Neuroscienze: Esplorando il Cervello - Riassunto (PDF)
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Università degli Studi di Bari
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Questo riassunto introduce le neuroscienze come un campo interdisciplinare che studia il cervello e il suo funzionamento. Dai primi studi sull'importanza del cervello nell'antichità alle scoperte del Rinascimento, fino ai moderni approcci riduzionistici, il riassunto traccia l'evoluzione della conoscenza sul sistema nervoso. Discute inoltre sulle diverse tipologie di ricerca neuroscientifica e sul metodo scientifico utilizzato.
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Neuroscienze: Esplorando il Cervello – CAP. 1: Neuroscienze: Passato, Presente e Futuro Le neuroscienze sono un approccio interdisciplinare allo studio del cervello e del suo funzionamento, che attinge a campi di interesse diversi come la medicina, la psicologia, la matematica, la biologia, la fisi...
Neuroscienze: Esplorando il Cervello – CAP. 1: Neuroscienze: Passato, Presente e Futuro Le neuroscienze sono un approccio interdisciplinare allo studio del cervello e del suo funzionamento, che attinge a campi di interesse diversi come la medicina, la psicologia, la matematica, la biologia, la fisica e la chimica, arrivando a comprendere quasi l’intera gamma delle scienze naturali. Esistono prove che risalgono fino a 7000 anni fa riguardo la concezione dell’importanza del cervello, come ferite letali al cranio e interventi di trapanazione; tuttavia, è anche vero che in antichità era molto diffusa la visione secondo la quale fosse il cuore ad essere la sede dell’anima e, quindi, dei pensieri e della memoria. Tra i primi a giungere alla conclusione che il cervello fosse la sede della percezione e dell’intelligenza furono diversi studiosi greci del IV secolo a.C. tra i quali Ippocrate. Questi si basarono sull’idea, pressoché tautologica, che esiste una correlazione tra struttura e funzione. Sulla base delle idee di Ippocrate, Galeno, il “medico dei gladiatori”, tastando con mano le diverse parti del cervello dedusse che l’encefalo dovesse essere la sede delle memorie e delle emozioni – perché più morbido e quindi più adatto alla loro impressione su di esso – e che il cervelletto controllasse i muscoli. Galeno scoprì anche l’esistenza dei ventricoli, all’interno dei quali scorreva il liquor, che ai tempi si allineava con l’ipotesi ippocratica dei quattro umori – bile nera (μέλαινα χολή, melaina chole), bile gialla (ξανθη χολή, xanthe chole), flegma (φλέγμα, phlegma) e sangue (αἷμα, haima) - che governano il corpo e il comportamento, partendo dal cervello ed essendo distribuiti nel corpo dai nervi, che si ritenevano essere tubi cavi. Durante il Rinascimento, se da un lato la teoria ventricolare di Galeno veniva rafforzata da studiosi come Cartesio, che ritenevano, secondo la teoria fluido-meccanica, che il cervello “pompasse” fluidi verso i muscoli per provocarne il movimento – Cartesio riteneva, in particolare, che questo meccanismo governasse solo i comportamenti più animaleschi dell’uomo, mentre la mente, ritenuta da lui come un’entità spirituale che comunicava con il resto del corpo tramite l’epifisi (o ghiandola pineale), fosse la sede delle capacità mentali ed intellettive tipicamente umane – dall’altro, tra il XVII e il XVIII secolo, ci furono importanti scoperte, come la distinzione, nel tessuto cerebrale, tra sostanza bianca e sostanza grigia e il fatto che la prima contenesse le fibre che veicolavano informazioni da e alla seconda. Allo stesso modo, si osservò come si poteva distinguere la stessa disposizione generale di protuberanze (i giri) ed avvallamenti (i solchi o fessure) sulla superficie cerebrale, dando il via alla speculazione sulla localizzazione delle funzioni cerebrali. Alla fine del XVIII secolo, Galvani e du Bois-Reymond, sulla base del trattato Experiments and Observations on Electricity di Benjamin Franklin, dimostrarono come i muscoli possano essere indotti a contrarsi involontariamente se stimolati elettricamente e che il cervello genera elettricità. Queste scoperte portarono a scartare la teoria fluido-meccanica in favore della concezione secondo la quale i nervi fanno da “fili” che trasportano segnali elettrici a e dal cervello. Nel 1810 Bell e Magendie osservarono la distinzione dei punti di entrata dei nervi nel midollo spinale nelle due radici frontale e dorsale; ipotizzarono che ognuna delle due radici potesse inviare informazioni in direzioni opposte, e l’ipotesi fu confermata dall’osservazione che solo la radice dorsale (efferente), se recisa, portava alla paralisi dei muscoli. Nel 1823, Marie-Jean-Pierre Flourens dimostrò sperimentalmente, attraverso l’ablazione sperimentale ideata da Bell, che esiste una distinzione nelle funzioni di cervelletto – coinvolto maggiormente nel movimento – e dell’encefalo – coinvolto maggiormente nella sensazione e nella percezione. Flourens era anche un forte oppositore della frenologia, una pseudoscienza, popolarizzata dalle idee di Franz Joseph Gall, che proponeva di poter prevedere la personalità di un individuo, al punto da poter determinare se questo sarebbe stato un criminale o uno scienziato, sulla base delle protuberanze del cranio, che avrebbero, a loro volta, riflesso la conformazione del cervello. Innanzitutto, questo assunto di base era falso, ma Flourens dimostrò anche che i tratti della personalità non sono limitati alle porzioni di cervello indicate dalla frenologia e sosteneva, anche se erroneamente, che tutte le parti del cervello contribuissero a tutte le sue funzioni. La prova definitiva della localizzazione delle funzioni cerebrali venne dalla scoperta di Paul Broca, il quale, dall’osservazione e conseguente autopsia di un paziente – detto “Tan”, dall’unica “parola” che riusciva a pronunciare – che una lesione nel lobo frontale sinistro potesse intaccare la produzione del linguaggio parlato. Nel 1859, Charles Darwin ne On the Origins of Species delineò la sua teoria dell’evoluzione, secondo la quale le diverse specie nascono in base ad un processo da egli denominato selezione naturale, il quale comporta la maggiore probabilità di sopravvivenza di individui con tratti adattivi, e quindi di trasmissione intergenerazionale di questi tratti; a lungo termine, questo processo porta alla differenziazione delle diverse specie animali. Il comportamento è, secondo Darwin, uno di questi tratti; siccome specie diverse di mammiferi rispondono in maniera simile agli stessi stimoli, si può dedurre che ci sia stato un antenato comune a queste specie e che quindi lo studio del sistema nervoso meno complesso di altre specie animali può aiutare a comprendere meglio il funzionamento di quello umano. Un esempio di questo è l’assone gigante di calamaro – che nella specie controlla il sistema di propulsione acquatico – che ha permesso di meglio comprendere la conduzione elettrica lungo le fibre nervose. Va anche considerato, tuttavia, che molti tratti comportamentali sono altamente specie-specifici, come, per esempio la vista eccellente delle scimmie brachiatorie (che dondolano da un ramo all’altro) o l’olfatto sviluppato dei ratti, abituati a vivere in condizioni di bassa luminosità. Grazie ai miglioramenti nella tecnologia del microscopio all’inizio del XIX secolo, si poterono osservare i tessuti animali ad un livello di ingrandimento mai visto prima; sulla base di ciò, nel 1839, Theodor Schwann enunciò la sua teoria cellulare, secondo la quale tutti i tessuti sono costituiti da unità microscopiche, le cellule. Sebbene inizialmente vi fossero dei dubbi a riguardo (v. schema CAP. 2), oggi si riconosce la cellula nervosa, il neurone, come l’unità funzionale fondamentale del sistema nervoso. Dato che ancora oggi la comprensione del funzionamento del cervello rimane una grande sfida, si adotta il cosiddetto approccio riduzionistico, per il quale si riduce il problema in piccole parti. In base all’unità funzionale oggetto di studio si possono distinguere diversi “livelli di analisi” neuroscientifica: Neuroscienze molecolari: si occupano dello studio delle molecole che costituiscono la materia cerebrale e i loro ruoli e funzioni Neuroscienze cellulari: lo studio di come tutte le molecole operano insieme per conferire al neurone le sue proprietà particolari; questo comporta anche lo studio dei diversi tipi di neuroni e le loro funzioni, come questi si influenzano a vicenda, come si sviluppano i legami tra di essi e come eseguono computazioni Neuroscienze dei sistemi: lo studio dei diversi circuiti neurali e di come questi si specializzano per diverse funzioni come sensazione, percezione, coordinamento motorio, etc. Neuroscienze comportamentali: lo studio di come diversi sistemi neurali operano insieme per creare diversi comportamenti e come questi possono essere influenzati da varianti come sostanze psicotrope e sesso; inoltre comprendono lo studio della formazione e del significato dei sogni Neuroscienze cognitive: lo studio di come il cervello crea la mente e, quindi, delle funzioni cerebrali più elevate, come autocoscienza, linguaggio e immagini mentali. In termini di ricerca neuroscientifica, se ne possono riconoscere tre tipi principali: Ricerca clinica: solitamente condotte da medici specializzati, tenta di comprendere il funzionamento di parti del cervello sulla base degli effetti comportamentali di lesioni; comprende discipline come la neurologia, la psichiatria, la neurobiologia e la neuropatologia. Ricerca sperimentale: indagano le funzioni del sistema nervoso tramite una vasta gamma di metodi sperimentali; tra questi ci sono, per es. la neuroanatomia (utilizzo di microscopi per scoprire connessioni cerebrali), la neurofisiologia (utilizzo di elettrodi per misurare l’attività elettrica del cervello), la neurofarmacologia (studio della chimica delle funzioni del cervello attraverso modelli farmacologici), e la neurobiologia molecolare (studio della struttura delle molecole del cervello attraverso la genetica dei neuroni) Ricerca teorica: la tipologia più giovane, comporta l’utilizzo di modelli matematici e computazionali per comprendere il funzionamento cerebrale a diversi livelli di analisi ed individuare i problemi di maggiore importanza su cui focalizzare la ricerca – approccio simile a quello che si adotta in fisica A prescindere dal tipo di ricerca condotta, tutti i neuroscienziati seguono il metodo scientifico, articolato in quattro fasi principali: Osservazione: durante esperimenti progettati per verificare una determinata ipotesi; osservando attentamente l’ambiente circostante; introspezione; casi clinici Replicazione: la ripetizione dell’osservazione su soggetti diversi o in situazioni diverse, per scongiurare la casualità dell’osservazione iniziale Interpretazione: una volta che si crede nella correttezza dell’osservazione, si procede ad interpretarla; è inevitabile che l’interpretazione sia “figlia” del suo tempo, e quindi del livello di conoscenza sia disponibile che posseduto dal ricercatore, e delle idee stesse di quest’ultimo Verifica: la replicazione dell’osservazione originale da parte di altri ricercatori, premesso che seguano il protocollo originale accuratamente; il suo successo o fallimento può comportare lo stabilimento di nuovi fatti scientifici o la loro interpretazione alternativa, rispettivamente Nonostante la maggior parte delle scoperte nell’ambito delle neuroscienze siano state compiute grazie alla sperimentazione su animali, questo tema rimane uno dei principali dilemmi etici ad esse relativo. A tal proposito, va innanzitutto considerato che il numero di animali “sacrificati” per la ricerca scientifica è minuscolo rispetto agli altri utilizzi che se ne fanno (es. produzione di cibo). Per quanto in passato la tutela degli animali possa essere stata ignorata o messa in secondo piano, al giorno d’oggi, chi fa ricerca su animali si impegna a rispettare delle responsabilità morali nei loro confronti, come il loro utilizzo solo per esperimenti utili all’avanzamento delle conoscenze neuroscientifiche, la minimizzazione del dolore che possono provare e la considerazione di tutte le alternative possibili. Un’estremizzazione della tutela degli animali in condizioni sperimentali, che ha spesso portato a campagne diffamatorie e atti di violenza contro ricercatori, talvolta arrivando a compromettere la loro carriera, è la filosofia dei diritti degli animali, secondo la quale gli animali posseggono gli stessi diritti legali e morali degli esseri umani. Neuroscienze: Esplorando il Cervello – CAP. 2: I Neuroni e le Cellule Gliali Le cellule del sistema nervoso, in totale circa 85 milioni, si suddividono in due categorie principali: neuroni e cellule gliali (o glia). I primi sono responsabili delle funzioni uniche del cervello, nonché quelle più importanti del sistema nervoso, le seconde fanno da supporto ai neuroni, ad es. isolandoli, sostenendoli e nutrendoli. Per poter osservare adeguatamente il tessuto nervoso, le neuroscienze cellulari hanno dovuto attendere dapprima lo sviluppo del microscopio composto alla fine del XVII secolo, e poi della tecnica di “fissazione” dei tessuti nella formaldeide e del microtomo, che permetteva di avere fette di tessuto sottilissime, nei primi anni del XIX secolo. Questi progressi hanno consentito la nascita dell’istologia, lo studio, tramite la microscopia, delle strutture dei tessuti. Tuttavia, la svolta definitiva si ebbe con la creazione di tinture che colorano selettivamente alcune parti del tessuto nervoso. Franz Nissl fu tra i primi a scoprire, alla fine del XIX secolo, una classe di tinte (chiamate collettivamente colorante di Nissl) poteva colorare i nuclei delle cellule e i materiali che li circondano – denominati corpi di Nissl. Questo colorante permette di distinguere neuroni e cellule gliali e, quindi, di studiare la citoarchitettura (o struttura) dei neuroni. Nel 1873, Camillo Golgi scoprì che una soluzione di cromato d’argento – detta colorante di Golgi – permetteva di distinguere il nucleo della cellula, detto soma, corpo cellulare o pericario, dalle ramificazioni che si dipanano da essa, i neuriti, più nello specifico, un assone più lungo e diversi dendriti che raramente superano i 2 mm. Il tassello finale nello studio del neurone fu provvisto da un contemporaneo di Golgi, Santiago Ramón y Cajal; mentre Golgi era dell’idea che i neuriti delle cellule nervose fossero fusi tra loro in un circuito continuo come nel caso del sistema circolatorio, Cajal dedusse correttamente – come fu poi comprovato grazie all’invenzione del microscopio elettronico negli anni ’50 – che i neuriti comunicassero tramite contatto e non tramite continuità, dando origine alla cosiddetta teoria del neurone. L’occhio umano può distinguere due punti solo se si trovano ad un decimo di millimetro (100 μm) uno dall’altro; i neuroni hanno un diametro di ca. 20 μm e i loro neuriti possono misurare una frazione di micrometro. Per questi motivi, il microscopio ottico è stato fondamentale per lo studio della struttura neuronale. Tuttavia, questo strumento presenta dei limiti tecnici dovuti alle proprietà delle lenti e della luce visibile; il limite di risoluzione del microscopio ottico è di ca. 0,1 μm, ben lontano dallo spazio tra i neuroni di ca. 0,02 μm (20 nm). Questi limiti sono stati superati grazie all’invenzione del microscopio elettronico, che usa un fascio elettronico, piuttosto che un fascio di luce, per acquisire le immagini, arrivando ad un limite di risoluzione di ca. 0,1 nm; ciò ha permesso di acquisire la maggior parte delle conoscenze riguardo la struttura all’interno dei neuroni, detta ultrastruttura. Al giorno d’oggi, i microscopi a definizione cellulare usano raggi laser per illuminare il tessuto e un computer per creare le immagini. Il neurone è diviso in soma, dendriti e assone. L’interno è separato dall’esterno della cellula dalla membrana neuronale. Il soma è la parte centrale, approssimativamente sferica, del neurone, con un diametro di circa 20 μm (micrometri; 1 μm = 10-6 m); è riempito da un fluido acquoso detto citosol, una soluzione salina ricca di potassio. Oltre al soma, vi sono una serie di strutture coperte da membrana, dette organuli; tutto ciò che è all’interno della membrana cellulare, compresi gli organuli, tranne il nucleo, è detto citoplasma. Il nucleo è l’organulo principale del neurone, di forma sferica e posizionato centralmente al soma, contiene i cromosomi (46 nell’uomo), che a loro volta contengono il DNA. Il DNA nel nucleo, viene “letto” attraverso l’espressione genica, affinché possano essere sintetizzate delle specifiche proteine; ogni tipo di cellula esprime geni (porzioni di DNA) diversi. La sintesi proteica non si svolge all’interno del nucleo, ma nel citoplasma; siccome il DNA non può lasciare il nucleo, su una molecola di mRNA (acido ribonucleico messaggero) viene assemblato o trascritto il gene interessato dall’enzima RNA polimerasi, questa si lega ad un sito presente su ogni gene, detto promotore, per avviare la trascrizione, modulata da proteine dette fattori di trascrizione e portata a termine da un terminante (o sequenza stop). Questo iniziale mRNA trascritto, oltre alle sequenze codificanti per le proteine necessarie, gli esoni, contiene anche sequenze di DNA che non codificano per le proteine, gli introni; attraverso il processo di splicing (taglio e ricucitura del DNA), gli introni vengono eliminati e gli esoni ricuciti insieme – questo processo permette anche, attraverso il taglio di determinati esoni, detto splicing alternativo, di codificare per proteine diverse a partire dallo stesso gene. L’mRNA esce, quindi, dai pori della membrana nucleare, recandosi nei siti di sintesi proteica, nei quali le proteine vengono assemblate a partire da amminoacidi – di cui se ne possono distinguere 20 tipi – in un processo detto traduzione. Il livello dell’espressione genica è solitamente inteso come il numero di trascritti di mRNA sintetizzati da diverse cellule e tessuti per dirigere la sintesi di proteine specifiche. Grazie al fatto che l’intero genoma umano (ca. 25.000 geni) è stato recentemente sequenziato, è stato possibile comprendere le basi genetiche di diversi disturbi neurologici – si dice, infatti, che viviamo nella cosiddetta “era post-genomica”: Variazione numerica delle coppie geniche: alcune sezioni di DNA sono assenti o duplicate, questo spesso avviene al momento del concepimento; questo difetto è collegato a condizioni come l’autismo e la schizofrenia Mutazioni genetiche: mutazioni di un gene o delle regioni circostanti che ne regolano l’espressione, possono essere benigne come nel caso delle comuni piccole mutazioni dette polimorfismi a singolo nucleotide, o alterare profondamente la funzione delle proteine e, quindi, le funzioni neuronali; sono collegati a patologie come la sindrome dell’X-fragile Il progresso nelle tecnologie di ingegneria genetica ha permesso anche lo studio (per ora limitato ai topi) di geni specifici e delle conseguenze della loro modifica, inserzione o delezione; a questo proposito si possono distinguere animali “knock-out”, nei quali un gene è rimosso, “transgenici”, nei quali un gene è introdotto ed espresso, e “knock-in”, nei quali un gene originario è sostituito con un transgene modificato. Il sito specifico in cui avviene la sintesi proteica sono i ribosomi, strutture globulari alle quali si lega l’mRNA trascritto per essere tradotto e quindi sintetizzare le proteine. Molti ribosomi, nello specifico quelli adibiti alla sintesi di proteine che si inseriranno nella membrana cellulare o negli organuli, si trovano sul reticolo endoplasmatico rugoso (o RE rugoso), una serie di membrane impilate – molto più presenti nei neuroni rispetto ad altre cellule, incluse quelle gliali – che costituiscono la maggior parte dei corpi di Nissl. Molti altri ribosomi, detti ribosomi liberi, non sono attaccati al RE rugoso, ma fluttuano nel citoplasma e sintetizzano le proteine che rimangono all’interno del citosol del neurone; alcuni di essi sono collegati da un filamento di mRNA e chiamati poliribosomi, con il compito di operare su e produrre più copie del filamento che li collega. Un altro organulo che compone gran parte del citoplasma è il reticolo endoplasmatico liscio (o RE liscio), così detto perché ricorda il RE rugoso senza i ribosomi ad esso attaccati. Esistono vari tipi di RE liscio con funzioni diverse a seconda della loro posizione nel neurone; alcuni tipi, collegati al RE rugoso, contribuiscono alla sintesi proteica avvolgendo le proteine nuovamente formate conferendo loro la corretta forma tridimensionale, mentre altri tipi, presenti in gran parte nelle cellule dei muscoli – dove prendono il nome di reticolo sarcoplasmatico – regolano la concentrazione delle sostanze interne al neurone come il calcio. Nella sezione del citosol più lontana dal nucleo si trova l’apparato del Golgi, che svolge funzioni di elaborazione chimica in seguito alla traduzione proteica, come, per esempio, selezionare le specifiche proteine da liberare in varie parti del neurone. Un altro importante organulo presente nel soma neuronale è il mitocondrio, una struttura a forma di salsiccia di circa 1 μm di lunghezza, sede della respirazione cellulare, che presenta delle ripiegature dette creste, che circondano uno spazio interno detto matrice. La respirazione cellulare comporta l’assorbimento, all’interno della matrice, di acido piruvico e ossigeno presenti nel citosol, l’acido piruvico va incontro ad una serie di reazioni biochimiche dette collettivamente ciclo di Krebs; i prodotti biochimici del ciclo di Krebs forniscono energia che, attraverso una seconda serie di reazioni chimiche nelle creste detta catena di trasporto degli elettroni, aggiunge un gruppo fosfato all’adenosindifosfato (ADP), trasformandolo in adenosintrifosfato (ATP), di cui ne vengono rilasciate 17 molecole per ogni molecola di acido piruvico immessa. L’ATP è la “moneta” dell’energia cellulare, in quanto alimenta gran parte delle reazioni biochimiche dei neuroni. La membrana neuronale fa da barriera per contenere il citoplasma all’interno del neurone ed escludere sostanze indesiderate del fluido extracellulare. È spessa ca. 5 nm (nanometri; 1 nm = 10-9 m) ed è costellata di proteine, con funzioni come il pompaggio di sostanze dall’interno all’esterno o di selezione di determinate sostanze che possono accedere al neurone; la composizione proteica della membrana cambia tra soma, dendriti e assone. La membrana neuronale “poggia” su una specie di impalcatura detta citoscheletro, che conferisce al neurone la sua forma caratteristica. Gli elementi di questa struttura sono regolati dinamicamente o, perlomeno, in continuo movimento; essi sono: Microtubuli (ca. 20 nm): appaiono come tubi cavi e dritti disposti longitudinalmente in direzione dei neuriti. Le pareti sono costituite da cavi più piccoli intrecciati composti dalla proteina tubulina, le cui molecole singole sono piccole e globulari. [Il processo di “intrecciamento” di piccole proteine in cavi più lunghi – detti polimeri – è chiamato polimerizzazione] Una classe di proteine, dette proteine associate ai microtubuli (microtubule- associated proteins, o MAP) partecipano all’assemblaggio e al funzionamento dei microtubuli, per es. ancorandoli tra loro e ad altre parti del neurone; modificazioni patologiche in una MAP assonale, detta tau, sono collegate alla demenza nella malattia di Alzheimer Neurofilamenti (ca. 10 nm): chiamati filamenti intermedi nelle altre cellule, nelle quali hanno una struttura tissutale diversa (ad es. la cheratina), sono formati da molti “mattoni costituenti” proteici che si legano tra loro in corde molto solide Microfilamenti (ca. 5 nm): hanno approssimativamente lo stesso spessore della membrana cellulare, sono molto numerosi e trovati in ogni parte del neurone. Sono trecce sottili di actina, una proteina presente in grandi quantità in tutte le cellule e che si pensa contribuisca a modificare la forma delle cellule. Oltre a condividere la distribuzione verso i neuriti dei microtubuli, sono anche associati con la membrana tramite proteine fibrose che rivestono l’interno di quest’ultima come una ragnatela Le arborizzazioni dei neuriti riflettono l’organizzazione del citoscheletro sottostante, perciò la distruzione di quest’ultimo determina una grave perdita di funzionalità cerebrale. Una situazione simile si verifica nel caso della malattia di Alzheimer, caratterizzata dalla distruzione del citoscheletro dei neuroni della corteccia cerebrale. I cambiamenti sembrano interessare particolarmente le neurofibrille, elementi del citoscheletro colorati da una soluzione argentica. In un neurone apparentemente normale, si possono osservare una o più fibre che si ispessiscono e impregnano maggiormente di colorante, successivamente si modificano analogamente diverse fibre in parallelo, che si accumulano poi a formare fasci densi che viaggiano verso la superficie del neurone, fino a quando il nucleo e il citoplasma scompaiono e rimane solo un groviglio di fibre. Dato che le fibrille affette possono essere colorate con una soluzione diversa da quella usata per quelle normali, deve essere avvenuta una modifica a livello chimico. La gravità della demenza nell’Alzheimer è direttamente correlata al numero e alla distribuzione dei cosiddetti grovigli neurofibrillari, la cui formazione è, molto probabilmente, la causa dei sintomi della malattia. I principali componenti dei grovigli sono i filamenti ad elica accoppiati, formati dalla proteina tau associata ai microtubuli, la quale, normalmente, funziona da “ponte” tra i vari microtubuli, ma nella malattia si distacca dai microtubuli e si accumula nel soma, causando l’avvizzimento degli assoni. La secrezione anomala di un’altra proteina accumulata nel cervello dei soggetti malati, l’amiloide, sembra essere il primo passo verso la formazione dei grovigli neurofibrillari e, quindi, della demenza. Tutte le strutture sopracitate sono presenti in ogni cellula del corpo. L’assone, invece, è trovato esclusivamente nei neuroni ed è specializzato per il trasporto dell’informazione a distanza nel sistema nervoso. L’assone presenta due distinzioni fondamentali dal soma: 1. Non presenta nessun RE rugoso e solo raramente qualche ribosoma libero negli assoni maturi, perciò non avviene la sintesi proteica e le proteine necessarie devono venire dal soma; se l’assone è tagliato dal corpo cellulare va incontro alla degenerazione walleriana, dato che viene interrotto il flusso di materiali verso il terminale assonico. Questo flusso è detto trasporto assoplasmatico, dimostrato per la prima volta negli anni ’40 da Paul Weiss e collaboratori, con una velocità di ca. 1-10 mm al giorno. Questa velocità sarebbe troppo lenta per nutrire efficientemente le sinapsi, e infatti, negli anni ’60 si scoprì che il materiale dal soma viene incapsulato in delle vescicole e poi spostato lungo i microtubuli dell’assone da “gambe” di chinesina che permettono il trasporto assoplasmatico veloce a ca. 1000 mm al giorno; oltre a questo trasporto anterogrado (dal soma al terminale), esiste anche il trasporto retrogrado, nel quale le “gambe” sono di dineina e probabilmente ha la funzione di fornire info al soma riguardo i cambiamenti di necessità metaboliche del terminale. 2. La composizione della membrana assonica è fondamentalmente diversa, permettendo la funzione di trasmissione degli assoni. Alcuni virus utilizzano il trasporto retrogrado per infettare i neuroni; per es. l’herpes simplex labialis entra nei terminali assonici della bocca e delle labbra e viene trasportato indietro verso i corpi cellulari, dove il virus rimane silente fino a quando non si verifica uno stress fisico o emotivo e inizia a replicarsi, ritornando sulla terminazione nervosa e causando una pustola dolorosa. Il virus della rabbia, similarmente, penetra il SN tramite trasporto retrogrado dalla pelle e, entrato nel soma, inizia a replicarsi velocemente fino a quando uccide la cellula ospite; quindi il virus è assorbito da altri neuroni e il processo si ripete fino alla morte della vittima. Il segmento iniziale dell’assone è il cono di integrazione, che va assottigliandosi allontanandosi dal soma. Gli assoni posso estendersi da 1 mm fino a 1 m di lunghezza e spesso si ramificano in assoni collaterali; questi, se partono da un assone efferente, possono, a volte, tornare indietro e diventare afferenti della stessa cellula o afferenti dei dendriti delle cellule vicine, in questi casi si chiamano collaterali ricorrenti. Il diametro di un assone va da meno di 1 μm a ca. 25 μm nell’uomo (fino a 1 mm nel calamaro) e la velocità di trasmissione dell’impulso nervoso è direttamente proporzionale al diametro. La parte finale dell’assone è detta terminale assonico o bottone terminale – cosiddetto perché appare come un disco rigonfio – ed è il sito nel quale l’assone entra in contatto con altre cellule per passare loro informazioni attraverso un punto di contatto detto sinapsi. A volte i terminali possono ramificarsi in un’arborizzazione terminale e creare più sinapsi sui corpi cellulari o sui dendriti nella stessa zona; a volte contraggono sinapsi in regioni rigonfie lungo l’assone stesso, i bottoni sinaptici, e poi continuano a fare sinapsi in altri punti. In ogni caso, quando un assone contrae una sinapsi con un'altra cellula si dice che la innerva o fornisce innervazione. Il citoplasma del terminale: non presenta microtubuli; contiene diverse cavità membranose di circa 50 nm di diametro dette vescicole sinaptiche; ha una membrana interna densamente coperta da proteine; contiene molti mitocondri per soddisfare la richiesta elevata di energia. Le sinapsi hanno due parti: presinaptica, solitamente il terminale assonico, e post-sinaptica, di solito il soma di una cellula o un dendrite. Lo spazio tra le due membrane è detto spazio intersinaptico e il trasferimento di informazioni tra di loro è detto trasmissione sinaptica. L’informazione nella forma di impulso elettrico è solitamente convertita, nel terminale presinaptico, in un segnale chimico, il neurotrasmettitore – solitamente contenuto nelle vescicole sinaptiche del terminale assonico – che attraversa lo spazio intersinaptico e viene riconvertito in segnale elettrico nella membrana post- sinaptica. La modificazione del processo di trasmissione sinaptica è alla base della memoria e dell’apprendimento; e la sinapsi stessa è la sede della maggior parte delle neurotossine e droghe psicoattive. I dendriti – derivati dal termine greco per “albero” – sono il sito principale di ricezione di input sinaptici nel neurone; collettivamente, i dendriti di un neurone sono detti albero dendritico, formato da diversi rami dendritici. La membrana di un dendrite presenta migliaia di sinapsi, al di sotto delle quali si trovano molecole di proteine, dette recettori, che rispondono a i neurotrasmettitori nello spazio intersinaptico. In alcuni neuroni, i dendriti sono coperti da spine dendritiche, strutture specializzate che ricevono alcuni tipi di input sinaptico e probabilmente servono ad isolare le reazioni chimiche innescate da alcuni tipi di attività sinaptica; inoltre, modificazioni delle spine dendritiche sono state osservate in individui con danni cognitivi. Il citoplasma dendritico è simile a quello assonale, tuttavia può presentare poliribosomi, spesso al di sotto delle spine dendritiche e la trasmissione sinaptica può modulare la sintesi proteica locale. La funzionalità cerebrale dipende dalle connessioni sinaptiche che si formano durante lo sviluppo fetale e perfezionano fino alla prima infanzia. Essendo estremamente complesso, questo processo è molto vulnerabile ad alterazioni che, se determinano un funzionamento cognitivo inferiore alla media, che danneggia il comportamento adattivo, causa la comparsa di una disabilità intellettiva. Le forme più gravi di disabilità intellettiva sono associate a malattie genetiche come la fenilchetonuria (PKU), caratterizzata da un deficit dell’enzima epatico che metabolizza l’aminoacido fenilalanina introdotto con la dieta che, se in alte concentrazioni nel sangue e nel cervello e non trattata arresta la crescita cerebrale; la sindrome di Down si manifesta quando il feto possiede una copia aggiuntiva del cromosoma 21, compromettendo la normale espressione genica durante lo sviluppo cerebrale. Un’altra causa di disabilità intellettiva sono i problemi durante la gravidanza, per es. infezioni materne come nel caso della rosolia, e la malnutrizione; bambini nati da madri alcoliste sono spesso affetti da sindrome fetalcolica, un gruppo di anomalie dello sviluppo tra cui la disabilità intellettiva. Un ulteriore causa è l’impoverimento ambientale, ovvero la mancanza di nutrizione, socializzazione e stimolazione sensoriale, durante l’infanzia. Nella maggior parte dei casi di disabilità intellettiva, si osservano solo manifestazioni intellettuali senza correlati fisici. La ricerca ha rilevato che ciò è dovuto al mancato sviluppo corretto dei circuiti cerebrali normali, rilevabile attraverso un numero inferiore di spine dendritiche, le quali sono spesso anche insolitamente sottili e lunghe; le spine dendritiche dei bambini con disabilità intellettiva, infatti, sono simili a quelle di un feto normale. I neuroni possono essere classificati sulla base di due criteri principali: Classificazione in base alla struttura dei neuroni: Numero dei neuriti: un neurone può essere unipolare (un neurite), bipolare (due neuriti) o multipolare (tre o più neuriti) Dendriti: gli alberi dendritici possono variare ampiamente da un neurone all’altro, spesso in base alla zona del cervello; nella corteccia cerebrale si possono distinguere cellule piramidali e cellule stellate. I neuroni possono essere distinti anche in base alla presenza o meno di spine dendritiche, perciò possono essere spinosi o non spinosi; tutte le c. piramidali sono spinose, quelle stellate possono essere anche non spinose Connessioni: si possono distinguere neuroni sensitivi primari che portano informazioni sensoriali afferenti al sistema nervoso, motoneuroni che contraggono sinapsi con i muscoli e ne controllano i movimenti, interneuroni che fanno sinapsi solo con altri neuroni Lunghezza dell’assone: si possono distinguere neuroni di I tipo di Golgi (o neuroni di proiezione), con lunghi assoni che vanno da una parte all’altra del cervello (es. c. piramidali), e neuroni di II tipo di Golgi (o neuroni a circuito locale), che si limitano ai dintorni del corpo cellulare (es. c. stellate) Classificazione in base all’espressione genica: l’espressione genica può determinare la struttura del neurone (c. stellata vs. piramidale), così come il neurotrasmettitore che utilizza (es. i motoneuroni rilasciano acetilcolina e sono quindi classificati come colinergici). La maggior parte delle cellule gliali sono astrociti, che riempiono la maggior parte dello spazio tra i neuroni (lasciando uno spazio tra essi e questi ultimi di ca. 20 nm) e influenzano la crescita e la degenerazione dei neuriti; nello specifico, gli astrociti regolano il contenuto chimico dello spazio extracellulare, sia avvolgendosi intorno alle giunzioni sinaptiche (nel cervello), limitando la diffusione dei trasmettitori, sia attraverso speciali proteine nella loro membrana che rimuovono i neurotrasmettitori in eccesso nello spazio intersinaptico, sia regolando la concentrazione di sostanze che possono intaccare il funzionamento neuronale. Inoltre, è stato recentemente scoperto che le membrane astrocitiche possiedono recettori che possono provocare eventi chimici ed elettrici all’interno della cellula gliale. L’oligodendroglia (o oligodendrociti) e le cellule di Schwann forniscono la proteina isolante degli assoni, la mielina, creando il rivestimento detto guaina mielinica, che si interrompe periodicamente lasciando spazi detti nodi di Ranvier, fondamentali per la conduzione rapida dell’impulso nervoso. Questi due tipi di cellule si distinguono per la loro sede (la prima nel SNC, le seconde nel SNP) e per il numero di assoni che possono mielinizzare (molti per l’oligodendroglia, uno per le cellule di Schwann). Le cellule ependimiali si allineano nei ventricoli e determinano la direzione della migrazione cellulare nello sviluppo cerebrale. La microglia, invece, fagocita gli scarti di neuroni e cellule gliali morti o in via di degenerazione; inoltre sembra contribuire al rimodellamento delle connessioni sinaptiche, inglobandole ed eliminandole. La microglia si sposta dal sangue al cervello e un’alterazione di questo processo può compromettere le funzioni cerebrali. Infine, oltre alle cellule gliali, il cervello ha una vascolarizzazione che porta sostanze nutritive dal sangue ai neuroni. Neuroscienze: Esplorando il Cervello – CAP. 3: La Membrana del Neurone a Riposo La membrana assonica ha delle particolari proprietà che le consentono di condurre l’impulso nervoso o potenziale d’azione. Ogni cellula che può generare e condurre potenziali d’azione possiede una membrana eccitabile; quando una di queste cellule non sta generando potenziali d’azione, si dice che è a riposo. In un neurone a riposo, il citosol adiacente all’interno della membrana cellulare presenta una carica negativa rispetto a quella extracellulare; questa differenza di carica elettrica è detta potenziale di membrana a riposo (o potenziale di riposo), l’inversione del quale altro non è che il potenziale d’azione. Il potenziale di riposo presenta tre costituenti chimici principali: i fluidi ricchi di sali sia all’interno che all’esterno della cellula, la membrana della cellula e le proteine che la attraversano. Le componenti principali sia del citosol che del fluido extracellulare sono: Acqua: ha la proprietà fondamentale di possedere una carica elettrica distribuita inegualmente. Questo è possibile perché, anche se gli atomi di idrogeno sono collegati all’atomo di ossigeno da legami covalenti (condividono elettroni), l’atomo di ossigeno ha un’affinità maggiore per gli elettroni, i quali passeranno più tempo associati all’O, che, a sua volta, avrà una carica negativa netta, mentre gli atomi di H, avranno una carica positiva netta; l’H2O si dirà quindi collegata da legami covalenti polari, rendendola un solvente efficace di altre molecole polari o cariche. Le sostanze che si dissolvono nell’acqua (ioni e molecole polari) sono dette idrofile, mentre quelle che non si dissolvono (sostanze legate da legami covalenti non polari, ovvero con elettroni disposti in modo uniforme e quindi non permettendo lo sviluppo di una carica netta) sono dette idrofobe; un esempio di queste ultime sono i lipidi, componenti importanti delle membrane Ioni: atomi carichi elettricamente disciolti nell’acqua responsabili dei potenziali di riposo e d’azione; la carica elettrica di uno ione dipende dalla differenza tra i suoi protoni ed elettroni – se questa è 1, lo ione si dice monovalente, se è 2, bivalente e così via – ioni con una carica positiva netta si dicono cationi, quelli con una carica negativa netta, anioni. Gli ioni fondamentali nella neurofisiologia cellulare sono i cationi monovalenti Na+ e K+, il catione bivalente Ca2+ e l’anione monovalente Cl-. Atomi carichi in modo opposto – come nel caso del cloruro di sodio (NaCl, unione di Na+ e Cl-) – tendono ad attrarsi elettricamente e questa attrazione è detta legame ionico. Quando una sostanza tenuta insieme da un legame ionico è immersa in acqua, se l’attrazione ionica delle molecole di quest’ultima è maggiore di quella tra gli ioni della sostanza, questa si scioglie nell’acqua; appena gli ioni si separano vengono circondati da “nuvole” d’acqua dette sfere di idratazione orientate in modo tale che i poli opposti si attraggano (es. Na+ circondato da acqua orientata in modo tale che sia a contatto con l’O-), che isolano gli ioni uno dall’altro La membrana neuronale è formata da un doppio strato fosfolipidico. I fosfolipidi sono i principali componenti della membrana cellulare e, come gli altri lipidi, sono costituiti da una lunga catena non polare di atomi di C (carbonio) e H (idrogeno), ma possiedono anche un gruppo fosfato polare, un atomo di P (fosforo) legato a tre atomi di O (ossigeno) attaccato alla porzione terminale; i fosfolipidi, quindi possiedono una “coda” non polare idrofoba e una “testa” polare idrofila. Nella membrana neuronale, questi due strati di fosfolipidi sono disposti in modo tale che le teste siano esposte al citosol e al fluido extracellulare, mentre le code rimangono confinate all’interno, permettendo di isolare efficacemente il citosol dal fluido extracellulare. Il tipo e la distribuzione delle proteine distinguono i neuroni dalle altre cellule. Le proteine sono assemblate a partire da combinazioni diverse di 20 amminoacidi, ognuno dei quali possiede un atomo centrale di C (detto carbonio alfa), legato covalentemente a quattro gruppi molecolari: un atomo di H, un gruppo aminico (NH3+), un gruppo carbossilico (COO-) e un gruppo R – o gruppo residuo – che costituisce la variabile determinante il tipo di amminoacido e le relazioni chimiche alle quali questo può partecipare. Nel processo di sintesi proteica, gli amminoacidi sono riuniti in una catena unita da legami peptidici, nei quali il gruppo aminico di un amminoacido è collegato con il gruppo carbossilico del successivo; le proteine formate da una singola catena di amminoacidi sono dette polipeptidi. Si possono distinguere quattro livelli nella struttura delle proteine: 1. Struttura primaria: la catena all’interno della quale gli amminoacidi sono collegati da legami peptidici 2. Struttura secondaria: la configurazione nella quale si attorciglia la struttura primaria delle proteine, ad es. a spirale, detta alfa-elica 3. Struttura terziaria: la forma tridimensionale complessa della proteina indotta da interazioni tra i gruppi R 4. Struttura quaternaria: una molecola più grande e complessa formata da diverse catene polipeptidiche legate insieme, ognuna delle quali è detta subunità I canali ionici sono costituiti da molecole proteiche che attraversano la membrana con gruppi polari – che sfuggono ad ambienti lipidici – alle estremità e gruppi idrofobi – che si associano con i lipidi – nella porzione mediana. In generale, un canale ionico richiede che da 4 a 6 molecole proteiche simili si assemblino in una conformazione a poro; la composizione delle subunità determina il tipo di poro e le sue proprietà. Una di queste proprietà, dipendente sia dal diametro del poro che dai gruppi R che lo rivestono, è la selettività ionica del canale (es. canali per il potassio sono esclusivamente permeabili a K+, mentre canali per il sodio solo a Na+); un’altra proprietà importante di alcuni canali è la variabilità d’accesso o dipendenza, ovvero la capacità di aprirsi e chiudersi in base ai cambiamenti del microambiente locale della membrana. Esistono anche altre proteine che si uniscono per formare pompe ioniche, enzimi che usano l’energia rilasciata dall’idrolisi dell’ATP per trasportare alcuni ioni fondamentali per la ritrasmissione dei segnali (come Na+ e Ca2+) attraverso la membrana. L’apertura di un canale ionico non implica necessariamente il passaggio di ioni attraverso di esso, in quanto questo spesso richiede l’applicazione di forze esterne. Il passaggio degli ioni attraverso la membrana cellulare può essere influenzato da due fattori: la diffusione e l’elettricità. Con diffusione si intende un movimento netto, all’interno di una soluzione ionica, di ioni da regioni ad alta concentrazione verso regioni a bassa concentrazione, con una velocità direttamente proporzionale alla temperatura della soluzione. Affinché la diffusione causi il movimento degli ioni da un lato all’altro della membrana cellulare è necessario sia che ci sia un canale permeabile a questi ioni, sia che ci sia un gradiente di concentrazione tra un lato e l’altro della membrana, ovvero una differenza nella concentrazione di quelli specifici ioni. Essendo gli ioni particelle cariche elettricamente e tenendo a mente che cariche opposte si attraggono e cariche simili si respingono, se si introducono dei poli elettrici in una soluzione, gli ioni si muoveranno nettamente verso il polo di direzione opposta. La quantità di questo movimento di cariche elettriche è detto corrente elettrica, rappresentata con il simbolo “I” e misurata in ampère (A); essa è definita positiva quando segue la direzione di un movimento di cariche positive (es. la corrente positiva in direzione del movimento di Na+ verso il catodo, il polo negativo). La corrente è a sua volta influenzata da due fattori direttamente proporzionali ad essa: il potenziale elettrico (o voltaggio), indicato con “V” e misurato in volt, la forza esercitata su una particella carica, equivalente alla differenza di carica tra catodo e anodo; la conduttanza elettrica, indicata con “g” e misurata in siemens (S), ovvero la facilità con cui una carica può migrare da un punto all’altro, dipende dal numero di ioni o di elettroni che portano una carica elettrica e quanto facilmente questi possono viaggiare attraverso lo spazio – un altro modo di esprimere lo stesso concetto è la resistenza elettrica, indicata con “R” e misurata in ohm (Ω), ovvero la difficoltà con cui una carica elettrica può viaggiare nello spazio e, quindi, l’inverso della conduttanza (R = 1/g). I, V e g sono collegati da una relazione, detta legge di Ohm, secondo la quale la corrente è il prodotto tra la conduttanza e il voltaggio: I = gV. Pertanto, la conduzione elettrica di ioni attraverso la membrana richiede che ci sia un canale permeabile a questi ioni e che vi sia una differenza di voltaggio tra i lati della membrana. Il potenziale di membrana, indicato con “Vm”, è il voltaggio presente attraverso la membrana neuronale; questo è misurato solitamente tramite l’inserzione di un microelettrodo (un tubicino riempito di una soluzione elettroconduttrice e collegato ad un voltmetro, con una punta con un diametro di ca. 0.5 μm) nella membrana del neurone. In condizione di potenziale di riposo, l’interno della membrana neuronale è carico negativamente rispetto all’esterno, e questo potenziale di riposo è tipicamente di -65 mV (in un neurone a riposo Vm = -65 mV). Per ogni ione si può individuare un potenziale di equilibrio (ionico), indicato con “Eion” ovvero la differenza di potenziale elettrico che equilibra esattamente un gradiente di concentrazione ionico, nel caso del K+, a 37 °C, questo potenziale è di ca. -80 mV (EK a 37 °C = -80 mV). Si possono fare quattro osservazioni riguardo la conduzione ionica attraverso la membrana: 1. Significativi cambiamenti del potenziale di membrana sono causati da cambiamenti minuscoli nella concentrazione ionica 2. La differenza netta di carica elettrica si presenta in corrispondenza della superficie interna ed esterna della membrana. Questo è possibile grazie allo spessore infimo della membrana, che consente agli ioni da un lato e dall’altro di essa di interagire fra loro, portando le cariche elettriche opposte tra i due lati ad attrarsi a vicenda e ad accumulare le cariche nette sui versanti della membrana 3. La quantità di ioni che attraversano la membrana è direttamente proporzionale alla differenza tra il potenziale di membrana e il potenziale di equilibrio (Vm – Eion); questa differenza è denominata forza di conduzione ionica 4. Se la differenza di concentrazione per un dato ione attraverso la membrana è nota, si può calcolare il potenziale di equilibrio per quello ione. Questo può essere calcolato con l’equazione di Nernst, che considera la carica ionica, la temperatura e il rapporto tra la concentrazione ionica esterna ed interna; l’equazione di Nernst ha come forma standard (?): 𝑅𝑇 [𝑖𝑜𝑛] 𝐸𝑖𝑜𝑛 = 2,303 𝑧𝐹 𝑙𝑜𝑔 [𝑖𝑜𝑛]𝑜 in cui Eion è il potenziale di equilibrio ionico; R è la costante dei gas; T è la 𝑖 temperatura assoluta; z è la carica dello ione; F è la costante di Faraday; log è il logaritmo in base 10; e [ion]o e [ion]i sono la concentrazione ionica all’esterno e all’interno della cellula. A 37 °C è possibile rilevare il potenziale di equilibrio per gli ioni rilevanti, i quali saranno: *mM sono millimoli, concentrazione di 0,001 moli per litro; una soluzione è 1 molare (M) se ha una concentrazione di 1 M per L (una mole è equivalente a 6,02 x 1023 molecole) Ione [ion]i (mM)* [ion]o (mM)* Rapporto interno esterno Eion a 37 °C K+ 100 5 1:20 -80 mV Na+ 15 150 10:1 62 mV Ca2+ 0,0002 2 10000:1 123 mV Cl- 13 150 11,5:1 -65 mV Di rilevanza per la neurofisiologia cellulare sono le concentrazioni di K+, maggiore all’interno e di Na+ e Ca+, maggiori all’esterno. Questi gradienti di concentrazione sono indotti dalle pompe ioniche. Le più importanti a questo riguardo sono la pompa sodio-potassio, che idrolizza ATP (si stima il 70% di tutto l’ATP del cervello) in presenza di Na+ all’interno della cellula e scambia Na+ interno con K+ esterno, rendendo il primo più concentrato all’esterno e il secondo all’interno – contro il loro gradiente di concentrazione - e la pompa del calcio, che trasporta Ca2+ al di fuori della membrana cellulare, per mantenere bassa la sua concentrazione interna (ca. 0,0002 mM). Occorre considerare che la membrana neuronale non è permeabile ad un solo tipo di ione, infatti il potenziale di riposo della membrana (-65 mV) è intermedio tra i potenziali di equilibrio per il K+ (-80 mV) e per il Na+ (62 mV). Ciò è dovuto al fatto che la membrana neuronale a riposo è altamente permeabile a K+, ma al contempo vi è anche una perdita costante di Na+ dalla cellula; questo potenziale di riposo può essere calcolato con l’equazione di Goldman, che prende in considerazione la permeabilità della membrana relativamente a diversi ioni, la quale, prendendo in considerazione K + e Na+, prende la forma 𝑃𝐾 [𝐾+ ]𝑜 +𝑃𝑁𝑎 [𝑁𝑎+ ]𝑜 di: 𝑉𝑚 = 61,54 𝑚𝑉 𝑙𝑜𝑔 in cui Vm è il potenziale di membrana, PK e PNa sono le 𝑃𝐾 [𝐾+ ]𝑖 +𝑃𝑁𝑎 [𝑁𝑎+ ]𝑖 permeabilità relative a K+ e a Na+ [gli altri termini sono analoghi a quelli dell’equazione di Nernst]. La permeabilità selettiva dei canali per il potassio è fondamentale nel determinare il potenziale di riposo e, quindi, la funzione neuronale; questa dipende dalla disposizione dei residui amminoacidici lungo la regione del poro interno del canale. Un passo importante nella comprensione dei canali per il potassio è stato la scoperta delle sequenze amminoacidiche di una famiglia di essi nel moscerino della frutta Drosophila melanogaster, in particolare nel ceppo di moscerini “Shaker”, i quali si agitavano quando anestetizzati con l’etere, a causa di un difetto di un tipo di canali per il potassio, denominati poi, appunto, canali per il potassio Shaker; questa analisi ha permesso la scoperta dell’esistenza di molti canali per il potassio diversi, tra i quali quelli responsabili del mantenimento del potenziale di riposo. La maggior parte di questi canali ha 4 subunità disposte a cilindro per formare un poro; particolarmente importante è una regione detta ripiegamento del poro, che contribuisce a conferire a questi canali la loro selettività al K+. La sequenza precisa degli amminoacidi che formano sia le pareti che il ripiegamento è stata identificata per la prima volta da Chris Miller e Roderick MacKinnon, grazie all’osservazione di una tossina degli scorpioni che blocca completamente il canale per il potassio; mutazioni anche di un solo amminoacido in questa regione possono avere conseguenze gravi sul funzionamento neuronale, come dimostrano i topi “Weaver”, i quali hanno una mutazione nel ripiegamento del poro di un canale del potassio nel cervelletto, che consente anche al Na+ di passare dal canale, rendendo il potenziale di membrana meno negativo, intaccando la funzionalità del neurone e, quindi, impedendo loro di mantenere la postura e muoversi normalmente. Anche nell’uomo, alcuni disturbi neurologici ereditari (es. alcune forme di epilessia) possono essere spiegati da mutazioni in canali del potassio specifici. Un’altra conseguenza della maggiore permeabilità della membrana per il K+ è una maggiore sensibilità al K+ extracellulare, l’incremento del quale, nello specifico, causa la depolarizzazione (il passaggio del potenziale di membrana dal normale valore di riposo ad uno meno negativo) della membrana. La concentrazione di K+ extracellulare è pertanto finemente regolata da diversi meccanismi, uno dei più importanti dei quali è la barriera ematoencefalica, una specializzazione delle pareti dei capillari cerebrali la quale limita il movimento di diverse sostanze trasportate dal sangue, tra cui il K +, nel fluido extracellulare; un altro importante meccanismo di regolazione del [K+]o è il tampone spaziale del potassio, un sistema di pompe per il potassio nella membrana degli astrociti, collegato a canali per il K +, il quale fa entrare il [K+]o in eccesso, concentrandolo nel citosol astrocitico, che depolarizza la cellula gliale, la quale, a sua volta, lo elimina. Non tutte le cellule possiedono questi meccanismi, tuttavia, come nel caso delle cellule muscolari, pertanto un innalzamento del [K +]o può comunque avere conseguenze fisiologiche serie. Neuroscienze: Esplorando il Cervello – CAP. 4: Il Potenziale d’Azione Il potenziale d’azione (PA; spesso chiamato anche spike, impulso nervoso o scarica) è una rapida inversione del potenziale di riposo della membrana neuronale, la frequenza e direzione del quale costituiscono il codice delle informazioni trasmesse dai neuroni. Ogni potenziale d’azione possiede delle proprietà universali, condivise dagli assoni del sistema nervoso di ogni animale. Queste sono: L’oscillazione del PA: dato che il PA dura ca. 2 msec (millisecondi), per misurarlo è necessario un tipo di voltmetro detto oscilloscopio, che può fornire una registrazione del voltaggio mentre cambia nel tempo. In un PA si possono identificare delle parti nel suo andamento ben specifiche: innanzitutto vi è la fase ascendente, la rapida depolarizzazione della membrana fino ad un picco di 40 mV; a questo punto, quando l’interno del neurone è carico positivamente rispetto all’esterno, si è nella fase di potenziale a punta (o overshoot); segue la fase discendente, una rapida ripolarizzazione della membrana oltre il potenziale di riposo; quest’ultima fase è detta iperpolarizzazione (o undershoot). Alla fine del PA, il potenziale di riposo si ristabilisce gradualmente La generazione del PA: affinché si generi un PA, è necessario che la membrana neuronale, e in particolare la sua parete interna (o citoplasmatica) si depolarizzi (questa depolarizzazione è detta potenziale generatore) arrivando ad un livello critico detto soglia; se questo livello non viene raggiunto, il PA non avviene, ma appena si supera, esso si verifica, per questo motivo il PA è un fenomeno “tutto o nulla”. La depolarizzazione che causa il PA può crearsi in modi diversi nei vari neuroni, per es. nel caso delle fibre nervose della pelle, che rilevano, tra le altre cose, il dolore, è causata dall’entrata di Na+ attraverso canali ionici sensibili allo stiramento della membrana; negli interneuroni, invece, i canali del Na+ sono sensibili a neurotrasmettitori rilasciati da altri neuroni; un PA può persino essere generato artificialmente tramite stimolazione elettrica per microelettrodo. La generazione di PA multipli: se in un neurone passa una corrente depolarizzante continua, questo continuerà a generare PA, con una frequenza di scarica proporzionale all’intensità della corrente depolarizzante continua; se la corrente raggiunge il livello della soglia, ma non la supera, la frequenza di scarica sarà di ca. 1 Hz (1/s), se invece la corrente va oltre, la frequenza continuerà ad aumentare, in questo modo il sistema nervoso può codificare l’intensità della stimolazione. Pare che la frequenza massima di scarica sia ca. 1000 Hz, dato che, una volta iniziato un PA, è impossibile che ne inizi un altro per almeno 1 msec, detto periodo refrattario assoluto, cui segue un periodo refrattario relativo, nel quale la corrente depolarizzante necessaria per raggiungere la soglia si eleva oltre il normale, rendendo più difficile generare un PA. Recentemente si è iniziato a stimolare i neuroni, per misurarne la frequenza di scarica, tramite l’optogenetica, ovvero l’inserzione di geni che esprimono canali ionici i quali si aprono in risposta alla luce, in particolare si usano i fotopigmenti (proteine che assorbono la luce e generano risposte neuronali) canal-rodopsina-2 (ChannelRhodopsin-2, ChR2), che genera PA in risposta alla luce blue e alorodopsina, che inibisce i neuroni in risposta alla luce gialla. I metodi usati per studiare gli impulsi nervosi possono essere generalmente divisi in due tipi: intracellulari ed extracellulari. La prima richiede la penetrazione del neurone o assone tramite un microelettrodo, con lo scopo di misurare la differenza di potenziale tra la punta dell’elettrodo intracellulare e un elettrodo posto in una soluzione in cui è immerso il neurone (detto quindi elettrodo di terra); l’elettrodo intracellulare è riempito di una soluzione salina concentrata (solitamente KCl) altamente conduttivo e viene connesso ad un amplificatore che confronta la suddetta differenza di potenziale e la proietta sullo schermo di un oscilloscopio. Nella registrazione extracellulare, vengono rilevate le correnti elettriche attraverso la membrana neuronale ponendo un elettrodo vicino a quest’ultima, sempre con l’obiettivo di misurare la differenza di potenziale tra la punta dell’elettrodo – che può essere un tubicino di vetro riempito con elettroliti o, più comunemente, un sottile filo di metallo isolato – in assenza di attività neuronale, la differenza di potenziale è zero, mentre il potenziale d’azione è caratterizzato da una differenza di voltaggio tra i due elettrodi breve e alternante. I cambiamenti di voltaggio possono anche essere ascoltati connettendo l’amplificatore ad un altoparlante; ogni impulso produce un “pop”. A livello molecolare, il PA altro non è che un movimento di ioni attraverso canali ionici che si aprono e chiudono in risposta ai cambiamenti del potenziale di membrana. In particolare, la fase ascendente è data dall’apertura dei canali ionici per il sodio in seguito ad un potenziale generatore sovrasoglia, che permette l’entrata di Na+ causando una massiccia depolarizzazione fino a quando Vm non si avvicina a ENa; viceversa, la fase discendente e la conseguente iperpolarizzazione sono dovute alla chiusura rapida dei canali per il Na+ in concomitanza con la continuata apertura dei canali per il K+, che permette alla permeabilità dominante di essere nuovamente quella di K+, quindi il K+ fluirà al di fuori della cellula fino a quando Vm = EK. La dimensione della corrente ionica che fluisce attraverso i canali, indicata con “Iion”, è correlata alla conduttanza ionica (il numero di canali ionici aperti; indicata con “gion”) e alla forza di spinta degli ioni (la differenza tra il potenziale di membrana e il potenziale di equilibrio dello ione interessato; indicata con “Vm – Eion”); come si può osservare nell’equazione: 𝐼𝑖𝑜𝑛 = 𝑔𝑖𝑜𝑛 (𝑉𝑚 − 𝐸𝑖𝑜𝑛 ). Questa equazione è, in realtà, semplicemente un altro modo di vedere la legge di Ohm (𝐼 = 𝑔𝑉). Ciò che ha permesso di misurare la conduttanza della membrana per il K+ e per il Na+ nel neurone è stata la tecnica del blocco del voltaggio (o voltage clamp) ideata da Kenneth C. Cole e utilizzata da Alan Hodgkin e Andrew Huxley, che permette di “bloccare” il Vm di un assone a qualsiasi valore scelto. Hodgkin e Huxley hanno dimostrato come la fase ascendente e quella discendente siano causate da un aumento transitorio di gNa e gK, rispettivamente e i relativi flussi di Na+ verso l’interno e K+ verso l’esterno, rispettivamente; questi cambiamenti transitori furono spiegati ipotizzando “cancelli” (canali proteici voltaggio-dipendenti selettivi) per il sodio nella membrana assonica attivati (aperti) dalla depolarizzazione sovrasoglia e inattivati (chiusi e bloccati) quando Vm è positivo, successivamente sono de-inattivati (sbloccati e pronti ad una nuova apertura) quando Vm torna negativo. Le ipotesi di Hodgkin e Huxley sono state confermate dalla scoperta dei canali proteici voltaggio- dipendenti, pori che si aprono e chiudono in base ai cambiamenti di voltaggio della membrana. I due principali canali di questo tipo sono selettivi per il Na+ e per il K+. I canali voltaggio-dipendenti selettivi per il sodio sono pori altamente selettivi a Na+. Sono formati da un singolo polipeptide, con 4 domini distinti (numerati da I a IV) raggruppati a formare un poro, ognuno composto di 6 alfa-eliche transmembrana (numerate da S1 a S6). Quando Vm è negativo, il poro è chiuso, quando la membrana si depolarizza al livello di soglia, si deforma permettendo il passaggio di Na+, anche questo canale contiene dei ripiegamenti che formano un filtro di selettività, rendendolo 12 volte più permeabile a Na+ che a K+; una peculiarità è la quasi totale privazione delle molecole d’acqua associate al Na+ quando questo entra nel canale, probabilmente perché l’acqua serve per “accompagnare” gli ioni, dato che è necessaria per superare il filtro di selettività. Nel segmento S4 si trova il sensore di voltaggio della molecola, che ne permette la risposta al potenziale di membrana; in particolare, in S4, i residui amminoacidici caricati positivamente sono distribuiti lungo gli avvolgimenti dell’elica, permettendone la deformazione e il movimento quando la molecola si depolarizza, causando, di conseguenza, l’apertura del canale. Le proprietà funzionali di questi canali sono state studiate tramite la tecnica del patch clamp, ovvero la messa a contatto della punta di un microelettrodo con una piccolissima area (patch) della membrana neuronale, che può quindi essere staccata per misurare le correnti ioniche che la attraversano mentre il suo Vm è bloccato (clamped). Questo tipo di canale si apre quando si raggiunge il valore soglia di -40 mV (o tra -65 e -40 mV?); inoltre, presentano un comportamento peculiare, dato che si aprono con un piccolo ritardo, rimangono aperti per ca. 1 msec e poi si inattivano, e non possono de-inattivarsi fino a quando il Vm non torna ad un valore negativo vicino alla soglia. Inoltre, un solo canale non può causare un PA, è necessario che se ne aprano migliaia. Diversi geni nel genoma umano codificano per i canali voltaggio-dipendenti per il Na+ e differenze nell’espressione di questi geni può portare a variazioni nelle proprietà del PA; per es. mutazioni di un amminoacido nel versante extracellulare del canale causano una malattia ereditaria dei bambini l’epilessia generalizzata con crisi febbrili, probabilmente collegata al fatto che questa mutazione rallenta l’inattivazione del canale, prolungando il potenziale d’azione. Queste malattie genetiche causate dall’alterazione nella struttura e nella funzione dei canali ionici sono dette canalopatie. Il metodo patch clamp, introdotto negli anni ’70 da Bert Sakmann ed Erwin Neher, consiste nel far scendere la punta di un microelettrodo di vetro di 1-5 μm di diametro sopra la membrana di un neurone e applicando una leggera aspirazione attraverso la punta; il pezzo di membrana (patch) aderisce alle pareti dell’elettrodo formando una vescicola, detta “gigaohm” per la sua alta resistenza elettrica, che permette agli ioni nell’elettrodo di scorrere solo attraverso i canali della patch sottostante. Se l’elettrodo è poi ritratto si può staccare la patch e misurare le correnti ioniche applicando voltaggi costanti attraverso la membrana e distinguere le diverse correnti ioniche che attraversano i singoli canali. Il canale per il sodio è anche vulnerabile all’azione di varie tossine, come la tetrodotossina (TTX) del pesce palla, che ostruisce il poro legandosi ad un sito specifico all’esterno del canale e bloccando i PA sodio-dipendenti; un’altra tossina con un effetto simile è la saxitossina (STX) prodotta dai dinoflagellati della specie Gonyaulax (alghe microscopiche flagellate) concentrata nei molluschi bivalvi, nei mitili e nei crostacei che se ne nutrono o che possono assorbirla quando questi protozoi si dischiudono causando le cosiddette “maree rosse” e trasferirla all’uomo se consumati in questi periodi. Esistono anche tossine che causano l’apertura inappropriata dei canali, come la batracotossina (BTX), prodotta dai coleotteri del genere Choresine, ingeriti da uccelli e rane che poi la secernono tramite la pelle e le piume, che porta i canali ad aprirsi a potenziali più negativi e a rimanere aperti più a lungo, alterando la codificazione dell’informazione dei PA; effetti simili hanno la veratridina prodotta dai gigli dei generi Veratrum e Schoenocaulon, l’aconitina dei ranuncoli del genere Aconitum, le complesse tossine degli scorpioni e quelle degli anemoni di mare (es. calitossina – CTX – e antopleurina). Lo studio di queste tossine ha sia permesso di dedurre la struttura tridimensionale del canale per il sodio, che di studiare le conseguenze del blocco dei PA. I “cancelli” selettivi per il potassio studiati da Hodgkin e Huxley presentavano la caratteristica di non aprirsi immediatamente dopo la depolarizzazione, ma ca. 1 msec dopo; per questo motivo e perché la conduttanza per il K+ ha la funzione di “rettificare” o ripristinare il Vm, chiamarono questa conduttanza “delayed rectifier” o “rettificatore ritardato”. Esistono, in realtà, molti tipi di canali voltaggio- dipendenti per il potassio molti dei quali hanno la funzione di diminuire l’ulteriore depolarizzazione della membrana fornendo una via d’uscita al K+ che si trova dentro la cellula. Tutti i tipi conosciuti di questo canale hanno una struttura simile, con le proteine che formano il canale costituite da 4 subunità polipeptidiche separate disposte in modo tale da formare un poro e sensibili ai cambiamenti del campo elettrico come nel canale per il sodio, con un funzionamento probabilmente simile a quello del sensore di voltaggio di quest’ultimo. In linea di massima quindi, il potenziale d’azione può essere riassunto così: 1. Soglia: il Vm al quale i canali voltaggio-dipendenti selettivi per il sodio di aprono in quantità sufficiente per permettere che la permeabilità relativa della membrana sia più favorevole al Na+ che al K+ 2. Fase ascendente: quando l’interno della membrana ha un potenziale elettrico negativo, vi è una forte spinta sul Na+ che lo porta ad entrare nella cellula attraverso i canali del sodio aperti, depolarizzandone rapidamente la membrana 3. Potenziale a punta (overshoot): dato che la permeabilità relativa della membrana è favorevole al Na+, Vm si sposta verso un valore vicino a ENa, superiore a 0 mV 4. Fase discendente: i canali voltaggio-dipendenti per il sodio si inattivano, mentre quelli per il potassio si aprono; quando la membrana è fortemente depolarizzata, c’è una forte spinta su K+, che fuoriesce dalla cellula attraverso i canali, riportando Vm ad un valore negativo 5. Iperpolarizzazione (undershoot): l’apertura dei canali per il sodio e la permeabilità maggiore per K+ della membrana a riposo si sommano, rendendo la cellula molto poco permeabile a Na+ e causando lo spostamento di Vm ad un valore vicino a EK, fino a quando i canali del potassio si richiudono 6. Periodo refrattario assoluto: i canali per il sodio si inattivano quando la membrana è fortemente depolarizzata e non possono de-inattivarsi fino a quando Vm non è abbastanza negativo 7. Periodo refrattario relativo: Vm rimane iperpolarizzato fino a quando i canali per il potassio non si chiudono e, quindi, è necessaria una corrente depolarizzante più forte per raggiungere il livello di soglia Durante tutto questo processo, le pompe sodio-potassio sono comunque attive e cercano di mantenere il gradiente di concentrazione ionico tra citosol e fluido extracellulare. Per trasferire l’informazione attraverso il sistema nervoso è necessario che un PA si propaghi lungo l’assone. Questo è possibile perché, una volta che una sezione di membrana assonica si depolarizza, il flusso di cariche positive si sposta, depolarizzando il segmento adiacente, fino a raggiungere il terminale assonico, dove dà inizio alla trasmissione sinaptica. Inoltre, dato che ogni segmento della membrana, una volta attraversato dal PA, va incontro ad un periodo refrattario, il PA non potrà mai viaggiare a ritroso, ma solo in una direzione, ortodromica se va, naturalmente, verso il terminale o antidromica se va, per induzione sperimentale, verso il soma. La velocità di conduzione può variare, ma nella maggior parte dei casi è di ca. 10 m/s (considerando che un PA dura ca. 2 msec, un PA che viaggia a 10 m/s coinvolge un segmento di 2 cm di assone). La velocità di propagazione del potenziale d’azione dipende dalle proprietà fisiche dell’assone, in particolare dal suo diametro. La velocità dipende da quanto lontano l’assone riesce a diffondere il potenziale generatore che precede il PA, e questo dipende dalle proprietà fisiche dell’assone: in generale, il PA può viaggiare all’interno dell’assone o attraverso la membrana assonica; solitamente il percorso dipende dal diametro e dal numero di pori aperti, se il primo è molto ampio e i secondi sono pochi, la maggior parte della corrente scorrerà all’interno dell’assone, mentre, se l’inverso è vero, la maggior parte della corrente scorrerà attraverso la membrana. Siccome nel primo caso, la corrente è mantenuta più a lungo e può depolarizzare porzioni più lontane di membrana, il PA si propagherà più velocemente quanto più ampio è il diametro dell’assone. Solitamente, assoni più ampi si sono evoluti per sottostare a funzioni importanti per l’organismo; inoltre, il diametro dell’assone e il numero di canali-voltaggio dipendenti nella sua membrana determinano anche l’eccitabilità assonale, perciò assoni più piccoli necessitano di depolarizzazioni più grandi per raggiungere la soglia e sono più sensibili al blocco di anestetici locali. Gli anestetici locali bloccano temporaneamente i PA negli assoni; sono “locali” perché sono iniettati direttamente nel tessuto interessato. Il primo anestetico locale introdotto nella pratica medica è stato la cocaina, isolata dalle foglie della pianta di coca nel 1860 da Albert Niemann, il quale, assaggiandola, notò che intorpidiva la lingua. L’anestetico locale più utilizzato oggi è la lidocaina, che può essere disciolta in gelatina e spalmata su un’area per addormentare le terminazioni nervose (anestesia topica), iniettata in un tessuto (anestesia da infiltrazione) o nervo (blocco nervoso), o infusa nel LCS che bagna il midollo spinale (anestesia spinale), dove può agire su più parti del corpo. Gli anestetici funzionano legandosi ai canali del Na+ voltaggio-dipendenti; gli assoni piccoli sono colpiti prima di quelli più grandi, perché i loro PA hanno un minore margine di sicurezza e necessitano di un maggior numero di canali per assicurare che il PA non si esaurisca durante la conduzione assonica. Dato che gli assoni molto ampi, nonostante la loro maggiore velocità di conduzione, occupano molto spazio, i vertebrati hanno evoluto un’alternativa per migliorare la conduzione del PA, ovvero il rivestimento dell’isolante mielina che si trova intorno ad alcuni neuroni, fornito dall’oligodendroglia e dalle cellule di Schwann. La mielina favorisce lo scorrimento della corrente all’interno dell’assone, velocizzando la conduzione del PA. La guaina mielinica, però, presenta delle interruzioni (circa ogni 0,2-2 mm, proporzionale all’ampiezza dell’assone) dette nodi di Ranvier, sulla membrana dei quali si accumulano i canali per il Na+; il PA in questi assoni salta da nodo a nodo, e la sua propagazione prende il nome di conduzione saltatoria. L’importanza della mielina per il trasferimento di informazioni nel SN è rivelata dalla sclerosi multipla (SM). Questa malattia causa spesso debolezza, mancanza di coordinazione e compromissione di vista e linguaggio. La SM è generalmente caratterizzata da remissioni e ricadute che si ripetono per anni. La SM stacca le guaine mieliniche di fasci di assoni nel cervello, midollo spinale e nervi ottici. Gli individui affetti mostrano un marcato rallentamento della velocità di conduzione nel nervo ottico. Un’altra malattia demielinizzante è la sindrome di Guillain-Barré, che attacca la mielina dei nervi periferici che innervano muscoli e pelle; la malattia può manifestarsi dopo infezioni di scarsa entità e vaccinazioni e sembra essere una risposta immunologica anomala contro la mielina del soggetto stesso. Dato che le membrane del soma e dei dendriti possiedono pochissimi canali voltaggio-dipendenti per il sodio, in queste regioni non si può generare un PA sodio-dipendente; infatti, queste molecole si trovano in gran numero solo nella membrana assonica, infatti il monticolo assonico (la parte in cui l’assone diparte dal soma) prende spesso il nome di zona di innesco dello spike. Assoni e dendriti si differenziano non solo nella loro morfologia, ma anche nella loro funzione, specificata dal tipo di proteina presente nelle membrane neuronali. Nei neuroni tipici del cervello e del midollo spinale, una depolarizzazione dei dendriti o del soma causa un PA solo se la membrana del monticolo assonico è depolarizzata sovrasoglia; nei neuroni sensitivi, invece, la zona di innesco dello spike è vicina alle terminazioni nervose sensoriali, che, depolarizzate dalla stimolazione sensoriale, generano PA che si propagano lungo i nervi sensitivi. La corteccia cerebrale possiede due tipi principali di neuroni con morfologia diversa: le cellule stellate, senza spine, e le cellule piramidali, con spine. Le cellule stellate, solitamente, rispondono alla depolarizzazione costante con una scarica di PA con una frequenza relativamente costante; mentre le cellule piramidali scaricano rapidamente all’inizio dello stimolo e rallentano (adattamento) la frequenza anche se lo stimolo non diminuisce. Un altro pattern di scarica è il burst, che consiste in un gruppo di PA ad alta frequenza con una breve pausa. Alcune cellule, incluso un sottotipo di grandi neuroni piramidali della corteccia, rispondono ad un input costante con burst ripetitivi e ritmici. I diversi pattern di attività elettrica nei neuroni dipendono dalla complessa interazione tra i diversi tipi di canali ionici. Neuroscienze: Esplorando il Cervello – CAP. 5: La Trasmissione Sinaptica Verso la fine del diciannovesimo secolo, si comprese che il trasferimento di informazioni tra un neurone e l’altro avviene in siti di contatto specializzati, chiamati sinapsi per la prima volta da Charles Sherrington, mentre il processo prende il nome di trasmissione sinaptica. Una sinapsi è una giunzione specializzata nella quale parte di un neurone (presinaptico) entra in contatto con un'altra cellula (post- sinaptica). Si possono distinguere due tipi di sinapsi: Sinapsi elettriche: dimostrate definitivamente alla fine degli anni ’50 da Edwin Furshpan e David Potter. Consentono il trasferimento diretto della corrente elettrica da un neurone all’altro; si trovano presso siti specializzati detti giunzioni comunicanti (o gap junctions) – questi siti sono presenti in tutto il corpo e collegano diversi tipi di cellule, si parla di sinapsi elettrica solo quando collegano due neuroni – nei quali le membrane delle cellule sono separate da uno spazio di ca. 3 nm attraversato da raggruppamenti della proteina connessina, della quale 6 unità si uniscono per formare un canale detto connessone, 2 dei quali, uno da ogni cellula, si collegano per formare un canale detto canale della giunzione comunicante. Questo poro ha un diametro di ca. 1-2 nm, abbastanza da lasciar passare tutti gli ioni fondamentali e molte piccole molecole organiche; inoltre, consentono alla corrente di passare in entrambe le direzioni, perciò si dicono bidirezionali. Le cellule connesse tramite gap junction si dicono elettricamente accoppiate; la trasmissione tra di loro è molto veloce e un PA può propagarsi con un delay molto piccolo. Quando due neuroni sono elettricamente accoppiati, una piccola porzione della corrente ionica presinaptica fluisce nel neurone post-sinaptico, provocando un potenziale post-sinaptico (PPS); siccome le sinapsi elettriche sono bidirezionali, tuttavia, il PA nel neurone post-sinaptico, indurrà un PPS nel neurone presinaptico. Un PPS di una singola sinapsi è solitamente piccolo (ca. 1 mV o meno al loro picco), ma i tanti PPS che arrivano ad un neurone contemporaneamente da tutte le sue connessioni possono eccitarlo molto. Le funzioni specifiche di queste sinapsi variano, ma in generale, sono molto diffuse in quelle aree che richiedono un’attività neuronale fortemente sincronizzata per sostenere la loro funzione normale (come nel caso dell’oliva inferiore). Le gap junction sono particolarmente comuni nelle prime fasi dello sviluppo (prenatale e postnatale), probabilmente perché consentono alle cellule comunicanti di condividere segnali sia elettrici e chimici per coordinare meglio il loro sviluppo. Sinapsi chimiche: dimostrate per la prima volta nel 1920 da Otto Loewi e definitivamente da Bernard Katz (tra motoneurone e muscoli scheletrici) e da John Eccles (nel SNC). Queste gestiscono la maggior parte della trasmissione sinaptica nel sistema nervoso umano maturo. Le membrane delle due cellule sono separate da una fessura sinaptica di ca. 20-50 nm, riempita da una matrice di proteine fibrose extracellulari che servono, per es. da collante tra le cellule. La porzione presinaptica (anche detto elemento presinaptico) è solitamente un terminale assonico, che contiene una dozzina di sfere invaginate di ca. 50 nm di diametro dette vescicole sinaptiche, le quali immagazzinano i neurotrasmettitori; in alcuni neuroni, vi sono vescicole più grandi, di ca. 100 nm, detti granuli secretori (o vescicole a centro denso), che contengono proteine solubili che appaiono scure al microscopio. Gli accumuli di proteine adiacenti ad entrambe le membrane sono detti collettivamente specializzazioni di membrana; nell’elemento presinaptico, le proteine di forma piramidale che si accumulano presso la membrana sono i siti di rilascio del neurotrasmettitore e dette zone attive, attorno alle quali si accumulano le vescicole sinaptiche; la proteina che si accumula appena sotto la membrana post-sinaptica è invece detta densità post-sinaptica, e contiene i recettori che convertono il segnale chimico intercellulare dei neurotrasmettitori in un segnale elettrico o chimico intracellulare. Nel SNC si possono distinguere diversi tipi di sinapsi chimiche in base all’elemento post-sinaptico e alla dimensione e alla forma (v. p. 121 fig. 5.7), ci sono sinapsi: assodendritiche (dendriti), assoassoniche (assoni), assosomatiche (corpo cellulare), assospinose (spine dendritiche) e dendrodendritiche (dendriti che contraggono sinapsi su altri dendriti); in base all’aspetto delle specializzazioni di membrana si distinguono: s. asimmetriche (o del I tipo di Gray) se le specializzazioni post-sinaptiche sono più spesse, e s. simmetriche (o del II tipo di Gray) se hanno uno spessore simile da entrambi i lati. Le giunzioni sinaptiche si trovano anche all’esterno del SNC, come nel caso degli assoni del SNP che innervano le ghiandole, i muscoli lisci e il cuore, o tra gli assoni dei motoneuroni del midollo spinale e i muscoli scheletrici, dette giunzioni neuromuscolari. Queste ultime sono veloci ed efficaci, grazie alla loro grandezza e abbondanza di zone attive allineate esattamente con le pieghe superficiali dell’elemento post- sinaptico, la placca motoria, che contengono i recettori; le giunzioni neuromuscolari sono di grande importanza clinica e di ricerca, dato che sono molto più accessibili di altre sinapsi e coinvolgono funzioni vitali dell’organismo. I neurotrasmettitori che si conoscono al giorno d’oggi rientrano in una di tre categorie: Aminoacidi: sono piccole molecole organiche che contengono almeno un atomo di N (azoto), immagazzinati nelle vescicole sinaptiche e liberati da esse; includono l’acido gamma-aminobutirrico (GABA), il glutammato (Glu) e la glicina (Gly) Amine: piccole molecole come gli aminoacidi; includono l’acetilcolina (ACh), la dopamina (DA), l’adrenalina, l’istamina, la noradrenalina (NA) e la serotonina (5-HT) Peptidi: sono grandi molecole (catene di aminoacidi) immagazzinate e rilasciate dai granuli secretori, perciò, spesso si trovano negli stessi terminali di aminoacidi e amine; includono la colecistochinina (CCK), la dinorfina, le encefaline (Enk), l’N-acetilaspartilglutammato (NAAG), il neuropeptide Y, la somatostatina, la sostanza P, l’ormone per il rilascio della tirotropina e il polipeptide intestinale vasoattivo (VIP) Nel cervello, diversi neuroni rilasciano diversi neurotrasmettitori. La trasmissione sinaptica rapida (ca. 10-100 msec) è mediata, nella maggior parte delle sinapsi del SNC, dagli aminoacidi glutammato, GABA e glicina, e dalla acetilcolina (ACh) nelle giunzioni neuromuscolari; le trasmissioni sinaptiche lente possono durare da centinaia di msec fino a minuti, sia nel SNC che nel SNP e sono mediate da tutte e tre le categorie di trasmettitori. I diversi neurotrasmettitori sono sintetizzati in modi differenti. Il glutammato e la glicina fanno parte dei 20 amminoacidi costituenti le proteine e, quindi, sono presenti abbondantemente pressoché in tutte le cellule. Il GABA e le amine, invece, sono prodotti soprattutto dai neuroni che le rilasciano, all’interno dei quali sono sintetizzate da enzimi specializzati che li assemblano da precursori metabolici e poi sono trasportate nelle vescicole da proteine specializzate nella membrana delle vescicole, dette trasportatori. I peptidi sono creati legando insieme aminoacidi nei ribosomi del RE rugoso, questi poi vengono spezzettati nell’apparato del Golgi, dove uno dei frammenti è il neurotrasmettitore peptidico attivo; i granuli secretori stessi hanno origine nell’apparato del Golgi e sono veicolati verso il terminale tramite trasporto assoplasmatico. Il rilascio dei neurotrasmettitori è indotto dall’arrivo di un PA al terminale assonico, la depolarizzazione del quale causa l’apertura dei canali voltaggio-dipendenti selettivi per il calcio (molto simili a quelli per il Na+, ma permeabili a Ca2+) che porta ad una forte spinta verso l’interno per il Ca2+, l’innalzamento della concentrazione interna del quale è il segnale del rilascio del neurotrasmettitore. La membrana delle vescicole sinaptiche si fonde con quella presinaptica nella zona attiva, che permette l’esocitosi, il riversamento del neurotrasmettitore nella fessura sinaptica. L’intero processo è molto rapido (ca. 0,02 msec), dato che il Ca2+ entra nella zona attiva esattamente nel punto in cui le vescicole sono pronte a rilasciare il loro contenuto, probabilmente causando una deformazione che porta all’esocitosi. La membrana della vescicola viene poi recuperata attraverso l’endocitosi, nel quale la vescicola viene riciclata e ri-riempita di neurotrasmettitore. Nei periodi di attivazione prolungata, i processi di rilascio sono mobilitati da una riserva neurotrasmettitoriale legata al citoscheletro del terminale, sempre attivato dall’aumento di [Ca2+]i. Nel caso dei peptidi, dato che i siti di esocitosi dei granuli secretori sono distanti dal punto di ingresso del Ca2+, essi necessitano di treni di PA ad alta frequenza per essere rilasciati, così che il Ca2+ possa raggiungere livelli interni tali da stimolare anche le sezioni lontane dalle zone attive; il rilascio dei peptidi è, perciò un processo più lento, di ca. 50 msec. Il legame e la fusione delle membrane sembrano dipendere dalla famiglia delle proteine SNARE, scoperte per la prima volta nelle cellule dei lieviti, che permettono ad una membrana di “intrappolarne” un’altra. Ogni peptide SNARE ha un terminale lipofilo che si incastra nella membrana e una coda che si proietta nel citosol; le vescicole hanno le v-SNARE (“vescicolare”) e la membrana esterna ha le t-SNARE (“target”). Altre proteine si presinaptiche si attaccano al complesso SNARE, per es. la sinaptotagmina è il sensore critico del Ca2+ che attiva rapidamente la fusione delle vescicole e il rilascio del trasmettitore. I neurotrasmettitori influenzano l’elemento post-sinaptico legandosi a proteine recettrici, i recettori. Esistono oltre 100 recettori diversi, ma si possono classificare in due categorie principali: Canali ionici trasmettitore-dipendenti: proteine trasnmembrana di 4 o 5 subunità che formano un poro. Il neurotrasmettitore si lega a siti specifici sul lato extracellulare del poro, causando un cambiamento nella sua conformazione e la sua apertura. Questi canali non presentano la stessa selettività dei canali ionici voltaggio- dipendenti, e permettono, per es. il passaggio sia di K+ che di Na+; nel caso del passaggio di quest’ultimo, la cellula post-sinaptica si depolarizzerà, portando il Vm verso il valore soglia per un PA, questo effetto viene infatti detto “eccitatorio”. La depolarizzazione transitoria dell’elemento post-sinaptico dovuta al rilascio presinaptico di neurotrasmettitore è detta potenziale post-sinaptico eccitatorio (PPSE) ed occorre con l’attivazione sinaptica dei canali ionici ACh-dipendenti e Glu-dipendenti. Nel caso dell’ingresso di Cl-, invece, la membrana post-sinaptica si iperpolarizzerà, allontanando il Vm dal livello di soglia, chiamato effetto “inibitorio”, e dando luogo all’opposto del PPSE, un potenziale post-sinaptico inibitorio (PPSI), possibile con l’attivazione sinaptica dei canali ionici Gly-dipendenti e GABA-dipendenti Il valore critico del potenziale di membrana al quale la direzione del flusso di corrente si inverte è detto potenziale di inversione ed è indicativo per comprendere a quali tipi di ioni sia permeabile la membrana. Un neurotrasmettitore che porta Vm ad avvicinarsi ad un valore più positivo della soglia per il PA, il suo effetto è detto eccitatorio (per es. i neurotrasmettitori che inducono l’apertura dei canali permeabili a Na+; se l’effetto è inverso, si dice inibitorio (per es. i trasmettitori che aprono i canali permeabili a Cl- e permeabili solo a K+. Recettori accoppiati alla proteina G: sono recettori sensibili a tutti e tre i tipi di neurotrasmettitori e che causano effetti post-sinaptici più lenti, duraturi e diversificati. Il processo trasmettitoriale di questi recettori segue tre fasi: 1. Le molecole di neurotrasmettitore si legano ai recettori nella membrana post-sinaptica 2. I recettori attivano piccole molecole proteiche, dette proteine G, liberi di muoversi lungo la superficie intracellulare della membrana post-sinaptica 3. Le proteine G attivano, a loro volta, le proteine effettrici, o effettori, che possono essere canali ionici proteina G-dipendenti nella membrana, i quali, dato che possono avere diversi effetti metabolici, sono detti anche “recettori metabotropici”; o enzimi che sintetizzano i cosiddetti secondi messaggeri, molecole che diffondono lontano dal citosol e che possono attivare enzimi supplementari nel citosol che, a loro volta, regolano la funzione dei canali ionici e alterano il metabolismo cellulare Occorre tenere a mente che ogni neurotrasmettitore può avere un effetto diverso a seconda del recettore a cui si lega, ad es. l’ACh rallenta le contrazioni del cuore iperpolarizzandone le cellule, ma depolarizza rapidamente le fibre muscolari, inducendone la contrazione, nel muscolo scheletrico. I recettori si trovano, solitamente anche sulla membrana del terminale pre-sinaptico e, se sono sensibili al neurotrasmettitore rilasciato dallo stesso terminale, si dicono autorecettori. Questi sono solitamente accoppiati alla proteina G ed inducono la sintesi di secondi messaggeri; un effetto comune dell’attivazione di questi recettori è l’inibizione del rilascio e, a volte, della produzione del neurotrasmettitore, consentendo al terminale pre-sinaptico di autoregolarsi. Una volta che il neurotrasmettitore è stato rilasciato, deve essere rimosso dalla fessura sinaptica per permettere un suo nuovo rilascio. Questo può avvenire, per es. tramite la diffusione del neurotrasmettitore nel fluido extracellulare distante dalla fessura, un processo solitamente coadiuvato dal riassorbimento del neurotrasmettitore nel terminale pre-sinaptico, attraverso i trasportatori (presenti anche nelle membrane gliali che circondano la sinapsi); una volta riassorbito, il neurotrasmettitore può essere reinserito nelle vescicole o degradato per via enzimatica, riciclandone le componenti. L’azione del neurotrasmettitore può essere anche arrestata dalla sua degradazione enzimatica all’interno della fessura stessa, come nel caso dell’ACh nella giunzione neuromuscolare, scissa dall’enzima acetilcolinesterasi (AChE); in questo caso, la rimozione del neurotrasmettitore dalla fessura è particolarmente importante, dato che senza di essa, si andrebbe incontro ad un processo di desensibilizzazione, che causa la chiusura dei canali ACh-dipendenti anche in presenza del trasmettitore, prevenendo la trasmissione neuromuscolare. Lo studio degli effetti di agenti farmacologici sul sistema nervoso è detto neurofarmacologia. Gli agenti farmacologici che inibiscono il normale funzionamento di proteine coinvolte nella trasmissione sinaptica sono detti inibitori (es. il gas nervino inibisce l’AChE, interferendo con la trasmissione sinaptica nella giunzione neuromuscolare); gli inibitori dei recettori per il neurotrasmettitore sono detti antagonisti del recettore (o antagonisti recettoriali) e si legano al recettore, bloccando (antagonizzando) l’azione normale del trasmettitore (es. il curaro si lega ai recettori dell’ACh nelle cellule del muscolo scheletrico, impedendo la contrazione muscolare). Altri agenti farmacologici, invece, si legano ai recettori, ma simulano l’azione del trasmettitore e sono detti agonisti del recettore (o agonisti recettoriali); un es. rilevante è la nicotina, che si lega a e attiva i recettori per l’ACh nel muscolo scheletrico (i canali ionici ACh-dipendenti in questo muscolo sono, infatti, chiamati recettori nicotinici per l’ACh; alcuni di questi sono presenti anche nel SNC e sono collegati agli effetti di dipendenza del tabacco). Diverse tossine attaccano la trasmissione sinaptica chimica nella giunzione neuromuscolare. Un es. sono le tossine botuliniche, enzimi specifici che distruggono le proteine SNARE, prodotti dal Clostridium botulinum, che prolifera in cibi in scatola mal conservati; l’effetto di queste neurotossine è estremamente potente e sono sufficienti solo 10 molecole per inibire una sinapsi colinergica. Il veleno della vedova nera ha effetti altrettanto letali, ma interferisce con il rilascio del trasmettitore: il veleno contiene latrotossina, che prima incrementa e poi blocca il rilascio di ACh nella giunzione neuromuscolare, causando l’ingrossamento dei terminali assonici e la morte delle vescicole sinaptiche; il veleno sembra legarsi alle proteine sul versante esterno della membrana presinaptica, formando un poro che depolarizza il terminale e consente l’entrata di Ca2+, promuovendo la rapida e totale deplezione del trasmettitore. Il morso del cobra di Taiwan blocca anch’esso la trasmissione neuromuscolare ma con un altro meccanismo ancora: uno dei composti attivi del veleno, la α- bungarotossina si lega talmente strettamente ai recettori nicotinici post-sinaptici dell’ACh da richiedere giorni per la sua rimozione, tempo sufficiente per impedire l’attivazione dei recettori e, quindi, paralizzando i muscoli respiratori della vittima. La ricerca di agenti chimici per scopi bellici ha portato allo sviluppo di una classe di composti detti organofosfati, inibitori irreversibili dell’AChE che, quindi, fanno sì che l’ACh si accumuli e uccida la vittima desensibilizzando i recettori; gli organofosfati usati come insetticidi al giorno d’oggi, come il parathion sono tossici per gli uomini solo a dosaggi alti. La maggior parte dei neuroni nel SNC riceve migliaia di input sinaptici chimici e ionici, che vengono integrati in una forma più semplice di output, il PA. Questo processo, per il quale, all’interno di un singolo neurone post-sinaptico, molti potenziali sinaptici si combinano fra loro è detto integrazione sinaptica. Nel caso dei PPSE (v. sopra), la loro ampiezza è un multiplo della risposta relativa ad una singola vescicola; si dice, infatti, che i PPSE in una sinapsi sono quantizzati, ovvero multipli di un’unità indivisibile, il quanto, che indica il numero di molecole di trasmettitore rilasciate da una singola vescicola e di recettori post-sinaptici disponibili. In molte sinapsi, l’esocitosi avviene anche spontaneamente senza un PA presinaptico, generando una risposta piccolissima, denominata potenziale post-sinaptico miniatura (o mini in breve); ognuno di questi è generato dal trasmettitore in una singola vescicola, perciò l’ampiezza di un PPSE causato da un PA presinaptico è semplicemente un multiplo dell’ampiezza del mini. Attraverso l’analisi quantica (confronto tra mini e PPS evocati), si è rilevato che, nella giunzione neuromuscolare, un singolo PA presinaptico causa l’esocitosi di ca. 200 vescicole, corrispondente ad un PPSE di ca. 40 mV; in molte sinapsi del SNC, invece, un PA presinaptico causa l’esocitosi di una sola vescicola, equivalente ad un PPSE di pochi decimi di mV. Questa differenza può essere spiegata dalle diverse funzioni dei siti di sinapsi: mentre nella giunzione neuromuscolare, la trasmissione sinaptica deve essere infallibile, perciò il modo più semplice di raggiungere questo obiettivo è generare un PPSE molto forte; nel SNC, invece, ogni neurone deve eseguire computazioni sofisticate, perciò è necessario che molti PPSE si sommino per causare una depolarizzazione post-sinaptica rilevante. Si possono distinguere due tipi di sommazione dei PPSE (la forma più semplice di integrazione sinaptica): sommazione spaziale, quando si sommano i PPSE generati contemporaneamente da molte sinapsi su un solo dendrite; e sommazione temporale, quando si sommano i PPSE generati in rapida successione (ca. 1-15 msec tra di loro) nella stessa sinapsi. Un PPSE, per generare un PA post-sinaptico, deve comunque attraversare il soma e causare la depolarizzazione del monticolo assonico, perciò l’efficacia di una sinapsi eccitatoria nel produrre un PA dipenderà dalla lontananza della sinapsi dalla zona di innesco dello spike e dalle proprietà della membrana dendritica. Come per la propagazione del PA attraverso l’assone, il PPSE può prendere due vie: all’interno del dendrite o attraverso la membrana dendritica; man mano che il PPSE si allontana dalla sinapsi, la sua ampiezza andrà diminuendo, dato che perderà parte della corrente ionica attraverso i canali di membrana e questa diminuzione crescerà esponenzialmente con l’aumentare della distanza. La depolarizzazione della membrana ad una distanza Vx è data dall’equazione: 𝑉𝑥 = 𝑉0⁄𝑒 𝑥⁄𝜆 , dove V0 è la depolarizzazione all’origine, e (= 2,718) è la base del logaritmo naturale, x è la distanza dalla sinapsi e λ è una costante che dipende dalle proprietà del dendrite, detta costante di spazio dendritica. Più λ è alta, maggiore è la probabilità che il PPSE depolarizzi la membrana del monticolo assonico; in particolare, λ dipende da due fattori: la resistenza interna (indicata con “