La Comunicazione Dei Processi Criminali Nella Storia PDF
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Questo documento fornisce una panoramica sulla comunicazione dei processi criminali nella storia, con un'attenzione particolare al diritto penale e alla Costituzione italiana. Esplora le funzioni della pena e le caratteristiche della Costituzione italiana, come le sue basi democratiche e il principio di uguaglianza.
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LA COMUNICAZIONE DEI PROCESSI CRIMINALI NELLA STORIA 1. IL DIRITTO Il diritto è una scienza umana che si occupa di regolare i rapporti all'interno di una società. Essendo creato dall'uomo e destinato all'uomo, il...
LA COMUNICAZIONE DEI PROCESSI CRIMINALI NELLA STORIA 1. IL DIRITTO Il diritto è una scienza umana che si occupa di regolare i rapporti all'interno di una società. Essendo creato dall'uomo e destinato all'uomo, il diritto è soggetto a cambiamenti nel tempo, in risposta alle evoluzioni sociali e culturali. La sua funzione principale è quella di stabilire regole certe per i consociati, ossia coloro che vivono in una determinata comunità. Secondo la teoria del patto sociale, i consociati rinunciano a parte della loro libertà individuale in cambio di protezioni e servizi offerti dallo Stato. 1.1 Diritto penale (o criminale) Il diritto penale si occupa di regolamentare quei comportamenti che violano le leggi, ledendo gli interessi altrui e causando danni quantificabili. Una distinzione fondamentale all'interno del diritto penale è quella tra reato penale e reato civile: - Reato civile: si riferisce a un comportamento sbagliato che comporta il risarcimento del danno. In questo caso, l'autore del reato è chiamato a compensare la parte lesa. - Reato penale: si riferisce a un comportamento che non solo danneggia il singolo, ma anche l'intera collettività. In questi casi, l'autore del reato va incontro a una pena. Un esempio tipico è il furto, che viola il diritto individuale ma incide anche sul senso di sicurezza della comunità. 1.2 Cos'è la pena? La pena è la sanzione prevista dallo Stato in caso di violazione di una norma penale. Le funzioni della pena sono molteplici e possono essere suddivise in tre principali categorie: 1. Funzione retributiva: questa funzione si basa sull'idea di compensazione, secondo cui chi causa un danno deve subire una pena proporzionale al danno arrecato. Un esempio classico è la condanna all'ergastolo per un assassino, che simboleggia la "perdita" della sua vita in cambio di quella che ha tolto. 2. Funzione deterrente: questa funzione ha lo scopo di prevenire i recidivi, ossia di scoraggiare chi ha già commesso un reato dal ripeterlo, ma anche di dissuadere altre persone dal compiere lo stesso tipo di reato. 3. Funzione rieducativa: forse la più complessa da attuare, questa funzione mira a reintegrare il reo nella società attraverso un processo di rieducazione, affinché impari a comportarsi in modo conforme alle regole sociali e non compia più atti illegali. Questa funzione richiede un intervento profondo su carattere, idee e valori della persona. Il diritto penale non si limita a punire, ma ha l'obiettivo di proteggere la società, prevenire futuri crimini e, quando possibile, recuperare il reo. 2. LA COSTITUZIONE ITALIANA La Costituzione italiana, entrata in vigore il 1° gennaio 1948, è il documento fondamentale che stabilisce i diritti e i doveri dei cittadini e delle persone che vivono in Italia. Essa rappresenta il fondamento del sistema legale e democratico del Paese. 2.1 Caratteristiche della Costituzione italiana 1. Democratica: nasce in un Paese che ha scelto la democrazia come forma di governo. Essa garantisce la partecipazione dei cittadini alla vita politica e l'elezione diretta dei propri rappresentanti. 2. Scritta: a differenza di alcuni Paesi, come la Gran Bretagna e l'Australia, che seguono un sistema di "Common Law" basato su precedenti giudiziari, la Costituzione italiana è scritta. Questo offre una maggiore certezza giuridica, poiché i diritti e i doveri dei cittadini sono chiaramente definiti e sanciti. 3. Lunga: la Costituzione italiana è composta da 139 articoli. Questa lunghezza è dovuta al fatto che entra nei dettagli dell'organizzazione e del funzionamento dello Stato, al fine di prevenire l'insorgere di regimi dittatoriali e garantire il rispetto dei principi democratici. 4. Votata: non è stata imposta, ma è frutto di un processo democratico. 2.2 Articoli fondamentali - Articolo 3: articolo che sancisce il principio di uguaglianza, stabilendo che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche o condizioni personali e sociali. Vieta ideologie come nazismo e fascismo, che sono considerate reati. - Articolo 13: articolo che tutela la libertà personale, affermando che è inviolabile. Tuttavia, ci sono limitazioni, come la carcerazione, ma anche in questi casi è garantito il rispetto della dignità umana, vietando forme di violenza fisica o morale. - Articolo 27: Riguarda la responsabilità penale, stabilendo che la responsabilità è solo su chi ha commesso un reato può essere punito per esso. Questo principio, di matrice illuministica, si oppone alla pratica pre-illuminista di punire intere famiglie o comunità per i crimini commessi da un singolo individuo. 3. MITO DI MEDEA Il film "Medea" di Pier Paolo Pasolini offre una rilettura profonda e complessa del mito greco, concentrandosi sulla figura di Medea e sul suo rapporto con Giasone. La pellicola esplora temi universali come la crescita personale, l'emarginazione culturale e la vendetta, utilizzando un linguaggio cinematografico che mescola mitologia, psicologia e critica sociale. 3.1 Trama e sviluppo del film Parte iniziale: Il film inizia con Giasone, presentato in due momenti distinti della sua vita: da ragazzino di 13 anni e poi da adulto. Questo percorso di crescita è accompagnato dal personaggio del centauro Chirone, che rappresenta la saggezza e la guida spirituale. Chirone, all'inizio, è raffigurato come una creatura mitica, metà uomo e metà cavallo, ma con il progredire del racconto si trasforma in un semplice uomo. Questo cambiamento simboleggia la transizione di Giasone dall'infanzia, dominata dalla credenza nelle leggende e nel mito, all'età adulta, più legata alla razionalità. Il contesto familiare di Giasone: Giasone è figlio di un re, ma il trono è stato usurpato dallo zio. Per proteggere il legittimo erede, Giasone viene nascosto in campagna da Chirone fino a quando non sarà abbastanza grande per reclamare il trono. Lo zio, tuttavia, accetta di restituire il regno solo se Giasone riesce a recuperare il vello d'oro, un simbolo di potere situato nella lontana Colchide. Viaggio e incontro con Medea: Giasone intraprende un viaggio verso la Colchide con un gruppo di giovani, gli Argonauti. Durante il viaggio, Medea, principessa e sacerdotessa della Colchide, entra in scena. Nel suo tempio è custodito il vello d'oro. Giasone e Medea si incontrano e si innamorano, ed Insieme elaborano un piano per rubare il vello d'oro e fuggire. Durante la fuga, Medea uccide il proprio fratello e ne disperde i resti per rallentare l'inseguimento del padre. Sradicamento e perdita: Dopo la fuga, Medea si ritrova sradicata dalla sua terra e isolata culturalmente. In Grecia, Medea diventa sempre più emarginata, poiché la sua identità di principessa e sacerdotessa viene annullata. Non può nemmeno sposare Giasone, essendo vista come una straniera. La donna perde così i suoi legami culturali e personali, diventando completamente isolata. Ritorno in Grecia e tradimento di Giasone: Arrivati in Grecia, Giasone rinuncia al trono e Medea viene trasformata esteticamente per sembrare più greca. Tuttavia, Medea è ormai spersonalizzata e l'unico legame che le rimane è l'amore per Giasone. Quando Giasone decide di abbandonarla per sposare la figlia del re di Corinto, Medea perde definitivamente ogni speranza. Vendetta di Medea: Dopo dieci anni di isolamento, Medea scopre le nozze imminenti di Giasone e decide di tornare nella sua terra d'origine per riacquistare i suoi poteri. Pianifica una terribile vendetta: dona alla sposa di Giasone un abito maledetto che prende fuoco una volta indossato. Successivamente, Medea uccide i propri figli, completando la sua vendetta contro Giasone. 3.2 Temi principali del mito e del film - Vendetta e figlicidio: Il tema centrale è la vendetta. Medea, per punire Giasone, sceglie di infliggergli il dolore più grande, uccidendo i loro figli. Il figlicidio diventa un atto estremo di disperazione e di perdita di speranza. - Emarginazione e perdita d'identità: Medea, una volta lasciata la sua terra, perde la sua identità culturale e sociale. Viene trattata come una straniera e non riesce a integrarsi nel mondo greco (i greci odiavano e si sentivano superiori verso chi era straniero), subendo un isolamento totale e alienazione - Perdita di speranza: La tragedia di Medea è legata alla perdita totale di speranza. Dopo essere stata tradita da Giasone e privata di tutto ciò che le dava senso e identità, Medea compie atti estremi, spinta dalla disperazione e dalla consapevolezza di non avere più nulla da perdere. 4. STRUTTURA DEL PROCESSO PENALE La struttura del processo penale è complessa e coinvolge diverse figure, ciascuna con ruoli specifici. Il processo mira a stabilire la verità dei fatti, decidendo se l'imputato è colpevole o innocente, sulla base delle prove presentate. 4.1 Differenza tra fatto colposo e doloso - Atto doloso è un atto compiuto con intenzione, ovvero voluto dall'autore. Esistono diversi gradi di dolo, che possono essere premeditati o frutto di un impulso momentaneo. Inoltre, è importante distinguere l'obiettivo del dolo, che può essere, ad esempio, causare un danno fisico o la morte. Un esempio di atto doloso è un omicidio premeditato. - Atto colposo si verifica a causa di negligenza, imprudenza o disattenzione. In questo caso, l'autore non intendeva commettere il reato, ma l'azione o l'omissione ha comunque causato un danno. Un esempio tipico è un incidente stradale causato dal superamento del limite di velocità. 4.2 Verità processuale e divisione dei poteri Il giudice e la giuria cercano di stabilire la verità processuale, ovvero la verità ricostruita durante il processo, sulla base delle prove presentate. Se le prove non sono sufficienti o convincenti, l'imputato non può essere condannato. Il sistema giudiziario si basa sulla separazione dei poteri tra legislativo, esecutivo e giudiziario. Questo principio garantisce che polizia e giudici siano indipendenti, riducendo il rischio di abuso di potere e proteggendo i diritti dei cittadini. 4.3 I soggetti del processo penale - Giudice o giuria: hanno il compito di esaminare le prove e giudicare l'imputato, dove: → La giuria: decide sulla colpevolezza dell'imputato, → Il giudice: la quantificazione della pena. Nei casi più gravi, come quelli di mafia o omicidi, può essere chiamata una giuria popolare (Corte d'Assise), composta da cittadini scelti casualmente, il numero varia dai 10 alle 20. - Imputato: è la persona accusata dal Pubblico Ministero di aver commesso il reato. Se l'imputato è ritenuto pericoloso o a rischio di fuga, può essere sottoposto a carcerazione preventiva o agli arresti domiciliari. - Pubblico Ministero (PM): è l'avvocato dello Stato che ha condotto le indagini con l'aiuto delle forze di polizia e ritiene che l'imputato sia colpevole. Il PM è di parte, poiché è convinto della colpevolezza dell'imputato. - Avvocato difensore: difende l'imputato e ha il compito di garantire che la pena inflitta sia la più lieve possibile. Tutti hanno diritto a un avvocato; se l'imputato non può permetterselo, può beneficiare del patrocinio gratuito. - Parte civile: È l'avvocato che rappresenta la vittima o i suoi familiari e cerca di ottenere il massimo risarcimento possibile per il danno subito. - Periti di parte e d'ufficio: I periti sono esperti in vari campi (scienza, medicina, informatica, calligrafia, ecc.) e vengono chiamati a fornire opinioni tecniche durante il processo. I periti possono essere d'ufficio, ovvero nominati dal PM o dal giudice, o di parte, ovvero richiesti dalla difesa. 6. MITO DI EDIPO e MITO DI ANTIGONE 6.1 Mito di Edipo 6.1.1 Il Complesso di Edipo: Un'Analisi Psicoanalitica Il complesso di Edipo, teorizzato da Sigmund Freud, il fondatore della psicoanalisi, è un concetto psichiatrico che descrive l'attaccamento morboso di un uomo verso la figura materna, a discapito del padre. Secondo Freud, l'uomo che soffre di questo complesso cerca inconsciamente nella propria compagna un riflesso della figura materna, per soddisfare una necessità di amore che non è mai completamente appagata. Questo desiderio insoddisfatto è causato dalla presenza del padre, visto come un rivale che occupa il posto desiderato. 6.1.2 Il Mito di Edipo. Laio e la Profezia di Tiresia: Laio, re di Tebe, si affidava frequentemente all'indovino cieco Tiresia per ottenere consigli sul regno. Un giorno, Tiresia gli predice che sarà un sovrano felice e potente solo se non avrà figli; altrimenti, il suo stesso figlio lo ucciderà. Nonostante la profezia, Giocasta, la moglie di Laio, lo convince a unirsi a lei, rimanendo incinta. L'Abbandono di Edipo: Per evitare che la profezia si avveri, Laio decide di abbandonare il figlio appena nato. Incarica un guardiacaccia di portare il bambino nel bosco e assicurarsi che muoia. Tuttavia, il guardiacaccia, impietosito, decide di risparmiare il bambino, appendendolo a un albero con una corda legata alla caviglia, da cui deriva il nome Edipo, che significa "piede gonfio". Il re di Corinto, che non poteva avere figli, trova il bambino e lo adotta come proprio. L'Incontro con Laio e la Morte del Padre: Vent'anni dopo, Edipo, ora giovane principe di Corinto, si incammina verso Tebe. Durante il viaggio, in un incrocio stretto nel bosco, incontra Laio, suo padre biologico, senza però conoscerne l'identità. I due si scontrano e Edipo, in un impeto di ira, uccide Laio. Il Matrimonio con Giocasta e la Realizzazione della Profezia: Giunto a Tebe, Edipo si innamora di Giocasta, vedova di Laio, e i due si sposano, ignari del legame di sangue che li unisce. Dal loro matrimonio nascono quattro figli: Antigone, Ismene, e i gemelli Eteocle e Polinice. La Peste a Tebe e la Scoperta della Verità: Anni dopo, una pestilenza devastante colpisce Tebe, e il re e la regina consultano Tiresia. L'indovino rivela che la piaga è il risultato di una grave offesa agli dèi, e che la città è contaminata da un crimine irrisolto. Edipo inizia un'indagine per scoprire la verità, incontrando infine il guardiacaccia che lo salvò da bambino. Da questo incontro, Edipo realizza di essere il figlio di Laio e Giocasta, compiendo così la profezia. Giocasta, distrutta dalla scoperta, si acceca e si impicca, mentre Edipo, per espiare la sua colpa, si acceca e si esilia, lasciando Tebe per vivere in solitudine ad Atene. La Successione e il Conflitto tra i Fratelli: I due figli gemelli di Edipo, Eteocle e Polinice, si alternano al trono di Tebe. Tuttavia, quando Eteocle decide di non cedere il potere al fratello, Polinice si ribella, formando un esercito per attaccare Tebe. La guerra culmina in un duello fatale tra i due fratelli, che si uccidono a vicenda. Creonte, lo zio di Edipo e nuovo re di Tebe, decreta che Polinice, considerato un traditore per aver attaccato la città, non debba essere sepolto. 6.1.3 Analisi del Mito di Edipo Il mito di Edipo, così come rappresentato nella tragedia Edipo Re di Sofocle, è una delle narrazioni più emblematiche della letteratura greca, profondamente radicata nel concetto di destino e colpa. 1. La Colpa senza Colpa Uno degli aspetti più sconvolgenti del mito di Edipo è il fatto che i suoi terribili delitti – l'incesto con la madre e l'uccisione del padre – non derivano da un'inclinazione malvagia, ma dall'ignoranza e da una serie di eventi fuori dal suo controllo. Edipo è colpevole agli occhi degli dèi e secondo la legge divina, ma è allo stesso tempo innocente perché agisce senza consapevolezza. Edipo è vittima di un destino che non può comprendere fino a quando è troppo tardi. 2. La Hybris e l'Errore Umano Sofocle costruisce Edipo come un uomo di grande intelligenza e volontà, ma anche come qualcuno che commette atti di hybris (superbia) nei confronti degli dèi e del destino che sono due: 1. L'Illusione di Conoscere: Edipo crede di avere il controllo della situazione, di sapere ciò che è necessario per evitare la profezia che pende su di lui. Tuttavia, la sua irruenza e presunzione lo accecano di fronte alla realtà più importante: la vera identità dei suoi genitori. 2. Il Tentativo di Fuggire dal Destino: Edipo, cercando di sfuggire al suo destino, si esilia da Corinto credendo di poter ingannare gli dèi ed evitare di compiere i crimini profetizzati. Anzi questa azione di sottrarsi al volere divino non fa altro che avvicinarlo al compimento della profezia, evidenziando l'inevitabilità del destino. La superbia di Edipo è quindi il peccato che lo conduce alla catastrofe: la sua convinzione di poter controllare il proprio destino e di poter agire al di sopra della conoscenza limitata che possiede. 3. L'Inchiesta Giudiziaria e la Ricerca della Verità La struttura narrativa di Edipo Re ricorda quella di un'inchiesta giudiziaria. Edipo, nel suo ruolo di re e giudice, avvia un'indagine per scoprire l'assassino di Laio, non sapendo che sta cercando sé stesso. Questa ricerca della verità lo vede involontariamente nel ruolo di inquisitore, imputato e giudice, in una dinamica che lo porterà alla scoperta della verità. Edipo non esita ad applicare a sé stesso una condanna durissima, accecandosi e autoesiliandosi da Tebe. Questo atto finale non solo rappresenta la sua espiazione, ma è anche un riconoscimento del limite umano di fronte al destino e agli dèi. 4. La Doxa e la Conoscenza Limitata Uno degli elementi fondamentali della tragedia è la conoscenza parziale che ciascun personaggio possiede. Edipo non sa chi sia l'uomo che ha ucciso sia suo padre, né che la donna che ha sposato è sua madre. Giocasta, da parte sua, sa di aver dato alla luce un figlio con Laio, ma non sa che questo figlio è ancora vivo e che si è compiuta la profezia. Nell'antica Grecia, questa esperienza della conoscenza limitata è conosciuta come doxa, che significa "opinione" o "punto di vista". Sofocle utilizza questo concetto per mostrare come nessuno possa conoscere l'intera verità se non attraverso l'incrocio delle diverse prospettive. Solo mettendo insieme i frammenti di verità di tutti, la terribile realtà può essere finalmente svelata. 6.2 Mito di Antigone 6.2.1 Introduzione al Mito di Antigone Il mito di Antigone rappresenta un pilastro fondamentale nella storia del diritto e della cultura occidentale. La figura di Antigone è centrale nella tragedia scritta da Sofocle, dove emerge il conflitto tra le leggi divine e quelle umane. Questo mito ha ispirato innumerevoli interpretazioni filosofiche e giuridiche, ma anche posto le basi per la riflessione sul rapporto tra individuo e Stato. 6.2.2 Il Mito di Antigone Il mito di Antigone si sviluppa come una continuazione delle vicende familiari di Edipo. La Ribellione di Antigone: Antigone rifiuta di accettare che il corpo di Polinice rimanga insepolto, appellandosi a una legge superiore, quella degli dèi, che impone la sepoltura di tutti i defunti per garantire la pace delle loro anime. Nonostante la minaccia di morte, Antigone decide di onorare il fratello, compiendo il rito funebre di nascosto. Creonte, furioso per la disobbedienza, la condanna a essere sepolta viva in una grotta. L'Intervento di Tiresia e la Tragedia Finale: L'indovino Tiresia avverte Creonte delle conseguenze del suo atto sacrilego: la città di Tebe è di nuovo colpita dalla collera degli dèi, a causa dell'ingiustizia perpetrata nei confronti dei defunti. Creonte, tuttavia, si rifiuta di ascoltare. La tragedia si compie con il suicidio di Antigone nella grotta, seguito da quello di Emone, il figlio di Creonte e promesso sposo di Antigone, che si uccide per la disperazione. La moglie di Creonte, Euridice, si suicida a sua volta, lasciando Creonte solo e distrutto dal rimorso. Il suicidio era visto come un atto onorevole e una via per uscire dalla vita con dignità 6.2.3 Riflessioni sul Mito di Antigone (integrazione con il libro: Giustizia e Mito) 1. Riflessioni sul Mito di Antigone Antigone è un personaggio che incarna la ribellione e la determinazione, contrastando sua sorella Ismene che rappresenta la donna tradizionale, sottomessa e conformista rispetto alle norme prevalenti. Ismene avverte Antigone che, essendo donna, non può opporsi ai potenti, ma Antigone rifiuta questa visione e si batte per ciò che ritiene giusto, sfidando l’autorità. Creonte, sebbene non sia un tiranno tradizionale, è un governatore che per mantenere l’ordine, cade nella trappola della rigidità tirannica. Infatti, vediamo come le leggi devono essere applicate con saggezza e umanità, e che la rigidità può portare alla rovina. Antigone ha rappresentato nei secoli: - La giustizia contro la legge: Il conflitto tra la legge umana e la legge divina. - La rivolta dell’individuo contro lo Stato: Il confronto tra l’individuo e il potere statale. 2. Il Diritto Nuovo contro la Legge Antica Nel contesto del mito, Antigone rappresenta il diritto antico e immutabile, basato su principi divini e morali, mentre Creonte incarna il diritto nuovo, quello delle leggi della città-stato che cercano di garantire l'ordine pubblico. I miti greci spesso puniscono l'innovatore che cerca di superare i limiti imposti dalla tradizione. Creonte non è un tiranno assoluto: è un governatore responsabile che cerca di mantenere la stabilità della città attraverso leggi rigorose, anche se risultano ingiuste. Non può fare uso del potere in modo familistico, ovvero far prevalere gli interessi familiari su quelli della società. Questo lo conduce alla solitudine, poiché l’autorità che esercita si dimostra oppressiva. Antigone, invece, non è sola nel suo conflitto. La figura dell’oppositore, che si batte per un ideale più alto, spesso conquista simpatia e consensi. La sua lotta rappresenta un tentativo di portare nuovi valori all’attenzione della società, dimostrando come le norme giuridiche possano evolversi e trasformarsi in risposta a rivendicazioni sociali. 3. Paragoni tra i Miti di Edipo e Antigone - Edipo: La tragedia di Edipo si sviluppa come un'inchiesta giudiziaria finalizzata a scoprire l’assassino di Laio e a ricostruire la verità. Il focus è sull’accertamento della verità e sulla correzione degli eventi passati. - Antigone: il conflitto non è centrato su una verità da scoprire, ma su una disputa tra la legge umana, rappresentata da Creonte, e la legge divina, rappresentata da Antigone. Antigone è sostenitrice di una legge non scritta e immutabile, che si basa sull’onore e sulla fedeltà verso le norme divine, mentre Creonte rappresenta una legge umana che mira al bene della città e che deve prevalere su qualsiasi considerazione familiare. 7. CESARE BECCARIA e “DEI DELITTI E DELLE PENE” 7.1 Cesare Beccaria L'opera fondamentale per il diritto e il processo penale è "Dei delitti e delle pene" (1764), scritta da Cesare Beccaria. Nato a Milano nel 1738, Beccaria è uno dei principali esponenti dell'Illuminismo, un movimento che si basa sull'uso della ragione per "illuminare" le menti degli uomini. La sua fama è principalmente dovuta alla proposta di abolizione della pena di morte e della tortura, idee rivoluzionarie per l'epoca. Gli illuministi, come Beccaria, erano impegnati a combattere le ingiustizie sociali e le disuguaglianze, che erano il risultato del classismo medievale. In quell'epoca, la società era divisa in due grandi gruppi: - Nobili e borghesi, che avevano il diritto a un processo giusto e subivano la tortura solo in casi di alto tradimento. - Le persone povere, che potevano essere torturate e uccise anche solo per un semplice sospetto. Inoltre, gli illuministi si opponevano che il potere fosse concentrato nelle mani di uno o di pochi. Beccaria sosteneva che il potere legislativo, esecutivo e giudiziario dovevano essere separati, poiché solo in questo modo lo Stato poteva funzionare a vantaggio dei cittadini. "Dei delitti e delle pene" suscitò subito l'attenzione della censura ecclesiastica. Nonostante il libro proponesse concetti apparentemente "cristiani", come l'abolizione della tortura e della pena di morte, la Chiesa dell'epoca non era contraria a queste pratiche. Inoltre, sosteneva che lo Stato doveva essere laico e che la religione non dovesse intervenire nella giustizia umana. 7.2 Parti del libro Nelle prime pagine dell'opera, Beccaria abbraccia la Teoria del patto sociale, elaborata da John Locke. Secondo questa teoria, la società nasce da un accordo tra gli uomini, i quali cedono una parte della loro libertà in cambio di servizi e protezione da parte dello Stato. Tuttavia, Beccaria riconosce che la natura dell'uomo può portarlo a desiderare di appropriarsi delle libertà altrui, per questo ritiene che sia necessario che esistano deterrenti per scoraggiare i trasgressori delle leggi, come multe o pene detentive. Una parte dell'opera è dedicato alla tortura e che era una pratica utilizzata per: 1. Costringere l'imputato a confessare. 2. Punire l'imputato che si è contraddetto. 3. Verificare se l'imputato fosse colpevole di altri reati. Beccaria si pone una domanda cruciale: chi dà al giudice, un altro cittadino, il potere di utilizzare la tortura prima che l'imputato sia stato condannato? All'epoca non esistevano tutele per gli imputati. Beccaria critica duramente l'uso della tortura, descrivendola come un'infamia. Sottolinea che se l'imputato viene dichiarato innocente, la sua reputazione sarà comunque rovinata e la comunità non lo dimenticherà. Inoltre, considera la tortura ingiusta perché la persona torturata è più incline alla confusione e a contraddirsi, il che può portare a falsi giudizi. 7.3 Argomentazioni di Beccaria sulla pena di morte Beccaria sviluppa argomentazioni anche contro la pena di morte: sostiene che l'ergastolo è un deterrente più efficace rispetto alla pena capitale. L'ergastolo, essendo una pena continua, rimane come monito visibile di ciò che è accaduto, mentre la pena di morte, essendo istantanea, termina tutto in un solo secondo. Secondo Beccaria, le persone dimenticano facilmente un'esecuzione, ma la sofferenza perpetua dell'ergastolo è molto più spaventosa. Inoltre, si chiede perché lo Stato debba diventare assassino, dando un esempio negativo e legittimando implicitamente l'omicidio. La sua posizione è chiara: anche se la pratica è sempre esistita, bisogna ricominciare da capo utilizzando la ragione per creare un mondo nuovo. Per questo Beccaria auspica l'aumento di sovrani illuministi, affinché si possano cambiare le leggi e migliorare la società. 8. FEMMINICIDIO Il femminicidio è un reato di omicidio con aggravanti specifiche, che implica che la vittima sia stata uccisa in quanto donna, riflettendo una motivazione misogina. La maggior parte dei femminicidi è perpetrata da compagni o mariti che non vedono la vittima come una persona a sé stante, ma come una donna, spesso con atteggiamenti di possesso e controllo. Alcuni casi: - Il Massacro del Circeo: negli anni ’70 a Roma. Due giovani amiche, attraverso un amico, conoscono un gruppo di ragazzi della piccola borghesia romana, i “pariolini” (Angelo Izzo, Gianni Guido e Andrea Ghira). I tre uomini convincono le ragazze ad appartarsi nella villa di famiglia di Ghira, dove abusano e torturano a morte le vittime. Una delle ragazze finge di essere morta per sfuggire al destino, ma viene comunque rinvenuta nel bagagliaio di un'auto. Durante il tragitto per occultare i cadaveri, la ragazza moribonda riesce a farsi sentire da una guardia giurata. Vicenda giudiziaria: → Ghira riesce a evitare l'arresto e scappa in Spagna con una nuova identità, gli altri due vengono arrestati. → All'epoca, i reati sessuali erano considerati reati contro la morale e non contro la persona, e non esisteva l’aggravante della complicità. Di conseguenza, i magistrati non inflissero pene adeguate. → Izzo, rilasciato nel 2004 per buona condotta, ucciderà altre due donne seguendo lo stesso schema degli anni ’70. - Il Killer delle Fidanzate: nel 2007 in Liguria, Luca Delfino commette il suo primo omicidio, quello della fidanzata, che aveva subito a lungo la sua gelosia patologica. Dopo che la donna lo lascia, Delfino le rende la vita impossibile con chiamate, messaggi e pedinamenti minacciosi. Un giorno, dopo una discussione in centro a Genova, la ragazza viene trovata senza vita. Le future vittime di Delfino saranno sempre oggetto della sua ossessione e all'epoca non esisteva il reato di stalking. Dopo questi eventi, il Parlamento introduce il reato di stalking come aggravante dell'omicidio. 8.1 Codice Rosso Pubblicata nel 2019, la legge "Codice Rosso" riguarda reati come maltrattamenti in famiglia, stalking, violenza sessuale, revenge porn e pedopornografia. Chi è accusato di tali reati deve mantenere una distanza dalla vittima tramite un ordine restrittivo. La legge è stata influenzata dal caso Parolisi, nel quale Salvatore Parolisi uccise la moglie durante un’escursione di famiglia nel 2011. Le motivazioni del femminicidio sono state individuate nei continui tradimenti di Parolisi sul posto di lavoro, che avevano causato numerosi litigi con la moglie. 8.2 Rispetto della Parità di Genere La Convenzione di Istanbul del 2014 prevede campagne di sensibilizzazione sulla violenza di genere e domestica, inclusi gli abusi sui bambini. Essa utilizza strumenti di informazione e sensibilizzazione per aprire le giovani menti, a partire dalla scuola dell'infanzia, per accogliere e rispettare le diversità. 8.3 Vittimizzazione Secondaria La vittimizzazione secondaria si verifica quando la vittima viene colpevolizzata per giustificare il tragico evento subito. Frasi come "la donna avrebbe potuto sopportare di più”, "avrebbe dovuto allontanarsi dal pericolo" o "non avrebbe dovuto vestirsi in modo provocante" sono stereotipi che tendono a giustificare il carnefice, colpevolizzando la vittima. 8.4 Lo Stato per Migliorare la Situazione Femminile nel Mondo del Lavoro Lo Stato ha implementato misure per migliorare la situazione delle donne nel mondo del lavoro, tra cui: - Leggi sulla parità salariale. - Orari di lavoro più flessibili per facilitare la conciliazione tra lavoro e vita familiare. 9. PARRICIDIO 9.1 Ruolo del pater familias Il parricidio è il reato di omicidio del padre o dei genitori. Nella Roma Antica, l’uccisione del pater era considerata un reato molto grave, poiché colpiva non solo la famiglia ma l’intera collettività: - Diritti familiari: Il pater familias aveva il diritto di decisione su tutto ciò che riguardava la famiglia, compreso il diritto di far abortire la moglie e, se ritenuto giusto, di aggredire moglie e figli, fino alla morte, senza subire conseguenze legali (pratica lecita fino al IV secolo d.C., epoca di Costantino). - Ruolo politico: Era un senatore. Roma, come città-stato nelle sue origini, aveva una struttura di governo limitata con pochi governanti. I pater familias erano una ristretta élite e l'unico ceto che partecipava al senato e governava Roma. 9.2 La Pena dei Parricidi: la Pena del Sacco La pena del parricida era particolarmente cruenta e serviva sia come deterrente che come umiliazione totale del condannato: 1. Vestizione: Il parricida veniva vestito con una pelliccia e una testa di lupo, simbolo di un nemico dell’uomo, poiché non era più considerato umano. Ai piedi gli venivano messi degli zoccoli di legno per sollevarlo da terra, prevenendo la contaminazione del suolo. 2. Flagellazione: Il condannato era costretto a una passeggiata pubblica mentre veniva offeso e flagellato con le verghe sanguinee, ramoscelli legati a pezzi di metallo che laceravano la pelle. 3. Culleus: Dopo la flagellazione, il parricida veniva rinchiuso in un sacco impermeabile chiamato culleus, insieme a quattro tipi di animali: → Cappone: Un gallo aggressivo, castrato e ingrassato, messo nel sacco per graffiare e beccare il condannato. → Vipera: Il suo morso letale infliggeva una morte lenta. → Cane: All'epoca non era visto come amico dell’uomo e veniva associato al lupo e alla rabbia. → Scimmia: Simboleggiava la violenza e la non razionalità, simile all'uomo ma non razionale. 4. Affogamento: Il sacco veniva gettato nel Tevere con il condannato e gli animali al suo interno. 9.3 Casi di Parricidio I motivi più comuni di parricidio includono: 1. Malattia mentale: La causa più diffusa. 2. Difesa di sé o di un familiare. 3. Liti e incomprensioni familiari. 4. Interessi economici. 10. IL FIGLICIDIO Nell'antica Roma, l'omicidio del figlio non era considerato reato se perpetrato dal pater familias. Tuttavia, con la diffusione del cristianesimo e l'epoca di Costantino, il figlicidio divenne uno dei crimini peggiori. Costantino mantenne la pena del culleus per i pater familias, stabilendo che chi era colpevole di parricidio non potesse essere sepolto in terra consacrata. Tuttavia, abolì il diritto del pater familias di uccidere i propri figli. 11. SERIAL KILLER I serial killer sono individui che uccidono almeno due o tre persone in luoghi e tempi diversi. La loro motivazione e comportamento possono variare, ma spesso ci sono tratti distintivi che caratterizzano il loro modus operandi. 11.1 Origini e Caratteristiche - Fattori di Sviluppo: I serial killer spesso provengono da contesti familiari problematici, con frequenti casi di abuso fisico e psicologico. Tuttavia, non è raro che alcuni di loro abbiano avuto una vita agiata e tranquilla. - Triade di MacDonald: Questa teoria suggerisce che tre comportamenti possono essere indicatori di un potenziale serial killer: 1. Enuresi Notturna: Incontinenza urinaria durante il sonno. 2. Piromania: Attrazione patologica verso il potere distruttivo del fuoco. 3. Zoosadismo: Crudeltà verso gli animali, che può riflettere un desiderio di controllo sulla vita di altri esseri viventi. 11.2 Selezione delle Vittime I serial killer, prevalentemente uomini, scelgono le loro vittime basandosi su diversi criteri: - Preferenziale: Vittime scelte per il loro ruolo nella vita del serial killer, come familiari o conoscenti. - Simbolica: Vittime su cui vengono proiettate fantasie o colpe personali. Ad esempio, il famoso Unabomber colpiva chi riteneva fosse responsabile della devastazione ambientale. - Trasversale: Vittime che somigliano fisicamente o caratterialmente a qualcuno che il serial killer desidera colpire, come Ted Bundy, che uccideva donne simili alla fidanzata che lo aveva lasciato. 11.3 Tipologie di Serial Killer 1. Organizzati: - Caratteristiche: Hanno una vita apparente normale, con lavoro stabile, relazioni sociali e spesso una famiglia. Possono essere percepiti come membri rispettabili della comunità. - Comportamento Criminale: Pianificano attentamente i loro crimini, evitano di lasciare prove e sanno contenere le vittime. 2. Disorganizzati: - Caratteristiche: Spesso hanno uno stile di vita disorganizzato, senza lavoro stabile né una rete sociale. - Comportamento Criminale: Non pianificano nei dettagli e tendono a uccidere le vittime subito senza fare attenzione. 11.4 Comportamenti Dopo la Cattura I serial killer possono reagire alla cattura in vari modi: 1. Sottrazione: Alcuni cercano di evitare le conseguenze tramite il suicidio o una chiusura totale. 2. Confessione: Confessano i crimini come sfogo o per vantarsi. Usano l’infermità mentale per ottenere una pena minore. 3. Manipolazione: Possono creare false piste o attribuirsi più vittime di quante realmente abbiano ucciso, cercando di esercitare potere sulle forze dell’ordine e ricattarle. 11.5 Elementi Comuni Ciò che accomuna i serial killer è il bisogno insopprimibile di potere e affermazione. Le loro vittime sono spesso viste come oggetti da manipolare per soddisfare le proprie esigenze di controllo e dominio. Il desiderio di esercitare potere e controllo sugli altri è un motore centrale nel loro comportamento criminoso. 12. DE MAGIA e APULEIO 12.1 Introduzione Il caso di Apuleio è emblematico nel contesto romano dell'accusa di magia e offre uno spaccato interessante sui meccanismi della giustizia e sulle dinamiche sociali dell’epoca. Apuleio, un autore noto soprattutto per il romanzo L'Asino d'oro, si trovò a dover difendersi in tribunale contro accuse di stregoneria, riflettendo la complessità e le tensioni del mondo romano. 12.2 Vita di Apuleio 1. Vita: Apuleio nasce intorno al 125 d.C. a Madura, nella regione dell'attuale Libia. La sua formazione studi in retorica e filosofia, rendendolo un sofista, un esperto nell'arte del discorso e della persuasione. La sua carriera come avvocato è ben consolidata e spesso si trova a gestire casi complessi. Egli è un viaggiatore appassionato, avendo vissuto e viaggiato attraverso diverse regioni del mondo romano, comprese aree con forti tradizioni magiche come la Persia e Babilonia. La sua esposizione a queste culture gli conferisce una visione ampia e articolata della magia, influenzando profondamente la sua scrittura. 2. Opere: De Magia è il lavoro più antico e significativo di Apuleio in cui discute e difende la sua posizione contro le accuse di stregoneria. Altre sue opere includono trattati filosofici e oratori, che riflettono la sua vasta esperienza e competenza nel campo del discorso e della logica. 12.3 Gli Eventi Precedenti all’Accusa 1. L’Imprevisto e la Richiesta: - L’Imprevisto: Apuleio si dirigeva da Cartagine ad Alessandria d’Egitto per affari, ma un malore lo costringe a fermarsi a Oea, una città del Nord Africa. Qui, viene accolto da Ponziano, un caro amico. Ponziano vive con sua madre, Emilia Pudentilla, una vedova benestante, e il suo giovane fratello Pudente. - La Richiesta: Di fronte all'insistenza del nonno paterno di Ponziano, che voleva che Emilia si risposasse con un altro uomo per garantire il controllo sulla sua eredità, Ponziano implora Apuleio di sposare sua madre. Dopo un periodo di trattative e considerazioni, Apuleio accetta la proposta, sviluppando un sincero legame con Emilia e sposandola. 2. La Disgrazia e le Accuse: - La Disgrazia: Dopo tre anni, Ponziano muore improvvisamente. Erennio Rufino, il suocero di Ponziano, e la madre di Emilia orchestrano un complotto contro Apuleio per derubarlo dell’eredità della moglie. Questa alleanza malvagia, unita alla morte di Ponziano, porta a un’accusa contro Apuleio di stregoneria e omicidio. - Le Accuse: Apuleio viene accusato di aver ucciso Ponziano (accusa che cade per mancanza di prove) e di aver utilizzato la magia per sedurre Emilia. Il fatto che Emilia si fosse sposata con Apuleio, uno straniero, senza apparenti motivi accresce i sospetti di magia e inganno. 12.4 “De Magia” È un’opera che rivela l’abilità retorica di Apuleio e la sua strategia difensiva in tribunale. La struttura dell'opera segue le convenzioni dei discorsi legali dell'epoca e si compone di diverse fasi chiave: 1. Introduzione e Simpatia: inizia il suo discorso cercando di ottenere la simpatia del magistrato e del pubblico, esprimendo il suo disappunto per dover trattare accuse che considera irrilevanti e incomprensibili. 2. Presentazione di Sé: si presenta come filosofo, viaggiatore e uomo di cultura. Evidenzia le sue competenze e la sua integrità personale, creando un'immagine positiva di sé stesso come uomo di valore e di conoscenza. 3. Conquista del Pubblico: Rivolgendosi direttamente al pubblico, cerca di confondere e ridicolizzare gli accusatori. Chiede retoricamente “Che cos’è la magia?” per mettere in dubbio le accuse e distogliere l'attenzione dai punti contestati. 4. Spiegazione della Magia: spiega dettagliatamente cosa sia la magia, come viene praticata e quali sono i suoi ingredienti. Questo approccio serve a smontare le accuse, mostrando che la magia è una pratica comune e non necessariamente il crimine di cui è accusato. 5. Narrazione Personale: Racconta la propria storia, inclusa la richiesta di matrimonio e le sue motivazioni, mentre attacca gli accusatori come malevoli. Utilizza la narrazione personale per dimostrare l’innocenza e smentire le accuse. 6. Conclusione: conclude il discorso ringraziando il pubblico e il magistrato per il loro tempo, esprimendo fiducia nella giustizia e affermando che la verità prevarrà. Questo mira a consolidare la sua posizione e a ottenere l'approvazione. 12.5 Esito e Impatto Apuleio riesce a dimostrare la propria innocenza e a ottenere il proscioglimento dalle accuse. La sua abilità retorica e la sua strategia difensiva si rivelano efficaci nel convincere il pubblico e il giudice della sua innocenza. Dopo il processo, Apuleio continua la sua vita con successo e prestigio, mantenendo una posizione di rilievo nella società romana. 13. LA MASCHERA DELLA TOLLERANZA 13.1 Contenuti dell’Opera e Storico Il testo comprende le lettere 17 e 18 di Sant’Ambrogio (vescovo di Milano e cristiano) e la Terza Relazione di Simmaco (pagano). Questi testi hanno scopi argomentativi per persuadere l'imperatore a decidere se rimettere o togliere nel Senato di Roma la statua dell'altare della Vittoria. L’altare e la statua della Vittoria erano simboli della paganità e, secondo la storia romana, portavano fortuna a Roma, favorendone la prosperità e la sopravvivenza. Siamo alla fine del IV secolo, un periodo di crisi per l’Impero Romano. Le persone che credevano nei poteri dell’altare temevano che la sua rimozione potesse segnare la fine dell’Impero. Al contrario, Sant’Ambrogio non crede alle superstizioni, sostenendo che solo Dio decide le sorti dell'umanità. 13.2 Il Cambiamento dell’Impero Per un ventennio, il vescovo di Milano ha esercitato un notevole potere sull’Impero, governando sia la parte occidentale, con l’imperatore Valentiniano II a Milano, sia la parte orientale, sotto l'imperatore Teodosio, che aveva emanato l'Editto di Teodosio del 380, rendendo il cristianesimo religione di Stato. Dal 380, la storia d’Europa cambia radicalmente, con la tradizione occidentale politica e culturale che diventa per millenni intrisa di religione cattolica. Anche se all’inizio la religione ha prevalso sulla politica, durante il Medioevo ci furono dispute tra papi e imperatori che portarono alla fine dell’Impero. 13.3 La Figura di Ambrogio È importante notare che molti cristiani ricordavano le persecuzioni subite, l'ultima avvenne nel 360, mentre le vicende qui trattate si svolgono intorno al 380. - Contro le Persecuzioni: La vera battaglia di Ambrogio era contro le varie correnti del cristianesimo, in particolare l'arianesimo, poiché la madre dell’imperatore Valentiniano II era ariana e la città di Milano era prevalentemente ariana. Dopo l’incendio della cattedrale ariana di Milano, Ambrogio impedì la ricostruzione della chiesa. → Strategia Contro l’Arianesimo: Ambrogio scrisse lettere all’imperatore d'Oriente Teodosio, esortandolo a invitare l’imperatore Valentiniano II e sua madre a Costantinopoli. Una volta arrivati, Teodosio non permise loro di ritornare a Milano finché non avessero promesso di diventare cattolici, portando così alla cessazione dell’arianesimo. - Contro la Tolleranza: Ambrogio era noto per il suo carattere non “docile”. Per impedire la vittoria dei suoi avversari, come l’invasore Magno Massimo (cattolico estremista), che aveva ucciso alcuni eretici, Ambrogio gli inviò una lettera di rimprovero, sostenendo che gli eretici andavano convertiti, non uccisi. 13.4 L'Altare della Vittoria Situato nell’aula del Senato, l'altare della Vittoria era un simbolo della fedeltà alla legge e della protezione divina per Roma. I senatori giuravano fedeltà alle leggi e offrivano incenso e vino come patto con la divinità, ritenendo che la salvezza dello Stato dipendesse dal rispetto della religione. Nel 382 L’imperatore Graziano, influenzato da Ambrogio, emanò provvedimenti antipagani, rimuovendo l’altare della Vittoria dal Senato e sopprimendo i finanziamenti per il culto pagano. Successivamente, nel 383, dopo l’uccisione di Graziano, i sacerdoti pagani inviarono Simmaco al nuovo imperatore Valentiniano II per richiedere la restituzione dei privilegi e la ricollocazione dell’altare. Simmaco scrisse la Relazione sull’altare della Vittoria e Ambrogio rispose con le lettere 17 e 18. Per Simmaco, l’altare rappresentava la fedeltà degli individui e la concordia, mentre Ambrogio definiva il cristianesimo come una forma evoluta della religione pagana, con “il solo vero Dio” essendo quello dei cristiani. 13.5 Dissimulatio Roma non conosceva il nostro concetto di "tolleranza", e i romani erano allarmati da tutto ciò che era nuovo. Il termine "dissimulatio" descrive un comportamento di chi nasconde, tace o fa finta di non vedere qualcosa che non condivide. Questo concetto è centrale nello scontro tra Simmaco e Ambrogio. 1. Lettera 17 di Sant'Ambrogio Ambrogio scrive all’imperatore Valentiniano II, sottolineando che non vi può essere salvezza senza adorare il vero Dio dei cristiani. Si meraviglia che si speri ancora nel ripristino degli altari pagani e avverte che, in caso contrario, i vescovi non accetteranno di tollerare questa decisione. Sottolinea che la giovane età non è una scusa per la mancanza di fede e invita l’imperatore a considerare le implicazioni spirituali e familiari delle sue azioni. 2. Terza Relazione di Simmaco Simmaco difende l'importanza dell'altare della Vittoria, simbolo di fedeltà e concordia, e sostiene la necessità di mantenere le tradizioni religiose pagane che hanno contribuito alla grandezza di Roma. Egli argomenta che la presenza di diverse credenze religiose non minaccia l'impero, ma piuttosto lo rafforza, e che la protezione delle antiche pratiche, come il sostegno alle vergini vestali, è fondamentale per il benessere e la stabilità dell'impero. 3. Lettera 18 di Sant’Ambrogio Ambrogio risponde ai tre punti esposti da Simmaco: 1. Vecchi Culto: Ambrogio dubita della sincerità dei pagani e rifiuta l’idea che si possa raggiungere il mistero divino attraverso culti pagani. 2. Retribuzioni: Critica la richiesta di retribuzioni per i sacerdoti pagani, ricordando le ingiustizie subite dai cristiani. 3. Carestia: Respinge l’idea che la carestia possa essere un castigo divino per il mancato supporto ai sacerdoti pagani, considerandola una giustificazione infondata. 13.6 La Maschera della Tolleranza di Massimo Cacciari Massimo Cacciari affronta una riflessione sulla dissimulazione e la tolleranza nel contesto del confronto tra il paganesimo e il cristianesimo nell'antica Roma, rappresentato dallo scontro tra il senatore pagano Simmaco e il vescovo cristiano Ambrogio. 1. Dissimulazione e tolleranza - Dissimulazione: Cacciari evidenzia come la dissimulazione sia centrale nella disputa tra Simmaco e Ambrogio. La dissimulazione è descritta come un atto di nascondere la propria identità, un'imitazione ingannevole che rende chi la pratica irriconoscibile. Simmaco, secondo Cacciari, non chiede semplicemente all'imperatore di ignorare la pratica dei culti pagani, ma di dissimulare la propria fede, un passo oltre la semplice tolleranza. - Tolleranza: Cacciari distingue chiaramente la tolleranza dalla dissimulazione. La tolleranza, per lui, implica "sopportare" qualcosa che provoca dolore o affaticamento, ma che resta entro i limiti del sopportabile. È un atto di pazienza consapevole, dove chi tollera rimane libero e incondizionato, nonostante il peso che porta. Né Ambrogio né Simmaco, secondo Cacciari, sono tolleranti: il primo non potrebbe dissimulare, mentre il secondo si rifugia nella dissimulazione. 2. Il confronto tra Ambrogio e Simmaco - Ambrogio contro la finzione di Simmaco: Ambrogio non si limita a contestare gli argomenti di Simmaco, ma mira a smascherare la finzione. Secondo Cacciari, Ambrogio vede in Simmaco un tentativo di simulare debolezza per poter riorganizzare le proprie forze. Tuttavia, Ambrogio conosce e padroneggia la stessa arte della dissimulazione. - Simmaco e la religione romana: Simmaco gioca la carta della religione romana come garanzia di pace, l'unica che potrebbe convincere l'imperatore. Tuttavia, Ambrogio colpisce duramente questa argomentazione, riconoscendo che la dissimulazione di Simmaco è fondata su una verità: Roma è ormai decrepita e solo la novità cristiana può salvarla. Le Vergini Vestali 1. Le Vestali - Ruolo e Potere: Le vestali erano sacerdotesse che assumevano un ruolo significativo dal punto di vista religioso, politico e sociale, pur rimanendo vergini e non sposandosi. Rappresentavano una figura di potere in un contesto dove le donne, in generale, erano sottomesse agli uomini (prima il padre, poi il marito). - Origine: La creazione del collegio delle vestali è attribuita a Numa Pompilio, il secondo re di Roma, nel VII secolo a.C. Le vestali erano incaricate della custodia del fuoco sacro nel tempio di Vesta, la dea del focolare. - Simbolismo: Le vestali erano un esempio di purezza e devozione domestica, simboleggiata dal loro abbigliamento bianco e dal velo che indossavano. Dovevano rimanere vergini per 30 anni durante il servizio e successivamente potevano tornare alla vita normale, eventualmente sposandosi. - Compiti: Oltre a custodire il fuoco sacro (che, se spento, avrebbe portato al crollo di Roma), le vestali eseguivano rituali come spazzare il tempio e preparare sacrifici per gli dèi (preparavano un miscuglio di erbe e farina dentro il quale veniva immerso il coltello per il sacrificio degli animali). - Punizioni: Le vestali che infrangevano il voto di castità o lasciavano spegnere il fuoco sacro subivano punizioni severe, come essere murate vive in una camera sotterranea con solo pochi giorni di provviste. La sopravvivenza sarebbe stata interpretata come un segno di grazia divina. 2. Le Vergini Giurate In alcune regioni dell'Albania, quando una famiglia non aveva più uomini adulti, una ragazza poteva fare un giuramento per assumere il ruolo di uomo. Le vergini giurate rinunciavano a sposarsi e avere figli in cambio del potere decisionale e della possibilità di comportarsi come un uomo (ad esempio, vestirsi da uomo, parlare in modo scurrile, bere alcolici, fumare). Ad oggi, le vergini giurate sono molto rare e anziane, poiché questa pratica non è più necessaria nella società moderna. 14. DEMONI DEL FOCOLARE 14.1 Differenze di Genere nella Criminalità Le donne delinquono meno degli uomini e, rispetto a questi ultimi, commettono generalmente reati meno gravi. Per Positivisti, una corrente filosofica e culturale della metà del 1800 basata sul progresso scientifico, ipotizzano che questa differenza sia di natura biologica, suggerendo che gli uomini siano più aggressivi delle donne. Successivamente, l'attenzione si sposta sul piano psicologico, con una teoria che distingue: - maschio "catabolico", utilizzatore di energia e dunque creativo - femmina "anabolica", accumulatrice di energia e dunque passiva (le donne vengono educate alla passività). Nonostante gli uomini costituiscano la maggioranza nei casi di omicidio, le donne hanno una prevalenza negli infanticidi e negli uxoricidi (omicidi del coniuge). Questo potrebbe indicare che il crimine è un'attività sociale e che il minor contributo delle donne alla criminalità potrebbe dipendere da un diverso inserimento sociale. Il criminologo Sutherland, nella prima metà del 1900, attribuisce il minor tasso di criminalità femminile alla scarsa partecipazione delle donne alla vita sociale e al ridotto inserimento nel mondo del lavoro, evidenziando che nei grandi centri urbani, dove l'inserimento sociale è maggiore, la criminalità femminile è più elevata. 14.2 Omicidio al Femminile Negli omicidi commessi da donne, nella maggior parte dei casi (9 su 10), la vittima è un familiare e l'omicidio è motivato da ragioni affettive. In molti di questi casi, l'uccisione del marito può rappresentare una liberazione da una lunga storia di maltrattamenti o può essere motivata da necessità economiche, come nel caso delle "vedove nere". Le modalità più comuni per l'omicidio femminile sono l'uso di armi da fuoco, la lesività traumatica tramite corpi contundenti e l'avvelenamento. Le donne sono raramente coinvolte in omicidi seriali e, quando lo sono, spesso mancano delle caratteristiche tipiche degli omicidi seriali, come il sadismo e la scelta di vittime sconosciute. Tuttavia, condividono la storia di abusi infantili. 14.3 Mogli che Uccidono (Uxoricidio) L'uxoricidio è la forma di omicidio femminile più frequente. Le donne uccidono il marito generalmente in risposta a umiliazioni e maltrattamenti, mentre gli uomini spesso non accettano la perdita della partner, motivati da un senso di possesso e desiderio di dominio totale sulla donna. 14.4 Infanticidio e Neonaticidio L'infanticidio riguarda l'uccisione di un bambino entro l'anno di età, mentre il figlicidio avviene quando il bambino ha più di un anno. Le motivazioni per l'infanticidio possono variare: 1. Atto impulsivo di madri che maltrattano i figli, con l'omicidio che avviene come risposta impulsiva a pianti o urla del bambino. Spesso, questi genitori sono separati o in relazioni instabili e le madri hanno subito maltrattamenti nell'infanzia. 2. Incapacità di affrontare i compiti della maternità. 3. Figlicidi per fatalità. 4. Uccisione di figli non voluti, soprattutto quando le madri rivivono violenze sessuali subite. 5. Frustrazioni personali, come la percezione del corpo sformato o vivere con un compagno non amato a causa della gravidanza. 6. Cause psicologiche, come la depressione postpartum, che può manifestarsi in diverse forme: → Maternity blues: Forma moderata e temporanea, caratterizzata da umore depresso e crisi di pianto. → Depressione postpartum: Dura dai 3 ai 6 mesi, con sintomi gravi come disturbi del sonno e dell'alimentazione, attacchi di panico e ritiro sociale. → Psicosi puerperali: Rare e prolungate, con sintomi psicotici e stati confusionale. 7. Madri che uccidono i figli per evitare che rimangano abbandonati e per sottrarli a future infelicità e disperazione. 14.5 Il Complesso di Medea Tra le motivazioni del figlicidio, c'è il desiderio di vendetta contro il bambino, che rappresenta il frutto dell'unione con un partner infedele. In questi casi, il bambino viene utilizzato come strumento per infliggere sofferenza al partner. Dal punto di vista psicoanalitico, il figlicidio rappresenta una reazione di invidia e una ferita narcisistica, in cui Medea, considerata inferiore rispetto a una mortale che darà figli legittimi a Giasone, agisce per interrompere la linea di discendenza. 14.6 Sindrome di Munchausen per Procura La Sindrome di Munchausen per Procura è una forma di maltrattamento caratterizzata dalla simulazione o causazione di malattie nel bambino, tipica di culture con avanzata assistenza sanitaria. Il termine deriva dal Barone di Munchausen, un personaggio noto per raccontare avventure inverosimili. Questa sindrome è emersa nel 1951 e descrive genitori che inventano o causano sintomi nei loro figli, sottoponendoli a trattamenti medici non necessari, che possono causare danni o addirittura la morte. La vittima è tipicamente un bambino piccolo e la responsabile è spesso la madre, motivata dal bisogno psicologico di assumere il ruolo di malato. - Forme di Sindrome di Munchausen per Procura: → Falsificazione di sintomi o causazione di danni. → Falsa accusa di abuso fisico o sessuale, con conseguenti disagi per i bambini e per gli accusati ingiustamente. → Ansia eccessiva da parte di genitori che hanno precedentemente perso un bambino. - Impatto sui Bambini: I bambini che sopravvivono possono sviluppare disturbi psicologici significativi, tra cui difficoltà di concentrazione, problemi comportamentali, tendenze al furto, problemi emotivi e incubi notturni, tutti sintomi del Disturbo Post Traumatico da Stress. - Riconoscere e Intervenire: I medici dovrebbero sospettare di SMP: → se si verificano sintomi bizzarri, che non si trovano in malattie conosciute, → se i trattamenti non hanno efficacia, → se i sintomi compaiono solo in presenza dei genitori → se questi stabiliscono relazioni eccessivamente strette con lo staff ospedaliero. I pediatri dovrebbero contattare altri membri della famiglia e il medico di famiglia. La strategia definitiva consiste nel limitare le visite dei genitori al bambino e osservare se i sintomi persistono in loro assenza. Quando viene confermato il maltrattamento, le madri possono reagire in modi diversi: ammettendo il malfatto, negando nonostante le prove, o tentando il suicidio. È fondamentale fornire supporto psicologico alle madri coinvolte. 15. LA GIUSTIZIA PENALE NELLA ROMA ANTICA 15.1 Vendetta Privata (753-509 a.C.) Durante il periodo della monarchia romana, noto come età regia, Roma era governata da una serie di re, e la giustizia penale era gestita principalmente attraverso la vendetta privata, lasciando poco spazio all'intervento statale, dove vi era un’assenza di un sistema processuale formale: non esistevano tribunali o procedure legali codificate per risolvere o punire i crimini. In questo periodo, in caso di omicidio volontario di un uomo libero, la famiglia della vittima aveva il diritto e il dovere di vendicare l'offesa, uccidendo l'omicida nello stesso modo in cui era stato ucciso il proprio congiunto. La vendetta era considerata una questione familiare e non vi era alcuna struttura giuridica formale a regolamentarla. 15.2 Delitti Sacrali, Consacratio e Homo Sacer Un intervento punitivo da parte dell'autorità cittadina era previsto solo in caso di delitti che minacciavano l'intera comunità, come i delitti sacrali, che erano considerati gravi infrazioni religiose. Delitti Sacrali: Tali atti erano considerati offensivi per gli dèi e si temeva una loro vendetta. Il compito del re era garantire la pax deorum, ovvero la benevolenza degli dèi, e le sanzioni inflitte variavano a seconda della gravità dell'offesa. In molti casi, il sacrificio di un animale era sufficiente per espiare la colpa. Consacratio: per le offese più gravi, il colpevole stesso poteva essere sacrificato. Homo Sacer: L’individuo che violava la pax deorum e subiva la consacratio veniva definito Homo Sacer, ossia “uomo sacro”, un individuo che poteva essere ucciso da chiunque senza incorrere nella sanzione dell'omicidio. Questa figura era considerata al di fuori delle norme di protezione legali e religiose. 15.3 Leggi Regie Durante il regno dei sette re di Roma, furono emanate delle leggi, ma le informazioni disponibili su di esse sono limitate. - Sesto Pomponio: Riporta che Romolo, il primo re di Roma, e i suoi successori approvarono leggi attraverso i comizi curiati, assemblee a cui partecipavano i cittadini suddivisi per curie. Queste leggi erano raccolte nel libro del Pontefice Gaio Papirio, denominato "Diritto civile Papiriano" perché Papirio si era occupato di raccogliere e documentare le leggi. - Dionigi di Alicarnasso: Narra che Anco Marzio, il quarto re, acquisì i testi delle leggi di Numa Pompilio e li fece trascrivere su tavole di legno, che furono esposte nella Regia, una delle più antiche e importanti costruzioni del Foro romano. 15.4 Delitti Militari Il re, in qualità di sommo sacerdote e comandante supremo dell'esercito, perseguitava i reati militari con pene severe con scopi punitivi. La pena per i reati militari era spesso cruenta e mirava a servire da monito. Un esempio famoso è la punizione inflitta a Mezio Fufezio, ultimo re di Alba Longa, che, dopo aver tradito i patti con Roma, fu legato a quattro cavalli che lo squartarono, mostrando un controllo supremo e autoritario. 15.5 La Provocatio ad Populum (509-27 a.C.) Con la fine della monarchia e l'inizio della repubblica, si assistette alla separazione tra le funzioni religiose e politico-militari, precedentemente unificate nella figura del re. 1. Pontifex Maximus: Il potere religioso fu trasferito a un sacerdote 2. Imperium: Il potere dell’esercito fu affidato ai consoli e potevano anche imporre multe, pene corporali, in alcuni casi, condannare a morte senza processo. 3. Provocatio ad Populum: Permetteva ai cittadini romani condannati alla morte di richiedere di essere giudicati davanti all'assemblea popolare per un processo regolare, evitando così la condanna capitale senza un processo equo. Questi erano limitati dai cittadini romani e poteva essere applicata solo all'interno di Roma e a una distanza di mille passi dalla città. Solo all'inizio del II secolo a.C. fu estesa anche ai territori extraurbani. 15.6 Il Diritto Penale delle XII Tavole Le XII Tavole rappresentano un avanzamento significativo nella regolamentazione della giustizia penale a Roma: - Norme sulla Vendetta Privata: Le XII Tavole regolamentarono la vendetta privata, specificando le circostanze e le modalità legittime. Ad esempio, il ladro poteva essere ucciso solo se colto in flagrante e le vendette dovevano essere proporzionate (legge del taglione). Inoltre, era possibile concordare un risarcimento monetario. - Intervento dello Stato: Lo Stato interveniva direttamente per punire crimini che minacciavano le istituzioni politiche e sociali, come il tradimento della patria, la falsa testimonianza e le maledizioni. Questi reati erano puniti severamente, spesso con la pena di morte. Le norme delle XII Tavole crearono una distinzione tra delitti privati e pubblici, stabilendo un sistema di giustizia criminale che rimase in vigore fino all'ultimo secolo della repubblica. 15.7 Svolgimento del Processo Comiziale Il processo comiziale era un'importante istituzione giuridica durante la repubblica romana: 1. Atto Introduttivo: Il processo iniziava con la fissazione di una data, e il magistrato convocava l'imputato a comparire davanti a lui e al popolo, specificando le accuse e la pena prevista. 2. Dibattito: Il giorno stabilito, il popolo si riuniva nel foro, dove il magistrato presentava l'accusa e le prove, mentre l'accusato aveva l'opportunità di difendersi, da solo o con l'assistenza di un avvocato. Il magistrato, però, non poteva proporre condanne a morte. 3. Decisione e Pena: Dopo circa 24 giorni riunioni e discussioni, il magistrato convoca il comizio che votava a maggioranza. → Condanna alla pena capitale, l'esecuzione era affidata a uno schiavo pubblico (carnifex) che eseguiva la condanna tramite strangolamento. → Se l'accusato riusciva a fuggire prima della conclusione del processo, poteva evitare la pena, ma questo comportava la perdita della cittadinanza, la confisca del patrimonio e il divieto di ritorno a Roma.