Introduzione alla Psicologia della Comunicazione - PDF
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This document provides an introduction to communication psychology. It details the structure, meaning, and rules behind communication, explaining various models, theories, and concepts. The text explores intentional and non-intentional communications, focusing on their context and impact.
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INTRODUZIONE ALLA PSICOLOGIA DELLA COMUNICAZIONE CAPITOLO 1: CONCETTI DI BASE DELLA COMUNICAZIONE 1.1 Definizione e struttura della comunicazione La comunicazione è un’attività complessa, che si sviluppa nelle relazioni interpersonali. È il mezzo più naturale e più efficace che l’umano possiede p...
INTRODUZIONE ALLA PSICOLOGIA DELLA COMUNICAZIONE CAPITOLO 1: CONCETTI DI BASE DELLA COMUNICAZIONE 1.1 Definizione e struttura della comunicazione La comunicazione è un’attività complessa, che si sviluppa nelle relazioni interpersonali. È il mezzo più naturale e più efficace che l’umano possiede per scambiarsi contenuti di tipo emotivo e cognitivo; questo scambio può avvenire sia che gli individui condividano spazio e tempo, sia che non li condividano. La comunicazione avviene in un ambiente sociale. La dinamica relazionale si instaura tra due individui, i quali devono condividere sistemi di segni significativi, sistemi di segni e significati e sistemi di regole e convenzioni. Questi sistemi servono a regolare gli scambi e i contenuti che da essi scaturiscono. La comunicazione è stata oggetto di studio di varie discipline: linguistica (nascita della disciplina semiotica), della sociologia e della psicologia. Nel corso del tempo sono stati realizzati una serie di modelli che si proponevano di descrivere la struttura della comunicazione. Il modello di Shannon e Weaver formulato nel 1949 descriveva la comunicazione come esposta da più elementi: a) sorgente da cui parte un messaggio che arriva ad un apparato trasmettitore. b) il messaggio viene trasformato tramite un processo di codifica in segnale tramite un canale. c) il segnale raggiunge poi un apparato ricevente e tramite un processo di decodifica viene ritrasformato in messaggio. d) il messaggio giunge al destinatario. A questo modello viene aggiunto l’elemento del rumore, con il quale si fa riferimento a qualsiasi interferenza nella corretta trasmissione del segnale. I rumori possono essere di natura fisiologica, psicologica o esterna. Il modello può descrivere la molteplicità di comunicazioni che vengono effettuate nella vita di tutti i giorni, ma tiene poco conto dell’intenzionalità associata all’espressione dei messaggi e del contesto in cui i messaggi vengono trasmessi. 1.2 Significato, intenzionalità e contesto Durante la comunicazione vengono trasmesse delle informazioni che si suppone dotate di significato. Il significato è un concetto centrale nella comunicazione e il suo studio risale fin dall’antichità; l’indagine moderna ha sviluppato una disciplina specifica, con il nome di semiotica, che si occupa di definire le modalità con cui viene costruito il significato e di come i soggetti danno un senso ai contenuti della comunicazione. Ci sono tre elementi che costituiscono il significato e vengono raffigurati nel triangolo semiotico: 1) simbolo, sistemi segnici utilizzati negli scambi comunicazionali; 2) referenza, l’idea che corrisponde al simbolo; 3) referente, realtà rappresentata dal simbolo. Il simbolo ha un rapporto diretto con il concetto (quindi con la referenza) e non con l’oggetto concreto (quindi con il referente). L’emittente quando dà l’avvio al processo manifesta l’intenzionalità comunicativa al ricevente, che a sua volta interpreta il messaggio attribuendoli intenzionalità comunicativa; la comunicazione è così regolata da un gioco di reciprocità intenzionale in cui l’emittente esprime un’intenzionalità che vinee interpretata dal ricevente. Nella comunicazione l’individuo esprime l’intenzionalità di esprimere qualcosa che per il ricevente possa avere un qualche significato. L’intenzionalità può esprimersi in vari livelli e a questo proposito Grice (1975) ha introdotto una distinzione tra due livelli: a) intenzionalità informativa, con la quale l’emittente vuole trasmettere un messaggio che possa incrementare le conoscenze del ricevente, b) intenzionalità comunicativa, l’emittente vuole coinvolgere il ricevente così da condividere meglio il contenuto del messaggio. 1 I messaggi possono essere interpretati diversamente a seconda del contesto; infatti, ci sono tanti significati tanti quanti sono i contesti. Il contesto aiuta a fare collegamenti logici, unendo queste info con ciò che già sa. [Approfondimento: i processi inferenziali sono operazioni mentali che permettono di dedurre nuove informazioni a partire da ciò che si conosce. Sono ragionamenti che ci aiutano a collegare dati, contesti, conoscenze pregresse per capire meglio un messaggio o una situazione]. Anolli ritiene che i processi inferenziali potrebbero portare un miglioramento della comprensione dei processi comunicazionali poiché riduce elementi di ambiguità mediante l’eliminazione progressiva delle ipotesi errate e il consolidamento di quelle già verificate. Esempio: “Sono già le otto”, se questa frase viene detta da due persone che stanno correndo in stazione potrebbe voler indicare che sono in ritardo, mentre se viene detta da due persone che sono sedute al bar vorrebbe poter indicare che è tempo di andare. Questo esempio mostra come il contesto aiuti in particolare a capire il messaggio non solo nel suo significato letterale, ma anche in quello implicito, combinandolo con cose che già sanno. Questo processo si chiama implicatura conversazionale e permette a chi ascolta di cogliere meglio le intenzioni di chi parla, rendendo la comunicazione più efficace. 1.3 Regole della comunicazione L’interazione comunicativa si alimenta con delle regole, che permettono la gestione efficiente degli scambi comunicativi. Grice ha dato un importante contributo alla formulazione delle regole; riteneva che fosse sempre possibile individuare uno scopo comune rispettando un principio di cooperazione. Questo principio assume un accordo di fondo tra i partecipanti che si impegnano a dare il proprio contributo al momento opportuno. Questo principio si articola in quattro regole o massime conversazionali che permettono ai partecipanti di interpretare correttamente i contenuti e gli obiettivi degli scambi. 1) quantità: si devono fornire le informazioni utili a comprendere il messaggio (non devono essere ridondanti e nemmeno superflue). 2) qualità: si assume che le informazioni siano vere e che possano essere provate da prove adeguate. 3) relazione: i partecipanti devono dare informazioni pertinenti alla conversazione. 4) modo: si deve considerare il modo in cui il messaggio viene espresso, cercando di essere chiari. Il principio di cooperazione è alla base di un modello inferenziale che spiega come funziona la conversazione, che è una particolare forma di comunicazione. Nella conversazione si sviluppano delle inferenze che permettono di comprendere meglio ciò che viene detto. Nella conversazione è importante rispettare delle regole per gestire i turni di parola (avvicendamento dei turni) e queste regole aiutano a far procedere la conversazione in modo fluido ed evitare difficoltà nel fare due cose contemporaneamente (ascoltare e parlare insieme). Duncan (1972) si occupò di individuare delle strategie sull’avvicendamento dei turni e analizzando registrazioni di dialoghi. Ha identificato vari segnali, sia verbali che non verbali, che mostrano quando si vuole: - cedere il turno → il parlante può usare un tono di voce calante o pronunciare l’ultima sillaba in modo allungato. - richiedere il turno → si possono usare parole brevi come “ma” o “beh”, accompagnate da momenti in cui le voci si sovrappongono. - mantenere il turno → cambio dell’intonazione, pause piene (con suoni vocali) o vuote (silenzio), magari evitando lo sguardo diretto verso l’altro. Questi segnali aiutano a gestire i turni di parola in modo chiaro e fluido. 1.4 Comunicazione come azione Il processo comunicativo può essere visto come una sequenza di azioni, in cui dire qualcosa equivale ad agire. 2 Questo concetto sta alla base della teoria di Austin (1962), il quale sosteneva che l’uso del linguaggio equivaleva a mettere in atto un’azione. In questa prospettiva si parla di atti linguistici e ne individua principalmente tre: 1) atti locutori → ciò che una persona dice 2) atti illocutori → intenzioni di chi parla, ovvero il motivo per cui si dice qualcosa 3) atti perlocutori → effetti che le parole hanno su chi ascolta. Questa teoria evidenzia che la comunicazione ha sempre un’intenzione e che un messaggio trasmette più di un semplice significato letterale. Gli atti linguistici si distinguono anche per la forza con cui vengono espressi: - atto locutorio → tono di voce - atto illocutorio → scelta delle parole - atto perlocutorio → effetti che il messaggio ha sull’interlocutore, che è influenzato dalle proprie credenze e da come interpreta l’evento. 1.5 Competenza comunicativa Definire cosa sia la competenza comunicativa è complesso. Parks (1994) riteneva che riguardasse il raggiungimento di obiettivi in una data situazione sociale, senza che questo compromettesse la sua capacità di raggiungere altri scopi. L’intenzionalità e la consapevolezza sono fondamentali e i collegano all’efficacia della comunicazione. La competenza comunicativa si compone di tre aspetti principali: 1) sintattica → riguarda la forma del messaggio. Riguarda la capacità di creare frasi corrette dal punto di vista grammaticale e di capirle. Ci permette di riconoscere la categoria grammaticale di una parola (nome, verbo) e di sapere se è plurale, singolare, maschile, femminile. Una frase è una sequenza di parole organizzate secondo regole grammaticali. Ci aiuta a capire il ruolo che le parole hanno nella frase e come sono collegate tra loro. “Il leone attacca il coccodrillo” e “Il coccodrillo attacca il leone” hanno le stesse parole ma significato diverso. 2) semantica → riguarda il contenuto del messaggio. È la capacità di collegare le parole a oggetti, eventi, situazioni. È importante perché chi parla e chi ascolta deve dare lo stesso significato alle parole. Esempio: “fiera”, può indicare l’animale, oppure il mercato. Il contesto, ovviamente, aiuta a capire meglio il significato giusto della parola. 3) pragmatica → riguarda il contesto in cui avviene la comunicazione. Significa pensare non solo a quello che si sta dicendo, ma anche al modo in cui lo si dice. Possiamo migliorare la competenza sintattica e quella semantica, anche se è quella pragmatica ad essere importante quando si vuole comunicare in modo efficace. 1.6 Comunicazione verbale È importante all’interno di una comunità una trasmissione di informazioni efficienti. Il linguaggio verbale è uno dei segreti dell’evoluzione dell’uomo e utilizza parole per riferirsi a oggetti, eventi, situazioni. Le parole non bastano e i concetti che vengono espressi sono collegati da vari tipi di relazioni che definiscono la sintassi della lingua. Esempio: il bambino mangia la mela. Il bambino → soggetto dell’azione Mangia → verbo dell’azione La mela → oggetto dell’azione La psicolinguistica studia i processi mentali coinvolti nella comprensione e produzione del linguaggio. Questa disciplina si basa sul lavoro di Noam Chomsky, che nel 1957-1965 propose 3 un’idea secondo la quale i bambini acquisiscono una lingua grazie ad un meccanismo innato chiamato LAD (Language Acquisition Device). La teoria di Chomsky è nota come generativo-trasformazionale e include due tipi di regole: 1) regole di riscrittura → descrivono la struttura della frase. Consiste nella riscrittura di simboli in altri simboli e viene applicata fino a che non si ottiene una linea di elementi non più scomponibile. 2) regole trasformazionali → operazione che agisce sulla struttura superficiale della frase e che va a produrre una frase diversa da quella da cui si è partiti. Esempio: la mela è mangiata dal bambino. Chomsky fece un’ulteriore distinzione tra struttura profonda (significato) e struttura superficiale della frase (sintassi della frase). Ci sono casi in cui la struttura superficiale della frase rimane la stessa ed è solo la struttura profonda a subire una modifica, il che capita perché si assegna un ruolo sintattico diverso ai vari elementi che compongono la frase, come in questo esempio: “la vecchia legge la regola” (legge può essere interpretato come verbo della frase oppure come nome, facendo assumere alla frase un significato totalmente diverso). Chomsky riteneva che la frase dichiarativa attiva fosse la più semplice e le varie trasformazioni richiedono sempre più lavoro cognitivo, che aumenta all’aumentare della difficoltà. In ordini di difficoltà: frase attiva, frase passiva, frase negativa, frase passiva negativa. Slobin nel 1966 provò l’importanza del significato. Fece un esperimento in cui veniva mostrato ai partecipanti un disegno che descriveva il significato di una frase e il loro compito era quello di giudicare se la frase corrispondeva al disegno premendo un tasto V o F. Le condizioni sperimentali erano due: a) “Il cane insegue il gatto” o “Il gatto è inseguito dal cane” b) “La ragazza annaffia i fiori” o “I fiori sono annaffiati dalla ragazza”. Nella condizione (a) la frase passiva impiegava più tempo per essere elaborata, mentre nella condizione (b) il tempo di comprensione era pressocché uguale sia per la frase attiva che per quella passiva. Le informazioni che derivano dalle parole nella frase sono utili per capire e interpretare la frase stessa. È possibile vedere un gatto che insegue un cane, ma non è possibile vedere dei fiori che innaffiano una ragazza. In generale si pensa che il significato delle frasi passive e delle frasi attive sia lo stesso e spesso vengono usate come parafrasi. Nel caso delle frasi negative il significato cambia. Si presume che frasi attive, passive, negative trasmettano un significato preciso e privo di ambiguità, ma non è così semplice. Wegner e colleghi hanno studiato gli effetti delle insinuazioni indotte dai mezzi di comunicazione di massa e nell’esperimento i partecipanti dovevano esprimere un giudizio sui candidati che si erano presentati alle elezioni comunali. I nomi erano di fantasia e così anche le informazioni su di loro. Le categorie erano quattro: affermativa, negativa, interrogativa e neutra. Dai risultati si è visto che le frasi affermative portavano a giudizi negativi, mentre quelle neutre a giudizi meno negativi. Quelle interrogative e negative portavano alla formulazione di un ugual numero di giudizi negativi. Questo è un fenomeno chiamato innuendo effect, che si rifà ai principi di cooperazione. Le persone assumono che le info siano veritiere e plausibili, se no perché il giornale le farebbe apparire oppure perché si penserebbe una data cosa su una persona se non ci sono delle prove anche minime? [ l'innuendo effect è un fenomeno psicologico e linguistico in cui un'affermazione o un suggerimento implicito, porta una persona a fare un'inferenza che influenza il suo giudizio o percezione. Questo effetto si verifica quando un messaggio sembra neutrale o vago in superficie, ma lascia intendere qualcosa di negativo o controverso. Un giornalista potrebbe dire: "Non ci sono prove che il politico X abbia rubato soldi pubblici." Anche se la frase è tecnicamente una negazione, può insinuare il dubbio che il politico sia sospettato di furto, portando a una percezione negativa. 4 L'innuendo effect è spesso usato nella comunicazione strategica, nella pubblicità o in politica per manipolare opinioni senza fare accuse dirette, evitando così responsabilità legali o etiche. Questo effetto sfrutta la tendenza delle persone a "riempire i vuoti" con supposizioni basate sul contesto o sulle proprie convinzioni preesistenti. In sintesi, il termine descrive l'impatto delle implicazioni sottili o delle allusioni sul modo in cui le persone interpretano informazioni apparentemente neutrali.] Chomsky distinse due concetti: - competenza linguistica → conoscenza implicita delle regole di una lingua. - esecuzione → competenza linguistica realmente osservata. La distinzione tra queste due ha permesso ai linguisti di capire perché ciò che una persona dice non sempre corrisponde a quello che dovrebbe sapere. Questo si può notare dagli errori che si fanno parlando oppure dalla fatica a capire qualcosa. Oggi la ricerca psicolinguistica si concentra nel creare modelli che spieghino come funzionano i processi di comprensione e produzione del linguaggio. Questi modelli devono tenere conto dei limiti delle risorse mentali (attenzione e memoria). Le frasi con doppia negazione richiedono un tempo di comprensione ed elaborazione più lungo di altre, richiedono più sforzo mentale. Frasi complesse con molte subordinate sono, anch’esse, più difficili da capire. Un modello completo deve considerare tutti i fattori che influenzano la comprensione e la produzione del linguaggio, come la pronuncia (fonologia), la struttura della frase (sintassi), il significato (semantica), il contesto (pragmatica). CAPITOLO 2: COMPRENSIONE E PRODUZIONE DI MESSAGGI 2.2 Facoltà linguistica Il linguaggio è una delle facoltà cognitive, insieme alla percezione, all’attenzione, alla memoria e al pensiero. Il linguaggio in particolare è uno strumento complesso, ma è sorprendente quanto i bambini riescano ad apprenderlo così velocemente. In poco tempo riescono a comprendere il significato delle parole, poi a dire loro stesse delle parole, successivamente a metterle insieme e a formare delle frasi, fino a creare delle frasi nuove da quelle apprese dai genitori. La capacità di creare un numero infinito di frasi a partire da un numero finito di parole, è quella che gli studiosi chiamano produttività linguistica. È un’abilità che possiedono sia bambini che adulti, ma è interessante osservare che gli adulti correggono i bambini da un punto prettamente di contenuto e non di grammatica. Come possono quindi acquisire le conoscenze di grammatica se nessuno gliele ha insegnate prima che vadano a scuola? È un fattore straordinario ed è questo uno degli aspetti che più caratterizzano il linguaggio verbale e lo distinguono dai sistemi di comunicazione di altre specie; ovvero la possibilità di combinare simboli per produrre dei significati complessi. Esempio: “Anna ama Andrea” e “Andrea ama Anna” sono due frasi apparente uguali, anche se cambia totalmente il significato della frase. La comprensione delle frasi proviene dalla conoscenza delle regole sintattiche (esempio: il verbo deve concordare con il nome in numero e quantità), ovvero di quelle regole che governano la relazione tra le parole. È una conoscenza implicita; infatti, i bambini sono in grado di formare delle frasi sintatticamente corrette prima di essere scolarizzati. Le regole della sintassi rendono unico il linguaggio dell’uomo; è una tesi di Noam Chomsky, idea con la quale inaugurò la linguistica generativo-trasformazionale nella seconda metà del 900. Riteneva che le differenze tra le lingue fossero essenzialmente di tipo superficiale. Le lingue sono di per sé l’una diverse dalle altre, ma ci sono alcuni elementi comuni a tutte, che vengono chiamati universali linguistici. A questo proposito possiamo pensare alla lingua come ad una piramide, alla cui base troviamo le unità più semplici (fonemi, morfemi, etc.) e alla sua sommità gli elementi più complessi (testi e discorsi). 5 2.3 Fonemi Tutte le lingue possiedono un sistema fonologico, ovvero un insieme di fonemi (f,v,t,r) che sono le parti più piccole di cui sono composte le parole. È bene dire che non sono da confondere con le lettere e che la corrispondenza tra fonemi e grafemi varia da lingua a lingua. Ci sono le lingue trasparenti come l’italiano e lo spagnolo, in cui la corrispondenza tra grafemi e fonemi è buona. Nelle lingue opache la corrispondenza tra grafema e fonema è bassa, come nel francese o nell’inglese. In una lingua due suoni sono considerati fonemi diversi se sostituendoli l’uno con l’altro danno luogo a parole diverse: suono e tuono. Nessuna lingua ha in sé l’intero repertorio di fonemi. Molte ricerche hanno dimostrato che alla nascita un neonato è in grado di produrre qualsiasi genere di suono e che questa abilità nel corso degli anni si va a perdere. Se fin dalla nascita non siamo esposti a determinati tipi di suoni, perdiamo la facoltà di discriminare tra di essi ed è questo uno dei motivi per cui da adulti è più difficile acquisire una lingua, soprattutto se il repertorio fonemico è diverso dalla nostra lingua d’origine. 2.4 Morfemi e parole Combinazioni di fonemi danno vita a parole diverse, anche se non tutte le combinazioni sono consentite: 1) darta è una pseudoparola o non-parola; infatti, da un punto di vista della pronuncia è accettabile perché segue delle regole fonotattiche della nostra lingua e “suona” come possibile, ma da un punto di vista del significato, non vuol dire nulla, almeno per noi. 2) datza, è una non-parola irregolare, perché nonostante possa essere pronunciata anche se con un po' di fatica, non suona come italiana (“tz” non si incontra nella lingua italiana). 3) dstr, è una non-parola illegale perché non è pronunciabile a causa delle possibilità fonotattiche della lingua italiana. Sequenze di fonemi formano i morfemi, che sono le unità più piccole dotate di significato; per esempio, gatt- è la radice di parole di significato simile come gatt-o, gatt-ino, gatt-one. Alcune parole sono costituite da singoli morfemi e sono chiamati morfemi liberi, come: sì, infatti, radio, spesso; invece, molti altri morfemi vengono uniti ad altri per formare parole e si parla di morfemi legato (gatt + o, dove “o” è il morfema legato). È importante segmentare le parole che compongono le frasi ed è una capacità che è utile nel momento in cui parliamo con una persona che parla una lingua differente dalla nostra. La struttura con cui si vanno a disporre le parole all’interno di una frase è chiamata sintagma. La “testa” del sintagma è la parola fondamentale, mentre gli altri elementi sono detti “modificatori”. Si distinguono poi i sintagmi nominali, verbali, preposizionali. Il sintagma è l’elemento minimo e principale della frase. La maggior parte delle frasi è composta da un sintagma nominale e da uno verbale. 2.5 Frasi e regole sintattiche Precedentemente abbiamo accennato agli universali linguistici: 1) ciascuna lingua ha un numero finito di fonemi. 2) da un numero finito di fonemi è possibile costruire un numero infinito di parole. 3) la relazione tra ciascuna parola e il proprio significato è arbitraria; infatti, lo stesso significato può essere espresso in diverse lingue attraverso diverse etichette linguistiche (cane, dog, chien). 4) in qualsiasi lingua è possibile produrre un numero infinito di frasi. 6 Nella produzione di frasi la combinazione tra le parole segue delle regole il che ci fa comprendere che una frase come “il cane con la volentieri mio gioca la palla” non è una frase corretta. Le regole della sintassi governano il modo in cui le parole sono disposte all’interno di una frase e queste variano da lingua a lingua (in italiano soggetto-verbo-oggetto, mentre in giapponese soggetto- oggetto-verbo; in italiano l’aggettivo segue il nome, mentre in inglese lo precede). Per comprendere una frase, un discorso, è necessario assegnare a ciascuno degli elementi della frase un ruolo grammaticale e da qui si capisce che “Anna ama Andrea” e “Andrea ama Anna” sono due frasi diverse: Anna nella prima è il soggetto dell’azione, mentre nella seconda è l’oggetto che “subisce” l’azione. Per comprendere una frase è necessario recuperare il significato delle frasi che la compongono. Poche parole, quelle onomatopeiche, hanno una relazione non arbitraria tra voce lessicale e concetto. 2.6 Come interagiscono sintassi e semantica Comprendere una frase significa essere in grado di crearsi una rappresentazione mentale di ciò che il parlante sta dicendo. La comprensione di una frase è comunque, frutto di un processo complesso. Sono effettuati, nel processo, tre tipi di elaborazione: 1) fonologica/ortografica → vengono identificati e riconosciuti i singoli fonemi che compongono gli elementi di una frase. 2) sintattica → a ciascun elemento viene assegnato un preciso ruolo sintattico. 3) semantico → per ciascuna parola viene recuperato il corrispondente significato. Le elaborazioni si uniscono e si concretizzano nell’interpretazione della frase. Il dibattito, ancora vivo tra gli esperti di linguaggio, riguarda come i diversi tipi di elaborazione si influenzino tra loro. Attualmente, esistono due principali tipi di modelli: i modelli seriali e quelli interattivi. Entrambi concordano su alcuni punti, come l'importanza dell'elaborazione sia sintattica che semantica, e sull'idea che queste avvengano in parti separate del sistema linguistico. Tuttavia, differiscono nel definire il rapporto tra queste due componenti. 2.7 Modelli interattivi e modelli seriali I modelli interattivi (ad es. Marslen-Wilson 1975; MacDonald et al. 1994) suggeriscono che le diverse parti coinvolte nella comprensione di una frase collaborano tra loro. Dopo un primo vantaggio della componente che analizza i suoni o le lettere (fonologica/ortografica), le informazioni provenienti dall'elaborazione sintattica e semantica si combinano continuamente durante l'analisi della frase, contribuendo insieme al significato finale. Al contrario, i modelli seriali (ad es. Forster 1979; Frazier e Rayner 1982) sostengono che i diversi livelli di elaborazione lavorano in modo indipendente. In questa visione, il sistema linguistico completa prima un livello di analisi (ad esempio, quella sintattica) e solo dopo passa al successivo (come l'analisi semantica). Per le singole parole, l'analisi sintattica avviene prima di quella semantica, anche se per diverse parti della frase i due processi possono lavorare in parallelo. Ad oggi, non ci sono prove empiriche sufficienti per confermare con certezza una delle due teorie. Questo potrebbe dipendere dal fatto che le attuali tecniche di ricerca non riescono a rilevare con precisione come funzionano questi meccanismi. È interessante soffermarsi sulle diverse ambiguità presenti nel linguaggio. Come spiega Tabossi (1999), queste ambiguità possono verificarsi a vari livelli, come quello fonologico, semantico o sintattico. Livello fonologico: quando ascoltiamo una frase, percepiamo un flusso continuo di suoni, il che può portare a ambiguità temporanee durante il riconoscimento delle parole. Ad esempio, immaginiamo 7 di ascoltare un’intervista con una famosa attrice in cui il conduttore dice: «Lei è una donna bella, ricca e famosa, di/amanti famosi ne ha avuti molti?». Il nostro cervello potrebbe interpretare "diamanti" o "amanti" a seconda di come segmenta i suoni. Alcune ambiguità, come quella della frase iniziale di questo capitolo, si risolvono solo considerando il contesto più ampio. Livello semantico: come nella frase «Bello quel merlo!», dove non è chiaro se ci si riferisce all’uccello o a un elemento architettonico. Livello sintattico: ci sono ambiguità strutturali. Un esempio è «Il poliziotto insegue il ladro con la pistola», dove non si capisce se la pistola appartenga al poliziotto o al ladro. La scelta di un’interpretazione rispetto all’altra è ancora oggetto di studio, con l’obiettivo di comprendere meglio i processi che avvengono durante la comprensione delle frasi. Prendiamo la frase «Le hanno assegnato un incarico che svolgerà con grande entusiasmo ieri». Probabilmente, la maggior parte delle persone inizialmente interpreta «che svolgerà con grande entusiasmo ieri» come un unico blocco grammaticale. Tuttavia, arrivando all’ultima parola (ieri), ci si rende conto che questa interpretazione non funziona: l’avverbio ieri non si accorda con il verbo al futuro (svolgerà). Questo porta a rivedere il significato, capendo che ieri si riferisce al momento in cui è stato assegnato l’incarico, non a quando sarà svolto. Esempi come questo suggeriscono che nella comprensione delle frasi ci siano regole regolari su come analizziamo la struttura sintattica. In altre parole, se tendiamo a scegliere una certa interpretazione con costanza, significa che seguiamo uno schema grammaticale specifico. 2.8 Strategie di analisi sintattica La strategia dell'attaccamento minimale, proposta da Frazier (1978), suggerisce che il nostro cervello tende a costruire strutture grammaticali il più semplici possibile durante la comprensione di una frase. Ad esempio, nella frase: "L’avvocato decise le argomentazioni più convincenti preparò l’arringa finale", inizialmente sembra sgrammaticata. Diventa comprensibile solo reinterpretando il verbo decise come participio passato: "L’avvocato, una volta decise le argomentazioni più convincenti, preparò l’arringa finale". Al contrario, la frase: "L’avvocato decise le argomentazioni più convincenti e le propose ai colleghi", è più facile da capire perché è formata da due frasi semplici con struttura chiara. Un altro esempio riguarda frasi come: "Il poliziotto guardava il ladro con il binocolo". Qui, "con il binocolo" è interpretato come parte del verbo guardava perché è la struttura più semplice. Tuttavia, nella frase: "Il poliziotto guardava il ladro con la pistola", questa interpretazione non funziona, perché non si guarda con una pistola. Studi hanno dimostrato che frasi ambigue come questa richiedono più tempo per essere comprese, dato che bisogna rianalizzare la struttura. La strategia della chiusura differita, invece, prevede che ogni nuovo elemento venga collegato all’ultima parte analizzata, se grammaticalmente possibile. Ad esempio, nella frase: "Sono passato a prendere l’amico del ragazzo che è arrivato ieri", si tende a collegare "ieri" al ragazzo, non all’amico. Un altro esempio è: "Prima che il re cavalchi il suo meraviglioso cavallo bianco viene sempre strigliato". Qui, inizialmente si associa "il suo meraviglioso cavallo bianco" al verbo cavalchi, ma questa interpretazione fallisce, e bisogna rianalizzare la frase. In una versione più chiara: "Prima che il re cavalchi il suo meraviglioso cavallo bianco questo viene sempre strigliato", l’interpretazione risulta immediatamente più semplice. La strategia della catena minima, proposta da De Vincenzi (1991), suggerisce che il nostro cervello cerca di evitare connessioni inutili. Ad esempio, nella frase: "Chi ha chiamato Andrea?", "Chi" viene interpretato prima come soggetto (chi chiama Andrea), perché questa è la struttura più semplice. Studi dimostrano che ci vuole più tempo per comprendere frasi in cui l’interpretazione iniziale deve essere corretta, come: "Chi hanno chiamato i poliziotti?". 8 Infine, ci sono frasi in cui le ambiguità passano inosservate perché risolte dal contesto, come: - "Dobbiamo spostare la cena di pesce/Pasqua/Paolo". Capiremo che si parla di una cena a base di pesce, una cena per Pasqua o organizzata da Paolo. Alcune ambiguità, invece, possono generare equivoci o essere divertenti, come nei titoli di giornale: - "Condannato per stupro a 5 anni" (meglio sarebbe "Condannato a 5 anni per stupro"). - "Matrimoni gay: apertura del sindaco di New York" (il sindaco si è sposato?). Questi esempi mostrano quanto sia complesso il processo di comprensione del linguaggio e come spesso risolviamo le ambiguità automaticamente. 2.9 Il ruolo della prosodia Per prosodia ci si riferisce al ritmo, all’intonazione e alle pause di una frase; tutti elementi che possono fornire informazioni molto utili per capire un messaggio. Tuttavia, gli psicolinguisti si sono occupati meno della prosodia rispetto ad altri aspetti del linguaggio, e solo negli ultimi 25 anni si è iniziato a studiarla più a fondo. Alcuni studi hanno mostrato come la prosodia aiuti a guidare l’ascoltatore nell’interpretare una frase. Questo non significa però che gli studi sulla sintassi siano inutili. Ci sono due motivi principali per questo: a) la prosodia non risolve tutte le ambiguità. b) la sintassi e la prosodia agiscono in momenti diversi nel processo di comprensione e utilizzano meccanismi diversi. Le ricerche dimostrano che c’è una relazione complessa tra sintassi e prosodia, e che per capire meglio come funziona il linguaggio, bisogna combinarle in un modello che tenga conto di entrambe. Inoltre, la prosodia non si limita a chiarire ambiguità, ma può anche cambiare il significato di una frase. Un esempio interessante: "Andrea ha baciato ANNA" (con enfasi su ANNA) risponde alla domanda "Chi ha baciato Andrea?". "ANDREA ha baciato Anna" (con enfasi su ANDREA) risponde invece a "Chi ha baciato Anna?". Anche se le due frasi descrivono lo stesso fatto, l’intonazione ne cambia il significato e il contesto in cui sono appropriate. CAPITOLO 3: CODICI VISIVI E VERBALI 3.2 Codice visivo e codice verbale Si può apprendere qualcosa procedendo per prove ed errori, oppure imitando qualcuno che sta compiendo un’azione, oppure consultando una guida. Il grado di comprensione più alto è dato dall’integrazione del linguaggio verbale e di quello visivo. Il contenuto del messaggio che si vuole trasmettere può essere indipendente dal tipo di linguaggio utilizzato, anche se in altri casi è bene tenere conto del tipo di linguaggio più appropriato per il contenuto da trasmettere; per esempio: salutare qualcuno con la mano mentre facciamo una telefonata può essere poco producente, a differenza di quando abbiamo la persona di fronte a noi. 3.3 Peculiarità del codice visivo Il linguaggio visivo è caratterizzato da alcune prerogative che il linguaggio verbale non possiede; infatti, i due tipi di linguaggio non sono equivalenti e ognuno dei due ha il proprio valore semantico e una diversa efficacia, oltre ad avere scopi comunicativi diversi. Tra le peculiarità del linguaggio visivo rientrano tutte quelle cose che sarebbe difficile da descrivere con il linguaggio verbale, come possiamo facilmente capire se pensiamo ad una piantina di un appartamento. Se guardiamo la piantina riusciamo a capire in poco tempo la disposizione delle stanze, delle porte, dei muri, della planimetria, mentre sarebbe più complesso e più lungo se il tutto dovesse essere descritto a parole. 9 Le informazioni relative ai rapporti spaziali beneficiano di questo tipo di linguaggio, inoltre è caratterizzato dall’aspetto dell’universalità, il che significa che può essere compreso anche da persone di cultura e lingua differente. Presenta, però, dei limiti: - non cattura tutte le caratteristiche degli oggetti che rappresenta, sebbene si possa pensare di sì. - l’universalità del linguaggio per immagini è caratterizzata da segni che mantengono una stretta relazione di somiglianza strutturale e somiglianza percettiva, con l’oggetto a cui si riferiscono. In ambito comunicativo si stanno diffondendo sempre più i pittogrammi, ovvero dei disegni schematici utilizzati nella comunicazione di vari tipi di indicazione. Possono essere oggetto di un periodo più o meno lungo di apprendimento; infatti, alcuni possono essere di lettura immediata e altri meno, oppure per niente. È importante specificare, inoltre che il concetto di simbolo è diverso da quello di segno, oltre il fatto che i simboli sono maggiormente oggetto di differenze culturali. Nell’Occidente, per esempio, il crisantemo è usato come fiore per la commemorazione funebre, mentre in Oriente è un fiore utilizzato durante le cerimonie nuziali. 3.4 Linguaggio delle immagini Per il linguaggio visivo ci sono delle leggi che governano la struttura delle immagini. Coloro che si occupano di pubblicità conoscono bene i processi cognitivi relativi alla percezione. 3.5 Regole di configurazione spaziale La percezione è un processo cognitivo complesso è dinamico e dipende da vari fattori. Gli elementi che intervengono hanno a che fare con lo stimolo percepito sia con l'individuo che percepisce. Alcuni principi sono considerati innati e sono oggetto di studio di alcuni psicologi della Gestalt, che è nata a Berlino negli anni ‘20 del secolo scorso. Il processo più elementare e quello dell'articolazione figura sfondo e consiste nella capacità di isolare le diverse configurazioni presenti nel campo visivo. È presente per le forme con un significato e anche per quelle che non lo hanno. Rubin nel 1915 ha dimostrato che questa (la percezione) è sottoposta a determinati principi: rapporti topologici, tipo di margine, grandezza relativa delle parti. Gli stimoli di ambivalenza e di instabilità producono il fenomeno delle figure ambigue, in cui le diverse componenti del campo percettivo assumono ruoli diversi a seconda del significato globale che si assegna all’immagine, come per esempio l’immagine di Hill che è una delle più famose e può essere interpretata come il viso di una donna anziana oppure parte del busto e del viso di una giovane signorina. La lettura dell’immagine comporta mettere in opera un’analisi che porta al significato. Tra i principali fattori di organizzazione percettiva ne riconosciamo quattro: 1) principio di somiglianza → stimoli simili tra loro (per forma o per colore) vengono percepiti come un’unica raffigurazione. 2) principio della vicinanza → si tenderà a percepire come un’unica raffigurazione elementi tra loro vicini. 3) principio di chiusura → vengono percepiti come un’unica porzione del campo visivo elementi che formano una figura chiusa (triangolo di Kanizsa). 4) principio della buona continuazione → elementi del campo visivo vengono unificati in modo da percepire elementi coerenti nella forma e nella direzione. Conoscere questi fattori è importante per chi opera nell’ambito della comunicazione visiva intenzionale. L’uso consapevole di questi fattori porta alla costruzione di un messaggio efficace. 10 Le ricerche di Nisbett e colleghi (2001; 2005) hanno mostrato come persone di differenti culture percepissero e categorizzassero e memorizzassero in maniera diversa. In Occidente si percepisce tramite un processo percettivo analitico, il quale fa sì che gli oggetti e gli eventi siano sentiti come più indipendenti dal contesto. In Oriente, invece, si percepisce tramite processi percettivi olistici, i quali privilegiano le relazioni tra gli oggetti, i quali sono più dipendenti dal contesto. (esempio dell’acquario visto dagli americani e dai giapponesi). È necessario tenere presente che le relazioni tra contesto culturale e processi percettivi sono più dinamiche e complesse. Vivere in contesti culturali complessi, più interdipendenti e collettivisti porta a percepire e ricordare gli elementi contestuali e le relazioni tra gli oggetti maggiormente; invece, vivere in una società occidentale induce ad un approccio più analitico. 3.6 Rappresentazioni esterne ed interne Il linguaggio verbale e quello visivo sono considerati dei codici e quello in cui differiscono è la relazione che lega il segno al significato. Nel linguaggio verbale tale relazione è arbitraria (stabilita in maniera convenzionale), mentre in quello visivo c’è un’associazione tra le immagini e i concetti corrispondenti. I segni sono rappresentazioni esterne. Molte cose che vengono chiamate immagini hanno un corrispettivo fisico nel mondo (es: disegni, grafici, foto, quadri, etc.). Queste immagini sono delle rappresentazioni, perché quello che descrivono è qualcosa che è al posto di qualcos’altro. Le rappresentazioni esterne sono, quindi, degli oggetti concreti e grazie ai nostri organi di senso siamo in grado di “costruire” dei concetti. Noi esseri umani possediamo anche concetti astratti, come l’amicizia, l’amore, la libertà, la tristezza e così via. Quando dobbiamo prendere una decisione analizziamo lo stato delle cose e le varie procedure da mettere in atto; questo avviene perché siamo in grado di trattare, manipolare le nostre conoscenze. Che cosa sono le rappresentazioni interne? È un dilemma che ha affascinato gli studiosi nel corso del tempo. 3.7 La conoscenza Nella vita apprendiamo una serie di cose. Spesso lo facciamo senza neanche renderci conto delle cose che abbiamo dentro la nostra mente. Psicologia e filosofia si sono interessate a spiegare meglio cosa fosse la conoscenza. La psicologia si interroga sul modo in cui la conoscenza è organizzata e sulla forma con cui essa viene rappresentata nella mente. Lo studio dell’organizzazione della mente si intreccia con gli studi sui sistemi della memoria. Un tipo di memoria è quella semantica, studiata da Tulvig. Egli riteneva che fosse l’insieme delle rappresentazioni mentali a lungo termine delle conoscenze (parole, concetti, simboli) e anche delle conoscenze extralinguistiche che riguardano il mondo fisico. È un sistema in cui sono rappresentate le conoscenze enciclopediche che possiede un individuo. Queste informazioni sono distinte da quelle contenute nella memoria episodica, i cui contenuti riguardano eventi ed episodi caratterizzati da informazioni spazio-temporali relative a “dove” e “quando”. 3.8 L’organizzazione della conoscenza Ci sono due modalità di organizzazione della conoscenza: a) modelli che assumono sistemi semantici indipendenti per codificare, organizzazione, conservare e recuperare le informazioni. 11 b) modelli nei quali le conoscenze sono presentate in un sistema semantico unico. a) A queste appartiene il modello del doppio codice di Paivio, il quale prevede due sistemi di memoria semantica: 1) verbale e 2) non verbale. Quello verbale tratta le informazioni di tipo linguistico, mentre quello non verbale elabora il sistema non linguistico e opera in compiti di analisi, immagini, scene. I due sistemi dialogano tra loro tramite connessioni referenziali; è un’idea fondamentale per spiegare molti processi mentali legati all’uso del linguaggio. Per esempio, il processo che porta il dare un nome ad un oggetto si sviluppa partendo dall’analisi da parte del sistema visivo dell’oggetto e poi a seguito del risultato dell’analisi si passa al sistema verbale. Nello studio dei bilingui Kirsner e i collaboratori proposero che ogni lingua avesse un sistema verbale separato. Durgunoglu e Roediger ritenevano che ci fosse un unico sistema semantico valido per tutte le lingue. Un esempio di modello che rientra in questa categoria è il percentual symbol system di Barsalou (1999) → si basa sull’idea che il sistema concettuale lavori con simboli legati dai sensi, che sono concreti e simili alle immagini. Oltre alle differenze e ai sistemi di questa categoria, condividono l’idea che le informazioni diverse e provenienti da sensi diversi sono archiviate da sistemi di memoria speciali. La principale critica a questi modelli riguarda la duplicità delle informazioni; infatti, pensare che esista un sistema per le informazioni non verbali e uno per quelle verbali contraddice il principio di economia cognitiva, secondo cui il cervello cerca di risparmiare le risorse. b) Le conoscenze sono in un unico sistema di rappresentazione e si assume che il linguaggio sia amodale → ovvero un codice è astratto, indipendente dal tipo di stimolo, dalla lingua utilizzata, dalla modalità di presentazione dello stimolo. [ Quando si parla di un sistema semantico unico e si dice che il linguaggio è amodale, si fa riferimento all'idea che il significato delle parole e dei concetti non dipende dal canale sensoriale attraverso il quale vengono elaborati o espressi, ma è rappresentato in modo astratto nel cervello. "Amodale" significa che il significato di un concetto non è vincolato a una specifica modalità sensoriale (ad esempio, visiva, uditiva o tattile). In un sistema semantico unico amodale: - Le informazioni semantiche sono codificate in una forma astratta e generalizzata. - Questa rappresentazione è indipendente dalla modalità con cui le informazioni vengono acquisite (es. attraverso la vista, l'udito o il tatto) o comunicate (es. parlato, scritto, segnato). Il concetto di "gatto": - Se vediamo un gatto (modalità visiva), sentiamo un miagolio (modalità uditiva) o leggiamo la parola "gatto" (modalità linguistica), il significato astratto di "gatto" è lo stesso e viene attivato nella nostra mente in modo amodale. - Lo stesso accade se comunichiamo il concetto attraverso la lingua parlata, scritta o nella lingua dei segni. L'amodalità del linguaggio implica che: - Il cervello non rappresenta il significato delle parole o dei concetti in modo dipendente dalle modalità sensoriali, ma in forma simbolica o astratta. - Questa caratteristica spiega come le persone possono tradurre agevolmente concetti tra diverse modalità di comunicazione (ad esempio, da parole scritte a segnali vocali) senza perdere il significato. Alcuni studi recenti suggeriscono che la rappresentazione semantica non è completamente amodale, ma coinvolge anche elementi modali, cioè, collegati a specifiche esperienze sensoriali o motorie. Ad esempio, il concetto di "martello" può attivare aree del cervello legate al movimento perché associato all'azione del martellare. 12 In sintesi, definire il linguaggio come amodale significa sottolineare la sua capacità di rappresentare significati in un modo astratto e indipendente dalle modalità sensoriali, pur riconoscendo che alcune connessioni alle modalità percettive possono esistere.] I concetti sono rappresentati come nodi in una rete: il nodo corrisponde ad un concetto e la connessione tra modi rappresentati e le relazioni tra i vari concetti. Ci sono vari tipi di relazioni: categoriale (topo-leone), gerarchiche (topo-animale), associative (topo- formaggio) e miste (cane-gatto). Le relazioni, inoltre, si differenziano per la loro forza, che riflette la vicinanza del significato all’interno dello spazio semantico. Il modello a rete prevede il recupero delle informazioni tramite l’attivazione dei nodi concettuali attraverso il meccanismo di diffusione dell’attivazione tra i nodi stessi: quando un nodo concettuale viene attivato dalla forma lessicale, l’attivazione di quello si propaga ai nodi vicini; diminuisce di intensità al trascorrere del tempo e all’aumentare della distanza che ha dato origine il processo. La quantità di attivazione è inversamente proporzionale alla distanza tra i nodi della rete, perché perde di intensità a mano a mano che si propaga attraverso la rete. A sostegno di questa tesi (che il sistema semantico sia organizzato come una rete concettuale) c’è un fenomeno cognitivo di facilitazione, ovvero l’effetto priming. È un compito di decisione lessicale semplice: - ai partecipanti viene mostrato sullo schermo di un computer uno stimolo bersaglio, chiamato target - gli viene chiesto di decidere se si tratta di una parola (come “luna”) o di una sequenza di lettere senza senso (come “luba”) premendo su uno dei due tasti a disposizione. - lo stimolo target è preceduto da uno stimolo prime. - c’è una condizione in cui stimolo prime e stimolo target sono associati semanticamente e una in cui non lo sono. - i risultati mostrano che i tempi di risposta al target sono inferiori quando il prime è semanticamente associato e sono più lunghi quando non c’è un’associazione semantica. (se la parola “luna” è preceduta da “stella” è più facile che arriveremo a dire “luna”; se invece fosse preceduta da “scarpa” sarebbe più complesso). Questo è un concetto che è congruente anche con la teoria della propagazione dell’attivazione dei nodi, perché la parola prima “stella” non attiva solamente quella di “luna” ma anche tutti i concetti che stanno attorno. I concetti sono le unità base della memoria semantica, le cui informazioni sono codificate secondo un linguaggio amodale. La parola è una stringa di lettere, mentre le relazioni che legano le immagini al concetto è una relazione tutt’altro che arbitraria. Se ci mostrassero le foto di un gheppio, anche se non conosciamo la parola, alcune caratteristiche (come il becco, le ali) ci farebbero capire che si tratta di un uccello. Parole e immagini in questa prospettiva sono considerate forme superficiali dei concetti cui corrispondono, perché la parola “uccello” e la figura che lo ritrae hanno un formato superficiale diverso ed è, inoltre, evidente che debbano subire dei processi diversi di elaborazione per attivare lo stesso nodo concettuale. 3.9 Proposta di un modello di memoria semantica 13 Questo è un modello costituito da: un sistema amodale, sistemi di accesso e di produzione specifici per stimolo e modalità e procedure di elaborazione funzionalmente distinte. Da questa figura vediamo come il processo di elaborazione di una parola o di una figura sia scomponibile in una serie di componenti che interagiscono tra loro. Ciascuna componente è autonoma ed è deputata a svolgere specifiche operazioni elaborando una determinata parte del processo. A livello pre-semantico il modello prevede tre componenti specifiche per quando riguarda la modalità di accesso: a) un lessico ortografico per l’analisi delle parole scritte. b) un lessico fonologico per le parole udite c) un sistema di descrizione strutturale per l’elaborazione delle immagini. Il lessico è come un vocabolario delle forme ortografiche e fonologiche delle parole che si conoscono. Nel sistema di descrizione strutturale sono rappresentate le forme degli oggetti conosciuti. Quando ci troviamo davanti una parola scritta: primo livello di analisi → la stringa di lettere viene analizzata da un punto di vista visivo-ortografico. Viene identificata e riconosciuta ciascuna delle lettere che costituiscono la parola. secondo livello di analisi → si entra nel lessico ortografico terzo livello di analisi → il recupero del significato della parola corrisponde all’attivazione del noto che corrispondente nel sistema semantico. Questo è separato dal lessico e ce lo dimostrano le parole omofone e omografe. Esempio: porta (uscio o la terza persona del verbo portare) merlo (uccello o merlo di un castello). Come riconosciamo una parola: un concetto importante da ricordare è che, nel nostro cervello, non ci limitiamo a "consultare" una parola, ma la attiviamo. Quando sentiamo una parola, non la riconosciamo immediatamente, ma man mano che ascoltiamo i suoni, il nostro cervello riduce il numero di possibili parole candidate. Per esempio, la parola frenetico diventa chiaramente distinguibile solo quando sentiamo il suono /t/. Prima di arrivare a quel punto, potrebbe essere confusa con parole simili come fremito, frenesia o freno. Secondo il modello della "coorte" di Marslen-Wilson (1984), il nostro cervello elimina progressivamente le opzioni sbagliate a mano a mano che riceve più informazioni, finché non rimane una sola parola che corrisponde perfettamente. Il processo di elaborazione delle figure: - sono elaborate da un sistema di rappresentazione chiamato descrizione strutturale. - il modello di Marr (1982) assume che il riconoscimento degli oggetti consista della costruzione di rappresentazioni sempre più dettagliate e si articolare in tre stadi: 1) abbozzo primario → configurazione visiva creata dall’oggetto sulla retina, è una rappresentazione bidimensionale. 2) abbozzo a due dimensioni e mezza → integra le informazioni relative alla profondità; si ha il passaggio da un punto di vista sull’osservatore in cui sono visibili solo le superfici dell’oggetto dal punto in cui è collocato l’osservatore, a un punto di vista centrato sull’oggetto, in cui la struttura è rappresentata in maniera che non dipende più da un particolare punto di vista. 3) modello tridimensionale → rappresentazione della struttura tridimensionale dell’oggetto. Questi descritti sopra sono i sistemi di accesso al sistema concettuale. 14 Per quanto riguarda il processo di produzione, il modello prevede un lessico fonologico in uscita per la risposta orale e un lessico ortografico per la risposta scritta. - nella lettura da alta voce l’informazione viene trasmessa a una componente in uscita che ha come funzione quella di mantenimento temporaneo dell’informazione fonologica e viene chiamata “buffer fonemico”. - per la scrittura è previsto un “buffer grafemico”. Ci sono, come abbiamo visto, delle procedure di elaborazione distinte, ovvero delle operazioni mentali che permettono di passare da un livello di rappresentazione ad un altro. Per capire meglio, proponiamo il modello di lettura proposto da Coltheart e colleghi (2001). Prevede che una parola possa essere letta attraverso due vie: - via non lessicale → costruisce le forme fonologiche delle parole scritte tramite l’applicazione delle regole di conversione grafema-fonema. Ciascun grafema viene tradotto nel corrispondente fonema e vengono fusi per ottenere il codice fonologico della sequenza. È una procedura indispensabile per leggere le parole nuove, non conosciute e le pseudoparole. Può dare origine a errori di pronuncia, perché non dispone di informazioni lessicali. - via lessicale → permette il riconoscimento della parola intera di una parola attivando la corrispondente entrata lessicale, prima nel lessico ortografico e poi in quello fonologico. Le parole regolari possono essere lette sia attraverso la via lessicale, sia attraverso quella non lessicale, mentre le parole irregolari possono essere lette correttamente solo tramite la via lessicale. Il modello descritto in questo paragrafo è progettato per funzionare in modo efficiente in un sistema produttivo. Questo accade perché segue un principio di economia mentale, evitando di ripetere le stesse informazioni in sistemi separati, e perché consente alle informazioni provenienti da diversi sensi e modalità di interagire tra loro. 3.10 Affermare che una persona è simpatica equivale a dire che non è antipatica? In questo capitolo abbiamo confrontato il linguaggio visivo con quello verbale, arrivando a concludere che parole e immagini sono modi diversi di rappresentare gli stessi concetti. I concetti, a loro volta, sono come i "mattoni" fondamentali delle nostre conoscenze, che guidano le nostre azioni e decisioni. È importante quindi considerare come questi concetti vengono espressi nella comunicazione, perché diverse formulazioni linguistiche dello stesso concetto possono influenzare opinioni e decisioni in modi diversi. Questa idea, già esplorata in psicologia, è stata sviluppata nella teoria del prospetto di Kahneman e Tversky negli anni ’80, che sarà discussa nel capitolo 13. Anche Wegner e colleghi, nello stesso periodo, hanno studiato come i media possono influenzare il pensiero attraverso insinuazioni, come spiegato nel capitolo 1. Per esempio, dire «Bob Talbert non è colpevole» non ha lo stesso effetto di «Bob Talbert è innocente». Questo perché le frasi negative richiedono uno sforzo maggiore per essere elaborate. Secondo Gilbert (1991), il nostro cervello analizza prima il concetto principale della frase, come "colpevole", e solo dopo interpreta il "non". Questo può attivare concetti associati negativamente, influenzando il giudizio, anche se la frase vuole affermare la non colpevolezza. Arcuri e Castelli (1996) osservano che questo meccanismo spiega perché alcune campagne contro gli stereotipi sociali risultano inefficaci. Per esempio, una frase come «Non è vero che le persone di colore sono più pigre dei bianchi» è meno efficace rispetto a «Le persone di colore lavorano tanto quanto i bianchi». CAPITOLO 4: COMUNICAZIONE NON VERBALE È nota anche come comunicazione extralinguistica. Accompagna e integra quella verbale e in alcuni casi la sostituisce. La forza della comunicazione non verbale è l’immediatezza. 15 Per esempio, il codice stradale descrive dettagliatamente tutte le norme e sfrutta la comunicazione verbale, mentre i cartelli stradali comunicazione nell’immediato le informazioni più essenziali e sono pensati per una comunicazione veloce e intuitiva. In presenza di comunicazione contradditoria prevale la comunicazione non verbale su quella verbale. La comunicazione non verbale può essere definita in modo: - esplicito/intenzionale (come i cartelli) - inconsapevole (risposte comportamentali o fisiologiche, come la postura, espressioni facciali, dilatazione delle pupille, sudorazione). La differenza tra comunicazione intenzionale e non è più facile a livello teorico che pratico, inoltre i livelli a volte si intrecciano: 4.1 I sistemi della comunicazione non verbale Viene distinta in diversi sistemi: 4.2 Il sistema vocale Include i segnali legati alla comunicazione verbale che non hanno a che fare con parole o la loro semantica. Sfrutta il canale vocale-uditivo e consente una comunicazione immediata, semplice, diretta anche quando fonte e ricevente sono fisicamente distanti. La modulazione della voce è un segnale chiave per capire l’emozione provata. 16 La comunicazione non verbale è rappresentata dalle seguenti caratteristiche paralinguistiche della fonia: - tono/intonazione → riguarda la frequenza della voce, la sua modulazione e consente di variare il significato della frase (ironia) e perfette di definire l’aspetto connotativo della comunicazione. - intensità → il volume della voce, della modulazione modifica l’accento enfatico su singole parole oppure l’espressione degli stati emotivi. - tempo → velocità, ritmo con cui si parla e comprende anche le pause. Il silenzio merita una riflessione a parte; esso, infatti, è uno strumento molto potente e complesso. È di per sé un segno comunicativo. Bruneau e Thomas ritenevano che ci fossero vari tipi di silenzio: - psicolinguistici (interrompono la continuità del parlato) - interattivi (legati all’interazione tra i comunicanti) - socioculturali (hanno a che fare con le norme sociali di ogni cultura. In Occidente gli scambi sono molto veloci e i silenzi molto brevi, mentre in Oriente i silenzi sono più lunghi e si predilige la riflessione, inoltre il silenzio in Oriente è sinonimo di armonia e fiducia. Jensen (1973) riteneva che ci fossero 5 principali ambiti in cui il silenzio ha un ruolo ambivalente: 1) funzione creazione e scioglimento di un legame 2) funzione affettiva → il silenzio rafforza o indebolisce un legame 3) funzione rivelatrice → si tace per nascondere un’informazione oppure per rilevare una verità 4) funzione di giudizio → può esprimere approvazione o no 5) funzione di attivazione → può suggerire che una persona si sta preparando a dire qualcosa o a fare qualcosa, può anche indicare distrazione. Ephratt (2011) amplia il concetto del silenzio dicendo che silenzio è: - discorsi vuoti o senza significato - pause riempite da vocalizzazioni (ehm, ah) 4.3 Sistema cinesico È il sistema più ampio e include: - segnali di codifica e intenzionalità (indicare, lingua dei segni) - segnali spontanei (espressioni facciali, postura) Coinvolge tutta la muscolatura corporea: mimica facciale, movimenti corporei, postura, gesti. Mimica facciale → insieme alla voce permette una comprensione delle nostre emozioni, su alcune di queste abbiamo un controllo e su altre no. Le espressioni facciali hanno una loro semantica. Le espressioni sono universalmente conosciute, anche se il contesto culturale non deve essere sottovalutato. Sguardo → crea legame con l’oggetto di attenzione, ha un ruolo nella gestione dei turni. L’importanza dello sguardo è dimostrata anche dalla conformazione fisica dei nostri occhi, infatti, i movimenti oculari degli esseri umani sono molto visibili. Lo sguardo ha un ruolo nel coordinamento sociale, permette di prevedere il comportamento altrui, regola il nostro comportamento e permette di ottenere informazioni interessanti. Gesti → Anolli ne distingue 6: - gesticolazione: gesti che servono a illustrare un concetto, non sono organizzati in un sistema convenzionale, ma seguono delle logiche legate alla cultura. - pantomima: rappresentazione gestuale di un’azione o una situazione. - emblemi: chiamati anche gesti simbolici, ovvero gesti convenzionali con un significato ben preciso (fare “shh” con il dito sulla bocca); inoltre, hanno delle proprietà linguistiche e una loro semantica. - gesti deittici: servono a spostare l’attenzione dell’interlocutore su qualcos’altro. - gesti motori: sono i movimenti ripetuti (es: tamburellare) - linguaggio dei segni: ha un livello di convenzionalizzazione e complessità paragonabile al linguaggio verbale. 17 L'antropologo americano Birdwhistell è stato tra i primi a proporre una classificazione sistematica della postura e dei movimenti del corpo, introducendo il termine cinematica per descrivere 60 unità o sequenze comportamentali chiamate cinemi. Secondo lui, il significato dei cinemi dipende sia dalla cultura sia dal contesto in cui avvengono. Alcuni comportamenti sembrano essere abbastanza universali: - atteggiamenti umili: molte culture adottano posture che abbassano il corpo. - espressione del potere: spesso viene comunicata con un corpo rilassato. - movimenti positivi: come annuire o fare gesti che avvicinano qualcosa a sé, sono associati a emozioni favorevoli. - posture aperte: indicano intimità, vicinanza e somiglianza. - posture chiuse: comunicano scarso interesse. Questi schemi variano, ma alcuni elementi sembrano ricorrere in molte culture. 4.4 Sistema prossemico Si riferisce alla gestione dello spazio interpersonale. Hall (1966) attribuisce una grande importanza allo spazio, perché fonte di informazione sulla relazione tra due individui. Studiando la distanza Hall individuò quattro intervalli: 1) spazio intimità → va da 0 a 50 cm ed è uno spazio riservato alle persone con cui si ha relazioni intimi; infatti, il confine corporeo è adiacente con lo spazio intimi e consente il contatto fisico. È lo spazio che si dedica agli affetti. 2) spazio personale → va dai 50 ai 120 cm ed è la distanza che si mantiene nei dialoghi con persone con cui abbiamo confidenza. Viene definito come “bolla” che circonda una persona. 3) spazio sociale → va dai 120 ai 240 cm ed è lo spazio che si ha con persone con cui non si ha confidenza, permette grande libertà di movimento e violare lo spazio induce a provare un forte senso di disagio. 4) spazio pubblico → oltre i 240 cm ed è lo spazio che si ha quando si parla in pubblico (conferenze, teatri, presentazioni); infatti, è caratterizzato da un’amplificazione della voce. Induce ad una sollecitazione primaria dell’apparato visivo e uditivo. Ci sono delle differenze da cultura a cultura e questa è stata studiata in riferimento a quella americana; quindi, per altre società o culture è possibile che questa classificazione sia diversa. Parte della prossemica è anche il contatto corporeo e la sua gestione. Con il contatto viene sollecitato il sistema aptico, che si mette in moto quando si esplora un oggetto con il tatto. Il contatto caratterizza le relazioni intime e man mano che la confidenza diminuisce anche il contatto va via via limitandosi. La distanza sociopsicologica delle persone è un fattore chiave nella gestione della comunicazione aptica. 4.5 Il sistema delle rappresentazioni visive La comunicazione visiva è stata già trattata, ma è utile sottolineare come essa sia legata anche alla comunicazione non verbale. Elementi come gesti, posture ed espressioni facciali possono essere rappresentati visivamente, ad esempio su un cartello (come il segnale di "stop" con una mano aperta), in una foto o in un ritratto. Pensiamo anche alle emoticon, che nelle chat e nei messaggi scritti suppliscono all'assenza di segnali non verbali, rendendo visibili emozioni e intenzioni. Queste rappresentazioni visive possono essere sistematiche e ben definite, come i segnali stradali o le emoticon, oppure più subdole e intuitive, come l'uso di colori o luci in un'immagine. La loro importanza è evidente nella comunicazione di massa, grazie alla loro capacità di essere facilmente riprodotte e comprese rapidamente. Tuttavia, spesso le categorie della comunicazione non verbale si sovrappongono. Ad esempio, una postura può rientrare sia nella comunicazione cinesica sia in quella visiva, se rappresentata in un’immagine. Inoltre, i messaggi comunicativi combinano diversi sistemi (verbali e non verbali) per 18 creare significati completi. Un esempio è il modo in cui un messaggio d’amore unisce parole, gesti, contatto visivo e tono di voce, richiedendo una coordinazione tra chi comunica e chi riceve. Come in un’orchestra, tutti questi elementi devono essere in armonia per evitare incomprensioni o messaggi contraddittori. 4.6 Le funzioni della comunicazione non verbale I segnali non verbali caratterizzano la nostra vita, la influenzano a vari livelli: 1) individuale → processo di auto persuasione. I segnali non verbali segnalano contenuti agli altri, ma anche a noi stessi sui nostri stati d’animo. I segnali non verbali possono essere interpretati come delle manifestazioni di stati psicologici soggiacenti (es: un aumento del battito cardiaco può essere una manifestazione di ansia). Di solito pensiamo che i segnali non verbali siano una conseguenza dei nostri stati d'animo, ma è meno intuitivo immaginare che possano funzionare al contrario. Argyle (1992) ha suggerito che i segnali non verbali non solo riflettono, ma possono anche influenzare i nostri stati psicologici. Ad esempio, sorridere può farci sentire più felici, anche se il sorriso è forzato, e corrugare le sopracciglia può farci sentire più arrabbiati. Questo succede perché il nostro comportamento non verbale, anche quando è indotto artificialmente, ha comunque un effetto sul nostro stato d'animo. Un concetto simile è trattato nella teoria dell’embodiment, che studia il ruolo del corpo nei processi cognitivi (Suitner, Giacomantonio e Maass, in stampa). Secondo Brinol e Petty (2008) l’influenza degli stati corporei sugli atteggiamenti può avvenire secondo tre processi: - fungendo da semplici indizi (inglese: cues) - effetto degli stati corporei sul modo e la quantità di elaborazione delle informazioni. Le informazioni, secondo il modello della probabilità di elaborazione possono essere elaborate in modo profondo oppure in modo superficiale. - possono influenzare la sicurezza delle persone nelle proprie idee e pensieri. La teoria dell’autovalidazione ritiene che il livello di sicurezza che abbiamo nei confronti dei nostri pensieri svolge un ruolo cruciale nel processo di costruzione e cambiamento degli atteggiamenti. Più siamo sicuri dei nostri pensieri, più saremmo sicuri a cambiare anche un atteggiamento. Fare nodding, ovvero su e giù con la testa per concordare, aumenta il senso di sicurezza, inoltre, questo si può rilevare anche dalla nostra postura; infatti, una postura aperta e rilassata esprime e conferisce sicurezza a differenza di una chiusa e scomposta. 2) interpersonale → baci, stretta di mano. Una delle prime funzioni del comportamento non verbale è quella di regolare l’interazione interpersonale. Hanno un ruolo chiave nella segnalazione degli atteggiamenti e nella creazione/combinazione degli atteggiamenti. I segnali non verbali giocano un ruolo importante nel mostrare atteggiamenti e nel modificarli: - segnalare atteggiamenti: i segnali non verbali possono lavorare insieme alla comunicazione verbale, oppure in modo autonomo o addirittura in contrasto con essa, per indicare l’atteggiamento di una persona verso qualcosa o qualcuno. Ad esempio, la distanza fisica è un segnale chiaro: ci avviciniamo a ciò che ci piace e ci allontaniamo da ciò che non ci piace. Questo principio è così affidabile che viene usato in test psicologici di approccio/evitamento, dove i movimenti verso uno stimolo indicano una reazione positiva, mentre quelli di allontanamento indicano una reazione negativa (Chen e Bargh, 1999). - mimicry (imitazione): Le persone tendono a imitare il comportamento degli altri quando trovano la situazione piacevole e conforme alle loro aspettative. Al contrario, in situazioni sgradevoli o inattese, adottano comportamenti di evitamento. Ad esempio, se in ascensore c’è uno sconosciuto con un odore sgradevole, eviteremo il contatto visivo e cercheremo di creare distanza. Invece, con una bambina simpatica, il nostro comportamento sarebbe più accogliente. 19 - autopresentazione: I segnali non verbali possono essere usati per esprimere qualcosa di sé. Ad esempio: - espressiva: per comunicare il proprio stato emotivo (come i comportamenti autolesionistici per esprimere disagio). - strategica: per piacere agli altri, cercando di imitare lo stile, i gesti o l’estetica delle persone o dei gruppi con cui vogliamo identificarci. In sintesi, i segnali non verbali sono strumenti potenti per trasmettere e influenzare atteggiamenti, sia nostri che degli altri. Il cosiddetto stile comportamentale di comunicazione riguarda l’importanza dei segnali non verbali nella comunicazione e nella persuasione. Un esempio comune è il contatto fisico, che può avere effetti molto positivi, anche tra sconosciuti. Uno studio di Guéguen e Fisher-Lokou (2003) ha dimostrato come un semplice gesto, come toccare brevemente il braccio di qualcuno, aumenti la probabilità di ricevere aiuto. Nel loro esperimento: - un ricercatore (complice) chiedeva indicazioni stradali a persone alla fermata dell’autobus, accompagnando la richiesta con un leggero tocco sul braccio o senza toccarle. - dopo aver ricevuto indicazioni, il ricercatore lasciava cadere dei dischetti e si chinava a raccoglierli senza guardare le persone. - il 90% di coloro che erano stati toccati lo aiutò spontaneamente, contro solo il 60% di chi non era stato toccato. Anche altri segnali non verbali, come sorridere, annuire o stabilire un contatto visivo, hanno un effetto simile nel favorire comportamenti collaborativi. Questi gesti semplici possono influenzare in modo significativo le interazioni interpersonali. La comunicazione non verbale è molto importante anche in ambito clinico. Ad esempio: - comunicazione facilitata: consente a persone con autismo di esprimersi scrivendo al computer, grazie al supporto fisico di un facilitatore che appoggia una mano sul loro braccio o spalla per aiutarli nel processo. - psicoterapia tradizionale: Nella psicoanalisi, il paziente è sdraiato su un lettino senza contatto visivo con il terapeuta, riducendo i segnali non verbali per concentrarsi sugli aspetti verbali e sull’esplorazione della realtà interiore. Studi più recenti, però, evidenziano che anche la comunicazione non verbale del paziente e del terapeuta è importante (Ogden, 1982; 2008). - danzaterapia: In approcci alternativi, come la danzaterapia, il linguaggio del corpo è al centro del processo terapeutico. In generale, la sincronizzazione dei segnali non verbali tra paziente e terapeuta è considerata un segnale di un buon legame terapeutico. 3) intergruppi → dinamiche di appartenenza sociale. I segnali non verbali sono molto importanti nelle interazioni tra gruppi sociali, quando le persone comunicano in base alla loro appartenenza a un gruppo. Funzioni principali: 1. Segnalare l’appartenenza sociale: - I segnali non verbali indicano a quale gruppo apparteniamo. Ad esempio, i movimenti di avvicinamento sono più rapidi verso membri del proprio gruppo (ingroup), mentre i movimenti di allontanamento sono più comuni verso membri di altri gruppi (outgroup). - Altri segnali, come la distanza interpersonale o il contatto visivo, seguono schemi simili. 2. Regolare le interazioni tra gruppi: - In interazioni tra persone di diverso status (es. un capo e un dipendente), i segnali non verbali regolano il comportamento. - Le persone con status più alto hanno più libertà di movimento e possono prendere l’iniziativa (avvicinandosi o esprimendo emozioni più apertamente). - Chi ha uno status inferiore tende invece a essere più attento ai segnali non verbali dell’altro. 3. Mantenere o modificare le differenze sociali: - I segnali non verbali possono essere usati per rafforzare o sfidare le gerarchie sociali. 20 Ad esempio, i membri di gruppi dominanti possono usare segnali di discriminazione per mantenere le differenze, soprattutto in situazioni di conflitto. I membri di gruppi minoritari possono invece adottare comportamenti come sorridere di più per ridurre il rischio di discriminazione. In sintesi, i segnali non verbali sono strumenti chiave per comunicare appartenenze sociali, gestire interazioni tra gruppi e influenzare le dinamiche di potere e inclusione. 4) comunicazione di massa → cartelli stradali o pubblicitari. La comunicazione non verbale di massa ha tre principali funzioni: 1) Fornire informazioni rapide e sintetiche: La comunicazione non verbale usa soprattutto segnali visivi per trasmettere informazioni in modo veloce ed efficace. Ad esempio, un cartello verde con una croce indica una farmacia, una fotografia di un paesaggio ci mostra com’è un luogo, una carta stradale ci aiuta a orientarci, e un grafico riassume dati numerici complessi. Questi segnali sono facili da comprendere e offrono informazioni in modo chiaro e immediato. 2) Trasmettere valori o stereotipi: La comunicazione visiva nei mass media può influenzare i valori e le percezioni sociali. Per esempio, le immagini di donne molto magre sui media promuovono l'idea che la magrezza sia un valore, spesso legato a problemi come l'anoressia. Un altro esempio è il fenomeno chiamato "face-ism": nelle immagini, le persone di alto status sono spesso inquadrate in primo piano (con un forte focus sul volto), mentre quelle di basso status sono rappresentate a figura intera. Questo riflette gli stereotipi di genere, dove agli uomini viene associata maggiore intelligenza e potere. Inoltre, lo Spatial Agency Bias mostra come le donne vengano rappresentate più spesso nella parte destra dell’immagine, che è considerata una posizione più passiva. 3) Persuadere e influenzare il comportamento di consumo: I mass media usano la stimolazione sensoriale per influenzare le scelte di acquisto. Per esempio, colori come il blu e il verde sono rilassanti e spesso usati in ambienti come scuole e ospedali. La presenza di profumi in un negozio può aumentare la spesa e il tempo trascorso, come dimostrato da ricerche che mostrano che un aroma piacevole (come la vaniglia) induce emozioni positive, favorendo il comportamento di acquisto. Tuttavia, l’effetto del profumo dipende dal tipo di cliente e dalla congruenza con il contesto, come l'uso di profumi di cannella durante il periodo natalizio. Anche le emozioni e i comportamenti prosociali possono essere influenzati dalla comunicazione non verbale, come dimostrato in esperimenti dove l’ambiente profumato o l'imitazione del comportamento hanno aumentato la disponibilità a fare donazioni o aiutare gli altri. In sintesi, la comunicazione non verbale ha un ruolo fondamentale nel trasmettere informazioni, plasmare valori e influenzare comportamenti, sia nel contesto commerciale che sociale. La sua complessità dipende da molteplici fattori, tra cui cultura, situazione, e relazioni tra le persone, e rappresenta un canale potente per esprimere emozioni e interazioni sociali. CAPITOLO 5: FUNZIONE PERSUASIVA DELLA COMUNICAZIONE 5.1 Funzione persuasiva della comunicazione Una funzione centrale della comunicazione è quella di esercitare influenza. La maggior parte delle interazioni comunicative è attuata per manipolare l’altro, ovvero per far sì che accetti la nostra rappresentazione di una data situazione, evento. Tutti dovrebbero imparare a difendersi dalla possibilità di essere manipolati, perché non sarebbe funzionale rimanere in balia di ogni manipolazione, anche se non è nemmeno possibile escludere del tutto la possibilità di rimanere influenzati, poiché animali sociali che costruiscono rapporti sociali per raggiungere una maggiore consapevolezza di sé e della propria identità. Anche se si possiedono gli strumenti per riconoscere i meccanismi di manipolazione, non è detto che questo basti a saper esercitare o a resistere alla manipolazione quando viene esercitata. 21 Una fonte che vuole esercitare influenza gioca principalmente su: - far cambiare l’opinione - cambiare credenze - cambiare atteggiamento - cambiare valori Coloro che manipolano si aspettano dei cambiamenti nel comportamento. Questo non è legato solo alla sfera cognitiva, ma anche a circostanze concrete e a contesti sociali. Chi vuole convincere non può limitarsi a influenzare i pensieri della persona, perché è più probabile che ottenga un comportamento non desiderato. Se cercasse però di non esercitare un’influenza sui pensieri, il risultato durerebbe poco. Convincere con la forza o con l’insistenza, comunque, porta a risultati poco stabili. Dagli anni ’40 in poi sono stati molti gli studi circa la persuasione, che sono stati fatti seguendo tre direttrici principali: a) capire cosa rende la comunicazione persuasiva → questo approccio si chiama “atomistico”, cerca di elencare tutti gli elementi che influenzano la persuasione in un contesto comunicativo. b) creare una teoria generale sulla persuasione → hanno lavorato per spiegare in modo ampio come funzionano i processi di persuasione. c) studiare strategie mirate a comportamenti specifici → si è cercato di sviluppare dei metodi che non puntano a cambiare opinioni, atteggiamenti, valori, ma piuttosto direttamente azioni concrete e limitate nel tempo e nello spazio. 5.2 Approccio atomistico: fonte, messaggio e ricevente Negli anni ’40 hanno avuto inizio gli studi riguardo i fattori che possono influenzare l’efficacia persuasiva di una comunicazione. Nel 1942, a seguito della partecipazione degli Stati Uniti alla Seconda Guerra Mondiale, Carl Hovland ottenne dei finanziamenti per condurre una ricerca che si proponeva di valutare le campagne persuasive diffuse per raccogliere consenso dai cittadini e anche dai militari. Per questo studio venne applicato per la prima volta un metodo volto a studiare come cambiano gli atteggiamenti delle persone. Il metodo alla base era molto semplice: un ricevente ascolta un messaggio prodotto da una certa fonte. Per vent’anni sono stati fatti degli studi per identificare le caratteristiche di fonte, messaggio e ricevente che rendono più probabile il fatto che il ricevente cambi idea in linea con il messaggio. La fonte → Hovland e Weiss nel 1951 hanno mostrato che la variazione di caratteristiche della fonte può influenzare la valutazione degli argomenti da parte del ricevente, con un successivo cambio di opinione. Per questo studio hanno isolato una delle caratteristiche della fonte, la credibilità. Questa si basa su due aspetti: - quanto il ricevente ritiene che la fonte sia esperta in un certo campo (expertise) - quanto la considera sincera (trustworthiness) Hanno condotto quattro studi utilizzando lo stesso metodo su temi diversi, in ogni caso, lo stesso messaggio veniva presentato come proveniente da una fonte credibili o da una poco credibile. Esempio: la necessità di costruire sottomarini atomici. Questo messaggio veniva presentato in due condizioni da due fonti diverse: - da un noto fisico atomico - sul giornale ufficiale del Partito Comunista Sovietico (periodo di Guerra Fredda) Le risposte sono state registrate subito dopo l’esperimento e dopo quattro settimane, da cui si è evinto che: - le fonti credibili riescono a produrre un cambiamento nelle opinioni in modo molto efficace rispetto alle fonti poco credibili, il che risulta in 3 studi su 4. 22 - l’effetto della persuasione da parte di fonti credibili, però, scompare nel giro di quattro settimane, durante le quali le persone nella prima condizione (fisico atomico) tornano alla propria opinione, mentre quelle nella seconda condizione (giornale) subiscono un cambiamento di opinioni. Gli autori spiegano che la credibilità della fonte ha un forte effetto immediato sulla motivazione del ricevente ad accettare il messaggio; però, con il tempo le persone tendono a separare il ricordo degli argomenti da quelli della fonte, basando la propria opinione unicamente sugli argomenti. La credibilità non dipende solo dalla conoscenza della fonte, ma anche dalla fiducia che il ricevente ha nel fatto che la fonte non stia comunicando unicamente per interessi personali. La fiducia è un elemento chiave: se chi riceve il messaggio sa che la fonte sta cercando di convincerlo, l'effetto legato alla sua competenza può diminuire. Le persone si aspettano che una fonte sostenga opinioni che favoriscono i suoi interessi (ad esempio, si pensa che un imprenditore difenda idee utili agli imprenditori). Se queste aspettative sono confermate, la fonte può sembrare sincera ma di parte, rendendo il messaggio poco convincente. Al contrario, se la fonte sostiene un’opinione inattesa e apparentemente contraria ai propri interessi, risulta molto più persuasiva. Per esempio, un imprenditore che promuove maggiori controlli fiscali per combattere l’evasione nella sua categoria apparirà molto credibile. L’uso dei video per trasmettere messaggi persuasivi ha spinto gli studiosi a studiare l’effetto dell’aspetto fisico di chi comunica. Tuttavia, i risultati non sono sempre chiari. Mills e Aronson (1965), ad esempio, hanno analizzato come gli uomini reagivano a messaggi trasmessi da ragazze. Non è stato trovato un effetto generale legato alla bellezza della ragazza, tranne quando dichiarava apertamente di voler influenzare. In quel caso, le ragazze più belle riuscivano a ottenere maggior consenso rispetto a quelle meno attraenti. Va sottolineato che, in questo studio, le ragazze erano fisicamente presenti, e ciò suggerisce che l’effetto fosse dovuto a una condiscendenza superficiale. Gli studi che mostrano un effetto più chiaro della bellezza usano spesso fotografie per valutare l’aspetto fisico della persona. In un esperimento [Chaiken 1979], sono stati registrati un centinaio di studenti che esprimevano la stessa opinione, ma in modo diverso. Un primo gruppo di partecipanti doveva giudicare quanto fossero attraenti le persone nei video. Poi sono stati eliminati i video delle persone giudicate mediamente attraenti (né belle né brutte). I video rimanenti, di persone attraenti e meno attraenti, sono stati mostrati a un altro gruppo, che doveva esprimere la propria opinione sulla posizione espressa. I risultati hanno mostrato che le persone attraenti erano più persuasive: i partecipanti tendevano ad essere più d’accordo con le loro opinioni, indipendentemente dal sesso della fonte e del ricevente. Questo potrebbe essere dovuto al fatto che le persone attraenti sviluppano migliori abilità comunicative grazie alle esperienze interpersonali che vivono, e l’esperimento confermerebbe questa idea, visto che variava anche lo stile di comunicazione non verbale. I cambiamenti che una comunicazione può causare nel ricevente, a causa della credibilità, dell’attrazione o del potere della fonte sono diversi per natura e durata. Una fonte credibile tende a portare a un cambiamento duraturo, poiché la nuova opinione viene integrata nei valori e nelle credenze preesistenti del ricevente. Una fonte attraente provoca invece un cambiamento superficiale, basato sul desiderio di piacere o sentirsi vicino alla fonte. Infine, una fonte con potere può causare un cambiamento dovuto al fatto che il ricevente riconosce che la fonte ha il controllo su premi e punizioni. Come mostrato nella ricerca di Chaiken, oltre alle caratteristiche stabili come bellezza o competenza, una fonte può aumentare la sua efficacia attraverso uno stile comunicativo. Gran parte di questo stile dipende dal comportamento non verbale. Ad esempio, alcuni studi hanno mostrato che un breve contatto fisico da parte della fonte può influire sulla valutazione della situazione e sulla probabilità che il ricevente accetti una richiesta. Numerosi studi mostrano che un breve contatto fisico tra estranei crea una buona impressione sulla persona che viene toccata, migliorando la valutazione della situazione e l'umore. Ad esempio, in un grande magazzino, se un commesso sfiora la mano di un cliente mentre gli porge un volantino, il cliente tende a valutare il negozio più positivamente rispetto a chi non è stato toccato. Un altro studio in una biblioteca ha dimostrato che, se gli studenti ricevono un breve contatto fisico dagli addetti al 23 prestito, valutano meglio i servizi e hanno un'opinione più positiva dell'addetto rispetto a chi non ha ricevuto il contatto. Anche per quanto riguarda le richieste, diversi studi hanno mostrato che, se una persona tocca brevemente (per un secondo o due) il braccio o la spalla dell'interlocutore mentre fa una richiesta, ha più probabilità di ottenere una risposta positiva, anche quando la richiesta non è esplicita. Ad esempio, i camerieri ricevono mance più alte, indipendentemente dal sesso di clienti e camerieri; una ragazza che finge di aver perso dei soldi ha più possibilità di riceverli indietro; e un ricercatore ha maggiori probabilità di ottenere risposte a un lungo e noioso questionario. Il messaggio → Il programma di ricerca degli studiosi di Yale si basava sull'idea che la struttura del messaggio persuasivo dovesse aiutare a comprendere e ricordare meglio i suoi contenuti. Inoltre, le argomentazioni dovevano spiegare chiaramente i vantaggi di accettare la posizione proposta e/o gli svantaggi di non accettarla. Hovland, Lumsdaine e Sheffield (1949) si sono chiesti se sia meglio presentare messaggi che insistano solo sulla tesi che si vuole far accettare (unilaterali) oppure che riconoscano anche le opinioni opposte (bilaterali), magari per confutarle. Per rispondere, hanno condotto uno studio con dei soldati americani, chiedendo loro quanto pensassero che sarebbe durata la guerra contro il Giappone. In un messaggio si sosteneva che la guerra sarebbe stata lunga, mentre in un altro si parlava anche della debolezza dell’esercito giapponese. I soldati dovevano esprimere la loro opinione prima e dopo aver sentito i messaggi. I risultati mostrano che i soldati con opinioni diverse da quelle del messaggio cambiavano di più se il messaggio riconosceva anche l'opinione opposta. Al contrario, quelli che già pensavano che la guerra sarebbe durata a lungo venivano maggiormente influenzati dal messaggio unilaterale. In un esperimento successivo, alcuni soldati ascoltavano un messaggio di contropropaganda una settimana dopo. Si è visto che chi aveva cambiato opinione grazie al messaggio bilaterale, manteneva il cambiamento nel 61% dei casi, mentre chi aveva ascoltato il messaggio unilaterale solo nel 2%. Questo suggerisce che un messaggio che riconosce opinioni opposte aiuta le persone a mantenere la loro opinione, anche quando vengono esposti a contropropaganda, come se avessero ricevuto una sorta di "vaccino" contro le influenze negative. Gli studiosi di Yale si sono concentrati sull'efficacia delle argomentazioni che mostrano vantaggi e svantaggi, in particolare su una forma di persuasione chiamata "appello alla paura". Questa strategia, che è ancora molto usata oggi, viene spesso impiegata per convincere le persone a evitare comportamenti rischiosi. Il primo esperimento sull'appello alla paura è stato condotto nel 1953 da Janis e Feshbach, colleghi di Hovland. Hanno confrontato gli effetti di tre livelli di paura (forte, medio e basso) tramite messaggi sull'igiene dentale. I messaggi contenevano le stesse informazioni sui rischi delle malattie dentali e su come evitarle, ma differivano nell'intensità delle conseguenze negative per una scarsa igiene orale. Gli esperimenti misuravano la tensione emotiva, la preoccupazione per le malattie dentali e le abitudini di igiene orale, prima e dopo aver visto i messaggi. I risultati mostrano che un forte appello alla paura generava molta più tensione e preoccupazione, ma i partecipanti che avevano visto un messaggio con un appello debole alla paura cambiavano maggiormente le loro abitudini. Gli autori spiegano che, quando una persona sente una minaccia per sé, prova una reazione emotiva sgradevole che la spinge a cercare soluzioni per ridurre quella tensione. Per fare ciò, può seguire il comportamento consigliato nel messaggio, oppure reagire in modo difensivo, ignorando il messaggio, attaccando chi lo ha dato o minimizzando i rischi. La risposta che riduce la tensione si rinforza nel tempo. Per aumentare la probabilità che la persona segua il comportamento consigliato, la raccomandazione dovrebbe essere chiara, specifica e data subito dopo aver suscitato paura. Un richiamo alla paura troppo forte, come abbiamo visto nell'esperimento, provoca molta tensione, ma impedisce di adottare le risposte giuste. Per questo motivo, gli studiosi di Yale dicono che c'è una relazione curvilinea tra paura e persuasione: più aumenta la paura, maggiore è il cambiamento, fino a un certo punto. Oltre quel punto, però, l'effetto si riduce e il cambiamento diminuisce. 24 Maddux e Rogers (1983) propongono una teoria chiamata "motivazione alla protezione", che spiega quando una persona è motivata a comportarsi in modo protettivo. L'individuo è spinto ad agire in questo modo quando: percepisce il problema come grave, si sente vulnerabile a esso, crede che i comportamenti suggeriti siano efficaci e pensa di essere in grado di metterli in pratica. Tuttavia, questa motivazione diminuisce se ci sono costi legati alle azioni protettive o vantaggi nelle risposte non protettive. Per esempio, immaginate di voler convincere un lavoratore edile a usare dispositivi di protezione (come casco o giubbotto). La comunicazione deve prima convincerlo che il suo lavoro può causare infortuni seri. Se il lavoratore pensa che gli incidenti accadano solo a chi è meno esperto, bisogna fargli capire che anche lui è a rischio. Poi, il messaggio deve spiegare che chi usa i dispositivi di protezione subisce danni meno gravi. Infine, il lavoratore deve sentirsi capace di usare correttamente i dispositivi. Tuttavia, ci sono fattori che possono ostacolare questa decisione, come il pensiero che usare i dispositivi faccia perdere tempo o che senza di essi si senta più a suo agio, per esempio, perché non ha caldo in estate. Argomentare i vantaggi o gli svantaggi di una scelta, oppure fare appello alla paura per evidenziare le gravi conseguenze di certi comportamenti, sono modi di "inquadrare" o presentare una posizione in modo che sembri la migliore e più convincente. Ad esempio, negli Stati Uniti, chi discute sull'aborto evita termini negativi come "anti-abortisti" o "pro-abortisti" e sceglie invece termini positivi come "pro- life" (per la vita) e "pro-choice" (per la scelta). In pratica, lo stesso argomento può essere presentato in modi diversi per far risaltare alcuni aspetti e influenzare il giudizio di chi lo riceve. Gli studi sull'effetto di "inquadramento" sono stati fatti principalmente in due ambiti: la comunicazione per prevenire comportamenti rischiosi e la propaganda politica. Alcuni di questi studi si basano sulla teoria del prospetto di Tversky e Kahneman (1981), che afferma che le perdite e i guadagni non sono vissuti allo stesso modo. In particolare, le perdite ci causano più dispiacere di quanto ci facciano piacere guadagni dello stesso valore, e questa asimmetria influenza ciò che siamo disposti a fare per evitare perdite o ottenere guadagni. Nel campo della propaganda politica, Barker (2005) descrive un esperimento in cui viene manipolato il modo in cui viene presentato un messaggio, utilizzando l'appello ai valori. I partecipanti erano cittadini che simpatizzano per il Partito Repubblicano e che intendevano votare alle primarie. Leggevano un messaggio di un candidato (fittizio) che proponeva di dare un assegno alle famiglie meno abbienti per mandare i figli a scuole private. Una versione del messaggio faceva appello a valori individualisti, come la libertà di scegliere la scuola per i propri figli, mentre un'altra versione faceva appello a valori egualitari, come l'opportunità di ricevere un'istruzione di qualità per tutti. I partecipanti avevano più intenzione di votare per il candidato quando il messaggio faceva appello a valori individualisti, che sono più vicini alla loro visione, rispetto ai valori egualitari o a nessun appello ai valori. Questo dimostra che il modo in cui viene presentato il messaggio (frame) può attivare informazioni che la persona già conosce e influenzare il suo giudizio. In pratica, l'effetto di frame non fornisce nuove informazioni, ma cambia il modo in cui vengono valutate quelle già esistenti. Gli esperimenti condotti da Nelson, Oxley e Clawson mostrano che le persone più informate politicamente sono più influenzate dai cambiamenti di frame, mentre quelle meno competenti lo sono meno. Però, quando la propaganda cerca di cambiare le convinzioni delle persone, le persone più istruite sono meno influenzabili, perché sono in grado di controbattere le argomentazioni presentate. Gli effetti di frame sono molto importanti dal punto di vista sociale, perché la comunicazione attraverso i media è sempre selettiva. Le strategie che abbiamo visto permettono di presentare un'idea in modo che sembri positiva o negativa, in maniera molto sottile. Il ricevente → Gli studiosi di Yale hanno studiato come le caratteristiche della persona che riceve un messaggio possano influenzare l'efficacia persuasiva di una comunicazione. Si sono chiesti se le persone siano più o meno inclini ad essere influenzate a causa della loro personalità. Nel loro libro del 1959, Personality and Persuasibility, Janis e Hovland concludono che esiste una propensione individuale a essere influenzati in generale. Hanno anche esaminato se ci siano legami 25 tra questa propensione e altre caratteristiche personali, come l'autostima, l'aggressività e l'intelligenza. - autostima: Si pensava che le persone più influenzabili avessero una bassa autostima. I risultati degli studi confermano questa idea: le persone con alta autostima sono più resistenti alla persuasione e tendono anche a cercare di influenzare gli altri. - aggressività: Si ipotizzava che le persone più aggressive fossero più resistenti alla persuasione, ma gli studi non hanno confermato questa previsione. In molti casi, non c'era una connessione tra aggressività e cambiamenti di atteggiamento. Tuttavia, quando l’aggressività è stata osservata direttamente nel comportamento, i risultati sono stati più coerenti con l'ipotesi. - intelligenza: La relazione tra intelligenza e persuasione è complessa. Le persone intelligenti dovrebbero essere in grado di capire meglio i messaggi e trarne le giuste conclusioni, ma dovrebbero anche essere più critiche verso le argomentazioni rispetto a chi ha un'intelligenza inferiore. Studi condotti nell'esercito hanno mostrato che le persone più intelligenti rispondono meglio ai messaggi basati su argomentazioni logiche, ma sono anche meno influenzabili da messaggi vaghi o irrilevanti, come gli slogan. Anni dopo, Rhodes e Wood (1992) fecero una metanalisi per confrontare i risultati degli studi precedenti sulla relazione tra due tratti personali (intelligenza e autostima) e la tendenza a farsi influenzare dalla persuasione. In generale, l'analisi ha mostrato che le persone molto intelligenti sono più resistenti agli tentativi di persuasione rispetto a quelle meno intelligenti. Per quanto riguarda l'autostima, la metanalisi mostra che gli studi che considerano solo due livelli (alta vs. bassa autostima) confermano che le persone con alta autostima sono meno influenzabili rispetto a quelle con bassa autostima. Tuttavia, alcuni esperimenti che includono anche un livello intermedio di autostima hanno mostrato una relazione curvilinea: le persone con un livello medio di autostima sono quelle più facilmente influenzabili dai messaggi persuasivi. Molti studiosi si sono chiesti se le donne siano più vulnerabili all'influenza rispetto agli uomini. I ricercatori di Yale hanno osservato che, in generale, le donne tendono a cambiare più facilmente opinione dopo aver ricevuto un messaggio persuasivo. Questa differenza è spiegata con le diverse pressioni culturali e sociali che colpiscono uomini e donne, soprattutto durante la crescita e la socializzazione nei ruoli di genere. Le ragazze sarebbero più orientate alla condivisione e alle relazioni, mentre ai ragazzi vengono fatte più aspettative di autonomia. Eagly (1978) sostiene che molti manuali di psicologia sociale americani affermano che le donne sono più influenzabili degli uomini, una conclusione supportata da numerosi studi sulla persuasione, sull'influenza sociale e sulla conformità. Una metanalisi delle ricerche che considerano il genere come variabile (Cooper 1979) mostra che, in generale, le donne risultano più influenzabili degli uomini. Tuttavia, questa differenza è più evidente negli studi in cui le persone interagiscono faccia a faccia, mentre è meno chiara negli studi in cui la fonte dell'influenza è un messaggio scritto o un autore. Nel tempo sono state date molte interpretazioni a questo fenomeno. Spesso gli studiosi hanno parlato delle attese legate ai ruoli di genere: tradizionalmente, le donne assumono ruoli più dipendenti e gli uomini ruoli più dominanti, e si creano aspettative su come si comportano i due sessi. Per esempio, si pensa che le donne debbano essere più arrendevoli, mentre agli uomini si chiede di essere più assertivi. E