🎧 New: AI-Generated Podcasts Turn your study notes into engaging audio conversations. Learn more

psicometria def.pdf

Loading...
Loading...
Loading...
Loading...
Loading...
Loading...
Loading...

Full Transcript

COS’É LA PSICOMETRIA: la psicometria è una disciplina della psicologia che si occupa della progettazione, dello sviluppo e validazione di strumenti di misurazione psicologica. Questi strumenti vengono utilizzati per misurare e valutare una vasta gamma di costrutti psicologici, come l’intelligenza, l...

COS’É LA PSICOMETRIA: la psicometria è una disciplina della psicologia che si occupa della progettazione, dello sviluppo e validazione di strumenti di misurazione psicologica. Questi strumenti vengono utilizzati per misurare e valutare una vasta gamma di costrutti psicologici, come l’intelligenza, la personalità, le abilità cognitive, le attitudini e altro ancora. Il ruolo della psicometria all’interno della psicologia è cruciale, poiché fornisce agli psicologi strumenti necessari per quantificare e valutare scientificamente i fenomeni psicologici, consentendo loro di fare diagnosi, formulare ipotesi di ricerca, valutare l’efficacia delle terapie e prendere decisioni informate sui dati. OBIETTIVO PSICOMETRIA: sviluppare strumenti di misurazione affidabili e validi per quantificare e valutare i costrutti psicologici. Fornire un modo standardizzato e oggettivo per raccogliere dati su vari aspetti del comportamento umano e delle funzioni psicologiche. Standardizzare il processo di misurazione per garantire che i risultati siano, affidabili, riproducibili e comparabili, tra diverse popolazioni e contesti. Valutare l’affidabilità e la validità degli strumenti di misurazione, assicurando che misurino effettivamente ciò che sono progettati per misurare. Utilizzare metodi statistici per analizzare i dati raccolti e interpretare i risultati in modo significativo e accurato. Fornire una base empirica per prendere decisioni informate nella pratica clinica, nell’ambito educativo, nell’ambito organizzativo e in altri contesti applicati della psicologia. POPOLAZIONE: totalità delle persone che sono oggetti di studio aventi tutta la caratteristica in cui il fenomeno studiato si manifesta CAMPIONE: è una parte della popolazione avente la caratteristica oggetto di interesse determinato da n partecipanti, dove n determina la nostra ampiezza campionaria. Solitamente nella ricerca in psicologia per ragioni economiche che di numerosità si preferisce raccogliere le osservazioni sul campione e non sulla popolazione. Per la descrizione del campione viene utilizzata la deviazione standard e la media. CARATTERISTICHE CAMPIONE: rappresentativo, deve comportarsi il più possibile come si comporterebbe l’intera popolazione. Nel campionamento casuale: tutti i membri devono avere la stessa probabilità di essere selezionati e ci deve essere indipendenza tra le estrazioni, ovvero la selezione di un membro non deve influenzare la selezione di un altro all’interno della popolazione. Il non rispetto di queste regole può portare a bias di campionamento e quindi ad avere un campione non rappresentativo della popolazione. I più frequenti bias che si possono riscontrare sono: campionamento di convenienza che si verifica quando i partecipanti sono selezionati in base alla loro disponibilità o accessibilità. Campionamento di auto-selezione si verifica quando i partecipanti si offrono volontariamente per far parte dello studio. Non risposta si verifica quando alcuni individui selezionati per far parte dello studio non rispondono o non completano le misurazioni. Campionamento stratificato suddivisione della popolazione di interesse in sottogruppi omogenei e in ciascuno di essi si estrae un campione casuale. Campionamento a blocchi o cluster è un metodo che coinvolge la divisione della popolazione in gruppi omogenei chiamati cluster e la selezione di interi cluster come unità di campionamento. Campionamento sistematico è un metodo di campionamento che coinvolge la selezione di elementi da una popolazione seguendo un ordine sistematico o predefinito, in questo metodo viene definito un intervallo di campionamento e viene selezionato un elemento ogni x nell’intervallo. MISURARE: per misurazione si intende un processo che prevede l’assegnazione di un sistema numerico che vada a rappresentare una specifica caratteristica che si intende quantificare. Dunque, vi deve essere una corrispondenza tra numero e caratteristica, definita da regole e convenzioni stabilite. Il numero assegnato descriverà un attributo, una caratteristica, ovvero una variabile, di una persona (colore dei capelli, altezza, ansia, depressione) evento (durata, piacevolezza), oggetto (dimensione, peso). L’attributo che si può quantificare non è solo strettamente fisico, ma può essere anche psicologico. È necessario comunque ricordare che una misurazione è oggettiva, per cui non può descrivere la totalità della persona ma solo una sua caratteristica, per cui è opportuno non generalizzare. La caratteristica misurata e quindi indagata prende il nome di variabile di ricerca. COSTANTE: la caratteristica della costante è che come suggerisce il nome stesso, è costante, non varia in base all’oggetto/evento indagato. VARIABILE: la variabile, è una caratteristica, attributo o condizione di una persona, oggetto o evento, che non ha valore costante, ma può variare in base all’individuo, all’oggetto ed evento. Può assumere dunque valori diversi che si escludono mutualmente, ed i valori assunti dipendono dalla caratteristica della variabile. Le diverse proprietà della variabile sono oggetto di studio della statistica che consente di trarre informazioni a partire da questa; infatti, una variabile è misurabile secondo un sistema convenzionato e regolamentato di assegnazione numerica, che è in grado di quantificarla e discriminarle qualitativamente. Degli esempi di variabili possono essere: età, peso, livello di QI, ansia di stato, ansia di tratto, si parla non solo di attributi fisici ma anche psicologici. Si contraddistinguono dalle costanti, in quanto queste ultime assumono valore costante. Vi è una suddivisione delle variabili in cui è possibile distinguerle. Le variabili inoltre devono avere due proprietà: esaustive, cioè devono contenere tutti i possibili attributi che definiscono quella proprietà; esclusiva, gli attributi devono essere mutualmente esclusivi. VARIABILI OSSERVABILI: sono le caratteristiche fisiche che siamo in grado di osservare, ma anche quantificare e misurare. Fanno parte di queste i comportamenti, da cui inferiamo i costrutti teorici. VARIABILI LATENTI: sono caratteristiche teoriche che non siamo in grado di osservare, misurare e quantificare direttamente. In maniera indiretta però possiamo inferirle, misurando le rispettive caratteristiche fisiche alla base di esse. Tramite una variabile osservabile è possibile inferire una variabile latente. Ad esempio, possiamo misurare il livello di sudorazione con cui indagare il costrutto dell’ansia. VARIABILI QUALITATIVE: queste variabili anche dette categoriali descrivono una caratteristica i cui valori corrispondono ad una determinata categoria. Ad esempio, il genere, la classe sociale, l’età suddivisa in classi. Possono essere solo discrete, cioè numeri finiti. VARIABILI QUANTITATIVE: descrivono una caratteristica i cui valori corrispondono a dei numeri, per cui il suo variare riguarda la quantità. Ad esempio, altezza, temperatura. Possono essere discrete ma anche continue, in base al sistema di misurazione: ad esempio tempo misurato in secondi(continua), tempo scandito dalle ore(discreta). VARIABILI DISCRETE: Dato un determinato intervallo di valore, può assumere solo valore di numero intero. Ad esempio, numero di animali in casa e numero di anni di studio. VARIABILI CONTINUE: dato un determinato intervallo di valori, può assumere un qualsiasi valore infinito, continuo. Ad esempio peso, altezza, distanza. SCALE DI MISURE: si parla di sistema di misura, ossia l’insieme di numeri o simboli, le cui relazioni formali rispecchiano le relazioni empiriche (attributo) che vi sono fra gli attributi di persone, oggetti o aventi ai quali sono stati assegnati i numeri. Le scale vengono suddivise in base alla quantità di informazioni fornite dai numeri. Il tipo di relazione che può essere rappresentato dipende dal tipo di scala di misura utilizzata. Le scale possono essere metriche, ovvero quantitative (intervalli e a rapporti), non metriche, ovvero qualitative, categoriali (scala nominale e ordinale) SCALA NOMINALE: rappresenta il livello di misurazione più semplice, permette di classificare persone, oggetti, eventi in categorie differenti in base alla caratteristica che assumono. Dunque, a ciascun soggetto viene assegnata una categoria rispettando il principio di equivalenza secondo il quale gli elementi di una stessa categoria hanno lo stesso numero/simbolo, viceversa soggetti appartenenti a categorie diverse avranno assegnazioni diverse. Non si possono effettuare operazioni aritmetiche, ordinare gerarchicamente le variabili e misurare gli intervalli tra variabili, solo calcolo delle frequenze semplici e la moda. Le scale nominali devono essere: distintive, cioè elementi appartenenti a categorie diverse vengono considerati diversi rispetto alla variabile considerata; esaustive, cioè tutti gli elementi devono poter essere classificati in una delle categorie della variabile. Una variabile deve includere tutti i possibili attributi che definiscono la proprietà in questione; mutualmente escludenti, cioè che ogni elemento può rientrare in una sola categoria, non può essere classificato in più di una. Esempio: tipo di professione. SCALA ORDINALE: è una scala che permette di classificare persone, eventi, oggetti in base alla qualità in esame ed anche di ordinarle in base al grado di possessione della suddetta qualità. Per questo motivo si può definire una relazione di minoranza-maggioranza tra i soggetti. Il numero affibiato ai soggetti non rappresenta una quantità, essendo una scala non metrica, ma rappresenta unicamente la relazione d’ordine; quindi, non è possibile stabilire la distanza tra una categoria e un’altra: possiamo conoscere l’ordine di arrivo in una maratona, ma non la distanza tra una posizione e un’altra. Dunque, con questa scala non è possibile fare operazioni aritmetiche, ma si può ordinare gerarchicamente, conteggiare tutte le frequenze e calcolare la moda e la mediana. SCALA A INTERVALLI: è una scala che permette di classificare persone, eventi, oggetti, ordinarli gerarchicamente, ma anche di individuare il grado in cui l’attributo è posseduto ed è di natura quantitativa. Questo permette di determinare gli intervalli tra un grado e l’altro della scala, ovvero quantificare la grandezza tra un posto e l’altro della graduatoria. In questa scala lo zero non è assoluto, ma relativo in quanto non descrive l’assenza dell’attributo e ciò permette di poter avere anche valori negativi. Il fatto che lo zero sia relativo comporta che in un’altra scala ma con unità di misura differente, lo zero si troverà in un’altra posizione; ciò che non varia è la distanza tra gli intervalli, che resta costante, e adesso è misurabile. SCALA A RAPPORTI: è una scala che permette di classificare persone, oggetti, ordinarle in modo gerarchico e individuare il grado in cui l’attributo è posseduto ma anche di avere uno zero assoluto, tale per cui vi è la possibilità di rappresentare l’assenza di costrutto indagato. Per la presenza dello zero assoluto non vi possono essere dunque valori negativi. Un esempio, possono essere i punteggi conseguiti ad un test, i numeri di giorni in un mese. Con questa scala è possibile eseguire tutte le operazioni aritmetiche, calcolare la frequenza, moda, mediana, media, deviazione standard, varianza e distanza interquartile. FREQUENZA SEMPLICE: per definizione è il numero di volte in cui si presenta una variabile o una categoria all’interno di un insieme determinato di dati. Ovvero descrive con quale frequenza ricorre la suddetta variabile. Essa si può definire in ogni scala ed è possibile costruirne una distribuzione in tabella detta “distribuzione di frequenza semplice”, in cui su due colonne vengono riportate rispettivamente i valori/categorie e il numero di frequenza con cui essi ricorrono. FREQUENZA RELATIVA: la frequenza relativa consiste in un rapporto tra le frequenze semplici e il numero totale dei valori osservati e rappresenta la proporzione di soggetti del campione che appartiene a ciascuna categoria o presenta ciascun valore. Se moltiplicata per 100, otteniamo la frequenza percentuale. FREQUENZA CUMULATA: la frequenza cumulata corrisponde al numero totale dei soggetti che conseguono un determinato valore e/o un valore ad esso inferiore. Ovvero descrive con quale frequenza ricorre la suddetta variabile o un valore inferiore ad esso. È una frequenza che presuppone che i dati possano essere ordinati gerarchicamente, per cui si può calcolare dalla scala ordinale in su. Si calcola sommando le frequenze semplici del valore in esame e tutte le frequenze semplici precedenti ad esso. Si può calcolare la frequenza cumulata relativa, che consiste nel rapporto di casi osservati che ricade sotto un valore e moltiplicata per 100, consente di trovare la frequenza cumulata relativa percentuale. FREQUENZA IN CLASSI: La frequenza in classi è un tipo di frequenza che si può adottare quando si parla di variabili quantitative, e dunque quando abbiamo dati su scala a intervalli e a rapporti. Consiste nella frequenza di ricorrenza di determinati punteggi che però sono raggruppati in classi, che partono da un valore minimo a un determinato valore massimo e dunque a intervalli ben precisi. Si possono calcolare di questi dati divisi in classi anche le frequenze cumulate, cumulate relative e percentuali. INDICI DI TENDENZA CENTRALE: sono degli indicatori che permettono di avere informazioni circa la centralità dei punteggi in una distribuzione dei dati, essi sono la moda, mediana e media. MODA: è il valore o la categoria che ha la frequenza più alta. Per poterla identificare dobbiamo avere a disposizione una tabella di distribuzione di frequenza semplice, individuare la frequenza semplice più elevata e vedere a quale valore corrisponde, in quanto la moda non è la frequenza semplice più alta, ma il corrispettivo valore o categoria e si calcola in tutte le scale. MEDIANA: la mediana corrisponde alla posizione che assume il valore o categoria che divide esattamente a metà la totalità dei dati raccolti. È data dal numero dei valori osservati +1 diviso tutto per 2. Ottenuta la posizione mediana, andremo ad identificare il valore corrispondente che si trova nella suddetta posizione. Si calcola dalla scala ordinale in su, in quanto abbiamo bisogno di ordinare gerarchicamente i valori e calcolare la frequenza cumulativa. MEDIA: la media corrisponde al valore centrale di una distribuzione di dati. Si calcola facendo la sommatoria di tutti i punteggi diviso il numero complessivo dei punteggi. Nel caso in cui avessimo i dati in distribuzione semplice, alla sommatoria dei punteggi osservati sarà moltiplicata la rispettiva frequenza. La media è il centro di gravità della distribuzione: ciò vuol dire che la sua posizione ne risentirà quando saranno presenti outlier, valori che si allontanano di molto dal valore medio. Graficamente la media tende sempre a posizionarsi sempre verso la coda più lunga della distribuzione e si calcola in scala a intervalli e a rapporti. INDICI DI VARIABILITÀ: sono degli indicatori che permettono di avere informazioni circa il modo in cui variano i punteggi attorno agli indici di tendenza centrale. Essi sono la deviazione standard e la varianza. VARIANZA: la varianza è data dalla media degli scarti dei valori dalla media elevati al quadrato. Ovvero si procede prima trovando gli scarti dei punteggi della media (X-M), elevo successivamente al quadrato e applico al valore trovato la formula della media e dunque sarà la sommatoria di (X-M) ²: N, dove N sta per il totale dei casi osservati. Essendo un quadrato, la varianza non assume mai valori negativi. DEVIAZIONE STANDARD: è il valore che nasce per supplire il fatto che la varianza, essendo un quadrato, ha unità di misura al quadrato e dunque si trova mettendo sotto radice la varianza. Ciò che esprime è di quanto i valori osservati si discostano dal valore medio, è sempre maggiore a zero ed è uguale a zero quando tutti i dati hanno lo stesso valore. INDICE DI POSIZIONE: sono degli indicatori che permettono di avere informazioni riguardanti la posizione di un determinato valore di variabile rappresentato dal punteggio, in una distribuzione di dati. QUARTILI: è un valore che rappresenta informazioni sul valore della variabile osservata, al di sotto della quale ricade una certa proporzione di osservazione della distribuzione. Consistono in tre valori che suddividono la distribuzione dei dati in quattro parti uguali, il primo quartile corrisponde al 25%, il secondo al 50% e il terzo al 75%. Il secondo quartile corrisponde alla mediana. Per poterlo indagare bisogna essere almeno su scala ordinale, in quanto i dati necessitano di essere ordinati gerarchicamente. Si calcola calcolando il numero di osservazioni totali +1 diviso 4, tutto moltiplicato per 1, 2, 3 se si tratta rispettivamente del primo, secondo o terzo quartile. COVARIANZA: Quando indaghiamo la relazione tra due variabili continue dobbiamo in primo luogo indagare il tipo di relazione, la presenza di covariazione detta anche covarianza o associazione o correlazione tra le variabili, indica una varianza concomitante. Al variare di una variabile, varia anche l’altra. Abbiamo una relazione di tipo causale quando una delle due variabili causa l’altra. In questo caso la relazione è asimmetrica in quanto la variabile causa precede la variabile effetto. Nella covariazione la relazione è simmetrica. Quando abbiamo scale di misura a intervalli e a rapporti continue, per indagare la covarianza, ovvero il grado in cui due variabili co-variano, possiamo misurare la covarianza tra le due e successivamente calcolare la correlazione r di Pearson, che ci fornisce una misura standardizzata della relazione tra le due variabili. La covarianza può assumere valori positivi e negativi, assumerà un grande valore positivo quando c’è forte relazione positiva tra le due variabili e un grande valore negativo quando c’è una forte relazione negativa fra di esse, se non c’è relazione tra le due variabili allora la covarianza sarà uguale a zero. N.B. la covarianza è influenzata dalla varianza delle singole variabili. Più grande sarà la varianza, maggiore sarà la covarianza, rendendo difficile il confronto. Pertanto, l’idea è di correggere questo aspetto dividendo la covarianza per il massimo valore di covarianza possibile tra le due variabili. Questo verrà messo sotto radice ottenendo così il coefficiente di correlazione di Pearson, che è costituito da due parti segno positivo e negativo e un qualsiasi valore compreso tra -1 e 1. COEFFICIENTE DI DETERMINAZIONE: è il coefficiente di regressione e si indica con R², ci indica il grado di varianza condivisa tra le due variabili. È considerato un indice di bontà del fitting della retta di regressione. RHO DI SPERMAN PER DISTRIBUZIONI ASIMMETRICHE NON NORMALI: i dati vengono ordinati dal più piccolo al più grande, al punteggio più piccolo della variabile X viene assegnato il rango 1, al secondo rango 2 ecc e si fa la stessa cosa per la variabile Y. Il rho di spearman viene calcolato come il coefficiente di pearson usando i ranghi al posto dei dati grezzi. TAU DI KENDALL PER IL RAPPORTO TRA VARIABILI QUANTITATIVE E QUALITATIVE: per osservare la relazione tra due variabili, una qualitativa e una quantitativa, si può utilizzare la correlazione tau di kendall. Ognuna delle due variabili deve essere trasformabile in ranghi ordinali. Devono però essere almeno su scala ordinale. Per il test è necessario che i due set di misure si riferiscano allo stesso oggetto anche in tempi diversi. Teniamo a mente che il coefficiente di correlazione è lineare, possiamo osservare una correlazione prossima allo 0 anche di fronte a relazioni non lineari tra le variabili. COS’É LA PROBABILITà: branca della matematica che consente di misurare in termini numerici il grado di certezza e di incertezza rispetto al verificarsi di un evento aleatorio futuro. La statistica descrittiva va a descrivere le caratteristiche delle nostre variabili, la statistica inferenziale va a fare inferenza su una popolazione a partire dai dati raccolti su un campione. Un esperimento causale o aleatorio è un qualsiasi evento del quale non conosciamo l’esito prima del suo verificarsi. Un singolo evento appartenente allo spazio campionario viene detto semplice, quando un evento rappresenta un sottoinsieme dello spazio campionario, viene detto composto. La definizione classica di probabilità stabilisce il rapporto tra eventi favorevoli ed eventi possibili, ammesso che questi siano ugualmente probabili. Se abbiamo la probabilità di due eventi, possiamo calcolare le seguenti probabilità: probabilità disgiunta che si verifichino o l’uno o l’altro; probabilità congiunta che si verifichino l’uno e l’altro e dobbiamo utilizzare la regola del prodotto. Quando l’evento favorevole è definito da due eventi distinti che devono presentarsi assieme, la probabilità complessiva è data dal prodotto delle probabilità dei singoli eventi, bisogna anche valutare se i nostri eventi sono dipendenti o indipendenti, questo significa stabilire se il verificarsi di un evento modifica la probabilità che si verifichi anche l’altro; probabilità condizionata, probabilità che si verifichi un evento dato che l’altro si è verificato. VALORE ATTESO O EXPECTED VALUE: si tratta di una misura del valore medio o dell’aspettativa di un risultato in una serie di eventi casuali o incerti. L’expected value rappresenta la media ponderata dei possibili risultati di un evento, dove ogni risultato è pesato in base alla sua probabilità di verificarsi. DISTRIBUZIONE BINOMIALE: la distribuzione binomiale è una distribuzione di probabilità discreta che descrive il numero di successi in una serie di tentativi indipendenti, dove ogni tentativo ha due possibili esiti, spesso chiamati successo e fallimento. Le caratteristiche fondamentali della distribuzione binomiale sono il numero fisso di tentativi, due possibili esiti, probabilità di successo costante che viene indicata con p, eventi indipendenti, i tentativi sono indipendenti tra loro, il che significa che il risultato di un tentativo non influisce sugli altri. La distribuzione binomiale può essere utilizzata non solo quando uno stesso soggetto è sottoposto a più prove, ma anche quando n soggetti svolgono la stessa prova. DISTRIBUZIONE NORMALE O GAUSSIANA: questa distribuzione è la più importante della teoria della probabilità. Molte delle variabili casuali indagate hanno un andamento che tende a sovrapporsi a questa distribuzione e pertanto molte informazioni possono essere ottenute ricorrendo alla proprietà della curva normale. Le proprietà di questa curva è che è simmetrica con l’asse di simmetria che è legato alla media, essendo simmetrica inoltre la media, moda e mediana si sovrappongono e coincidono col massimo probabilistico. È una distribuzione infinita rispetto all’asse delle x e quindi ha questo asse come asintoto. L’area sotto la curva di una normale è pari a 1. È una curva crescente e decrescente e ha due punti di flesso, in cui la curva passa da concava a convessa. L’area della porzione di curva delimitata dalla media e un’ordinata espressa in termini di deviazione standard è costante. Come comprendere se la distribuzione di una variabile casuale è approssimabile alla distribuzione normale? Skewness o alterazione di simmetria/ grado di distorsione consente di valutare il grado di asimmetria rispetto alla distribuzione normale. Kurtosis o grado di picco ci permette di definire il grado di distorsione dei valori attorno alla media. TEST PSICOLOGICO: è uno strumento di misura oggettivo e standardizzato volto a indagare un costrutto psicologico di un campione di comportamento, dove per campione di comportamento si intende un insieme di indicatori comportamentali che sia rappresentativo secondo specifici criteri, dell’universo degli indicatori del costrutto. Per poterli utilizzare vi sono delle regole di accesso che dipendono dai livelli di studio conseguiti e dalla professione. Le qualifiche necessarie variano in base alla modalità di somministrazione di un test. Una caratteristica essenziale del test è la standardizzazione, termine con il quale si intende che il processo di somministrazione avvenga in modo uniforme da un somministratore all’altro e da un ambiente all’altro. Vi sono delle regole da seguire per far sì che un test sia standardizzato, da cui dipende la sua attendibilità e dei fattori di rischio che possono condizionarla. Un’altra caratteristica del test è che sia tarato e si intende il confronto dei punteggi grezzi ottenuti, che da soli non hanno alcun valore, con punteggi di riferimento chiamati normativi, i quali consistono nelle statistiche descrittive del campione di standardizzazione, che è rappresentativo della popolazione. MANUALE DI ISTRUZIONI: un test psicologico consiste generalmente nel suo manuale, il quale per essere buono, deve contenere delle informazioni:1. Lo scopo della misurazione; 2. La definizione del costrutto teorico; 3. La descrizione dei campioni di comportamento misurati; 4. Le versioni; 5. Le regole d’uso; 6. Le regole di somministrazione; 7. Le regole di scoring, ovvero di attribuzione di punteggio; 8. La modalità di attribuzione di significato al punteggio grezzo; 9. Le proprietà psicometriche, quali attendibilità e validità; 10. Ed infine se il test è straniero, indicazioni rispetto all’adattamento italiano. PROCESSO DI MISURAZIONE COSTRUTTI PSICOLOGICI: i costrutti psicologici sono l’obiettivo di misurazione dei test psicometrici. Per poterli misurare, essendo dei costrutti non misurabili o osservabili direttamente è necessario indagare ciò che possiamo direttamente osservare e misurare, ovvero i comportamenti, i quali rappresentano la variabile fisica alla base del costrutto psicologico. Ad esempio, non possiamo osservare direttamente i livelli d’ansia, l’estroversione, l’apertura mentale, ma possiamo trovare degli indicatori comportamentali che, misurati con strumenti adatti ci permettono di inferire i loro costrutti teorici alla base. Per poter misurare un costrutto psicologico è necessario: 1. Definire teoricamente il costrutto che si vuole indagare, dunque prendere una teoria di riferimento; 2. Definire operazionalmente il costrutto, ovvero identificare quegli indicatori comportamentali che se esplicitati consentono di inferire il costrutto stesso; 3. Definire metodi di misurazione dei suddetti indicatori comportamentali, ovvero l’assegnazione di punteggio e l’attribuzione del significato ai punteggi. SCREENING VS DIAGNOSI: l’obiettivo dello screening è di individuare in modo precoce situazioni di rischio, che necessitano un approfondimento diagnostico. Lo screening sottintende l’uso veloce di prove standardizzate per identificare persone che potrebbero possedere caratteristiche o necessità particolari, in caso di positività si ricorre a test diagnostici per approfondimenti. L’obiettivo della diagnosi è di ottenere una vera e propria diagnosi, classificando il comportamento dell’individuo all’interno di un sistema diagnostico. Per questo si vanno a testare in maniera più approfondita le sue difficoltà e potenzialità. CAMPIONE DI COMPORTAMENTO E RAPPRESENTATIVITÀ: il campione di comportamento è ciò che è misurato dal test psicologico, consiste in un insieme di indicatori comportamentali che sia rappresentativo del dominio, ovvero dell’universo intero dei possibili comportamenti che rappresentano costrutto coerente con la sua definizione teorica. Vi è un grado di rappresentatività di tale campione, che dipende da due criteri: 1. La definizione teorica del costrutto ovvero ciò che si vuole misurare ed in chi si vuole indagare tale variabile; 2. L’obiettivo della misurazione, che può essere differente anche in base al fatto che sia un’indagine di screening o un test di diagnosi. La rappresentatività del gruppo normativo è utile nel caso di un test di diagnosi, meno utile per un test di screening. È meno utile se il task è valutare ad esempio l’efficacia di un intervento. STANDARDIZZAZIONE-TEST STANDARDIZZATO: il test psicometrico è lo strumento che si utilizza per indagare specifici costrutti teorici tramite degli indicatori comportamentali alla base di essi. Caratteristica importante del test è che sia standardizzato, ovvero che la somministrazione si svolga in maniera uniforme tra somministratori o tra ambienti per garantire la sua attendibilità. Per far sì che la standardizzazione sia garantita, vi è un manuale di istruzione da seguire, dall’esaminatore-esaminato al setting, composto dalle regole per la somministrazione. Un metodo per verificare che il test sia somministrato in maniera uniforme è l’attendibilità, indagata tramite il: test-retest, cioè somministrare in due momenti diversi lo stesso test per verificare se ci siano cambiamenti importanti; l’inter-rater, ovvero somministrare lo stesso test due volte, ma con somministrazione diverse, verificando le disuguaglianze nei punteggi. Vi è una divisione tra i test in base alla facilità di somministrazione: i test di facile somministrazione sono i test, in cui non si ha bisogno di somministratore che faccia da intermediario, ma l’esaminato leggerà da solo le indicazioni; un test di difficile somministrazione prevede invece che il somministratore agisca in prima persona ripetendo le istruzioni. Nella somministrazione di un test vi sono specifici fattori di rischio che possono compromettere le condizioni di uniformità. Un’altra caratteristica del test è che sia tarato, si intende il confronto dei punteggi grezzi ottenuti, che da soli non hanno alcun valore, con punteggi di riferimento chiamati normativi, i quali consistono nelle statistiche descrittive del campione di standardizzazione, che è rappresentativo della popolazione. FATTORI DI RISCHIO: sono dei fattori che compromettono la standardizzazione di un test, ovvero l’uniformità della procedura di somministrazione, che dunque condizionano l’attendibilità. Essi possono avere fonte di varianza d’errore nelle diverse somministrazioni. I principali sono 5: 1. Variabile esaminatore-esaminato, dove per rapporto si intende il tentativo dell’esaminatore di suscitare interesse alla prova dell’esaminato. 2. Variabile esaminatore, si dividono in caratteristiche personali (età, genere, etnia, aspetto fisico) ed aspettative sperimentali, riguardo queste ultime, sappiamo che la comunicazione non verbale dell’esaminatore è un fattore di condizionamento molto importante. 3. Variabile della situazione, dove per situazione si intende il momento della giornata (si consiglia la mattina), il setting (luce, temperatura, poco rumore) e l’aver fatto attività precedenti ai test (assunzione di caffeina, aver già effettuato il test), ma anche l’obiettivo della somministrazione 4. variabile dell’esaminato, importanti sono i livelli di ansia e stress che può suscitare lo svolgimento della prova, anche la familiarità al test o un addestramento precedente, che possono facilitare lo svolgimento. Importante considerare anche il compiacimento dell’esaminatore prima citato, riguardante la desiderabilità sociale. 5. Variabile delle caratteristiche del test, vi sono dei test facili e difficili. I primi sono tali in quanto la somministrazione è collettiva o auto- praticata, le istruzioni sono scritte e non devono essere esplicate dal somministratore e non vi è un tempo limite. I secondi sono quei test in cui il somministratore deve esporre oralmente le istruzioni e vi è un tempo limite di svolgimento, ma anche il dover esplicitare gli errori fatti durante il corso della prova. REGOLE DI SOMMINISTRAZIONE: vi sono delle regole per una giusta somministrazione indicate nel manuale di istruzione di ciascun test. In generale vi sono delle regole diverse o specifiche per ogni test, che si attuano prima della somministrazione, durante e dopo. Prima è bene studiare il manuale ed effettuare un training per l’uso, presentare brevemente la prova all’esaminato, pianificare il setting e il tempo, preparare il materiale del test e predisporre del consenso informativo sui dati e privacy dell’esaminato, documenti che dovrà firmare lui o chi ne fa le veci. Durante un test è richiesto seguire le indicazioni generali riportate in ogni manuale e rispettare i tempi di consegna previsti. Infine, è consigliato ringraziare l’esaminato, rassicurandolo e informarlo dei tempi di uscita dei risultati, soprattutto assicurarsi che nessuna copia del test venga trattenuta dall’esaminato. PROCESSO DI STANDARDIZZAZIONE: Per standardizzazione si intende il processo per il quale la somministrazione di un test viene effettuata in modo uniforme per garantire la sua attendibilità. Questo processo si articola in tre fasi specifiche: selezione, durante la prima fase, vi è la selezione di un gruppo target, definito gruppo normativo o campione di standardizzazione, che serve come termine di paragone per dare un significato ai punteggi grezzi conseguiti tramite il confronto. Questo gruppo deve essere rappresentativo della popolazione, ciò significa che deve presentare i valori delle variabili (indipendenti, quali età, genere, classe sociale) in percentuale uguale a quelli della popolazione. Dunque, deve essere un gruppo sufficientemente ampio, solitamente istituito dai dati nazionali, come l’ISTAT o europei. Somministrazione, fase in cui il test viene somministrato al gruppo di standardizzazione. Prevede il reclutamento dei somministratori, formazione di tali somministratori, fornire istruzioni su rapporto esaminatore-esaminato e monitorare i dati. Norme statistiche, nell’ultima fase si calcolano le norme statistiche dei test, ovvero gli indicatori di tendenza centrale e di dispersione dei punteggi conseguiti dal campione normativo. Solitamente vi è una divisione in sottogruppi, effettuata in base alle variabili che maggiormente influenzano il costrutto. La rappresentatività del gruppo normativo è utile nel caso di un test di diagnosi, meno utile per un test di screening. È meno utile se il task è valutare ad esempio l’efficacia di un intervento. TEST DI MASSIMA E TIPICA PERFORMANCE: i test di massima performance sono quelli che richiedono al soggetto di dare il meglio di sé e che valutano abilità raggiunte o potenziali. Il punteggio in questi test è determinato dal livello di successo nel completare correttamente la prova. Nella somministrazione si assume che i soggetti siano animati da un alto e analogo livello di motivazione, i punteggi ottenuti in questi test possono dipendere da tre fattori, la capacità innata dei soggetti, la capacità acquisita e la motivazione. Alcuni test di massima performance possono essere i test di intelligenza, test attitudinali e di rendimento. I test di tipica performance rientrano tutti i test che si prefiggono di conoscere le preferenze di un soggetto, i suoi comportamenti abituali piuttosto che ciò che egli è in grado di fare. OGGETTIVITÀ DEL TEST: per oggettività di un test si intende quella caratteristica fondamentale secondo la quale un test è generalizzabile, ovvero che la somministrazione porti agli stessi punteggi tra un somministratore e l’altro e un ambiente e l’altro. L’oggettività è legata dunque all’attività di scoring, ovvero di assegnazione del punteggio che porta all’attribuzione di significato del punteggio grezzo. Per far sì che un test sia oggettivo vi sono delle regole da seguire presenti nel manuale di istruzione di ogni test. In base alla somministrazione, un test può essere molto oggettivo o molto poco oggettivo. Nei test molto oggettivi fanno parte tutti quei test di facile somministrazione, in cui lo scoring è appunto oggettivo ed effettuati mediante l’attribuzione di un punteggio per ogni item, che non richiede l’interpretazione del somministratore. Al contrario dei test molto poco oggettivi, in cui il somministratore, deve assegnare il punteggio interpretando la risposta dell’esaminato a sua discrezione con molta libertà di assegnazione. Si può indagare l’oggettività con una proprietà psicometrica che è l’attendibilità. Nello specifico, si può verificare l’attendibilità inter-rater dove il test è somministrato più volte ma da somministratori differenti, indagando se ci sono disuguaglianze tra le prove e il test-retest. Abbiamo anche test proiettivi che sono stati resi ambigui deliberatamente al fine di ottenere risposte individuali e alcuni test più famosi sono, le macchie di rorscharch, TAT, Test di produzione verbale. PUNTEGGI GREZZI: per punteggi grezzi si intende la totalità dei dati raccolti in una somministrazione di un test. Essi non hanno alcun valore, se non associati allo scoring, ovvero all’oggettiva correzione e attribuzione di significato. Per attribuire significato a questi punteggi, è necessario confrontarli con le prestazioni di un gruppo normativo (o standardizzato), il quale deve essere rappresentativo della popolazione nazionale: secondo le norme statistiche, vi è una suddivisione in sottogruppi che rappresentano le variabili indipendenti che maggiormente possono influenzare il costrutto e sono fatte tenendo conto dei dati nazionali, presi ad esempio dall’ISTAT. Parametri di riferimento durante il confronto dei dati sono la statistica descrittiva, come gli indici di variabilità e gli indici di tendenza centrale. Solitamente, il confronto tra questi dati viene fatto trasformando i punteggi grezzi in punteggi ponderati, calcolandoli tramite la tavola della distribuzione normale, oppure con delle tavole di conversione fornite dai manuali dei test. PUNTEGGI PONDERATI: Sono dei punteggi normalizzati, ovvero dei punteggi grezzi trasformati in modo da poter essere confrontati tra loro. La loro funzione è quella di far inferire la posizione del punteggio conseguito dall’individuo rispetto alla distribuzione di punteggi del gruppo standardizzato del costrutto psicologico in esame. Per ottenerli è necessario convertire i punteggi grezzi e si può fare o con tavole di conversione, presenti in ogni manuale dei test specifici, oppure tramite calcolo. Vi sono diversi tipi di punteggi ponderati, tra cui i punteggi Z, i ranghi percentili (e punti centili), i punti T di McCall, i punti QI di deviazione, punteggi a età equivalente e i punti stanini e sten. RANGHI PERCENTILI RP: data una distribuzione di punteggi grezzi conseguiti da un gruppo di individui in un test, il rango percentile è pari alla percentuale degli individui che ha conseguito punteggio grezzo inferiore ad esso. In altre parole, corrisponde alla posizione dell’individuo in una graduatoria di 100. Per trovarli è necessario essere almeno su scala ordinale, in quanto i punteggi devono essere ordinati gerarchicamente. I punteggi grezzi possono essere trasformati in RP tramite una tabella di conversione o con il calcolo che prevede la seguente formula: RP= (fcump-1+fx/2) /Nx100. Ci sono vantaggi in quanto è di facile comprensione anche per chi non è del settore, non serve avere per forza una scala a intervalli, utili in un test di screening in quanto non è necessaria la distribuzione normale. Lo svantaggio è che essendo un punteggio su scala ordinale, lo spazio tra gli intervalli non è costante e calcolabile, per cui non sono precisi, i punteggi tendono ad accentuarsi al centro e diminuire agli estremi. PUNTEGGI Z: i punteggi Z sono un tipo di punteggio ponderato, per definizione consistono in unità di deviazione standard e rappresenta di quante unità di DS il punteggio si discosta dal valore medio. Essendo il valore medio di 0, i punti Z avranno sia valori positivi che negativi. È un punteggio che possiamo osservare da scala intervalli equivalenti in su, in quanto è necessario essere a conoscenza del valore tra un intervallo e l’altro. Si possono ricavare o con tabelle di conversione già presenti sui manuali dei test o calcolarli con una formula, nel caso in cui i punteggi non si approssimano alla curva normale, trovando prima la media e poi la deviazione standard e poi trovarli con la seguente formula Z=(X-M) /DS. I vantaggi dei punti Z consistono nel fatto che la loro trasformazione partendo dai punteggi grezzi è lineare, ovvero l’intervallo tra due punteggi consecutivi resta costante nella conversione. Uno svantaggio molto importante è che i punteggi hanno anche dei valori negativi, per cui in ambito applicativo, devono essere trasformati in altri punteggi ponderati, per questo motivo non sono di facile comprensione e in più bisogna essere su scala a intervalli. PUNTEGGI T MCCALL: i punti T McCall sono uno dei diversi punteggi ponderati. Vengono utilizzati in quanto sono a distribuzione normale, con valore di media =50 e deviazione standard=10. Solitamente sono i punteggi in cui vengono trasformati i punteggi z: questa conversione viene detta normalizzazione e viene effettuata in quanto è più conveniente possedere informazioni circa i punteggi T rispetto ai punti Z dato che questi ultimi sono di difficile comprensione e possono raggiungere anche valori negativi. Ci sono dei vantaggi, sono di facile comprensione, sono utili per calcolare un punteggio sia al di sopra che al di sotto, la trasformazione è lineare e viene fatta con la seguente formula: T= M+ DS x z. Gli svantaggi è che sono dei punteggi che necessitano almeno di una scala a intervalli, in quanto è necessario che gli intervalli siano equidistanti e restino costanti nella trasformazione, per cui risultano inutili in scale inferiori e richiedono che il costrutto abbia una distribuzione normale altrimenti sono inutili. Essendo punteggi a curva normale, sono utili per fare confronti tra prestazioni di test diversi, sempre qualora il costrutto misurato nella popolazione sia a curva normale. QI DI DEVIAZIONE: I punteggi QI di deviazione sono dei punteggi ponderati. Vengono utilizzati in quanto sono punteggi con distribuzione a curva normale, con valore medio=100 e deviazione standard =15. Essi nascono per contrastare i punteggi QI di rapporto, in quanto essi sono condizionati dall’età cronologica dell’individuo e dunque la loro curva sarà differente in base a questa. La loro funzione è quindi la trasformazione lineare del punteggio grezzo in punto QI di deviazione, per potergli attribuire significato. I vantaggi, in ambito clinico sono utili in quanto sono di facile comprensione, ed essendo a curva normale permettono di effettuare confronti tra i punteggi di altri test o stabilire percentuali sopra/sotto un determinato valore. Gli svantaggi se non abbiamo una distribuzione da scala a intervalli, risultano però inutili e lo stesso vale se il costrutto indagato non è a curva normale. PUNTEGGI STANINI: i punteggi stanini sono dei punteggi ponderati consentono di classificare i punteggi grezzi o z in categorie equidistanti che vanno da 1 a 9 e dunque ha solo valori interi. Sono a distribuzione normale, il valore medio =5 e deviazione standard =2. Rappresentano la specifica porzione di area in cui ricadono i punteggi z/ grezzi. I vantaggi sono che vengono usati in termini di resoconti, sono molto utili in quanto di facilissima comprensione perché consentono una immediata categorizzazione chiara anche a non professionisti, ma questi li rende svantaggiosi in quanto sono troppo generici e non utili ad applicazioni statistiche. Si possono ricavare tramite tavole di conversione specifiche ai test oppure qualora non siano presenti con un calcolo, partendo dai ranghi percentili RP. Richiedono una distribuzione di punteggi su scala a intervalli equidistanti e superiori. PUNTI STANDARD TEN: i punteggi sten sono dei punteggi ponderati che consentono di classificare i punti grezzi o Z in categorie equidistanti che vanno da 1 a 10, e dunque ha solo valori interi. Sono a distribuzione normale, il valore medio =5,5 e la deviazione standard=2. Rappresentano l’etichetta numerica della specifica porzione di area in cui ricadono i punteggi z/ grezzi. Sono molto utili in quanto sono di facile comprensione, perché consentono un’immediata categorizzazione chiara anche ai non professionisti, ma questo li rende svantaggiosi in quanto troppo generici e non utili ad applicazioni statistiche. Si possono ricavare tramite tavole di conversione specifiche ai test oppure qualora non siano presenti con un calcolo, partendo dai ranghi percentili. Richiedono una distribuzione di punteggi su scala a intervalli equidistanti e superiori. Un loro impiego è individuare dove si colloca l’individuo tra due polarità, ad esempio in un test della personalità, come nel caso del test 16-PF5 che misura il modello complesso di personalità. PUNTEGGI A ETÀ EQUIVALENTE: i punteggi ad età equivalente sono un tipo di punteggio ponderato. La loro funzione è quella di paragonare la prestazione di un individuo in un test psicologico in quantità di anni/mesi rispetto allo sviluppo mediano presentato nel gruppo di standardizzazione, quindi rispetto alla popolazione generale, tramite il punteggio grezzo conseguito, la sua trasformazione in punteggio età equivalente consiste nell’età in cui ricade il valore della prestazione di una specifica funzione indagata. Lo svantaggio è un punteggio su scala ordinale e questo rappresenta un limite, in quanto non si può quantificare la distanza tra un punteggio consecutivo all’altro, il vantaggio è che sono di facile comprensione. È da notare che in base alle tavole di conversione, la distanza, cambia in base all’età a cui appartiene l’individuo, questo rispecchia il fatto che alcuni costrutti hanno natura evolutiva, quindi siano età specifici. Un esempio di test che utilizza questi punteggi è il VINELAND-II, che misura il comportamento adattivo. INTRODUZIONE ATTENDIBILITÀ: le teorie psicometriche dell’attendibilità sono state sviluppate per stimolare gli effetti dell’inattendibilità nella accuratezza delle misurazioni psicologiche. Il punto di partenza di queste teorie è l’idea che i punteggi nel test riflettano influenza di due tipi di fattori: fattori che contribuiscono alla coerenza dei punteggi, fattori che contribuiscono all’incoerenza dei punteggi. ATTENDIBILITÀ: l’attendibilità è una proprietà psicometrica alla base di ogni test e definisce il grado di precisione con cui il test misura il costrutto indagato. Sapendo che i valori osservati in un test sono dati dai punteggi veri e una componente di errore, che non è eliminabile ma controllabile, misura dunque il grado in cui il test è indipendente dai suddetti errori casuali. Meno variazioni di punteggi vi sono più il test è attendibile. Il grado di attendibilità è dato dal coefficiente di correlazione tra specifiche prove di attendibilità e possiamo differenziarle rispetto a item: coerenza interna, cioè il grado di correlazione tra tutti gli item del test, l’omogeneità prevede l’affidabilità; attendibilità split-half, correlazione tra un gruppo di individui in due metà del test perfettamente comparabili; attendibilità tra forme parallele, correlazione tra punteggi di un test predisposto in due versioni parallele equivalenti il più possibile. Rispetto a tempo di somministrazione, attendibilità test-retest, correlazione tra punteggi di stesso test somministrato allo stesso gruppo ma in tempi diversi rileva la dimensione della stabilità nel tempo. Rispetto a somministrazione, attendibilità tra somministratori(inter-rater), correlazione tra punteggi di uno stesso test somministrato da due sperimentatori differenti e indipendenti. CAMPIONAMENTO DEGLI ITEM- NON COERENZA FRA DUE METÀ EQUIVALENTI DEL TEST, ATTENDIBILITÀ SPLIT-HALF: correlazione fra i punteggi ottenuti da un gruppo di individui in due metà di un singolo test somministrato un’unica volta. Poiché il test viene diviso in due metà comparabili, risulta evidente che una simile attendibilità fornisce una misura della coerenza interna e riguarda il campionamento degli item. NON COERENZA FRA I SINGOLI ITEM: la coerenza interna è il grado di correlazione tra tutti gli item di un test e corrisponde alla misura dell’affidabilità basata sulla coerenza delle risposte ai singoli item del test e rappresenta un indice di omogeneità degli item all’interno di esso. Il coefficiente più utilizzato è l’alpha di cronbach, indice del grado in cui il test misura un singolo costrutto. COEFFICIENTE DI CORRELAZIONE: il coefficiente di correlazione è uno strumento di analisi che permette di verificare se tra due variabili vi è una relazione lineare importante tra i punteggi ottenuti da uno stesso gruppo. Ha valore compreso tra -1 e 1, dove gli estremi significano una alta correlazione e zero assenza di correlazione. Se ha valore positivo, la correlazione è direttamente proporzionale, ovvero al crescere di un parametro cresce anche l’altro. Se il coefficiente è negativo, la correlazione è inversamente proporzionale, ovvero al crescere di uno l’altro diminuisce. FONTI DI ERRORE E ATTENDIBILITÀ: campionamento degli item: non coerenza tra singoli item, fa riferimento alla coerenza interna di un test, determinata dalla sua omogeneità, se un test è omogeneo, la coerenza interna deve essere alta per poter essere affidabile. Se un test è eterogeneo, la coerenza interna deve essere misurata per ogni sub-dimensione. Non coerenza fra metà equivalenti, si divide il test in due parti uguali e ci si aspetta che la correlazione sia alta purchè il test sia affidabile. Non coerenza tra totalità di item rispetto a item paralleli, si propone una doppia versione di uno stesso test, versione parallela A e B e si somministra allo stesso gruppo simultaneamente, se la correlazione dei risultati è alta per entrambi, allora il test è affidabile. Specificità della situazione di somministrazione rispetto ad altre differite nel tempo, si somministra lo stesso test allo stesso gruppo in due tempi diversi e si verifica la correlazione tra i due risultati ottenuti, così si rileva la dimensione della stabilità dei punteggi nel tempo. Specificità del somministratore/correttore, più somministrati, somministrano lo stesso test allo stesso gruppo, si verificano i risultati e se la correlazione è alta allora la varianza dettata dalla soggettività del correttore è bassa e dunque il test è attendibile. VALIDITÀ: in generale la validità, è una proprietà psicometrica essenziale di un test che consiste nel grado in cui esso misura effettivamente ciò che si propone di misurare, in altre parole quando un test è valido sta a significare che ciò che ha misurato, il suo risultato corrisponde alla realtà. Si distinguono diversi tipi di validità: contenuto, criterio e costrutto. VALIDITÀ DI CONTENUTO: Si riferisce alla validità degli item, nel senso di quanto effettivamente esplicitino quel determinato indicatore comportamentale alla base del costrutto indagato. Si può verificare tramite giudizio dei professionisti ed esperti in merito agli indicatori rappresentativi del costrutto. VALIDITÀ DI CRITERIO: la validità di criterio, fa riferimento ad un confronto in termini di paragone tra i punteggi ottenuti in un test che misura uno specifico costrutto e il valore susseguito in un altro test che è simile al primo. In questo caso distinguiamo la validità concorrente che fa riferimento a due test misurati nello stesso momento; validità predittiva, ovvero quando il test viene effettuato in anticipo e una prova riguardante lo stesso costrutto viene effettuati a posteriori. VALIDITÀ DI COSTRUTTO: validità che fa riferimento al grado di accordo tra risultati ottenuti-costrutto misurato vi sono diversi tipi di indagine per verificarla: metodo dei gruppi contrapposti, prendendo per esempio risultati ottenuti da individuo con deficit di intelligenza non verbale, essi dovranno essere più bassi rispetto ai punteggi conseguiti da un individuo che non presenta il suddetto deficit. Validità convergente/divergente, validità che si indaga tramite il confronto di punteggi di due test diversi che indagano lo stesso costrutto. Omogeneità del test, quando vi è correlazione fra i punteggi di uno stesso test ma di sub-scale differenti alla base dello stesso costrutto. METODO DI LAWSHE PER MISURARE LA VALIDITÀ DI CONTENUTO: è un metodo che si prefigge di quantificare il grado di consenso di un gruppo di esperti nel determinare la validità di contenuto di un test. VARIABILE DIPENDENTE-INDIPENDENTE: la variabile consiste nell’attributo, condizione che può assumere un individuo, una situazione o evento. Per definizione differisce dalla costante, in quanto varia assumendo valori diversi in base alla situazione. È dunque l’oggetto di studio dell’indagine scientifica. In questo ambito, differenziamo la variabile dipendente e indipendente, la prima rappresenta il costrutto di interesse, che differisce per ogni individuo ed è misurabile e condizionata dalla variabile indipendente, la quale viene manipolata dallo sperimentatore per cogliere variazioni della variabile dipendente. In altre parole, in una relazione causa- effetto, la variabile indipendente è la causa mentre la dipendente è l’effetto che si verifica. INDAGINE SCIENTIFICA: modalità di acquisizione di informazioni è il metodo della psicologia per indagare il comportamento umano e i processi mentali. Si basa sulla descrizione delle variabili, che sono oggettive, verificabili e generalizzabili e la relazione causa-effetto tra la variabile indipendente e la variabile dipendente. Si basa sul metodo scientifico che prevede l’esplicitarsi di un’ipotesi e verificarla empiricamente. A seconda dell’oggetto di studio dell’indagine, distinguiamo: indagine descrittiva, che descrive l’andamento della variabile; indagine correlazionale, presenta rapporto di influenza reciproca tra le variabili; indagine sperimentale, presenta il rapporto causa-effetto. Un’indagine scientifica in generale si articola proponendo la definizione del costrutto, un esempio esplicativo e le proprietà di esso. Per poterla strutturare occorre istituire una ipotesi, che serve a capire se la relazione sia causale o dettata da una legge sottostante, manipolare le variabili per misurare le variazioni, e il controllo sperimentale per scongiurare nei limiti gli errori casuali. INDAGINE DESCRITTIVA: una indagine descrittiva ha come unico obiettivo l’osservazione e consiste nell’osservare l’andamento di una o più variabili. In questo caso si parla di sole variabili dipendenti, in quanto non vi è alcun tentativo di manipolazione da parte degli sperimentatori. Non vi è un’ipotesi di ricerca alla base, ma è previsto ugualmente controllo sperimentale. INDAGINE CORRELAZIONALE: un’indagine correlazionale prevede la ricerca di una relazione interdipendente tra variabili; dunque, ha come obiettivo indagare l’influenza reciproca tra due variabili, in questo caso dipendenti, in quanto non vengono manipolate dallo sperimentatore. Non si tratta di una correlazione temporale e dunque causa-effetto, bensì identificare la relazione reciproca. INDAGINE SPERIMENTALE: l’indagine sperimentale ha la funzione di determinare relazioni causa- effetto attraverso la manipolazione di una variabile. L’obiettivo è dunque identificare se la causa di un evento è correlata alla manipolazione di una variabile. Permette di fornire spiegazioni e attuare previsioni. In altre parole, lo studio si concentra sulla misurazione della variabile dipendente, variando il valore della variabile indipendente. VERO ESPERIMENTO: In un vero esperimento, vi è la possibilità di manipolare la variabile indipendente e la possibilità di esporre i diversi gruppi di controllo ai diversi livelli della suddetta variabile. Si dice vero esperimento quel tipo di ricerca sperimentale in cui il ricercatore manipola una o più variabili indipendenti e misura l'effetto di queste manipolazioni su una o più variabili dipendenti, mantenendo il controllo rigoroso sulle condizioni sperimentali. La caratteristica distintiva di un vero esperimento è la randomizzazione dei soggetti nei gruppi sperimentali e di controllo, che aiuta a garantire che qualsiasi differenza osservata tra i gruppi sia attribuibile alle manipolazioni della variabile indipendente piuttosto che ad altre variabili. QUASI ESPERIMENTO: in un quasi esperimento non vi è la possibilità di manipolare la variabile indipendente per motivi etici, naturali o perché non è realizzabile, allo stesso modo, non è possibile quindi effettuare l’assegnazione casuali ai gruppi sperimentali, ma essi sono già precostituiti in quanto presenti in natura. Inoltre, vi è assenza di assegnazione casuale ai gruppi sperimentali, poiché i partecipanti si sono auto-selezionati in base alle loro preferenze. FRA PARTECIPANTI: in questo tipo di indagine sperimentale, vi è la costituzione di più gruppi formati da individui diversi, abbiamo ad esempio un gruppo di controllo ed uno sperimentale. Il gruppo di controllo è esposto ad un livello di variabile indipendente, mentre il gruppo sperimentale è esposto a un altro livello di essa. Si effettua il confronto tra i risultati ottenuti in entrambi i gruppi e si identifica se vi è o meno una relazione causale tra VI e VD. ENTRO PARTECIPANTI: in questo tipo di indagine sperimentale definita a misure ripetute vi è la costruzione di un unico gruppo, il quale sarà esposto ai diversi livelli di variabile indipendente nel tempo. METODO SCIENTIFICO FASI: QUESITO DI RICERCA: consiste nella domanda che ci si pone quando si vuole iniziare un’indagine di ricerca a cui si vuole rispondere. IPOTESI DI RICERCA: consiste in un’affermazione verificabile empiricamente, che possa spiegare una relazione di influenza reciproca oppure una relazione casuale. DISEGNO DI RICERCA, SELEZIONE DEI PARTECIPANTI PREDISPOSIZIONE DEGLI STRUMENTI, RACCOLTA DATI, ANALISI DEI DATI, DISCUSSIONE DEI RISULTATI. IPOTESI NULLA(H0): è un’ipotesi che prevede qualsiasi relazione di influenza reciproca o di causa- effetto tra due variabili sia dovuta al caso. IPOTESI ALTERNATIVA(H1): è un’ipotesi che prevede la presenza di una relazione di influenza reciproca o di causa-effetto tra due variabili. IPOTESI BIDIREZIONALE: si dice bidirezionale quando non è esplicitata la direzione della correlazione tra le variabili nel senso che non è specificato quale variabile influenza l’altra. IPOTESI MONODIREZIONALE: si dice monodirezionale quando nell’ipotesi alternativa è chiara la direzione della correlazione tra le variabili, nel senso che è specificata la variabile che determina l’effetto. TEST STATISTICO E DISTRIBUZIONE CAMPIONARIA: per capire se la media delle due popolazioni sono uguali o diverse possiamo utilizzare specifici test statistici che consentono di riferire il dato campionario a distribuzione di probabilità note, in modo tale da poter poi associare a tale dato un valore di probabilità. Lavoreremo su distribuzioni campionarie. Per n>30(teorema del limite centrale) sappiamo che la distribuzione delle medie campionarie è approssimabile a una normale. Devo stabilire se la differenza tra le medie è aleatoria quindi dovuta al caso e legata al campionamento oppure se effettivamente stiamo parlando di una popolazione differente. LIVELLO ALPHA DI SIGNIFICATIVITÀ: dobbiamo prendere la nostra decisione di tipo probabilistico sull’ipotesi nulla. Dobbiamo fissare un valore soglia entro il quale l’ipotesi deve essere mantenuta e oltre il quale dobbiamo rifiutarla. Questo valore soglia è il p-value o livello di significatività. Ci sono valori convenzionali per cui al di sotto dei quali si falsifica l’ipotesi nulla quando si ha probabilità p che sia vera: p

Use Quizgecko on...
Browser
Browser