Concettualizzazioni e Operazioni di Costruzione LG 3A II parte PDF

Summary

Questo documento esplora le diverse concettualizzazioni di una scena nella produzione linguistica. Vengono analizzate le operazioni di costruzione, come la selezione, la prospettiva, e il punto di vista, evidenziando come il parlante costruisce significati diversi attraverso una stessa realtà con espressioni linguistiche diverse. Include esempi di diverse prospettive.

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CAPITOLO 5: CONCETTUALIZZAZIONI E OPERAZIONI DI COSTRUZIONE 5.1. Le operazioni di costruzione I tipi di concettualizzazione che agiscono nella produzione linguistica sono di vario genere e coinvolgono anche gli elementi grammaticali e le parti del discorso. Ogni unità linguistica evoca un frame sema...

CAPITOLO 5: CONCETTUALIZZAZIONI E OPERAZIONI DI COSTRUZIONE 5.1. Le operazioni di costruzione I tipi di concettualizzazione che agiscono nella produzione linguistica sono di vario genere e coinvolgono anche gli elementi grammaticali e le parti del discorso. Ogni unità linguistica evoca un frame semantico, ma il collegamento ai frame è solo una forma di concettualizzazione. Tutte le espressioni che servono per descrivere una situazione, perfino gli elementi grammaticali o le parti del discorso implicano un processo di concettualizzazione. La lingua ha tanti strumenti differenti per concettualizzare, per rappresentare una situazione, tra queste abbiamo i construal (operazioni di costruzione), i quali si agganciano direttamente a processi cognitivi non linguistici. Langacker dice che un construal è la capacità di costruire/concepire la stessa situazione in modi variabili. L’esistenza dei diversi construals permette di operare una scelta fra i diversi modi di rappresentare una stessa scena, e che una specifica situazione possa esser costruita in modi differenti non è affatto sorprendente nella LC. È importante notare che le lingue provvedono sempre e sistematicamente a usare mezzi per i differenti tipi di construals, e il parlante è ovviamente coinvolto nelle operazioni di costruzione. Inoltre, c’è la possibilità di applicare questi concetti anche ad ambiti di studio diversi dalla LC → ne è un esempio la sociolinguistica, che condivide con la LC la necessità di partire dagli usi che gli utenti fanno della lingua. Se si applicassero le operazioni di construal ai corpus trattati dalla sociolinguistica, si potrebbe non solo descrivere ma anche motivare cognitivamente la differenza fra registri. Ne deriverebbero conseguenze nello studio dei sinonimi o riguardo al livello di specificità dei termini tecnici. Anche molti fenomeni sintattici possono trovare un’adeguata spiegazione in termini cognitivi: ne sono un esempio dislocazioni o frasi scisse, che non sono semplici deviazioni da uno standard, bensì strumenti efficaci per mettere in rilievo il topic, ovvero il focus del discorso, e quindi per concettualizzare l’esperienza secondo un certo punto di vista. 5.2. Classificazione delle operazioni di costruzione Le operazioni di costruzione sono state studiate da Talmy e Langacker con modelli che si sovrappongono, anche se quello di Langacker è più articolato, ma comunque non esaustivo, dal momento che non considera il frame e la teoria della metafora. Talmy studia le operazioni di costruzione secondo un modello di imaging system: structural schematization (schematizzazione strutturale) → individuazione di assi di riferimento come spazio e tempo sulle scene di riferimento deployment of perspective (aggiustamento di prospettiva) → aggiunge la prospettiva che il parlante ha di uno stato di cose distribution of attention (distribuzione di attenzione) → riguarda come, in una scena, non tutti gli elementi hanno la stessa salienza, e assegna alla scena di riferimento la differenza tra figure/ground force dynamics (dinamica della forza) → riguarda relazioni causali che occorrono tra le entità della situazione rappresentata Il modello di Langacker (1987) prende il nome di regolazioni focali (focal adjustments), questa espressione indica sia il modello di raggruppamento delle operazioni di costruzione, sia il modo in cui una, o più, construal è attivato con l’obiettivo di presentare una scena da un particolare punto di vista (non a caso il termine ‘focale’ rimanda alla sfera della percezione visiva). 1 Il modello si articola in 3 punti: 1) selezione → riguarda la capacità dei parlanti di individuare in modo selettivo alcuni aspetti rilevanti dell’esperienza e ignorarne altri irrilevanti rispetto allo scopo prefisso. Ad esempio, il termine ‘vicino’ può riferirsi a domini concettuali diversi: - la penna è vicino al foglio [SPAZIO] - ti sono vicino in questo momento delicato [EMOZIONE] - il mio compleanno è vicino [TEMPO] È importante considerare le sfaccettature (facets) coinvolte nella concettualizzazione: ad esempio un giornale è sia un oggetto fisico, che un testo con significato. Altri esempi di selezione sono riscontabili nella metonimia. 2) prospettiva → riguarda la manifestazione linguistica del modo in cui viene vista una scena secondo l’esperienza quotidiana. Secondo Croft e Cruse si tratterebbe del construal più studiato e diffuso, è fondamentale per domini spaziali e non spaziali. Questa categoria contiene al suo interno delle sottocategorie: figura / sfondo (figure / ground) → la costruzione di figura/sfondo deriva dalla Gestalt, ed è collegata alla percezione visiva. Questa operazione è introdotta nella LC da Talmy, il quale utilizza la relazione figura/sfondo per spiegare le espressioni delle relazioni spaziali nel linguaggio naturale. Abbiamo nella mente una scena con entità che si caratterizzano con un grado differente di salienza che determina la relazione tra i due elementi → un elemento è più grande e stabile (sfondo), e quindi è uno sfondo di conoscenza cui si riferisce una figura più piccola e mobile (figura). Talmy individua le differenti proprietà di figura e sfondo all’interno del dominio più stretto delle relazioni spaziali: La relazione figura/sfondo può essere: a) tipo simmetrico → figura e sfondo sembrano intercambiabili, la relazione dipende solo dall’elemento che selezioniamo come focus (es. la matita è vicina alla penna) b) tipo asimmetrico → figura e sfondo non sono intercambiabili, poiché la relazione è tra elementi mobili e più piccoli, e elementi più grandi e stabili (es. il cassonetto è davanti alla casa rossa). Langacker cambia i termini: figure=trajector, mentre ground=landmark → il modello elaborato è particolarmente interessante a livello grammaticale, dato che le funzioni di soggetto e oggetto riflettono l’organizzazione di trajector e landmark. Infatti, a livello applicativo, il soggetto è prototipicamente dinamico, mentre l’oggetto è prototipicamente statico. 2 Gaeta e Luraghi definiscono il trajector come la figura primaria all’interno di una relazione profilata, e il landmark come una figura secondaria che fa da sfondo al trajector in una relazione profilata. Dunque, il landmark è essenziale per posizionare il trajector. Un enunciato spaziale deve esprimere o profilare un trajector, l’entità la cui posizione (o spostamento) è rilevante. Il trajector può essere statico (a), dinamico (b); una persona o un oggetto (c): Negli esempi i termini ‘school’, ‘table’ e ‘room’ esprimono i landmark corrispondenti, in relazione ai quali si collocano i trajector. Anche nelle relazioni tra eventi abbiamo l’organizzazione trajector/landmark → quella tra proposizione principale (trajector) e subordinata (landmark) è una relazione asimmetrica. Anche se le due azioni esprimono un rapporto di contemporaneità, l’azione di dormire è la precondizione necessaria per l’azione di sognare, e dunque funge da sfondo. La zona attiva è un concetto collegato a trajector/landmark, si tratta per la precisione di quella parte di un’entità che viene attivata in un determinato contesto in base al rapporto tra trajector e landmark. Ad esempio, nel caso ‘Giovanni calcia il tavolo’ i due partecipanti sono coinvolti in maniera limitata (Giovanni usa solamente una parte del suo corpo, il piede, mentre il tavolo è colpito solo in una sua parte). Quindi solo le parti che sono più colpite costituiscono la zona attiva. Le active zone coinvolgono anche la metonimia, per cui il partecipante è saliente per l’evento in cui è coinvolto. Inoltre, la zona attiva è legata al fenomeno dell’adattamento (accomodation) → è un fenomeno che si verifica quando le strutture concettuali vengono combinate e devono adattarsi l’una all’altra, per poter partecipare a una struttura concettuale più complessa. Langacker cita alcuni esempi con il verbo ‘correre’, sebbene questo indichi un tipo di movimento rapido compiuto da un essere animato provvisto di gambe: il modo in cui gli umani corrono è differente da quello dei cavalli, dai giaguari, e dagli altri animali. Oppure si prenda il verbo ‘mangiare’ che indica l’azione di ingerire cibo solido; è però evidente che il modo di mangiare un gelato è completamente differente dal mangiare una 3 bistecca. Ciò ci fa comprendere come il verbo adatti il suo significato a quello dell’entità coinvolta (argomento semantico). punto di vista (viewpoint) → è un aggiustamento focale strettamente connesso con la percezione visiva. Langacker (1987) distingue due sottotipi: a) vantage point → la descrizione di un evento dipende dalla prospettiva del parlante (es. Paolo è davanti alla casa). Croft e Cruse nominano questo concetto come ‘angolo visuale’ b) orientation → la descrizione di un evento è in riferimento alla dimensione verticale, definita dalla postura eretta della persona. L’uso di preposizioni come ‘sopra’ e ‘sotto’ riflettono una costruzione dell’esperienza vista da una posizione eretta deissi → è un fenomeno molto studiato in linguistica e pragmatica. A livello linguistico, si tratta di elementi linguistici che rimandano a elementi appartenenti al contesto extralinguistico. I lessemi coinvolti sono i pronomi, gli avverbi, i tempi verbali (passato semplice e composto, presente e futuro). In aggiunta a questi casi si può parlare di un livello di concettualizzazione di elementi deittici in cui la situazionalità presente è collocata in un altro tempo e spazio. Per esempio, con il presente storico, in cui si presenta una costruzione del tempo dell’evento linguistico che ha l’effetto di portare l’azione concettualmente vicino all’ascoltatore. Ragionando sulla deissi come construal, bisogna ragionare sulla base comune (common ground) condivisa dagli interlocutori. Infatti, la formulazione dell’enunciazione dipende dalla conoscenza condivisa dagli interlocutori. Langacker anziché parlare di common ground, parla di una base/campo epistemico (condiviso dai parlanti). Come evidenzia Clark, ciò che scegliamo di esprimere in un’enunciazione, e il modo in cui lo esprimiamo, è determinato in larga parte da ciò che riteniamo parte o meno della base comune; la base comune fornisce una prospettiva epistemica sia per il parlante che per l’ascoltatore. L’esempio immediato è quello dell’uso dell’articolo determinativo o indeterminativo: con l’uso del determinativo il soggetto interessato apparterrà alla base comune dell’ascoltatore, altrimenti no. Croft e Cruse definiscono la strutturazione delle frasi determinata dalla prospettiva epistemica come ‘struttura epistemica’. La struttura cambia in base alla concettualizzazione soggiacente, e ciò può portare a costruzioni alternative di una stessa scena. Vediamo un esempio: o c’era Sam seduto sul pavimento → tutta la frase è nel focus o Sam era seduto sul pavimento → struttura topi-comment con soggetto come parte di una presupposizione e focus sul predicato Un altro tipo di costruzione prospettica che alcuni studiosi collegano alla deissi è l’empatia: in tal caso, il parlante assume la prospettiva di un partecipante all’evento. soggettività/oggettività → si tratta del modo in cui si concettualizza una scena che coinvolge il parlante stesso, e quindi il contesto in cui è pronunciato un enunciato: a) costruzione soggettiva → parlante interno → es. Non mentirmi! b) costruzione oggettiva → parlante esterno → es. Non mentire a tua madre! Nella costruzione oggettiva, chi parla descrive sé stesso in modo indipendente dalla situazione dell’atto linguistuico. Inoltre, se è presente una dipendenza esplicita dagli elementi dell’atto si avrà una costruzione oggettiva, altrimenti è soggettiva. Alcune forme di oggettificazione di un enunciato si trovano nei baby-talk, ovvero in quel metalinguaggio che lega la madre al bambino, come nell’esempio ‘la mamma torna subito’. L’elemento deittico ‘io’ (mamma) è oggettificato, e il parlante guarda sé stesso come se guardasse un altro individuo. Langacker parla di questa forma estrema di oggettificazione nei termini di ‘transfer mentale’. 4 3) astrazione → è un termine usato da Langacker per riferirsi ad una vasta gamma di fenomeni. Croft e Cruse parlano, per indicare lo stesso fenomeno, di ‘aggiustamento scalare’. Abbiamo due tipi di astrazione: a) schematizzazione: vi sono varie manifestazioni. Ad esempio, possiamo avere raggruppamenti delle categorie lessicali in gerarchie tassonomiche con livelli di specificità diversi (Rio → può essere: pappagallo, uccello, animale, essere vivente, cosa). Quindi, una stessa entità può esser concettualizzata differentemente a seconda della categorizzazione di riferimento. Si tratta di un’operazione che permette di vedere qualcosa attraverso una categoria che la racchiude: si perdono proprietà irrilevanti e si estraggono i punti in comune. Croft e Cruse chiamano questo fenomeno aggiustamento scalare qualitativo. Si tratta di schematizzazione quando una parola o una costruzione è vaga ma non ambigua rispetto a una proprietà semantica. Le differenze nella schematizzazione possono dipendere anche dal frame (ita. mangiare / ted. essen/fressen: tedesco schematizzazione più specifica). Quindi scegliere una parola anziché un’altra ci porta a differenti livelli di schematizzazione. Rientra nell’astrazione in senso lato, e quindi sempre nella schematizzazione, la nozione di grado di specificità attivo nella costruzione di una scena. Ad esempio, posso dire che: Mario è alto, Mario è alto quasi due metri, Mario è alto 1.97m. b) astrazione (in senso stretto) → si tratta di un aggiustamento scalare quantitativo. Anche l’astrazione prevede aspetti della costruzione differenti. In particolare, la ‘metafora della granulosità’ evidenzia la concettualizzazione della scena vista da una prospettiva differente. ‘Corse per il bosco’ è una rappresentazione a grana grossa (coarse-grained), mentre ‘corse attraverso il bosco’ offre una visione a grana fine (fìne-grained) utilizzando una preposizione che mette in rilievo la profondità e visualizza così la scena in una prospettiva tridimensionale. L’ adattamento scalare può riguardare sia il tempo (es. Conor vive a New York/sta vivendo a New York), sia lo spazio (in tutte le sue dimensioni). Nel 2007 Langacker ha rivisto la sua classificazione proponendo 4 classi: specificità (specificity) → equivale all’astrazione, e quindi riguarda la capacità di astrarre le caratteristiche comuni e organizzare i concetti in categorie preminenza (prominence) → sono compresi moti fenomeni, tra cui figura/sfondo, e molti fenomeni della selezione prospettiva (perspective) → sono compresi aspetti della vecchia prospettiva, eccetto figura/sfondo dinamicità (dynamicity) → riguarda la concettualizzazione del tempo in sequenza, e prende in considerazione fenomeni in cui si visualizza come un processo una scena che in realtà è statica. Questa caratteristica si lega all’ordine sintattico delle parole (es. la strada correva lungo la montagna) 5.3. Schemi di immagine / Image schemas Oltre a Talmy e Langacker anche Croft e Cruse hanno proposto una classificazione delle operazioni di costruzione più articolata che comprende anche la profilazione, gli schemi di immagine e la metafora. Gli schemi di immagine sono definiti come versioni schematiche di immagini. Le immagini sono la rappresentazione di esperienze embodied specifiche, e i domini che danno luogo alle immagini sono definiti come embodied o grounded (si tratta in tutti i casi di domini basici). In altre parole, uno schema di immagine è una forma di generalizzazione ricavata dall’esperienza, spesso percettiva e corporea, che costituisce un riferimento concettuale anche a un carattere immaginifico. Croft e Cruse scrivono che questi schemi derivano da domini che implicano immagini, come: contenitori (molto frequente nelle metafore), percorsi, legami, forze ed equilibrio che ricorrono in molteplici domini embodied e strutturano la nostra esperienza 5 fisica. Gli schemi di immagine sono per certi versi astratti, ma al contempo concreti, poiché embodied (facenti parte dell’esperienza umana). 6 LE METAFORE DI ‘PARLARE’ IN ITALIANO – García Jurado Nei suoi lavori sulle metafore in latino, Jurado adotta la teoria della metafora cognitiva elaborata da Lakoff e Johnson. Studiando la semantica delle metafore, è fondamentale distinguere chiaramente tra le metafore concettuali (meccanismi cognitivi) in sé, ovvero gli schemi mentali dai quali si parte e che appartengono al livello del contenuto, e le espressioni metaforiche. Seguendo il modello di Lakoff e Johnson, mantiene la suddivisione canonica delle metafore (strutturali, di orientamento e ontologiche) e le analizza, nei suoi vari lavori, occupandosi di aspetti differenti del linguaggio. La canonica suddivisione delle metafore è applicata alle opere plautine; si trovano, ad esempio, un vasto gruppo di metafore ontologiche riferite alle parole che sono considerate come alimenti o bevande (es. nimium lubenter edi sermonem tuom > non ti so dire con che piacere ho mangiato il tuo sermoncino). Inoltre, individua varie metafore relative al piano del discorso: o senso come un cammino → verum illuc redeo unde abii > ma ora torno al punto di partenza (stessa cosa in italiano: si torna al punto di partenza e si giunge alle conclusioni) o metafora dell’incoerenza → garriet quoi neque pes neque caput > ti graciderà una cicalata senza capo né coda Per quanto riguarda la metafora concettuale, formula la metafora come una frase copulativa del tipo ‘la coerenza è un corpo completo’ → così facendo si delimitano chiaramente tanto il dominio di partenza (‘corpo di partenza’= source domain), quanto il dominio di arrivo (‘target domain’ = target domain). Sebbene la formulazione di questo tipo di equivalenza sia implicita nella conseguente espressione della metafora, può presentarsi il caso in cui ci sia un’espressione metaforica che riproduce in tutti i suoi termini la metafora concettuale (es. Terenzio: «Ita vitast hominum quasi quom ludas tesseris» > «la vita umana è come quando tu giochi ai dadi» → rispecchia esplicitamente la metafora ‘la vita è un gioco’). La metafora può manifestarsi in vari livelli, dalle estensioni semantiche delle singole parole fino al livello fraseologico, che solitamente è quello maggiormente percepito. Bisogna ricordare che una medesima metafora può avere in una stessa lingua diverse versioni, a tal proposito esistono varie espressioni relative ai giochi attestate in latino. Jurado analizza in particolare due espressioni latine relative all’espressione verbale: 1) ‘dire sciocchezze’ attraverso la metafora ‘raffreddarsi la bocca’ 2) ‘parlare male e in modo intellegibile’ attraverso ‘parlare oscuro/sporco’ in opposizione a ‘parlare chiaro’ In ambedue i casi si tratta di espressioni nelle quali concorrono vari schemi metaforici. In primo luogo, si ragiona sulla polarità freddo-caldo e chiaro-scuro, in cui ciò che è freddo e oscuro assume un valore negativo, mentre ciò che è caldo e chiaro assume un valore positivo. Su questi valori si arriva, per analogia, allo schema spaziale sopra = positivo e sotto = negativo → lo schema permette di stabilire, all’interno di uno spazio mentale di carattere verticale basato sulla polarità sopra/sotto, un criterio di valutazione produttivo nei diversi livelli della lingua. Alla luce di ciò, ‘raffreddarsi la bocca’ rientra tra le qualità negative. Questa espressione emerge due volte in Plauto con risvolti comici, attraverso la formula ‘os frigefacere’, che secondo lo schema cognitivo precedentemente descritto significherebbe ‘dire sciocchezze’. L’espressione è presente solamente due volte in Plauto e non presenta un controesempio con accezione positiva. A differenza della precedente, la seconda metafora è molto diffusa. Questa mette in relazione, attraverso un’analogia produttiva, l’espressione verbale e la capacità visiva. Inoltre, in questa casistica abbiamo esempi in cui il verbo ‘loqui’ (parlare) si lega sia all’avverbio ‘laute’ (in maniera pulita), sia all’avverbio ‘sordide’ (in maniera sporca). Benché l’origine dei due avverbi non sia certa, questi vocaboli possono esser posti in relazione con il gruppo di parole che in alcune lingue germaniche esprime l’idea di ‘nero’. Plauto sviluppa autonomamente l’analogia comica di (chiaro = pulito / scuro = sporco). Nelle sue commedie si rinviene 7 l’espressione «loquitur laute et minime sordide», che successivamente diventa un’espressione idiomatica nella quale si cristallizza il legame fra ‘sporco’ e ‘nero’; tanto che la metafora è poi ripresa anche da autori come Seneca e Quintiliano. In italiano, si ha un ulteriore passaggio: scuro > sporco > volgare. In conclusione, lo studio delle espressioni plautine relative al modo di parlare rivela un certo contrasto tra il particolarismo di alcune delle espressioni e il carattere generale degli schemi cognitivi dai quali si parte. Pur partendo da una matrice metaforica che condivide lo stesso schema cognitivo, ogni espressione si realizza con caratteristiche ben distinte. Infatti, la prima espressione metaforica è limitata a Plauto, sebbene lo schema metaforico applicato ricompaia nell’uso di ‘frigidus’ nel contesto della retorica. Al contrario, la seconda appare anche dopo Plauto nel sintagma ‘verba sordida’, ma con variazioni di contenuto e contesto. 8 CONSIDERAZIONI SULLA SEMANTICA E SULLE COSTRUZIONI DEI VERBI ESPERIENZIALI IN PERSIANO ANTICO – Flavia Pompeo Il persiano antico è una varietà di iranico antico sud-Occidentale, più recente rispetto all’Avestico. È collocabile cronologicamente tra il IV e il VI secolo a.C. Circa i 2/3 delle iscrizioni sono trilingui (persiano antico, elamico e babilonese). I testi sono limitati sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo, si tratta soprattutto di iscrizioni reali achemenidi in scrittura cuneiforme. Secondo alcuni studiosi, il persiano antico è una lingua in qualche modo artificiale, non identificabile con la lingua parlata o informale dell’epoca. Ciò che però non convince di questa proposta è la presenza di influssi di altre lingue dell’impero su vari livelli linguistici. Il sistema di scrittura è alpha sillabico o semi-sillabico, forse per influsso dell’aramaico che ha sia struttura consonantica che fonetica. Ci sono inoltre 5 logogrammi: re, Dio, terra, paese e Ahuramazda. In persiano non abbiamo un sistema a scriptio continua, ma vi sono dei divisori di parola. È una lingua satam costituita da 7 casi con sincretismo di genitivo e dativo, e in transizione sincretica tra ablativo e strumentale. [SAGGIO POMPEO INTEGRATO CON] → EMOTIONS I: A COGNITIVE LINGUISTIC THEORY – Zoltàn Kovecses Dall’ inizio del XXI secolo vi è stato un incremento sugli studi esperienziali. Il seguente studio si avvale del metodo storico-comparativo e della linguistica cognitiva. Questo contributo è di linguistica storica, e si articola in due parti: 1) si occupa dei verbi esperienziali (predicati che descrivono qualcosa relativo all’esperienza) 2) analisi dell’unico verbo di emozione attestato in persiano antico → tars ‘temere/avere rispetto’ L’esperienza è un dominio ampio e eterogeneo legato a componenti anatomofisiologiche di carattere universale e fattori socioculturali. Verhoeven (2007) individua 5 sottodomini dell’esperienza, e sono considerate categorie scalari: sensazioni corporee emozioni cognizioni volontà percezioni Le costruzioni esperienziali riflettono le concezioni del parlante in merito ad una data esperienza. Possiamo dividerle in tre macrocategorie: a) quelle che contengono un predicato che esprime una nozione che rientra nei sottodomini precedentemente elencati b) un argomento con il ruolo di esperiente (colui che prova uno stato di cose) c) un secondo argomento, non necessariamente presente, col ruolo di stimolo (indica ciò da cui scaturisce l’esperienza) La gamma di stimoli possibile è estremamente eterogenea e può comprendere anche contenuti proposizionali. Le costruzioni esperienziali hanno una notevole varietà di codifica, sono costruzioni parassitarie che si esprimono mediante costruzioni già esistenti nel sistema linguistico. La varietà di codifica è legata alla differente concettualizzazione di uno stato di cose, vi è un’eterogeneità delle concettualizzazioni possibili. Ad esempio, il rapporto tra esperiente e stimolo è di tipo causale e bidirezionale: o I rumori improvvisi spaventano Mario – stimolo → esperiente (source-stimulus) o Mario odia il fumo di sigaretta – esperiente → stimolo (goal-stimulus) 9 Gli esperienziali essendo concetti astratti sono concettualizzati mediante metafora e metonimia. In persiano antico vi è una scarsità dei predicati esperienziali: verbi di cognizione, verbi di percezione e un solo verbo di emozione. La maggior parte delle costruzioni sono transitive perché si tratta di verbi di cognizione e di percezione attiva. Si tratta dunque di azioni alte nella scala di controllo da parte dell’esperiente. Vi sono inoltre, quattro costruzioni esperienziali con sequenze analitiche di vario genere. In conclusione, in persiano antico sono attestati pochi predicati esperienziali, verbali e no, per i sottodomini delle cognizioni e delle emozioni; invece, il sottodominio delle percezioni comprende esclusivamente predicati verbali. Non sono attestati verbi esperienziali o altri tipi di predicazione in relazione alle sensazioni corporee, né troviamo lessemi verbali esprimenti volontà, se non la costruzione ‘mam kama’. In persiano antico abbiamo il verbo intransitivo -tars ‘avere paura’; questo è l’unico nel sottodominio delle emozioni. Questo è lemmatizzato in modi differenti nelle varie opere di riferimento: la forma originaria del persiano antico era *cah, ora al presente la voce di riferimento è *tarsa ‘temere/avere rispetto di’. In indo- iranico la forma era *tras, derivante dall’indoeuropeo *tres (nel LIV assume il significato composito di ‘tremare di paura’). Di Giovine osserva come alla radice indoeuropea dovesse essere attribuita una semantica stativa. Le attestazioni di *tars sono sei nell’intero corpus delle iscrizioni achemenidi: In tutti i casi si tratta di una costruzione biargomentale e intransitiva, pur con una relativa libertà nella disposizione degli elementi: a) esperiente in nominativo b) stimolo espresso dal sintagma preposizionale ‘haca + ablativo’ c) verbo intransitivo -tars A livello semantico abbiamo: esperiente → lessemi che denotano direttamente o indirettamente entità animate stimolo → referenti animati in 5 attestazioni su 6 (Gaumata, Dario, ‘nessun altro’); una volta sola lo stimolo è la legge emanata direttamente dal re Dario. 10 Fatte queste premesse, il primo aspetto da considerare è la pluralità dei significati attestati nelle varie lingue indoeuropee: o ‘temere’ o ‘tremare’ o ‘fuggire’ Bisogna partire dal significato composito di *tres come ‘tremare’. La relazione tra ‘tremare’ e ‘avere paura’ è stata studiata da Kurath nel 1921 → osserva che i lessemi che denotano emozioni nelle lingue indoeuropee derivano da radici che si riferiscono agli aspetti fisici associati alle emozioni in questione. A proposito della relazione ‘tremare’ e ‘aver paura’ ipotizza che il tremare sia la manifestazione corporea dell’emozione, e quindi ci sarebbe stata poi un’estensione del significato all’emozione vera e propria. Si limita però alla classificazione dei lessemi, ma non fornisce alcuna spiegazione per gli sviluppi semantici che propone. La spiegazione è stata indagata da Lakoff e Johnson che hanno cercato di dare una spiegazione a questo tipo di fenomeni attraverso il linguaggio figurato (metafora e metonimia). Infatti, questi sono interpretati come meccanismi di concettualizzazione fondamentali, soprattutto in relazione a nozioni astratte, non direttamente percepibili su basi esperienziali di tipo corporeo. Tra queste ci sono le emozioni, che rappresentano il sottodominio esperienziale più eterogeneo e complesso, sia a livello linguistico che concettuale. Radden osserva che le emozioni sono innescate da elementi esterni, e comportano una serie di effetti mentali, fisici e comportamentali. Alcuni studi scientifici sull’argomento hanno individuato nella causalità una delle caratteristiche fondamentali delle emozioni → causalità si fonda su 3 anelli: 1) evento che suscita l’emozione 2) stato emozionale 3) reazione fisiologica o altri tipi di risposte Questa catena è universale nelle sue generalità, ma specifica nella sua concettualizzazione ed espressione. Da considerare che gli effetti fisiologici, soprattutto nel caso delle emozioni più intense, tendono a ricorrere in parte interculturalmente e si caratterizzano come indipendenti dalla volontà dell’individuo che, non ha controllo su di essi. La relazione tra la manifestazione fisiologica dell’emozione e l’emozione stessa è strettissima, ciò spiega perché da radici che indicavano l’effetto dell’emozione si passa ad indicare l’emozione stessa (si tratta di processo metonimico → coinvolgimento di un solo dominio concettuale). Questo concetto è riassumibile con il principio metonimico più generale di Kovecses secondo cui: «effects of a state stand for the state». Osserviamo in vedico e avestico, gli esiti dell’indoeuropeo *tres col significato di ‘tremare’, indicano esclusivamente un’azione dettata dalla paura, e non da altri stimoli come il freddo ad esempio. In persiano antico c’è un ulteriore mutamento semantico con l’acquisizione di una forte connotazione politica → già Benveniste si è accorto non di una paura istintiva, ma di timore dettato da un potere superiore e legittimo. Il significato è coerente con il dato e lo stimolo è costituito dal re Dario, o dalla sua legge, e dunque il timore diventa rispetto verso qualcuno che si trova in una posizione autoritaria. Sia paura che rispetto sono categorie prototipiche e questo spiega il passaggio da: ‘avere paura’ > ‘temere qualcuno che ha autorità e potere’ > ‘rispetto’. Nel caso specifico di -tars vi è una condivisione di un elemento dei suoi significati, legata agli effetti sull’esperiente, ovvero le ripercussioni che derivano dal non rispettare l’autorità. Un secondo punto da considerare è la costruzione in cui troviamo questo verbo. Il presupposto teorico è che le lingue non comunicano stati di cose ma concettualizzazioni di stati cose. Rifacendoci al vedico e all’avestico (lingue vicine all’indiano antico) troviamo l’espressione dello stimolo in ablativo. In persiano antico abbiamo il costrutto con la preposizione -haca (a/ab del latino) + ablativo. La preposizione esprime prevalentemente significati di tipo spaziale, mentre a livello figurato è usata con termini come ‘guardarsi da/proteggersi da’ e ‘temere’. Nelle lingue iraniche antiche l’ablativo esprime separazione, movimento di allontanamento, distanza da un punto o punto di origine/paragone. 11 Lakey in un lavoro su costruzioni dei lessemi esprimenti paura in latino, greco, sanscrito, inglese, lingue baltiche e slave nota che l’ablativo a partire dal significato spaziale concreto di «movement away from source» esprime iconicamente la distanza e l’allontanamento dell’esperiente dall’entità che suscita paura (stimolo negativo). Le ipotesi più recenti dicono che la concettualizzazione espressa dall’ablativo (con o senza adposizione) in queste costruzioni è più complessa e coinvolge entrambe le funzioni, e relative componenti semantiche, che vari studiosi considerano in alternativa: a) l’espressione di una relazione causale per la quale una data entità è considerata origine e quindi, per estensione metaforica, causa di un potenziale pericolo b) l’espressione della distanza (non iconica) dal suddetto potenziale pericolo Complessivamente, per la semantica della costruzione in oggetto, potremmo ipotizzare la seguente formulazione: ‘X trema per la paura in relazione a un’entità fonte di pericolo che va tenuta a distanza’. Questa interpretazione trova riscontro positivo nell’uso della stessa costruzione per i verba timendi e per verbi di ‘protezione’. PERSIANO ANTICO → ‘haca + ablativo’ occorre con il verbo semplice -pa ‘proteggersi’ VEDICO → abbiamo i verbi -bhi ‘aver paura/esser spaventato’ e -rej ‘tremare/fremere’ che si costruiscono principalmente con l’ablativo dello stimolo, ma possono occorrere anche con altri casi. La costruzione con l’ablativo è attestata anche con verbi che significano ‘proteggere’ AVESTICO: Bichleimer osserva che, mentre in avestico antico non sembrano esserci attestazioni della costruzione di questi verbi con l’ablativo, in avestico recente l’ablativo occorre sempre con l’adposizione - haca. L’ablativo con -haca sembra essere usato per stimoli animati, mentre in caso di stimoli inanimati si trova in accusativo. Infine, in avestico antico i verbi che assumono il significato di ‘proteggere’ hanno come secondo argomento un ablativo semplice, mentre in quello recente è raro, ed è più frequente che occorra con un’adposizione (-pairi, -paro, -haca) L’ablativo nella costruzione di -tars e dei verbi comparabili in avestico e vedico costituisce un source stimulus, mentre l’esperiente/soggetto è il target dell’emozione. Coerente con il dato che in alcune lingue indoeuropee per l’espressione di emozioni o sentimenti negativi sono usate costruzioni nelle quali l’esperiente non è in nominativo ma in un caso obliquo e quindi, come in -tars, costituisce il target. La spiegazione principale di queste costruzioni emerge a livello cognitivo → emozioni o sentimenti negativi concettualizzati come forze esterne che attaccano l’essere umano che non ha controllo su di essi. In conclusione, nell’analisi dello sviluppo semantico bisogna tener conto della prospettiva integrata (versante biologico-fisiologico e socioculturale). Nonostante il mutamento semantico -tars ha mantenuto la costruzione originaria con l’ablativo comune alle lingue indo-iraniche di antica attestazione (vedico, avestico e persiano antico) e che si caratterizza per un source-stimulus. Si tratta di una costruzione condivisa dai verba timendi e dai verbi che significano ‘proteggere’. 12 CAP 6: LA GRAMMATICA COGNITIVA (GC) Langacker è il fondatore della grammatica cognitiva. Questa è caratterizzata da un ripensamento dei fondamenti della linguistica, specialmente per quanto riguarda il ruolo del significato, ma sono coinvolti anche tutti gli altri ambiti della linguistica, compresa l’area che normalmente è raggruppata sotto la categoria di ‘grammatica’. In questo senso la LC può esser considerata come un quadro epistemologico che include tutti gli ambiti della linguistica. 6.1. Cos’è la grammatica cognitiva? La GC va distinta dalla LC (con questa si intende un insieme di approcci e metodologie). La LC include una grande varietà di approcci e metodologie, unificate dal presupposto comune che il linguaggio sia una parte integrante della comunicazione umana. La GC fa invece riferimento a una specifica teoria del linguaggio collocata all’interno del più vasto movimento della linguistica cognitiva. La GC nasce alla metà degli anni 70’ negli USA, l’opera di riferimento è Foundations of Cognitive Grammar di Langacker (2 volumi: 1987, 1991). A questo primo nucleo si sono aggiunte altre ricerche che hanno prodotto nuovi modelli, ad esempio la Construction Grammar di W. Croft e la Word Grammar di R. Hudson. La GC usa operazioni concettuali già considerate come i construals, poiché hanno importanza le concettualizzazioni degli stati di cose, la profilazione e la categorizzazione prototipica. La semantica è considerata il nucleo generatore della grammatica, dal momento che tutti gli elementi grammaticali hanno un significato (con gradi differenti di astrazione e concretezza). Inoltre, bisogna notare la concezione di un continuum di lessico e grammatica, caratterizzato da un grado di schematicità progressiva. Anche le categorie grammaticali tradizionali (nome, verbo, soggetto e oggetto), precedentemente descritte in termini sintattici, sono ora descritte in termini concettuali. La GC condivide alcuni aspetti del funzionalismo, soprattutto la caratteristica che la lingua sia un sistema simbolico, comunicativo e interattivo che si costruisce a partire dagli usi linguistici. Haliday considera le lingue come sistemi simbolici usate a fini comunicativi (aspetto condiviso col funzionalismo). La definizione di lingua proposta da Langacker è quella di un inventario strutturato di unità linguistiche convenzionali → Analizziamo la definizione: termine ‘inventario’→ introdotto per opporsi al generativismo chomskiano che lo considera come un serbatoio linguistico autonomo. termine ‘strutturato’ → si tratta di un inventario strutturato in quanto le unità sono collegate tra loro termine ‘unità linguistiche convenzionali’ → sono gli atteggiamenti linguistici radicati nei parlanti che formano l’inventario Le classi grammaticali della GC hanno spesso le stesse etichette della grammatica tradizionale, ma il modo in cui queste sono descritte è completamente diverso → rivoluzione della GC riguardo alle classi grammaticali → le parti grammaticali sono considerate di natura semantica, e sono definibili all’interno di una scala che vede a un estremo quelle più universali (nome, verbo, aggettivo e avverbio), e all’altro quelle idiosincratiche (riflettono fenomeni specifici di una singola lingua). Il nome e il verbo sono definiti su base semantica, sono considerate categorie prototipiche: i nomi denotano oggetti fisici, e i verbi eventi dinamici. I nomi profilano, sempre semanticamente, una cosa in senso tecnico, mentre i verbi profilano un processo → l’appartenenza a una classe grammaticale dipende dal tipo di schema descritto. 13 6.2. Il linguaggio come sistema simbolico Il linguaggio è di natura simbolica → qualunque espressione linguistica può essere schematizzata da una relazione simbolica che lega struttura fonologica e semantica. Si tratta di uno sviluppo naturale della teoria del segno di Saussure. Saussure sostiene che sia il significato (concetto) che il significante (immagine acustica) sono due realtà mentali (immagini mentali). Invece, nella GC il concetto non è considerato come immagine mentale, anzi se c’è un’immagine mentale è questa ad essere fondata sul concetto, e quindi sul significato. Questo perché il concetto è un principio di categorizzazione. Il concetto permette di inserire una data entità in una certa categoria e darle il nome appropriato (ad esempio se si possiede il concetto si è in grado di riconoscere un albero e si è in grado di denominarlo nella maniera appropriata), e poi di trarne inferenze, che sono una parte del concetto. Questa idea si può adottare anche per le entità astratte e le parole grammaticali. Ad esempio, conoscere l’uso e il significato delle preposizioni significa saper concettualizzare la disposizione spaziale di un oggetto di fronte a un altro e ciò permette una categorizzazione più appropriata delle relazioni spaziali. Taylor (The symbolic thesis, 2002) parte dal segno di Saussure e sostiene che noi possiamo generare immagini mentali perché possediamo un concetto, ma il fatto di possedere un concetto non implica necessariamente la generazione di un’immagine mentale. Un concetto è un principio di categorizzazione (è un principio di conoscenza = sapere che cos’è) → avere il concetto [ALBERO] significa sapere cos’è un albero, e ciò ci permette di riconoscerlo quando lo si vede, e usare la parola appropriata per quel concetto. Ricapitolando: i concetti consentono, ma non è obbligatorio, di costruire immagini mentali i concetti consentono di fare inferenze, lo stesso processo è applicabile ad entità astratte e parole grammaticali anche l’immagine acustica va intesa come un principio di categorizzazione e non come un’immagine mentale per Saussure il segno è arbitrario e convenzionale, mentre nella GC si sostiene che un segno non debba essere necessariamente convenzionale. Per Taylor la convenzionalità non è una proprietà definitoria del segno simbolico, ma ne può essere una caratteristica; sostiene che questo è caratterizzato dall’intenzionalità la natura simbolica è una prerogativa del linguaggio degli esseri umani → il linguaggio degli animali è dipendente dal contesto, mentre il nostro possiede la proprietà della ‘libertà dagli stimoli’. [N.B. Distinzione indice (es. scotto = febbre) e segnale (voce roca usata ad hoc per fingere di avere mal di gola e scappare da un impegno)]. 6.3. Alcune caratteristiche della GC La GC si basa sull’uso concreto della lingua (usage-based), poiché l’acquisizione del linguaggio è un processo che parte dall’esperienza linguistica. Questa concezione, che ricorda sia la pragmatica sia la linguistica testuale, comporta importanti corollari: a) la conoscenza linguistica si può fondare anche su memoria di occorrenze specifiche b) la conoscenza linguistica è dinamica e influenzata dall’esperienza c) la GC si concentra sulla superficie testuale Il livello astratto è contemplato solo in quanto schematizzazione delle strutture concrete, differentemente dalla grammatica generativa. Ruolo centrale è ricoperto dalla semantica lessicale, e si occupa dello studio dell’influenza del significato di una parola a livello sintattico. Le categorie grammaticali sono considerate in prospettiva semantica e non distribuzionale. Quindi, le strutture sintattiche/morfologiche hanno una motivazione semantica, queste sono 14 descritte tramite strutture simboliche. Vi è dunque la creazione di un continuum tra semantica e sintassi, così come si instaura un continuum tra enunciato e enunciazione. Nella teoria tradizionale: enunciato → oggetto decontestualizzato e caratterizzato da significato composizionale enunciazione → uso dell’enunciato dipendente dal contesto, anche per il suo significato Nella GC dove il focus è sempre sull’uso concreto nella situazione specifica, il punto di partenza è sempre l’enunciazione, mentre gli enunciati diventano delle astrazioni ricavate dalle situazioni d’uso. Nello specifico: o enunciato → astrazione ricavata dalle situazioni d’uso, è uno schema dell’enunciazione o enunciazioni → sono le occorrenze dell’enunciato La distinzione tra enunciato ed enunciazioni riguarda il livello di astrazione o schematicità, che caratterizza l’espressione linguistica. Quindi, un enunciato è schematico per le sue enunciazioni e le enunciazioni sono occorrenze dell’enunciato. Secondo la GC linguaggio si descrive attraverso tre entità: 1) struttura fonologica → è la manifestazione concreta del linguaggio, quindi tratta la materialità del segno, che è veicolato tramite una serie di suoni nel canale fonico-acustico. Sono di natura differente e prevedono vari livelli e dimensioni di schematizzazione. Grazie alle relazioni di categorizzazione sono raggruppate in categorie complesse incentrate sui prototipi 2) struttura semantica → si fa riferimento al significato di un’espressione. Non si tratta di un concetto puramente astratto, dal momento che la concettualizzazione implica una stretta relazione con l’esperienza umana, e quindi è atto concreto di partecipazione e costruzione della realtà 3) relazioni (unità o strutture) simboliche → collegano a doppio senso la struttura fonologica e quella semantica. Le unità simboliche che si attivano possono essere: a) semplici → non contengono unità simboliche più piccole b) complesse → contengono sottoparti La GC nega che la sintassi funzioni da tramite tra fonetica e semantica, bensì sostiene che scaturirebbe dalle relazioni simboliche fra strutture semantiche e fonologiche. Taylor parla di questi come di due livelli autonomi (ciò non significa che siano indipendenti gli uni dagli altri). La sintattica è percepita nella GC come un modello di rappresentazione di tipo costruzionale, e le unità linguistiche sono di tipo simbolico (forma + significato). 6.4. Le relazioni fra le unità Un’unità in GC è una struttura rafforzata attraverso l’uso e che possiede uno status autonomo. L’unità è considerata nella sua interezza, senza che il parlante debba prendere in considerazione la sua composizione intera. Le relazioni simboliche sono di tre tipi differenti: 1) relazione verticale fra schema (unità schematica più generale) ed esempi (unità di grado inferiore) → agisce a tutti e tre i livelli (fonologico, semantico, relazioni simboliche): es. [CANE] [BASSOTTO] / [FONO] [ALLOFONI]. Anche l’unità simbolica (associazione tra struttura fonologica e semantica) può prevedere una relazione schema-esempi. Infatti, un’unità simbolica può essere esempio, a sua volta, di un’altra unità simbolica caratterizzata in modo più schematico: l’espressione linguistica [ALBERO] è un esempio di [NOME], a sua volta esempio di [PAROLA] 2) relazione orizzontale fra le parti e il tutto (solo per le strutture complesse) → anche questa applicabile a tutte e tre le strutture (fonologica, semantica e simbolica) 3) relazioni di similarità → consente di associare unità specificate in modi diversi o perfino conflittuali (es. albero genealogico vs albero da frutto). È uno dei principali mezzi di estensione di unità linguistiche, fonologiche, semantiche o simboliche 15 TRA LINGUISTICA E LETTERATURA: PARADIGMI E NOTE SINESTETICHE – Giovanna Marotta Con lo strutturalismo si ha uno dei punti di maggiore incontro tra studi di carattere letterario e ricerca linguistica. L’autrice premette l’importanza della prospettiva storica in relazione alle diverse teorie sviluppatesi nelle diverse discipline nel corso del tempo, poiché i diversi campi del sapere non sono completamente autonomi, ma sono interrelati tra loro, in misura variabile, a seconda dell’epoca storica e del settore disciplinare. Nella prima metà del 900’ lo strutturalismo rappresentava il modello teorico ed epistemologico di riferimento per varie discipline. Questo modello può dirsi essenzialmente descrittivo, in riferimento a tre livelli di adeguatezza proposto da Chomsky: a) è language-dependent → quindi non universalista, ma centrato sulla lingua come oggetto astratto e separato dai parlanti che la producono e la percepiscono b) ha carattere sistemico e simbolico c) ha una visione statica della lingua La linguistica generativista rappresenta un punto di cesura tra linguistica e letteratura, dal momento che l’ambito di ricerca della linguistica si avvicina sempre più a discipline scientifiche come biologia e psicologia (già con lo strutturalismo storia e sociologia erano state accantonate). Il paradigma chomskiano si basa sull’interazione di due elementi essenziali e concomitanti: la componente biologica, centrata sul cervello, e quella razionale, fondata sulla mente. Tra generativismo e strutturalismo intercorrono alcune differenze: il modello generativista è dinamico, quello strutturalista è statico il modello generativista pone la lingua in relazione con la sfera biologico-psicologica, quello strutturalista con la sfera umanistica I limiti del modello generativista sono: l’astrattezza, il marcato razionalismo e determinismo, l’allontanamento dall’analisi letteraria, e l’assoluta centralità della struttura sintattica. Invece, all’interno del paradigma cognitivista la semantica assume un ruolo di rilievo. Vi sono vari approcci cognitivisti, ma l’assunto di base è che la grammatica non è separata dal lessico, e quindi esiste un continuum tra i differenti livelli linguistici. Ciò porta automaticamente all’applicazione del modello cognitivista all’ambito della letteratura, e allo studio approfondito della metafora. La sinestesia ‘percepisco assieme’ è un procedimento retorico, per lo più con effetto metaforico, che consiste nell’associare in un’unica immagine due parole o due segmenti discorsivi riferiti a sfere sensoriali diverse. La sinestesia può essere analizzata su tre piani differenti: neurologico → si manifesta quando una persona fa esperienza di percezioni in una modalità sensoriale come effetto della stimolazione di una modalità diversa retorico → appartiene allo studio dei testi letterari e genera, nel destinatario dell’opera, un senso di straniamento e sorpresa che aggiunge valore al testo linguistico → è definibile a primo impatto come un tipo speciale di metafora, che consiste nell’associazione di elementi percepiti attraverso modalità percettive differenti. L’associazione di significati appartenenti a differenti sfere sensoriali dà origine a rappresentazioni concettuali conflittuali (es. voce calda). Vi è dunque l’associazione di due domini differenti: 16 Sia la sinestesia che la metafora hanno in comune il passaggio dalla source (+ concreto) a un target (+astratto). Vi sono due differenze principali tra metafora e sinestesia: 1) a livello formale la sinestesia è più vincolata, poiché il target è necessariamente un sostantivo riferito all’ambito dell’esperienza 2) nella sinestesia l’iter avviene in modo costante dai sensi meno differenziati (tatto e gusto) a quelli più differenziati (udito e vista) [NB. con + o – differenziati si fa riferimento alla qualità della percezione → la scala dei sensi più o meno differenziati rimanda alla limitatezza del numero di lessemi per esprimere l’esperienza uditiva, rispetto a lessemi per esprimere l’esperienza visiva → dimostrato da test psicolinguistici → esiste una sorta di gerarchia tra i sensi: si parte da sensi più concreti (bassi e accessibili) fino ai sensi più astratti (alti e meno accessibili)]. Nell’ottica tradizionale, la sinestesia manifesta una semantica conflittuale, costituita cioè da concetti contrastanti. In realtà, ogni sfera sensoriale si relaziona naturalmente con altre sfere sensoriali, e non solo grazie alle possibilità offerte dalla combinazione sintattica della lingua: nell’esperienza quotidiana le percezioni sono di per sé multisensoriali, e dunque polisemiche. Dunque, la polisemia è fisiologica nelle sinestesie, come nella maggior parte dei processi semantici della lingua. L’analisi della sinestesia in linguistica è stata condotta secondo vari approcci teorici e mediante diversi paradigmi sperimentali, questi studi hanno evidenziato come la polisemia si trovi esclusivamente in sintagmi nominali, prototipicamente in sintagmi nominali di tipo attributivo; vi è invece un’assoluta inibizione dei sintagmi verbali. Aspetto importante è quello delle pseudo-sinestesie → si tratta di espressioni che associano ad elementi lessicali appartenenti sensoriali alla sfera semantica psico-morale o astratta (es. animo cupo, persona appiccicosa, carriera brillante). L’estensione alla sfera cognitiva e delle emozioni è data da: embodied → slittamento dettato dall’esperienza incarnata motivazione fisica di questa associazione (es. rosso di collera) L’interpretazione tradizionale prevede il trasferimento semantico secondo queste tappe: nomi e aggettivi di una stessa sfera sensoriale > sinestesia > pseudosinestesia. L’interpretazione alternativa ci dice che il passaggio dalla stessa sfera sensoriale alla pseudosinestesia non richiede l’intermediazione della sinestesia vera e propria. Sinestesie e pseudo-sinestesie sono manifestazioni della polisemia, e sarebbe limitativo considerare come secondari i significati relativi alle emozioni e agli stati mentali, e quindi quegli aggettivi che travalicano i limiti della percezione sensoriale. Si adotta quindi una prospettiva basata sul concetto di ‘percezione sensoriale estesa’. 17 La sinestesia è molto usata in letteratura, in particolare nel linguaggio poetico, in cui vige la nozione di ‘scarto’, ovvero di allontanamento dalla struttura e dalle rappresentazioni concettuali proprie del codice linguistico. Due studiosi hanno ragionato sulla sinestesia partendo da testi letterari: S. Ullman (The principles of semantics, 1975) e Williams (Synaesthetic adjectives: a possible law of semantic change, 1976): Ullman si è occupato della teoria del mutamento semantico, costruendo un corpus che racchiude vari autori di lingua inglese, francese e ungherese. Ullman ha individuato una serie di elementi caratteristici e ricorrenti delle associazioni sinestetiche: ogni sinestesia ha una fonte (source) e una destinazione (target) la destinazione è normalmente un elemento nominale, mentre la fonte è un attributo il trasferimento sinestetico si forma su un processo attributivo il trasferimento muove dai sensi meno differenziati a quelli più differenziati la fonte dominante è il tatto la destinazione prevalente è l’udito Ullman osserva giustamente che il lessico connesso con il senso della vista è normalmente ricco nelle lingue, mentre quello dell’udito è povero e ha bisogno di esser incrementato da aggettivi provenienti da altre sfere percettive. Williams compie un’indagine sul mutamento semantico degli aggettivi sensoriali nella lingua inglese: mostra come l’evoluzione non sia lasciata al caso, ma segua una precisa direzionalità → analizza l’aggettivo ‘sharp’ (tagliente) si parte dal tatto e può indicare qualcosa di uditivo → passaggio da modalità sensoriali definite meno differenziate e più primitive verso quelle più differenziate ed evolute. Williams sostiene che questi principi sequenziali e gerarchici possono esser motivati da fattori fisiologici e cognitivi. La direzionalità assume valore sia a livello diacronico che sincronico, e sia in prospettiva interlinguistica che genealogica. Esistono tuttavia variazioni legate alla soggettività percettiva e quindi alle proprie basi esperienziali e sensibilità (individuali), come pure da fattori culturali. In poesia vi è un accostamento maggiore dei componenti sinestetici. Rosiello studia le poesie di Montale e nota che i dati sono coerenti con quanto emerso negli studi precedenti. Infatti, definisce la sinestesia come un processo cognitivo che si fonda sull’interazione degli organi di senso nell’atto della percezione e che interessa anche l’atto comunicativo. A livello sintattico, osserva che le associazioni di tipo sinestetico si realizzano mediante costruzioni di tipo attributivo, in una delle seguenti forme: a) sintagmi nominali in cui il nome è destinazione e l’aggettivo è fonte (es. l’oscura voce) b) sintagmi preposizionali con impiego della preposizione (es. suoni di cristallo) c) frasi con pronome relativo restrittivo (es. la scintilla che dice) d) rari casi di sintagmi verbali riconducibili al modello attributivo (es. il brusio della sera s’assottiglia) Da notare come vi sia una maggiore variabilità sintattica consentita dalle possibilità della lingua poetica, che si ha le sue regole, ma con confini molto più labili. Callejas studia le opere del poeta irlandese Seamus Heaney, usando il quadro teorico della metafora concettuale, i risultati sono coerenti con quanto descritto fino ad adesso. 18 LE COSTRUZIONI SINTATTICHE COME CATEGORIE PROTOTIPICHE – John Taylor Non tutti i lessemi appartenenti a una data categoria lessicale si comportano allo stesso modo. Infatti, i membri di una categoria grammaticale non hanno necessariamente un nucleo comune di proprietà sintattiche. Ad esempio, non tutti i nomi o tutti i verbi transitivi hanno lo stesso comportamento sintattico → anche in questo caso si può parlare di categorie prototipiche, vale a dire di strutture caratterizzate da gradualità. Alcune costruzioni sono più frequenti con alcuni tipi di elementi e più rari con altre → questo ci dice che anche le costruzioni sono categorie prototipiche. Le costruzioni sono state studiate nello strutturalismo e nel generativismo a livello puramente formale. Con la grammatica generativa vengono messe in subordine e considerate meri epifenomeni e non entità a sé stanti, mentre nella LC le costruzioni sono considerate come unità fondamentali della descrizione sintattica. Nella GC si parla di unione di una specificazione della forma con una specificazione del significato. A livello formale, la costruzione è pensata come una formula consistente in una sequenza ordinata di posizioni (slots) riempite con elementi obbligatori e altri opzionali. Ogni elemento porta una specificazione dei tipi dei tipi di entrate lessicali che possono realizzarlo. La gamma e la tipologia delle informazioni necessarie per la costruzione è variabile. Poiché l’espressione degli aspetti formali di una costruzione è legata all’espressione di quelli semantici, il significato di una costruzione investe anche le dimensioni pragmatica e discorsiva. Vi sono tipi di rapporti differenti tra le costruzioni: a) costruzione come parte di un’altra → ne è un esempio la costruzione possessiva in inglese (SN’s N) b) costruzione come realizzazione specifica di una più generica → ad esempio SN’s N = realizzazione specifica della costruzione Det N c) relazione tra costruzioni based-on → sono un esempio le costruzioni con there con valore deittico Le costruzioni grammaticali hanno una struttura prototipica. In quanto costruzioni che constano di forma e contenuto, la prototipicità vale anche per i singoli livelli. Nelle aree più periferiche troviamo le espressioni idiomatiche (espressioni sclerotizzate, fisse non ammettono varianti o sostituzioni di elementi). In tal caso la costruzione è confinata e non può essere estesa liberamente. Taylor esamina due costruzioni molto tipiche dell’inglese: genitivo possessivo → a livello formale notiamo che non tutti i nomi possono essere inseriti nella costruzione possessiva con la stessa facilità, ad esempio inanimati e astratti non possono funzionare facilmente come possessori. Questo avviene perché si tratta di un fenomeno correlato alla vicinanza con il prototipo definito da criteri semantici. Osservando la dimensione semantica notiamo come il possesso sia un concetto difficile definibile come Gestalt empirica; si tratta di un concetto basico, ma non di un primitivo semantico, cioè non si tratta di un’unità non scomponibile (è analizzabile in tratti, quindi non è atomico). Taylor ha segnalato alcune proprietà presenti nel concetto di possesso prototipico: a) il possessore è un essere umano specifico b) il posseduto è un’entità concreta specifica solitamente inanimata c) la relazione è di tipo esclusivo d) il possessore ha diritto di far uso della cosa posseduta e) i diritti sono garantiti da una transazione f) relazione di vicinanza spaziale tra posseduto e possessore g) il possessore è responsabile del posseduto h) solitamente è una relazione a lungo termine Qualora sussista fra due entità una relazione di possesso prototipico, nei termini descritti sopra, la relazione può essere espressa per mezzo della costruzione del genitivo possessivo. Ma la costruzione può essere usata anche per codificare molti altri tipi di rapporto fra le due entità. Questi rapporti possono essere interpretati come estensioni, in alcuni casi minimali, in altri sostanziali, del prototipo. 19 Vediamo alcune di queste estensioni del modello prototipico (Pr = possessore / Po = posseduto): 1. estensione minimale 2. relazione parte insieme → in questo caso emerge l’importanza di alcuni elementi come della vicinanza spaziale del possessore col posseduto, della durata temporale della relazione fra i due elementi, l’esclusività della relazione tra i due elementi. 3. estensione all’espressione della qualità e di chi la possiede → si tratta della relazione tra una cosa e le sue proprietà Il possessore funziona da elemento identificativo del posseduto, ciò fa si che i referenti siano specifici. C’è poi un quarto gruppo di relazioni: termini di parentela e rapporti interpersonali (es. John’s wife). Il fatto che vi sia un elemento identificativo fa si che il rapporto interpersonale dipenda dal vantage point, nel caso in cui vi sia un cambiamento del vantage point ci sarà anche un cambiamento nel modo di riferimento (Mary = John’s sister / Mark’s wife) → il genitivo assume di volta in volta la funzione di disambiguare la prospettiva di riferimento. Il genitivo è usato anche per l’indicazione di cariche e simili (es. company’s director). Il sesto gruppo è quello dei nomi deverbali (es. the prisoner’s escape). 20 Data questa eterogeneità funzionale si sostiene che la semantica del possessivo sia profondamente indeterminata. L’ipotesi è che il possessivo identifichi semplicemente un’entità richiamando alcune relazioni che essa intrattiene con altre entità. Il suo compito sarebbe quello di svolgere una funzione identificativa indicando relazioni di una gamma possibile, relativamente indeterminata: sostegno dell’ipotesi → la stessa espressione di possesso si presta a più interpretazioni contro l’ipotesi → prove della priorità della relazione di possesso in senso stretto sono centrali. Si tratta di prove linguistiche in senso stretto: frasi interrogative, impieghi contrastivi, scenario dell’incidente e frase. Quindi è vero che il possesso ha un ruolo centrale e può esprimere altri tipi di relazione, ma emerge la funzionalità dell’approccio prototipico, con al centro il possesso in senso stretto. Allontanandosi dal prototipo vi sono molti più limiti. In tal senso, la costruzione post-genitiva (prima testa del SN e poi possessore) risulta ristretta al possesso prototipico. costruzione transitiva → vediamo alcuni esempi che mostrano le realizzazioni più tipiche: a) the child kicked the ball b) John moved the table c) Mary killed the intruder In tutte le frasi i due sintagmi nominali hanno funzioni differenti: soggetto e oggetto; il verbo è transitivo. Le frasi condividono la stessa transitività sintattica (stessa struttura). Nelle loro realizzazioni prototipiche, entrambi i sintagmi nominali hanno dei referenti specifici, mentre il verbo è reale, cioè affermativo e indicativo, col tempo del racconto (presente o passato). Bisogna ricordare che la transitività sintattica è inadeguata se usata in modo esclusivo. Inoltre, anche a livello sintattico ci sono deviazioni interessanti. A livello semantico la questione si complica. Hopper e Thompson generano una tabella delle caratteristiche semantiche della transitività nelle sue realizzazioni prototipiche, basandosi su Lakoff: 1) la costruzione descrive eventi che implicano esclusivamente due partecipanti: soggetto e oggetto diretto 2) i due partecipanti sono altamente individuati, si tratta, cioè di entità discrete e specifiche, distinte reciprocamente l’una dall’altra e dal contesto che fa da sfondo 3) l’evento è avviato dall’agente (referente del soggetto), e la responsabilità dell’evento risiede esclusivamente su di lui. Inoltre, il soggetto è il tema della frase, ovvero ciò di cui si parla 4) l’agente agisce in maniera conscia e volitiva, poiché la volizione è un attributo tipico dell’uomo, ne consegue che l’agente è tipicamente un essere umano 5) il paziente (spesso inanimato) subisce l’azione per volontà dell’agente 6) dopo l’evento, il paziente si trova in una condizione diversa rispetto a prima dell’evento. Il cambiamento è spesso percepito da uno spettatore esterno 7) l’evento è interpretato come puntuale. Anche se questo ha necessariamente un’estensione temporale, questa non è presa in oggetto 8) l’azione dell’agente sul paziente di solito implica il contatto fisico diretto, e il suo effetto sul paziente è immediato 9) l’evento ha una componente causativa: l’azione dell’agente produce sul paziente un cambiamento 10) agente e paziente si trovano spesso in un rapporto avversativo 11) gli eventi riferiti dalla costruzione sono reali 21 I tratti definiscono la situazione della costruzione transitiva prototipica, ma vi sono possibili deviazioni: Problematici sono i verbi esperienziali (percezioni, sentimenti, emozioni, stati mentali), poiché il soggetto =esperiente, oggetto diretto=stimolo. È da notare, una sostanziale differenza nel grado di controllo da parte del soggetto in verbi come -guardare vs vedere o -sentire vs udire → nei primi il soggetto ha un grado maggiore di controllo dell’azione. Si possono avere costruzioni inverse in cui lo stimolo fa da soggetto e l’esperiente funge da oggetto diretto (es. the movie interested me). Taylor osserva che questo è possibile a causa di espansioni metaforiche e metonimiche che si basano sulla concettualizzazione delle qualità dello stimolo come motivatore dell’esperiente. Vi è una distanza ancora maggiore dal prototipo per frasi transitive che esprimono un rapporto, una qualità, un attributo, quindi qualcosa di statico (es. The book costs 20$). 22 Esistono anche prove del grado di transitività anche a livello sintattico: a) reggenza con il verbo persuade solo per frasi con soggetto provvisto di intenzionalità → (es. I persuade Mary to kill the intruder) b) frasi scisse solo per frasi con predicati che indicano eventi → lo schema sintattico di riferimento è: ‘what’+ ‘happened’ + ‘was that’ + SOGGETTO (es. what happened was that the lightning destroyed the building) c) frasi scisse con -do con predicati che compiono azioni → lo schema sintattico di riferimento è: ‘what’ + SOGGETTO + ‘do’ + ‘is’ (es. what elephants do is uproot trees) d) avverbi e determinazioni temporali solo con verbi di natura puntuale → (es. Suddendly, at 10 o’clock, John saw Mary). Si verifica anche il fenomeno inverso, in cui gli avverbi di estensione temporale ai verbi non puntuali come ‘portare’ e) solo i pazienti prototipici o vicini al prototipo possono diventare soggetti di frasi passive → (es. the ground was dug by me) Dall’analisi emerge che la costruzione transitiva risulta estremamente produttiva nella lingua inglese, anche per frasi che si allontanano dal prototipo. Infatti, nella diacronia della lingua inglese, si riscontra una massiccia invasione di costrutti transitivi nell’espressione di situazioni che divergono sempre più dalla transitività prototipica. Ne sono un esempio i verbi di sensazione come ‘think’ e ‘like’ → in antico inglese, lo stimolo era rappresentato dal soggetto del verbo espresso in caso nominativo, mentre l’esperiente (oggetto indiretto) era espresso in dativo. L’estensione del modello soggetto-verbo-oggetto avanza velocemente in inglese moderno; l’esistenza della costruzione passiva e il comportamento analogo di altri verbi (es.to fly) hanno confermato questa estensione. Tuttavia, non si tratterebbe di un’estensione pienamente produttiva, poiché dipenderebbe dai singoli verbi → si tratta di una proprietà idiomatica di singoli verbi lessicali. Esiste anche la possibilità di sostituire una costruzione intransitiva con una transitiva (es. we swam > we had a swim): ma anche in questo caso si tratta di un fenomeno sporadico, più che pienamente produttivo. Taylor sostiene che anche le costruzioni ditransitive (doppio oggetto) sarebbero una prova dell’estensione della costruzione transitiva in inglese, e queste possono anche essere rese con la forma passiva (es. John gave the book to Mary > the book was given to Mary). Importante valutare questo fenomeno in una dimensione interlinguistica → in inglese la costruzione transitiva ha una notevole estensione, mentre in tedesco è ristretta a casi abbastanza vicini al prototipo. In particolare, in tedesco la costruzione è transitiva se il soggetto corrisponde all’agente prototipico, se l’oggetto corrisponde al paziente prototipico, e se il verbo manifesta una transitività tipica. In tal modo, solo i membri più centrali della costruzione inglese hanno equivalenti transitivi in tedesco. Le aree di maggior divergenza tra le due lingue sono: verbi esperienziali → l’inglese codifica chi sperimenta una condizione mentale (es. mi piace Maria) come il soggetto di una frase transitiva, mentre in tedesco questa funzione è espressa dal dativo rapporto cooperativo più che avversativo → se il rapporto agente paziente è cooperativo (mi ha aiutato) il paziente in tedesco figura in dativo agente compie un’azione sul proprio corpo → la costruzione transitiva non è possibile in tedesco il paziente non subisce un cambiamento di condizione → il verbo in tedesco è riflessivo, e il paziente può comparire in un caso diverso dall’accusativo ricevente mai in accusativo in tedesco il tedesco non ammette che gli strumenti o le istituzioni funzionino come soggetti (es. la chiave aprì la porta) In conclusione, nella GC le costruzioni non sono generate, ma sono apprese singolarmente come associazioni specifiche di una forma specifica con un contenuto specifico. La produttività di una costruzione è parte della conoscenza che il parlante ha della costruzione stessa. L’informazione che si trova nel lessico consente di capire, al di là della sostanziale analogia a livello formale, la differenza nella produttività e nella distribuzione accettabilità delle espressioni possibili nell’ambito di una data costruzione. In tal senso, è 23 significativo che lo stesso Chomsky pensi alla eliminazione virtuale della struttura sintagmatica e delle regole trasformazionali, con un corrispondente incremento della funzione e del dominio del lessico. In ultima analisi, la transitività è una proprietà della frase, non delle voci lessicali e della costruzione del mondo che la frase rappresenta simbolicamente. 24 CASE IN COGNITIVE GRAMMAR – Silvia Luraghi Esistono differenti tipi di approcci cognitivi, ma tutti hanno dei punti in comune: a) il linguaggio non è un modulo mentale separato dalle altre facoltà cognitive b) il linguaggio è considerato esternamente motivato c) il significato è pervasivo d) i concetti/significati hanno un radicamento esperienziale e corporeo Lo spazio è concepito come dominio basico dell’esperienza umana, il quale serve come punto di partenza per comprendere altri domini, più astratti. Inoltre, è molto importante per gli studi sulla grammaticalizzazione, poiché è stato dimostrato che il significato astratto di forme grammaticali il più delle volte deriva da un originario significato spaziale attraverso estensioni metaforiche o processi metonimici. I casi già in precedenza erano stati considerati come provvisti di significato. Già i neogrammatici avevano compiuto dei lavori, abbastanza ingenui, dal punto di vista teorico: Delbruck (1867) → studi sull’estensione dal significato comitativo a quello strumentale Wackernagel (1922) → studi sulla frequente polisemia tra ubicazione e strumento Di ciò se n’è occupato anche lo strutturalismo europeo (Hjelmslev e Jakobson), il problema che emerge dalle teorie strutturaliste sul significato dei casi è di essere troppo incentrate su relazioni intrasistemiche. Invece, i generativisti manifestavano il problema di dare una scarsissima attenzione alla componente morfologica. Nella critica al generativismo condotta nell’arco degli anni 60’ vanno posti i fondamenti della GC → Fillmore elabora la nozione di deep case → fa riferimento non al ruolo del significante, quanto al ruolo semantico. Le categorie radiali sono un tipo di categoria prototipica. Adottare come approccio di un fenomeno le categorie radiali è funzionale, poiché l’elemento che possiede il maggior numero di tratti (prototipo) sta al centro (sottocategoria centrale); mentre gli altri se ne allontanano progressivamente. Il rapporto tra elemento/sottocategoria centrale e sottocategorie periferiche non è determinato da regole generali. Le caratteristiche della sottocategoria centrale sono di fondamentale importanza, poiché non determinano, ma spiegano le estensioni. La gamma dei casi è considerata come una categoria scalare, ogni caso ha la sua funzione prototipica, ma vi sono anche sottocategorie della funzione prototipica, e quindi delle estensioni delle funzioni dei casi. Nella GC vi è stata una crescita importante nello studio dei casi, i significati dei casi sono ritenute categorie radiali → all’interno di ciscun caso vi saranno degli esponenti prototipici ‘centrali’, mentre altri saranno meno rappresentativi di quella categoria e dunque ‘più periferici’. Questo approccio consente di spiegare le estensioni semantiche, e permette di generare una rete tra le varie funzioni, che non si collocano tutte sullo stesso piano. Nella GC vi è una riduzione del ruolo dell’omonimia e una valorizzazione della polisemia per spiegare la polifunzionalità dei casi. Inoltre, il significato delle forme grammaticali differisce da quello delle forme lessicali piene solo per il grado di astrattezza. Nella stessa prospettiva si spiega la differenza tra casi grammaticali semantici, essendo i primi più astratti, e i secondi più concreti. Reputare che le forme grammaticali abbiano un significato astratto sviluppatosi da uno concreto è un concetto presente anche nella teoria della grammaticalizzazione (dove è usato per spiegare la nascita di forme grammaticali). Importante è il semantic bleaching ‘sbiancamento semantico’ → è un fenomeno linguistico che si verifica quando una parola perde parte del suo significato originale e diventa più generica → es. lat. casa > fr. chez ‘presso’: del significato originario si mantiene in questo caso solo la componente locativa. 25 Nel processo di grammaticalizzazione la forma risultante può esser priva di autonomia fonologica: parole un tempo autonome diventano clitici e, in seguito, morfemi legati (es.-mente suffisso avverbiale). Importante è la risposta data all’obiezione mossa dai funzionalisti, secondo loro i casi sarebbero governati da altri elementi della frase (verbi, preposizioni o costruzioni). Loro rispondono che la reggenza non implica che il caso sia semanticamente vuoto, ma ci sarebbe una parziale ridondanza nell’espressione di una certa nozione. Nella GC la relazione espressa da un caso è considerata l’istanziazione (realizzazione concreta) della relazione asimmetrica tra trajector (figura) e landmark (sfondo). Ricordiamo che: trajector → entità meglio individuata, più saliente e mobile landmark → entità più stabile. Ha la funzione di punto di riferimento rispetto al quale poniamo in relazione il trajector. Si tratta di una relazione prevalentemente asimmetrica Ad esempio, il genitivo stabilisce la relazione di tipo asimmetrico nella locuzione ‘domus patri’. Le desinenze dei casi servono dunque a profilare una relazione tra trajector e landmark. Si genera una action chain: agente + strumento + tema. ‘With’ profila la relazione tra processo agentivo nel suo complesso (trajector) e uno strumento (landmark) che compare in questo processo. Kiki Nikiforidou studia la plurifunzionalità del genitivo nelle fasi antiche di greco classico, latino, inglese e francese medievale. Mostra che tutte le differenti funzioni del genitivo indoeuropeo sono basate su estensioni metaforiche del significato, a partire dall’espressione del possesso alienabile. Kiki è attenta anche alla diacronia, e tra le altre cose osserva che i significati diacronicamente più persistenti sono quelli sincronicamente più centrali/prototipici. Il tedesco è una lingua dotata dei seguenti casi: nominativo, dativo, accusativo e ablativo → si tratta di casi che codificano relazioni grammaticali. Smith analizza comparativamente dativo e accusativo tedesco, sia a livello di frase che in sintagmi preposizionali, individuando per ognuno delle funzioni prototipiche e un ambito d’uso. Tramite l’analisi delle 2 way prepositions (proposizioni che occorrono sia in dativo che accusativo), nota che nell’accusativo c’è un contatto significativo col landmark, mentre il dativo esprime una deviazione da ciò che è espresso dall’accusativo. Prendiamo due esempi: La differenza è da ricercare nella nozione di search domain → con l’accusativo è coinvolto qualcosa che prima non lo era, mentre nel dativo non c’è un cambiamento del source domain: 26 Nel greco classico, l’accusativo è il caso che segnala il coinvolgimento totale, e ricopre le seguenti funzioni: caso dell’oggetto diretto usi spaziali usi avverbiali Dall’analisi diacronica derivano gli argomenti migliori a favore dell’analisi del significato dei casi nell’ambito della GC, poiché: a) fornisce le prove per percorsi di estensione semantica già ipotizzati b) aiuta ad evitare generalizzazioni eccessive c) spiega fenomeni poco comprensibili 27 EMOTIONS I: A COGNITIVE LINGUISTIC THEORY – Zoltàn Kovecses Kovecses dice che le emozioni si fondano su 4 ingredienti concettuali: metafora metonimia concetti correlati modelli cognitivi. Kovecses precisa di non avere una teoria delle emozioni, ma una sua ‘visione delle emozioni’ che definisce folk theory (teoria popolare). La metafora → confronta le emozioni di ‘anger’ e ‘love’ in inglese: Alcune metafore delle due emozioni coincidono (coinvolgono uno stesso dominio di origine). 28 La metonimia → prende l’emozione ‘LOVE’ e indica metonimie associate all’innalzamento del calore corporeo e all’aumento del battito Concetti collegati → si tratta di atteggiamenti emotivi coinvolti in un’altra emozione. Ad esempio, nel concetto di ‘amore romantico’ può essere incluso anche quello di ‘amicizia’. La struttura delle emozioni è molto complessa → Kovecses si chiede se esista una metafora dominante nelle emozioni (master metaphor), cioè una metafora a un livello più generico che ingloba tutte le altre → si rifà alla teoria dei Talmy nei construals o imaging system → seleziona la force dynamics → caratteristiche: vi sono due entità (protagonista e antagonista) che interagiscono e si influenzano, hanno tutte e due uno specifico tipo di forza (una dinamica e una statica), l’interazione tra le due forze si configura in modi differenti, e si può generare un equilibrio tra le due forze. Nella struttura base delle emozioni abbiamo due fasi: a) X causa di un’emozione b) L’emozione porta a una risposta di qualche tipo Kovecses riesamina la metafora ‘emotions are opponents’ nella prospettiva della force-dynamics → l’emozione è intesa come una dinamica di forza (alla quale può esserci una reazione o un’inattività). L’avversario principale è il sé razionale che vuole mantenere il controllo, mentre l’altro avversario è la causa dell’emozione. Di solito il sé razionale perde il controllo. Tale dinamica si ritrova nella metafora [L’EMOZIONE è UNA FORZA NATURALE] dove spesso chi viene travolto ha un ruolo passivo, ma anche nella metafora [UN’EMOZIONE è UNA FORZA FISICA]. Propone dunque, un nuovo modello della situazione ‘emozione’ tipica in 4 fasi, a partire dall’esistenza della causa dell’emozione sino agli effetti su chi prova l’emozione, con una serie di dinamiche di forze. La seconda domanda che Kovecses si pone è: le metafore per le emozioni sono tipiche esclusivamente delle emozioni? Alcune metafore molto generiche non lo sono (es. la situazione è diventata esplosiva), mentre altre sono tipiche delle emozioni (es punzecchiare qualcuno). A questo punto l’autore si pone una terza domanda: perché ci sono metafore diffuse e altre, invece, esclusive non solo delle emozioni ma di specifiche emozioni? La risposta è quella secondo cui alcune metafore specifiche si fondano sulla causa o sull’effetto specifico di quella determinata emozione. Altro aspetto che l’autore considera è la differenza tra le metafore per le emozioni e quelle per le relazioni. A tal proposito, analizza il concetto di ‘friendship’, sulla base di questionari sottoposti a parlanti inglesi- americani. Alla base di questo concetto sembrano esserci almeno 6 diversi sistemi metaforici (un sistema metaforico comprende più metafore), alcuni tipici delle emozioni: 29 Poi è considerato il concetto di ‘amore romantico’ che ha un elevato numero di metafore perché comprende sia metafore tipiche delle emozioni che delle relazioni. Non ci sono però master metaphors per le relazioni, anche se ci sono due gruppi di metafore statisticamente più frequenti: 1) quelle che caratterizzano relazioni interattive 2) complex abstract system Invece, per le emozioni sono centrali le master metaphors. I modelli cognitivi → Kovecses si chiede quale sia il ruolo delle metafore nella costruzione cognitiva di concetti di emozioni specifici → modello cognitivo di ‘anger’ → tutte le metafore concettuali e le metonimie relative ad ‘anger’ contribuiscono allo sviluppo di uno specifico modello cognitivo di ‘anger’ → il modello cognitivo è una schematizzazione mentale delle emozioni. Il modello cognitivo della rabbia è universale? → no, ad esempio confrontando col cinese nota delle differenze, poiché quest’ultimo prevede delle fasi finali di questa emozione legate al concetto di tranquillità. Confrontando modelli cognitivi di culture diverse si arriva ad un’ulteriore generalizzazione dello scheletro delle metafore → articolato in 3 parti per tutte le emozioni (presenti in qualsiasi modello di emozione interlinguisticamente): componente ontologica (l’emozione esiste) componente causale componente espressiva (con o senza tratto del ‘controllo’). 30 CONCEPTUAL SEMANTICS – Ronald Langacker Langacker si occupa di semantica cognitiva. Spiega il termine ‘concettualizzazione’ come un qualcosa di riferito a ogni sfaccettatura dell’esperienza (fisica, linguistica, sociale e culturale). Le strutture semantiche sono concettualizzazioni usate per determinati scopi semantici. Parlando di polisemia dice che è normale che elementi lessicali con alta frequenza d’uso abbiano molteplici significati legati gli uni con gli altri, che sono stato convenzionalizzati. Alcune accezioni/sensi sono più prototipiche rispetto ad altre, ma si legano comunque agli altri formando una rete. Fa l’esempio di anello: accezione prototipica=anello che si mette al dito, ma allontanandosi dal prototipo diventa un qualsiasi oggetto di gioielleria di forma circolare. Inoltre, per estensione metaforica diventa un segno con forma circolare (es. segno del bicchiere poggiato senza sottobicchiere). Ambedue sono elaborazioni di entità circolari, ragion per cui si tratta di un’estensione metaforica. Sempre per estensione metaforica si può parlare di un ‘anello di spie’ (in inglese). Oltre a ciò, può indicare anche arene circolari, ma anche arene non circolari per estensione metonimica. Tra gli altri tipi di categorizzazione parla di: elaborazione → da un elemento schematico si passa a uno specifico estensione → è un’associazione per somiglianza o contiguità concettuale rispetto ad un elemento maggiormente prototipico. Le estensioni semantiche a volte interessano le metafore e le metonimie Fa l’esempio del classificatore ‘hon’ → è usato in giapponese per individuare oggetti lunghi e sottili. Poi il significato si estende, spesso attraverso usi metaforici e metonimici: 31 Parla poi degli schemi di immagine (image schemas) → si tratta di costrutti fondamentali per la concettualizzazione, sono astratti dall’esperienza corporea, funzionano come mattoni di nozioni più complesse, si trovano spesso nelle metafore. Ci sono altre entità concettuali di base come gli archetipi concettuali, basati anche questi sull’esperienza, sono basilari da un punto di vista psicologico. In base a questi elementi possiamo elaborare un’ipotesi di lavoro, che Langacker applica agli universali grammaticali che prevedono qualcosa di prototipico, e al contempo un significato schematico astratto. All’interno di un dominio cognitivo, un significato è costituito da un modo particolare di interpretare o vedere quel contenuto: 32 Il contenuto di un’espressione è fornito da un insieme di domini cognitivi, che rappresentano un certo grado di complessità o livello di organizzazione concettuale. Per la sua caratterizzazione semantica, un’espressione in genere richiama più domini (una matrice complessa), in ognuno dei quali l’entità designata assume un ruolo. I domini di matrice non devono essere necessariamente disgiunti o chiaramente delimitati. Ad esempio: 33

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