; Leggi temporanee: hanno una durata nel tempo e seguono sempre il principio di irretroattività; Leggi speciali: sono emanate in situazioni eccezionali e si applicano irretroattivamente. Possono essere peggiori o migliori per il reo ma devono essere applicate in quel preciso momento. Quindi non si applicherà in quel momento la disciplina precedente anche se fosse migliore L’art. 2 c.p. oltre a prevedere il principio di irretroattività ai commi 1,4 (per la parte di legge modificatrice sfavorevole) e 5, stabilisce in altre ipotesi di successione di leggi nel tempo il principio di retroattività, ossia di applicazione della disciplina di una disposizione a fatti commessi prima della sua entrata in vigore, in quanto più favorevole rispetto a quella vigente al tempo in cui il fatto è stato commesso. La ratio è quella di garantire il favor rei. Gli ambiti di applicazione sono: Legge penale che abroga un reato (secondo comma art. 2) ; Legge penale modificatrice della disciplina in modo più favorevole al reo, come una legge che riduce i limiti edittali delle pene e con pene meno afflittive, o introduce nuove circostanze attenuanti; Differenza tra abolizione di un reato e abrogazione di una disposizione penale: Legge abrogatrice: è una legge che elimina un reato dall’ordinamento perché il cambiamento dei tempi, della mentalità, dei costumi, ecc., fa sì che il legislatore scelga che quel determinato fatto in quel determinato tempo storico non abbia più senso punirlo. In questo caso il legislatore emanerà una legge in senso materiale in cui dichiara abolito il reato. Se qualcuno è già stato condannato in relazione a quel fatto che al tempo era reato ma che una legge successiva ha abrogato, cessa l’esecuzione della pena e si estinguono gli effetti penali della condanna. (abolitio criminis) Legge modificatrice a favore del reo: la legge modificatrice se favorevole al reo è retroattiva (es. se la nuova norma introduce circostanza attenuante, riduce le pene, trasforma la procedibilità d’ufficio in procedibilità a querela ecc.). In questo caso c’è un limite temporale: la norma modificatrice non si applica a chi ha già avuto una condanna definitiva, salvo che gli si debba solo convertire la pena detentiva in pena pecuniaria. Se venisse introdotta una legge modificatrice a favore del reo che consiste semplicemente nella conversione della pena detentiva in pena pecuniaria, non c'è bisogno di rifare il processo. Bisogna semplicemente fare una conversione (con possibilità di rateizzazione in base alle condizioni economiche). Nell’ipotesi in cui vi sia un decreto legge, che prevede norme penali, non convertito in legge oppure convertito con delle modifiche o così com'è. Bisogna tenere il considerazione che il codice penale è del 1930 4 e la costituzione del 1948, quindi esistevano già i decreti legge prima della costituzione. Però c'era una differenza: all'epoca quando il decreto legge decadeva, era da quel momento in poi, i 60 giorni avevano efficacia (efficacia ex nunc). Quindi se veniva introdotto nei 60 giorni un reato, ma poi non veniva convertito, allora si applicava la legge che andava incontro al reo. Se invece si abrogava qualcosa, si lasciava. L’abrogazione per quelle persone perché erano più favorevoli. Nel 1948 con la nascita della Costituzione, la decadenza del decreto legge diventa ex tunc (da allora), quindi i 60 giorni è come se non fossero mai esistiti. Quindi anche chi ha commesso il fatto durante il decreto dovrà essere condannato se la legge precedente lo considerava reato. La corte costituzionale ha dichiarato parzialmente illegittimo questo comma in relazione ai fatti concomitanti poiché bisogna sempre tutelare l'autodeterminazione dei soggetti. Le sentenze della Corte Costituzionale incidono sulla disciplina penale in due modi: Attraverso sentenze che dichiarano l’incostituzionalità di una norma penale, che cessa quindi di essere applicabile; Attraverso norme interpretative che danno della disciplina penale una lettura conforme ai principi costituzionali; Ai sensi dell’art. 30 l.n. 87/1953 “le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione” e “quando, in applicazione della norma dichiarata incostituzionale, è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali (come per l’abolitio criminis). Vale sempre però il principio di favor rei. Ultima importante annotazione: le sentenze della Corte Costituzionale non possono mai avere come effetto l’ampliamento di una fattispecie penale o l’inasprimento del trattamento sanzionatorio. all’estero. Principio personalità (art. 27): “ La responsabilità penale è personale.” “Personale” significa della persona, in una cosiddetta interpretazione letterale, significa che si risponde penalmente solo del fatto proprio, commesso da sé stessi e quindi il divieto per un fatto altrui. Questa interpretazione è stata adottata dalla Corte Costituzionale fino al 1988, da questa norma si ricavava l’ammissibilità non solo della responsabilità penale colpevole, ma anche della responsabilità penale oggettiva, ossia una responsabilità penale fondata sull’oggettiva realizzazione di un fatto di reato, cioè aver compiuto un reato a prescindere dall’averlo fatto con colpevolezza o meno. Bisogna sempre distinguere il criterio oggettivo e il criterio soggettivo di attribuzione/imputazione di qualcosa: Oggettivo: significa per la sua esistenza; Soggettivo: significa per la consapevolezza del soggetto; Fino al 1988 era possibile la responsabilità penale oggettiva, non interessava se il reato fosse commesso con volontà, colpa. Con la sentenza n.366/1988 la Corte Costituzionale è intervenuta sull’art. 5 del codice penale (l’ignoranza della legge penale non scusa). La Corte Costituzionale ha riconosciuto l’ingiustizia di punire una persona che non era in grado di conoscere una determinata norma penale, quindi una persona che non aveva colpevolezza. Si è reinterpretato l’articolo 27 della Costituzione, affermando che personale non significa della persona ma va inteso come sinonimo di colpevole. Ha trasformato l’attribuzione della responsabilità penale da oggettiva a soggettiva. Non basta che il soggetto abbia materialmente realizzato il reato per essere responsabile, ma deve averlo realizzato con consapevolezza. È stato dunque inteso come 5 espressione del principio di colpevolezza. La responsabilità penale è ammessa solo per fatto proprio colpevole: divieto di responsabilità oggettiva. L’articolo 5 del codice penale è stato dichiarato parzialmente illegittimo perché in disaccordo con l’articolo 27, poiché non prevedeva che l’ignoranza fosse stata inevitabile. Principi costituzionali relativi alle pene: Nella Costituzione vi sono alcuni principi che riguardano il sistema sanzionatorio, il diritto penale italiano è un sistema dualista o a doppio binario, cioè un sistema che a livello sanzionatorio prevede due tipologie di sanzioni penali (ossia sanzioni che presuppongono la commissione di un reato e sono irrogate da un giudice penale mediante un procedimento penale). Le due sanzioni penali sono: Pene: si basano sul fatto che si commette un reato con consapevolezza, quindi ha una funzione punitiva; Misure di sicurezza: la commissione di un reato ha un altro presupposto che è la pericolosità sociale, quindi ha una funzione di recuperare socialmente la persona che ha commesso il reato. L’art. 25 al comma 3 sostiene il principio di legalità delle misure di sicurezza: per cui nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge. Qui non vige il principio di irretroattività, ma di riserva di legge. L’art. 27 terzo comma presenta due principi in materia di pene: Principio di rieducazione: le pene devono tendere alla rieducazione del condannato. Ciò significa che non bisogna punire solo, ma in un ordinamento moderno la pena viene vista anche come un’occasione per cercare di recuperare il soggetto che non ricada nel reato e possa rientrare nella società. La funzione di rieducazione della pena è considerata eventuale, ci sono infatti soggetti che non necessitano di rieducazione (es. delinquente primario in ambito di criminalità economica; così come soggetti non risocializzabili che hanno un’antisocialità troppo radicata (es. stupratore seriale) Le misure di sicurezza però hanno funzione solo ed esclusivamente rieducativa. Non lo dice la Costituzione ma la disciplina codicistica. Quello che dice la Costituzione è che dato che hanno natura penale, devono avere le garanzie di tutto l'ordinamento penale, tranne irretroattività. Non sarebbe stato neppure necessario specificarlo all'articolo 3 dell'articolo 25. Ribadire il principio di legalità, determinatezza e tassatività è un surplus perché possono comunque comportare una limitazione della libertà. Però dato che il secondo comma dice "punito" e la misura di sicurezza ha funzione di "recupero e non punitiva", per evitare fraintendimenti o ma interpretazione viene specificato.; Principio di umanità delle pene: ossia le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e al comma 4 non è ammessa la pena di morte; Principio di offensività: E’ un principio non espresso dalla Costituzione, ma che è alla base del diritto penale. Il reato deve consistere in un fatto offensivo di un bene giuridico, che il legislatore ritiene così importante da meritare la tutela più alta (quella penale). Di regola si tratta di bene giuridici garantiti dalla Costituzione (es. salute, incolumità personale e collettiva, buon andamento e imparzialità pubblica amministrazione), o se più recenti della costituzione compatibili con essa. L’offesa può assumere la forma più grave della lesione del bene giuridico (es. distruzione vita nell’omicidio) o meno grave della minaccia/messa in pericolo (incolumità pubblica minacciata nel delitto di incendio, naufragio). Può succedere che il fatto concreto pur conforme alla norma 6 incriminatrice sia inoffensivo o lievemente offensivo. Nel fatto inoffensivo non è punibile in base all’art. 49 del c.p. (reato impossibile: inidoneità dell’azione o per inesistenza dell’oggetto in essa); nel fatto lievemente offensivo non è punibile in base all’art. 131 bis c.p. (non punibilità per particolare tenuità del fatto). Oggi la giurisprudenza e la dottrina concordano nel valorizzare il principio di offensività in concreto, secondo il quale il reato non sussiste se il fatto non è in concreto offensivo del bene giuridico. Da un punto di vista giuridico, la non punibilità viene argomentata attraverso due percorsi: Disciplina del reato impossibile per inidoneità dell’azione: l’impossibilità dell’evento dannoso o pericoloso viene letta come assenza di offesa al bene giuridico; Quando un fatto concreto è formalmente conforme ad una fattispecie astratta, ma è assente in concreto l’offesa al bene giuridico, manca un fatto tipico penalmente rilevante; Viene introdotta anche la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, è necessario che vi siano specifici requisiti: Si applica solo ai reati che non raggiungono determinati livelli di pena; L’offesa deve essere di particolare tenuità ed il comportamento non abituale; Reati di danno e reati di pericolo: Reati di danno: reati nei quali è necessario che il bene giuridico sia leso; Reati di pericolo: il bene giuridico è semplicemente messo in pericolo. Si tratta di fattispecie detti a tutela anticipata, in quanto il legislatore anticipa l’intervento penale già al momento della messa in pericolo del bene. I reati di pericolo si dividono in: a. Reati di pericolo concreto: il pericolo è elemento costitutivo della fattispecie ed il giudice deve accertarlo; b. Reati di pericolo astratto: il legislatore incrimina un certo fatto che considera pericoloso per il bene giuridico, senza che il pericolo compaia tra gli elementi costitutivi della fattispecie. in questo caso il giudice deve limitarsi ad accertare la sussistenza degli elementi di fattispecie senza verificare che il bene sia messo concretamente in pericolo. Principio di materialità: Negli ordinamenti moderni e democratici per punire penalmente qualcuno, deve esserci la materialità, ossia occorre che ci sia un fatto materiale, una condotta. Non è punibile il mero pensiero. L'atto deve provocare un danno, una lesione ad un bene giuridico affinché venga dichiarato reato dalla costituzione o comunque non incompatibile con essa. IL REATO: Il reato è definibile come un fatto antigiuridico e colpevole previsto dalla legge e sanzionato con delle pene. La dottrina vuole considerare la struttura del reato alternativamente come una struttura bipartita o tripartita, a seconda di come vengono posizionati gli elementi del reato. Nella teoria bipartita gli elementi del reato vengono distinti in due: Elemento oggettivo: suddiviso a sua volta in due sotto-elementi: a. Elemento positivo (anche fatto tipico): si intendono gli elementi che devono esistere per poter dire che c’è reato. Gli elementi positivi dell’elemento oggettivo sono 3: condotta, evento, causalità. In alcuni reati l’elemento oggettivo si esaurisce nell’elemento positivo della condotta 7 umana, che può assumere la forma attiva o la forma omissiva, e parleremo di reati di pura condotta. Ci sono invece reati che hanno l’elemento oggettivo positivo più complesso e si chiamano reati di evento. Questo perché l’elemento oggettivo positivo non è formato solo dalla condotta umana attiva o omissiva ma anche da un elemento naturalistico e dal rapporto di causalità che collega la condotta all’evento; b. Elemento negativo: si intende un elemento che dev’essere assente affinché ci sia reato. Esso consiste nelle cosiddette assenze di cause di giustificazione o scriminanti, cioè quelle situazioni in presenza delle quali il fatto non è più considerato antigiuridico, tipico caso è la legittima difesa. Elemento soggettivo: per elemento soggettivo si intende la colpevolezza (dolo. colpa) , espressione del principio di colpevolezza. La teoria tripartita distingue l’elemento positivo dall’elemento negativo all’interno dell’elemento oggettivo. Quindi considera come elemento oggettivo solo quello positivo. Quello che la teoria bipartita chiama elemento negativo, cioè che deve mancare, la teoria tripartita lo chiama antigiuridicità, e consiste nell’assenza di cause di giustificazione. Soggetto attivo: E’ colui che commette il fatto tipico. A questo proposito i reati si distinguono in: Reati comuni: che possono essere compiuti da chiunque; Reati propri: nei quali la norma incriminatrice richiede che l’autore del reato possegga determinate caratteristiche personali che possono essere naturalistiche o giuridiche; Del reato possono rispondere solo le persone fisiche, a differenza della responsabilità civile che può far capo anche alle persone giuridiche per fatti commessi dai loro rappresentanti. Con l’entrata in vigore della Costituzione, l’esclusione della responsabilità penale delle persone giuridiche è stata rafforzata dalla presenza dell’art. 27 comma 1, secondo il quale la responsabilità penale è personale: a questa norma si è argomentato che una persona giuridica non può rispondere del reato commesso da un suo rappresentante nell’interesse o a vantaggio dell’ente, in quanto si imputerebbe reato commesso dalla persona fisica ad un soggetto diverso; inoltre se la responsabilità penale richiede requisito della colpevolezza, questo non è ravvisabile. Tuttavia, da tempo si riflette sulla necessità di corresponsabilità anche le persone giuridiche per fatti di reato commessi da coloro che operano all’interno dell’ente, nell’interesse o a vantaggio dello stesso. Soggetto passivo: E’ il titolare del bene giuridico tutelato dalla fattispecie, in accezione più criminologica si parla di vittima del reato. Può essere soggetto passivo del reato sia una persona fisica, sia un ente che non può essere soggetto attivo del reato. Non va confuso con l’oggetto materiale del reato che indica la cosa o la persona sulla quale grava la condotta del reato (es. nel caso del furto, oggetto materiale è la cosa mobile altrui; nel sequestro di persona, è la persona sequestrata.). Il soggetto passivo ha un ruolo importante nel diritto penale in relazione a due diversi istituti: Diritto di querela: i reati sono procedibili a querela quando la procedibilità è condizionata dalla querela, che è l’atto con il quale la persona offesa manifesta la volontà che l’autorità giudiziaria proceda nei confronti dell’autore del reato. La querela deve essere presentata entro tre mesi prima dal momento in cui il soggetto passivo è venuto a conoscenza del reato. Può essere “ritirata" dal querelante: tecnicamente si parla di remissione della querela, che, se accettata dal querelato, ha 8 l'effetto di estinguere il reato. In relazione alla querela è prevista una disciplina speciale per il delitto di violenza sessuale: questo reato in alcuni casi è procedibile a querela, il termine di presentazione è, però, di un anno ma non è ammessa la remissione. Consenso dell’avente diritto: quando il reato offende beni disponibili, il consenso del soggetto passivo alla loro lesione opera come causa di giustificazione. È soggetto danneggiato del reato chi da questo ha subito un danno risarcibile, che lo legittima a chiedere le restituzioni e il risarcimento del danno, costituendosi parte civile nel processo penale o con azione autonoma dinanzi al giudice civile. Elementi costitutivi del fatto tipico : Nella categoria del fatto tipico vanno inclusi gli elementi oggettivi costitutivi della fattispecie incriminatrice, dai quali si desuma la dimensione lesiva del bene giuridico che la legge intende tutelare. Appartengono al fatto tipico: Condotta; Evento; Nesso causalità condotta ed evento; Condotta umana e requisito della suitas: Il requisito indefettibile del reato è la presenza di una condotta umana che può essere attiva o omissiva; la prima è data da un movimento muscolare con il quale l'autore produce una modificazione della realtà; la seconda consiste nel non tenere un'azione doverosa imposta da una norma giuridica. Sia la condotta attiva che quella omissiva devono essere sorrette da una specifica componente soggettiva costituita dalla coscienza e volontà dell'azione o omissione. Coscienza e volontà costituiscono, un requisito necessario, la cui assenza esclude la sussistenza del reato. Questo requisito investe la condotta che può essere così considerata "propria" del soggetto, ponendo in tal modo le basi per l'imputazione penale del fatto: per questa ragione, il requisito della coscienza e volontà dell'azione o omissione è noto anche come suitas, proprio ad indicare l'appartenenza della condotta al suo autore. Il presupposto della colpevolezza, ossia coscienza e volontà, lo troviamo all’art. 42 comma 1. Secondo questo articolo nessuno può essere punito per un’azione od omissione prevista dalla legge come reato, se non l’ha commessa con coscienza e volontà. È una delle due diposizioni, insieme all’art. 43 che disciplina l’elemento soggettivo. Perché l'azione od omissione possa avere rilevanza penale, deve essere cosciente e volontaria, cioè il soggetto che compie l’azione o una mancata azione proviene dalla sfera della coscienza oppure dalla sfera subcosciente che però io posso dominare con i miei poteri di volontà. Gli atti abituali, gli atti automatici o riflessi, si fanno senza pensarci e rifletterci però sono dominabili dalla propria volontà, dai propri poteri di azione ed inibizione. Anche questi atti rientrano nel concetto di atti realizzati con coscienza e volontà, anche se provengono dal subcosciente perché è comunque dominabile. Se invece questi atti non sono dominabili nemmeno con uno sforzo, verrà meno la suitas. Nei delitti dolosi la coscienza e volontà costituisce un dato psicologico effettivo: il soggetto agisce rappresentandosi e volendo la condotta attiva o omette consapevolmente di agire. Nei reati colposi, invece, la coscienza e volontà dell'azione o omissione può talvolta essere meramente potenziale: il soggetto non si è rappresentato effettivamente l'azione o omissione, ma, mediante un più attento controllo delle proprie capacità avrebbe potuto evitare la condotta o avrebbe potuto tenere la condotta doverosa. La coscienza e volontà manca in tre situazioni nelle quali la condotta non può dirsi propria del soggetto: 9 Casi di forza maggiore (art. 45 c.p.), ossia quando la condotta è l'effetto di una forza della natura alla quale il soggetto non riesce a resistere o sottrarsi; Costringimento fisico (art. 46 c.p.) che richiede una violenza fisica alla quale non è possibile resistere o comunque sottrarsi: il fatto commesso non può essere considerato proprio della persona che lo ha materialmente realizzato e dello stesso risponde l'autore della violenza; Stati di incoscienza indipendenti dalla volontà. La condotta può avere: Forma attiva: un'azione è qualcosa che comporta movimenti del corpo e che quindi io percepisco con i sensi. È quindi più facile per il giudice accertare un’azione piuttosto che un’omissione, che è un qualcosa che non c’è stato. Il problema interpretativo che si può porre riguarda il dover capire da parte del giudice se ci si trovi di fronte a più atti, cioè a più frazioni di un’unica azione, o se ci si trovi di fronte a più azioni e quindi a più reati. a. Atti di un’unica azione: si ha pluralità di atti contestuali costituenti un solo reato, quando è unico il soggetto passivo colpito e il bene giuridico offeso; oppure, pur essendo plurimi i soggetti passivi, i beni giuridici offesi non sono particolarmente importanti (patrimonio: es. rapina in banca di beni di più clienti); b. Pluralità di azioni: si ha pluralità di azioni contestuali costituenti più reati, quando plurimi sono i soggetti passivi colpiti e i beni giuridici sono di un certo rilievo (es. personali come vita, incolumità). Forma omissiva: Omissione è un non fare. L’accertamento da parte del giudice è più complesso rispetto ad un fare poiché un qualcosa che non c’è stato e quindi si deve fare un ragionamento ipotetico. Il reato omissivo può essere di due tipi: a. Reato omissivo proprio; b. Reato omissivo improprio; Ci sono due differenze fondamentali, una differenza strutturale e una differenza di tecnica di formulazione legislativa. Differenza strutturale, i reati omissivi propri ed impropri si distinguono dall’elemento oggettivo: a. Reato omissivo proprio: la struttura oggettiva consiste esclusivamente nell’omissione. È un reato di pura condotta, cioè che da un punto di vista oggettivo si esaurisce nell’omissione. Ha come presupposto un obbligo giuridico di agire entro un termine implicito/esplicito: quindi consiste nel mancato adempimento dell’obbligo giuridico nel termine dato. (Es. omissione di referto, omissione di soccorso); b. Reato omissivo improprio: hanno invece una struttura oggettiva più complessa, in quanto richiedono sia la condotta omissiva, sia che da questa omissione derivi come conseguenza l’evento, sia il rapporto di causalità che deve collegare l’omissione all’evento. È un reato di evento in quanto la sua struttura omissiva è quella complessa, cioè quella formata dall’omissione, dall’evento e dal rapporto di causalità tra i due; Differenza di tecnica legislativa di formulazione delle norme: a. Reato omissivo proprio: il legislatore usa la tecnica classica, cioè quella di ideare il singolo reato omissivo proprio in una norma incriminatrice con un contenuto, una fattispecie, una rubrica e un numero nell’ambito del Codice penale o della legge. (Es. omissione di reato da parte di un 10 pubblico ufficiale; se all’ospedale arriva una donna visibilmente vittima di violenza, il medico ha l’obbligo di denunciare il fatto alla polizia, anche se la donna chiede di non dire nulla; l’assistente sociale che visita l’assistito e vede delle situazioni di disagio, ha obbligo di denuncia se lavora nel pubblico; l’omissione di referto da parte del medico; omissione di soccorso); b. Reato omissivo improprio: il legislatore utilizza una tecnica sintetica, ossia una tecnica di combinazione di norme. All’interno del primo libro del Codice penale troviamo una norma che è l’art. 40 c.2, chiamato comunemente clausola di equivalenza poiché dice che “Non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo”. Allora il legislatore con questa tecnica sintetica e combinatoria, anziché creare ogni volta una fattispecie omissiva impropria, usa la tecnica combinatoria: prende l’articolo 40 c.2 clausola di equivalenza, prende la norma che lui legislatore ha descritto in termini di cagionare, cioè in termini attivi, e la raddoppia, cioè fa diventare la seconda ipotesi quella omissiva impropria. L’obbligo giuridico di impedimento di un determinato evento, che fonda le posizioni di garanzia, ha dato origine a diverse interpretazioni. Interpretazione formale (teoria del trifoglio): delinea l’obbligo individuando la fonte. Infatti, dice che basta che sia un obbligo derivante da una legge, da un contratto o da una propria precedente attività pericolosa. Se in conseguenza del mancato obbligo deriva un evento che costituisce reato, allora c’è il reato omissivo improprio. Questa teoria ha dato origine a delle critiche: è vero che questa teoria ha il pregio di rispettare il principio di riserva di legge in materia penale, però si pone il fatto che la legge e il contratto prevedono tantissimi obblighi e quindi il principale difetto è che non riesce a delimitare l’area dal punto di vista contenutistico. Teoria sostanziale/funzionale: parte dal presupposto che nella società ci sono persone vulnerabili, deboli, che da sole non sono totalmente in grado di tutelare i propri interessi. L’ordinamento pone al fianco di queste persone un garante, ossia colui che viene investito dall’ordinamento dell’obbligo di tutelare quella determinata persona. Allora la teoria funzionale, attraverso l’elaborazione di questa teoria che va sotto il nome di posizioni di garanzia, individua lo scopo e il contenuto di questo obbligo giuridico di impedimento. Lo scopo è quello di garantire a soggetti vulnerabili una protezione da parte di soggetti individuati dall’ordinamento che sono i garanti. Il contenuto dipende invece dalla posizione di cui è investito il garante, e quindi la tipologia di contenuto può essere: a. Obbligo di protezione: il garante deve proteggere il soggetto vulnerabile perché da solo non è in grado di tutelarsi adeguatamente e quindi potrebbe farsi del male o subire del male da terzi (es: bambino, soggetti garanti i genitori) b. Obbligo di controllo: soggetto vulnerabile date le sue caratteristiche che lo rendono tale può essere una fonte di pericolo per terzi, quindi il garante deve controllare; Ci sono però garanti che nei confronti dello stesso soggetto debole hanno sia l’obbligo di protezione che l’obbligo di controllo, ad es. posizione di garanzia del genitore nei confronti del bambino piccolo, sul quale si ha un obbligo di protezione (fare attenzione che non si faccia male) e un obbligo di controllo (fare attenzione che non procuri del male, per esempio, ad un altro bambino). La teoria funzionale ha però il difetto di non dire che le posizioni di garanzia (obbligo di protezione e di controllo) devono provenire dalla legge, da un contratto o da una propria precedente attività pericolosa Teoria mista: è quella adottata dalla giurisprudenza, per cui quando io mi trovo di fronte a un mancato impedimento di un evento, per capire se un certo soggetto vada considerato responsabile, 11 devo vedere se riveste una posizione di garanzia che dia origine nei suoi confronti a obblighi di protezione e/o a obblighi di controllo, e che questo obbligo derivi dalla legge, dal contratto o dalla propria precedente attività pericolosa. Quindi la posizione di garanzia nella teoria mista ha questa duplice valenza, ossia prende la fonte dalla teoria formale e il contenuto dalla teoria funzionale con gli obblighi di protezione e gli obblighi di controllo. Le posizioni di garanzia devono presentare tre profili contenutistici: Devono essere precostituite rispetto alla situazione di pericolo per il bene; Deve trattarsi di posizioni di garanzia specifiche, ossia il garante ha obblighi di tutela in relazione a specifici beni; Devono attribuire al loro titolare poteri impeditivi dell'evento o almeno, come indica la giurisprudenza, poteri di natura sollecitatoria per attivare gli interventi necessari per evitare l'evento. La posizione di garanzia può essere: Originaria: trovano il loro fondamento nella legge che individua il garante a tutela di determinati beni giuridici meritevoli di protezione; Derivata: nascono da un atto di trasferimento della posizione di garanzia: in tal caso gli obblighi inerenti alla posizione di garanzia si trasferiscono dal garante originario al garante derivato. L'atto di trasferimento può avvenire anche mediante contratto Evento: Il Codice penale non utilizza questo termine sempre con lo stesso significato. Si può intendere evento in un’accezione naturalistica o in un’accezione giuridica, Evento in senso naturalistico: modificazione del mondo esterno; Evento in senso giuridico: offesa al bene giuridico che passa dallo stato di integrità alla lesione o alla messa in pericolo (presente in tutti i reati). I reati di evento sono quelli in cui l’elemento oggettivo non si esaurisce nella condotta, ma il legislatore nella descrizione richiede anche la verifica di un evento che deve essere conseguenza di quella condotta. I reati di evento possono essere: Reati a condotta vincolata: la fattispecie incriminatrice legale è descritta, cioè il legislatore mi dice esattamente il comportamento che è vietato, tipico caso, furto e rapina. Quindi è una fattispecie a forma vincolata perché il legislatore richiede che l’evento naturalistico e giuridico, avvenga con un particolare tipo di condotta che è vietata e che quindi determina la realizzazione del reato. Reati a forma libera o casualmente orientati: in questi reati il legislatore non indica la condotta ma solo l’evento naturalistico e offensivo, questo significa che la forma è libera perché non richiede una certa condotta. Quindi non interessa come venga provocato un determinato evento, perché in qualunque modalità venga provocato è vietato; L'evento naturalistico è uno dei requisiti dell'elemento oggettivo che il giudice deve accertare; in sede di accertamento in realtà il giudice non accerta l'evento perché è palese, ma se vi è un rapporto di causalità (cioè se vi è una conseguenza del rapporto tra la condotta del soggetto imputato e l'evento). Rapporto di causalità: 12 Di fronte ad un reato di evento il giudice non sono deve accertare l’esistenza della condotta antigiuridica tenuta/non tenuta dall’imputato, ma deve verificare che l’evento si sia verificato in conseguenza di quella condotta. La causalità trova disciplina nei seguenti articoli: Art. 40, 1 comma c.p. → nessuno può essere punito se l’evento che si è verificato non è conseguenza dell’azione o dell’omissione; Art. 40, 2 comma c.p. → clausola di equivalenza: non impedire un evento che si ha obbligo di impedire equivale a cagionarlo; Art. 41→ concause, cioè all’ipotesi in cui l’evento non sia la conseguenza di un unico fattore causale (cioè la condotta), ma di un concorso di fattori causali. La regola è che il concorso di altri fattori, oltre la condotta, siano essi fattori precedenti, concomitanti o successivi, non esclude la responsabilità penale, cioè non esclude la causalità di quella condotta. L’unico caso in cui è esclusa la responsabilità penale è l’ipotesi in cui le concause siano state successive e da sole determinati, cioè che abbiano avuto una tale capacità causale da eliminare quella della condotta umana, da rendere inutile il comportamento dell’imputato. C’è però una mancanza nel codice penale, in quanto non dà al giudice dei criteri per definire quando vi è causalità. Mancando nella legge l’indicazione di criteri è subentrata la dottrina tedesca dell’800 che ha elaborato diverse teorie: - Teoria della causalità naturale/teoria condicio sine qua non: affinché si possa parlare di responsabilità penale del soggetto che viene imputato di un reato occorre che la sua condotta, attiva od omissiva, sia stata una condizione necessaria dell’evento. Questo “una” serve a dire che possono esserci anche altre condizioni (e qui torniamo all’art. 41 che dice che le concause non escludono la causalità e quindi la responsabilità penale). Secondo la teoria della causalità naturale la condotta umana si deve considerare causa, e quindi il soggetto responsabile, quando questa condotta attiva od omissiva sia stata una condizione necessaria dell’evento. Con condizione necessaria si vuole dire che innanzitutto non deve essere stata unica, ma ci possono essere state più condizioni necessarie, e vuol dire che senza quella condotta l’evento non si sarebbe verificato. La teoria della causalità naturale da il criterio, che cambia a seconda che la causalità sia: a. Causalità attiva (valutata sulla base di una condotta attiva): il giudice capisce se l’azione è stata una condizione necessaria all’evento tramite un procedimento chiamato eliminazione mentale: si prova ad eliminare mentalmente l’azione e ci si chiede se in quel momento e in quel lugo sarebbe ugualmente avvenuto l’evento. b. Causalità omissiva: per accertare se veramente c’è stato il mancato impedimento dell’evento, il giudice deve fare l’aggiunta mentale: aggiunge mentalmente l’azione doverosa che avrebbe impedito l’evento da parte di chi è in posizione di garanzia, cioè da parte di chi è in posizione di protezione o controllo. Ci si chiede se con l’azione doverosa l’evento sarebbe avvenuto ugualmente. La critica che si muove a questa teoria è la critica del regresso all’infinito, cioè si estende eccessivamente la responsabilità penale in quanto l’evento non è quasi mai il risultato di una sola causa, ma di più condizioni. I fautori della teoria rispondono che è vero che si può ottenere una catena molto estesa di condizioni necessarie arretrate, però ai fini della responsabilità penale non basta la causalità ma ci vuole anche la colpevolezza (dolo/colpa). Tuttavia per cercare di circoscrivere questa catena di regresso, teorie successive hanno ideato altri criteri aggiuntivi rispetto a quello della condicio sine qua non. 13 - Teoria della causalità adeguata: questa teoria dice che l’evento deve essere prevedibile per l’uomo medio, ossia la condotta tenuta dall’imputato deve essere prevedibile per l’uomo medio, ossia la condotta tenuta dall’imputato deve essere prevedibile secondo ciò che nella maggior parte dei casi accade. Ancorando però la prevedibilità dell’evento alla normalità si finisce per rendere irresponsabili i soggetti che hanno conoscenze superiori alla media. Il parametro di ciò che accade nella maggior parte dei casi non è un parametro adeguato alla causalità, perché la causalità è un elemento oggettivo. Quindi la critica che si muove al criterio della causalità adeguata è quella di aver parametrato la prevedibilità dell’evento ad un criterio soggettivo, che è l’uomo medio. - Teoria della causalità scientifica (professor Stella): ha modificato il parametro partendo dal presupposto che la causalità è oggettiva, che va valutato oggettivamente sulla base della scienza e non variabile in base alla conoscenza. Ha detto quindi che il cosiddetto rapporto causa-effetto si basa su delle leggi scientifiche universali che l'uomo elabora sulla base dell'osservazione che nel tempo da esito del 100%. Quando invece l'osservazione scientifica non è certa al 100%, non si può elaborare una legge universale, ma una legge statistica/di probabilità, che dice che è probabile che da A derivi B, ma non è certo. Il criterio della cosiddetta sussunzione sotto leggi scientifiche del professor Stella dice che c’è causalità quando tra quello specifico tipo di condotta e quel tipo specifico di evento c’è una spiegazione causale sorretta da una legge universale, che dice che quel tipo di condotta sicuramente è idonea a cagionare quell’evento. Stella sostiene che ci voglia una legge di copertura universale, in quanto sostiene che quella tipologia di condotta è causale rispetto a quell’evento, poi concretamente viene verificato con l’eliminazione mentale o con l’aggiunta mentale. La prevedibilità dell’evento non va quindi valutata secondo il parametro della normalità delle conoscenze dell’uomo medio, ma secondo il parametro delle leggi scientifiche universali, che danno la certezza della conoscenza. La giurisprudenza per un arco di tempo (dagli anni’80 sino ad inizio millennio), ha seguito il criterio Stella, però si è creata una spaccatura all'interno delle sezioni semplici, soprattutto in relazione ai delitti di omicidio e di lesioni colpose avvenute in ambito lavorativo o sanitario; quindi le morti o le lesioni di lavoratori imputate al datore di lavoro e le morti o lesioni del paziente imputate al medico. Alcune sezioni seguivano il criterio Stella e quindi affermavano la sussistenza della causalità solo laddove ci fosse una legge di copertura universale e quindi applicava questo criterio sempre, sia nella causalità attiva sia in quella omissiva, mentre altre sezioni seguivano due criteri diversi. - Causalità attiva: vuol dire che qualcosa c'è stato, quindi bisogna verificare se l’azione ha provocato l'evento. Utilizzano come legge di copertura la legge universale di Stella. - Causalità omissiva: ipotetica perché è mancata l'azione che avrebbe ipoteticamente evitato quell’evento in quel momento e in quel luogo. Essendo una causalità ipotetica, laddove l’evento che si è verificato è importante, cioè riferito a beni giuridici importanti come la vita, allora mi devo accontentare di una legge di copertura meramente probabilistica/statistica. Ciò significa che qualora l'azione doverosa individuata sulla base di una legge statistica avrebbe impedito l'evento in una certa percentuale di casi, mi sarei dovuto accontentare di questa per dire che c'è stata causalità. Quando c’è un contrasto interpretativo tra i giudici, essi possono chiedere alle Sezioni Unite di risolvere la questione, dando un’interpretazione autentica ma non vincolante perché non siamo in un sistema di common law, però tendenzialmente crea un indirizzo unitario e omogeneo; può essere un modo di interpretare a favore di uno dei due già esistenti o uno completamente nuovo. Le Sezioni Unite nella Sentenza Franzese del 10 luglio 2002 ha fissato alcuni punti fondamentali sulla questione: 14 - La causalità va accertata unitariamente allo stesso modo, non cambia a seconda che si tratti di condotta attiva o omissiva; - Le Sezioni Unite affermano che è sufficiente una legge di copertura statistica e non ha nemmeno importanza il grado di conoscenza o probabilità, basta che ci sia una possibilità. Ovviamente se è impossibile, non c'è causalità. Ma non basta la legge di copertura per dire che c'è stata causalità, è un presupposto necessario per dire che è possibile, ma in ogni caso il giudice deve andare oltre nel suo accertamento perché deve valutare l'alta probabilità logica o certezza processuale. Per alta probabilità logica si intende che il giudice deve scandagliare il caso concreto, cioè verificare se in quel caso storico concreto che lui sta analizzando nel processo ci siano state, oltre alla condotta dell'imputato, altre condizioni che si sono effettivamente verificate che possono essere pure loro state condizioni necessarie dell'evento, la cui presenza quindi genera il ragionevole dubbio, quindi se sia stato veramente l’azione dell’imputato. Cause di giustificazione o scriminanti: Le cause di giustificazione (dette anche scriminanti o esimenti) sono situazioni nelle quali si verifica apparentemente un contrasto all’interno dell’ordinamento tra una norma che vieta un comportamento e una norma che lo consente o addirittura lo impone. La causa di giustificazione risolve questo contrasto apparente dicendo che a determinate condizioni prevale la causa di giustificazione, cioè, prevale il fatto che il fatto che costituirebbe reato, non è più tale ma è lecito. Sono elementi negativi del reato, in quanto affinché un fatto sia antigiuridico devono mancare. Quando si parla di cause di giustificazione, si devono tenere in considerazione regole generali valide per l’applicazione di tutte: Sono rette dal principio di legalità, è necessaria una legge che prevede la scriminante; Imputazione: vengono imputate oggettivamente, vale a dire che il giudice accerta che si siano tutti i presupposti indicati dalla singola norma che prevede quella causa di giustificazione a prescindere dal fatto che il soggetto ne fosse consapevole o meno; Supposizione erronea (dell’esistenza della causa di giustificazione): disciplina l’ipotesi inversa, ossia quella in cui non ci sono tutti gli estremi della causa di giustificazione, ma l’agente crede di agire in sua presenza. Se la scriminante non si verifica ma l’agente crede di agire in sua presenza, a questa manca il dolo del reato, quindi non è punibile per mancanza di colpevolezza pur restando il fatto giuridico. Se l’errore è colposo il reato previsto nella forma colposa risponde di questo. Questa regola prevista al 4 comma dell’art.59 detta la regola della supposizione erronea, sostiene che un soggetto che agisce nella supposizione erronea che ci sia una causa di giustificazione, il caso non è punibile a meno che non sia colposo e il reato che commette sia previsto dalla legge come reato colposo. La ragione per cui il soggetto non è punibile, o se lo è solo a titolo di colpa, è perché viene meno l’elemento soggettivo del reato, cioè il soggetto crede di agire in legittima difesa; Eccesso colposo (art. 55 c.p.): il legislatore prende in considerazione l’ipotesi in cui il soggetto commette il reato in presenza di una causa di giustificazione, ma ne eccede i limiti. Sono stabiliti sempre dei limiti di applicabilità della scriminante, altrimenti si violerebbe il principio di determinatezza e quindi di legalità, ci sono dei limiti che consistono nei presupposti descritti nella norma. L’art. 55 stabilisce che, quando si eccedono colposamente i limiti della causa di giustificazione, si risponde del reato colposo se previsto. Se l’eccesso è incolpevole non residuano i margini di responsabilità penale; in presenza di un eccesso doloso, cioè volutamente si eccede i limiti della scriminante, si risponde di delitto doloso. Nella legittima difesa si chiede che sia proporzionata la reazione all’offesa ingiusta che il soggetto sta subendo, nello stato di necessità deve esserci la proporzione che consiste nel realizzare il reato e la situazione di pericolo in cui il 15 soggetto si trova. Per quanto riguarda la legittima difesa, nel 2006 il legislatore ha introdotto un secondo comma sulla legittima difesa domiciliare e un terzo comma sulla legittima difesa nei luoghi commerciali. A causa della diffusione eccessive di furti e rapine, il legislatore introduce questi due commi affermando che il limite della proporzione non deve essere accertato dal giudice ma si dà per scontato a condizione che la persona che è entrata nel negozio piuttosto che in casa lo abbia fatto contro la volontà del proprietario e abbia minacciato non solo il patrimonio ma anche l'incolumità delle persone. In questo caso la reazione con armi è ammessa, purché sia un’arma legittimamente detenuta e non sia un'arma da fuoco, e non si deve valutare la proporzione. Le singole scriminanti: Le singole scriminanti sono tassativamente stabilite dalla legge agli art. 50-54 c.p. e sono: Consenso dell’avente diritto (art. 50 c.p.): solo su diritti disponibili. Se il titolare del bene acconsente alla sua lesione, viene meno l’interesse dell’ordinamento alla tutela penale del bene, perché prevale la libertà di disporne da parte del titolare. L’integrità fisica è disponibile nei limiti in cui non comporti menomazioni permanenti (salvo deroga legislativa) o sia contraria all’ordinamento. Esercizio di un diritto (art. 51 c.p.): comprese l’attività pericolo ma consentita, come quella sanitaria e l’adempimento di un dovere derivante da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità gerarchicamente sovraordinata; Legittima difesa (art. 52 c.p.): il reato è commesso in reazione ad un’offesa altrui ingiusta, purché la reazione sia proporzionata all’offesa. La proporzione è presunta nella legittima difesa domiciliare e nei locali commerciali purché realizzata con armi legalmente detenute e sempre che sia in pericolo anche l’incolumità personale e non solo patrimoniale; Uso legittimo di armi (art. 53 c.p.): superfluo visto che esiste già l’adempimento di un dovere; Stato di necessità (art. 54): simile alla legittima difesa ma la reazione non è a un’offesa ingiusta bensì a una situazione di pericolo per beni personali non dipendente dalla vittima del reato commesso in stato di necessità. Il principio di colpevolezza (elemento soggettivo): La responsabilità penale richiede anche la colpevolezza costituita da elementi soggettivi. La necessità della colpevolezza trova fondamento costituzionale all’art. 27 Cost. ai sensi del quale la responsabilità penale è personale. Quando si parla di colpevolezza ci si riferisce a più atteggiamenti di colpevolezza, il più grave è il dolo, cioè l’atteggiamento di volontà con cui si commette il reato. C’è poi una forma di colpevolezza più blanda che è la colpa. Una forma ibrida tra il dolo e la colpa è la preterintenzione. Un reato può avere una pluralità di imputazioni soggettive (attribuzioni riferite alla colpevolezza). Il codice penale all’art. 42 stabilisce due regole di imputazione soggettiva a seconda che il reato sia delitto o sia contravvenzione: - Delitti: in mancanza di un’espressa previsione di un atteggiamento colpevole il delitto è sempre ed esclusivamente doloso. L’art. 42 dice che nei delitti si risponde a titolo di colpa oppure preterintenzionale quando la legge lo prevede espressamente in relazione a quel determinato reato. Il dolo è la forma tipica di imputazione dei delitti e consiste nella rappresentazione e volontà di tutto il fatto descritto nella norma incriminatrice e dell’assenza di scriminanti; - Contravvenzione: è comunque punibile indifferentemente che sia per colpa o per il dolo. Sarà il giudice in sede di accertamento a definire quale sia stato l’atteggiamento del soggetto, l’art. 42 fissa il principio di indifferenza tra dolo e colpa; 16 Dolo: E’ la forma più grave e tipica nel diritto penale. È la forma tipica di imputazione dei delitti e consiste nella rappresentazione e volontà di tutto il fatto descritto nella norma incriminatrice e dell’assenza di scriminanti. Il dolo trova espressa definizione all’art. 43 c.p. “il reato è doloso o secondo l’intenzione quando l’evento da cui dipende l’esistenza del reato è dal soggetto agente rappresentato e voluto”. Questa definizione è carente rispetto a quello che realmente è il dolo. Innanzitutto, da questa norma noi ricaviamo il termine evento utilizzato in senso giuridico, ossia in senso di offesa, perché l’offesa deve realizzarsi in ogni reato. Non è una definizione completa perché rappresentazione e volontà non devono riguardare solo l’offesa, ma devono ricoprire tutto il fatto (condotta, evento naturalistico qualora ci sia, rapporto di causalità, ecc.). Quindi il dolo, secondo l’art. 43 sarebbe limitatamente rappresentazione e volontà come offesa, ma in realtà la definizione dev’essere integrata con altre definizioni del C.p., in particolare art. 47 e art. 59 (che disciplina le cause di giustificazione). - Art. 47 errore sul fatto: si tratta dell’errore che cade su un elemento essenziale della fattispecie. il dolo e l’errore possono essere considerati i due lati della stessa medaglia. Laddove c’è errore non c’è dolo e dove c’è dolo non c’è errore. - Art. 59 c.p. errore sulle cause di giustificazione: se il soggetto per errore crede di trovarsi in una situazione che fonderebbe una causa di giustificazione, non è in dolo perché la rappresentazione del fatto è viziata dall’errata percezione della realtà. potrà sussistere una responsabilità per colpa alla duplice condizione che l’errore sia colposo e il fatto sia previsto dalla legge come delitto colposo. Il dolo manca in presenza di un errore di giustificazione. Il dolo è dunque distinto in più elementi strutturali: - Rappresentazione e volizione: significa che bisogna prefigurarsi nella mente il fatto tipico, una volta prefigurato si può anche volere. Il momento rappresentativo e il momento volitivo possono avere una diversa intensità, possono essere più o meno intense, e questo gioca un ruolo importante ai fini della commisurazione della pena da parte del giudice. - Oggetto del dolo è tutto il fatto tipico, ossia rappresentazione e volontà devono ricoprire la condotta, l’evento qualora sia presente, il rapporto di causalità, l’assenza di cause di giustificazione, l’offesa. In base all’intensità del dolo (e quindi in considerazione del grado di volontà), si possono distinguere: - Dolo intenzionale: l’elemento volitivo assume la forma più intensa, ossia l’intenzione. Ciò vuol dire che il reato è il fine dell’azione del soggetto attivo, rappresenta lo scopo per il quale il soggetto attivo agisce. Non è importante il movente ma è importante la dinamica del comportamento che porta ad infierire l’intenzionalità, a prescindere dal grado di rappresentazione che è irrilevante. Nel dolo intenzionale, il giudice deve accertare che la volontà fisse intenzionale a prescindere dal fatto che il soggetto si rappresentasse quell’obbiettivo in termini di possibilità, probabilità o certezza. Nelle altre due forme è importante il grado del momento rappresentativo perché ci fa distinguere: - Dolo diretto: non c’è intenzione di commettere il reato, però il soggetto realizza il fatto con una rappresentazione certa o di alta probabilità. Non è il suo scopo principale, perché in realtà il fatto è strumentale alla realizzazione di un altro fatto su cui ha dolo intenzionale; 17 - Dolo indiretto/eventuale: c’è una mera possibilità che il fatto strumentale all’obbiettivo si realizzi. Consiste nella rappresentazione della possibilità di verificazione dell’evento e commissione del fatto, ciò nonostante, con indifferenza verso il risultato. Questa forma di dolo (dolo indiretto/eventuale) sta al confine con quella che è la forma più grave della colpa, ossia la colpa con previsione/colpa cosciente. Si tratta di una figura normativa, prevista e disciplinata dall'art 61 terzo comma del codice penale che elenca un numero elevato di circostanze aggravanti che possono comportare una pena maggiore rispetto al massimo indicato. Il terzo punto prevede infatti la colpa con previsione. È tipica della circolazione stradale. Il dolo eventuale e la colpa cosciente sono due forme di elemento soggettivo strutturalmente diverse, perché nell'uno l'evento è voluto, mentre nell'altra l'evento deve essere non voluto e ravvisare gli estremi del dolo eventuale o della colpa cosciente ha effetti fondamentali: in alcuni casi darà luogo all'applicazione di un delitto doloso piuttosto che colposo, in altri casi non vi sarà responsabilità. Ampiamente diffuso in giurisprudenza è il criterio della c.d. accettazione del rischio: nel dolo eventuale il soggetto agisce comunque accettando il rischio che in concreto l'evento si verifichi; nella colpa cosciente, il soggetto si rappresenta in egual modo tale possibilità, ma ritiene che l'evento non si verificherà. Sentenza Krupp (sezioni Unite tra 2008-2009): questa distinzione è stata raggiunta in questa sentenza. Vi era un piccolo stabilimento siderurgico a Torino che faceva parte di questa azienda europea. Stava per essere dismesso perché era piccolo e ridotto molto male, mal tenuto, con nessuna misura di sicurezza a norma. Infatti ricevono la visita dell'ispettore della sicurezza sul lavoro che fa un verbale con le sostituzioni che dovevano essere fatte entro un certo termine. C'era una piena consapevolezza del pericolo e i forni andavano giorno e notte, quindi c'erano sempre presenti degli operai. La Thyssen Krupp vuole dismetterlo da lì a sei mesi. A inizio dicembre 2007 però il forno non evidenzia il superamento della temperatura ed esplode; non essendoci estintori o doccette, 6 operai muoiono e uno riporta lesioni gravissime. In primo grado il pubblico ministero contesta per incendio colposo ma anche per omicidio doloso con dolo eventuale plurimo di 6 persone. La Corte d'appello ribalta la sentenza e dice che si tratta di colpa con previsione perché il fatto di volerlo dismettere da lì a poco significava confidare che in quel lasso di tempo non si sarebbe verificato un incendio. In Cassazione la Sezione Semplice rimette la questione alla Sezioni Unite che dicono che la differenza sta nell'atteggiamento del soggetto: se c'è bilanciamento tra pro e contro e si ritiene che il contro sia difficilmente verificabile che concretamente non si verificherà, ci sarà una colpa con previsione. Gli amministratori della Thyssen Krupp vengono imputati quindi con colpa con previsione. Se invece il soggetto, valutando i pro e contro, si rende conto che ci potrebbe essere un evento dannoso e pericoloso assumendosi il rischio, ci sarà un dolo eventuale. In base alla formulazione legislativa il dolo può essere: Dolo generico: c’è una descrizione fattuale, ossia la norma descrive solo un fatto che deve essere messo in atto dal soggetto attivo. In questa descrizione il legislatore indica una serie di dati oggettivi fattuali che il soggetto deve rappresentarsi e volersi in tutti i suoi elementi. Dolo specifico: oltre al fatto oggettivo la fattispecie richiede che quel determinato fatto venga realizzato per un determinato fine che è indicato nella norma incriminatrice. Il legislatore in alcune norme inserisce il fine perché vuole ridurre la portata della norma incriminatrice e quindi ridurre l'ambito di tutela di quel bene e quindi significa che il dolo specifico lo userà soprattutto nella tutela di beni non così importanti, come i beni patrimoniali. Non esiste il dolo specifico in casi come l'omicidio, perché se decidessi che l'omicidio è reato solo in caso di profitto, ridurre il campo di applicazione. 18 Il dolo può avere diversa intensità che ha effetto sul piano della commisurazione della pena. Come abbiamo detto abbiamo dolo intenzionale, diretto ed eventuale ma bisogna tenere in considerazione la maggiore intensità della volontà. Tale intensità è poi particolarmente elevata nella premeditazione. Possiamo distinguere il dolo a seconda della differenza tra a rappresentazione e volizione del reato e la materiale esecuzione è temporale: Dolo d’impeto: fra il pensare di voler realizzare il reato e realizzarlo concretamente passa un attimo; Dolo di proposito: c’è invece uno stato temporale tra il voler realizzarlo e il realizzarlo veramente; Il dolo deve essere accettato dal giudice che procede mediante inferenza, ossia dall’analisi di tutti gli elementi di fatto a sua disposizione desume la componente psicologica del reato. Perciò diventano importanti la modalità di realizzazione del reato, gli elementi pregressi e successivi al reato. Per quanto riguarda l’elemento soggettivo il giudice usa le massime di esperienza, ciò quale forma di elemento soggettivo accompagna il reato secondo quanto ordinariamente accade al verificarsi di determinati fatti; la massima di esperienza però ha solo un valore probatorio che potrebbe essere sconfessato da altri elementi presenti nella situazione concreta. Colpa: E’ una forma meno grave di colpevolezza. È prevedibilità ed evitabilità di un evento offensivo non voluto. Può dipendere da inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline (colpa specifica), o da imprudenza, negligenza, imperizia (colpa generica). Nei delitti è criterio di imputazione soggettiva eccezionale, cioè solo se espressamente previsto dalla legge. Nelle contravvenzioni invece è criterio ordinario, alternativamente al dolo. Nei delitti è la forma di imputazione soggettiva eccezionale, perché vale solo se il legislatore prevede espressamente la punibilità di quel delitto nella forma colposa, mentre è la forma normale nelle contravvenzioni, perché sono indifferentemente punibili a titolo di colpa o di dolo. La definizione la troviamo all’art. 43 ‘’il delitto è colposo o contro l’intenzione quando l’evento (inteso nel senso offensivo: offesa, lesione, messa in pericolo) è dovuto a inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline, oppure a negligenza, imprudenza o imperizia’’. Si agisce con colpa quando l’evento dannoso, lesivo, pericoloso non è stato voluto ma è un comportamento prevedibile ed evitabile. I requisiti della colpa sono: Assenza di volontà; Violazione di una regola cautelare scritta o d’uso, mirata a prevenire la verificazione di danni o pericoli; Corrispondenza tra l’evento che la regola vuole prevenire e l’evento effettivamente verificatosi (concretizzazione del rischio) Esigibilità dell’osservanza della regola cautelare (misura soggettiva della colpa). Nella colpa generica, mancando la regola scritta, il giudice estrapola la regola con il criterio dell’agente modello; La colpa è costituita anzitutto da un elemento negativo: il fatto non deve essere voluto. La non volizione del fatto differenzia la colpa dal dolo, nel quale, invece, il fatto deve essere voluto. La norma precisa che l'evento, non voluto, può però essere preveduto: si tratta della colpa cosciente si pone ai confini con il dolo eventuale. Gli elementi della colpa si distinguono in elementi oggettivi ed elementi soggettivi. Gli elementi oggettivi sono: 19 - Violazione di una regola cautelare: la regola cautelare è una regola di comportamento volta a prevenire ed evitare situazioni di danno o di pericolo. Le norme cautelari non impediscono reati, non è una norma penale, sono norme extra-penali che vogliono impedire situazioni dannose o pericolose. L’inosservanza può portare ad eventi dannosi e pericolosi che possono poi comportare un reato, ma non impediscono il reato stesso. Quindi oggettivamente il soggetto agisce con colpa quando ha violato una regola cautelare, perché violandola ha reso prevedibile un evento dannoso o pericoloso che era evitabile osservando quella regola. La regola cautelare può essere elaborata da un “legislatore” di un organo. La regola cautelare può anche essere non scritta, cioè essere una regola che nasce dalla prassi dagli usi: in questo si dirà che la colpa dipende da imprudenza, negligenza e imperizia. La forma di colpa che nasce dagli usi si distingue dall’altra che invece nasce da un testo scritto: a. Colpa specifica: consiste nella violazione di una regola cautelare scritta b. Colpa generica consiste nella violazione di una regola cautelare non scritta ma di uso, di prassi; consiste in negligenza, imprudenza o imperizia; È una distinzione che ha delle ricadute pratiche importanti perché l’accertamento giudiziario è molto più semplice di fronte a una regola cautelare scritta che non di fronte a una regola cautelare non scritta. Ciò vale sia sul piano dell’accertamento sia sul piano della contestazione da parte del p.m., in quanto deve indicare le regole cautelari che sono state violate. Nella colpa generica, mancando la regola scritta, il giudice estrapola la regola con il criterio dell’agente modello. Infatti, il giudice deve individuare la regola cautelare (non gliela può dare il p.m. poiché non scritta), rapportandosi all’agente modello, cioè colui che risponde a quella categoria di soggetti in cui si trova l’imputato, chiedendosi se il comportamento dell’imputato è stato conforme a quello dell’agente modello. Più il comportamento si è allontanato, più grave è la colpa. - Causalità colposa/concretizzazione del rischio: è la corrispondenza tra l’evento che la regola vuole prevenire e l’evento effettivamente verificatosi: bisogna capire se l’evento verificatosi era una tipologia di evento che quella regola cautelare mirava a evitare. Se non c’è corrispondenza, non c’è la dimensione oggettiva della colpa. Non ci si può fermare agli elementi oggettivi poiché attribuiremmo un atteggiamento psicologico che in realtà non è un vero e proprio comportamento mentale ma è un qualche cosa di oggettivo. Perché la violazione di regola cautelare veramente abbia i connotati di atteggiamento mentale ci si deve chiedere se fosse stato possibile non violarla. L’elemento soggettivo è - Esigibilità dell’osservanza della regola cautelare: l’esigibilità, cioè la possibilità per il soggetto nella situazione concreta di osservare la regola, fa sì che la colpa sia un atteggiamento mentale. Forme di colpa: - Distinzione tra colpa generica e specifica: guarda alla tipologia di regola cautelare violata: se la regola cautelare violata è scritta si ha colpa specifica, cioè quella che l’art. 43 definisce come inosservanza di leggi, regolamenti, ordini, discipline; se invece la regola cautelare è una regola di usi, di prassi si avrà una forma di colpa generica, che è definita colpa per negligenza, imprudenza, imperizia; - Distinzione colpa incosciente e colpa cosciente: la regola generale prevede che si è inconsapevoli di cagionare situazioni di danno/pericolo (colpa incosciente); la colpa cosciente è una forma prevista 20 espressamente dal Codice come circostanza aggravante per tutti i delitti colposi al numero 3 dell’art. 61; - Distinzione colpa comune/ordinaria e colpa speciale/professionale: la colpa comune vale per tutti, laddove sorge un pericolo ci si deve fermare, si può agire fino a quando il proprio agire non diventi pericoloso, cioè fino a quando non diventa prevedibile la verificazione di eventi dannosi o pericolosi. Se si applicasse questo criterio alle attività pericolose ma socialmente utili si dovrebbe vietare tutto. Allora l’ordinamento trova un compromesso, che è quello di assumersi una fetta di pericolo, quella che ritiene tollerabile in un bilanciamento di interessi tra il beneficio che quella attività ci dà e il maleficio che l’eventuale danno provocherebbe. Fino a quando l’ordinamento ritiene superiore la percentuale di benefici rispetto a quella di danno si mantiene l’attività, oltre no. Le attività socialmente utili ma pericolose sono ammesse entro il limite del rischio consentito, ossia un rischio che viene incapsulato entro dei limiti ben precisi stabiliti dall’ordinamento attraverso specifiche regole cautelari. La regola cautelare che mi mantiene nel rischio consentito non mi garantisce che quell’evento dannoso o pericoloso non si verificherà, ma si manterrà in una percentuale bassa che lo stato si assume come rischio perché è maggiore il vantaggio che ne consegue quando conseguita corretta. La colpa speciale si ha quando colui che esercita un’attività socialmente utile ma pericolosa viola la regola cautelare speciale, cioè quella che lo avrebbe mantenuto entro il rischio consentito. Viola quella regola che lo fa sforare nel rischio non più consentito, e se questo rischio si concretizza in un evento dannoso o pericoloso si dirà che gli è attribuibile per colpa. Errore: L’elemento soggettivo del dolo e della colpa trova un limite nell’errore. L’errore fa venire meno il dolo e a certe condizioni anche la colpa, è una scusante: cioè una causa di esclusione della colpevolezza. In un reato si può commettere un errore in due fasi: - Errore nella fase ideativa/mentale del reato; - Errore nella fase esecutiva/attuativa del reato; Errore motivo: quello che si definisce scusante o causa di esclusione della colpevolezza è un errore che avviene all’inizio, nella fase ideativa. Esclude sempre il dolo ma non sempre la colpa. L’errore motivo trova disciplina all’art. 47 e all’art. 5. Si può distinguere in due grandi categorie a seconda di dove ricade l’errore: - Errore sul fatto: ricade sul fatto, cioè sulla fattispecie incriminatrice ed è disciplinato dall’art. 47. L’art. 47 dice che non è punibile colui che compie un errore su un elemento costitutivo del reato, salvo che quest’errore sia colposo e che il fatto commesso sia un delitto punito in forma colposa. Quindi un errore su un elemento costitutivo fa sempre cadere il dolo, non sempre fa cadere la colpa. Cade la colpa se l’errore è in buona fede, cioè un errore giustificabile, mentre non cade la colpa se l’errore è colposo, ed il fatto è previsto dalla legge come delitto colposo. - Errore sul precetto: ricade sulla qualificazione del fatto, cioè non ricade sul fatto in sé ma sulla natura giuridica di quel fatto ed è disciplinato all’art. 5. L’art. 5 dice che l’ignoranza della legge penale non scusa. Non fa venire meno il dolo, non scusa a meno che non sia un’ignoranza inevitabile incolpevole. Fino al 1988 la norma finiva con questa frase ma, con la sentenza n. 364/1988 della Corte costituzionale, la norma, oltre a divieto di responsabilità per fatto altrui diventa anche divieto di responsabilità per fatto proprio meramente oggettivo, cioè il fatto deve essere anche colpevole. 21 L’errore sul fatto che ricade su un elemento costitutivo, o in base all’art. 59, su una causa di giustificazione, può essere di due tipi: - Errore di fatto (art. 47 c.1): è un errore di percezione sensoriale (es. errore visivo, acustico, tattile); - Errore di diritto (art. 47 c.3): è un errore che dipende da ignoranza o erronea interpretazione di una disposizione extra-penale richiamata dalla fattispecie incriminatrice per il tramite di un elemento normativo; Imputazione preterintenzionale: Esiste una terza forma di imputazione soggettiva: l’imputazione preterintenzionale. Come la colpa, è eccezionale perché è ammessa solo se il legislatore prevede espressamente la fattispecie punibile a titolo preterintenzionale. E’ l’atteggiamento di chi vuole realizzare un fatto di reato meno grave che però sfocia in un risultato più grave di quello voluto, e quindi non voluto. Preterintenzionale significa oltre l’intenzione e consiste nella volizione di un evento offensivo meno grave dal quale scaturisce in modo non voluto un evento offensivo più grave. È una forma di imputazione esclusivamente prevista per i delitti, e solo nei casi previsti dalla legge. I delitti preterintenzionali sono: - Omicidio preterintenzionale (art. 584 c.p.): da percosse o lesioni scaturisce la morte non voluta; - Aborto preterintenzionale: punisce «chiunque provochi l'interruzione della gravidanza con azioni dirette a provocare lesioni alla donna». La legge sull’aborto del 1978 prevedeva l’aborto non voluto cagionato con percosse o lesioni dolose (c.d. aborto preterintenzionale) ma dal 2018 è stato trasformato in delitto colposo punito all’art. 593-bis c.p. (interruzione colposa di gravidanza). L’art. 42, dopo aver detto che il delitto è punibile sempre a titolo di dolo, salvo che la legge espressamente preveda l’imputazione colposa o l’intenzione preterintenzionale, aggiunge che la legge stabilisce i casi nei quali l’evento è altrimenti posto a carico dei soggetti. Con la parola “altrimenti” mi sta dicendo che la legge mi dice quando pone a carico del soggetto la responsabilità penale per l’evento in assenza di dolo, colpa, preterintenzione, e quindi la responsabilità oggettiva. Ciò espressamente consente l’imputazione oggettiva. Questa premessa è per dire che l’imputazione preterintenzionale nasce come una imputazione mista di dolo e responsabilità oggettiva: se prendiamo l’art. 584 che fino al ’78 era l’unica fattispecie delittuosa punita a titolo di preterintenzione, la norma dice che è punita con la reclusione da 10 a 18 anni colui che con atti diretti a ledere o a percuotere cagiona la morte non voluta. Quindi un atteggiamento doloso rispetto a quel fatto meno grave che è il fatto di percosse o di lesioni, e una mera responsabilità basata sulla materialità. Non è semplice capire da parte del giudice se veramente non c’è stata volizione rispetto all’evento più grave (morte, aborto, ecc.). La persona non dev’essersi rappresentata in alcun modo l’evento e sarà la dinamica dell’evento che consentirà al giudice di capire se c’è dolo o preterintenzione. A seguito della sentenza 364/1988 la Corte costituzionale invita il legislatore a espungere tutte le ipotesi esistenti di responsabilità oggettiva (fino ad allora consentite perché abbiamo detto che il legislatore poteva stabilire i casi in cui l’evento fosse posto a carico altrimenti, quindi in maniera diversa dall’imputazione). In alcuni casi è intervenuto il legislatore che ha trasformato l’imputazione oggettiva in imputazione soggettiva, mentre in altri casi è intervenuta la giurisprudenza e questo è accaduto, per esempio, rispetto all’omicidio preterintenzionale. La cassazione (la giurisprudenza di legittimità, quella che interpreta le norme) dopo il 1988 reinterpreta l’omicidio e l’aborto preterintenzionale in modo da rendere queste fattispecie conformi al principio di colpevolezza presente nell’art. 27 Cost. Per dare l’interpretazione costituzionalmente orientata ha reinterpretato la norma dicendo che l’evento più grave (morte nell’omicidio preterintenzionale e aborto nell’aborto preterintenzionale) non deve semplicemente essere provocato (non basta verificare in sede di 22 accertamento se c’è causalità tra le percosse o lesioni e la morte o lesioni) ma occorre verificare se c’è stato un atteggiamento di colpa generica, cioè se la morte è stata provocata con negligenza, imprudenza o imperizia. Se non si ha osservato una regola prudenziale allora gli si imputa la morte colposamente, salvando così l’art. 584 da possibili dichiarazioni di illegittimità costituzionale. Negli ultimi anni la giurisprudenza ha fatto un passo indietro rispetto alla definizione costituzionalmente orientata del principio di colpevolezza perché non richiede più la l’accertamento di una colpa generica rispetto all’evento morte ma si accontenta di accertare il dolo delle lesioni o percosse e il rapporto di causalità rispetto alla morte; questo perché dice che già la volontà di percuotere o ledere implica anche la volontà di una possibile morte. Quindi la morte viene oggettivamente imputata sulla base del mero nesso di causalità. Tesi sulla struttura della preterintenzione: - Dolo per evento meno grave + responsabilità oggettiva per evento più grave; - Dolo per evento meno grave + colpa generica per evento più grave; - Dolo dell’evento meno grave assorbe anche quello dell’evento più grave; Lo schema preterintenzionale in realtà noi lo troviamo anche in altre situazioni, e precisamente in due ipotesi: - Morte o lesione come conseguenza di altro delitto doloso, previsto all’art. 586. Es. forte minacce ad una persona anziana e cardiopatica che gli provoca un infarto. La base non è né lesione né percossa ma è una minaccia. Se da un delitto doloso si provoca lesione o morte non voluta si ha una conseguenza che è andata oltre l’intenzione e quindi si ha lo schema della preterintenzione. L’art. 586 prevede l’applicazione delle pene della lesione o dell’omicidio colposo aumentata di un terzo (poiché si parte da un fatto penale illecito doloso). - Delitti aggravati dall’evento. È una categoria che fino alla sentenza del 1988 era un’ipotesi di responsabilità oggettiva. È un delitto che ha un’ipotesi di base, per esempio i maltrattamenti contro i familiari. I commi successivi prevedono ipotesi aggravate, per esempio quando dal maltrattamento deriva una lesione grave, ecc. Questi delitti hanno la caratteristica che il legislatore richiama il fatto base e specifica che l’evento aggravante dev’essere non voluto (perché se lo fosse si avrebbero due reati autonomi). Eventi aggravatori = circostanze aggravanti. Con la sentenza 364 il legislatore è intervenuto trasformando l’imputazione oggettiva delle circostanze aggravanti in imputazione soggettiva (le circostanze aggravanti si applicano solo se conosciute o conoscibili, dove conoscibili vuol dire prevedibile, quindi provocate con colpa). Quindi il delitto aggravato dall’evento è un delitto con una circostanza aggravante rappresentata dall’evento più grave rispetto alla fattispecie grave, che fino al 1990 era attribuito sulla base del mero nesso di causalità come il delitto preterintenzionale, per poi nel 1990 essere resa ufficiale la necessità della colpa rispetto all’evento aggravatore. Responsabilità oggettiva: È la quarta forma di imputazione, oggi non consentita perché la responsabilità non basta che sia per fatto proprio materiale ma occorre che sia per un fatto proprio colpevole. Quando parliamo di responsabilità oggettiva ci riferiamo ad una responsabilità che prescinde dall’accertamento della colpevolezza e che va fondata quindi solo sul rapporto di causalità. Quindi si tratta di una responsabilità che prescinde dall’essere il fatto offensivo realizzato con dolo o colpa, ma che semplicemente è realizzato materialmente. C’è stata un’azione di depurazione del Codice da parte del legislatore delle ipotesi di responsabilità oggettiva. È un intervento che è stato ampio perché ci sono tantissimi delitti aggravati dall’evento dove l’evento aggravatore 23 è una circostanza (e quindi questo ha consentito di evitare che l’evento aggravatore venisse attribuito sulla mera base del rapporto di causalità). L’art. 42 dopo aver stabilito che: - il delitto deve considerarsi sempre doloso, salvo che la legge espressamente lo punisca a titolo colposo o preterintenzionale; - La contravvenzione è punibile indifferentemente per colpa o per dolo; - Aggiunge che la legge stabilisce i casi nei quali l’evento è posto altrimenti a carico dell’agente. «Altrimenti» significa in base al solo rapporto di causalità tra la condotta e l’evento offensivo, cioè per responsabilità oggettiva. I casi superati legislativamente di responsabilità soggettiva sono: - Imputazione delle circostanze aggravanti (art. 59); - Responsabilità del direttore di giornale per i reati commessi con il mezzo della stampa (art. 57 c.p.). Le ipotesi ancora esistenti di responsabilità oggettiva sono: - Concorso nel reato proprio (art. 117 c.p.); - Aberratio ictus bilesiva (art. 82, c. 2 c.p.); Le ipotesi superate con interpretazione costituzionalmente orientata da parte della giurisprudenza; - Pretereintenzione; - Concorso anomalo (art. 116 c.p.); Caso del concorso anomalo: quando più persone concorrono nella realizzazione di un reato ma poi, in corso di esecuzione, uno dei concorrenti ne realizza uno diverso: l’art. 116 dice che anche gli altri concorrenti ne rispondono a titolo di dolo anche se non lo hanno voluto, purché il reato diverso sia conseguenza anche del loro contributo. È chiaro che questa sia una responsabilità meramente oggettiva, cioè per il solo fatto di aver materialmente agevolato la realizzazione di quel reato. La Corte costituzionale già nel 1965 disse che questa norma non andava bene e l’ha reinterpretata dicendo che non basta per imputare la responsabilità a titolo di dolo del concorrente che non sa quello che sta succedendo, che il reato sia il risultato materiale anche del contributo del concorrente ma occorre che il reato diverso sia uno sviluppo logicamente prevedibile del reato pattuito. Quindi il concorrente ignaro risponde del reato inverso non sulla base del mero rapporto di causalità come espressamente richiede l’art. 116 ma sulla base di una colpa. Caso del concorso reato proprio: è un reato che può essere commesso solo da chi ha una certa qualifica. Viene imputato oggettivamente al concorrente che non ha qualifica ne sa che il compagno la abbia. Prende in considerazione la sotto ipotesi che uno dei concorrenti abbia la qualifica che rende il fatto sussumibile nel reato proprio, ma uno o più dei concorrenti non lo sappia e quindi creda di realizzare il reato comune. L’art. 117 dice che anche chi non è a conoscenza della qualifica, comunque risponde del reato più grave: ipotesi di responsabilità oggettiva. Responsabilità del direttore di un giornale/intervista per reato commesso per mezzo della stampa del giornalista: originariamente il Codice del ’30 all’art. 57 diceva che del reato rispondeva anche il direttore per il solo fatto di essere nella posizione di direttore (responsabilità di posizione). Si trattava quindi addirittura di responsabilità per fatto altrui. Con la nascita della Costituzione e del divieto di responsabilità penale per fatto altrui, l’articolo 57 è stato modificato dicendo che il direttore di un giornale o rivista che omette per 24 colpa il doveroso controllo sul giornale risponde di reato di omesso controllo della rivista, un delitto colposo (non risponde del delitto di diffamazione). Aberratio/errore inabilità: C’è un’altra ipotesi di responsabilità oggettiva: abberatio ictus bilesiva. L’aberratio è previsto nel Codice penale agli articoli 82 (aberratio ictus) e 83 (aberratio delictis). Qui possiamo individuare possibili responsabilità oggettive, Si parla di errore in fase esecutiva, infatti le due norme esordiscono con un presupposto: “per errore nell’uso dei mezzi di esecuzione o per altra causa (causa differente da un mio errore, per es. lo spostamento della vittima)”. In relazione a questo errore esecutivo possono accadere due cose: - Aberratio ictus commettere il delitto voluto ma ai danni di una persona diversa. Quando per errore nell’uso dei mezzi di esecuzione o per altra causa, si commette il reato a danno di persona diversa, si risponde comunque di fatto doloso, perché il dolo è volontà del fatto astratto, descritto dalla norma, e non del fatto concreto. es. la vittima si sposta e io sparo ad un’altra persona o non so usare l’arma e sbaglio mira. L’art. 82, c. 2 c.p. disciplina l’aberratio ictus bilesiva, ossia l’offesa recata a due soggetti, anziché solo alla vittima destinata, sempre per errore in fase esecutiva: è ipotesi d’imputazione oggettiva, in quanto punita con la pena prevista per il reato più grave (anziché per quello voluto) aumentata fino alla metà. L’art. 82 è disciplinato secondo le normali regole del dolo. Questo perché il dolo è rappresentazione e volizione del fatto tipico, con cui si intende fatto astrattamente descritto e non concreto. C’è un’ipotesi di responsabilità oggettiva ancora esistente, ossia l’ipotesi di aberratio ictus bi-lesiva, prevista nel secondo comma dell’art. 82. Si ha quando per errore oltre all’obiettivo si colpisce anche un’altra persona. In questo caso si applica la pena prevista per il reato più grave commesso, che teoricamente potrebbe essere anche il reato non voluto, con un aumento fino alla metà in relazione al fatto che i reati commessi sono stati due. Quindi parlando di applicazione prevista per la pena più grave si sta operando una responsabilità oggettiva - Aberratio delictis :realizzare un reato diverso da quello voluto, es. volevo uccidere tizio ma si è spostato e ho ferito caio. Quando per errore nell’uso dei mezzi di esecuzione o per altra causa, si commette un reato diverso da quello voluto, si risponde di questo a titolo di colpa. In caso di realizzazione del reato voluto e di altro diverso, si applicano le regole del concorso di reati. L’art. 83 disciplina l’aberratio delictis dicendo che si risponde a titolo di colpa del reato diverso realizzato (non c’è responsabilità oggettiva). Se poi i reati realizzati sono entrambi, il secondo comma dice che si applicano le norme sul concorso di reati. Forme di manifestazione del reato: Una volta che il reato esiste, il primo libro del Codice penale disciplina anche particolari forme di realizzazione del reato, fermo restando che il reato deve essere accertato in tutti i suoi elementi (oggettivo, soggettivo, assenza di cause scriminanti, suitas, ecc.). Una prima forma è quella che il reato non sia meramente realizzato come descritto nella fattispecie incriminatrice, ma con degli elementi aggiuntivi, che possono essere di natura oggettiva o elementi di natura psicologica, possono essere elementi che determinano una maggiore offensività del reato, oppure elementi che determinano una minore offensività del reato. Gli elementi che determinano una maggiore o minore offensività del reato incidono sulla pena, e sono le circostanze, che possono essere aggravanti o attenuanti. Circostanze: 25 Le circostanze sono situazioni, condizioni, fattori che incidono sul fatto di reato o nel senso di renderlo maggiormente offensivo (aggravanti) o nel senso di renderlo meno offensivo (attenuanti) e comportano, rispettivamente) un aumento o una diminuzione di pena al di fuori dei limiti edittali (extraedittale). Più volte abbiamo detto che per rispettare il principio di colpevolezza e la differenziazione di responsabilità tra i singoli soggetti, il legislatore non prevede mai una pena fissa

Use Quizgecko on...
Browser
Browser